Language of document : ECLI:EU:C:2018:67

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

7 febbraio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva (UE) 2015/2366 – Servizi di pagamento nel mercato interno – Articolo 35, paragrafo 1 – Requisiti in materia di accesso dei prestatori di servizi di pagamento autorizzati o registrati ai sistemi di pagamento – Articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b) – Inapplicabilità di tali requisiti ai sistemi di pagamento costituiti esclusivamente da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo – Applicabilità di detti requisiti agli schemi di carte di pagamento a tre parti che abbiano concluso accordi di co-branding o di agenzia – Validità»

Nella causa C‑643/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa), Regno Unito], con decisione del 19 ottobre 2016, pervenuta in cancelleria il 12 dicembre 2016, nel procedimento

The Queen, su istanza di:

American Express Company,

contro

The Lords Commissioners of Her Majesty’s Treasury,

con l’intervento di:

Diners Club International Limited,

MasterCard Europe SA,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, C.G. Fernlund, J.-C. Bonichot, S. Rodin ed E. Regan (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per l’American Express Company, da J. Turner, QC, J. Holmes, QC, L. John, barrister, I. Taylor e H. Ware, solicitors;

–        per la MasterCard Europe SA, da P. Harrison e S. Kinsella, solicitors, nonché da S. Pitt e J. Bedford, advocates,;

–        per il governo del Regno Unito, da D. Robertson, in qualità di agente, assistito da G. Facenna, QC;

–        per il Parlamento europeo, da R. Van de Westelaken e A. Tamás, in qualità di agenti;

–        per il Consiglio dell’Unione europea, da J. Bauerschmidt, I. Gurov ed E. Moro, in qualità di agenti,;

–        per la Commissione europea, da H. Tserepa-Lacombe e J. Samnadda, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 35 della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 e abroga la direttiva 2007/64/CE (GU 2015, L 337, pag. 35).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’American Express Company e i Lords Commissioners of Her Majesty’s Treasury (Lord commissari del Tesoro, Regno Unito; in prosieguo: l’«autorità nazionale»), in merito alle condizioni di applicazione agli schemi di carte di pagamento a tre parti delle regole che disciplinano l’accesso dei prestatori di servizi di pagamento autorizzati o registrati ai sistemi di pagamento.

 Contesto normativo

 Regolamento (UE) 2015/751

3        L’articolo 2 del regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (GU 2015, L 123, pag. 1), rubricato «Definizioni», dispone quanto segue:

«Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

(…)

17)      “schema di carte di pagamento a quattro parti”: schema di carte di pagamento in cui le operazioni di pagamento basate su carta sono effettuate dal conto di pagamento del pagatore verso il conto di pagamento del beneficiario tramite l’intermediazione dello schema, dell’emittente (dal lato del pagatore) e del soggetto convenzionatore (dal lato del beneficiario);

(…)

30)      “marchio di pagamento”: nome, termine, segno, simbolo o combinazione di questi, in forma materiale o digitale, in grado di indicare lo schema di carte di pagamento nell’ambito del quale sono effettuate le operazioni di pagamento basate su carta;

(…)

32)      “multimarchio in co-branding”: inclusione di almeno un marchio di pagamento e di almeno un marchio non riferito a uno strumento di pagamento in uno stesso strumento di pagamento basato su carta;

(…)».

 Direttiva 2015/2366

4        I considerando 2, 6, 49, 50 e 52 della direttiva 2015/2366 sono così formulati:

«(2)      Il nuovo quadro giuridico dell’Unione sui servizi di pagamento è integrato dal [regolamento 2015/751] (…)

(…)

(6)      È opportuno stabilire nuove regole al fine di colmare le lacune regolamentari, garantendo al contempo maggiore chiarezza giuridica e un’applicazione uniforme del quadro legislativo in tutta l’Unione. (…)

(…)

(49)      Per qualsiasi prestatore di servizi di pagamento è essenziale essere in grado di accedere ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento. È tuttavia opportuno che tale accesso sia soggetto a opportuni requisiti al fine di garantire l’integrità e la stabilità di tali sistemi. Ciascun prestatore di servizi di pagamento che chieda di partecipare a un sistema di pagamento dovrebbe assumersi il rischio del sistema scelto e fornire al sistema stesso la prova che le sue disposizioni interne sono sufficientemente solide per affrontare qualsiasi tipo di rischio. Detti sistemi di pagamento includono i sistemi a quattro parti delle carte nonché i principali sistemi per il trattamento dei bonifici e degli addebiti diretti. Per assicurare parità di trattamento in tutta l’Unione tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento autorizzati, in funzione delle condizioni dell’autorizzazione di cui sono dotati, è necessario chiarire le regole in materia di accesso ai sistemi di pagamento.

(50)      È opportuno prevedere che gli istituti di pagamento e gli enti creditizi autorizzati non siano discriminati, in modo che qualsiasi prestatore di servizi di pagamento operante nel mercato interno sia in grado di utilizzare i servizi delle infrastrutture tecniche di tali sistemi di pagamento alle stesse condizioni. È opportuno prevedere un trattamento differenziato tra i prestatori di servizi di pagamento autorizzati e quelli che beneficiano di un’esenzione a norma della presente direttiva nonché di un’esenzione a norma dell’articolo 3 della direttiva [2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE (GU 2009, L 267, pag. 7)] in considerazione delle differenze nei rispettivi quadri prudenziali. In ogni caso, le differenze nelle condizioni di prezzo dovrebbero essere consentite solo se motivate da differenze nei costi sostenuti dai prestatori di servizi di pagamento. (…)

(…)

(52)      Le disposizioni relative all’accesso ai sistemi di pagamento non si dovrebbero applicare ai sistemi costituiti e gestiti da un solo prestatore di servizi di pagamento. Tali sistemi possono funzionare in concorrenza diretta con i sistemi di pagamento o, più frequentemente, in una nicchia di mercato non coperta adeguatamente dai sistemi di pagamento. Essi includono gli schemi a tre parti, come gli schemi di carte a tre parti, nella misura in cui non funzionano mai come effettivi schemi di carte a quattro parti, ad esempio appoggiandosi a titolari di licenze, agenti o partner multimarchio in co-branding. Tali sistemi includono anche, di norma, i servizi di pagamento offerti dai prestatori di servizi di telecomunicazione, nei quali il gestore dello schema è il prestatore di servizi di pagamento sia del pagatore che del beneficiario, nonché i sistemi interni dei gruppi bancari. Per stimolare la concorrenza che tali sistemi di pagamento chiusi possono fare ai sistemi di pagamento ordinari sarebbe inopportuno garantire a terzi l’accesso a tali sistemi di pagamento proprietari chiusi. (…)».

