Language of document : ECLI:EU:C:2019:459

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 4 giugno 2019 (1)

Cause riunite C609/17 e C610/17

Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö (TSN) ry

contro

Hyvinvointialan liitto ry (C609/17),

in presenza di

Fimlab Laboratoriot Oy

e

Auto- ja Kuljetusalan Työntekijäliitto AKT ry

contro

Satamaoperaattorit ry (C610/17),

in presenza di

Kemi Shipping Oy

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal työtuomioistuin (Tribunale del lavoro, Finlandia)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Articolo 7, paragrafo 1 – Diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane – Articolo 15 – Disposizioni più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratore che si trova in congedo di malattia durante il periodo di ferie annuali – Diniego di riporto di ferie annuali qualora il mancato riporto non determini la riduzione della durata delle ferie annuali al di sotto di quattro settimane – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 31, paragrafo 2 – Applicabilità – Situazione disciplinata dal diritto dell’Unione – Invocabilità nell’ambito di una controversia tra privati»






I.      Introduzione

1.        Le domande di pronuncia pregiudiziale in esame vertono sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2), nonché dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (3).

2.        Tali domande sono state proposte nell’ambito di due controversie che vedono, nella causa TSN (C‑609/17), il Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö (TSN) ry (organizzazione sindacale del settore sanitario e sociale, Finlandia) (4) contrapposto al Terveyspalvelualan liitto ry [divenuto Hyvinvointialan liitto ry (unione del settore dei servizi sanitari, Finlandia)] e alla Fimlab Laboratoriot Oy, e, nella causa AKT (C‑610/17), l’Auto- ja Kuljetusalan Työntekijäliitto AKT ry (sindacato dei lavoratori del settore automobilistico del trasporto, Finlandia) (5) contrapposto al Satamaoperaattorit ry (sindacato dei gestori portuali, Finlandia) e alla Kemi Shipping Oy, in ordine al diniego di concedere a due lavoratori che si erano trovati in congedo per malattia durante un periodo di ferie annuali retribuite un riporto di ferie corrispondente all’intero periodo o a parte dei giorni di congedo per malattia interessati. Dette domande sono caratterizzate dalla circostanza che la coincidenza tra i giorni di ferie annuali retribuite e i giorni di congedo per malattia riguarda un periodo eccedente la durata minima di quattro settimane di ferie annuali retribuite, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88.

3.        La questione relativa all’invocabilità diretta dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta in una controversia tra privati ha fatto un notevole passo avanti nella sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (6), nonché del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (7). Secondo una «logica di compensazione» (8) che permette di ovviare alla mancanza di efficacia diretta orizzontale delle direttive, la Corte, riconoscendo l’invocabilità diretta dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta in una controversia tra privati, ha rafforzato il carattere effettivo del diritto fondamentale ad un periodo annuale di ferie retribuite. Come la Corte ha precisato in tali sentenze, tale invocabilità orizzontale può tuttavia avvenire solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione. Ci si deve però intendere sul significato da attribuire a quest’ultima espressione.

4.        Il problema di fronte al quale si trova la Corte nelle presenti cause consiste nel precisare la portata dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta in fattispecie nelle quali gli Stati membri e/o le parti sociali decidano di concedere ai lavoratori un periodo di ferie annuali retribuite eccedente la durata minima di quattro settimane prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e sottopongano tali ulteriori ferie ad un regime diverso da quello applicabile al periodo minimo di quattro settimane.

5.        Ci si chiede se si debba ritenere che tali misure di protezione nazionale rafforzata esulino dall’ambito di applicazione della direttiva 2003/88 e quindi da quello della Carta, con la conseguenza che né l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta né alcun’altra disposizione di quest’ultima sia allora applicabile a tale tipo di situazione. Ovvero se si debba invece ritenere che misure del genere, adottate conformemente alla clausola di protezione nazionale rafforzata contenuta nell’articolo 15 della direttiva 2003/88, rientrino nell’ambito di applicazione di quest’ultima e quindi in quello della Carta, con la conseguenza che tanto l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta quanto le altre disposizioni di quest’ultima debbano allora essere considerate applicabili a tale tipo di situazione.

6.        Le presenti cause, in quanto relative all’ambito di applicazione della Carta, riguardano quindi la problematica dell’equilibrio costituzionale tra l’Unione e gli Stati membri (9). Infatti, queste cause permetteranno in particolare alla Corte di decidere se il criterio dell’attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, di cui all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, sia soddisfatto qualora questi ultimi adottino – o permettano alle parti sociali di adottare – misure di protezione nazionale rafforzata.

7.        Nelle presenti conclusioni, mi pronuncerò a favore dell’applicabilità della Carta a situazioni nelle quali vengano in discussione misure del genere. Ciò mi porterà ad esaminare il contenuto normativo dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e a precisare il rapporto tra quest’ultima disposizione e il diritto derivato dall’Unione, nella fattispecie l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88.

8.        In concreto, ciò mi porterà, in un primo tempo, a suggerire alla Corte di dichiarare che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 dev’essere interpretato nel senso che non osta a normative nazionali o a contratti collettivi che prevedano che i giorni di ferie annuali retribuite eccedenti il minimo di quattro settimane previsto da tale disposizione non possono formare oggetto di riporto in caso di coincidenza con giorni di congedo per malattia.

9.        In un secondo tempo, esporrò le ragioni per le quali ritengo che l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta non modifichi tale soluzione. Infatti, benché, a mio parere, occorra considerare che tale disposizione è applicabile a situazioni come quelle oggetto delle cause principali, detta disposizione, a mio parere, non ha l’effetto di attribuire ai lavoratori un diritto a ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo quale precisato dal legislatore dell’Unione. Nel contempo, insisterò sul fatto che, adottando un ragionamento avente come punto di partenza l’applicabilità della Carta in situazioni di attuazione di una clausola di protezione nazionale rafforzata, la Corte chiarirebbe il fatto che situazioni del genere sono soggette al rispetto di tutte le disposizioni della Carta.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

10.      L’articolo 1 della direttiva 2003/88, intitolato «Oggetto e campo d’applicazione», così recita:

«1.      La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2.      La presente direttiva si applica:

a)      ai periodi minimi di (..) ferie annuali (…)

(…)».

11.      L’articolo 7 di tale direttiva dispone:

«1.      Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

2.      Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro».

12.      L’articolo 15 di detta direttiva, intitolato «Disposizioni più favorevoli», è così formulato:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o di favorire o consentire l’applicazione di contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori».

13.      L’articolo 17 della direttiva medesima prevede che gli Stati membri possano derogare a talune disposizioni di quest’ultima. Tuttavia, nessuna deroga è ammessa per quanto riguarda l’articolo 7 della direttiva stessa.

B.      Diritto finlandese

1.      La legge sulle ferie annuali

14.      La vuosilomalaki (162/2005) [legge sulle ferie annuali (162/2005)] (10), del 18 marzo 2005, è diretta in particolare a trasporre l’articolo 7 della direttiva 2003/88. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale legge, un lavoratore ha diritto a due giorni lavorativi e mezzo di ferie per ogni mese di riferimento completo. Qualora il rapporto di lavoro, alla fine dell’anno di riferimento, risulti di durata inferiore a un anno senza interruzione, il lavoratore ha diritto a due giorni di ferie per ogni mese di riferimento completo.

15.      L’anno di riferimento può comprendere al massimo 12 mesi di riferimento completi. Qualora un lavoratore, in un anno di riferimento, disponga di 12 mesi di riferimento completi, in base alla legge sulle ferie annuali beneficia di 24 o 30 giorni lavorativi di ferie, a seconda della durata del rapporto di lavoro.

16.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 3, della legge sulle ferie annuali, si intendono per giorni lavorativi i giorni della settimana, tranne le domeniche, i giorni festivi religiosi, il giorno dell’indipendenza, la vigilia di Natale, la festa di Mezza Estate, il Sabato Santo e il 1o maggio. In una settimana di calendario nella quale non ricorre alcuno dei giorni suddetti, si può dunque fruire di sei giorni di ferie annuali.

17.      Ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, della legge sulle ferie annuali, si deve usufruire di 24 giorni di ferie annuali (ferie estive), durante il periodo feriale. Le ferie rimanenti (ferie invernali) devono essere concesse non oltre l’inizio del periodo di ferie successivo. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 2, della legge sulle ferie annuali, il periodo di ferie si riferisce all’intervallo di tempo dal 2 maggio al 30 settembre incluso.

18.      Nella sua versione in vigore dal 1o ottobre 2013 al 31 marzo 2016, l’articolo 25, paragrafo 1, della legge sulle ferie annuali, quale modificata dalla laki vuosilomalain muuttamisesta (276/2013) [legge che modifica la legge sulle ferie annuali (276/2013)], del 12 aprile 2013, disponeva:

«Qualora un lavoratore, all’inizio delle sue ferie annuali o di una parte di esse, sia inabile al lavoro a causa di parto, malattia o infortunio, le ferie, su sua domanda, devono essere riportate a un momento successivo. Il lavoratore, su domanda, ha diritto al riporto delle ferie o di una parte di esse anche quando sia accertato che, durante le proprie ferie, dovrà sottoporsi a un trattamento per una malattia o a un altro trattamento equiparato, durante il quale sia inabile al lavoro».

