Language of document : ECLI:EU:C:2002:197

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JACOBS

presentate il 21 marzo 2002 (1)

Causa C-50/00 P

Unión de Pequeños Agricultores

contro

Consiglio dell'Unione europea

Premessa

1.
    Nella presente causa un'associazione di agricoltori propone un ricorso contro l'ordinanza (2) con la quale il Tribunale di primo grado ha dichiarato manifestamente irricevibile il ricorso d'annullamento da essa presentato contro il regolamento n. 1638/98 (3), che ha emendato in modo sostanziale l'organizzazione comune del mercato dell'olio d'oliva, ritenendo che i membri dell'associazione non fossero individualmente riguardati dalle disposizioni del regolamento, ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE.

2.
    Ai sensi dell'art. 230 CE, quarto comma, «qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre (...) un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente». Anche se in tale disposizione l'accento viene posto sui ricorsi contro le decisioni, la Corte, a mio avviso correttamente, ha dichiarato che anche i regolamenti, quando riguardino individualmente il ricorrente, possono costituire oggetto di ricorsi promossi da privati che siano da essi individualmente riguardati, e che la prova dell'esistenza di un interesse individuale è sostanzialmente la stessa per le decisioni e per i regolamenti. Il concetto di interesse individuale è stato però interpretato restrittivamente dalla giurisprudenza. I ricorrenti si considerano individualmente interessati da un atto solo quando siano colpiti nella loro situazione giuridica, in ragione di determinate loro qualità peculiari, o di una circostanza di fatto che li distingua da chiunque altro e li identifichi in modo analogo al destinatario (4). Occorre sottolineare che questa giurisprudenza è stata oggetto di numerose critiche sia in commenti resi a titolo personale da membri della Corte (5), sia da parte della dottrina (6), e viene spesso considerata all'origine di una grave lacuna nel sistema dei rimedi giurisdizionali istituito dal Trattato CE.

3.
    Nel ricorso in esame, sul quale la Corte ha deciso di pronunciarsi in seduta plenaria al fine di riconsiderare la propria giurisprudenza in tema di interesse individuale, si pone un'importante questione di principio, ossia se ad una persona fisica o giuridica (in prosieguo: un «singolo») che sia riguardata direttamente, ma non individualmente, dalle disposizioni di un regolamento ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, come interpretato dalla giurisprudenza, debba comunque essere riconosciuto il diritto di agire in giudizio nel caso in cui, altrimenti, non potrebbe fruire di un'effettiva tutela giurisdizionale a causa della difficoltà per essa di impugnare indirettamente il regolamento dinanzi a giudici nazionali, oppure se la legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE debba essere stabilita indipendentemente dalla possibilità di promuovere tale ricorso indiretto.

4.
    Sosterrò la tesi secondo la quale il diritto di agire in giudizio dovrebbe effettivamente essere determinato in modo indipendente e, inoltre, l'unica soluzione per garantire un'adeguata tutela giurisdizionale è quella di modificare la giurisprudenza in tema di interesse individuale.

Regolamento contestato

5.
    Poiché il contesto normativo è descritto nell'ordinanza impugnata (7), ai fini del presente procedimento sarà sufficiente una breve sintesi.

6.
    L'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi, istituita dal regolamento n. 136/66 (8) prevedeva, per i mercati dell'olio d'oliva, regimi di prezzi d'intervento, di aiuti alla produzione, di aiuto al consumo, allo stoccaggio nonché all'importazione e all'esportazione.

7.
    Il regolamento n. 1638/98 (in prosieguo: il «regolamento impugnato») prevede, in particolare, una riforma dell'organizzazione comune dei mercati dell'olio d'oliva. A tale titolo, il precedente regime d'intervento è stato abolito e sostituito da un regime d'aiuto ai contratti di stoccaggio privato; l'aiuto al consumo è stato soppresso, come pure l'aiuto specifico ai piccoli produttori; il meccanismo di stabilizzazione dell'aiuto alla produzione basato su un quantitativo massimo garantito per tutta la Comunità è stato modificato introducendo una ripartizione di tale quantitativo massimo garantito tra gli Stati membri produttori in forma di quantitativi nazionali garantiti; infine, gli uliveti piantati dopo il 1° maggio 1998 sono stati esclusi, salvo eccezioni, da qualsiasi regime futuro di aiuto. In base al regolamento impugnato, inoltre, la Commissione avrebbe dovuto presentare, nel corso dell'anno 2000, una proposta di regolamento intesa ad attuare una riforma completa dell'organizzazione comune dei mercati nel settore delle materie grasse.

Fatti e ordinanza oggetto di impugnazione

8.
    L'Unión de Pequeños Agricultores (in prosieguo: l'«UPA»), parte ricorrente nella causa in oggetto, è un'associazione di categoria che riunisce piccole imprese agricole spagnole e cura la difesa dei loro interessi. A norma del diritto spagnolo, essa è dotata di personalità giuridica.

9.
    Il 20 ottobre 1998 l'UPA ha proposto dinanzi al Tribunale di primo grado, ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato CE (divenuto art. 230, quarto comma, CE), un ricorso diretto all'annullamento del regolamento impugnato, fatta eccezione per il regime di aiuti alle olive da tavola istituito dall'art. 5, n. 4, del regolamento n. 136/66, come modificato dal regolamento impugnato. Essa sosteneva, in sostanza, che tale regolamento non era conforme all'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato (divenuto art. 253 CE), che non contribuiva al conseguimento degli obiettivi della politica agricola comune stabiliti all'art. 39 del Trattato (divenuto art. 33 CE) e che violava il principio della parità di trattamento tra produttori e consumatori sancito dall'art. 40, n. 3, del Trattato (divenuto art. 34, n. 3, CE) nonché il principio di proporzionalità, il diritto all'esercizio di una professione e il diritto di proprietà.

10.
    Con ordinanza motivata 23 novembre 1999 (in prosieguo: l'«ordinanza impugnata»), il Tribunale di primo grado ha dichiarato il ricorso manifestamente irricevibile.

11.
    Il Tribunale ha ricordato, in primo luogo, che «[s]econdo una giurisprudenza costante (...) [l'art. 230, quarto comma, CE] attribuisce ai singoli il diritto di impugnare qualsiasi decisione che, ancorché adottata in forma di regolamento, li riguardi direttamente e individualmente. Lo scopo di tale disposizione è in particolare quello di evitare che, ricorrendo alla forma del regolamento, le istituzioni comunitarie possano impedire che il singolo impugni una decisione che lo riguarda direttamente e individualmente» (9).

12.
    Il Tribunale ha poi considerato la natura del regolamento impugnato. Dopo aver esaminato le disposizioni del regolamento e gli argomenti dettagliati addotti dall'UPA, esso ha concluso che il regolamento aveva natura normativa, in quanto si applicava in maniera generale e astratta a situazioni di fatto o di diritto definite in modo oggettivo (10). Tuttavia, dopo aver ammesso che, «in determinate circostanze, persino un atto normativo applicabile alla generalità degli operatori economici interessati può riguardare individualmente alcuni fra loro» (11) e che all'uopo una persona fisica o giuridica dev'essere «in grado di dimostrare di essere lesa dall'atto in questione per via di determinate qualità che le sono peculiari ovvero di una situazione di fatto che la caratterizzi rispetto a qualsiasi altro soggetto» (12), il Tribunale è passato a valutare la possibilità di riconoscere all'UPA il diritto di agire in giudizio contro il regolamento impugnato.

13.
    A tal riguardo, esso ha rilevato che la ricevibilità dei ricorsi proposti da associazioni è ammessa in almeno tre fattispecie tipiche:

-    quando una disposizione di natura normativa riconosca espressamente alle associazioni professionali una serie di facoltà di carattere procedurale;

-    quando l'associazione rappresenti gli interessi di imprese che, a loro volta, siano legittimate ad agire;

-    quando l'associazione sia identificata individualmente per il pregiudizio arrecato ai propri interessi in quanto associazione, in particolare in quanto la sua posizione di negoziatrice sia stata pregiudicata dall'atto di cui è richiesto l'annullamento.

14.
    L'UPA, tuttavia, non poteva «far leva su alcuna di queste tre situazioni per dimostrare la ricevibilità del suo ricorso» (13). L'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi non le riconosceva alcun diritto di natura procedurale (14); essa non aveva dimostrato che i suoi aderenti fossero stati pregiudicati dal regolamento impugnato per via di determinate qualità loro peculiari o di una situazione di fatto che li caratterizzasse rispetto a qualsiasi altro soggetto (15); inoltre, il regolamento impugnato non pregiudicava alcuno specifico interesse né comprometteva alcuna tutela particolare di cui l'UPA si giovasse come associazione distinta dagli interessi dei propri aderenti (16).

15.
    Infine, il Tribunale di primo grado ha osservato che l'UPA adduceva «due ulteriori argomenti intesi a dimostrare che, ciononostante, essa [era] individualmente interessata dalle disposizioni del regolamento impugnato, ossia, da un lato, la natura di ordine pubblico comunitario connessa all'esame della legittimità del regolamento impugnato, che essa rivendica[va] nel suo ricorso, e, dall'altro, il rischio di non potersi avvalere di un'effettiva tutela giurisdizionale» (17).

16.
    Il Tribunale non ha ritenuto tali argomenti convincenti. In risposta al primo di essi, ha dichiarato: «[i]l motivo relativo all'eventuale sviamento di potere verte in realtà sul merito della controversia. Esaminare tale motivo in sede di esame della ricevibilità di un ricorso avrebbe come conseguenza quella di far dipendere la ricevibilità di un ricorso di annullamento esperito contro un provvedimento avente portata generale semplicemente dalla natura delle censure formulate nel merito per contestarne la legittimità, il che si risolverebbe nel derogare ai requisiti di ricevibilità posti [dall'art. 230, quarto comma, CE], quali sono stati chiariti dalla giurisprudenza» (18).

17.
    Quanto al secondo argomento, il Tribunale ha dichiarato quanto segue:

«61.    Con riguardo all'argomento relativo alla mancanza di effettiva tutela giurisdizionale, esso si risolve nel denunciare l'assenza di rimedi giurisdizionali interni che consentano, eventualmente, un controllo di validità sul regolamento impugnato attraverso il rinvio pregiudiziale ex [art. 234 CE].

    62.    A questo proposito, occorre sottolineare che il principio della parità di tutti gli amministrati per quanto riguarda i presupposti per adire il giudice comunitario mediante ricorso d'annullamento postula che tali presupposti non dipendano da circostanze proprie del sistema giurisdizionale di ciascuno Stato membro. Al riguardo, va rilevato del resto come, in forza del principio di leale collaborazione sancito [dall'art. 10 CE], gli Stati membri siano tenuti a contribuire a realizzare il sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti istituito dal Trattato CE e inteso ad affidare al giudice comunitario il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (v., al riguardo, sentenza Les Verts/Parlamento, citata, punto 23).

    63.    Questi elementi non possono tuttavia indurre il Tribunale a discostarsi dal sistema di rimedi giurisdizionali istituito [dall'art. 230, quarto comma, CE], quale è stato chiarito dalla giurisprudenza, e a trascendere i limiti posti alla sua competenza da questa disposizione.

    64.    La ricorrente non può trarre alcun argomento nemmeno dall'eventuale lunghezza di un procedimento [ex art. 234 CE]. Tale circostanza non può infatti giustificare una modifica del sistema di rimedi giuridici e dei procedimenti istituito dagli artt. [230, 234 e 235 CE] e diretto ad affidare alla Corte il controllo sulla legittimità degli atti delle istituzioni. Una circostanza del genere non consente in nessun caso di dichiarare ricevibile un ricorso d'annullamento proposto da una persona fisica o giuridica sprovvista dei requisiti stabiliti [dall'art. 230, quarto comma, CE] (ordinanza della Corte 24 aprile 1996, causa C-87/95 P, CNPAAP/Consiglio, Racc. pag. I-2003, punto 38)».

18.
    Il Tribunale ha conseguentemente concluso: «la ricorrente non può essere considerata individualmente interessata dal regolamento impugnato» e ha dichiarato il ricorso manifestamente irricevibile (19).

Ricorso contro la pronuncia del Tribunale di primo grado

19.
    Nella causa in oggetto l'UPA chiede che la Corte voglia:

-    annullare l'ordinanza del Tribunale di primo grado;

-    dichiarare la ricevibilità del ricorso proposto dinanzi al Tribunale in data 20 ottobre 1998, rinviando la causa dinanzi al Tribunale ai fini della decisione sul merito.

