Language of document : ECLI:EU:C:2018:919

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 15 novembre 2018 (1)

Causa C483/17

Neculai Tarola

contro

Minister for Social Protection

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Libera circolazione delle persone – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Articolo 7, paragrafo 1, lettera a) – Lavoratori subordinati – Articolo 7, paragrafo 3, lettera c) – Diritto di soggiorno superiore a tre mesi – Cittadino di uno Stato membro che ha esercitato un’attività subordinata in un altro Stato membro per un periodo di quindici giorni – Stato di disoccupazione involontaria – Conservazione della qualità di lavoratore per un periodo di almeno sei mesi»






I.      Introduzione

1.        Un cittadino dell’Unione, il quale abbia esercitato i suoi diritti alla libertà di circolazione e di soggiorno in conformità alla direttiva 2004/38/CE (2) e abbia lavorato in uno Stato membro diverso dal proprio per un periodo di due settimane, e il quale perda involontariamente il suo impiego subordinato, conserva la qualità di lavoratore e, pertanto, il diritto di soggiorno corrispondente?

2.        È questa, in sostanza, la questione pregiudiziale sottoposta dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda) alla Corte. La questione è stata sollevata nell’ambito di un’azione proposta da un cittadino rumeno nei confronti del Minister for Social Protection (ministro della Protezione sociale, Irlanda) a seguito del rigetto, da parte di quest’ultimo, della sua domanda di assegno per persone in cerca di impiego.

3.        Nella causa in esame, la Corte è dunque invitata per la prima volta ad interpretare l’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), di tale direttiva.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        I considerando 3, 9 e 10 della direttiva 2004/38 così dispongono:

«(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

(…)

(9)      I cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

(10)      Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni».

5.        L’articolo 1 di tale direttiva così dispone:

«La presente direttiva determina:

a)      le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

(…)».

6.        L’articolo 7 di detta direttiva, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», prevede quanto segue ai suoi paragrafi 1 e 3:

«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; (…)

(…)

3.      Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:

(…)

b)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;

c)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;

(…)».

B.      Diritto irlandese

7.        L’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e c), dello European Communities (Free Movement of Persons) (n. 2) Regulations 2006 [regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) (n. 2) del 2006] (in prosieguo: il «regolamento del 2006»), il quale ha trasposto nell’ordinamento giuridico irlandese l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, prevede quanto segue:

«a)      Fatto salvo l’articolo 20, un cittadino dell’Unione può soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio dello Stato a condizione di:

i)      essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;

(…)

c)      Fatto salvo l’articolo 20, una persona alla quale si applica la lettera a), punto i), può restare nello Stato al momento della cessazione dell’attività di cui a detto punto se

(…)

ii)      essa, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un periodo di occupazione superiore ad un anno, si sia registrata al fine di trovare un lavoro presso l’ufficio competente del Department of Social and Family Affairs (ministero degli Affari sociali e familiari, Irlanda) e del FÁS [Foras Áiseanna Saothair (autorità per la formazione e l’impiego, Irlanda)] (…);

iii)      salvo il disposto della lettera d), essa, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine del suo contratto di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno, o venutasi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si sia registrata al fine di trovare un lavoro presso l’ufficio competente del Department of Social and Family Affairs (ministero degli Affari sociali e familiari) e del FÁS [Foras Áiseanna Saothair (autorità per la formazione e l’impiego)] (…)».

III. Fatti all’origine del procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

8.        Il sig. Neculai Tarola è un cittadino rumeno arrivato per la prima volta in Irlanda nel maggio del 2007, ove è stato impiegato dal 5 al 30 luglio 2007 e successivamente dal 15 agosto al 14 settembre 2007. Non è dimostrato che egli abbia soggiornato in Irlanda fra il 2007 e il 2013. Per contro, è pacifico che egli sia stato nuovamente impiegato in Irlanda dal 22 luglio al 24 settembre 2013 dalla ASF Recruitment Ltd e successivamente dall’8 al 22 luglio 2014 dalla Marren Brothers Ltd. In forza di quest’ultimo impiego, egli ha percepito una retribuzione pari a EUR 1 309. Egli ha peraltro lavorato anche come subappaltatore in proprio dal 17 novembre al 5 dicembre 2014.

9.        Il 21 settembre 2013, il sig. Tarola ha presentato presso il ministro della Protezione sociale una domanda di assegno per persone in cerca di impiego (jobseeker’s allowance). Tale domanda è stata respinta per il motivo che egli non aveva dimostrato né la sua residenza abituale in Irlanda né risorse economiche proprie per il periodo dal 15 settembre 2007 al 22 luglio 2013.

10.      Il 26 novembre 2013, il sig. Tarola ha presentato una domanda di assegno supplementare di assistenza sociale (supplementary welfare allowance). Tale domanda è stata parimenti respinta poiché egli non era stato in grado di presentare la documentazione idonea a dimostrare il modo in cui avesse sopperito alle proprie necessità e avesse pagato l’affitto dal settembre del 2013 al 14 aprile 2014.

11.      Per questo motivo, il sig. Tarola ha proposto un reclamo inteso ad ottenere il riesame della decisione del 26 novembre 2014 dinanzi al ministro della Protezione sociale (Irlanda). Tale reclamo è stato respinto in quanto il breve periodo di lavoro svolto dal sig. Tarola nel luglio del 2014 non era idoneo a rimettere in discussione l’accertamento del fatto che egli non era abitualmente residente in Irlanda. È dimostrato che il sig. Tarola si è registrato come persona in cerca di impiego presso l’ufficio di collocamento competente.

