Language of document : ECLI:EU:C:2008:37

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 24 gennaio 2008 1(1)

Causa C‑350/06

Gerhard Schultz-Hoff

contro

Deutsche Rentenversicherung Bund

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesarbeitsgericht Düsseldorf (Germania)]

«Direttiva 2003/88/CE – Organizzazione dell’orario di lavoro – Art. 7 – Diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite – Diritto ad un’indennità sostitutiva per le ferie non godute – Diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario – Estinzione del diritto alle ferie dopo il decorso di un termine stabilito dalla legge»






Indice


I – Introduzione

II – Contesto normativo

A – Normativa comunitaria

B – Normativa nazionale

1. Disposizioni legislative

2. Contratti collettivi applicabili

III – Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

V – Argomenti principali delle parti

VI – Valutazione giuridica

A – Sulla prima questione

1. Osservazioni introduttive

2. Il diritto alle ferie annuali retribuite come diritto sociale fondamentale

3. Il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite nella normativa comunitaria

a) La competenza di attuazione degli Stati membri

b) Il livello di tutela garantito dal diritto comunitario

c) Collegamento del diritto alle ferie con la capacità lavorativa

i) Trasponibilità dei principi elaborati dalla giurisprudenza

ii) Contrasto con la ratio dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88

– Rischio di un’interpretazione estranea alla finalità normativa

– Interpretazione ispirata agli interessi delle parti del rapporto di lavoro

iii) Confronto con le disposizioni di cui alla convenzione n. 132 dell’OIL

B – Sulla seconda questione

C – Sulla terza questione

VII – Conclusione

I –    Introduzione

1.        Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale il Landesarbeitsgericht (Tribunale d’appello per le cause di lavoro) di Düsseldorf chiede alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 234 CE, di interpretare l’art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (2) (in prosieguo: la «direttiva 2003/88»).

2.        La questione pregiudiziale si pone nel contesto di una controversia sorta fra il sig. Gerhard Schulz‑Hoff (ricorrente) e il suo ex datore di lavoro, la Deutsche Rentenversicherung Bund (ente federale tedesco per le pensioni) (convenuta), in cui il Landesarbeitsgericht è chiamato a decidere se il ricorrente, una volta cessato il rapporto di lavoro, abbia diritto a percepire dalla convenuta un’indennità sostitutiva per le ferie non godute.

3.        Il Landesarbeitsgericht di Düsseldorf intende sostanzialmente sapere se sia compatibile con l’art. 7 della direttiva 2003/88 il fatto che il diritto di un lavoratore a fruire di un periodo di ferie retribuite di almeno quattro settimane si estingua alla fine dell’anno di riferimento o, al più tardi, alla fine del periodo di riporto, e che le ferie non debbano essere sostituite da un’indennità finanziaria in caso di cessazione del rapporto di lavoro, qualora il lavoratore sia successivamente divenuto inabile al lavoro per motivi di malattia fino alla fine del detto periodo di riporto.

II – Contesto normativo

A –    Normativa comunitaria

4.        Il 2 agosto 2004 la direttiva 2003/88 ha sostituito la direttiva 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (3). Analogamente alla direttiva precedente, essa mira a stabilire determinate prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. L’art. 7 della direttiva 2003/88, ripreso senza alcuna modifica rispetto alla direttiva precedente, stabilisce quanto segue:

«Ferie annuali

1)      Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

2)      Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro».

5.        L’art. 17 della direttiva 2003/88 prevede che gli Stati membri possano derogare a talune prescrizioni di quest’ultima. L’art. 7 non rientra tra le prescrizioni alle quali la direttiva 2003/88 consente di derogare.

B –    Normativa nazionale

1.      Disposizioni legislative

6.        Il Bundesurlaubsgesetz (legge federale sulle ferie minime per i lavoratori dipendenti; in prosieguo: il «BurlG») dell’8 gennaio 1963, modificato da ultimo dalla legge 7 maggio 2002, stabilisce segnatamente quanto segue:

«Art. 1 – Diritto alle ferie

Tutti i lavoratori dipendenti hanno diritto, in ciascun anno solare, a ferie retribuite per riposarsi.

(...)

Art. 3 – Durata delle ferie

1) Le ferie hanno una durata minima di 24 giorni lavorativi l’anno.

(...)

Art. 7 – Periodo di godimento, riporto e monetizzazione sostitutiva delle ferie

1) Ai fini della determinazione del periodo in cui le ferie possono essere fruite occorre tenere in considerazione i desideri del lavoratore, salvo che vi ostino necessità rilevanti dell’azienda o richieste di ferie di altri lavoratori, meritevoli di maggiore considerazione sotto un profilo sociale.

(...)

3) Le ferie devono essere concesse e godute nell’anno solare in corso. Un riporto delle ferie al successivo anno solare è ammissibile solo qualora sussistano rilevanti ragioni legate alla gestione dell’impresa o alla persona del lavoratore. In caso di riporto, le ferie devono essere concesse e godute nei primi tre mesi del successivo anno solare.