20.
    La Commissione, intervenuta a sostegno del Consiglio, chiede che la Corte voglia:

-    dichiarare irricevibile il ricorso contro la pronuncia del Tribunale;

-    in subordine, dichiarare il ricorso manifestamente infondato;

-    condannare la ricorrente alle spese.

21.
    Il Consiglio non ha depositato una memoria scritta, ma ha comunicato alla Corte per lettera di concordare con l'intervento della Commissione nel ritenere «il ricorso proposto dall'UPA manifestamente irricevibile». In udienza, basandosi su argomenti sostanzialmente simili a quelli addotti dalla Commissione, il Consiglio ha chiesto alla Corte di dichiarare il ricorso manifestamente infondato.

22.
    L'UPA adduce quattro argomenti in diritto. Nei primi tre si sostiene che la motivazione esposta ai punti 61-64 dell'ordinanza impugnata sarebbe insufficiente e contraddittoria e che si baserebbe su un'interpretazione erronea degli argomenti presentati dall'UPA.

23.
    Con il quarto argomento l'UPA sostiene che l'ordinanza impugnata viola il suo diritto fondamentale ad un'effettiva tutela giurisdizionale, che è un principio riconosciuto del diritto comunitario, inerente al sistema dei rimedi giurisdizionali istituito dal Trattato. Essa è pertanto errata in diritto. A suo giudizio, in base al suddetto principio il Tribunale, nel decidere se riconoscere ad un singolo il diritto di impugnare un regolamento ex art. 230, quarto comma, CE, sarebbe tenuto ad esaminare, alla luce delle specifiche circostanze di diritto e di fatto del caso di specie, se l'applicazione dei requisiti per la legittimazione ad agire prescritti dall'art. 230, quarto comma, CE e interpretati dalla giurisprudenza impedirebbe al singolo di beneficiare di un'effettiva tutela giurisdizionale. Senza detto esame delle specifiche circostanze di ciascun caso di specie, il diritto ad un'effettiva tutela giurisdizionale non sarebbe efficacemente tutelato. Infatti, secondo l'UPA, i giudici comunitari possono dichiarare irricevibile un ricorso d'annullamento solo se un esame delle pertinenti disposizioni di diritto interno riveli l'esistenza di procedure che consentirebbero al ricorrente di eccepire dinanzi alla Corte la presunta illegittimità del provvedimento impugnato mediante la proposizione di una domanda pregiudiziale formulata da un giudice nazionale.

24.
    Il Consiglio e la Commissione contestano tali affermazioni.

25.
    La Commissione sostiene, in via preliminare, che il ricorso contro l'ordinanza del Tribunale è manifestamente irricevibile, in quanto l'UPA non avrebbe interesse all'annullamento dell'ordinanza impugnata (20). A suo giudizio, l'UPA ammette di non essere individualmente riguardata dal regolamento impugnato ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. Secondo la Commissione, i quattro argomenti prospettati dall'UPA mirano in sostanza a dimostrare che l'ordinanza impugnata è contraria al principio dell'effettiva tutela giurisdizionale. Tuttavia, se anche la Corte di giustizia dovesse annullare l'ordinanza impugnata per tale motivo, il Tribunale non riconoscerebbe all'UPA il diritto di agire in giudizio (e pertanto i suoi argomenti di merito non verrebbero presi in esame), poiché la legittimazione ad agire va determinata esclusivamente sulla base dei criteri sanciti dall'art. 230, quarto comma CE. In tale contesto la Commissione sostiene che la motivazione esposta ai punti 61-64 dell'ordinanza impugnata vanno considerati come obiter dicta, poiché il vero motivo per il quale il ricorso dell'UPA è stato respinto è che quest'ultima non è individualmente riguardata.

26.
    A mio giudizio, per ragioni che diverranno evidenti in prosieguo, non occorre soffermarsi specificamente sulla questione preliminare della ricevibilità. L'argomento della Commissione attiene al merito del ricorso e dev'essere esaminato assieme agli altri argomenti.

27.
    Il Consiglio e la Commissione sostengono inoltre che il ricorso è infondato. Ai primi tre argomenti addotti dall'UPA essi ribattono che la motivazione dell'ordinanza impugnata non è insufficiente né contraddittoria e si basa su una corretta interpretazione degli argomenti addotti dalla ricorrente.

28.
    In risposta al quarto argomento la Commissione sostiene che il diritto ad un'effettiva tutela giurisdizionale, pur essendo un principio riconosciuto di diritto comunitario, non viene in rilievo ogniqualvolta un singolo intenda impugnare direttamente un atto di portata generale dinanzi a un giudice comunitario. Il Trattato ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali che consente ai singoli di impugnare atti di portata generale promuovendo ricorsi dinanzi ai giudici nazionali (i quali possono chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale) quando tali atti sono applicati dalle autorità nazionali o dalle istituzioni comunitarie. Negare ad un singolo il diritto di impugnare direttamente un provvedimento di portata generale ex art. 230, quarto comma, CE, non costituisce quindi, di per sé, una violazione del principio dell'effettiva tutela giurisdizionale.

29.
    Inoltre, nel caso in cui norme di diritto interno impediscano in via eccezionale ad un singolo di impugnare un atto di portata generale di fronte ai giudici nazionali o di ottenere che la Corte si pronunci in via pregiudiziale sulla presunta illegittimità di tale atto, la soluzione non consiste nel modificare il sistema dei rimedi istituito dal Trattato, o di adottare un'interpretazione contra legem dell'art. 230 CE, bensì nel cambiare le suddette norme di diritto interno, in modo da garantire che il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale venga rispettato e che lo Stato membro in questione adempia all'obbligo di cooperazione sancito dall'art. 10 CE. La Commissione conseguentemente conclude che la Corte dovrebbe ribadire la propria giurisprudenza nel senso che il diritto di agire dei singoli dev'essere stabilito esclusivamente con riferimento al requisito dell'interesse diretto e individuale di cui all'art. 230 CE.

30.
    Infine, la Commissione contesta l'affermazione dell'UPA secondo la quale non è possibile contestare la legittimità del regolamento impugnato dinanzi ai giudici spagnoli. A tal proposito, la Commissione sostiene che l'UPA dovrebbe: (i) presentare all'amministrazione spagnola una domanda per uno dei tipi di aiuti aboliti dal regolamento impugnato in modo da contestare il rifiuto esplicito o implicito, da parte dell'amministrazione, di soddisfare tale richiesta; (ii) far valere la presunta violazione del suo diritto fondamentale all'effettiva tutela giurisdizionale dinanzi alla Corte costituzionale spagnola (Tribunal Constitucional); o (iii) chiedere all'amministrazione spagnola il risarcimento dei danni causati dalla violazione di tale diritto.

Delimitazione delle questioni

31.
    L'importante questione di principio alla quale ho accennato nel paragrafo 3 delle presenti conclusioni viene posta dal quarto argomento addotto dall'UPA. In udienza le parti e la Commissione hanno posto l'accento su tale questione: ritengo pertanto opportuno iniziare con l'esame del quarto argomento.

32.
    Al fine di stabilirne la fondatezza occorre considerare, innanzi tutto, se l'approccio suggerito dall'UPA trovi riscontro nella giurisprudenza e in tal caso, valutare, in secondo luogo, se tale approccio dovrebbe essere confermato dalla Corte di giustizia nel caso in oggetto.

Sentenza Greenpeace

33.
    Come messo in rilievo dall'UPA, la sentenza pronunciata dalla Corte nella causa Greenpeace (21) deve costituire il punto di partenza per l'analisi della questione sollevata nel presente caso. In detta causa alcuni privati e associazioni ambientaliste contestavano la validità di una decisione con la quale la Commissione aveva accordato contributi comunitari per la costruzione di due centrali elettriche nelle isole Canarie. Il Tribunale di primo grado aveva respinto il ricorso ritenendo che i ricorrenti non fossero individualmente riguardati dalla decisione impugnata. In sede di impugnazione la Corte di giustizia ha dichiarato, in primo luogo, che «l'interpretazione [dell'art. 230, quarto comma, CE], adottata dal Tribunale per dichiarare il difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti [era] conforme alla costante giurisprudenza della Corte» (22). In secondo luogo, essa ha respinto gli argomenti secondo i quali tale giurisprudenza non avrebbe dovuto applicarsi ai ricorsi basati essenzialmente su considerazioni di carattere ambientale (23). Infine, essa ha preso in esame un argomento, presentato dai ricorrenti, secondo il quale la decisione controversa non poteva essere impugnata dinanzi ai giudici nazionali e che pertanto essi erano legittimati ad agire ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. La Corte ha respinto tale argomento dichiarando quanto segue (24):

«Quanto all'argomento dei ricorrenti secondo il quale l'applicazione della giurisprudenza della Corte avrebbe per conseguenza che, nel caso di specie, i diritti discendenti dalla direttiva 85/337 sarebbero privi di effettiva tutela giurisdizionale, occorre rilevare che, come risulta dagli atti, Greenpeace ha [proposto un ricorso] dinanzi ai giudici nazionali (...). Sebbene questi ricorsi e quello proposto dinanzi al Tribunale abbiano oggetti diversi, entrambi si fondano tuttavia sugli stessi diritti risultanti, per i singoli, dalla direttiva 85/337; tali diritti sono, nel caso di specie, pienamente tutelati dai giudici nazionali, che possono eventualmente sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. [234 CE ...]. Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel valutare la legittimazione ad agire dei ricorrenti, tenuto conto dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte richiamata al punto 7 della presente sentenza».

34.
    Come sottolineato dall'UPA, questi brani si possono interpretare nel senso che un singolo può essere legittimato ad impugnare un atto comunitario allorché l'applicazione della giurisprudenza tradizionale della Corte avrebbe la conseguenza di privarlo di un'effettiva tutela giurisdizionale, considerata l'impossibilità di impugnare tale atto dinanzi ai giudici nazionali. Tuttavia, come la Commissione ha fatto osservare, questo non è l'unico modo in cui la sentenza Greenpeace può essere interpretata. In proposito, la Commissione attira l'attenzione sull'ordinanza Federación de Cofradías de Pescadores de Guipúzcoa e al. (25), nella quale il Presidente della Corte ha dichiarato quanto segue:

«In questo procedimento, in primo luogo, per quanto riguarda l'argomento preliminare prospettato dai ricorrenti, relativo all'impossibilità di assoggettare la validità del regolamento n. 2742/1999 alla valutazione della Corte altrimenti che mediante un ricorso di annullamento, si deve sottolineare che questa circostanza, ammesso che sia comprovata, non può autorizzare una modifica del sistema dei rimedi giuridici e dei procedimenti stabilito dagli artt. 230 CE, 234 CE e 235 CE e diretto ad attribuire alla Corte il sindacato sulla legittimità degli atti delle istituzioni. In nessun caso detta circostanza consente di dichiarare ricevibile un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica che non soddisfa le condizioni prescritte dall'art. 230, quarto comma, CE (v. ordinanze 23 febbraio 1995, causa C-10/95 P, Asocarne/Consiglio, Racc. pag. I-4149, punto 26, e 24 aprile 1996, causa C-87/95 P, CNPAAP/Consiglio, Racc. pag. I-2003, punto 38)» (26).

35.
    A mio avviso, è evidente che la sentenza Greenpeace non esclude la possibilità di ammettere la legittimazione ad agire, in un caso particolare, qualora l'applicazione dell'art. 230, quarto comma, CE, come interpretato dalla giurisprudenza, comporterebbe il diniego di un'effettiva tutela giurisdizionale. Tuttavia, suggerisco di non soffermarsi a valutare se la Corte intendesse ammettere tale possibilità. E' sufficiente rilevare che la sentenza della Corte si basa sull'idea secondo la quale, in linea di massima, gli atti comunitari di portata generale debbono essere impugnati dai singoli dinanzi ai giudici nazionali (27) e che ai singoli è garantita un'effettiva tutela giurisdizionale contro gli atti illegittimi, in quanto i giudici nazionali possono chiedere alla Corte di giustizia, mediante la proposizione di una domanda pregiudiziale, di pronunciarsi sulla validità degli atti comunitari (28). Inizierò con il prendere in esame l'affermazione secondo la quale il procedimento di rinvio pregiudiziale garantisce un'effettiva tutela giurisdizionale contro gli atti di portata generale. Anche se suggerirò che questa affermazione non è corretta per diverse ragioni, e che pertanto è auspicabile ampliare la legittimazione ad agire dinanzi al Tribunale di primo grado, queste non sono affatto le ragioni più forti che portano a tale conclusione. Mi occuperò di questi ulteriori argomenti più avanti (paragrafi 59-96).