12.      Il 10 marzo 2015, il sig. Tarola ha domandato al ministro della Protezione sociale di riesaminare la sua decisione del 26 novembre 2014, facendo segnatamente valere che, in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, egli aveva il diritto di risiedere in Irlanda come lavoratore per un periodo di sei mesi dopo la cessazione della sua attività professionale, avvenuta nel luglio del 2014. Tale domanda è stata respinta il 31 marzo 2015 per il motivo che, dal suo arrivo in Irlanda, egli non aveva lavorato per un periodo superiore a un anno e non disponeva di risorse economiche proprie sufficienti a sopperire alle sue necessità.

13.      Il sig. Tarola ha dunque proposto un ricorso avverso la decisione del 31 marzo 2015 dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda). Tale ricorso è stato respinto in quanto non soddisfaceva i requisiti previsti all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), punto iii) del regolamento del 2006. Più specificamente, la High Court (Alta Corte) ha dichiarato che il sig. Tarola non poteva essere considerato un «lavoratore» e, dunque, abitualmente residente in Irlanda, e che, di conseguenza, lo stesso non aveva diritto all’assistenza sociale a tale titolo. Infatti, detto giudice ha considerato che tale disposizione riguardasse unicamente le persone che avevano lavorato in base ad un contratto di lavoro a tempo determinatoa tempo determinatoinferiore ad un anno. Esso ha parimenti ritenuto che il periodo di lavoro svolto dal sig. Tarola fra l’8 e il 22 luglio 2014 non potesse essere considerato un contratto di lavoro a tempo determinato ai sensi di tale disposizione, e che il diritto del medesimo a un assegno per persone in cerca di impiego rientrasse nell’ambito delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), punto ii), del regolamento del 2006. Esso ha pertanto concluso che il sig. Tarola non aveva dimostrato di avere lavorato in via continuativa per un periodo di un anno prima della presentazione della sua domanda di assistenza sociale, cosicché il ministro della Protezione sociale aveva a giusto titolo respinto tale domanda.

14.      Investita in appello dal sig. Tarola e ritenendo che tale causa sollevasse un problema di interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, segnatamente alla luce degli obiettivi perseguiti da tale direttiva, la Court of Appeal (Corte d’appello), con decisione del 2 agosto 2017, depositata presso la Corte il 9 agosto 2017, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Qualora un cittadino di un altro Stato membro dell’Unione entri nello Stato membro ospitante dopo aver esercitato i primi dodici mesi del suo diritto di libera circolazione e lavori (con un contratto diverso da un contratto a tempo determinato) per un periodo di due settimane, per il quale è retribuito, e venga successivamente a trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, se detto cittadino conservi la qualità di lavoratore subordinato per non meno di altri sei mesi, ai sensi degli articoli 7, paragrafo 3, lettera c) e 7, paragrafo 1, lettera a) della direttiva [2004/38], che gli consentirebbe di percepire prestazioni di assistenza sociale o, a seconda dei casi, indennità di sicurezza sociale sulla stessa base di un cittadino residente dello Stato ospitante».

15.      Il sig. Tarola, i governi irlandesi, ceco e francese, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte.

16.      Il sig. Tarola, i governi irlandese, danese e tedesco, nonché la Commissione, hanno inoltre svolto difese orali nel corso dell’udienza tenutasi il 6 settembre 2018.

IV.    Analisi

17.      Con la domanda di pronuncia pregiudiziale si chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro, il quale abbia lavorato in un altro Stato membro per un periodo di due settimane, su base giuridica diversa da un contrattoa tempo determinato, e che si trovi successivamente in stato di disoccupazione involontaria, conservi la qualità di lavoratore ai sensi di tali disposizioni.

18.      Occorre anzitutto precisare che la mia analisi mirerà non a dimostrare la qualità di lavoratore del sig. Tarola, bensì a chiarire se questi conservi o meno la sua qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38. Infatti, spetta unicamente al giudice del rinvio stabilire se il ricorrente nel procedimento principale abbia la qualità di lavoratore (3). Del resto, contrariamente a quanto potrebbero far pensare gli argomenti esposti dal governo irlandese, la questione sottoposta alla Corte non verte su tale aspetto (4). Dopo aver richiamato la giurisprudenza della Corte, secondo la quale la nozione di «lavoratore» (5) ai sensi dell’articolo 45 TFUE, in quanto definisce l’ambito di applicazione di una libertà fondamentale prevista dal Trattato FUE (6), deve essere interpretata in maniera estensiva, il giudice del rinvio considera che una persona che sia stata impiegata per un periodo di due settimane e sia stata effettivamente retribuita per tale lavoro resta un «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione (7). Emerge dalla decisione di rinvio che, dopo aver valutato la situazione reale, tale giudice ha concluso che, alla luce dell’attività esercitata dal sig. Tarola (8), quest’ultimo doveva essere considerato un lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione.

19.      Limiterò pertanto la mia analisi alla sola questione sollevata dalla Court of Appeal (Corte d’appello), con la quale essa chiede se, alla luce dell’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione (9), il sig. Tarola conservi la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38.

20.      Anzitutto, occorre rilevare che i governi francese e ceco, nonché la Commissione, al pari del sig. Tarola, ritengono che la situazione di quest’ultimo rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38. Tale posizione è condivisa dai governi danese e tedesco nelle loro osservazioni orali, mentre il governo irlandese, nelle sue osservazioni scritte, ha sostenuto un punto di vista contrario. Esso ha affermato che l’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 non si applica al ricorrente nel procedimento principale, poiché quest’ultimo non è stato impiegato in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato.