19.      Nella sua versione quale modificata dalla laki vuosilomalain muuttamisesta (182/2016) [legge che modifica la legge sulle ferie annuali (182/2016)], del 18 marzo 2016, entrata in vigore il 1o aprile 2016, l’articolo 25, paragrafo 2, della legge sulle ferie annuali è così formulato:

«Qualora l’inabilità al lavoro dovuta a parto, malattia o infortunio inizi durante le ferie annuali o una parte di esse, il lavoratore, ove ne faccia domanda, ha diritto al riporto dei giorni di inabilità al lavoro ricadenti nel periodo di ferie annuali, che superino i sei giorni di ferie. Il mancato riporto dei giorni innanzi menzionati non può ridurre il diritto del lavoratore a quattro settimane di ferie annuali».

2.      I contratti collettivi applicabili

20.      In Finlandia, i contratti collettivi concedono di frequente un periodo di ferie più lungo di quello previsto dalla legge sulle ferie annuali. Ciò si verifica in particolare nel caso del contratto collettivo concluso tra l’unione del settore dei servizi sanitari e il TSN, per il periodo 1o marzo 2014 – 31 gennaio 2017, per il settore sanitario (in prosieguo: il «contratto collettivo per il settore sanitario») e del contratto collettivo concluso tra il sindacato dei gestori portuali e l’AKT, per il periodo 1o febbraio 2014 – 31 gennaio 2017, per il settore del trasporto merci marittimo (in prosieguo: il «contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo»).

21.      Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, del contratto collettivo per il settore dei servizi sanitari, «le ferie annuali sono determinate in base alla legge sulle ferie annuali e alle seguenti disposizioni». Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 7, dello stesso contratto collettivo, «le ferie annuali vengono concesse in base alla legge sulle ferie annuali (…)».

22.      Ai sensi dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo, «il monte ferie annuale di un lavoratore è determinato in base alla legge sulle ferie annuali in vigore» e «le ferie annuali vengono concesse in base alla legge sulle ferie annuali, salvo diverso accordo».

23.      Le disposizioni pertinenti della legge sulle ferie annuali in vigore alla data dei fatti sono state applicate al riporto, per inabilità al lavoro, delle ferie annuali sulla base delle disposizioni dei contratti collettivi citati ai due paragrafi precedenti.

III. Controversie nelle cause principali e questioni pregiudiziali

A.      La causa TSN (C609/17)

24.      La sig.ra Marika Luoma è impiegata, dal 14 novembre 2011, dalla Fimlab Laboratoriot, in qualità di assistente di laboratorio, in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

25.      Sulla base del contratto collettivo per il settore sanitario, la sig.ra Luoma ha diritto, tenuto conto della sua anzianità, a 42 giorni lavorativi, ossia sette settimane, di ferie annuali retribuite, per l’anno di riferimento conclusosi il 31 marzo 2015.

26.      Dopo essersi vista concedere sei giorni di ferie annuali per il periodo da lunedì 7 settembre a domenica 13 settembre 2015, il 10 agosto 2015 la sig.ra Luoma ha reso noto al suo datore di lavoro che avrebbe dovuto subire un intervento chirurgico il 2 settembre 2015 e ha chiesto che dette ferie annuali fossero, di conseguenza, riportate a data successiva. A seguito della sua operazione, la sig.ra Luoma ha usufruito di un congedo per malattia sino al 23 settembre 2015., L’interessata aveva già beneficiato di 22 giorni, ossia tre settimane e quattro giorni lavorativi, del monte ferie annuale di 42 giorni lavorativi di cui sopra, cui aveva diritto. La Fimlab Laboratoriot ha riportato i due primi giorni di ferie ancora dovuti a norma della legge sulle ferie annuali, ma non i rimanenti quattro giorni di ferie, derivanti, a loro volta, dal contratto collettivo per il settore sanitario, basandosi, al riguardo, sulle disposizioni dell’articolo 16, paragrafi 1 e 7, di tale contratto collettivo nonché dell’articolo 25, paragrafo 1, della legge sulle ferie annuali in vigore alla data dei fatti.

27.      Il TSN, nella sua qualità di organizzazione rappresentativa dei lavoratori firmataria del contratto collettivo per il settore sanitario, ha proposto, dinanzi al työtuomioistuin (Tribunale del lavoro, Finlandia) un ricorso diretto all’accertamento che la sig.ra Luoma ha diritto, in considerazione della sua inabilità al lavoro, al riporto a data successiva delle ferie concesse a norma di tale contratto, per il periodo 9 settembre – 13 settembre 2015. Secondo il TSN, il diniego di riportare le ferie opposto all’interessata dal suo datore di lavoro sarebbe infatti in contrasto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

28.      A loro difesa, l’unione del settore dei servizi sanitari, organizzazione rappresentativa dei datori di lavoro, e la Fimlab Laboratoriot, sostengono che un siffatto diniego non viola le dette disposizioni del diritto dell’Unione, dato che queste ultime non sarebbero applicabili alla quota del diritto alle ferie annuali retribuite garantita dalla normativa nazionale o da contratti collettivi ed eccedente il minimo di quattro settimane di ferie annuali retribuite prescritto dall’articolo 7 della direttiva 2003/88.

29.      Il giudice del rinvio, che fa riferimento, al riguardo, alle sentenze del 3 maggio 2012, Neidel (11), e del 20 luglio 2016, Maschek (12), da un lato, nonché alle sentenze del 19 settembre 2013, Riesame Commissione/Strack (13), e del 30 giugno 2016, Sobczyszyn (14), dall’altro, considera che la giurisprudenza della Corte non permette di risolvere la questione se l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, della legge sulle ferie annuali, nella fattispecie operata tramite il contratto collettivo per il settore sanitario, in quanto limita il diritto di riportare un periodo di ferie annuali retribuite alle sole ferie acquisite in base alla legge sulle ferie annuali, ad esclusione delle ferie acquisite in base ad un contratto collettivo la cui durata sia superiore a quella delle ferie annuali legali, sia o meno conforme alle prescrizioni derivanti dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

30.      Per quanto riguarda tale ultima disposizione, il giudice del rinvio si chiede, inoltre, se a quest’ultima possa essere attribuita un’efficacia diretta in una controversia tra privati.

31.      Di conseguenza, il työtuomioistuin (Tribunale del lavoro) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2003/88] osti a una disposizione nazionale contenuta in un contratto collettivo o alla sua interpretazione, secondo cui un lavoratore il quale, all’inizio delle sue ferie annuali o di una parte di esse, sia inabile al lavoro, non ha alcun diritto, nonostante ne faccia domanda, al riporto di ferie ricadenti nel periodo interessato che gli spettino in base al contratto collettivo, qualora il mancato riporto delle ferie previste in base al contratto collettivo non riduca il diritto del lavoratore a quattro settimane di ferie annuali.

2.      Se l’articolo 31, paragrafo 2, della [Carta] produca effetti giuridici diretti nell’ambito di un rapporto di lavoro tra soggetti giuridici privati, ovvero abbia un’efficacia giuridica diretta orizzontale.

3.      Se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta tuteli le ferie acquisite, laddove la durata delle ferie superi il periodo minimo di ferie di quattro settimane previsto nell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2003/88], e se tale disposizione della Carta osti a una disposizione nazionale contenuta in un contratto collettivo o alla sua interpretazione secondo cui un lavoratore, il quale, all’inizio delle sue ferie annuali o di una parte di esse, sia inabile al lavoro, non abbia alcun diritto, nonostante ne faccia domanda, al riporto di ferie ricadenti nel periodo interessato, che gli spettino in base al contratto collettivo, qualora il mancato riporto delle ferie previste in base al contratto collettivo non riduca il diritto del lavoratore a quattro settimane di ferie annuali».

B.      La causa AKT (C610/17)

32.      Il sig. Tapio Keränen è impiegato presso la Kemi Shipping.

33.      In forza del contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo, il sig. Keränen ha diritto a 30 giorni lavorativi, ossia cinque settimane, di ferie annuali retribuite, per l’anno di riferimento conclusosi il 31 marzo 2016.

34.      Dopo l’inizio delle sue ferie annuali, avvenuto il 22 agosto 2016, il sig. Keränen si è ammalato il 29 agosto 2016. Il medico del lavoro consultato gli ha allora prescritto un congedo per malattia tra tale data e il 4 settembre 2016. La domanda del sig. Keränen diretta ad ottenere che, di consguenza, le sue ferie annuali fossero riportate nella misura di sei giorni lavorativi è stata respinta dalla Kemi Shippingen a norma dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo e dell’articolo 25 della legge sulle ferie annuali quale modificata dalla legge che modifica le ferie annuali (182/2016), e detto datore di lavoro ha imputato tali sei giorni di malattia alle ferie annuali retribuite di cui doveva beneficiare il sig. Keränen.

35.      L’AKT, organizzazione rappresentativa dei lavoratori e firmataria del contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo, ha proposto dinanzi al työtuomioistuin (Tribunale del lavoro) un ricorso diretto all’accertamento che l’applicazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, di tale contratto non può condurre ad applicare l’articolo 25, paragrafo 2, della legge sulle ferie annuali, dato che quest’ultima disposizione sarebbe in contrasto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

36.      A loro difesa, il sindacato dei gestori portuali, organizzazione rappresentativa dei datori di lavoro, e la Kemi Shipping, sostengono che l’articolo 25, paragrafo 2, della legge sulle ferie annuali non viola tali disposizioni del diritto dell’Unione, per motivi analoghi a quelli menzionati al paragrafo 28 delle presenti conclusioni.