5        L’articolo 1, della direttiva 2015/2366, rubricato «Oggetto», figurante al titolo I di detta direttiva, a sua volta intitolato «Oggetto, ambito di applicazione e definizioni», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce le regole in base alle quali gli Stati membri distinguono le seguenti categorie di prestatori di servizi di pagamento:

a)      gli enti creditizi quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 1), del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag.1)], comprese le relative succursali quali definite al relativo punto 17), se tali succursali sono situate nell’Unione, indipendentemente dal fatto che le sedi centrali di dette succursali siano situate nell’Unione ovvero, conformemente all’articolo 47 della direttiva 2013/36/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU 2013, L 176, pag. 338)] e alla normativa nazionale, al di fuori dell’Unione;

b)      gli istituti di moneta elettronica quali definiti all’articolo 2, punto 1), della direttiva [2009/110], comprese – conformemente all’articolo 8 di detta direttiva e al diritto nazionale – le relative succursali qualora queste siano situate nell’Unione e le loro sedi centrali siano situate al di fuori dell’Unione, nella misura in cui i servizi di pagamento prestati da dette succursali siano connessi all’emissione di moneta elettronica;

c)      gli uffici postali che hanno il diritto di prestare servizi di pagamento a norma del diritto nazionale;

d)      gli istituti di pagamento;

e)      la [Banca centrale europea (BCE)] e le banche centrali nazionali ove non agiscano in quanto autorità monetarie o altre autorità pubbliche;

f)      gli Stati membri o le rispettive autorità regionali o locali ove non agiscano in quanto autorità pubbliche».

6        L’articolo 4 della direttiva 2015/2366, dal titolo «Definizioni», così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

3)      “servizi di pagamento”: una o più attività commerciali di cui all’allegato I;

4)      “istituto di pagamento”: una persona giuridica che è stata autorizzata, a norma dell’articolo 11, a prestare ed eseguire servizi di pagamento in tutta l’Unione;

(…)

7)      “sistema di pagamento”: un sistema di trasferimento di fondi regolato da disposizioni formali e standardizzate e regole comuni per il trattamento, la compensazione e/o il regolamento di operazioni di pagamento;

(…)

11)      “prestatore di servizi di pagamento”: un organismo di cui all’articolo 1, paragrafo 1, o una persona fisica o giuridica che beneficia di un’esenzione ai sensi dell’articolo 32 o 33;

(…)

38)      “agente”: una persona fisica o giuridica che fornisce servizi di pagamento per conto di un istituto di pagamento;

(…)

40)      “gruppo”: un gruppo di imprese che sono legate tra loro da uno dei vincoli di cui all’articolo 22, paragrafi 1, 2 o 7, della direttiva 2013/34/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio (GU 2013, L182, pag. 19)] o imprese quali definite negli articoli 4, 5, 6 e 7 del regolamento delegato (UE) n. 241/2014 della Commissione[, del 7 gennaio 2014, che integra il regolamento n. 575/2013 per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione sui requisiti di fondi propri per gli enti (GU 2014, L 74, pag. 8)] che sono legate tra loro da una relazione di cui all’articolo 10, paragrafo 1 o all’articolo 113, paragrafo 6 o 7, del regolamento [n. 575/2013];

(…)

47)      “marchio di pagamento”: nome, termine, segno, simbolo o combinazione di questi, in forma materiale o digitale, in grado di indicare lo schema di carte di pagamento nell’ambito del quale sono effettuate le operazioni di pagamento basate su carta;

(…)».

7        L’articolo 11 della direttiva 2015/2366, intitolato «Rilascio dell’autorizzazione», figura al capo 1, rubricato «Istituti di pagamento», del titolo II della direttiva 2015/2366, a sua volta rubricato «Prestatori di servizi di pagamento». Ai sensi del paragrafo 1 di detto articolo:

«Gli Stati membri richiedono agli istituti diversi da quelli di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettere a), b), c), e) e f), e diversi dalle persone fisiche o giuridiche che beneficiano di un’esenzione a norma degli articoli 32 o 33, che intendono prestare servizi di pagamento, un’autorizzazione ad operare in qualità di istituto di pagamento prima di iniziare a prestare servizi di pagamento. (…)».

8        L’articolo 35 di tale direttiva, dal titolo «Accesso ai sistemi di pagamento», figura al capo 2 di tale titolo II, a sua volta intitolato «Disposizioni comuni». Detto articolo così dispone:

«1.      Gli Stati membri assicurano che le norme che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento di prestatori di servizi di pagamento autorizzati o registrati, che siano persone giuridiche, siano obiettive, non discriminatorie e proporzionate e non limitino l’accesso più di quanto sia necessario per proteggere il sistema di pagamento da rischi specifici, come il rischio di regolamento, il rischio operativo e il rischio d’impresa, e tutelarne la stabilità finanziaria e operativa.

I sistemi di pagamento non impongono alcuno dei seguenti requisiti ai prestatori di servizi di pagamento, agli utenti di servizi di pagamento o ad altri sistemi di pagamento:

a)      regole restrittive in materia di partecipazione effettiva ad altri sistemi di pagamento;

b)      norme che discriminino tra prestatori di servizi di pagamento autorizzati o tra prestatori di servizi di pagamento registrati in relazione ai diritti, agli obblighi ed alle prerogative dei partecipanti;

c)      restrizioni sulla base dello status istituzionale.

2.      Il paragrafo 1 non si applica:

(…)

b)      ai sistemi di pagamento costituiti esclusivamente da prestatori di servizi di pagamento appartenenti ad un gruppo.

(…)».

9        L’allegato I della direttiva 2015/2366, intitolato «Servizi di pagamento», elenca le attività di cui all’articolo 4, punto 3, di tale direttiva e che si considerano a tale titolo «servizi di pagamento» ai sensi della richiamata direttiva.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10      Dalla decisione di rinvio risulta che l’American Express è una società di servizi internazionale che fornisce, con le sue controllate consolidate, servizi di pagamento, di viaggi, di cambio e di piattaforma di fidelizzazione ai consumatori e alle imprese. Essa esercita anche attività di emissione di carte e di convenzionamento in tutto il mondo, compresa l’Unione europea. Con le sue controllate, l’American Express gestisce lo schema di carte di pagamento American Express (in prosieguo: l’«Amex»), che è uno schema di carte di pagamento a tre parti. Tale schema ha concluso accordi di co-branding e di prestazione di servizi nell’Unione, circostanza da cui potrebbe derivare, a seconda della risposta che la Corte fornirà alla questione vertente sull’interpretazione dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366, l’assoggettamento del medesimo agli obblighi in materia di accesso previsti all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva.

11      L’autorità nazionale dirige il Her Majesty’s Treasury (Tesoro pubblico, Regno Unito). A quest’ultimo spetta la responsabilità ultima dell’esecuzione degli obblighi imposti al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord per quanto riguarda l’applicazione, l’esecuzione e qualsiasi altra forma di attuazione della direttiva 2015/2366.