21.      Occorre specificare che ciascuno degli intervenienti che hanno presentato osservazioni scritte e orali, incluso il governo irlandese (10), ha fatto valere un’interpretazione diversa dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38. Queste diverse posizioni testimoniano la necessità di precisare l’interpretazione che occorre dare a tale disposizione.

A.      Interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38

22.      In conformità ad una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (11). Procederò pertanto ad un’interpretazione letterale, teleologica e sistematica dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38.

1.      Sulla lettura letterale dellarticolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38

23.      In conformità all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di uno Stato membro. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), di tale direttiva, il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo – e, di conseguenza, il diritto di soggiornare nel territorio di uno Stato membro dell’Unione per un periodo superiore a tre mesi – se «trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro». Secondo tale disposizione, in tal caso, «l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi».

24.      Emerge da una prima lettura di tale disposizione che il suo testo non si spiega da sé dal punto di vista grammaticale e sintattico. Cionondimeno, la scelta operata dal legislatore dell’Unione di utilizzare la congiunzione disgiuntiva «o» implica che la seconda fattispecie è diversa dalla prima. Di conseguenza, tale disposizione copre due fattispecie distinte. La prima non sembra porre un problema di interpretazione, poiché riguarda la situazione del cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno e si trovi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di tale contratto.

25.      Per contro, la formulazione della seconda fattispecie suscita dei dubbi con riferimento alla sua interpretazione. Più precisamente, tale formulazione non indica chiaramente se l’espressione «durante i primi dodici mesi» riguardi la durata del periodo di impiego iniziale del cittadino dell’Unione nello Stato ospitante oppure il tipo di contratto di lavoro che questi ha concluso in tale Stato membro (contratto a tempo determinato, contratto a tempo indeterminato o altro tipo di contratto).

26.      Sulla base di una lettura meramente letterale dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, l’interpretazione effettuata dal giudice del rinvio sembra a priori ragionevole. In tal senso, siffatto giudice ritiene che la prima ipotesi di tale disposizione («[si trovi] in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno») riguardi la cessazione di contratti di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno, mentre la seconda [«venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi (…)»] riguardi la cessazione di contratti di lavoro di durata superiore ad un anno. Infatti, è perfettamente logico che se la prima ipotesi riguarda un contratto a tempo determinato concluso per un periodo inferiore ad un anno, i termini «durante i primi dodici mesi» possono riguardare unicamente un’attività esercitata per un periodo superiore ad un anno.

27.      Tuttavia, in primo luogo, mi sembra importante specificare che i termini «durante i primi dodici mesi» della seconda fattispecie non riguardano un tipo concreto di contratto di lavoro e non fanno riferimento ad una durata precisa del contratto. Tali termini prendono unicamente in considerazione l’eventualità che un cittadino si trovi in stato di disoccupazione durante i primi dodici mesi di impiego, vale a dire il periodo fra l’inizio del rapporto di lavoro e l’inizio del periodo di disoccupazione involontaria, indipendentemente, da un lato, dal tipo di contratto con il quale egli è stato assunto e dalla sua durata (contratto a tempo determinato o indeterminato, contratto a tempo pieno o parziale, o un’altra tipologia di contratto) (12) e, dall’altro, dalla natura dell’attività esercitata (subordinata o autonoma) (13).

28.      Di conseguenza, discende, in linea di principio, da un’interpretazione letterale della versione in lingua francese dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, che la seconda fattispecie prevista in tale disposizione riguarda unicamente la durata del periodo compreso fra l’inizio del rapporto di lavoro e l’inizio del periodo di disoccupazione involontaria, mentre il tipo di contratto concluso o la natura dell’attività esercitata dal cittadino dell’Unione durante i primi dodici mesi di impiego non incidono su tale interpretazione. Il raffronto fra le diverse versioni linguistiche di tale disposizione non porta ad una conclusione diversa (14).

29.      Per quanto attiene all’espressione «durante i primi dodici mesi», si deve osservare che nessuna delle versioni linguistiche esaminate è un modello di chiarezza. Tale espressione sembra essere redatta negli stessi termini segnatamente nelle versioni in lingua tedesca («der ersten zwölf Monate»), inglese («during the first twelve months»), italiana («durante i primi dodici mesi»), polacca («przez pierwsze dwanaście miesięc»), estone («esimese kaheteistkümne kuu»), portoghese («durante os primeiros 12 meses»), spagnola («durante los primeros doce meses»), rumena («în timpul primelor douăsprezece luni») e lituana («per pirmuosius dvylika mėnesių»).

30.      Tuttavia, l’interpretazione proposta supra non consente, da sola, di fornire una risposta alla questione sollevata. Pertanto, occorre interpretare la seconda fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 in funzione del contesto in cui tale disposizione si inserisce, nonché dell’economia generale e della finalità della direttiva.

2.      Sulla lettura sistematica dellarticolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38

31.      L’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato alla luce delle disposizioni ad esso adiacenti in tale direttiva.

32.      Al riguardo, occorre sottolineare che le disposizioni dell’articolo 7 della direttiva 2004/38 prevedono diverse fattispecie nelle quali il cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi. Più specificamente, il paragrafo 3 di tale articolo prevede in maniera non esaustiva (15) che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della stessa direttiva, il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conservi nondimeno la qualità di lavoratore subordinato o autonomo in casi particolari (16). Tali casi particolari riguardano talune vicissitudini della vita professionale di natura temporanea (17), concernenti la situazione della temporanea inabilità del lavoratore a seguito di una malattia o di un infortunio [lettera a), di detta disposizione], la perdita involontaria del proprio lavoro [lettere b) e c)] e la situazione del lavoratore che segue un corso di formazione professionale [lettera d)].