4) Qualora le ferie non possano essere più concesse, integralmente o in parte, a causa della fine del rapporto di lavoro, esse devono essere monetizzate».

7.        L’art. 13 del BurlG stabilisce che i contratti collettivi possono derogare alle disposizioni precedenti, compreso l’art. 7, n. 3, del BurlG stesso, qualora ciò non comporti un danno per il lavoratore.

2.      Contratti collettivi applicabili

8.        Il contratto collettivo quadro per i dipendenti della Bundesversicherungsanstalt für Angestellte (in prosieguo: il «MTAng‑BfA») stabilisce quanto segue:

«Art. 47 – Congedo ordinario per riposo

1) Il dipendente ha diritto, in ogni anno di riferimento, a ferie retribuite per riposarsi. L’anno di riferimento è l’anno solare.

(...)

7) Le ferie devono essere godute entro la fine dell’anno di riferimento. Ove le ferie non possano essere fruite entro la fine dell’anno di riferimento, devono essere prese entro il 30 aprile dell’anno di riferimento successivo. Qualora le ferie non possano essere fruite entro il 30 aprile successivo per motivi di servizio, per incapacità lavorativa o a motivo dei periodi di tutela stabiliti dalla legge sulla maternità, esse devono essere utilizzate entro il 30 giugno. Qualora, nel corso dell’anno di riferimento, le ferie stabilite per tale anno siano state riportate su disposizione della Bundesversicherungsanstalt für Angestellte ad una data successiva al 31 dicembre e non sia stato possibile fruirne entro il 30 giugno dell’anno successivo per incapacità lavorativa ai sensi della seconda frase del presente paragrafo, esse devono essere utilizzate entro il 30 settembre.

(...)

Le ferie non godute entro i termini indicati non sono più utilizzabili.

(...)

Art. 51 – Indennità sostitutiva per ferie non godute

1) Qualora al momento della dichiarazione di recesso dal rapporto di lavoro il diritto alle ferie non sia stato ancora utilizzato, le ferie devono essere concesse e utilizzate durante il periodo di preavviso, purché ciò sia possibile compatibilmente con le esigenze di servizio o dell’impresa. Qualora le ferie non possano essere concesse o il periodo di preavviso non sia sufficientemente lungo, deve essere corrisposta un’indennità sostitutiva. Le stesse disposizioni si applicano nel caso in cui il rapporto di lavoro termini in virtù di un contratto di liquidazione (art. 58) o per diminuzione della capacità lavorativa (art. 59), ovvero quando vi sia un collocamento a riposo ai sensi dell’art. 59, n. 1, primo comma, quinta frase».

III –  Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

9.        In seguito alla cessazione, in data 30 settembre 2005, del rapporto di lavoro tra esse intercorrente, le parti della causa principale controvertono sulla questione se il ricorrente abbia o meno diritto ad un’indennità per le ferie non godute per gli anni 2004 e 2005.

10.      Il ricorrente, nato il 14 gennaio 1949, ha iniziato a lavorare dal 1° aprile 1971 alle dipendenze dell’ente competente prima del subentro della convenuta, e poi della convenuta stessa. A tale rapporto di lavoro era applicabile il MTAng-BfA. Da ultimo il ricorrente percepiva una retribuzione inquadrata nell’11° scaglione retributivo. A partire dal 1985 il ricorrente era impiegato nella succursale di Düsseldorf quale collaboratore del servizio esterno. Tra le sue funzioni rientrava l’espletamento di controlli sulle imprese e sugli uffici per la riscossione dei contributi previdenziali; a tal fine egli era costretto a far uso di un’automobile.

11.      Il ricorrente, riconosciuto disabile grave secondo la normativa tedesca (GdB 60 «G») (4), ha dovuto sottoporsi a partire dall’anno 1995, a causa di una grave discopatia, a 16 operazioni chirurgiche. Si sono susseguiti periodi in cui egli era abile al lavoro e periodi di inabilità dovuti a malattia. Nell’anno 2004 egli è stato in condizione di lavorare fino all’inizio di settembre. A partire dall’8 settembre 2004 è stato dichiarato in malattia con certificato medico, condizione che si è protratta in modo ininterrotto fino al 30 settembre 2005. La continua assunzione di farmaci antidolorifici contenenti morfina gli impedisce da allora di guidare un autoveicolo.

12.      Con lettera del 13 maggio 2005 il ricorrente chiedeva che gli fossero concesse, a partire dal 1° giugno 2005, le ferie per l’anno 2004. La convenuta respingeva la richiesta in data 25 maggio 2005, affermando che il servizio medico del personale avrebbe prima dovuto verificare la sua idoneità al servizio ai sensi dell’art. 7, n. 2, del MTAng‑BfA. Con lettera 10 agosto 2005 il ricorrente chiedeva che gli fosse sottoposta, a titolo di misura di reinserimento nel lavoro, una proposta per lo svolgimento di attività lavorativa presso il proprio domicilio. Il 6 settembre 2005 la convenuta rispondeva che essa, in seguito alla domanda di pensionamento poco dopo presentata dal ricorrente, intendeva aspettare l’esito della relativa procedura.