12      L’American Express ha chiesto al giudice del rinvio l’autorizzazione a proporre un ricorso diretto al controllo della legittimità (judicial review) dell’«intenzione e/o [dell’]obbligo dell’[autorità nazionale] di applicare, eseguire o attuare in qualsiasi altra forma l’articolo 35, paragrafo 1, [della direttiva 2015/2366] nella parte in cui prevede la condizione del co-branding e/o dell’agenzia». Tale giudice ha concesso l’autorizzazione richiesta.

13      Il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 debba essere interpretato nel senso che uno schema di carte di pagamento a tre parti che abbia concluso accordi di co-branding o di agenzia sia esonerato dai requisiti in materia di accesso previsti all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva. In particolare, secondo tale giudice, il considerando 52 di detta direttiva non consente di fornire una risposta chiara a tale questione.

14      Inoltre, secondo detto giudice, se la Corte dovesse concludere che tali requisiti sono applicabili agli schemi di carte di pagamento a tre parti che abbiano concluso accordi di co-branding o di agenzia, sarebbe necessario pronunciarsi sull’argomento dedotto dall’American Express secondo il quale l’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva 2015/2366 è invalido in ragione di un difetto di motivazione, di un errore manifesto di valutazione e di una violazione del principio di proporzionalità.

15      In tale contesto, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa), Regno Unito] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un sistema di pagamento, al quale altrimenti non sarebbe applicabile l’obbligo di accesso previsto all’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva [2015/2366], possa essere assoggettato a detto obbligo, in virtù dell’articolo 35, paragrafo 2, lettera b), [di tale direttiva] i) se conclude accordi di co-branding con partner in co-branding che non prestano essi stessi servizi di pagamento a quel sistema in relazione all’offerta di prodotti in co-branding in parola, e/o ii) se impiega un agente che agisce in suo nome nella prestazione di servizi di pagamento.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 35, paragrafo 1, della [direttiva citata] sia invalido nei limiti in cui prevede che i sistemi di pagamento con siffatti accordi devono essere assoggettati all’obbligo di accesso per i seguenti motivi:

a)      difetto di motivazione ai sensi dell’articolo 296 TFUE;

b)      errore manifesto di valutazione, e/o

c)      violazione del principio di proporzionalità».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

16      Il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea sostengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile nella sua interezza in quanto, in primo luogo, non esiste una controversia reale tra le parti, in secondo luogo, il giudice nazionale non fornisce un minimo di elementi necessari nella sua decisione di rinvio, poiché esso non espone gli elementi di fatto pertinenti né le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione e sulla validità delle disposizioni oggetto del procedimento principale, e, in terzo luogo, la proposizione del ricorso principale diretto al controllo della legittimità dell’«intenzione e/o [dell’]obbligo» dell’autorità nazionale di applicare o attuare tali disposizioni costituisce un modo per eludere il sistema dei mezzi di ricorso istituito dal Trattato FUE, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale.

17      Si deve ricordare a questo proposito che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso di specie, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione o sulla validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire (sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 24).

18      Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione o l’esame di validità richiesto relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 25).

19      Per quanto riguarda, in primo luogo, la realtà effettiva della controversia principale, occorre rilevare che, con il suo ricorso, l’American Express chiede al giudice del rinvio di controllare la legittimità dell’«intenzione e/o dell’obbligo» dell’autorità nazionale di applicare o attuare le disposizioni controverse. A tale proposito, dalla decisione di rinvio risulta che le parti nel procedimento principale sono in disaccordo in merito alla fondatezza del ricorso. Dato che il giudice del rinvio è chiamato a dirimere tale disaccordo e ritiene che sussista una vera e propria contestazione tra le parti nel procedimento principale quanto all’interpretazione e alla validità delle disposizioni interessate di tale direttiva, non risulta in modo manifesto che la controversia principale non sia reale [v., per analogia, sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punti 36 e 38, e del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 17].

20      Inoltre, gli argomenti volti a dimostrare che la controversia principale è artificiale, fondati sul fatto che non esisterebbero atti o omissioni di un’amministrazione nazionale idonei a dare luogo a un ricorso diretto al controllo della legittimità, si basano su una critica della ricevibilità del ricorso di cui trattasi nel procedimento principale e della valutazione dei fatti compiuta dal giudice del rinvio al fine di applicare criteri stabiliti dal diritto nazionale. Orbene, non spetta alla Corte né rimettere in discussione tale valutazione, che rientra, nell’ambito del presente procedimento, nella competenza del giudice nazionale, né verificare se la decisione di rinvio sia stata adottata conformemente alle norme nazionali disciplinanti l’organizzazione giudiziaria e le procedure giurisdizionali. Di conseguenza, tali argomenti nemmeno possono essere sufficienti per invalidare la presunzione di rilevanza evocata al punto 18 della presente sentenza (v., per analogia, sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 26).

21      In secondo luogo, per quanto concerne l’argomento secondo il quale il giudice del rinvio non ha illustrato né i fatti rilevanti né le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione e sulla validità delle disposizioni di cui al procedimento principale, occorre osservare che secondo l’articolo 94, lettera a), del regolamento di procedura della Corte, ogni domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere «un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni».

22      A tale riguardo è sufficiente che l’oggetto della controversia principale nonché le sue principali questioni riguardo all’ordinamento giuridico dell’Unione emergano dalla domanda di pronuncia pregiudiziale al fine di consentire agli Stati membri e agli altri interessati di presentare osservazioni, conformemente all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, e di partecipare efficacemente al procedimento dinanzi a quest’ultima (sentenza dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C‑42/07, EU:C:2009:519, punto 41 e giurisprudenza citata).

23      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’Amex è esclusivamente composto da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo, ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366, ed è quindi idoneo a rientrare nell’esclusione prevista da tale disposizione. Orbene, da tale decisione discende altresì che l’Amex ha concluso un certo numero di accordi di co-branding e di fornitura di servizi nell’Unione che, con riserva della questione interpretativa sollevata dal giudice del rinvio, potrebbero privarlo del beneficio di detta disposizione, nel qual caso esso sarebbe assoggettato ai requisiti in materia di accesso previsti dall’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva.

24      Pertanto, la decisione di rinvio espone in maniera breve ma precisa l’origine e la natura della controversia principale, il cui esito dipende, secondo tale decisione, dall’interpretazione e dalla validità di tali disposizioni. Ne consegue che il giudice del rinvio ha definito in modo sufficiente il quadro di fatto e di diritto in cui si inserisce la sua domanda di interpretazione del diritto dell’Unione al fine di consentire alla Corte di rispondere utilmente a detta domanda (v., per analogia, sentenza del 7 luglio 2016, Genentech, C‑567/14, EU:C:2016:526, punto 27).