33.      Con l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, il legislatore dell’Unione ha inteso graduare la portata del diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione il quale, per le ragioni ivi indicate, si trovi nell’impossibilità temporanea di lavorare. Si evince dal combinato disposto delle fattispecie previste alle lettere da a) a d) di tale disposizione che una gradazione è stata stabilita in funzione non solo della causa dell’inattività di detto cittadino (inabilità temporanea del lavoratore a seguito di una malattia o di un infortunio, stato di disoccupazione involontaria o formazione professionale), ma anche della durata iniziale della sua attività professionale nello Stato membro ospitante (più di un anno o meno di un anno).

34.      Infatti, tale gradazione viene espressa nei seguenti termini. Il cittadino conserva la sua qualità di lavoratore senza limite temporale soltanto qualora egli sia temporaneamente inabile a seguito di una malattia o di un infortunio [lettera a) di detta disposizione]; se sta seguendo un corso di formazione professionale [lettera d)] oppure se ha esercitato un’attività subordinata o autonoma nello Stato membro ospitante per oltre un anno, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria [lettera b)]. Per contro, il cittadino che si sia trovato in stato di disoccupazione involontaria al termine del suo contratto di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno o si sia trovato involontariamente in tale stato durante i primi dodici mesi [di impiego], conserva la qualità di lavoratore e, di conseguenza, il suo diritto di soggiorno, con un limite temporale eventuale, ossia «per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi» [lettera c)].

35.      In particolare, per quanto riguarda il periodo durante il quale il cittadino dell’Unione che si trovi involontariamente in stato di disoccupazione conserva la qualità di lavoratore, la ratio legis dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b) e c), della direttiva 2004/38 consiste nel fissare due distinzioni. La prima distinzione è chiaramente stabilita in funzione della durata iniziale dell’attività che il cittadino ha esercitato nello Stato membro ospitante. In tal senso, mentre tale disposizione, lettera b), pone l’accento sulla durata inziale superiore ad un anno, indipendentemente dall’attività esercitata o dal tipo di contratto di lavoro concluso dal cittadino dell’Unione, la lettera c) della disposizione pone l’accento sulla durata iniziale inferiore ad un anno, prevedendo al contempo una seconda distinzione a seconda che il cittadino dell’Unione possa prevedere o meno la durata esatta del suo contratto o dell’esercizio della sua attività.

36.      Pertanto, la prima fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 intende coprire la situazione del cittadino dell’Unione che doveva lavorare per un periodo determinato inferiore ad un anno e che si ritrova in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine del suo contratto. Mi sembra evidente che, poiché tale fattispecie verte su un contratto a tempo determinato, si può affermare che il cittadino di cui trattasi conosceva e, pertanto, poteva prevedere la data di cessazione del suo contratto, per il quale era fissata una durata inferiore ad un anno.

37.      La seconda fattispecie riguarda la situazione del cittadino che, contrariamente alle sue aspettative e indipendentemente dalla natura dell’attività svolta (subordinata o autonoma) o dal tipo di contratto con il quale egli è stato assunto (a tempo determinato, indeterminato o altro tipo di contratto), si ritrovi involontariamente in stato di disoccupazione durante i primi dodici mesi di impiego. In tal caso, o il cittadino non poteva prevedere la durata esatta dell’impiego occupato o dell’attività svolta, o era a conoscenza di tale durata ma era previsto che essa fosse superiore ad un anno. Poco rileva che il cittadino dell’Unione abbia lavorato quindici giorni, tre mesi o undici mesi, come lavoratore autonomo o nell’ambito di un contratto a tempo determinato, indeterminato o di un altro tipo di contratto, come un contratto di lavoro occasionale. Ciò che rileva nella specie è che, contrariamente alle sue aspettative, detto cittadino dell’Unione si ritrova in stato di disoccupazione involontaria durante i primi dodici mesi di impiego (18).

38.      Tale interpretazione è corroborata dall’economia dell’articolo 7 della direttiva 2004/38, il quale, lo ricordo, disciplina il diritto del cittadino dell’Unione di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, in talune circostanze (19). Fra tali circostanze si annoverano, a mio avviso, quelle previste da tale disposizione, lettera c), ossia che il cittadino dell’Unione abbia lavorato nello Stato membro ospitante con un contratto a tempo determinato inferiore ad un anno prima di ritrovarsi involontariamente in stato di disoccupazione (prima fattispecie) oppure che abbia esercitato un’attività subordinata o autonoma ma si sia ritrovato involontariamente in stato di disoccupazione durante i primi dodici mesi di impiego, senza avere potuto prevedere la durata effettiva della sua attività (seconda fattispecie). In tal caso, la direttiva 2004/38 gli consente di conservare la qualità di lavoratore e, pertanto, il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi, a condizione di farsi «registra[re] presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro».

39.      Di conseguenza, esaminata nel suo contesto, la seconda fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretata nel senso che comprende il lavoratore subordinato o autonomo che si ritrovi in stato di disoccupazione involontaria durante i primi dodici mesi di impiego.

40.      Tale interpretazione è l’unica idonea a garantire la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38 (20).

3.      Sulla lettura teleologica dellarticolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38

41.      La suesposta conclusione è confermata dall’analisi della finalità della direttiva 2004/38 e, più specificamente, dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della medesima.