37.      Per motivi identici a quelli esposti nella sua decisione di rinvio nella causa TSN (C‑609/17), il giudice del rinvio ritiene che la giurisprudenza della Corte citata al paragrafo 29 delle presenti conclusioni non permetta di risolvere la questione se l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sulle ferie annuali, operata, come nel caso di specie, tramite il contratto collettivo per il settore del trasporto merci marittimo – in quanto ne deriva che un lavoratore la cui inabilità al lavoro per malattia inizi durante le ferie annuali o parte di queste ultime non ha diritto, nonostante ne faccia domanda, al riporto dei primi sei giorni di inabilità al lavoro ricadenti nel periodo di ferie annuali, qualora il mancato riporto di tali giorni non riduca il diritto di detto lavoratore a quattro settimane di ferie annuali retribuite – sia conforme alle prescrizioni derivanti dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 e dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

38.      Di conseguenza, il työtuomioistuin (Tribunale del lavoro) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [2003/88] osti a una disposizione nazionale contenuta in un contratto collettivo o alla sua interpretazione, secondo cui un lavoratore la cui inabilità al lavoro dovuta a malattia abbia inizio durante le ferie annuali o una parte di esse, non ha diritto, nonostante ne faccia domanda, al riporto dei primi sei giorni di inabilità al lavoro ricadenti nel periodo di ferie annuali, qualora il mancato riporto di tali giorni non riduca il diritto del lavoratore a quattro settimane di ferie annuali.

2.      Se l’articolo 31, paragrafo 2, della [Carta] produca effetti giuridici diretti nell’ambito di un rapporto di lavoro tra soggetti giuridici privati, ovvero abbia un’efficacia giuridica diretta orizzontale.

3.      Se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta tuteli le ferie acquisite, laddove la durata delle ferie superi il periodo minimo di ferie di quattro settimane previsto nell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, e se tale disposizione della Carta osti a una disposizione nazionale contenuta in un contratto collettivo o alla sua interpretazione secondo cui un lavoratore, la cui inabilità al lavoro dovuta a malattia abbia inizio durante le ferie annuali o una parte di esse, non ha diritto, nonostante ne faccia domanda, al riporto dei primi sei giorni di inabilità al lavoro ricadenti nel periodo di ferie annuali, qualora il mancato riporto di tali giorni non riduca il diritto del lavoratore a quattro settimane di ferie annuali».

IV.    Analisi

A.      Sulla prima e sulla terza questione pregiudiziale

39.      Con la sua prima e la sua terza questione pregiudiziale in ciascuna delle presenti cause riunite, che è a mio parere necessario esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di dichiarare se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 nonché l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta debbano essere interpretati nel senso che ostano a normative nazionali o a contratti collettivi, come quelli controversi nelle cause principali, da cui discende che i giorni di ferie annuali retribuite eccedenti un periodo di quattro settimane non possono formare oggetto di riporto in caso di sovrapposizione con giorni di congedo per malattia.

1.      Sullinterpretazione dellarticolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88

40.      È importante ricordare, in via preliminare, da una parte che, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, disposizione alla quale tale direttiva non consente di derogare, ogni lavoratore beneficia di un diritto alle ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, diritto che, secondo giurisprudenza costante della Corte, dev’essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione (15). Tale diritto, conferito a ciascun lavoratore, è espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce lo stesso valore giuridico dei Trattati (16).

41.      Secondo la Corte, la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite, conferito a ciascun lavoratore dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, è di «consentire al lavoratore, da un lato, di riposarsi rispetto all’esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e, dall’altro, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione» (17).

42.      Tale finalità, «che distingue il diritto alle ferie annuali retribuite da altri tipi di congedo aventi scopi differenti, è basata sulla premessa che il lavoratore ha effettivamente lavorato durante il periodo di riferimento. Infatti, l’obiettivo di consentire al lavoratore di riposarsi presuppone che tale lavoratore abbia svolto un’attività che, per assicurare la protezione della sua sicurezza e della sua salute prevista dalla direttiva 2003/88, giustifica il beneficio di un periodo di riposo, di distensione e di ricreazione. Pertanto, i diritti alle ferie annuali retribuite devono, in linea di principio, essere determinati in funzione dei periodi di lavoro effettivo svolti in forza del contratto di lavoro» (18).

43.      Ne consegue che un lavoratore matura un diritto alle ferie annuali retribuite, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, «soltanto per i periodi durante i quali ha prestato lavoro effettivo» (19).

44.      Col susseguirsi delle cause che le sono state sottoposte, la Corte ha elaborato una giurisprudenza la cui caratteristica comune è quella di garantire ai lavoratori il beneficio effettivo dei periodi di riposo e di distensione loro conferiti dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88. Così, a mo’ d’esempio, tali lavoratori devono godere, durante tali periodi, di condizioni economiche paragonabili a quelle di cui beneficiano nell’esercizio del loro lavoro (20).

45.      Inoltre, la Corte ha dichiarato che, «in talune situazioni specifiche nelle quali il lavoratore non è in grado di adempiere alle proprie funzioni, a causa, in particolare, di un’assenza per malattia debitamente giustificata, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinato da uno Stato membro all’obbligo di avere effettivamente lavorato (…) Così, per quanto riguarda il diritto alle ferie annuali retribuite, i lavoratori assenti dal lavoro a titolo di congedo per malattia durante il periodo di riferimento sono assimilati a quelli che hanno effettivamente lavorato nel corso di tale periodo» (21).

46.      Tale giurisprudenza, le cui origini si trovano nella sentenza del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a. (22), implica che i lavoratori interessati hanno il diritto di fruire successivamente delle loro ferie annuali retribuite qualora queste ultime coincidano con un periodo di congedo per malattia.

47.      Così, secondo la Corte, «nell’ipotesi di sovrapposizione di un congedo per ferie annuali e di un congedo per malattia, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 dev’essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o a prassi nazionali le quali prevedano che il diritto alle ferie annuali retribuite si estingue allo scadere del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto fissato dal diritto nazionale quando il lavoratore è stato in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento e, per tale ragione, non ha potuto concretamente esercitare tale diritto» (23).

48.      Infatti, la Corte ha dichiarato che «lo scopo del diritto alle ferie annuali retribuite, consistente nel permettere al lavoratore di riposarsi e di beneficiare di un periodo di riposo e di svago, è diverso da quello del diritto al congedo per malattia, consistente nel permettere al lavoratore di ristabilirsi da una malattia» (24).

49.      Alla luce di tali scopi divergenti dei due tipi di congedo, la Corte ha concluso che «un lavoratore, in congedo per malattia durante un periodo di ferie annuali precedentemente fissato, ha diritto, su sua richiesta e affinché possa godere in concreto delle ferie annuali, di beneficiarne in un periodo diverso da quello coincidente con il periodo di congedo per malattia» (25).

50.      La sovrapposizione di un congedo per malattia e di ferie annuali retribuite non può pertanto ostare al beneficio, in un momento successivo, delle ferie annuali retribuite maturate dal lavoratore. Un lavoratore che si trovi in congedo per malattia durante il periodo di ferie annuali inizialmente fissato ha il diritto, al termine del suo congedo per malattia, di beneficiare delle sue ferie annuali in un periodo diverso da quello inizialmente fissato. La Corte ha inoltre dichiarato che, «riguardo alla fissazione di tale nuovo periodo di ferie annuali, corrispondente alla durata della sovrapposizione tra il periodo di ferie annuali stabilito inizialmente e il congedo per malattia, [...]essa è soggetta alle norme e alle procedure di diritto nazionale applicabili per la determinazione delle ferie dei lavoratori, tenendo conto dei vari interessi in gioco, in particolare delle ragioni imperative legate agli interessi dell’impresa» (26).

51.      Fermo restando ciò, è importante precisare che tale giurisprudenza è stata elaborata dalla Corte nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, e si riferisce quindi esclusivamente al diritto alle ferie annuali retribuite che tale disposizione conferisce ai lavoratori. Lo stesso vale del resto per le altre regole elaborate dalla Corte, come quella secondo la quale i lavoratori devono percepire un importo equivalente alla loro retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali loro garantito in base a tale disposizione (27).

52.      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 è quindi destinato a tutelare unicamente il nucleo base di protezione minima costituito dal diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, purché però il lavoratore abbia effettivamente lavorato nel periodo di riferimento per ottenere tale diritto per tale durata. Per contro, qualora si tratti di un periodo di ferie annuali retribuite ulteriore, di cui un lavoratore benefici in forza della legge nazionale, le normative nazionali o i contratti collettivi possono fissare condizioni di acquisizione e di estinzione di tali ferie che differiscano dalle regole di tutela derivanti dall’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (28).

53.      Risulta dagli elementi che precedono che, se i dinieghi di riportare ferie annuali retribuite opposti ai lavoratori interessati nell’ambito delle presenti controversie avessero riguardato giorni di ferie annuali retribuite inclusi nel periodo minimo di quattro settimane garantito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, le normative nazionali o i contratti collettivi controversi avrebbero dovuto essere considerati in contrasto con tale disposizione. Infatti, occorre ricordare che le due cause principali vertono su ferie annuali retribuite che non hanno potuto essere riportate, anche se i lavoratori interessati non avevano potuto usufruire effettivamente di queste ultime a causa della sopravvenienza di periodi di congedo per malattia durante il periodo di ferie annuali retribuite. Tali periodi erano di breve durata, di modo che la questione del periodo massimo di riporto di ferie annuali retribuite che può, eventualmente, sorgere in un contesto caratterizzato da assenze di lungo periodo del lavoratore a causa di malattia (29) non viene in considerazione nel caso di specie.

54.      Per contro, qualora la sovrapposizione di un congedo per malattia e di ferie annuali retribuite non incida sul periodo minimo di quattro settimane protetto dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, ma su un periodo di ferie annuali retribuite eccedente tale durata, l’impossibilità derivante da una normativa nazionale o da un contratto collettivo di fruire successivamente di tali ferie non è in contrasto con tale disposizione. Infatti, un’estensione dei diritti alle ferie annuali retribuite al di là del minimo richiesto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 costituisce una misura favorevole ai lavoratori che va oltre gli obblighi minimi previsti in tale disposizione e, pertanto, non è disciplinata da quest’ultima (30).