E' corretto affermare che il procedimento pregiudiziale garantisce una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro atti comunitari di portata generale?

36.
    In udienza l'UPA ha dichiarato di non domandare alla Corte di cambiare la propria giurisprudenza sull'interpretazione dell'art. 230, quarto comma, CE. Tuttavia, negli argomenti da essa esposti è implicita una forte critica della giurisprudenza, la quale a suo giudizio potrebbe comportare un diniego di giustizia, salvo eccezioni in casi specifici.

37.
    Concordo con l'UPA sul fatto che la giurisprudenza in tema di legittimazione ad agire dei singoli pone alcuni problemi. Come spiegherò in seguito, il fatto che un singolo non possa (nella maggior parte dei casi) impugnare direttamente un atto che gli arreca pregiudizio, quando si tratti di un atto di portata generale, appare inaccettabile sostanzialmente per due ragioni. Innanzi tutto, il quarto comma dell'art. 230 CE dev'essere interpretato in conformità con il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale. I procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, però, non sempre garantiscono ai privati un'effettiva tutela giurisdizionale e talvolta non forniscono alcuna tutela. Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa all'interpretazione dell'art. 230, quarto comma, CE incoraggia i singoli a sollevare indirettamente dinanzi alla Corte questioni di validità degli atti comunitari, tramite i giudici nazionali. I ricorsi promossi direttamente dinanzi al Tribunale di primo grado sono però più adatti a risolvere le questioni di validità rispetto ai procedimenti promossi dinanzi alla Corte ex art. 234 CE, e vi sono inoltre minori probabilità che essi comportino incertezza giuridica per i singoli e per le istituzioni comunitarie. Si può aggiungere a quanto sopra che l'atteggiamento restrittivo della Corte nei confronti dei singoli è anomalo, se si considerano la sua giurisprudenza su altri aspetti del controllo giurisdizionale e i recenti sviluppi nella legislazione amministrativa degli Stati membri.

La possibilità che i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali non garantiscano ai singoli un'effettiva tutela giurisdizionale

38.
    Come unanimemente riconosciuto nel presente caso, la giurisprudenza della Corte accoglie il principio secondo il quale il singolo che si reputi leso da un atto che lo priva di un diritto o di un vantaggio stabiliti dalla disciplina comunitaria deve poter disporre di un ricorso contro questo atto e fruire di una tutela giurisdizionale completa (29).

39.
    Tale principio, come la Corte ha più volte ribadito, deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (30). Inoltre, la Carta sui diritti fondamentali dell'Unione europea (31), anche se priva di forza vincolante, sancisce un principio generalmente riconosciuto dichiarando, all'art. 47 che «[o]gni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice».

40.
A mio avviso, però, i ricorsi promossi dinanzi ai giudici nazionali non sono in grado di garantire una tutela giurisdizionale piena ed effettiva ai singoli che intendano contestare la validità degli atti comunitari.

41.
    Occorre ricordare, innanzi tutto, che i giudici nazionali non possono dichiarare l'invalidità di un atto di diritto comunitario (32). In una causa relativa alla validità di un atto comunitario il giudice nazionale è competente unicamente valutare se gli argomenti addotti dal ricorrente siano idonei a mettere sufficientemente in dubbio la validità dell'atto impugnato per giustificare una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte. Mi sembra quindi una forzatura sostenere che i giudici nazionali rappresentino il foro idoneo al trattamento di questo tipo di cause. La competenza rigidamente limitata dei giudici nazionali nelle cause aventi ad oggetto la validità degli atti comunitari contrasta con l'importanza del ruolo che essi svolgono nelle cause riguardanti l'interpretazione, l'applicazione e l'esecuzione del diritto comunitario. In queste cause, come la Commissione ha affermato in udienza, il giudice nazionale può essere definito come il giudice ordinario di diritto comunitario. Questa definizione non è però adatta per le cause in cui non vengono sollevate questioni attinenti all'interpretazione, ma soltanto alla validità degli atti comunitari, poiché in questo tipo di cause il giudice nazionale non è competente a decidere la questione.

42.
    Inoltre, il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale esige che i ricorrenti possano adire un giudice che abbia il potere di concedere loro rimedi in grado di tutelarli contro gli effetti di atti illegittimi. La possibilità di adire la Corte di giustizia in base all'art. 234 CE, tuttavia, non costituisce un rimedio giuridico posto a disposizione dei singoli come un diritto incondizionato. E' possibile che i giudici nazionali si rifiutino di effettuare il rinvio e, nonostante l'obbligo incombente in tal senso ai giudici di ultimo grado in forza dell'art. 234 CE, gli appelli previsti nei sistemi giudiziari nazionali possono comportare ritardi considerevoli, di per sé incompatibili con il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale e con le esigenze di certezza del diritto (33). I giudici nazionali (anche di grado più elevato) possono poi commettere errori nel valutare in via preliminare la validità di atti comunitari di carattere generale e, conseguentemente, omettere di rinviare la questione di validità alla Corte. Per di più, quando viene effettuato un rinvio, spetta in linea di principio al giudice nazionale formulare le questioni alle quali la Corte dovrà rispondere. E' quindi possibile che le domande dei ricorrenti vengano riformulate nelle questioni sottoposte alla Corte. Può accadere, per esempio, che i giudici nazionali nel formulare le questioni limitino la gamma degli atti comunitari che il ricorrente ha inteso impugnare o i motivi di invalidità che egli voleva far valere.

43.
    In terzo luogo, per i singoli può essere difficile, e in alcuni casi impossibile, impugnare un atto comunitario per il quale non occorrano, come nel caso del regolamento impugnato, misure di trasposizione adottate dalle autorità nazionali. In simile ipotesi, è possibile che non esistano atti sulla base dei quali proporre un ricorso dinanzi ai giudici nazionali. Il fatto che un privato cittadino pregiudicato da un atto comunitario possa, in taluni casi, contestarne la validità dinanzi a un giudice nazionale, violando le disposizioni contenute nell'atto stesso ed eccependo l'illegittimità di tali disposizioni come argomento difensivo in un procedimento civile o penale nel quale egli sia parte convenuta, non offre un adeguato strumento di tutela giurisdizionale. E' evidente che non si può chiedere ai singoli di violare la legge per avere accesso alla giustizia.

44.
    Infine, rispetto ai ricorsi diretti dinanzi al Tribunale di primo grado, i procedimenti promossi davanti ai giudici nazionali presentano svantaggi notevoli per i singoli. Tali procedimenti, cui si aggiunge la fase del rinvio ex art. 234 CE, possono comportare sostanziosi ritardi e costi suppletivi. L'eventualità di ritardi inerente ai procedimenti promossi dinanzi ai giudici nazionali, unita alla possibilità di appelli prevista dai sistemi nazionali, rende necessario in molti casi adottare misure provvisorie. Tuttavia, anche se i giudici nazionali hanno la facoltà di sospendere un provvedimento nazionale basato su un atto comunitario o di accordare un provvedimento provvisorio nell'attesa di una pronuncia pregiudiziale da parte della Corte (34), l'esercizio di tale facoltà è soggetto a innumerevoli condizioni e, malgrado lo sforzo della Corte per fornire orientamenti riguardo alla loro applicazione, dipende in certa misura dalla discrezionalità dei giudici nazionali. In ogni caso, i provvedimenti provvisori concessi da un giudice nazionale sarebbero limitati allo Stato membro in questione e pertanto i ricorrenti potrebbero essere costretti a promuovere ricorsi in più di uno Stato membro. Ciò renderebbe possibili decisioni contrastanti da parte dei giudici di Stati membri diversi, pregiudicando l'uniforme applicazione del diritto comunitario e, in casi estremi, sovvertendola totalmente.

I procedimenti dinanzi al Tribunale di primo grado ex art. 230 CE sono generalmente più adatti alla soluzione delle questioni di validità rispetto ai rinvii pregiudiziali ex art. 234 CE

45.
    Ritengo inoltre che i procedimenti dinanzi al Tribunale ex art. 230 CE siano in generale più adatti a risolvere le questioni di validità rispetto ai procedimenti pregiudiziali ex art. 234 CE.

46.
    La procedura è più appropriata in quanto l'istituzione autrice dell'atto impugnato è parte del procedimento dall'inizio alla fine e, inoltre, i ricorsi diretti implicano uno scambio completo di memorie, in contrapposizione ad un unico deposito di atti seguito da osservazioni orali dinanzi alla Corte. La possibilità di accordare provvedimenti provvisori ai sensi degli artt. 242 e 243 CE, efficaci in tutti gli Stati membri, costituisce poi un vantaggio notevole per i singoli e per l'uniformità del diritto comunitario.

47.
    Inoltre, quando viene promosso un ricorso diretto, il pubblico ne viene informato tramite un avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale e i terzi possono intervenire, a condizione che riescano a dimostrare di avere un interesse sufficiente, ai sensi dell'art. 37 dello Statuto della Corte. Secondo l'art. 20 dello Statuto, nei procedimenti pregiudiziali i singoli non possono presentare osservazioni a meno che non siano intervenuti nella causa dinanzi al giudice nazionale. Ciò può risultare difficile in quanto, sebbene la comunicazione del rinvio sia pubblicata nella Gazzetta ufficiale, è possibile che i singoli non vengano a conoscenza delle cause promosse dinanzi ai giudici nazionali in tempo per effettuare un intervento.

48.
    Ancor più importante è il fatto che è evidentemente auspicabile, per ragioni di certezza del diritto, che i ricorsi aventi ad oggetto la validità degli atti comunitari vengano proposti appena possibile dopo la loro adozione. Mentre i ricorsi diretti debbono essere promossi entro il termine dei due mesi di cui all'art. 230, quinto comma, CE, la validità degli atti comunitari può essere contestata, in linea di principio, in qualunque momento dinanzi ai giudici nazionali (35). I rigorosi criteri per stabilire la legittimazione ad agire dei singoli, indicati dall'attuale giurisprudenza sull'art. 230 CE, costringono i singoli medesimi a sollevare le questioni di validità dinanzi alla Corte ex art. 234 CE, e possono pertanto comportare un affievolimento della certezza del diritto.

Conclusione preliminare

49.
    In considerazione delle ragioni appena esposte, ritengo che la giurisprudenza relativa alla legittimazione ad agire dei privati, come riesaminata nella sentenza Greenpeace, in qualunque modo la si voglia interpretare, sia incompatibile con il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale. Se il controllo degli atti comunitari attraverso ricorsi dinanzi ai giudici nazionali può essere opportuno nelle cause in cui vengono sollevate al contempo questioni di interpretazione e di validità del diritto comunitario, i ricorsi dinanzi al Tribunale di primo grado ex art. 230, quarto comma, CE, sono evidentemente più appropriati nelle cause concernenti esclusivamente la validità di un atto comunitario. Poiché simili cause per definizione sollevano questioni di diritto, la possibilità di un'impugnazione per motivi di diritto prevista dall'art. 225 CE garantirebbe l'esercizio di un effettivo sindacato finale da parte della Corte sulle decisioni adottate dal Tribunale.

Approccio sostenuto dall'UPA

50.
    Contrariamente a quanto sostenuto dall'UPA, non ritengo che da tale conclusione derivi che un ricorrente non individualmente riguardato ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, così come finora interpretato nella giurisprudenza, dovrebbe considerarsi legittimato ad impugnare un regolamento quando, da un esame del caso particolare, emerga che altrimenti egli sarebbe privato di un'effettiva tutela giurisdizionale.

51.
    In primo luogo, come messo in evidenza dalla Commissione, tale ipotesi non trova alcun sostegno nel dettato dell'art. 230, quarto comma, CE. I presupposti per la legittimazione ad agire indicati in tale disposizione sono definiti in modo oggettivo [«(...) che la riguardano direttamente e individualmente»] e senza alcun riferimento alla possibilità o meno di esperire, in casi particolari, rimedi giuridici alternativi dinanzi ai giudici nazionali.