42.      Si evince dai considerando da 1 a 4 della direttiva 2004/38 che quest’ultima è intesa anzitutto a «facilitare e [a] rafforzare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito dal Trattato direttamente ai cittadini dell’Unione» (21). Emerge, in particolare, dai considerando 3 e 4 della direttiva 2004/38 che quest’ultima, «per rafforzare il diritto fondamentale e individuale di tutti i cittadini europei di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e facilitare l’esercizio di tale diritto, ha lo scopo di superare l’approccio settoriale e frammentario che caratterizzava gli strumenti del diritto dell’Unione anteriori a tale direttiva, i quali riguardavano separatamente, in particolare, i lavoratori subordinati e autonomi [che abbiano cessato la loro attività professionale], mediante l’elaborazione di un atto legislativo unico che codificasse e rivedesse tali strumenti» (22). Più specificamente, in tale contesto, la Corte ha dichiarato che l’obiettivo perseguito dall’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 consiste nel «garantire, attraverso il mantenimento dello status di lavoratore, il diritto di soggiorno delle persone che abbiano cessato di esercitare la loro attività professionale a causa della mancanza di lavoro dovuta a circostanze indipendenti dalla loro volontà» (23).

43.      Inoltre, la Corte ha precisato che l’oggetto della direttiva 2004/38 riguarda, come risulta dal suo articolo 1, lettera a), le condizioni di esercizio del diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fra le quali figurano, nel caso dei soggiorni per un periodo superiore a tre mesi, quelle enunciate all’articolo 7 di tale direttiva (24). A tal riguardo, occorre ricordare che risulta dal considerando 10 di tale direttiva che «le dette condizioni sono dirette, segnatamente, a evitare che queste persone divengano un onere irragionevole per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante» (25).

44.      Nel contesto complessivo della direttiva 2004/38, tali obiettivi, i quali s’iscrivono in una gerarchia (26), sono arbitrati da un sistema graduale che governa il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante. Riprendendo sostanzialmente le fasi e le condizioni previste nei diversi strumenti del diritto dell’Unione e la giurisprudenza anteriore a tale direttiva, siffatto sistema sfocia nel diritto di soggiorno permanente (27). Pertanto, fra il diritto di soggiorno di tre mesi, da un lato, e il diritto di soggiorno permanente, dall’altro, il diritto di soggiorno superiore a tre mesi è subordinato alle condizioni enunciate all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Peraltro, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di tale direttiva, il cittadino dell’Unione conserva tale diritto solo se soddisfa le condizioni fissate all’articolo 7 di detta direttiva, le quali sono intese, come ho rammentato poco sopra, ad evitare che egli divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

45.      Sono convinto che l’interpretazione da me proposta dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 si iscriva perfettamente non solo nell’ambito del sistema graduale da essa previsto per disciplinare il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante ma anche nell’ambito particolare del sistema graduale di mantenimento dello status di lavoratore che mira a tutelare il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali (28). Nell’istituire tale sistema, la direttiva 2004/38 prende essa stessa in considerazione diversi fattori che caratterizzano la situazione individuale di ogni richiedente una prestazione sociale e, in particolare, la durata dell’esercizio di un’attività economica (29), nonché, nell’ambito della disposizione analizzata, il grado di prevedibilità di una siffatta durata (30). Come statuito dalla Corte, tale sistema graduale consente ai cittadini di cui trattasi di conoscere senza ambiguità i loro diritti, i loro doveri e le garanzie di cui beneficiano, rispettando al contempo il principio di proporzionalità ed evitando costi eccessivi per il sistema previdenziale dello Stato membro ospitante (31).

46.      Interpretare la seconda fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), nel senso che essa riguarda unicamente le persone che hanno esercitato un’attività subordinata nell’ambito di un contratto a tempo determinato, escludendo quelle che hanno esercitato un’attività subordinata nell’ambito di un altro tipo di contratto oppure un’attività autonoma, sarebbe contrario alla finalità della direttiva 2004/38 (32). Inoltre, un’interpretazione che istituisca una distinzione fra i lavoratori in funzione del tipo di contratto di lavoro concluso o dell’attività esercitata implicherebbe una disparità di trattamento ingiustificata. Una siffatta disparità di trattamento avrebbe come effetto di «riservare» l’obiettivo primario della direttiva, ossia agevolare e rafforzare l’esercizio del diritto fondamentale e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ai lavoratori che si trovano in una situazione più stabile, poiché hanno concluso contratti di lavoro a tempo determinato o indeterminato, e di escluderne altre categorie di lavoratori, i quali abbiano concluso contratti più «flessibili» (tra i quali, i contratti di lavoro a tempo parziale o occasionale) e che si trovino, pertanto, in una situazione di vulnerabilità manifesta (33).

47.      Infatti, analogamente a un lavoratore subordinato che abbia concluso un contratto a tempo determinato, il quale può perdere il proprio lavoro a seguito, in particolare, di un licenziamento, un lavoratore che abbia concluso un altro tipo di contratto (34) può parimenti perdere il proprio impiego, e una persona che esercitati un’attività autonoma può vedersi costretta a cessare detta attività. In siffatte circostanze, la persona di cui trattasi potrebbe pertanto trovarsi in una situazione di vulnerabilità equiparabile a quella di un lavoratore che abbia concluso un contratto di lavoro a tempo determinato e si veda licenziato (35).

48.      In tali circostanze, si pone la questione se sia giustificato che detta persona non benefici, per quanto riguarda il mantenimento del suo diritto di soggiorno, della tutela di cui gode una persona che abbia cessato di esercitare un’attività subordinata nell’ambito di un contratto a tempo determinato.

49.      Ritengo di no. In entrambi i casi, la persona si ritrova involontariamente in stato di disoccupazione a causa di una mancanza di lavoro, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, dopo aver esercitato un’attività subordinata o autonoma per meno di un anno e, pertanto, deve beneficiare della protezione conferita all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, se essa si è registrata presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.