13.      Con provvedimento del settembre 2005, la convenuta rilevava, nella sua veste di ente pensionistico, che il ricorrente presentava una ridotta capacità lavorativa, e concedeva, con effetto retroattivo a partire dal 1° marzo 2005, la pensione a tempo indeterminato per invalidità totale. In seguito a tale constatazione il rapporto di lavoro fra le parti aveva termine in data 30 settembre 2005 a norma dell’art. 59 del MTAng‑BfA.

14.      Nel novembre 2005 il ricorrente adiva l’Arbeitsgericht (Tribunale di primo grado per le cause di lavoro) di Düsseldorf per ottenere la monetizzazione delle ferie per gli anni 2004 e 2005. Con sentenza 7 marzo 2006 l’Arbeitsgericht respingeva la domanda. Il ricorrente, in data 27 aprile 2006, interponeva appello contro tale pronuncia dinanzi al Landesarbeitsgericht di Düsseldorf, odierno remittente.

15.      Il ricorrente, sulla base di 35 giorni di ferie annui e di un reddito mensile lordo da lavoro dipendente pari a EUR 4 362,67, quantifica il proprio credito nella somma complessiva lorda di EUR 14 094,78. Egli sostiene di aver avuto intenzione di utilizzare le ferie richieste a partire dal 1° giugno 2005 per potersi ritemprare in vista della partecipazione futura ad una misura di reinserimento nel lavoro. Egli sostiene inoltre di essere in grado di svolgere, a tempo parziale, un lavoro d’ufficio leggero.

16.      La convenuta sostiene invece che l’attività d’ufficio a tempo parziale indicata dal ricorrente non rappresenterebbe un adempimento delle mansioni lavorative previste dal suo contratto. Dato che l’incapacità lavorativa del ricorrente perdurerebbe fino ad oggi, i diritti alle ferie non avrebbero potuto essere esercitati entro il corrispondente termine finale del periodo di riporto, e pertanto sarebbero estinti. Al ricorrente non spetterebbe dunque neanche l’indennità sostitutiva richiesta.

17.      Il giudice a quo è dell’avviso che la soluzione della controversia dipenda dall’interpretazione della direttiva 2003/88. Esso ha pertanto sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 (…) debba essere interpretato nel senso che il lavoratore deve in ogni caso godere di un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane e che le ferie non godute nel corso del periodo di riferimento a causa di malattia devono essere concesse in un momento successivo, oppure se disposizioni e/o prassi nazionali possano prevedere che il diritto alle ferie annuali retribuite si estingua qualora il lavoratore, nel periodo di riferimento, divenga inabile al lavoro per causa di malattia prima di fruire delle ferie e non recuperi la propria capacità lavorativa prima della conclusione del periodo di riferimento o del periodo di riporto determinato dalla legge, dal contratto collettivo o da quello individuale.

2)      Se l’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88 (…) debba essere interpretato nel senso che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore ha comunque diritto ad un’indennità finanziaria a titolo di compensazione per le ferie maturate e non godute (indennità finanziaria sostitutiva), oppure se disposizioni e/o prassi nazionali possano prevedere che il lavoratore non abbia diritto all’indennità finanziaria sostitutiva qualora risulti inabile al lavoro a causa di malattia sino alla fine del periodo di riferimento o del successivo periodo di riporto e/o benefici, dopo la conclusione del rapporto di lavoro, di una pensione a titolo di ridotta capacità lavorativa o di invalidità.

3)      In caso di soluzione affermativa della prima e della seconda questione:

Se l’art. 7 della direttiva 2003/88 (…) debba essere interpretato nel senso che il diritto alle ferie annuali o all’indennità finanziaria sostitutiva presuppone che il lavoratore abbia effettivamente lavorato nel periodo di riferimento, oppure se il diritto sorga anche in caso di assenza giustificata (per malattia) o di assenza ingiustificata nel corso dell’intero periodo di riferimento».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

18.      L’ordinanza di rinvio pregiudiziale del 2 agosto 2006 è pervenuta nella cancelleria della Corte il 21 agosto 2006.

19.      Hanno presentato osservazioni scritte, nei termini di cui all’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, la convenuta nella causa principale, i governi tedesco, del Regno Unito e italiano, nonché la Commissione delle Comunità europee.

20.      All’udienza svoltasi il 20 novembre 2007 sono comparsi i rappresentanti dei governi tedesco, del Regno Unito e olandese, nonché della Commissione per esporre le loro osservazioni orali.