55.      Al riguardo, si deve rilevare che la possibilità per gli Stati membri di andare oltre il nucleo base di protezione minima garantito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 è già stata riconosciuta a più riprese dalla Corte.

56.      Così, risulta dalla giurisprudenza della Corte che la direttiva 2003/88 non osta «a disposizioni nazionali che prevedono un diritto a ferie annuali retribuite di durata superiore a quattro settimane, accordato alle condizioni di ottenimento e di concessione stabilite da tale diritto nazionale» (31).

57.      A sostegno di questa considerazione, la Corte ha rilevato, a più riprese, che risulta esplicitamente dalla lettera dell’articolo 1, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 7, paragrafo 1, nonché dell’articolo 15 della direttiva 2003/88 che quest’ultima si limita a fissare prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro facendo salva la facoltà degli Stati membri di applicare disposizioni nazionali più favorevoli alla tutela dei lavoratori (32).

58.      Deduco da tali elementi, da un lato, che spetta agli Stati membri e/o alle parti sociali decidere se concedere o meno ai lavoratori ferie annuali retribuite ulteriori in aggiunta alle ferie annuali retribuite minime di quattro settimane di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88. Dall’altro lato, relativamente a tale periodo aggiuntivo, spetta loro definire le condizioni di concessione e di estinzione delle ferie, le quali possono differire dalle regole di tutela elaborate dalla Corte per quanto riguarda il periodo minimo di ferie annuali retribuite garantito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88. Così, le modalità di riporto delle ferie annuali retribuite possono variare a seconda che si tratti o meno delle ferie annuali minime protette dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88.

59.      Tuttavia, è importante precisare che, qualora gli Stati membri e/o le parti sociali decidano di usare la facoltà loro offerta dall’articolo 15 di tale direttiva di applicare disposizioni di legge nazionali più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, procedendo in continuità con tale obiettivo, essi restano soggetti al rispetto del diritto dell’Unione. Non può pertanto ritenersi che, quando vanno oltre il nucleo di protezione minima definito all’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva, gli Stati membri e/o le parti sociali entrino in uno spazio giuridico nel quale ritrovano una libertà totale. In questo senso, l’affermazione secondo la quale gli Stati membri «sono (…) liberi di adottare, nei rispettivi ordinamenti nazionali, disposizioni che prevedano periodi di orario di lavoro e periodi di riposo più favorevoli ai lavoratori, rispetto a quelli stabiliti [dalla direttiva 2003/88]» (33) dev’essere sfumata e integrata precisando che si tratta in tal caso di una libertà limitata.

60.      Infatti, come la Corte ha recentemente ricordato nella sua sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (34), è chiaro che, quando adottano provvedimenti più favorevoli ai lavoratori, nella fattispecie concedendo loro giorni di ferie ulteriori rispetto al periodo minimo di quattro settimane, gli Stati membri e/o le parti sociali non possono, nel contempo, pregiudicare le regole di tutela del diritto dell’Unione applicabili nell’ambito di tale periodo minimo. In questa causa, le parti sociali non potevano quindi far valere la circostanza che esse concedevano un maggior numero di giorni di ferie ai lavoratori per compensare il fatto che questi ultimi non percepivano la loro retribuzione ordinaria durante il periodo minimo protetto dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88.

61.      Pertanto, secondo la Corte, benché «la direttiva 2003/88 non osti a che le parti sociali adottino, con contratto collettivo in forza di una normativa nazionale, norme dirette a contribuire in modo generale al miglioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti, le modalità di applicazione di tali norme devono, tuttavia, rispettare i limiti derivanti da tale direttiva» (35). Tali misure favorevoli, «che vanno oltre i requisiti minimi previsti da tale disposizione e, pertanto, non sono disciplinate da quest’ultima (…) non possono servire a compensare l’effetto negativo, per il lavoratore, di una riduzione della retribuzione dovuta per tali ferie, a pena di rimettere in discussione il diritto alle ferie annuali retribuite a titolo [dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88], di cui è parte integrante il diritto per il lavoratore di godere, durante il suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro» (36).

62.      In tale tipo di situazione, la misura a priori più favorevole ai lavoratori, in quanto concede a questi ultimi un maggior numero di giorni di ferie, pregiudica in realtà il nucleo base di protezione minima garantito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, nella fattispecie poiché pregiudica la regola di tutela secondo la quale un lavoratore deve percepire la sua retribuzione ordinaria per il periodo minimo delle ferie annuali di cui beneficia in base alla stessa disposizione. Per questo motivo, una misura del genere dev’essere considerata in contrasto con la detta disposizione (37).

63.      Nell’ambito delle presenti cause, non viene asserito che le normative nazionali o i contratti collettivi controversi nelle cause principali pregiudichino il nucleo base di protezione minima garantito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88. In questa fase della mia analisi, si può pertanto ritenere che tali normative nazionali o tali contratti collettivi possano prevedere, senza violare tale disposizione, che i giorni di ferie annuali retribuite che vanno oltre il minimo di quattro settimane tutelato dalla detta disposizione non possono formare oggetto di riporto in caso di sovrapposizione con giorni di congedo per malattia.

64.      Resta da stabilire se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta possa condurre ad una soluzione diversa. Questo è l’oggetto della terza questione sollevata dal giudice del rinvio.

2.      Sullinterpretazione dellarticolo  31, paragrafo  2, della Carta

65.      La terza questione pregiudiziale invita la Corte a precisare se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta permetta ad un lavoratore di rivendicare una tutela del diritto a ferie annuali retribuite che vada oltre quella garantita dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88.

66.      Più precisamente, nell’ambito delle presenti cause, si tratta di determinare se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta possa essere fatto valere per estendere, oltre il periodo di quattro settimane previsto all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, la regola secondo la quale, in caso di congedo per malattia coincidente con ferie annuali retribuite, quest’ultimo diritto possa essere riportato ad un momento successivo.

67.      Dico subito che, a mio parere, la risposta a tale questione è negativa. La difficoltà consiste tuttavia nella scelta dell’iter giuridico da percorrere per giungere a tale risposta. Possono considerarsi due opzioni.

68.      Un’opzione consiste nel ritenere la Carta non applicabile ad una fattispecie in cui gli Stati membri e/o le parti sociali decidono di concedere ai lavoratori giorni di ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo di quattro settimane, sottoponendo tali giorni ulteriori ad un regime particolare, segnatamente per quanto riguarda il loro riporto in caso di sovrapposizione con giorni di congedo per malattia.

69.      L’altra consiste nel ritenere che la Carta sia sì applicabile in una fattispecie del genere di attuazione di una protezione nazionale rafforzata, ma che l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta sia destinato a tutelare esclusivamente il nucleo base di protezione minima quale precisato dal legislatore dell’Unione, e cioè, nella fattispecie, un periodo annuale di ferie retribuite della durata minima di quattro settimane. Ne discende che tale disposizione non osta a che gli Stati membri e/o le parti sociali sottopongano i giorni di ferie annuali retribuite ulteriori a regole differenti da quelle che si applicano al periodo minimo di quattro settimane, anche per quanto riguarda il riporto di tali giorni in caso di coincidenza con giorni di congedo per malattia.

70.      Occorre ricordare che il diritto alle ferie annuali retribuite non soltanto presenta, nella sua qualità di principio del diritto sociale dell’Unione, un’importanza particolare, ma è altresì espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce lo stesso valore giuridico dei Trattati (38).

71.      Orbene, i diritti fondamentali così garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione sono destinati ad essere applicati in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione (39).

72.      L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta stabilisce che le disposizioni della medesima si applicano «agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione».

73.      Inoltre, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, TUE, «[l]e disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei Trattati». Analogamente, in forza dell’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, quest’ultima «non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati».

74.      Alla luce di questi elementi, l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta è destinato ad applicarsi alle controversie nelle cause principali solo se può essere accertato che le normative nazionali o i contratti collettivi controversi nelle cause principali operano un’attuazione della direttiva 2003/88.

75.      Ciò porta a determinare se l’adozione da parte degli Stati membri e/o delle parti sociali di disposizioni più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, in applicazione dell’articolo 15 della direttiva 2003/88, costituisca un’attuazione di tale direttiva.

76.      Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, «per stabilire se una misura nazionale rientri nell’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, occorre verificare, inter alia, se la normativa nazionale in questione abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell’Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto dell’Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest’ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell’Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa» (40).

77.      Come ho in precedenza accennato, due tesi si contrappongono quanto alla qualificazione di misure nazionali quali quelle controverse nelle cause principali come misure di attuazione del diritto dell’Unione.

78.      Secondo la prima tesi, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 delimita il perimetro dell’obbligo gravante sugli Stati membri, cioè quello di adottare i provvedimenti necessari perché ogni lavoratore benefici di un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. Occorre considerare che, qualora gli Stati membri adottino misure più favorevoli ai lavoratori, come l’articolo 15 della direttiva 2003/88 li autorizza a fare, essi vanno oltre tale perimetro ed escono allora dall’ambito di applicazione di tale direttiva. Non si può pertanto ritenere che essi attuino tale direttiva. Di conseguenza, conformemente a quanto previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, quest’ultima non è applicabile ad una situazione del genere. In altre parole, trattandosi di una situazione non disciplinata dal diritto dell’Unione, la Carta non è destinata ad applicarsi. In mancanza di attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, la Corte non è allora competente ad interpretare l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta o qualsiasi altra disposizione di quest’ultima (41). Tuttavia, a partire dal momento in cui venga accertato che una normativa nazionale che va oltre il nucleo base di protezione minima viola una norma del diritto dell’Unione, essa rientrerebbe nello spazio normativo disciplinato dal diritto dell’Unione e sarebbe quindi soggetta all’applicazione della Carta.