52.
    In secondo luogo, il Trattato attribuisce al giudice comunitario il compito di pronunciarsi sull'interpretazione e sulla validità del diritto comunitario, ma, come la Corte ha ripetutamente affermato, non quello di pronunciarsi sull'interpretazione e sulla validità del diritto nazionale. Se il giudice comunitario potesse valutare, caso per caso, l'esistenza nel diritto interno di procedure e rimedi giuridici che consentano ai singoli di impugnare atti comunitari, a mio avviso si avvicinerebbe pericolosamente ad un ruolo che il Trattato non gli conferisce. Inoltre, il giudice comunitario non si trova nella posizione migliore per effettuare un'indagine dettagliata del diritto processuale nazionale che in alcuni casi può rivelarsi complessa e dispendiosa in termini di tempo. Ciò è dimostrato dal caso in oggetto, in cui le parti non concordano sulla posizione del ricorrente nel diritto spagnolo e in cui è difficile, anzi impossibile, stabilire sulla base delle informazioni contenute nel fascicolo e degli argomenti presentati in udienza se il diritto interno metta a disposizione della ricorrente rimedi giuridici alternativi.

53.
    In terzo luogo, ammettere che la legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE può dipendere dal diritto nazionale (il quale può essere diverso da uno Stato membro all'altro ed evolvere nel tempo) comporterebbe inevitabili disuguaglianze e comprometterebbe la certezza del diritto in un settore già notevolmente complesso. Sarebbe a mio avviso iniquo il fatto che, per esempio, ad un cittadino spagnolo fosse consentito impugnare un regolamento ex art. 230, quarto comma, CE, mentre un cittadino del Regno Unito, pregiudicato in modo analogo dal regolamento, non potesse adire il Tribunale di primo grado e ciò a causa delle diverse regole sulla legittimazione ad agire vigenti nei due Stati membri. Un simile risultato sarebbe contrario al principio della parità di trattamento e potrebbe far sì che la legittimità dello stesso atto venga contestata contemporaneamente davanti al Tribunale e davanti alla Corte.

Approccio caldeggiato dal Consiglio e dalla Commissione

54.
    Il problema, pertanto, è come garantire ai ricorrenti privati un'effettiva tutela giurisdizionale nel rispetto dei limiti imposti dalla lettera e dall'economia del Trattato. Il Consiglio e la Commissione hanno suggerito, in sostanza, che la soluzione consiste nel cambiare le norme di diritto interno che rendono difficile o impossibile impugnare atti comunitari dinanzi ai giudici nazionali.

55.
    Non posso accettare neppure questa soluzione.

56.
    Come ho già spiegato, la possibilità di adire la Corte ex art. 234 CE non costituisce un rimedio giuridico posto a disposizione dei singoli come un diritto incondizionato. Il diritto comunitario non attribuisce ai singoli la possibilità di controllare se viene effettuato un rinvio pregiudiziale, quali atti vengono sottoposti al sindacato della Corte o quali motivi di invalidità vengono prospettati nella questione formulata dal giudice nazionale. Queste caratteristiche sono inerenti al sistema di cooperazione giudiziaria stabilito dall'art. 234 CE e non possono essere cambiate tramite modifiche a livello del diritto processuale nazionale. Inoltre, l'approccio sostenuto dal Consiglio e dalla Commissione non risolverebbe gli altri problemi legati al procedimento di rinvio pregiudiziale e sopra individuati: i ricorrenti continuerebbero a dover affrontare gravi ritardi, ad incontrare ostacoli per ottenere provvedimenti provvisori e non usufruirebbero dei vantaggi in termini di procedura e certezza del diritto propri dei ricorsi diretti.

57.
    Inoltre, l'ipotesi secondo cui una tutela giurisdizionale effettiva sarebbe garantita da una pronuncia che dichiarasse contrarie al diritto comunitario le disposizioni nazionali che rendono difficili o impossibili i ricorsi contro gli atti comunitari sottovaluta le difficoltà connesse alla modifica dell'operatività dei sistemi giuridici nazionali. Come sottolineato dall'UPA, sarebbe oltremodo difficile, tanto per i singoli quanto per la Commissione, agente ex art. 226 CE, controllare e far rispettare un obbligo di garantire ai singoli la possibilità di impugnare atti comunitari di portata generale dinanzi ai giudici nazionali.

58.
    Oltre tutto, va rilevato che per garantire ai singoli l'accesso alla giustizia in tutti gli Stati membri, la Corte dovrebbe pronunciarsi, anche ripetutamente, su problemi intrinsecamente delicati e che finora sono stati considerati appartenere interamente alla sfera dell'autonomia processuale nazionale.

Soluzione proposta: una nuova interpretazione del concetto di interesse individuale

59.
    La chiave per risolvere il problema relativo alla tutela dei singoli contro atti comunitari illegittimi è quindi contenuta, a mio avviso, nel concetto di interesse individuale di cui all'art. 230, quarto comma, CE. Non vi è nessun obbligo di interpretare tale nozione nel senso che un singolo che intenda impugnare un atto di portata generale deve distinguersi da tutti coloro che sono colpiti in modo analogo, alla stessa stregua del destinatario. Secondo questa interpretazione, più elevato è il numero delle persone toccate da un atto, minore è la possibilità di un sindacato giurisdizionale ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. A mio parere, tuttavia, il fatto che un atto leda un gran numero di soggetti, causando un danno diffuso anziché limitato, fornisce una ragione indiscutibile per ammettere ricorsi diretti da parte di uno o più singoli.

60.
    A mio avviso, pertanto, si dovrebbe ammettere che un soggetto sia considerato individualmente riguardato da un atto comunitario nel caso in cui, in ragione delle circostanze di fatto a lui peculiari, tale atto pregiudichi o possa pregiudicare in modo sostanziale i suoi interessi.

I vantaggi dell'interpretazione del concetto di interesse individuale qui proposta

61.
    Un'evoluzione della giurisprudenza sull'interpretazione dell'art. 230 CE nel senso appena descritto apporterebbe numerosi e sostanziali vantaggi.

62.
    In primo luogo, respingere le soluzioni proposte dall'UPA, dal Consiglio e dalla Commissione (e vi sono validissime ragioni per farlo) appare come l'unico modo per evitare quel che in alcuni casi potrebbe rivelarsi un totale difetto di tutela giurisdizionale (un déni de justice).

63.
    In secondo luogo, la suggerita interpretazione del concetto di interesse individuale rafforzerebbe notevolmente la tutela giurisdizionale. Prevedere un sistema di verifica della legittimazione dei singoli più generoso di quello adottato dall'attuale giurisprudenza della Corte non solo garantirebbe ai privati direttamente pregiudicati da atti comunitari di non restare mai privi di rimedi giurisdizionali, ma consentirebbe altresì di esaminare le questioni di validità degli atti di portata generale nell'ambito del procedimento più adatto alla loro soluzione, e nel quale è possibile accordare provvedimenti provvisori efficaci.

64.
    In terzo luogo, si avrebbe anche il grande vantaggio di rendere chiaro un corpus giurisprudenziale che spesso, e a mio avviso giustamente, è stata criticato per la sua complessità e per mancanza di coerenza (36), e che può rendere difficile per gli avvocati consigliare dinanzi a quale tribunale instaurare un procedimento, o anche indurli a promuovere procedimenti paralleli davanti ai giudici nazionali e davanti al Tribunale di primo grado.

65.
    In quarto luogo, dichiarando che i singoli sono individualmente riguardati da un atto di portata generale che li lede, la Corte incoraggerebbe l'uso dei ricorsi diretti per risolvere problemi di validità, limitando quindi il numero delle contestazioni sollevate per il tramite dei procedimenti ex art. 234 CE. Questo, come spiegato poc'anzi, avrebbe effetti positivi sulla certezza del diritto e sull'uniforme applicazione del diritto comunitario. Va osservato, in proposito, che la giurisprudenza TWD (37) (ai sensi della quale un singolo non può impugnare un atto ex art. 234 CE nel caso in cui, sebbene non sussistano dubbi sulla sua legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, egli abbia omesso di agire entro il termine stabilito dal quinto comma del medesimo articolo) non si applicherebbe normalmente, a mio avviso, agli atti di carattere generale. Tale giurisprudenza, pertanto, non osterebbe alla possibilità per i singoli pregiudicati da atti di portata generale di impugnare tali atti dinanzi ai giudici nazionali. Tuttavia, ove il concetto di interesse individuale venisse interpretato nel modo da me suggerito, e se la legittimazione ad agire dei singoli venisse di conseguenza estesa, ci si potrebbe aspettare un incremento nel numero dei ricorsi diretti promossi dinanzi al Tribunale.

66.
    Una questione di pari o anche maggiore importanza è che l'interpretazione da me suggerita dell'art. 230 CE sposterebbe il centro di gravità del sindacato giurisdizionale dalle questioni di ricevibilità a quelle di merito. Si può convenire sul fatto che il processo legislativo comunitario dovrebbe essere messo al riparo da indebiti interventi dei giudici, ma detta tutela può essere opportunamente garantita applicando criteri sostanziali per l'esercizio del sindacato giurisdizionale che lascino alle istituzioni un adeguato «margine di discrezionalità» nell'esercizio dei propri poteri (38), anziché applicando rigide regole sulla ricevibilità le quali producono l'effetto di escludere «alla cieca» i ricorrenti senza considerare la fondatezza degli argomenti da essi addotti.

67.
    Infine, la suggerita interpretazione del concetto di interesse individuale eliminerebbe alcune delle anomalie presenti nella giurisprudenza della Corte sul controllo giurisdizionale. Le più importanti derivano dal fatto che la Corte ha adottato diversi modi di interpretare il concetto di interesse individuale e altre disposizioni dell'art. 173 del Trattato CEE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE).

68.
    Per esempio, la Corte ha adottato un'interpretazione generosa dei tipi di atti soggetti al sindacato giurisdizionale. Ai sensi dell'art. 173, primo comma, del Trattato CEE, la Corte era in origine competente ad esercitare il sindacato «sugli atti del Consiglio e della Commissione che non siano raccomandazioni o pareri». L'art. 189 del Trattato CEE (divenuto art. 249 CE) distingueva gli atti comunitari vincolanti in regolamenti, direttive e decisioni. Sulla base di tali disposizioni, si poteva pensare che la Corte fosse competente ad esercitare il suo sindacato di legittimità soltanto sui regolamenti, sulle direttive e sulle decisioni adottati dal Consiglio o dalla Commissione. Tuttavia, nella sentenza AETS (39) la Corte ha voluto verificare la legittimità del procedimento seguito dal Consiglio in merito alla negoziazione e alla stipulazione, da parte degli Stati membri, di un accordo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli che effettuano trasporti internazionali su strada (40) sostanzialmente sulla base del fatto che la finalità del sindacato giurisdizionale previsto dall'art. 173 del Trattato CEE (ossia quello di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato) sarebbe garantita solo quando sia possibile esperire l'azione di annullamento nei confronti di qualsiasi provvedimento, indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma, che miri a produrre effetti giuridici (41). Nella sentenza Les Verts (42) era stato chiesto alla Corte di valutare la legittimità di due atti adottati dal Parlamento europeo relativamente al rimborso delle spese delle formazioni politiche partecipanti alle elezioni del 1984. Nel dichiarare la ricevibilità del ricorso, la Corte ha sancito che mentre «l’art. 173 menziona solo gli atti del Consiglio e della Commissione (...), un’interpretazione [di tale articolo] che escludesse gli atti del Parlamento europeo dal novero di quelli impugnabili porterebbe ad un risultato contrastante sia con lo spirito del trattato, espresso nell’art. 164 [divenuto art. 220 CE], sia col sistema dello stesso» (43).

69.
Nel decidere quali istituzioni sono legittimate a promuovere ricorsi d'annullamento ai sensi del Trattato, la Corte non ha neppure adottato un'interpretazione restrittiva del Trattato stesso. Prima che entrasse in vigore il Trattato sull'Unione europea, il primo comma dell'art. 173 del Trattato CEE stabiliva la competenza della Corte a pronunciarsi «sui ricorsi (...) proposti da uno Stato membro, dal Consiglio o dalla Commissione». La mancanza, in tale disposizione, di qualsiasi riferimento al Parlamento europeo non ha però impedito alla Corte di dichiarare, nella sentenza Chernobyl (44) che «il Parlamento è legittimato ad agire dinanzi alla Corte con ricorso per annullamento avverso un atto del Consiglio o della Commissione, purché il ricorso sia inteso unicamente alla tutela delle sue prerogative» (45), in quanto «[i]l fatto che nei Trattati non vi sia una disposizione che attribuisca al Parlamento il diritto di agire con ricorso per annullamento può costituire una lacuna processuale, ma (...) non può prevalere sull'interesse fondamentale alla conservazione ed al rispetto dell'equilibrio istituzionale voluto dai Trattati istitutivi delle Comunità europee» (46).