V –    Argomenti principali delle parti

21.      La convenuta sostiene che un riporto illimitato del diritto alle ferie nel caso di lavoratori abili al lavoro sarebbe esattamente contrario all’obiettivo di tutela perseguito dalla direttiva (garanzia di periodi minimi di riposo a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori). Nel caso di lavoratori inabili al lavoro, il riporto a tempo indeterminato potrebbe addirittura indurre i datori di lavoro a separarsi anticipatamente da lavoratori affetti da patologie di lunga durata licenziandoli. In caso contrario, infatti, essi incorrerebbero nel pericolo di dover monetizzare, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, un rilevante numero di giorni di ferie eventualmente accumulatisi nel corso di vari anni, ciò che potrebbe comportare un pregiudizio gravoso per gli interessi dell’azienda.

22.      Il governo tedesco ritiene che l’art. 7, n. 1, della direttiva sull’orario di lavoro stabilisca unicamente che ad un lavoratore spetta un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. Oggetto di regolamentazione della suddetta norma sarebbe esclusivamente la durata minima delle ferie annuali. La direttiva rimetterebbe la disciplina delle modalità di concessione delle ferie, fra cui è annoverabile la decadenza dal diritto alle stesse, al potere normativo degli Stati membri e all’interpretazione del diritto nazionale da parte della giurisprudenza.

23.      In merito alla seconda questione pregiudiziale il governo tedesco asserisce che sarebbe lasciato agli Stati membri e alle istituzioni degli stessi decidere se e a quali condizioni intendano prevedere una indennità sostitutiva per le ferie non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro.

24.      Secondo il governo del Regno Unito il ricorrente non avrebbe lavorato durante il periodo in cui era in congedo per malattia e pertanto non avrebbe neanche avuto bisogno di un «periodo di riposo effettivo» per potersi ritemprare dal lavoro. La finalità dell’art. 7, secondo la tesi propugnata dal governo del Regno Unito, sarebbe quella di tutelare la sicurezza e la salute di coloro che lavorano effettivamente prevedendo per essi periodi di riposo. Nel caso di specie la concessione di ferie non avrebbe tuttavia avuto un effetto positivo per la sicurezza e la salute del lavoratore. Non sarebbe stato possibile fruire delle ferie prima della fine del rapporto di lavoro. Ove il ricorrente nel caso di specie avesse un diritto alle ferie per riposo annuali, ci si dovrebbe chiedere: riposo da cosa? Pertanto, affermare che il ricorrente fruisce di «ferie annuali» durante il «congedo per malattia» non avrebbe alcun senso.

25.      Il governo del Regno Unito sottolinea che la risposta alla seconda questione pregiudiziale discende dalla soluzione della prima. Non avendo alcun diritto alle ferie annuali ai sensi dell’art. 7, n. 1, un siffatto lavoratore non potrebbe neppure avere diritto ad un’indennità sostitutiva per le ferie non godute ai sensi dell’art. 7, n. 2. Quest’ultima, inoltre, sarebbe sì ammissibile alla fine di un rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 7, n. 2, ma non obbligatoria. Pertanto non potrebbe esistere alcun obbligo ad un siffatto pagamento ove taluno sia rimasto assente dal lavoro per incapacità lavorativa prolungata dovuta a malattia.

26.      Il governo italiano rinvia sia alle convenzioni nn. 52 e 132 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL o ILO secondo l’acronimo inglese) sia alla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all’interpretazione dell’art. 7 della direttiva. In considerazione dei principi sviluppati dalla Corte, secondo il suddetto governo non è possibile concludere che il diritto alla concessione effettiva delle ferie a favore del ricorrente del procedimento principale si estingua, se non si vuole rimettere in discussione la diversa finalità delle ferie per il riposo e del congedo per malattia.

27.      Dalle considerazioni che precedono il governo italiano deduce che un lavoratore avrebbe comunque diritto, alla fine del rapporto di lavoro, ad un’indennità finanziaria a titolo di compensazione per le ferie maturate e non godute. Pertanto, una norma nazionale in base alla quale i lavoratori non abbiano alcun diritto ad un indennizzo per le ferie non godute perché rimasti malati fino alla scadenza dell’anno di riferimento o del relativo periodo di riporto, non sembrerebbe in sintonia con i principi comunitari.

28.      La Commissione sostiene che l’obiezione secondo cui un lavoratore che sia stato assente per malattia e non abbia lavorato non avrebbe necessità di un corrispondente periodo di riposo, non è compatibile con i principi formulati dalla Corte nella sua giurisprudenza. In caso di prescrizione medica di riposo per malattia del lavoratore il diritto alle ferie annuali non potrebbe essere considerato come goduto, poiché tale prescrizione di riposo conseguirebbe all’inabilità al lavoro del lavoratore e non servirebbe per riposarsi, per operare uno stacco dal lavoro e per recuperare energie, bensì per la guarigione ed il recupero della salute e della capacità lavorativa. Secondo la Commissione gli Stati membri devono rispettare i limiti loro imposti dalla direttiva. I provvedimenti nazionali, pertanto, non potrebbero spingersi fino al punto di obbligare il lavoratore a prendere le ferie annuali entro un periodo di riporto limitato nell’anno successivo e di sanzionare la mancata osservanza di tali condizioni con la decadenza automatica dal diritto alle ferie. La decadenza dal diritto senza compensazione alternativa contrasterebbe pertanto con la finalità della direttiva.