25      Per quanto riguarda, dall’altro lato, la questione se il giudice del rinvio abbia sufficientemente esposto le ragioni che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione e sulla validità delle disposizioni di cui trattasi nel procedimento principale, discende effettivamente dallo spirito di cooperazione che deve caratterizzare il funzionamento del rinvio pregiudiziale che è indispensabile che il giudice nazionale esponga nella sua decisione di rinvio i motivi precisi per cui ritiene che una risposta alle sue questioni sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione sia necessaria alla soluzione della controversia (v., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 24 e giurisprudenza citata).

26      È quindi importante che il giudice nazionale indichi, segnatamente, i motivi precisi che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione ed esponga i motivi d’invalidità che gli appaiono conseguentemente fondati. Una simile esigenza emerge anche dall’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura (v., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 25 e giurisprudenza citata).

27      Nel caso di specie, nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio, riproducendo una parte degli argomenti dedotti dall’American Express e dalla MasterCard Europe SA a tale proposito, ha indicato che l’interpretazione di talune disposizioni della direttiva 2015/2366 era incerta. Del pari, esso ha osservato che la Corte potrebbe essere indotta, a seconda dell’interpretazione che darà a tali disposizioni, a pronunciarsi sui motivi d’invalidità dedotti dall’American Express.

28      Ne consegue che il giudice del rinvio ritiene non solo che gli argomenti esposti dalle parti della controversia principale sollevino una questione di interpretazione la cui risposta è incerta, ma anche che i motivi d’invalidità dedotti dall’American Express e ripresi nella decisione di rinvio possano essere ricevibili.

29      Per quanto concerne, in terzo luogo, l’argomento secondo il quale la proposizione del ricorso principale, diretto al controllo della legittimità dell’«intenzione e/o [dell’]obbligo» dell’autorità nazionale di applicare o attuare la direttiva 2015/2366, costituisce un modo per eludere il sistema dei mezzi di ricorso istituito dal Trattato FUE in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui nessun provvedimento è stato adottato da tale autorità contro l’Amex e in cui la suddetta autorità si è limitata a sostenere di non opporsi alla proposizione del ricorso principale, occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato ricevibili numerose domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sull’interpretazione e/o la validità di atti di diritto derivato formulate nell’ambito di tali ricorsi diretti al controllo della legittimità, in particolare nelle cause che hanno dato origine alle sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741), del 3 giugno 2008, Intertanko e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312), dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419), del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324), e del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a. (C‑547/14, EU:C:2016:325).

30      Peraltro, la possibilità per i singoli di invocare dinanzi ai giudici nazionali l’invalidità di un atto dell’Unione di portata generale non è subordinata alla condizione che tale atto sia già stato effettivamente oggetto di misure di applicazione adottate in forza del diritto nazionale. A tale proposito è sufficiente che al giudice nazionale sia sottoposta una controversia reale in cui si pone, incidentalmente, la questione della validità di un simile atto. Orbene, tale condizione è soddisfatta nel caso della controversia principale, come risulta dai punti 14, 19, 20, 27 e 28 della presente sentenza. [v., per analogia, sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 40; del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 29; del 4 maggio 2016, Pillbox 38, C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 19, e del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 35].

31      Stanti tali premesse, non risulta che il ricorso principale sia stato proposto al fine di eludere i mezzi di ricorso istituiti dal Trattato FUE.

32      Da tutte le considerazioni che precedono discende che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Sulla prima questione

33      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 debba essere interpretato nel senso che uno schema di carte di pagamento a tre parti che abbia concluso un accordo di co-brandning con un partner multimarchio in co-branding, che a sua volta non fornisce servizi di pagamento nel suddetto schema per quanto concerne i prodotti in co-branding, o che si sia avvalso di un agente ai fini della fornitura di servizi di pagamento, è privato del beneficio dell’esclusione prevista da tale disposizione e, pertanto, è assoggettato alle disposizioni di cui all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva.

34      Occorre ricordare, anzitutto, che ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2015/2366, «[g]li Stati membri assicurano che le norme che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento di prestatori di servizi di pagamento autorizzati o registrati, che siano persone giuridiche, siano obiettive, non discriminatorie e proporzionate e non limitino l’accesso più di quanto sia necessario per proteggere il sistema di pagamento da rischi specifici, come il rischio di regolamento, il rischio operativo e il rischio d’impresa, e tutelarne la stabilità finanziaria e operativa». L’articolo 35, paragrafo 1, secondo comma, di tale direttiva elenca inoltre i requisiti che i sistemi di pagamento non possono in nessun caso imporre ai prestatori di servizi di pagamento, agli utenti di servizi di pagamento o agli altri sistemi di pagamento.

35      Per quanto attiene all’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366, esso dispone che l’articolo 35, paragrafo 1, della medesima non si applica «ai sistemi di pagamento costituiti esclusivamente da prestatori di servizi di pagamento appartenenti ad un gruppo». La nozione di «gruppo» è definita all’articolo 4, punto 40, di tale direttiva come «un gruppo di imprese che sono legate tra loro da uno dei vincoli di cui all’articolo 22, paragrafi 1, 2 o 7, della direttiva [2013/34] o imprese quali definite negli articoli 4, 5, 6 e 7 del regolamento delegato [n. 241/2014] che sono legate tra loro da una relazione di cui all’articolo 10, paragrafo 1 o all’articolo 113, paragrafo 6 o 7, del regolamento [n. 575/2013]».

36      Come ricordato al punto 23 della presente sentenza, è pacifico che uno schema di carte di pagamento a tre parti come l’Amex sia esclusivamente composto da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo, ai sensi del punto precedente.

37      Ne consegue che, in linea di principio, tale schema di carte di pagamento a tre parti non è soggetto ai requisiti in materia di accesso previsti dall’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva 2015/2366, a meno che non coinvolga un terzo nel suo funzionamento, in modo da non poter più essere considerato esclusivamente composto da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo, ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), di tale direttiva.

38      Nel caso di specie, l’American Express sostiene che l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 dev’essere interpretato nel senso che la sola circostanza che uno schema di carte di pagamento a tre parti abbia concluso accordi di co-branding e di agenzia non comporta la conseguenza di assoggettarlo ai requisiti in materia di accesso. Infatti, per quanto riguarda gli accordi di co-branding nell’ambito dei quali il partner multimarchio in co‑branding non fornisce alcun servizio di pagamento, lo schema rimarrebbe il solo emittente di carte e il solo convenzionatore di operazioni effettuate utilizzando tali carte. Del pari, il ricorso a un agente per la fornitura di servizi di pagamento non modificherebbe l’identità del prestatore di servizi di pagamento in uno schema di carte di pagamento. Di conseguenza, unicamente nel caso in cui uno schema di carte di pagamento a tre parti concedesse una licenza a un prestatore di servizi di pagamento supplementare all’interno di tale sistema i requisiti in materia di accesso sarebbero applicabili al suddetto sistema.