50.      Inoltre, a mio avviso, non esiste alcuna giustificazione oggettiva per una disparità di trattamento, la quale porterebbe a non conferire il diritto di soggiorno ad una persona che abbia esercitato un’attività professionale subordinata o autonoma per meno di un anno nello Stato membro ospitante, e abbia dunque contribuito al sistema sociale e fiscale di detto Stato membro, e ad accordare un diritto di soggiorno ad una persona in cerca di impiego, la quale non abbia mai esercitato un’attività economica in tale Stato membro e non abbia mai versato contributi previdenziali a tale sistema sociale e fiscale, ma soddisfi i requisiti previsti all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 (36).

4.      Interpretazione dellarticolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 alla luce della sua genesi

51.      La genesi di tale disposizione mi permette di confermare tale interpretazione. L’articolo 8, paragrafo 7, lettera c), della proposta iniziale della Commissione (37) e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera c), della risoluzione legislativa del Parlamento europeo (38) facevano riferimento unicamente alla situazione nella quale «l’interessato [si trovava] in stato di disoccupazione involontaria al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno» (39). Il Parlamento si è limitato a spostare il contenuto dell’articolo 8, paragrafo 7, lettera c), della proposta iniziale della Commissione all’articolo 9, paragrafo 3, lettera c), della risoluzione legislativa del Parlamento. Tale emendamento è stato ripreso dalla Commissione nella sua proposta modificata (40) e, successivamente, dal Consiglio dell’Unione europea nella sua posizione comune (41). Tuttavia, come risulta dalla relazione ad essa allegata, «il Consiglio [aveva] modificato la formulazione della lettera c), per chiarire che in questo caso specifico la qualità di lavoratore è conservata per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi». Occorre osservare che era stata apportata un’altra modifica a tale disposizione, tramite l’aggiunta della locuzione «o venutosi a trovare in tale stato [di disoccupazione involontaria] durante i primi dodici mesi».

52.      A mio avviso, l’inserimento di tale locuzione nel corso dei lavori preparatori della direttiva 2004/38 conferma la volontà del legislatore dell’Unione di estendere ad altri tipi di contratti l’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), di tale direttiva, il quale era limitato ai contratti a tempo determinato.

B.      Lo Stato membro ospitante non dispone della facoltà di subordinare la conservazione della qualità di lavoratore all’esercizio di un’attività subordinata avente una durata minima

53.      I governi danese, tedesco e francese sostengono che, alla luce del considerando 10 della direttiva 2004/38, esistono situazioni, nelle quali uno Stato membro è legittimato a ritenere che una persona non abbia esercitato un’attività subordinata per un periodo di tempo sufficientemente lungo per potersi avvalere dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), di tale direttiva. Di conseguenza, essi ritengono che le autorità nazionali debbano poter determinare le condizioni di conservazione della qualità di lavoratore.

54.      Occorre sottolineare che, come fatto correttamente valere dalla Commissione, la direttiva 2004/38 prevede garanzie sufficienti per evitare costi eccessivi per il sistema previdenziale degli Stati membri ospitanti risultanti da domande abusive di prestazioni sociali (42).

55.      Ricordo, in primo luogo, che, in conformità all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, «ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base [a detta] direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato». Di conseguenza, qualora il diritto nazionale escluda dal beneficio dei diritti a prestazioni sociali le persone che hanno esercitato un’attività subordinata o autonoma soltanto per un breve periodo, tali esclusioni si applicano in maniera identica ai lavoratori mobili di altri Stati membri.

56.      In secondo luogo, l’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 limita ad un periodo «che non può essere inferiore a sei mesi» la durata della conservazione della qualità di lavoratore e, pertanto, del godimento del diritto alla parità di trattamento. Di conseguenza, la conservazione della qualità di lavoratore non conferirebbe necessariamente il diritto di beneficiare dell’assegno per persone in cerca di impiego. Il diritto alla parità di trattamento implica unicamente che il lavoratore debba beneficiare degli stessi diritti che vengono garantiti ai cittadini dello Stato membro ospitante.

57.      In terzo luogo, l’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 dispone che, per conservare la qualità di lavoratore, occorre avere perso involontariamente il proprio lavoro subordinato o autonomo ed essersi registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. Come osservato dalla Commissione, tale requisito è inteso a garantire che le persone non si mettano esse stesse artificiosamente nella posizione di beneficiare del diritto alla parità di trattamento. A tal riguardo, occorre sottolineare che, nella specie, nulla nella decisione di rinvio indica che il sig. Tarola avrebbe beneficiato dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva in maniera abusiva (43).

58.      In quarto e ultimo luogo, è chiaro che gli Stati membri non possono subordinare la conservazione della qualità di lavoratore all’esercizio di un’attività subordinata avente una durata minima diversa da quella stabilita all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38. Una diversa posizione consentirebbe di introdurre una limitazione supplementare non prevista dal legislatore dell’Unione.

59.      A mio avviso, risulta chiaramente dai paragrafi da 22 a 52 delle presenti conclusioni che la seconda fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 si applica al lavoratore che si trovi in stato di disoccupazione involontaria durante i primi dodici mesi di impiego, indipendentemente dalla natura dell’attività esercitata (subordinata o autonoma) o dal tipo di contratto di lavoro concluso (a tempo determinato, indeterminato o altro tipo di contratto).

V.      Conclusione

60.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini la questione sottoposta dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda):

L’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro, il quale abbia lavorato in un altro Stato membro per un periodo di due settimane, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, e il quale si trovi successivamente in stato di disoccupazione involontaria, conserva la qualità di lavoratore ai sensi di tali disposizioni.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


3      Ricordo che il giudice del rinvio è l’unico competente, segnatamente, a conoscere e valutare i fatti della controversia sottopostagli. Per una recente illustrazione di tale giurisprudenza costante v. sentenza dell’8 giugno 2016, Hünnebeck (C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 36). In particolare, per quanto riguarda lo status di lavoratore, la Corte ha considerato che «[d]ette valutazioni di fatto devono essere compiute esclusivamente dal giudice nazionale»; v. sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 31).