29.      Per quanto attiene alla seconda questione pregiudiziale, la Commissione afferma che l’argomentazione portante della giurisprudenza della Corte, secondo cui la possibilità di sostituire il diritto alle ferie annuali con un’indennità finanziaria sarebbe in linea di principio incompatibile con la direttiva 2003/88, è applicabile a maggior ragione anche ad una normativa nazionale che stabilisca la decadenza automatica dal diritto alle ferie in seguito alla mancata fruizione delle stesse.

30.      Il governo olandese pone in dubbio, nelle sue osservazioni orali, l’applicabilità in via di principio della direttiva 2003/88 a casi di assenza dei lavoratori dovuta a malattia, adducendo a motivazione il fatto che questa non è materia disciplinata dal detto testo normativo. Il campo di applicazione della direttiva 2003/88 sarebbe limitato esclusivamente ai lavoratori attivi, con la conseguenza che nel caso di specie si applicherebbe solo il diritto nazionale. Tuttavia, la molteplicità delle normative nazionali non consentirebbe di inferire conclusioni universalmente valide in relazione ai diritti dei lavoratori malati.

VI – Valutazione giuridica

A –    Sulla prima questione

1.      Osservazioni introduttive

31.      Con la prima questione pregiudiziale il Landesarbeitsgericht di Düsseldorf solleva un problema di interpretazione dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88, in particolare relativamente all’espressione «secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali». Sotto il profilo giuridico questo problema di interpretazione riguarda la questione se e in che misura gli Stati membri abbiano la competenza a stabilire i requisiti normativi per una decadenza dal diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite.

32.      Per quanto attiene alla ripartizione delle competenze legislative fra la Comunità e gli Stati membri riguardo al riconoscimento del diritto alle ferie annuali retribuite, occorre innanzi tutto rilevare che, adottando la direttiva 2003/88, il legislatore comunitario si è servito di uno strumento giuridico che, ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE, lascia certamente agli organi nazionali un determinato margine discrezionale circa la scelta dei mezzi e della forma di attuazione, ma al contempo fissa dei limiti cui essi devono attenersi, in quanto la direttiva vincola ciascuno Stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere (5). In sede di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, agli ordinamenti giuridici nazionali sono dunque conferite ampie, seppur non illimitate, possibilità organizzative (6). Nell’adempiere il proprio compito normativo di trasposizione dell’art. 7, gli Stati membri devono pertanto tenere sempre in considerazione gli scopi della direttiva 2003/88.

2.      Il diritto alle ferie annuali retribuite come diritto sociale fondamentale

33.      Per poter rispondere al giudice a quo in modo adeguato, a mio avviso è necessario partire da lontano ed esaminare il diritto alle ferie annuali retribuite tanto alla luce delle norme di diritto derivato in cui esso trova espressione all’interno dell’ordinamento giuridico comunitario, quanto nel contesto più ampio dei diritti sociali fondamentali.

34.      Riguardo allo scopo della direttiva 2003/88, risulta sia dall’art. 137 CE, che costituisce il fondamento normativo di quest’ultima, sia dal primo, quarto, settimo e ottavo ‘considerando’, nonché dal testo dell’art. 1, n. 1, della direttiva stessa, che questa mira a fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, l’orario di lavoro (7). L’armonizzazione a livello comunitario in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo giornalieri, settimanali e annuali e periodi di pausa adeguati e prevedendo un tetto per la durata della settimana lavorativa (8).

35.      Nell’interpretare l’art. 7 della direttiva 2003/88 occorre tuttavia considerare che il diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite non ha trovato il suo primo riconoscimento con la direttiva sull’orario di lavoro, bensì è in realtà da tempo annoverato, indipendentemente dalla durata del periodo di ferie garantito, fra i diritti sociali fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale (9). A livello internazionale questo diritto fondamentale è menzionato, ad esempio, all’art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10), che conferisce a ciascuno «il diritto al riposo ed allo svago, inclusa una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite». Esso è del pari riconosciuto all’art. 2, n. 3, della Carta sociale del Consiglio d’Europa (11), nonché all’art. 7, lett. d), del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (12) come espressione del diritto di ciascuno a condizioni di lavoro eque e favorevoli.