79.      Tale prima tesi trova le sue origini in talune sentenze della Corte che testimoniano della reticenza di quest’ultima a sottoporre al rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione le misure nazionali che vanno oltre un nucleo base di protezione minima definito da una direttiva (42).

80.      Tale corrente giurisprudenziale ha trovato il suo prolungamento nella sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (43). In tale causa, la Corte era in particolare invitata a valutare la portata di una disposizione analoga a quella dell’articolo 15 della direttiva 2003/88, e cioè l’articolo 11, primo comma, della direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro (44), il quale prevede che tale direttiva «non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare e di introdurre disposizioni legislative, regolamentari e amministrative più favorevoli per i lavoratori subordinati».

81.      Dopo aver dichiarato che l’obbligo di protezione minima dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro imposto dalla direttiva 2008/94 non era pregiudicato, la Corte ha rilevato che l’articolo 11, primo comma, di tale direttiva «si limita a constatare» che la detta direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di adottare disposizioni maggiormente protettrici dei lavoratori (45). Secondo la Corte, «[a]lla luce del suo tenore letterale, tale disposizione, che si trova nel capo V, rubricato “Disposizioni generali e finali”, non conferisce agli Stati membri una facoltà normativa derivante dal diritto dell’Unione, ma si limita, a differenza delle facoltà previste dai capi I e II della stessa direttiva, a riconoscere il potere degli Stati membri, in forza del diritto nazionale, di prevedere siffatte disposizioni più favorevoli al di fuori del contesto del regime previsto da tale direttiva» (46). La Corte ha dedotto da quanto precede che «non può ritenersi che una disposizione di diritto nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che si limiti a concedere ai lavoratori dipendenti una tutala più favorevole risultante dall’esercizio della sola competenza degli Stati membri, confermata dall’articolo 11, primo comma, della direttiva 2008/94, ricada nella sfera di applicazione della direttiva stessa» (47). Tale disposizione di diritto nazionale non poteva pertanto essere considerata attuativa del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, e, pertanto, essa non poteva essere esaminata alla luce delle garanzie della Carta e, segnatamente, del suo articolo 20 (48).

82.      In base alla seconda tesi, invece, qualora gli Stati membri adottino misure più favorevoli ai lavoratori, come l’articolo 15 della direttiva 2003/88 li autorizza a fare, si deve ritenere che essi si avvalgano della facoltà loro espressamente concessa da tale disposizione, il che dovrebbe essere equiparato ad un’attuazione di tale direttiva. Trattandosi di una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione, la Carta è pertanto destinata ad applicarsi. Misure del genere sarebbero quindi soggette al rispetto della Carta, così come esse sono soggette al rispetto delle altre norme di diritto primario e di diritto derivato dell’Unione. Dato che si dovrebbe ritenere che, adottando misure di protezione nazionale rafforzata gli Stati membri attuino il diritto dell’Unione, la Corte sarebbe competente a fornire un’interpretazione della Carta nell’ambito di un rinvio pregiudiziale proposto ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

83.      Questa seconda tesi trova la sua origine nelle opinioni espresse da vari avvocati generali nonché in varie sentenze della Corte, favorevoli a vedere soggette al rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, ai principi generali di tale diritto, misure nazionali che vadano oltre un nucleo base di protezione minima definito da una direttiva o che prevedano regole più rigorose di quelle contenute in una direttiva (49).

84.      In materia sociale e a proposito della Carta, detta tesi trova espressione in particolare nella sentenza del 18 luglio 2013, Alemo-Herron e a. (50), nella quale la Corte ha dichiarato che «l’articolo 3 della direttiva [2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (51)], in combinato disposto con l’articolo 8 di tale direttiva [(52)], non può essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri ad adottare le misure che, pur essendo più favorevoli ai lavoratori, possono pregiudicare la sostanza stessa del diritto del cessionario alla libertà d’impresa» (53).

85.      Sono a favore della seconda tesi.

86.      Infatti, l’adozione di misure nazionali come quelle controverse nelle cause principali, che vanno oltre un nucleo base di protezione minima definito dalla direttiva, costituisce il prolungamento interno delle disposizioni previste da quest’ultima (54). L’adozione di misure che prevedono una protezione nazionale rafforzata costituisce una modalità di attuazione delle direttive che fissano prescrizioni minime (55).

87.      Rilevo, al riguardo, che le misure controverse nelle cause principali, concedendo ai lavoratori giorni di ferie eccedenti le quattro settimane si inseriscono nella falsariga dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/88, e cioè quello di garantire la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

88.      Come ogni atto di attuazione di una direttiva, misure che prevedano una protezione nazionale rafforzata sono soggette al rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, al rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta (56). Qualora una direttiva lasci agli Stati membri un margine discrezionale, questi ultimi sono tenuti ad utilizzarlo in senso conforme agli obblighi derivanti dalla protezione dei diritti fondamentali (57). Ricordo altresì che le disposizioni del diritto derivato dell’Unione, di cui fa parte l’articolo 15 della direttiva 2003/88, devono essere interpretate alla luce del diritto primario dell’Unione e quindi della Carta.

89.      Vero è che la Corte ha già concluso «che erano inapplicabili i diritti fondamentali dell’Unione ad una normativa nazionale per il fatto che le disposizioni dell’Unione nella materia in questione non imponevano alcun obbligo agli Stati membri in relazione alla situazione oggetto del procedimento principale» (58). La Corte ha altresì dichiarato che «il solo fatto che una misura nazionale ricada in un settore nel quale l’Unione è competente non può collocarla nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione e, quindi, comportare l’applicabilità della Carta» (59).

90.      Tuttavia, ritengo che una misura nazionale adottata in applicazione di una disposizione di una direttiva che autorizza una protezione nazionale rafforzata presenti un nesso di collegamento con tale direttiva, di modo che essa dev’essere considerata come attuativa del diritto dell’Unione.

91.      La circostanza che una disposizione come l’articolo 15 della direttiva 2003/88 offra agli Stati membri una facoltà d’agire e quindi non imponga loro un obbligo specifico non consente, a mio parere, di concludere per l’insussistenza di attuazione del diritto dell’Unione.

92.      Rilevo, al riguardo, che la Corte ha già dichiarato che la circostanza che una disposizione del diritto dell’Unione offra agli Stati membri un margine discrezionale non esclude la constatazione secondo la quale essi attuano il diritto dell’Unione (60).

93.      Inoltre, le clausole di protezione nazionale rafforzata contenute del Trattato FUE prevedono espressamente che la loro attuazione è soggetta al rispetto dei Trattati. Per questo motivo la Corte, a mio parere giustamente, si è basata su tali clausole per subordinare l’adozione da parte degli Stati membri di misure di protezione rafforzata al rispetto del diritto dell’Unione, in particolare dei principi generali di tale diritto (61).

94.      Rilevo, al riguardo, che la direttiva 2003/88 ha come fondamento giuridico l’articolo 137 CE, divenuto l’articolo 153 TFUE. Orbene, l’articolo 153, paragrafo 4, TFUE prevede che le disposizioni adottate in forza di tale articolo «non ostano a che uno Stato membro mantenga o stabilisca misure, compatibili con i Trattati, che prevedano una maggiore protezione» (62).

95.      Pertanto, qualora gli Stati membri adottino misure che vanno al di là delle norme di protezione minima previste da una direttiva, tali disposizioni devono essere conformi alle altre disposizioni del diritto dell’Unione e, in particolare, ai Trattati (63).

96.      Poiché la Carta ha rango di diritto primario, mi sembrerebbe incoerente adottare, per quanto la riguarda, un orientamento più restrittivo qualora si tratti di decidere sulla sua applicabilità, considerando che, quando gli Stati membri adottano disposizioni più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori in applicazione dell’articolo 15 della direttiva 2003/88, essi non attuano il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Non vedo alcuna ragione determinante per la quale la Carta dovrebbe essere la sola norma del diritto dell’Unione alla quale gli Stati membri non siano soggetti quando adottano misure che vanno al di là della soglia minima di protezione prevista da una direttiva.

97.      L’argomento secondo il quale la Carta potrebbe, in ogni caso, divenire applicabile se risultasse che la misura nazionale di cui trattasi rientrasse nell’ambito di applicazione di un’altra disposizione del diritto dell’Unione o violasse una siffatta disposizione mi sembra costituisca una complicazione inutile e un po’ artificiosa. Mi sembra nel contempo più semplice e più coerente ritenere che le disposizioni della Carta, come quelle di tutto il diritto dell’Unione, siano destinate, a seguito dello loro applicabilità, a disciplinare l’adozione da parte degli Stati membri e/o delle parti sociali di misure di protezione nazionale rafforzata.

98.      Non ritengo che, a partire dal momento in cui essi adottano, conformemente ad una clausola di protezione nazionale rafforzata come quella contenuta all’articolo 15 della direttiva 2003/88, misure che vanno al di là delle prescrizioni minime fissate da tale direttiva, la quale opera un equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro (64), gli Stati membri debbano essere considerati liberi di sconvolgere tale equilibrio adottando misure che privilegino in maniera eccessiva, o addirittura discriminatoria, gli interessi di talune categorie di lavoratori o che non prendano sufficientemente in considerazione gli interessi dei datori di lavoro nonché la necessità di salvaguardare il buon funzionamento delle imprese (65). In particolare, disposizioni nazionali più favorevoli ai lavoratori adottate in applicazione dell’articolo 15 della direttiva 2003/88, che si inseriscono nell’obiettivo consistente nel proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, non devono eccedere quanto è necessario per conseguire tale obiettivo. Pertanto, gli Stati membri possono adottare siffatte disposizioni fino a che esse siano conciliabili con la buona attuazione del diritto dell’Unione e non pregiudichino altri diritti fondamentali protetti in forza del diritto dell’Unione (66).