39      Al contrario, la MasterCard Europe sostiene che il solo fatto che uno schema di carte di pagamento a tre parti si avvalga di un partner multimarchio in co-branding o di un agente ha come effetto di assoggettarlo ai requisiti in materia di accesso, poiché in tal caso detto sistema non può più essere considerato rientrante nell’esclusione prevista dall’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366.

40      In proposito occorre ricordare che, conformemente a una costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione si deve tenere conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 21 settembre 2017, Commissione/Germania, C‑616/15, EU:C:2017:721, punto 43 e giurisprudenza citata).

41      In primo luogo, dal tenore letterale dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 discende che la partecipazione a un medesimo sistema di pagamento di prestatori di servizi di pagamento non appartenenti allo stesso gruppo comporta la conseguenza di privare tale sistema del beneficio dell’esclusione prevista da tale disposizione e di assoggettarlo, quindi, ai requisiti in materia di accesso di cui all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva.

42      Dall’articolo 4, punto 11, della direttiva 2015/2366 risulta che un prestatore di servizi di pagamento è definito come «un organismo di cui all’articolo 1, paragrafo 1, o una persona fisica o giuridica che beneficia di un’esenzione ai sensi dell’articolo 32 o 33 [della stessa]». Il richiamato articolo 1, paragrafo 1, distingue sei categorie di prestatori di servizi di pagamento, ossia taluni enti creditizi, gli istituti di moneta elettronica quali definiti all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2009/110, gli uffici postali che hanno il diritto di prestare servizi di pagamento a norma del diritto nazionale, gli istituti di pagamento, la BCE e le banche centrali nazionali ove non agiscano in quanto autorità monetarie o altre autorità pubbliche, e gli Stati membri o le rispettive autorità regionali o locali ove non agiscano in quanto autorità pubbliche. Quanto ai suddetti articoli 32 e 33, essi prevedono esenzioni per le persone fisiche e giuridiche che forniscono determinati servizi di pagamento.

43      Per quanto attiene alla questione se un partner multimarchio in co-branding o un agente rientrino nella nozione di «prestatore di servizi di pagamento» come rammentata al punto precedente, è vero che, per quanto riguarda in primo luogo il termine «multimarchio in co-branding», esso non è definito nella direttiva 2015/2366. Tuttavia, dal considerando 2 di tale direttiva discende che il nuovo quadro giuridico dell’Unione sui servizi di pagamento, che ha dato origine all’adozione della suddetta direttiva, è integrato dal regolamento 2015/751. Dal considerando 6 della medesima direttiva risulta inoltre che il legislatore dell’Unione ha inteso garantire un’applicazione uniforme del quadro legislativo riguardante i servizi di pagamento in tutta l’Unione.

44      Orbene, secondo l’articolo 2, punto 32, del regolamento 2015/751, il multimarchio in co-branding è definito come l’«inclusione di almeno un marchio di pagamento e di almeno un marchio non riferito a uno strumento di pagamento in uno stesso strumento di pagamento basato su carta». Quanto al termine «marchio di pagamento», esso è a sua volta definito sia all’articolo 2, punto 30, di tale regolamento, sia all’articolo 4, punto 47, della direttiva 2015/2366 come «nome, termine, segno, simbolo o combinazione di questi, in forma materiale o digitale, in grado di indicare lo schema di carte di pagamento nell’ambito del quale sono effettuate le operazioni di pagamento basate su carta».

45      Per quanto riguarda, in secondo luogo, il termine «agente», esso è definito all’articolo 4, punto 38, della direttiva 2015/2366 come «una persona fisica o giuridica che fornisce servizi di pagamento per conto di un istituto di pagamento». Come deriva dal punto 42 della presente sentenza, gli istituti di pagamento costituiscono una delle sei categorie di prestatori di servizi di pagamento elencate all’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva.

46      Pertanto, dalle pertinenti definizioni dei termini «multimarchio in co-branding» e «agente» non può dedursi che un partner multimarchio in co-branding o un agente sia necessariamente un prestatore di servizi di pagamento, ai sensi dell’articolo 4, punto 11, della direttiva 2015/2366.

47      Si deve quindi necessariamente constatare che dal tenore letterale dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 non risulta espressamente che il fatto, per un sistema di pagamento esclusivamente composto da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo, di ricorrere a un partner multimarchio in co-branding o a un agente abbia come conseguenza necessaria la privazione di detto sistema del beneficio dell’esclusione previsto da tale disposizione. Orbene, se il legislatore dell’Unione avesse inteso restringere l’ambito di applicazione della suddetta disposizione perché così fosse, avrebbe potuto prevederlo espressamente (v., per analogia, sentenza del 19 marzo 2009, Commissione/Italia, C‑275/07, EU:C:2009:169, punto 99).

48      In secondo luogo, per quanto concerne il contesto nel quale si inserisce l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366, occorre rammentare che l’obiettivo dell’articolo 35 di tale direttiva, come risulta dal suo paragrafo 1, primo comma, è quello di disciplinare in particolare le condizioni di accesso dei prestatori di servizi di pagamento autorizzati o registrati ai sistemi di pagamento. Orbene, a tale obiettivo è conforme un’interpretazione del suddetto articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), secondo la quale uno schema di carte di pagamento a tre parti che sceglie di aprirsi coinvolgendo nel suo funzionamento un prestatore di servizi di pagamento che non appartiene al gruppo è assoggettato ai requisiti in materia di accesso di cui all’articolo 35, paragrafo 1, della suddetta direttiva.

49      Certamente, il considerando 52 della direttiva 2015/2366 prevede che i sistemi costituiti e gestiti da un solo prestatore di servizi di pagamento «includono gli schemi a tre parti, come gli schemi di carte a tre parti, nella misura in cui non funzionano mai come effettivi schemi di carte a quattro parti, ad esempio appoggiandosi a titolari di licenze, agenti o partner multimarchio in co-branding».

50      Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla MasterCard Europe, tale considerando non può giustificare l’interpretazione secondo la quale qualsiasi contratto di co-branding o di agenzia concluso da uno schema di carte di pagamento a tre parti comporta necessariamente la conseguenza di sottrarre tale schema dall’ambito di applicazione dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366.

51      A tale proposito si deve ricordare che il considerando di un atto di diritto derivato dell’Unione può sì consentire di chiarire l’interpretazione di una “regula juris”, ma non può costituire di per sé una tale regola (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 1989, Casa Fleischhandel, 215/88, EU:C:1989:331, punto 31).