4      Occorre ricordare che la questione sottoposta alla Corte non verte neanche sull’assegno per persone in cerca di impiego.


5      A partire dalla sentenza del 19 marzo 1964, Unger (75/63, EU:C:1964:19), la Corte ha elaborato una definizione autonoma propria del diritto dell’Unione della nozione di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 45 TFUE.


6      Sentenze del 23 marzo 1982, Levin (53/81, EU:C:1982:105, punto 13), e del 3 luglio1986, Lawrie-Blum (66/85, EU:C:1986:284, punto 16). V., parimenti, sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata). Ricordo, a tal riguardo, che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE, ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione e non dev’essere interpretata restrittivamente. V. sentenze del 26 febbraio 1992, Bernini (C‑3/90, EU:C:1992:89, punto 14); dell’8 giugno 1999, Meeusen (C‑337/97, EU:C:1999:284, punto 13); del 6 novembre 2003, Ninni-Orasche (C‑413/01, EU:C:2003:600, punto 23); del 17 luglio 2008, Raccanelli (C‑94/07, EU:C:2008:425, punto 33); del 21 febbraio 2013, N. (C‑46/12, EU:C:2013:97, punto 39), nonché del 1o ottobre 2015, O (C‑432/14, EU:C:2015:643, punto 22).


7      La Corte, dopo aver ricordato che, per essere qualificato come lavoratore, «un soggetto deve svolgere attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da potersi definire puramente marginali e accessorie» e che la «caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è, secondo [la sua] giurisprudenza, il fatto che una persona fornisca per un certo periodo di tempo, in favore e sotto la direzione di un’altra persona, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione», ha parimenti dichiarato che la circostanza che un’attività di lavoro subordinato sia di breve durata non può, di per sé, escluderla dall’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE.V. sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punti 26 e 29, e la giurisprudenza ivi citata). V., parimenti, sentenza del 1o ottobre 2015, O (C‑432/14, EU:C:2015:643, punti da 23 a 27 e la giurisprudenza ivi citata).


8      Il giudice del rinvio indica che il sig. Tarola ha lavorato «su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato». A tal riguardo, si evince dalle osservazioni formulate dal ricorrente nel procedimento principale in udienza, da un lato, che egli ha lavorato come «lavoratore occasionale» nel settore edilizio e, dall’altro, che, essendo connessa alle circostanze dell’evoluzione del mercato del lavoro dell’edilizia, la durata di un contratto di lavoro occasionale non è fissata in anticipo. Inoltre, il governo irlandese ha esso stesso affermato, in risposta ad un quesito posto in udienza, che un lavoratore occasionale «è un lavoratore a tempo parziale che lavora meno di tredici settimane e che svolge un lavoro che non è regolare». Secondo tale governo, è possibile ritenere che un lavoratore occasionale rivesta la qualità di lavoratore ai sensi del diritto irlandese. Nel caso di un contratto di lavoro occasionale, occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato che «le condizioni di lavoro di un lavoratore che ha stipulato un [contratto di lavoro occasionale] non escludono la considerazione del medesimo come lavoratore ai sensi dell’art[icolo] 48 del Trattato CEE [divenuto l’articolo 45 TFUE]». Sentenza del 26 febbraio 1992, Raulin (C‑357/89, EU:C:1992:87, punto 11).


9      Il giudice del rinvio fa riferimento a un giusto equilibrio fra l’obiettivo principale, che è quello di perseguire la salvaguardia della libera circolazione dei lavoratori, e quello volto a garantire che i sistemi previdenziali dello Stato membro ospitante non sosterranno un onere eccessivo, dall’altro. Si vedano i considerando da 1 a 4 e 10 della direttiva 2004/38. Si veda anche la nota 26 a pié di pagina delle presenti conclusioni.


10      Il governo irlandese ha sostenuto tale posizione in subordine.


11      V., in particolare, sentenze del 17 novembre 1983, Merck (292/82, EU:C:1983:335, punto 12); del 22 dicembre 2010, Feltgen e Bacino Charter Company (C‑116/10, EU:C:2010:824, punto 12), nonché del 13 settembre 2017, Khir Amayry (C‑60/16, EU:C:2017:675, punto 29).


12      V. nota 8 delle presenti conclusioni.


13      A tal riguardo, non si deve dimenticare che, poiché l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 non prevede una distinzione fra i cittadini dell’Unione economicamente attivi che esercitano un’attività professionale subordinata e quelli che esercitano un’attività professionale autonoma nello Stato membro ospitante, è pertinente osservare che la seconda fattispecie prevista all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, e segnatamente l’espressione «durante i primi dodici mesi» riguarda la cessazione non solo di un’attività subordinata ma anche di un’attività autonoma. V. sentenze del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 27), e del 20 dicembre 2017, Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:1004, punti 27, 37 e 38). V., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:607, paragrafi da 62 a 64).


14      Come osservato correttamente dalla Commissione e contrariamente a quanto sostenuto dal governo irlandese, la frase «durante i primi dodici mesi» non fa riferimento al primo anno di esercizio del diritto alla libera circolazione bensì al periodo compreso fra l’inizio del rapporto di lavoro e l’inizio del periodo dello stato di disoccupazione involontaria.