70.
    Analogamente, nel valutare i motivi in base ai quali è possibile contestare la validità di atti comunitari adottati, la Corte ha dichiarato che, sebbene ai sensi dell'art. 173 del Trattato CEE la Corte fosse competente a pronunciarsi solo sui ricorsi «per violazione del (...) Trattato e di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione», «[l]a necessità di un sindacato completo e coerente della legittimità impone[va] di interpretare tale norma nel senso che non può escludere la competenza della Corte ad esaminare, nell'ambito di un ricorso mirante all'annullamento di un atto fondato su una disposizione del trattato CEE, una censura tratta dall'inosservanza di una norma del trattato CEEA o CECA» (47).

71.
    Appare difficile giustificare l'atteggiamento restrittivo nei confronti dei ricorrenti privati che la Corte ha adottato in merito all'art. 230, quarto comma, CE (atteggiamento che, malgrado l'ampliamento delle competenze comunitarie con i successivi emendamenti del Trattato, essa si è rifiutata di riconsiderare) alla luce delle sentenze emanate ai sensi degli altri commi dell'art. 173 del Trattato CEE, nelle quali la Corte ha seguito un'interpretazione generosa e dinamica del Trattato, andando persino contro la sua lettera, al fine di garantire che l'evoluzione dei poteri comunitari non comprometta il principio del diritto e l'equilibrio istituzionale.

72.
    Un'ulteriore anomalia in questo settore deriva dal fatto che il diritto comunitario non pone limiti al diritto dei singoli di promuovere ricorsi per risarcimento dei danni ex artt. 235 CE e 288 CE. La categoria dei singoli abilitati a chiedere il risarcimento dei danni causati da atti comunitari è quindi illimitata. Ciò appare paradossale, considerando la severità delle regole sulla legittimazione ad agire ex art. 230, quarto comma, CE, poiché le azioni per risarcimento vertono spesso, o vertono effettivamente, sulla contestazione della legittimità di atti comunitari di portata generale. E infatti il Tribunale è già competente ad esercitare il sindacato di legittimità sugli atti di portata generale nei ricorsi per risarcimento dei danni (o nelle eccezioni di illegittimità ex art. 241 CE) promossi da una categoria illimitata di privati.

Le obiezioni contro la suggerita interpretazione del concetto di interesse individuale

73.
    Quali sono, allora, le obiezioni contro l'idea che un singolo possa considerarsi riguardato individualmente da un atto comunitario qualora, in ragione delle circostanze di fatto a lui peculiari, tale atto pregiudichi o possa pregiudicare in modo sostanziale i suoi interessi? Il Consiglio e la Commissione sostengono che un'interpretazione del concetto di interesse individuale più ampia di quella adottata nell'attuale giurisprudenza della Corte sarebbe contraria all'art. 230, quarto comma, CE e darebbe origine ad una valanga di ulteriori ricorsi contro atti comunitari.

74.
    Questi argomenti non mi persuadono.

75.
    In primo luogo, occorre ammettere che la lettera dell'art. 230 CE pone taluni limiti che debbono essere rispettati. I singoli non sono tutti legittimati ad impugnare tutti gli atti comunitari. Tuttavia, non mi è possibile accettare la tesi secondo cui il dettato dell'art. 230, quarto comma, CE impedisce alla Corte di riconsiderare la propria giurisprudenza in tema di interesse individuale. E' chiaro, e non verrà mai ripetuto abbastanza, che il concetto di interesse individuale è suscettibile di una quantità di interpretazioni differenti e che, nello scegliere tra queste interpretazioni, la Corte può tener conto dello scopo dell'art. 230 CE e del principio dell'effettiva tutela giurisdizionale dei singoli (48). In ogni caso, nella giurisprudenza relativa ad altri settori (49) la Corte ha riconosciuto che un'interpretazione evolutiva dell'art. 230 CE è necessaria per colmare lacune procedurali esistenti nel sistema dei rimedi giuridici istituito dal Trattato e per garantire che la tutela giurisdizionale venga ampliata a fronte dell'aumento dei poteri delle istituzioni comunitarie. Questa giurisprudenza riconosce che potrebbe persino essere necessario discostarsi dalla lettera del Trattato per garantire un'effettiva tutela giurisdizionale, ma nel caso in oggetto non si richiede alla Corte di compiere un simile passo, poiché l'interpretazione da me suggerita è pienamente compatibile con la lettera del Trattato.

76.
    In secondo luogo, la lettera dell'art. 173, secondo comma, del Trattato CEE (divenuto art. 230, secondo comma, CE), è diversa, ed è più restrittiva, rispetto al dettato dell'art. 33 del Trattato CECA. E' stato detto che tale differenza rispecchia l'intenzione degli autori del Trattato di rompere con la giurisprudenza permissiva in tema di legittimazione ad agire che si è sviluppata in forza del Trattato CECA sin dalla sua entrata in vigore nel 1952 (50) e di imporre limiti rigorosi alla portata della legittimazione ad agire ai sensi del Trattato CEE (51), al fine di evitare che i numerosi ricorsi promossi da singoli compromettessero la legislazione adottata con non poca fatica all'unanimità dal Consiglio dei ministri (52).

77.
    A mio avviso, detto argomento non è mai stato molto convincente (53). E' raro, o quasi impossibile, che la sottrazione di atti potenzialmente illegittimi al sindacato giurisdizionale possa essere giustificata invocando l'efficienza amministrativa o legislativa. Ciò è particolarmente vero quando la limitazione del diritto di agire in giudizio può comportare un totale diniego di giustizia per i singoli. Gli argomenti tratti dai confronti fra il Trattato CECA e il Trattato CEE sono inoltre meno persuasivi oggi rispetto a quando la Corte è stata per la prima volta chiamata a definire il significato del concetto di interesse individuale (54). Il secondo comma dell'art.173 del Trattato CEE ha cambiato numerazione ma non è mai stato emendato nella sostanza da quando il Trattato è entrato in vigore, il 1° gennaio 1958. Non si può permettere a deduzioni desunte dal contesto storico di una disposizione risalente a quell'epoca di congelare l'interpretazione del concetto di interesse individuale. Questo punto è messo in rilievo dal fatto che le ragioni che possono aver motivato gli autori del Trattato a limitare la legittimazione ad agire dei singoli ai sensi del trattato CEE hanno oggi un'importanza comunque limitata. Da un lato, la Comunità europea è oggi stabilmente consolidata e il suo processo legislativo, in gran parte basato sull'adozione di atti a maggioranza da parte del Consiglio dei ministri e del Parlamento europeo, è sufficientemente solido per poter subire il sindacato giurisdizionale promosso dai singoli. Dall'altro lato, il diritto comunitario oggi influisce sugli interessi dei singoli direttamente, spesso e in misura considerevole; di conseguenza, vi è bisogno maggiore di una tutela giurisdizionale effettiva contro gli atti illegittimi.

78.
    Va poi rilevato che, sebbene le Comunità europee abbiano avuto origine da una serie di Trattati conclusi dagli Stati membri nell'ambito del diritto internazionale pubblico, l'ordinamento giuridico comunitario si è evoluto in modo tale che non è più corretto descriverlo come un sistema di cooperazione intergovernativa, né sarebbe corretto descrivere la Corte di giustizia come un tribunale internazionale. Il fatto che ai singoli sia stata tradizionalmente negata, o concessa in via eccezionale, la legittimazione a comparire dinanzi a organi giudiziari internazionali non ha pertanto alcun rilievo ai fini dell'interpretazione che oggi è opportuno dare all'art. 230, quarto comma, CE.

79.
    In terzo luogo, non sono convinto che un ammorbidimento dei requisiti per l'interesse individuale darebbe luogo a un diluvio di cause che intaserebbero il meccanismo giudiziario. Non esiste prova che ciò sia avvenuto nei sistemi giuridici, all'interno e all'esterno dell'Unione europea, che negli anni recenti hanno gradualmente attenuato il rigore dei requisiti per la legittimazione ad agire (55). La promozione di ricorsi da parte di singoli ex art. 230 CE, inoltre, è soggetta a numerose condizioni. Oltre all'interesse individuale, i ricorrenti debbono dimostrare un interesse diretto, e proporre il ricorso entro due mesi. Anche se queste condizioni hanno avuto un ruolo limitato nella giurisprudenza del passato, la loro importanza aumenterebbe di certo di fronte ad un ammorbidimento dei presupposti per l'interesse individuale. Si può pensare che un allentamento dei requisiti per la legittimazione ad agire comporterebbe un incremento del numero dei ricorsi promossi ex art. 230, quarto comma, CE che, per quanto notevole, non sarebbe insostenibile.

80.
    L'aumento del numero delle cause non compromette necessariamente la capacità dei giudici comunitari di adempiere ai propri compiti e di fornire giustizia in tempi rapidi. Probabilmente, detto aumento sarebbe in gran parte dovuto a ricorsi proposti da diversi privati e associazioni contro gli stessi atti comunitari. Questi casi potrebbero essere trattati, senza significativi, ulteriori oneri a carico delle risorse del Tribunale, attraverso la riunione delle cause o la selezione di cause-pilota. In caso di ricorsi manifestamente infondati in diritto, il Tribunale, ex art. 111 del suo regolamento di procedura, ha la facoltà di respingerli con ordinanza motivata. Data la complessità dell'attuale giurisprudenza in tema di legittimazione ad agire, e considerate le dettagliate motivazioni delle ordinanze del Tribunale, particolarmente riguardo all'interesse individuale, il rigetto di tali ricorsi per motivi attinenti al merito richiederebbe un minimo sforzo aggiuntivo.

81.
    Inoltre, l'efficienza della Corte nel gestire le cause potrebbe essere incrementata, se necessario, grazie a riforme procedurali e giurisdizionali. Alcune modifiche del regolamento di procedura del Tribunale, dirette a incrementare la velocità dei processi, sono già state adottate (56). Il Trattato di Nizza (57) prevede procedure più flessibili per modificare i regolamenti di procedura del Tribunale e della Corte (58). Cosa ancor più importante, le modifiche del Trattato proposte dal Trattato di Nizza prevedono anche l'istituzione di camere giurisdizionali specificamente competenti per ricorsi proposti in settori specifici (59), come le cause promosse dai dipendenti e, forse, quelle in tema di marchi. Inoltre, resterà possibile, in caso di necessità, aumentare il numero dei membri e dei dipendenti del Tribunale.

E' giunto il momento di far evolvere l'interpretazione del concetto di interesse individuale?

82.
    In udienza il Consiglio ha sottolineato che la giurisprudenza in tema di interesse individuale è consolidata e non sarebbe pertanto opportuno discostarsene nel caso in oggetto. In effetti, per ragioni di certezza del diritto, la Corte dovrebbe discostarsi dalla giurisprudenza consolidata soltanto per ragioni imperative o quando i tempi siano maturi per compiere un simile passo. Nei paragrafi che precedono, ho rilevato che è divenuto oramai imprescindibile riconsiderare la giurisprudenza in tema di interesse individuale. A mio avviso, esistono quattro considerazioni che dimostrano come sia giunto il momento che la Corte risolva questo problema.

83.
    In primo luogo, l'affermazione del Consiglio secondo la quale l'intera giurisprudenza sull'interesse individuale sarebbe coerente e consolidata non è corretta. In numerose e importanti sentenze emesse negli ultimi dieci anni, la Corte ha ammorbidito entro certi limiti i requisiti per la legittimazione ad agire. Nelle sentenze Extramet (60) e Codorniu (61) la Corte ha ammesso che atti di portata generale in forma di regolamenti possono essere impugnati da privati poiché «la portata generale di un atto non esclude che questo possa concernere direttamente ed individualmente taluni operatori economici interessati» (62). La Corte ha inoltre dichiarato che un singolo si può considerare legittimato ad impugnare un atto di portata generale non solo quando egli rientra in una cerchia ristretta di soggetti colpiti dall'atto stesso, ma anche quando, in ragione di una circostanza di fatto che lo distingue da chiunque altro, egli si possa considerare come individualmente interessato (63). Nel caso Codorniu un produttore spagnolo di vino spumante intendeva impugnare una disposizione di un regolamento che riservava l'uso della dicitura «crémant» ai vini prodotti in determinate aree della Francia e del Lussemburgo. La disposizione poteva incidere sulla posizione di tutti i produttori comunitari di vino spumante che utilizzavano, o intendevano utilizzare, la dicitura «crémant». La Corte ha tuttavia rilevato che «la Codorniu ha registrato il marchio denominativo “Gran Cremant de Codorniu” in Spagna nel 1924 e che ha fatto uso tradizionalmente di tale marchio sia prima sia dopo tale registrazione. Riservando ai soli produttori francesi e lussemburghesi il diritto di far uso della dicitura “crémant”, la disposizione controversa giunge al risultato di impedire alla Codorniu di far uso del suo marchio denominativo» (64). Essa ha concluso che, pertanto, la Codorniu aveva «dimostrato l'esistenza, in rapporto alla disposizione controversa, di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità degli altri operatori economici» (65).