36.      Nel contesto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), istituzione specializzata delle Nazioni Unite, il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite è stato sinora oggetto di due convenzioni multilaterali; più precisamente, la convenzione n. 132 (13), entrata in vigore il 30 giugno 1973, ha modificato la convenzione n. 52 (14), valida sino a quel momento. Esse contengono precetti vincolanti per gli Stati firmatari con riferimento all’attuazione del suddetto diritto sociale fondamentale all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali.

37.      Questi variegati atti internazionali si differenziano però tra loro sia per contenuto precettivo sia per portata normativa, in quanto in alcuni casi essi sono trattati internazionali, mentre in altri si tratta solo di dichiarazioni solenni prive di effetto vincolante (15). Anche la sfera d’applicazione ratione personae varia da caso a caso, per cui la cerchia degli aventi diritto non è mai identica. A questo riguardo, agli Stati firmatari, in quanto destinatari dei suddetti atti, è solitamente concesso un ampio margine discrezionale attuativo, per cui i beneficiari non possono invocare direttamente tale diritto. È tuttavia significativo che il diritto alle ferie retribuite venga qualificato in modo non equivoco dalla totalità dei suddetti atti internazionali come uno dei diritti fondamentali dei lavoratori.

38.      Ancora più importante, a mio avviso, è il fatto che questo diritto, attraverso l’inserimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (16), abbia ottenuto il riconoscimento più qualificato e definitivo per la propria natura di diritto fondamentale (17). All’art. 31, n. 2, la Carta infatti precisa che «[o]gni lavoratore ha diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite». Sotto il profilo della genesi storica, tale norma ricalca l’art. 2, n. 3, della Carta sociale del Consiglio d’Europa, nonché il punto 8 della Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori (18), tenendo presente che, secondo i chiarimenti forniti dal Segretariato del Presidium della convenzione, si è tenuto debito conto della direttiva 93/104 in quanto direttiva precedente l’attuale direttiva 2003/88 (19).

39.      L’art. 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali sancisce pertanto il diritto a ferie annuali retribuite come un diritto umano spettante a chiunque (20). Vero è che alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, così come anche a taluni degli strumenti giuridici internazionali citati in precedenza, non è stata attribuita un’autentica portata normativa, per cui in essi è ravvisabile in primo luogo una dichiarazione politica. Sono nondimeno dell’opinione che sarebbe sbagliato privare la Carta di qualsivoglia rilievo nell’interpretare il diritto comunitario (21). Indipendentemente dalla questione – che dovrà ulteriormente essere chiarita in futuro – del valore giuridico definitivo della Carta all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, essa rappresenta già oggi una concretizzazione di valori fondamentali comuni dell’Europa (22).

40.      Essa, inoltre, riflette per una parte considerevole anche le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Per quanto mi consta, questa conclusione è senz’altro vera per il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite, dal momento che l’art. 31, n. 2, della Carta ha numerosi antecedenti nelle costituzioni di diversi Stati membri (23). In una controversia vertente sulla natura e sulla portata di un diritto fondamentale come quella di specie è dunque perfettamente lecito fare riferimento al precetto fondamentale di cui all’art. 31, n. 2, della Carta per interpretare l’art. 7 della direttiva 2003/88 (24).

3.      Il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite nella normativa comunitaria

a)      La competenza di attuazione degli Stati membri

41.      La Corte di giustizia ha riconosciuto la portata del diritto alle ferie annuali retribuite e ha affermato che «[i]l diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva 93/104» (25). Le disposizioni di cui all’art. 7 della direttiva 2003/88 sono formulate come una regola secondo la quale il lavoratore deve potere beneficiare di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (26).

42.      Per poter conseguire le finalità della direttiva occorre assumere a presupposto, in accordo con la giurisprudenza, che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 offra una tutela estesa sotto il profilo temporale, motivo per cui le seguenti considerazioni valgono anche per le ferie che non vengono prese nell’anno in corso, bensì in un momento successivo. Al riguardo, infatti, la Corte ha affermato che è vero che l’effetto positivo delle ferie sulla sicurezza e sulla salute del lavoratore si manifesta pienamente se le ferie vengono prese nell’anno all’uopo previsto, cioè l’anno in corso. Tuttavia, tale periodo di riposo non perde al riguardo la sua importanza nel caso in cui venga goduto in un momento successivo. Dato che le ferie, anche se godute nel corso di un anno successivo, possono comunque contribuire alla sicurezza e alla salute del lavoratore, rientrano anche in questo caso nel campo di applicazione della direttiva (27).

43.      Secondo la giurisprudenza, gli Stati membri svolgono un ruolo molto importante nella realizzazione del suddetto diritto in quanto essi, nell’espletare il compito di attuazione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88, hanno il dovere di stabilire le necessarie modalità di applicazione nazionali (28). Ciò include la determinazione delle condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, tenendo presente che gli Stati membri restano liberi di precisare le circostanze concrete in cui i lavoratori possono avvalersi di tale diritto, ad essi spettante sulla base dell’integralità dei periodi di lavoro compiuti (29).