99.      In quest’ottica, a titolo illustrativo, la Corte è a mio parere competente a verificare se misure nazionali adottate in applicazione dell’articolo 15 della direttiva 2003/88 rispettino i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, quali il principio di non discriminazione sancito all’articolo 21 di quest’ultima. Inoltre, la Corte potrebbe esaminare, senza eccedere la propria competenza, la questione se una misura di protezione nazionale rafforzata incida in maniera sproporzionata sull’equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro (67) e arrechi pregiudizio, con ciò stesso, alla libertà d’impresa sancita all’articolo 16 della Carta.

100. Procedendo in tal modo, la Corte si muoverebbe, a mio parere, nella logica sottesa al controllo delle misure nazionali alla luce dei diritti fondamentali tutelati dall’Unione, e cioè quella secondo cui la salvaguardia di tali diritti in seno all’Unione va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità di quest’ultima (68).

101. Si deve anche ricordare, nel contesto delle presenti cause, che «il diritto dell’Unione impone agli Stati membri, in occasione della trasposizione delle direttive, di avere cura di fondarsi su un’interpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Poi, in sede di attuazione delle misure di trasposizione di dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme alle medesime direttive, ma anche evitare di fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i suddetti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione», quali il principio di proporzionalità (69). Inoltre, risulta dalla giurisprudenza della Corte che «resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità o l’effettività del diritto dell’Unione» (70). Queste indicazioni tratte dalla giurisprudenza della Corte permettono, a mio parere, se le si raffronta con le situazioni controverse nelle presenti cause, di delimitare il margine di manovra lasciato alle autorità nazionali da una clausola di protezione nazionale rafforzata come quella di cui all’articolo 15 della direttiva 2003/88.

102. Nella fattispcie, non viene asserito che le normative nazionali o i contratti collettivi controversi nelle cause principali siano tali da violare disposizioni della Carta diverse dall’articolo 31, paragrafo 2, di quest’ultima. Concentrerò, di conseguenza, la mia analisi su quest’ultima disposizione, che è destinata, come ho precisato in precedenza, ad applicarsi alle fattispecie oggetto delle cause principali.

103. La Corte, nelle sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (71), e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (72), ha esaminato la portata di tale disposizione e ha dichiarato che essa poteva essere fatta valere direttamente in una controversia tra privati.

104. Per giungere a tale risultato, la Corte ha rilevato in particolare che, «[d]isponendo, in termini imperativi, che“[o]gni lavoratore” ha “diritto” a “ferie annuali retribuite”, senza segnatamente rinviare in proposito – come fatto, ad esempio, dall’articolo 27 della Carta, che ha dato luogo alla sentenza del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale [(73)], ai “casi e alle condizioni previsti dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali”, l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta riflette il principio essenziale del diritto sociale dell’Unione al quale non è possibile derogare se non nel rispetto delle rigorose condizioni di cui al’articolo 52, paragrafo 1, della Carta e, in particolare, del contenuto essenziale del diritto fondamentale alle ferie annuali retribuite» (74).

105. Secondo la Corte, «[i]l diritto a un periodo di ferie annuali retribuite, sancito per ogni lavoratore dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, riveste quindi, quanto alla sua stessa esistenza, carattere allo stesso tempo imperativo e incondizionato; quest’ultima non richiede infatti una concretizzazione ad opera delle disposizioni del diritto dell’Unione e del diritto nazionale, le quali sono solo chiamate a precisare la durata esatta delle ferie annuali e, eventualmente, talune condizioni di esercizio di tale diritto. Ne consegue che la suddetta disposizione è di per sé sufficiente a riferire ai lavoratori un diritto invocabile in quanto tale in una controversia contro il loro datore di lavoro, in una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione e, di conseguenza, rientrante nell’ambito di applicazione della Carta» (75).

106. Sul piano dell’Unione, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 precisa la durata esatta delle ferie annuali retribuite che, in quanto periodo minimo, è garantita ad ogni lavoratore. Tale disposizione del diritto derivato dell’Unione viene così a precisare la portata del diritto fondamentale sancito dalla Carta. Essa disciplina in maniera più precisa il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite, prevedendo che tale periodo non possa essere inferiore a quattro settimane.

107. A mio parere, l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta non conferisce ai lavoratori un diritto a beneficiare di un periodo annuale di ferie retribuite che vada oltre la durata minima così precisata dal legislatore dell’Unione.

108. In altri termini, in mancanza di una durata precisata all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, un periodo di ferie annuali retribuite conforme a quanto prevede l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 basta a rispondere alle prescrizioni della Carta. Non si può dedurre dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta un diritto a ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo fissato dal legislatore dell’Unione.

109. Tenuto conto dell’«intreccio simbiotico» (76) tra il diritto fondamentale ad un periodo annuale di ferie retribuite sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e il diritto derivato dell’Unione che viene a precisarne la portata, è logico che, nell’ambito delle cause nelle quali tale diritto è controverso, sia tale disposizione della Carta sia l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 vengano fatti valere e interpretati congiuntamente dalla Corte al fine di garantire il carattere effettivo del diritto ad un periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane (77).

110. Tale lettura combinata dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e della disposizione del diritto derivato dell’Unione che precisa la portata del diritto fondamentale così protetto non conduce tuttavia a congelare la durata del diritto a ferie annuali retribuite ad un periodo di quattro settimane, in quanto quest’ultimo può sempre essere modificato dal legislatore dell’Unione in relazione all’evoluzione delle condizioni economiche e sociali nonché dello sviluppo tecnologico, che influiscono sui regimi applicabili ai rapporti di lavoro (78). Se è vero che il legislatore dell’Unione svolge così un ruolo importante per precisare la portata del diritto fondamentale sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, questa è la conseguenza inevitabile del carattere nel contempo conciso e generico della formulazione delle disposizioni della Carta.

111. Una siffatta lettura combinata favorisce l’applicazione armoniosa della Carta e del diritto derivato dell’Unione. Essa permette, nella fattispecie, di evitare che l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta sia fatto valere al fine di estendere alle ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo di quattro settimane le regole di tutela elaborate progressivamente dalla Corte sulla sola base e in considerazione di un siffatto periodo minimo.

112. Di conseguenza, purché il contenuto essenziale del diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite, quale precisato all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, vale a dire il nucleo base di protezione minima, non sia pregiudicato, gli Stati membri e/o le parti sociali possono, a mio parere, senza violare l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, definire condizioni di concessione, riporto ed estinzione delle ferie annuali retribuite ulteriori, che vengono ad aggiungersi al periodo minimo di ferie annuali retribuite di quattro settimane, diverse da quelle previste nelle regole di tutela che la Corte ha definito riguardo a tale periodo minimo di ferie annuali retribuite.

113. In concreto, ciò significa che l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta non osta, a mio parere, a che normative nazionali o contratti collettivi prevedano che i giorni di ferie annuali retribuite eccedenti il periodo minimo di quattro settimane, quale precisato all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, non possono formare oggetto di riporto in caso di sovrapposizione con giorni di congedo per malattia.

114. Concluderò la mia analisi con tre serie di osservazioni.

115. In primo luogo, accettando l’applicabilità della Carta alle situazioni nelle quali sono controverse misure di protezione nazionale rafforzata per poi delimitare il contenuto normativo dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, come ho proceduto, ho escluso il rischio che quest’ultima disposizione sia interpretata nel senso che accordi ai lavoratori un diritto a ferie annuali retribuite che vada oltre le precisazioni fornite dal legislatore dell’Unione ai fini dell’attuazione di tale diritto fondamentale. Nella fattispecie, la precisazione della durata minima del periodo annuale di ferie retribuite tutelato dal diritto dell’Unione figura all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, ma tale precisazione è soggetta ad evoluzione.

116. Accogliendo tale ragionamento, mi pare che la Corte, nella sua funzione di interprete del diritto dell’Unione, non eccederebbe i limiti delle competenze ad essa attribuite. Tale ragionamento, non conducendo a modificare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri, non sarebbe, a mio parere, in contrasto con l’articolo 51, paragrafo 2, della Carta.

117. In secondo luogo, mi sembra importante che la Corte indichi, nelle presenti cause, i punti di riferimento che le permetteranno, quando si presenterà il caso, di neutralizzare efficacemente misure nazionali adottate in applicazione dell’articolo 15 della direttiva 2003/88 che abbiano l’effetto di pregiudicare diritti fondamentali sanciti dalla Carta. Rifiutare l’applicabilità della Carta in situazioni in cui siano controverse misure del genere potrebbe, a mio parere, complicare il compito della Corte sotto tale profilo, in particolare nel caso in cui il nesso tra una misura nazionale e una norma del diritto dell’Unione diversa dalla direttiva 2003/88 sia difficile da stabilire.

118. In terzo luogo, nell’ipotesi in cui la Corte ritenesse che situazioni in cui sono controverse misure di protezione nazionale rafforzata non rientrino nell’ambito di applicazione della Carta e non debbano quindi essere messe a confronto con l’articolo 31, paragrafo 2, di quest’ultima, la questione del contenuto normativo di tale disposizione, nonché quella, strettamente connessa, del suo rapporto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, resterebbe in sospeso. La risposta a tale questione non potrà tuttavia essere elusa quando la Corte sarà condotta a precisare la portata dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta nel contesto di misure adottate dalle istituzioni dell’Unione (79).