52      In ogni caso, come sostiene in sostanza la Commissione, nessun elemento nel considerando 52 della direttiva 2015/2366, né del resto nelle altre disposizioni di tale direttiva, osta a che l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), di quest’ultima sia interpretato nel senso che, nel caso in cui uno schema di carte di pagamento si avvalga di un partner multimarchio in co-branding o di un agente, è necessario che il partner multimarchio in co-branding o l’agente sia un prestatore di servizi di pagamento o che il suo ruolo all’interno di tale schema possa essere assimilato all’attività di un siffatto prestatore, affinché detto schema non sia più considerato come composto esclusivamente da prestatori di servizi di pagamento appartenenti a un gruppo, ai sensi di quest’ultima disposizione.

53      Occorre infatti osservare, da un lato, che il considerando 52 di tale direttiva prevede, alla sua prima frase, che le disposizioni relative all’accesso ai sistemi di pagamento non si dovrebbero applicare ai sistemi di pagamento «costituiti e gestiti da un solo prestatore di servizi di pagamento», mettendo così l’accento sul numero di prestatori di servizi di pagamento coinvolti nel funzionamento del sistema interessato.

54      Dall’altro lato, se è vero che dal suddetto considerando risulta che gli schemi di carte che si avvalgono di partner multimarchio in co-branding o di agenti possono essere considerati schemi che funzionano alla stregua degli schemi di carte di pagamento che coinvolgono de facto quattro parti, si deve parimenti ricordare che uno schema di carte di pagamento a quattro parti è definito all’articolo 2, punto 17, del regolamento 2015/751 come uno schema «in cui le operazioni di pagamento basate su carta sono effettuate dal conto di pagamento del pagatore verso il conto di pagamento del beneficiario tramite l’intermediazione dello schema, dell’emittente (dal lato del pagatore) e del soggetto convenzionatore (dal lato del beneficiario)».

55      Di conseguenza, e tenuto conto delle considerazioni esposte al punto 43 della presente sentenza, uno schema di carte di pagamento a quattro parti classico ai sensi della direttiva 2015/2366 è caratterizzato dalla presenza di diversi prestatori di servizi di pagamento, i quali effettuano i servizi «convenzionatore» e «emittente» nell’ambito di operazioni di pagamento basate su carta.

56      Come sostiene la Commissione, è quindi giocoforza constatare che gli esempi di situazioni nelle quali schemi di carte di pagamento a tre parti concludono accordi con agenti o con partner multimarchio in co-branding, esposti al considerando 52 della direttiva 2015/2366, si limitano a illustrare il modo in cui tali schemi possono organizzare le loro relazioni operative, in maniera tale che essi possano comportarsi, nella pratica, come schemi di carte di pagamento a quattro parti ai fini dell’applicazione dei requisiti in materia di accesso previsti da tale direttiva.

57      In terzo luogo, per quanto attiene agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2015/2366, ai quali appartengono le disposizioni di cui trattasi nel procedimento principale, occorre rammentare che, ai sensi del considerando 49 di tale direttiva, «[p]er qualsiasi prestatore di servizi di pagamento è essenziale essere in grado di accedere ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento», e che «[p]er assicurare parità di trattamento in tutta l’Unione tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento autorizzati, in funzione delle condizioni dell’autorizzazione di cui sono dotati, è necessario chiarire le regole in materia di accesso ai sistemi di pagamento».

58      Dal pari, il considerando 50 della direttiva 2015/2366 sottolinea che «[è] opportuno prevedere che gli istituti di pagamento e gli enti creditizi autorizzati non siano discriminati, in modo che qualsiasi prestatore di servizi di pagamento operante nel mercato interno sia in grado di utilizzare i servizi delle infrastrutture tecniche di tali sistemi di pagamento alle stesse condizioni». Tale considerando aggiunge che «[è] opportuno prevedere un trattamento differenziato tra i prestatori di servizi di pagamento autorizzati e quelli che beneficiano di un’esenzione a norma della presente direttiva nonché di un’esenzione a norma dell’articolo 3 della direttiva [2009/110] in considerazione delle differenze nei rispettivi quadri prudenziali».

59      Infine, il considerando 52 della direttiva 2015/2366 enuncia in particolare che, al fine di stimolare la concorrenza che i sistemi di pagamento chiusi, come gli schemi di carte di pagamento a tre parti che non funzionano mai come effettivi schemi di carte a quattro parti, possono fare ai sistemi di pagamento ordinari, sarebbe inopportuno garantire a terzi l’accesso a tali sistemi di pagamento proprietari chiusi.

60      Dalle considerazioni esposte ai punti da 57 a 59 della presente sentenza risulta che l’articolo 35 della direttiva 2015/2366 è volto a garantire che, in linea di principio, qualsiasi prestatore di servizi di pagamento possa avere accesso ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento, affinché sia assicurata, in tutta l’Unione, la parità di trattamento tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento. Infatti, come discende anche da tali considerazioni, il legislatore dell’Unione ha inteso garantire che qualsiasi prestatore di servizi di pagamento possa ricorrere a tali servizi alle stesse condizioni al fine di mantenere una concorrenza effettiva sui mercati dei pagamenti.

61      Orbene, dalle medesime considerazioni, in particolare da quelle esposte ai punti 58 e 59 della presente sentenza, deriva che, sebbene in linea di principio i requisiti in materia di accesso, previsti all’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva 2015/2366, debbano consentire a qualsiasi prestatore di servizi di pagamento di avere accesso, alle condizioni da esso stabilite, ai sistemi di pagamento, il legislatore dell’Unione ha parimenti inteso prevedere un trattamento diverso tra i prestatori di servizi di pagamento laddove le differenze tra gli stessi lo giustifichino.

62      In particolare, per quanto riguarda i sistemi di pagamento a tre parti chiusi, dal punto 59 della presente sentenza emerge che il legislatore dell’Unione ha ritenuto opportuno esonerarli dai requisiti in materia di accesso al fine di stimolare la concorrenza tra sistemi di pagamento. Tuttavia, come si evince, in particolare, dai punti da 54 a 56 della presente sentenza, quando uno schema di carte di pagamento a tre parti decide di aprirsi, coinvolgendo un prestatore di servizi di pagamento esterno al gruppo, il suo funzionamento si avvicina a quello di un sistema di pagamento a quattro parti classico, in maniera tale che la necessità di stimolare la concorrenza che esso crea sul mercato non giustifica più che sia esonerato dai requisiti in materia di accesso.

63      Infatti, potrebbe essere difficile realizzare gli obiettivi della direttiva 2015/2366, in particolare quello previsto dall’articolo 35, paragrafo 1, di quest’ultima, consistente nell’assicurare condizioni di parità nella prestazione dei servizi di pagamento, se uno schema di carte di pagamento a tre parti che si avvalga di un terzo che abbia la qualità di prestatore di servizi di pagamento, ai sensi dell’articolo 4, punto 11, di tale direttiva, o il cui ruolo possa essere assimilato a un siffatto prestatore, non fosse assoggettato ai requisiti in materia di accesso dei prestatori di servizi di pagamento ai sistemi di pagamento, previsti all’articolo 35, paragrafo 1, della predetta direttiva.