44.      Il rinvio alle legislazioni nazionali operato dall’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 mira in special modo a consentire agli Stati membri di definire un quadro normativo che regoli gli aspetti organizzativi e procedurali per la fruizione delle ferie, quali ad esempio: la pianificazione dei periodi di ferie, l’eventuale obbligo del lavoratore di comunicare previamente al datore di lavoro quando intende fruire delle ferie, il requisito della prestazione di attività lavorativa per un periodo minimo prima di poter fruire delle ferie, i criteri per il calcolo prorata del diritto alle ferie annuali quando la durata del rapporto di lavoro è inferiore ad un anno, ecc. (30). Ma si tratta pur sempre di provvedimenti volti a stabilire le condizioni per l’ottenimento e la concessione del diritto alle ferie, come tali consentiti dalla direttiva 2003/88.

45.      Dal principio di lealtà comunitaria di cui all’art. 10 CE discende per contro l’obbligo incombente agli Stati membri, sancito dal diritto comunitario, di omettere in sede di trasposizione dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 nella normativa nazionale tutto ciò che possa costituire un ostacolo al suddetto obiettivo (31). Ciò riguarda soprattutto l’adozione di provvedimenti che potrebbero pregiudicare l’esistenza stessa del diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite (32). Coerentemente, la Corte, nella sentenza BECTU (33), ha dichiarato incompatibile con il diritto comunitario una normativa nazionale la quale prevedeva una condizione di concessione del diritto alle ferie annuali retribuite tale da impedire la costituzione stessa di tale diritto a favore di taluni lavoratori, adducendo come motivazione che essa non solo svuotava di sostanza un diritto individuale esplicitamente conferito dalla direttiva 93/104, ma era anche in contrasto con l’obiettivo di tale direttiva.

46.      Secondo la mia opinione, la Corte nella menzionata sentenza ha applicato il principio dell’effetto utile del diritto comunitario e al riguardo ha giustamente riconosciuto che uno Stato membro che sia autorizzato a decidere circa la nascita di un diritto può vanificare o addirittura sopprimere quest’ultimo anche subordinandone il godimento a requisiti di difficile soddisfacimento. Ritengo che il diritto in questione possa essere ugualmente vanificato nel caso in cui uno Stato membro sia autorizzato a stabilire i requisiti per la decadenza dal diritto medesimo, poiché in entrambi i casi viene in questione l’esistenza stessa di quest’ultimo.

47.      Sussiste infatti il medesimo pericolo per la realizzazione del diritto alle ferie annuali retribuite se ad uno Stato membro è concessa la facoltà di stabilire in quali circostanze un lavoratore perda tale diritto dopo il decorso di un certo termine. A questo proposito non si tratta più della decisione circa le modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite (34), e cioè dell’attuazione concreta del suddetto diritto, bensì della definizione della portata di una norma comunitaria, ossia dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88.

48.      Un’interpretazione di questa disposizione nel senso che le ferie annuali si prescrivano col decorso di un determinato termine, sebbene i lavoratori non ne abbiano potuto fruire a causa di inabilità al lavoro per motivi di malattia, finisce infatti per escludere determinati lavoratori da tale diritto attraverso una limitazione dell’ambito di applicazione ratione personae della tutela garantita (35).

49.      Tuttavia, a seguito dell’armonizzazione in questo settore della normativa sociale sul lavoro – finalità questa perseguita dall’art. 137, n. 2, lett. b), CE, costituente il fondamento normativo della direttiva 2003/88 –, la competenza a determinare la portata del suddetto diritto spetta ormai alla Comunità (36). Infatti, qualora essa rientrasse nella disponibilità degli Stati membri, sarebbe in pratica impossibile garantire all’interno della Comunità un livello di protezione omogeneo, e quindi l’obiettivo dell’armonizzazione. Per questo motivo si deve respingere l’argomentazione addotta dal governo tedesco, secondo cui la decadenza dal diritto alle ferie rientrerebbe tra le modalità di concessione delle stesse e sarebbe soggetta al potere di regolamentazione degli Stati membri.

b)      Il livello di tutela garantito dal diritto comunitario

50.      Reputo inoltre importante ricordare che la libertà degli Stati membri nel determinare i provvedimenti interni di attuazione è limitata dalla circostanza che l’art. 137, n. 2, lett. b), CE intende garantire, mediante l’adozione di prescrizioni minime, un determinato livello di tutela fissato in norme comunitarie, che gli Stati membri non possono comprimere. Come ha affermato la Corte di giustizia nella sentenza Regno Unito/Consiglio (37) in relazione alla nozione di «prescrizioni minime» nel senso di cui alla precedente base normativa costituita dall’art. 118 A del Trattato CE, tale disposizione non limita l’intervento comunitario al minimo denominatore comune, ossia al più basso livello di tutela fissato dai diversi Stati membri. Piuttosto, la detta nozione va intesa nel senso che gli Stati membri sono liberi di concedere una tutela maggiore rispetto a quella eventualmente elevata risultante dal diritto comunitario.