B.      Sulla seconda questione pregiudiziale

119. Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di dichiarare se l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta possa spiegare effetti diretti nell’ambito di una controversia tra privati.

120. Poiché ritengo che le normative nazionali o i contratti collettivi controversi nelle cause principali non siano in contrasto né con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 né con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, non occorre esaminare tale seconda questione. In ogni caso, la risposta a quest’ultima discende chiaramente, in senso affermativo, dalle sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (80), e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (81).

121. Pertanto, anche se, come risulta dalle nostre precedenti considerazioni, l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta non è, a mio parere, destinato a conferire ai lavoratori un diritto a ferie annuali retribuite eccedenti il periodo precisato dal legislatore dell’Unione, la possibilità, per un lavoratore, di avvalersi di tale disposizione in una controversia con un datore di lavoro privato al fine di escludere l’applicazione di disposizioni del diritto nazionale che pregiudichino il nucleo base di protezione minima contribuisce a garantire a tale lavoratore il beneficio effettivo di tale diritto fondamentale. In ciò risiede il contributo più importante dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta quando viene fatto valere nell’ambito di una controversia tra privati.

V.      Conclusione

122. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal työtuomioistuin (Tribunale del lavoro, Finlandia) nei seguenti termini:

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che non ostano a normative nazionali o a contratti collettivi, come quelli controversi nei procedimenti principali, da cui discenda che i giorni di ferie annuali retribuite eccedenti un periodo di quattro settimane non possono formare oggetto di riporto in caso di sovrapposizione con giorni di congedo per malattia.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2003, L 299, pag. 9.


3      In prosieguo: la «Carta».


4      In prosieguo: il «TSN».


5      In prosieguo: l’«AKT».


6      C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871.


7      C‑684/16, EU:C:2018:874.


8      V. Cariat, N., La Charte des droits fondamentaux et l’équilibre costitutionnel entre l’Union européenne et les États membres, Bruylant, Bruxelles, 2016, pag. 443.


9      Come giustamente rilevato da Nicolas Cariat, l’interesse di tale questione relativa all’ambito di applicazione della Carta «est crucial au vu de l’importance des droits fondamentaux dans des domaines de compétence partagée tels que la politique sociale, le droit pénal, le droit de l’asile ou le droit de l’environnement» [è cruciale alla luce dell’importanza dei diritti fondamentali nei settori di competenza ripartita come la politica sociale, il diritto penale, il diritto d’asilo o il diritto dell’ambiente (traduzione libera)] (Cariat, N., op. cit., pag. 435).


10      In prosieguo: la «legge sulle ferie annuali».


11      C‑337/10, EU:C:2012:263.


12      C‑341/15, EU:C:2016:576.


13      C‑579/12 RX-II, EU:C:2013:570.


14      C‑178/15, EU:C:2016:502.


15      V., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 22 e giurisprudenza citata).


16      Ibidem (punto 23 e giurisprudenza citata).


17      Ibidem (punto 26 e giurisprudenza citata).


18      Ibidem (punto 27 e giurisprudenza citata).


19      Ibidem (punto 29). Di conseguenza, nessun diritto a ferie annuali è maturato, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, per i periodi di disoccupazione parziale durante i quali un lavoratore non ha prestato un lavoro effettivo (idem).


20      Sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punti 33, 34 e 37).


21      V., in particolare, sentenza del 4 ottobre 2018, Dicu (C‑12/17, EU:C:2018:799, punto 29 e giurisprudenza citata).


22      C‑350/06 e C‑520/06, EU:C:2009:18.


23      V., in particolare, sentenza del 30 giugno 2016, Sobczyszyn (C‑178/15, EU:C:2016:502, punto 24 e giurisprudenza citata).


24      Ibidem (punto 25 e giurisprudenza citata).


25      Ibidem (punto 26 e giurisprudenza citata).


26      V., in particolare, ordinanza del 21 febbraio 2013, Maestre García (C‑194/12, EU:C:2013:102, punto 22 e giurisprudenza citata).


27      Così, la Corte sottolinea, nella sua sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 41), che «l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non richiede che la retribuzione ordinaria (…) sia concessa per tutta la durata delle ferie annuali di cui il dipendente beneficia in forza del diritto nazionale. Il datore di lavoro è tenuto a concedere tale retribuzione, in forza di detto articolo 7, paragrafo 1, soltanto per la durata delle ferie annuali minime previste da tale disposizione le quali sono maturate dal dipendente (…) soltanto per i periodi di lavoro effettivo» (il corsivo è mio).


28      V., a titolo illustrativo, sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punti da 47 a 50), del 3 maggio 2012, Neidel (C‑337/10, EU:C:2012:263, punti da 33 a 37), e del 20 luglio 2016, Maschek (C‑341/15, EU:C:2016:576, punti 38 e 39).


29      V., in particolare, a questo proposito, sentenza del 22 novembre 2011, KHS (C‑214/10, EU:C:2011:761).


30      V., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 43).


31      V., in particolare, sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 47). V, altresì, sentenze del 3 maggio 2012, Neidel (C‑337/10, EU:C:2012:263, punto 34), e del 20 luglio 2016, Maschek (C‑341/15, EU:C:2016:576, punto 38). Per contro, secondo la Corte, «l’articolo 15 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso non consente agli Stati membri di adottare o mantenere una definizione della nozione di “orario di lavoro” meno restrittiva di quella contenuta all’articolo 2 di tale direttiva» [v., al riguardo, sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 47)].


32      V., in particolare, sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 48), del 3 maggio 2012, Neidel (C‑337/10, EU:C:2012:263, punto 35), del 20 luglio 2016, Maschek (C‑341/15, EU:C:2016:576, punto 38), nonché del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 30). Ciò è in linea con la concezione secondo cui le direttive che fissano prescrizioni minime sono dirette all’«instaurazione di una base normativa comune da applicarsi in tutti gli Stati membri, pur lasciando a questi ultimi la facoltà di applicare o adottare disposizioni più favorevoli ai lavoratori» [v. sentenza dell’8 giugno 1982, Commissione/Italia (91/81, EU:C:1982:212, punto 11)].


33      V., in particolare, sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 46).


34      C‑385/17, EU:C:2018:1018.


35      Sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 42 e giurisprudenza citata). Il corsivo è mio.


36      Ibidem (punto 43). Il corsivo è mio.


37      V. sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018, punto 53). V., altresì, nello stesso senso, sentenza del 1o dicembre 2005, Dellas e a. (C‑14/04, EU:C:2005:728, punti 51 e segg.).


38      V., in particolare, sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 51 e giurisprudenza citata), nonché del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 20 e giurisprudenza citata).


39      V., in particolare, sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 52 e giurisprudenza citata), nonché del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 49 e giurisprudenza citata).


40      V., in particolare, sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 37 e giurisprudenza citata).


41      V., in particolare, in questo senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358, punti 91 e 92). Occorre infatti ricordare che, «nell’ambito di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte può interpretare il diritto dell’Unione unicamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite» (ibidem, punto 86 e giurisprudenza citata).


42      V., in particolare, a proposito del principio di proporzionalità, sentenza del 17 dicembre 1998, IP (C‑2/97, EU:C:1998:613, punto 40). Rilevo tuttavia che la Corte ha concluso, nella stessa sentenza, per l’esistenza di una misura di protezione rafforzata autorizzata dopo aver preliminarmente dichiarato che tale misura «si applica in modo non discriminatorio e non ostacola l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» (punto 38). V., altresì, sempre in ordine al principio di proporzionalità, sentenza del 14 aprile 2005, Deponiezweckverband Eiterköpfe (C‑6/03, EU:C:2005:222, punti da 61 a 64). In tale sentenza, la Corte ha rilevato che, «adottando misure più severe, gli Stati membri esercitano sempre una competenza disciplinata dal diritto [dell’Unione], dato che queste devono, in ogni caso, essere compatibili con il Trattato. Nondimeno, la definizione della portata della protezione da realizzare è affidata agli Stati membri» (punto 61).


43      C‑198/13, EU:C:2014:2055.


44      GU 2008, L 283, pag. 36.


45      Sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 44). V., altresì, per analogia, in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo, sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos (C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 79).


46      Sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 44).


47      Ibidem (punto 45).


48      Ibidem (punto 48.)


49      V., in particolare, sentenze del 28 ottobre 1999, ARD (C‑6/98, EU:C:1999:532, punto 43), del 16 settembre 2010, Chatzi (C‑149/10, EU:C:2010:534, punti da 63 a 75), nonché del 18 luglio 2013, Sky Italia (C‑234/12, EU:C:2013:496, punti 13 e 14). V., altresì, relativamente a regolamenti, sentenza del 24 marzo 1994, Bostock (C‑2/92, EU:C:1994:116). Riguardo a conclusioni di avvocati generali, v., in particolare, conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella causa IP (C‑2/97, EU:C:1998:176, paragrafi 34 e 35, nonché paragrafi da 44 a 53), dell’avvocato generale Tizzano nella causa Commissione/Lussemburgo (C‑519/03, EU:C:2005:29, paragrafi da 49 a 51), nonché dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Deponiezweckverband Eiterköpfe (C‑6/03, EU:C:2004:758, paragrafi da 25 a 27, nonché paragrafo 59).