64      Di conseguenza, si deve necessariamente constatare che tali requisiti sono applicabili a uno schema di carte di pagamento a tre parti che ha concluso un accordo di co-branding, ai sensi dell’articolo 2, punto 32, del regolamento 2015/751, quando il partner multimarchio in co-branding di cui trattasi è un prestatore di servizi di pagamento, ai sensi dell’articolo 4, punto 11, della direttiva 2015/2366, e ciò anche qualora detto partner non fornisca egli stesso, nell’ambito di tale accordo, nessun servizio di pagamento per quanto concerne i prodotti in co‑branding.

65      Del pari, qualora uno schema di carte di pagamento a tre parti abbia concluso un accordo con un agente, ai sensi dell’articolo 4, punto 38, della direttiva 2015/2366, i requisiti in materia di accesso sono necessariamente applicabili a tale schema. Infatti, come è stato ricordato al punto 45 della presente sentenza, dato che un agente è definito all’articolo 4, punto 38, di tale direttiva come «una persona fisica o giuridica che fornisce servizi di pagamento per conto di un istituto di pagamento», e sebbene un agente non sia quindi necessariamente esso stesso un prestatore di servizi di pagamento, il suo ruolo dev’essere assimilato in tutti i casi, in considerazione della sua natura, a quello di un prestatore di servizi di pagamento.

66      Tale interpretazione non è rimessa in discussione dall’argomento dedotto dalla MasterCard Europe, secondo il quale le situazioni in cui uno schema di carte di pagamento a tre parti è soggetto ai requisiti in materia di accesso dovrebbero essere le stesse in cui tale sistema è soggetto agli obblighi relativi alle commissioni interbancarie in forza dell’articolo 1, paragrafo 5, e dell’articolo 2, punto 18, del regolamento 2015/751, la cui portata e validità sono state oggetto di questioni pregiudiziali nella causa che ha dato origine all’odierna sentenza American Express (C‑304/16).

67      A tale proposito basti osservare, da un lato, che il tenore letterale tanto dell’articolo 1, paragrafo 5, quanto dell’articolo 2, punto 18, del regolamento 2015/751, che contemplano, in particolare, le situazioni in cui gli schemi di carte di pagamento a tre parti devono essere considerati schemi di carte di pagamento a quattro parti ai fini dell’applicazione degli obblighi previsti da tale regolamento, compresi quelli relativi ai massimali per le commissioni interbancarie, differisce sotto diversi aspetti dal tenore letterale dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366.

68      Dall’altro lato, se è vero che gli obiettivi contemplati dalle due categorie di requisiti alle quali si fa riferimento al punto 66 della presente sentenza si sovrappongono, in quanto entrambe sono volte, in particolare, a garantire la parità di trattamento tra concorrenti e una concorrenza effettiva sui mercati dei pagamenti, resta il fatto che tanto la natura di queste due categorie di requisiti quanto l’atto legislativo nel quale ciascuna di esse si inserisce sono diversi.

69      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366 dev’essere interpretato nel senso che uno schema di carte di pagamento a tre parti che abbia concluso un accordo di co-branding con un partner multimarchio in co-branding non è privato del beneficio dell’esclusione prevista da tale disposizione e, pertanto, non è assoggettato ai requisiti elencati all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva nel caso in cui tale partner multimarchio in co-branding non sia un prestatore di servizi di pagamento e non fornisca servizi di pagamento in tale schema per quanto concerne i prodotti in co‑branding. Per contro, uno schema di carte di pagamento a tre parti che si sia avvalso di un agente ai fini della fornitura di servizi di pagamento è privato del beneficio di tale esclusione e, pertanto, è assoggettato ai requisiti elencati al predetto articolo 35, paragrafo 1.

 Sulla seconda questione

70      Con la seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 35 della direttiva 2015/2366 sia invalido, nei limiti in cui prevede requisiti in materia di accesso applicabili a uno schema di carte di pagamento a tre parti che abbia concluso un accordo di co-branding con un partner multimarchio in co-branding il quale non fornisca egli stesso servizi di pagamento all’interno di detto schema per quanto concerne i prodotti in co-branding, o che si sia avvalso di un agente ai fini della fornitura di servizi di pagamento.

71      Si deve anzitutto osservare che l’interpretazione dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2015/2366, come esposta al punto 69 della presente sentenza, non corrisponde interamente, per quanto riguarda i contratti di co-branding, a quella sulla base della quale il giudice del rinvio pone la seconda questione pregiudiziale.

72      Pertanto, alla luce della risposta fornita alla prima questione pregiudiziale, occorre rispondere alla seconda soltanto nella misura in cui essa è volta a stabilire se l’articolo 35 della direttiva 2015/2366 sia invalido per il fatto che i requisiti previsti al paragrafo 1 di tale articolo sono applicabili a uno schema di carte di pagamento a tre parti che si sia avvalso di un agente ai fini della fornitura di servizi di pagamento.

 Sulla sussistenza di una violazione dell’obbligo di motivazione

73      Per quanto riguarda l’obbligo di motivazione occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, anche se la motivazione di un atto dell’Unione, richiesta dall’articolo 296, paragrafo 2, TFUE, deve far apparire in maniera chiara e inequivoca l’iter logico seguito dall’autore dell’atto di cui trattasi, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni della misura adottata e alla Corte di esercitare il proprio controllo, non è però necessario che essa contenga tutti gli elementi di fatto o di diritto pertinenti. L’osservanza dell’obbligo di motivazione deve, peraltro, essere valutata alla luce non soltanto del tenore letterale dell’atto, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle norme giuridiche che disciplinano la materia in questione (sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 70 e giurisprudenza citata).

74      Inoltre, la Corte ha ripetutamente dichiarato che, se un atto di portata generale evidenzia nella sua essenza l’obiettivo perseguito dall’istituzione, sarebbe eccessivo pretendere una motivazione specifica per le diverse scelte di natura tecnica operate (sentenza del 3 marzo 2016, Spagna/Commissione, C‑26/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:132, punto 31 e giurisprudenza citata).

75      Nel caso di specie, i considerando 49, 50 e 52 della direttiva 2015/2366 enunciano con sufficiente chiarezza la logica sottesa all’applicazione dei requisiti previsti all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva agli schemi di carte di pagamento a tre parti che coinvolgono un prestatore di servizi di pagamento esterno al gruppo nel funzionamento dello schema o un terzo il cui ruolo può essere assimilato a un siffatto prestatore. In particolare, come risulta dal punto 60 della presente sentenza, da tali considerando emerge che il predetto articolo 35 è volto a garantire che, in linea di principio, qualsiasi prestatore di servizi di pagamento possa avere accesso ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento, affinché sia assicurata, in tutta l’Unione, la parità di trattamento tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento e, pertanto, venga mantenuta una concorrenza effettiva sui mercati dei pagamenti.