84.
    Il graduale movimento verso più ampie possibilità di accesso alla giustizia per i singoli, ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE testimonia una crescente accettazione del fatto che dei severi presupposti per la legittimazione ad agire dei singoli non sono più ammissibili. Il fatto che nella sentenza Greenpeace la Corte sembri aver lasciato aperta la possibilità di riconoscere la legittimazione ad agire in casi particolari nei quali, altrimenti, la giurisprudenza comporterebbe un diniego di giustizia (66) può essere anch'esso inteso come un riconoscimento dei problemi implicati da tale giurisprudenza. Un'approvazione ancor più esplicita di tale posizione può rinvenirsi nel contributo della Corte di giustizia alla Conferenza intergovernativa che ha portato all'adozione del Trattato di Amsterdam (67), nel quale essa ha dichiarato che «[c]i si può tuttavia chiedere se l'azione di annullamento, che l'art. 173 del Trattato CE e i corrispondenti disposti degli altri trattati attribuiscono ai singoli solo rispetto agli atti che li riguardino direttamente e individualmente, sia sufficiente a garantire loro una tutela giurisdizionale effettiva contro le lesioni arrecate ai loro diritti fondamentali dall'attività normativa delle istituzioni» (68).

85.
    In secondo luogo, la giurisprudenza sulla legittimazione ad agire dei singoli, come diversi autori hanno sottolineato, è sempre meno in linea con il diritto amministrativo degli Stati membri (69). Ad esempio, il diritto francese e i sistemi basati su di esso hanno utilizzato la nozione di «acte faisant grief» in modo che praticamente tutti i soggetti che siano pregiudicati da un provvedimento hanno diritto di impugnarlo; inoltre, il concetto di «intérêt pour agir» è stato interpretato in modo ampio (70). Nel diritto inglese il requisito giurisdizionale del «sufficient interest» che un privato deve possedere per domandare un sindacato giurisdizionale costituisce raramente un ostacolo alla ricevibilità del ricorso (71).

86.
    In altri settori i principi fondamentali del sindacato giurisdizionale sono stati modellati sui diritti degli Stati membri. Per esempio, il diritto comunitario tutela effettivamente taluni principi fondamentali derivati dai diritti nazionali, come la proporzionalità, l'uguaglianza, il legittimo affidamento, la certezza del diritto e i diritti umani fondamentali. Tuttavia, per quanto riguarda la legittimazione ad agire, la posizione dei singoli è di gran lunga più limitata rispetto a quel che accade in molti, anzi, in tutti i sistemi giuridici nazionali. Si tratta di una situazione paradossale, specialmente considerando le costanti preoccupazioni circa la mancanza di una legislazione comunitaria pienamente democratica, che espone la Comunità al rischio di resistenze da parte dei giudici nazionali, i quali, non dimentichiamolo, hanno ripetutamente sottolineato la loro intenzione di vigilare a che lo sviluppo del diritto comunitario non comprometta la tutela giurisdizionale dei singoli (72).

87.
    Si può obiettare che alcuni sistemi giuridici nazionali distinguono tra atti normativi e amministrativi e ammettono il controllo giurisdizionale su iniziativa dei singoli solo per gli atti amministrativi. Poiché gli atti comunitari di portata generale hanno un'efficacia analoga a quella delle leggi, il sindacato su richiesta dei singoli non sarebbe necessario.

88.
    Non concordo con tale obiezione.

89.
    E' vero che la possibilità di un sindacato giurisdizionale degli atti normativi è soggetta generalmente a condizioni più rigorose rispetto al controllo degli atti amministrativi, ma il diritto degli Stati membri non esclude, in linea di massima, la possibilità dei singoli di impugnare una legge che violi diritti costituzionali o principi fondamentali di diritto (73). In alcuni Stati membri, come l'Austria, il Belgio, la Germania o la Spagna (e in alcuni degli Stati candidati all'adesione all'Unione europea (74)) gli atti normativi possono essere impugnati dai singoli direttamente dinanzi ai giudici costituzionali. In altri Stati membri, come la Danimarca, la Grecia, l'Irlanda (75), il Portogallo e la Svezia, la legittimità degli atti normativi può essere contestata dinanzi ai giudici ordinari e da questi sancita.

90.
    Inoltre, le limitazioni esistenti negli Stati membri quanto alla possibilità di accedere al controllo giurisdizionale degli atti normativi si basano su due premesse fondamentali: i diritti nazionali in genere distinguono chiaramente tra atti normativi ed atti amministrativi e la legislazione viene adottata sistematicamente secondo procedure che garantiscono una legittimazione democratica superiore a quella degli atti amministrativi. I Trattati comunitari, invece, non definiscono una chiara «gerarchia di norme» (76). Inoltre, il Trattato CE distingue tra gli atti comunitari fondamentali e misure di attuazione (77), ma i primi non vengono adottati sistematicamente secondo procedimenti che garantiscono una legittimazione democratica superiore a quella dei secondi. Può accadere, per esempio, che un regolamento base adottato dal Consiglio e dal Parlamento europeo conferisca le relative competenze di attuazione al Consiglio o alla Commissione. La scelta dell'autorità esecutiva può condizionare il procedimento attraverso il quale verranno adottate le misure di attuazione e la loro legittimità democratica. Inoltre, è vero che il Parlamento europeo svolge un ruolo sempre più importante nel processo legislativo comunitario, ma i suoi poteri variano a seconda dei settori del Trattato interessati.

91.
    Non è possibile poi sostenere, analogamente alla posizione adottata in alcuni Stati membri, dove il sindacato sugli atti normativi è riservato ai giudici costituzionali, che il controllo degli atti di portata generale dovrebbe competere solo alla Corte di giustizia, escludendo il Tribunale di primo grado. Il Tribunale è già competente a esercitare il sindacato sugli atti di portata generale, in occasione tanto dei ricorsi per risarcimento danni quanto delle eccezioni di illegittimità.

92.
    Inoltre, nel preambolo della decisione istitutiva del Tribunale di primo grado (78), il legislatore comunitario ha dichiarato che «al fine di preservare la qualità e l'efficacia della tutela giurisdizionale nell'ordinamento giuridico comunitario, si deve consentire alla Corte di concentrare la sua attività sul suo compito principale, che è quello di assicurare l'interpretazione uniforme del diritto comunitario» (79) e che il compito del Tribunale è di «migliorare la tutela giurisdizionale dei soggetti» (80). Da tali disposizioni emerge che il legislatore comunitario ha previsto una suddivisione di competenze fra il Tribunale e la Corte; il primo si concentra sul controllo della legittimità degli atti comunitari su iniziativa dei singoli, mentre la seconda si concentra sulla soluzione dei problemi di interpretazione attraverso la procedura del rinvio pregiudiziale e sul sindacato di legittimità delle pronunce del Tribunale, garantendo il controllo finale della legittimità degli atti comunitari.

93.
    E' possibile che la Corte abbia ritenuto che la decisione istitutiva del Tribunale di primo grado non fornisse gli strumenti necessari per dare piena attuazione al suddetto disegno: difatti, in origine essa aveva conferito al Tribunale la competenza sui ricorsi promossi dai privati ex art. 230, quarto comma, CE solamente in settori connessi al diritto della concorrenza. Successivamente, però, il legislatore comunitario ha trasferito dalla Corte al Tribunale la competenza a decidere di tutti i ricorsi promossi dai privati ex art. 230, quarto comma, CE (81). Inoltre, a seguito degli emendamenti proposti dal Trattato di Nizza (82) alla lettera dell'art. 220 CE, si riconosce che il Tribunale non è semplicemente «affiancato» alla Corte di giustizia (art. 225 CE), ma che esso assicura, assieme alla Corte, il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato.

94.
    Il Trattato di Nizza, con il nuovo art. 225 CE, stabilisce la competenza del Tribunale a conoscere in primo grado di tutti i ricorsi di cui agli artt. 230, 232, 235, 236 e 238, ad eccezione di quelli attribuiti a una camera giurisdizionale e di quelli che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia. In tal modo, il Tribunale sarà competente a conoscere di tutti i ricorsi d'annullamento, indipendentemente dal fatto che siano proposti da privati, Stati membri o istituzioni comunitarie. Di conseguenza, il ruolo del Tribunale quale giudice principale per il controllo di legittimità, con possibilità di impugnazione dinanzi alla Corte, verrà rafforzato in modo significativo.

95.
    In un recente documento di lavoro, allo scopo di dare attuazione a tali disposizioni, la Corte ha proposto che, tra i ricorsi d'annullamento proposti da uno Stato membro, da istituzioni comunitarie o dalla Banca centrale europea, solo quelli proposti contro il Parlamento o il Consiglio, o promossi contro il Parlamento e il Consiglio congiuntamente, vengano riservati dallo Statuto alla Corte di giustizia. Secondo tale proposta, questi ricorsi dovrebbero essere riservati alla Corte in modo da salvaguardare il suo «ruolo semi-costituzionale» di controllo dell'«attività normativa fondamentale» («activité normative de base»). Tuttavia, «per evitar di ritornare sul trasferimento al Tribunale dei ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche, la proposta è limitata ai ricorsi promossi dagli Stati membri, dalle istituzioni e dalla Banca centrale europea».

96.
    A mio avviso, quali che siano le soluzioni relative alla ripartizione tra la Corte e il Tribunale dei ricorsi proposti dagli Stati membri, dalle istituzioni o dalla Banca centrale europea, occorre evitare che tali soluzioni compromettano il distinto e preponderante presupposto in base al quale i singoli debbono poter impugnare qualsiasi atto comunitario che arrechi loro pregiudizio. Se, come ritengo opportuno, tali ricorsi dovessero essere promossi dinanzi al Tribunale, il «ruolo semi-costituzionale» della Corte sarà salvaguardato dalla sua competenza quale giudice di appello. Difatti, il peso di suddetto ruolo sarà incrementato se verrà consentito ai singoli di contestare atti di portata generale dinanzi al Tribunale, con possibilità di impugnazione dinanzi alla Corte.

97.
    Un'ultimo elemento che a mio avviso attesta la necessità di riconsiderare la giurisprudenza in tema di interesse individuale è dato dall'evoluzione della giurisprudenza della Corte relativa al principio della tutela effettiva dinanzi ai giudici nazionali dei diritti derivati dalle norme comunitarie. Questo principio è stato proclamato nella sentenza Johnston del 1986 (83), ma le sue implicazioni sono emerse solo a poco a poco nella successiva giurisprudenza della Corte (84). Risulta ora chiaro dalle sentenze Factortame (85) e Verholen (86) che il principio dell'effettiva tutela giurisdizionale può imporre ai giudici nazionali di controllare tutti gli atti normativi interni, di concedere provvedimenti provvisori e di riconoscere ai singoli il diritto di agire in giudizio anche quando essi non sarebbero legittimati ai sensi del diritto interno.

98.
    Alcuni autori hanno sottolineato il contrasto tra il livello elevato che in tal modo la giurisprudenza della Corte impone ai sistemi giuridici nazionali e l'accesso limitato dei singoli ai giudici comunitari (87). Può essere eccessivo parlare di un «doppio criterio» a questo riguardo, ma non si può negare che le rigide regole in tema di legittimazione ad agire ex art. 230, quarto comma, CE, così come attualmente interpretato dalla Corte, nonché gli argomenti storici e letterali addotti dal Consiglio e dalla Commissione per giustificarle appaiono sempre meno sostenibili alla luce della giurisprudenza dela Corte relativa al principio dell'effettiva tutela giurisdizionale (88).

99.
    E' quindi giunto il momento di riconsiderare la rigida interpretazione dell'art. 230, quarto comma, CE la quale, incoraggiando i singoli a sollevare questioni di validità dinanzi alla Corte ex art. 234 CE, produce l'effetto di sottrarre alcune cause al giudice appositamente creato per esaminarle, e quindi per rafforzare la tutela giurisdizionale degli interessi dei privati.