15      Sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 38).


16      Sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 27).


17      Occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato che la possibilità per un cittadino dell’Unione – che abbia temporaneamente cessato di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma – di conservare la propria qualità di lavoratore in base all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, nonché il diritto di soggiorno che gli spetta, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, si basa sulla premessa che il cittadino sia disponibile e idoneo a rientrare nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante entro un termine ragionevole. V. sentenza del 13 settembre 2018, Prefeta (C‑618/16, EU:C:2018:719, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).


18      Ad esempio, se il cittadino che si avvale del proprio diritto alla libera circolazione firma un contratto a tempo determinato per tre anni, egli non può prevedere circostanze come il suo licenziamento o il fallimento della società che lo ha assunto. Nel caso di un lavoratore occasionale che si è trasferito nello Stato membro ospitante per lavorare, è ragionevole pensare che un siffatto trasferimento avesse come obiettivo quello di poter lavorare per più di due settimane, soprattutto se tale cittadino ha perso involontariamente il proprio lavoro.


19      Tale interpretazione si inserisce perfettamente nella logica dell’articolo 7 della direttiva 2004/38. Infatti, per prorogare il proprio soggiorno oltre i tre mesi nello Stato membri ospitante, il cittadino dell’Unione deve essere «lavoratore subordinato o autonomo» [paragrafo 1, lettera a)], o disporre di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi [paragrafo 1, lettera b)], o essere studente [paragrafo 1, lettera c)] o essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui supra [paragrafo 1, lettera d)]. Se il cittadino soddisfa una di tali condizioni, il beneficio del diritto di soggiorno superiore a tre mesi è esteso (fatti salvi i limiti previsti al paragrafo 4) anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro (paragrafo 2).


20      Ricordo che «[i]n considerazione del contesto e degli scopi perseguiti dalla direttiva 2004/38, le disposizioni della medesima non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private della loro efficacia pratica». Sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84), e del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 32).


21      Sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 82); del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 28), nonché del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 71).


22      Sentenza del 20 dicembre 2017, Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:1004, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata).


23      Il corsivo è mio. Sentenza del 20 dicembre 2017, Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:1004, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).


24      V., segnatamente, sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 33).


25      Sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 40); del 4 ottobre 2012, Commissione/Austria (C‑75/11, EU:C:2012:605, punto 60), nonché del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 54).


26      V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:607, paragrafi 51 e 52). «Questo secondo obiettivo [risultante dal considerando 10] esiste tuttavia solo in ragione del primo: poiché la direttiva è intesa a facilitare l’esercizio del diritto di soggiorno, gli Stati membri hanno ritenuto che fosse necessario vigilare affinché l’onere finanziario di tale libertà venga controllato».


27      Sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 38). V. articoli 6 e 14, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 sul diritto di soggiorno fino a tre mesi, gli articoli 7 e 14, paragrafo 2, di tale direttiva sul diritto di soggiorno superiore a tre mesi e l’articolo 16 della stessa direttiva sul diritto di soggiorno permanente.


28      Sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 60).


29      Sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 60).


30      V. paragrafi 37 e 38 delle presenti conclusioni.


31      V., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 61).


32      V. considerando 3 e 4 della direttiva 2004/38.


33      V., in tal senso, O’Brien, Ch., «Civis Capitalism Sum: Class as the New Guiding Principle of EU Free Movement Rights», Common Market Law Review, vol. 53, 2016, pag. da 937 a 978, e in particolare pag. 975: «Equal treatment rights are being reserved for those in the privileged position of work with regular hours and pay, while retention of worker status is harder for those on casual contracts, and for those who struggle to produce evidence of the “genuineness” of their prior work»; Nic Shuibhne, N., «Limits Rising, Duties Ascending: The Changing Legal Shape of Union Citizenship», Common Market Law Review, vol. 52, 2015, pag. 889-938, in particolare pag. 926 e segg.: «Union citizenship looks less like a status rooted in rights and more like an increasingly qualified privilege – with mutable channels of admission, especially where restrictions are not provided or laid down».


34      Al pari di un contratto a tempo indeterminato e di un contratto di lavoro occasionale.


35      Nel caso, segnatamente, di una persona che abbia cessato di esercitare un’attività autonoma, v., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:1004, punto 43).


36      «(…) In tal caso i cittadini dell’Unione (…) non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo». Quanto alla facoltà di cui dispone lo Stato membro ospitante di non attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale in tal caso, v. articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


37      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo (GU 2001, C 270 E, pag. 150). L’articolo 8 riguardava le formalità amministrative per i cittadini.


38      Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 – C5-0336/2001 – 2001/0111(COD) (GU 2004, C 43 E, pag. 42).


39      L’articolo 9 era dedicato alle condizioni di esercizio del diritto di soggiorno per un periodo superiore a sei mesi.


40      V. articolo 7, paragrafo 2 bis (emendamento 30). Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (presentata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE) COM/2003/0199 definitivo – COD 2001/0111.


41      Posizione comune (CE) n. 6/2004, del 5 dicembre 2003, definita dal Consiglio, in vista dell’adozione della direttiva 2004/[38]/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del (…), relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, C 54 E, pag. 12).


42      È in tale contesto che la Corte ha dichiarato che «[tale] direttiva (…), istituendo un sistema graduale di mantenimento dello status di lavoratore, che mira a tutelare il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali, prende essa stessa in considerazione diversi fattori che caratterizzano la situazione individuale di ogni richiedente una prestazione sociale e, in particolare, la durata dell’esercizio di un’attività economica». Sentenza del 15 settembre 2015, Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 60).


43      A tal riguardo, per quanto riguarda la nozione di «abuso di diritto», v. le mie conclusioni nella causa McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:345, paragrafi da 108 a 115).