76      Inoltre, dai medesimi considerando risulta che, sebbene, in linea di principio, i requisiti in materia di accesso debbano permettere a qualsiasi prestatore di servizi di pagamento di avere accesso, alle condizioni stabilite dalla direttiva 2015/2366, ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento, il legislatore dell’Unione ha parimenti inteso prevedere un trattamento diverso tra i prestatori di servizi di pagamento laddove le differenze tra gli stessi lo giustifichino. Pertanto, se da un lato il legislatore dell’Unione ha ritenuto opportuno esonerare gli schemi di carte di pagamento a tre parti chiusi da tali requisiti in materia di accesso al fine di stimolare la concorrenza tra sistemi di pagamento, esso ha invece considerato, dall’altro, che nel caso in cui uno schema di carte di pagamento a tre parti decida di aprirsi, coinvolgendo un prestatore di servizi di pagamento esterno al gruppo o un terzo, quale un agente, il cui ruolo può essere assimilato a quello di un siffatto prestatore, il funzionamento di tale sistema si avvicina a quello di un sistema a quattro parti classico, cosicché la necessità di stimolare detta concorrenza non giustifica più che esso sia esonerato dai predetti requisiti in materia di accesso.

77      Inoltre, il considerando 52 della direttiva 2015/2366 evidenzia le differenze esistenti tra gli schemi di carte di pagamento a tre parti proprietari chiusi e i sistemi di pagamento ordinari, differenze che spiegano che l’applicazione agli schemi di carte di pagamento a tre parti dei requisiti in materia di accesso è giustificata soltanto qualora il funzionamento di tali schemi comporti la conseguenza di sottrarli all’ambito di applicazione dell’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), di tale direttiva.

78      Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2015/2366 alle quali fa riferimento il punto 75 della presente sentenza espongono la situazione complessiva che ha indotto il legislatore dell’Unione a decidere di assoggettare gli schemi di carte di pagamento a tre parti che abbiano concluso contratti di agenzia ai requisiti in materia di accesso previsti all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva, nonché gli obiettivi generali che tale decisione mira a conseguire, e consentono in tal modo agli interessati di conoscere le ragioni che giustificano tale decisione e alla Corte di esercitare il proprio controllo, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 73 della presente sentenza.

79      In tale contesto, conformemente alla giurisprudenza esposta ai punti 73 e 74 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione non era tenuto a esporre nella direttiva 2015/2366, in maniera specifica, le ragioni per le quali, in ciascuna delle situazioni di cui trattasi, un sistema di carte di pagamento a tre parti debba essere assoggettato ai requisiti in materia di accesso.

80      Non si può pertanto ritenere che a tale riguardo la direttiva 2015/2366 sia viziata da un difetto di motivazione tale da comportare l’invalidità del suo articolo 35.

 Sulla sussistenza di un errore manifesto di valutazione

81      Dalla decisione di rinvio risulta che la validità dell’articolo 35 della direttiva 2015/2366 è contestata nella controversia principale, sulla base del rilievo che esso sarebbe viziato da un errore manifesto di valutazione, in quanto i requisiti in materia di accesso previsti al paragrafo 1 di tale articolo si applicano agli schemi di carte di pagamento a tre parti che abbiano concluso accordi di agenzia, mentre il legislatore dell’Unione non avrebbe potuto ragionevolmente adottare una disposizioni di tale portata.

82      Tuttavia, dagli elementi trasmessi alla Corte nel contesto del presente procedimento non emerge che il legislatore dell’Unione abbia, per questa ragione, commesso un errore manifesto di valutazione che inficia la validità dell’articolo 35 della direttiva 2015/2366.

83      In particolare, nessuno degli elementi presentati alla Corte è atto a dimostrare che sia stato commesso un errore da tale legislatore dell’Unione allorché quest’ultimo ha ritenuto che il fatto di includere tale sistema nell’ambito di applicazione dell’articolo 35, paragrafo 1, della direttiva 2015/2366 avrebbe contribuito al conseguimento degli obiettivi ricordati ai punti da 57 a 63 della presente sentenza.

 Sulla sussistenza di una violazione del principio di proporzionalità

84      Occorre ricordare che il principio di proporzionalità esige, per consolidata giurisprudenza della Corte, che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa in questione e non eccedano i limiti di quanto è necessario per raggiungere questi obiettivi (sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 67 e giurisprudenza citata).

85      Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale dell’osservanza di tali condizioni, la Corte ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Non si tratta, quindi, di accertare se una misura emanata in un determinato settore fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inidoneità della misura, rispetto allo scopo che le istituzioni competenti intendono perseguire, può inficiare la legittimità della misura medesima (sentenza dell’8 giugno 2010, Vodafone e a., C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 52 e giurisprudenza citata).

86      Nel caso di specie, nessun elemento presentato alla Corte è tale da dimostrare che l’articolo 35 della direttiva 2015/2366 non sia idoneo a realizzare gli obiettivi legittimi perseguiti, come esposti ai punti da 57 a 62 della presente sentenza.

87      Al contrario, atteso che, come risulta dai punti 63 e 65 della presente sentenza, potrebbe essere difficile realizzare gli obiettivi della direttiva 2015/2366, in particolare quello di cui all’articolo 35 di quest’ultima, consistente nell’assicurare condizioni di parità nella prestazione dei servizi di pagamento, se uno schema di carte di pagamento a tre parti che si avvale di un agente non fosse assoggettato ai requisiti in materia di accesso, non era manifestamente inadeguato, alla luce di tali obiettivi, assoggettare anche tale schema a detti requisiti.

88      Da tutte le suesposte considerazioni risulta che dall’esame della seconda questione non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 35 della direttiva 2015/2366.

 Sulle spese

89      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 35, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE, dev’essere interpretato nel senso che uno schema di carte di pagamento a tre parti che abbia concluso un accordo di co-branding con un partner multimarchio in co-branding non è privato del beneficio dell’esclusione prevista da tale disposizione e, pertanto, non è assoggettato ai requisiti elencati all’articolo 35, paragrafo 1, di tale direttiva nel caso in cui tale partner multimarchio in co-branding non sia un prestatore di servizi di pagamento e non fornisca servizi di pagamento in tale schema per quanto concerne i prodotti in co-branding. Per contro, uno schema di carte di pagamento a tre parti che si sia avvalso di un agente ai fini della fornitura di servizi di pagamento è privato del beneficio di tale esclusione e, pertanto, è assoggettato ai requisiti elencati al predetto articolo 35, paragrafo 1.

2)      Dall’esame della seconda questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 35 della direttiva 2015/2366.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.