Conclusione

100.
    La giurisprudenza sul diritto dei singoli di proporre ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia (e ora, dinanzi al Tribunale di primo grado), ha dato adito, nel corso degli anni, a numerose discussioni, per lo più di tono critico. Non si può negare che i limiti posti alla ricevibilità dei ricorsi proposti dai privati siano in larga misura considerati come uno degli aspetti meno soddisfacenti del sistema giuridico comunitario (89). Le critiche non si appuntano soltanto contro i limiti posti alla ricevibilità dei ricorsi, ma anche contro la complessità e l'apparente inconcludenza degli sforzi operati dalla Corte per consentire l'accesso nei casi in cui l'approccio tradizionale avrebbe comportato un evidente «diniego di giustizia». Per esempio, in uno dei più approfonditi e autorevoli fra gli studi recenti si fa riferimento alla «macchia nel panorama del diritto comunitario che è divenuta la giurisprudenza in tema di ricevibilità» (90). Si può obiettare sul livello delle critiche che è possibile formulare contro la giurisprudenza, ma è certamente innegabile che l'accesso alla Corte costituisca il settore che più di tutti esige che il diritto sia chiaro, coerente e immediatamente comprensibile.

101.
    Nelle presenti conclusioni ho sostenuto che la Corte, anziché propendere, sulla base della sentenza Greenpeace, per un'ulteriore, limitata deroga alla propria giurisprudenza restrittiva in tema di legittimazione ad agire, dovrebbe riconsiderare tale giurisprudenza e adottare un'interpretazione più soddisfacente del concetto di interesse individuale.

102.
    Appare opportuno ricapitolare le ragioni che mi inducono a opinare in tal senso:

1.    il principio fondamentale della Corte secondo il quale la possibilità che i singoli hanno di provocare una domanda di pronuncia pregiudiziale offre loro una tutela giurisdizionale piena ed efficace contro gli atti di portata generale dà adito a gravi obiezioni;

    -    nel procedimento pregiudiziale i singoli non hanno il diritto di decidere se effettuare il rinvio, quali atti sottoporre al sindacato della Corte o quali motivi di invalidità prospettare e, pertanto, non hanno il diritto di adire la Corte; inoltre, il giudice nazionale non ha, dal canto suo, il potere di decidere autonomamente nel senso dai singoli auspicato, ossia dichiarando l'invalidità dell'atto di portata generale oggetto del ricorso;

    -    si può verificare un diniego di giustizia nei casi in cui sia difficile o impossibile per un singolo impugnare indirettamente un atto di portata generale (per esempio, quando non vi siano misure di attuazione impugnabili o quando il singolo dovrebbe violare la legge per poter impugnare le conseguenti sanzioni);

    -    la certezza del diritto esige che gli atti di portata generale possano essere impugnati il prima possibile e non solo dopo che siano state adottare misure di attuazione;

    -    i ricorsi indiretti contro gli atti di portata generale tramite i rinvii pregiudiziali ex art. 234 CE aventi ad oggetto questioni di validità presentano una serie di svantaggi procedurali rispetto ai ricorsi diretti promossi dinanzi al Tribunale ex art. 230 CE, ad esempio per quanto riguarda la partecipazione della/e istituzione/i da cui l'atto è emanato, i tempi e i costi conseguenti, la concessione di provvedimenti provvisori o la possibilità di un intervento da parte di terzi.

2.    Dette obiezioni non possono essere superate accordando la legittimazione ad agire in via eccezionale nei casi i singoli non dispongano di alcun mezzo di diritto interno per promuovere un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la validità dell'atto contestato. Una simile soluzione:

    -    non trova alcun fondamento nella lettera del Trattato;

    -    obbligherebbe inevitabilmente i giudici comunitari a interpretare ed applicare le norme di diritto interno, compito per il quale essi non sono preparati né competenti;

    -    comprometterebbe la parità tra operatori di diversi Stati membri e implicherebbe un'ulteriore affievolimento della certezza del diritto.

3.    Tali obiezioni non possono essere superate neppure ipotizzando un obbligo per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri di garantire all'interno dei propri sistemi giudiziari la possibilità di promuovere rinvii pregiudiziali aventi ad oggetto la validità degli atti comunitari di portata generale. Questa soluzione:

    -    lascerebbe irrisolta la maggior parte dei problemi propri dello stato attuale, come l'assenza di un diritto a rimedi giuridici, ritardi e costi non necessari per i singoli o la concessione di provvedimenti provvisori;

    -    sarebbe difficile da verificare e far applicare;

    -    implicherebbe profonde interferenze con l'autonomia processuale nazionale.

4.    L'unica soluzione soddisfacente consiste pertanto nel riconoscere che un ricorrente è individualmente riguardato da un atto comunitario nel caso in cui tale atto pregiudichi, o possa pregiudicare, in modo sostanziale, i suoi interessi. Questa soluzione presenta i seguenti vantaggi:

    -    risolve tutti i problemi appena individuati: viene riconosciuto ai singoli un autentico diritto di adire un giudice in grado di tutelarlo, vengono evitati i casi di possibile diniego di giustizia e viene potenziata in vario modo la tutela giurisdizionale;

    -    essa elimina inoltre l'anomalia, implicata dall'attuale giurisprudenza, per cui più elevato è il numero delle persone colpite da un atto, minore è la possibilità di un sindacato giurisdizionale effettivo;

    -    le sempre più complesse e imprevedibili norme sulla legittimazione ad agire vengono sostituite da un criterio molto più semplice, che sposta l'accento nelle cause dinanzi ai giudici comunitari dalle questioni puramente formali relative alla ricevibilità alle questioni di merito;

    -    questa reinterpretazione è conforme alla generale tendenza della giurisprudenza diretta ad ampliare la portata della tutela giurisdizionale a fronte dell'aumento dei poteri delle istituzioni comunitarie (AETS, Les Verts, Chernobyl).

5.    Le obiezioni mosse contro l'ampliamento della legittimazione ad agire non sono convincenti. In particolare:

    -    il dettato dell'art. 230 CE non lo impedisce;

    -    non è possibile giustificare la sottrazione di atti potenzialmente illegittimi al sindacato giurisdizionale facendo leva sull'efficienza amministrativa o legislativa: la tutela del processo legislativo dev'essere realizzata adottando adeguati criteri sostanziali per l'esercizio del sindacato giurisdizionale;

    -    il timore di un sovraccarico di lavoro per il Tribunale appare esagerato poiché il limite temporale di cui all'art. 230, n. 5, CE e il requisito dell'interesse diretto impedirebbero un aumento incontenibile del numero dei ricorsi; esistono i mezzi processuali che consentono un incremento contenuto delle cause.

6.    L'obiezione principale può essere che la giurisprudenza è rimasta costante da molti anni. Esistono peraltro numerose ragioni che inducono a ritenere che sia venuto il momento di cambiare. In particolare:

    -    la giurisprudenza in molti casi limite non è costante, e si è comunque flessibilizzata negli anni recenti, con il risultato che le pronunce sulla ricevibilità sono divenute sempre più complicate e imprevedibili;

    -    la giurisprudenza è sempre meno in linea con gli sviluppi più permissivi propri dei diritti degli Stati membri;

    -    la creazione del Tribunale di primo grado, e il graduale trasferimento al medesimo di tutti i ricorsi proposti dai privati rendono sempre più necessario ampliare il diritto dei singoli di impugnare atti di portata generale;

    -    la giurisprudenza della Corte relativa al principio dell'effettiva tutela giurisdizionale presso i giudici nazionali rende sempre più difficile giustificare le limitazioni alla legittimazione ad agire dinanzi ai giudici comunitari.

103.
    Alla luce di tutte queste ragioni, concludo che i singoli devono considerarsi individualmente riguardati, ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, da un atto comunitario qualora, a causa della loro particolare situazione di fatto, l'atto pregiudichi, o possa pregiudicare, in modo sostanziale i loro interessi.

104.
    Suggerisco di annullare l'ordinanza impugnata del Tribunale di primo grado, in quanto basata su un'interpretazione più restrittiva del concetto di interesse individuale. La ricevibilità del ricorso proposto dall'UPA, tuttavia, dovrebbe essere decisa, conformemente alla sentenza che la Corte pronuncerà nel caso in oggetto, dal Tribunale.

105.
    Alla luce di tale conclusione, non occorre esaminare gli altri motivi presentati dall'UPA secondo i quali la motivazione contenuta nei punti 61-64 dell'ordinanza impugnata è insufficiente e contraddittoria e si basa su un'erronea interpretazione delle argomentazioni addotte dall'UPA.

106.
    Poiché l'UPA dichiara di non domandare il rimborso delle spese, suggerisco che la Corte voglia:

1)    annullare l'ordinanza impugnata;

2)    condannare l'UPA, il Consiglio e la Commissione alle spese rispettive.


1: -     Lingua originale: l'inglese.


2: -     Ordinanza 23 novembre 1999, causa T-173/98, Unión de Pequeños Agricultores (UPA)/Consiglio (Racc. pag. II-3357).


3: -     Regolamento (CE) del Consiglio 20 luglio 1998, n. 1638, che modifica il regolamento n. 136/66/CEE relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi (GU L 210, pag. 32).


4: -     V. sentenza 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione (Racc. pag. 195) e, più di recente, sentenza 22 novembre 2001, causa C-451/98, Antillean Rice Mills (Racc. pag. I-8949, punto 49).


5: -     Per commenti critici della giurisprudenza da parte di membri della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado, v. F. Schockweiler, «L'accès à la justice dans l'ordre juridique communautaire», Journal des tribunaux, Droit européen, n. 25, 1996, pagg. 1 e segg., in particolare pagg. 6-8; J. Moitinho de Almeida, «Le recours en annulation des particuliers (article 173, deuxième alinéa, du traité CE): nouvelles réflexions sur l'expression “la concernent (...) individuellement”», Festschrift für Ulrich Everling, Vol. I, 1995, pagg. 849 e segg., in particolare pagg. 857-866; G. Mancini, «The role of the supreme courts at the national and international level: a case study of the Court of Justice of the European Communities», in P. Yessiou-Faltsi (ed.), The Role of the Supreme Courts at the National and International Level, 1998, pagg. 421 e segg., in particolare pagg. 437-438; K. Lenaerts, «The legal protection of private parties under the EC Treaty: a coherent and complete system of judicial review?», Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, Vol. II, 1998, pagg. 591 e segg., in particolare pag. 617; A. Saggio, «Appunti sulla ricevibilità dei ricorsi d'annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche in base all'art. 173, quarto comma, del Trattato CE», Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, Vol. II, 1998, pagg. 879 e segg., in particolare pagg. 903-904, e il mio articolo «Access to justice as a fundamental right in European Law», Mélanges en hommage à Fernand Schockweiler, 1999, pag. 197. V. inoltre il sostegno ad un più ampio accesso a favore dei ricorrenti privati nelle conclusioni degli avvocati generali, per esempio le conclusioni presentate dall'avvocato generale Slynn nella sentenza 10 giugno 1982, causa 246/81, Bethell, (Racc. pag. 2277, in particolare pag. 2299), le conclusioni da me presentate nella sentenza 16 maggio 1991, causa C-358/89, Extramet Industrie (Racc. pag. I-2501, paragrafi 71-74), e nella sentenza 9 marzo 1994, causa C-188/92, TWD Textilwerke Deggendorf (Racc. pag. I-833, paragrafi 20-23), nonché le conclusioni presentate dall'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella sentenza 12 dicembre 1996, causa C-142/95 P, Associazione agricoltori della provincia di Rovigo e altri (Racc. pag. I-6669, paragrafi 40 e 41).


6: -     Per commenti critici recenti v., tra gli altri, A. Arnull, «Private applicants and the action for annulment under Article 173 of the EC Treaty», Common Market Law Review, 1995, pag. 7 and «Private applicants and the action for annulment since Codorníu», Common Market Law Review, 2001, pag. 7; D. Waelbroeck e A.-M. Verheyden, «Les conditions de recevabilité des recours en annulation des particuliers contre les actes normatifs communautaires: à la lumière du droit comparé et de la Convention des droits de l'homme», Cahiers de droit européen, 1995, pag. 399; G. Vandersanden, «Pour un élargissement du droit des particuliers d'agir en annulation contre des actes autres que les décisions qui leur sont adressées», Cahiers de droit européen, 1995, pag. 535; L. Allkemper, Der Rechtsschutz des einzelnen nach dem EG-Vertrag: Möglichkeiten seiner Verbesserung, 1995, pagg. 39-40; T. Heukels, «Collectief actierecht ex artikel 173 lid 4 EG: een beperkte actieradius voor grote belangen», Nederlands Tijdschrift voor Europees Recht, 1999, pag. 16; D. Boni, «Il ricorso di annullamento delle persone fisiche e giuridiche», in Il ricorso di annullamento nel Trattato istitutivo della Comunità, 1998, pag. 53; M. Ortega, El acceso de los particulares a la justicia comunitaria, 1999, pagg. 225-230; S. Cavallin, «Direct ogiltighetstalan inför EG-Domstolen i ljuset av svensk förvaltnings- och konkurrensrätt», Europarättslig tidskrift, 2000, pagg. 622 segg., in particolare pagg. 635-636.