50      C‑426/11, EU:C:2013:521.


51      GU 2001, L 82, pag. 16.


52      Così formulato: «La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori».


53      Punto 36 di tale sentenza. V., altresì, nello stesso senso, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Alemo-Herron e a. (C‑426/11, EU:C:2013:82, paragrafo 47).


54      V., a questo proposito, Moizard, N., Droit du travail communautaire et protection nationale renforcée, l’exemple du droit du travail français,volume 1, Presses universitaires d’Aix-Marseille, Aix-en-Provence, 2000, che rileva che «[l]a mesure nationale de protection renforcée constitue le prolongement interne de la prescription minimale communautaire dans un sens plus favorable aux salariés» [(l)a misura nazionale di protezione rafforzata costituisce il prolungamento interno della prescrizione minima comunitaria in senso più favorevole ai lavoratori dipendenti (traduzione libera)] (punto 70, pagg. 111 e 112).


55      V., in questo senso, Moizard, N., op. cit., punto 231, pag. 309 nonché pag. 328.


56      Come afferma giustamente Nicolas Moizard, «[l]a protection nationale renforcée n’ouvre pas une faculté inconditionnelle de maintenir et d’adopter des dispositions nationales de protection renforcée» [(l)a protezione nazionale rafforzata non offre una facoltà incondizionata di mantenere e di adottare disposizioni nazionali di protezione rafforzata (traduzione libera)] (Moizard, N., op. cit., punto 67, pag. 108). Oltre al fatto che esse devono rispettare le prescrizioni minime contenute nelle direttive, misure del genere devono, in senso più ampio, rispettare il diritto dell’Unione nel suo insieme.


57      V., in questo senso, sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punti 104 e 105 nonché giurisprudenza citata).


58      V., in particolare, sentenza del 19 aprile 2018, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑152/17, EU:C:2018:264, punto 34 e giurisprudenza citata). V., altresì, sentenza del 14 dicembre 2017, Miravitlles Ciurana e a. (C‑243/16, EU:C:2017:969, punto 34 e giurisprudenza citata).


59      V., in particolare, sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 36 e giurisprudenza citata).


60      V., in particolare, sentenza del 9 marzo 2017, Milkova (C‑406/15, EU:C:2017:198), a proposito dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16), ai sensi del quale, «[q]uanto ai disabili, il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né le misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro». Secondo la Corte, «la circostanza che, come discende dall’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, gli Stati membri non abbiano l’obbligo di mantenere o adottare misure quali quelle previste da tale disposizione, ma dispongano di un potere discrezionale a tale riguardo, non consente di ritenere che regole adottate dagli Stati membri, quali quelle di cui al procedimento principale, si situino al di fuori del campo di applicazione del diritto dell’Unione» (punto 52 e giurisprudenza citata). A tal riguardo, «si deve anche ricordare che quando la normativa dell’Unione lascia agli Stati membri la scelta tra diverse modalità di attuazione, essi sono tenuti ad esercitare il loro potere discrezionale nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione, tra i quali figura il principio di parità di trattamento» (punto 53 e giurisprudenza citata). Ne consegue che «la normativa nazionale applicabile al procedimento principale rientra nell’attuazione del diritto dell’Unione, il che implica che, nel caso di specie, siano applicabili i principi generali del diritto dell’Unione, quale in particolare il principio di parità di trattamento, nonché la Carta» (punto 54). V., altresì, relativamente ad una «clausola discrezionale» ai fini della determinazione dello Stato membro responsabile dell’esame di una domanda di protezione internazionale, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a. (C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 53 e giurisprudenza citata, nonché punto 54). In maniera più generale, risulta da una giurisprudenza costante della Corte che, «quando uno Stato membro adotta misure nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli da un atto di diritto dell’Unione, deve ritenersi che esso attui tale diritto, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta» [v., in particolare, sentenza del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 48 e giurisprudenza citata)].


61      Per un ragionamento molto chiaro a proposito dell’articolo 193 TFUE in materia di ambiente, v. sentenza del 13 luglio 2017, Túrkevei Tejtermelő Kft. (C‑129/16, EU:C:2017:547): «Si deve comunque ricordare che l’articolo 16 della direttiva [2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU 2004, L 143, pag. 56)] prevede la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e riparazione previsti dalla presente direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili» (punto 56). Poiché la normativa controversa nel procedimento principale «rafforza il meccanismo previsto dalla direttiva 2004/35 identificando una categoria di persone che possono essere ritenute responsabili in solido con gli utilizzatori, essa trova fondamento nell’articolo 16 della direttiva 2004/35 il quale, letto congiuntamento all’articolo 193 TFUE, autorizza misure di protezione rafforzate, purché compatibili con i Trattati UE e FUE e notificate alla [Commissione]» (punto 60, il corsivo è mio). Per quanto riguarda l’esigenza di compatibilità con i Trattati, «dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta a ciascuno Stato membro determinare siffatte misure di protezione rafforzata, che devono, da un lato, tendere alla realizzazione dello scopo della direttiva 2004/35, quale definito dal suo articolo 1, ossia prevenire e riparare i danni ambientali e, dall’altro, rispettare il diritto dell’Unione, segnatamente i principi generali del medesimo, tra cui figura il principio di proporzionalità» (punto 61 e giurisprudenza citata). V., altresì, articolo 169, paragrafo 4, TFUE in materia di protezione dei consumatori.


62      Il corsivo è mio. Per quanto riguarda l’articolo 137, paragrafo 4, CE, v., in particolare, sentenza del 1o luglio 2010, Gassmayr (C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 89 e giurisprudenza citata).V., a questo proposito, O’Leary, S., «Courts, charters and conventions: making sense of fundamental rights in the EU», Irish Jurist, UCD Sutherland School of Law, Dublino, 2016, no 56, pagg. da 4 a 41, che rileva, citando segnatamente quest’ultima sentenza, che la posizione adottata dalla Corte nella sua sentenza del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055), «is not entirely coherent when viewed with reference to other case law or clear as to its potential consequences» [non è interamente coerente se vista con riferimento ad altra giurispudenza né chiara quanto alle sue possibili conseguenze (traduzione libera)] (pag. 15).


63      Tale esigenza di conformità si estende evidentemente ai principi generali del diritto dell’Unione.


64      Al riguardo, rilevo che l’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE, dispone che le direttive che prevedono prescrizioni minime «evitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese». V., altresì, nello stesso tempo, considerando 2 della direttiva 2003/88.


65      Pertanto, gli Stati membri non possono basarsi su una clausola di protezione nazionale rafforzata come quella di cui all’articolo 15 della direttiva 2003/88 per rimettere in discussione «la coerenza dell’intervento [dell’Unione] nell’ambito della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori» [v., per un’utilizzazione di tale espressione, sentenza del 17 dicembre 1998, IP (C‑2/97, EU:C:1998:613, punto 37)]. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella causa IP (C‑2/97, EU:C:1998:176), il quale rileva che «la sicurezza dei lavoratori rientra, come elemento di politica sociale, nella sfera d’applicazione del diritto [dell’Unione] e che quindi gli Stati membri non sono più liberi di agire in questo settore senza tener conto delle azioni promosse [dall’Unione]» (paragrafo 45) e che «[l]’azione del[l’Unione] e quella degli Stati membri devono essere fra di loro in un rapporto di coerenza» (paragrafo 46).


66      V., in particolare, su tale questione De Cecco, F., «Room to move?: minimum harmonization and fundamental rights» [Possibilità di avanzare?: armonizzazione minima e diritti fondamentali (traduzione libera)], Common Market Law Review, Kluwer Law International, Alphen-sur-le-Rhin, 2006, vol. 43, no 1, pagg. da 9 a 30, in particolare, pagg. 22 e segg.


67      Per una presa in considerazione da parte della Corte di tale equilibrio, v., in particolare, sentenza del 29 novembre 2017, King (C‑214/16, EU:C:2017:914, punto 55 e giurisprudenza citata).


68      V. sentenza del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 4).


69      V., in particolare, sentenza del 18 ottobre 2018, Bastei Lübbe (C‑149/17, EU:C:2018:841, punto 45 e giurisprudenza citata), nonché, nello stesso senso, sentenze del 19 aprile 2012, Bonnier Audio e a. (C‑461/10, EU:C:2012:219, punto 56 e giurisprudenza citata), nonché del 27 marzo 2014, UPC Telekabel Wien (C‑314/12, EU:C:2014:192, punto 46 e giurisprudenza citata).


70      V., in particolare, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 47 e giurisprudenza citata).


71      C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871.


72      C‑684/16, EU:C:2018:874.


73      C‑176/12, EU:C:2014:2.


74      V. sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 84), nonché del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 73).


75      V. sentenze del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth (C‑569/16 et C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 85), nonché del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 74).


76      Per riprendere l’espressione utilizzata da Cariat, N., op. cit., pag. 443. Rinvio anche, relativamente al nesso inscindibile che lega l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e il diritto derivato dall’Unione che ne precisa la portata, alle mie conclusioni nelle cause riunite Bauer e Willmeroth (C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:337, paragrafi da 86 a 91).


77      V., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2018, Hein (C‑385/17, EU:C:2018:1018), che nel suo dispositivo, cita sia l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 sia l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta.


78      Rilevo, al riguardo, che risulta dal preambolo della Carta che la tutela dei diritti fondamentali avviene «alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici».


79      V., a tale proposito, impugnazione contro la sentenza del 4 dicembre 2018, Carreras Sequeros e a./Commissione (T‑518/16, EU:T:2018:873), nelle cause attualmente pendenti Commissione/Carreras Sequeros e a. (C‑119/19 P) e Consiglio/Carreras Sequeros e a. (C‑126/19 P).


80      C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871.


81      C‑684/16, EU:C:2018:874.