7: -     Punti 1-6.


8: -     Regolamento del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136/66/CEE, relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi (GU L 172, pag. 3025).


9: -     Punto 34.


10: -     Punti 35-44.


11: -     Punto 45.


12: -     Punto 46.


13: -     Punto 48.


14: -     Punto 49.


15: -     Punto 50.


16: -     Punti 52-57.


17: -     Punto 59.


18: -     Punto 60.


19: -     Punti 65 e 66.


20: -     A tal proposito la Commissione fa riferimento alla sentenza 30 aprile 1998, causa T-16/96, Cityflyer Express (Racc. pag. II-757, punti 30-35).


21: -     Sentenza 2 aprile 1998, causa C-321/95 P (Racc. pag. I-1651, punti 32-34).


22: -     Punto 27 della sentenza.


23: -     Punti 30 e 31.


24: -     Punti 32-34.


25: -     Ordinanza 12 ottobre 2000, causa C-300/00 P(R), Federación de Cofradías de Pescadores de Guipúzcoa e a./Consiglio (Racc. pag. I-8797, punto 37).


26: -     V. anche ordinanza della Corte 1° febbraio 2001, causa C-301/99, Area Cova e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. I-1005, punto 47).


27: -     V., nello stesso senso, sentenza 15 febbraio 1996, causa C-209/94, Buralux e a./Consiglio (Racc. pag. I-615, punti 35 e 36).


28: -     Nello stesso senso, v. sentenza 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts (Racc. pag. 1339, punto 23).


29: -     V., in senso analogo, le conclusioni dell'avvocato generale Darmon relative alla sentenza 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Borelli (Racc. pag. I-6313, paragrafo 31).


30: -     V., per esempio, sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 18).


31: -     Siglata a Nizza, 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1).


32: -     Sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto Frost (Racc. pag. 4199).


33: -     Inoltre, con riguardo al Titolo IV, Parte Terza, del Trattato CE, solo i giudici di ultima istanza possono effettuare il rinvio: v. art. 68, n. 1.


34: -     V. sentenze 21 febbraio 1991, cause riunite C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen (Racc. pag. I-415), e 9 novembre 1995, causa C-465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft (Racc. pag. I-3761).


35: -     L'unica eccezione si ha quando non sussistono dubbi sul fatto che il ricorrente privato fosse legittimato ad agire ex art. 230 CE per impugnare l'atto in questione, ma abbia omesso di farlo [v. sentenza TWD, già citata alla nota 5, e sentenze 30 gennaio 1997, causa C-178/95, Wiljo (Racc. pag. I-585), e 15 febbraio 2001, causa C-239/99, Nachi Europe (Racc. pag. I-1197)].


36: -     V., ad esempio, A. Arnull, «Private applicants and the action for annulment since Codorníu», citato alla nota 6, pag. 52, e gli altri articoli citati alla nota 5.


37: -     V. le cause citate alla nota 35.


38: -     V., a tal riguardo, sentenza 13 novembre 1990, causa C-331/88, Fedesa (Racc. pag. I-4023, punto 14).


39: -     Sentenza 31 marzo 1971, causa C-22/70, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 263, punti 39-42).


40: -     L'accordo europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli che effettuano trasporti internazionali su strada (AETS).


41: -     Per un'applicazione di detto principio ad una comunicazione della Commissione, v. sentenza 20 marzo 1997, causa C-57/95, Francia/Commissione (Racc. pag. I-1627).


42: -     Citata alla nota 28, punti 24 e 25.


43: -     V. anche ordinanza della Corte 13 luglio 1990, causa 2/88, Zwartweld (Racc. pag. I-3365, punti 23 e 24).


44: -     Sentenza 22 maggio 1990, causa C-70/88, Parlamento europeo/Consiglio (Racc. pag. I-2041).


45: -     Punto 27.


46: -     Punto 26.


47: -     Sentenza 29 marzo 1990, causa C-62/88, Grecia/Consiglio (Racc. pag. I-1527, punto 8).


48: -     V. F. Schockweiler, «L'accès à la justice dans l'ordre juridique communautaire», Journal des tribunaux, Droit européen, n. 25, 1996, pagg. 1 e segg., in particolare pag. 7.


49: -     V. supra, paragrafi 68-70.


50: -     Sentenze 23 aprile 1956, cause riunite 7/54 e 9/54, Industries Sidérurgiques Luxembourgeoises/Alta Autorità (Racc. pag. 53), e 29 novembre 1956, causa 8/55, Fédération Charbonnière de Belgique/Alta Autorità (Racc. pag. 291).


51: -     V., in particolare, le conclusioni dell'avvocato generale Lagrange, presentate il 20 novembre 1962, relative alla sentenza 14 dicembre 1962, cause riunite 16/62 e 17/62, Producteurs de Fruits/Consiglio (Racc. pag. 879); T. Hartley, The Foundations of European Community Law (4th ed., 1998), pag. 376.


52: -     V., al riguardo, le preoccupazioni espresse dall'avvocato generale Lagrange nelle conclusioni relative alla causa Producteurs de Fruits/Consiglio (citata alla nota 51), pag. 879.


53: -     L'argomento non è mai stato applicato ai regolamenti e alle direttive del Consiglio che, agli inizi della CEE, venivano adottati a maggioranza, e neppure ai regolamenti e alle direttive della Commissione.


54: -     V. A. Arnull, «The action for annulment: a case of double standards?», Judicial Review in European Union Law: Liber Amicorum in Honour of Lord Slynn of Hadley, Vol. I, (2000), pag. 177, in particolare pag. 189.


55: -     V. infra, paragrafo 85.


56: -     Tali modifiche, entrate in vigore il 1° febbraio 2001, sono state pubblicate in GU 2000, L 322, pag. 1.


57: -     GU 2001, C 80, pag. 1.


58: -     Ai sensi dell'art. 245 CE, le modifiche proposte dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado sono soggette all'approvazione unanime del Consiglio. I proposti nuovi artt. 224 e 225 CE prevedono che il Consiglio approvi statuendo a maggioranza qualificata.


59: -     V. la proposta del nuovo art. 225 a) CE.


60: -     Causa C-358/89, citata alla nota 5.


61: -     Sentenza 18 maggio 1994, causa C-309/89 (Racc. pag. I-1853).


62: -     Sentenza Antillean Rice Mills (citata alla nota 4), punto 46.


63: -     Ibidem, punto 49.


64: -     Punto 21 della sentenza.


65: -     Punto 22.


66: -     V. supra, paragrafo 35.


67: -     Relazione della Corte di giustizia su taluni aspetti dell'applicazione del Trattato sull'Unione europea, Lussemburgo, maggio 1995.


68: -     Punto 20.


69: -     V., in particolare, A. Arnull, «Private applicants and the action for annulment under Article 173 of the EC Treaty», citato alla nota 6, pagg. 7-9; D. Waelbroeck, A.-M. Verheyden, «Les conditions de recevabilité des recours en annulation des particuliers contre les actes normatifs communautaires: à la lumière du droit comparé et de la Convention des droits de l'homme», citato alla nota 6, pagg. 403-425; A. Albors-Llorens, Private Parties in EC Law (1996), pagg. 30-40; C. Harlow, «Access to justice as a human right», in The EU and Human Rights, P. Alston (ed.) (1999), pagg. 187 e segg., in particolare pag. 193.


70: -     V. R. Chapus, Droit du contentieux administratif (9a ed., 2001), pagg. 419-457.


71: -     V. De Smith, Woolf and Jowell, Judicial Review of Administrative Action (1995), pagg. 106-127.


72: -     V., in particolare, le pronunce dello Højesteret danese in Hanne Norup Carlsen/Statsminister Poul Nyrup Rasmussen (UfR 1999 H 800); del Bundesverfassungsgericht tedesco in Brunner/The European Union Treaty (2 BvR 2134/92 and 2 BvR 2159/92, BVerfGE 89, pag. 155), e della Corte Costituzionale italiana in Fragd SpA/Amministrazione delle Finanze (decisione n. 232 del 21 aprile 1989, 1989, 72 RDI).


73: -     V. L. Favoreu e J. Jolowicz (eds.), Le contrôle juridictionnel des lois (1986); A. Brewer-Carias, Judicial Review in Comparative Law (1989).


74: -     G. Brunner, «Development of a constitutional judiciary in Eastern Europe», Review of Central and East European Law 1992, pag. 535; H. Schwartz, «The new East European constitutional courts», Michigan Journal of International Law 1992, pag. 741; M. Verdussen (ed.), La justice constitutionnelle en Europe centrale (1997).


75: -     Ai sensi dell'art. 34 della Costituzione irlandese, il sindacato di costituzionalità degli atti normativi compete alla High Court, con possibilità di appello dinanzi alla Supreme Court.


76: -     La mancanza di una gerarchia di norme nel diritto comunitario è stata messa in evidenza, al momento dell'adozione del Trattato sull'Unione europea, in una dichiarazione allegata all'Atto finale. Nella dichiarazione n. 16 sulla gerarchia degli atti comunitari si afferma che «(...) la conferenza intergovernativa che sarà convocata nel 1996 esaminerà in che misura sia possibile riconsiderare la classificazione degli atti comunitari per stabilire un'appropriata gerarchia tra le diverse categorie di norme».


77: -     Art. 202 CE.


78: -     Decisione del Consiglio 24 ottobre 1988, 88/591/CECA, CEE, Euratom, che istituisce un Tribunale di primo grado delle Comunità europee (GU L 319, pag. 1).


79: -     Quarto ‘considerando’.


80: -     Terzo ‘considerando’.


81: -     V. decisione del Consiglio 8 giugno 1993, 93/350/CECA, CEE, Euratom, recante modifica della decisione 88/591/CECA, CEE, Euratom che istituisce un Tribunale di primo grado delle Comunità europee (GU L 144, pag. 21), e decisione del Consiglio 7 marzo 1994, 94/149/CECA, CE, recante modifica della decisione 93/350/Euratom, CECA, CEE che modifica la decisione 88/591/CECA, CEE, Euratom che istituisce un Tribunale di primo grado delle Comunità europee (GU L 66, pag. 29).


82: -     Citato alla nota 57.


83: -     Causa 222/84, citata alla nota 30.


84: -     V., in particolare, sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, UNECTEF/Heylens (Racc. pag. 4097); 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Borelli (Racc. pag. I-6313); nonché sentenze 11 gennaio 2001, causa C-1/99, Kofisa Italia (Racc. pag. I-207), e causa C-226/99, Siples (Racc. pag. I-277).


85: -     Sentenza 19 giugno 1990, causa C-213/89 (Racc. pag. I-2433, punti 19-22).


86: -     Sentenza 11 luglio 1991, cause riunite C-87/90, C-88/90 e C-89/90 (Racc. pag. I-3757, punti 23 e 24).


87: -     V. R. Caranta, «Judicial protection against Member States: a new jus commune takes shape», Common Market Law Review, 1995, pagg. 703 e segg., in particolare pag. 724-725. V., in senso analogo, C. Harlow, «Towards a theory of access for the European Court of Justice», Yearbook of European Law, 1992, pagg. 213 e segg., in particolare pagg. 228-229; C. Kilpatrick, «The future of remedies in Europe», in C. Kilpatrick, T. Novitz and P. Skidmore (eds.), The Future of Remedies in Europe, 2000, pag. 9; A. Ward, Judicial Review and the Rights of Private Parties in EC Law, 2000, pag. 242; A. Arnull, op. cit. alla nota 54.


88: -     Occorre osservare, al riguardo, che la Corte ha esplicitamente negato la possibilità di un duplice criterio in tema di tutela cautelare: v. sentenza Zuckerfabrik Süderdithmarschen (citata alla nota 34), punto 20.


89: -     V. supra, nota 5.


90: -     A. Arnull, «Private applicants and the action for annulment since Codorníu», citata alla nota 6, pag. 52.