51.      Tale interpretazione è confermata dal testo dell’art. 136 CE che prescrive come obiettivo della politica sociale «il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro». Ivi si afferma espressamente che tale obiettivo deve essere conseguito mediante una parificazione «nel progresso» (38). Per conseguire questa finalità sancita dal diritto primario, l’art. 15 della direttiva 2003/88 autorizza gli Stati membri ad applicare o a promuovere l’applicazione di misure più favorevoli per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. Al contempo, l’art. 23 della direttiva 2003/88, con riferimento al livello di tutela dei lavoratori, stabilisce che, fatto salvo il diritto degli Stati membri di fissare disposizioni diverse, a condizione che i requisiti minimi previsti dalla direttiva siano rispettati, l’attuazione di quest’ultima non costituisce una giustificazione per il regresso del livello generale di protezione dei lavoratori (39).

52.      Sulla base della direttiva 2003/88 è possibile determinare il livello di tutela minima stabilito dal legislatore comunitario in materia di diritto alle ferie. Al riguardo si deve osservare che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 non contempla alcuna limitazione del diritto alle ferie. La direttiva non stabilisce che il lavoratore debba chiedere in tempo utile e godere effettivamente delle ferie entro un determinato momento, e cioè entro la fine dell’anno di riferimento o del periodo di riporto, né prevede la decadenza dal diritto. L’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 non figura neanche fra le disposizioni alle quali l’art. 17 di quest’ultima permette espressamente di derogare (40).

53.      In tal modo il legislatore comunitario aspira consapevolmente ad un livello minimo di tutela superiore a quello accordato dalla convenzione n. 132 dell’OIL (41). Mentre l’art. 9 della suddetta convenzione prevede per la concessione e il godimento delle ferie annuali un limite temporale di un anno o di 18 mesi dopo la fine dell’anno per il quale è maturato il diritto alle ferie (42), nell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 manca totalmente una disposizione in tal senso. Ciò consente di concludere che la tutela che il diritto comunitario intende garantire ai lavoratori ha una portata più ampia rispetto a quella accordata dalle norme giuslavoristiche del diritto internazionale (43).

54.      Pertanto, un’interpretazione dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 nel senso che il diritto alle ferie annuali retribuite si estingua una volta decorso un determinato periodo di tempo, ove esse non vengano godute a tempo debito, non è compatibile né con lo scopo del legislatore comunitario di garantire un livello di protezione superiore rispetto a quello offerto dalla convenzione n. 132 dell’OIL, né trova un fondamento nel testo della suddetta norma.

c)      Collegamento del diritto alle ferie con la capacità lavorativa

i)      Trasponibilità dei principi elaborati dalla giurisprudenza

55.      Contrariamente all’opinione dei governi del Regno Unito e olandese non vi sono neanche spunti per sostenere che l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 colleghi il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite alla capacità lavorativa del lavoratore nell’anno di riferimento o nel periodo di riporto. Senz’altro si potrebbe in linea di principio eccepire che un lavoratore che sia stato assente per malattia e non abbia lavorato non necessita di un corrispondente periodo di riposo. Tuttavia, come correttamente rilevato dalla Commissione, questo approccio non è compatibile con quello espresso dalla Corte nelle sentenze Merino Gómez (44) e FNV (45).

56.      Nella causa Merino Gómez la Corte si era occupata del rapporto esistente fra ferie annuali e congedo di maternità secondo il diritto comunitario. In concreto la questione era se, alla luce dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88, dell’art. 11, n. 2, lett. a), della direttiva 92/85/CEE (46) e dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207/CEE (47), in casi in cui gli accordi collettivi stipulati fra un’azienda ed i rappresentanti dei lavoratori stabilissero i periodi di ferie per la totalità del personale e tali periodi coincidessero con il suo congedo di maternità, una lavoratrice avesse diritto a fruire delle ferie annuali in un periodo diverso da quello concordato, non coincidente con il congedo di maternità. La Corte di giustizia ha osservato, al riguardo, che la finalità del diritto alle ferie annuali è diversa da quella del diritto al congedo di maternità. Quest’ultimo è volto alla protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza nonché alla protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto (48). La Corte ha pertanto sentenziato che una lavoratrice deve poter godere delle sue ferie annuali in un periodo diverso da quello del suo congedo di maternità (49).

57.      La Corte ha confermato questo principio nella sentenza FNV e ha ulteriormente precisato che se alla fine di un anno si cumulano i periodi di più congedi garantiti dal diritto comunitario, può essere inevitabile riportare le ferie annuali o una parte delle stesse all’anno successivo (50), poiché un congedo garantito da norme comunitarie non può pregiudicare il diritto di godere di un altro congedo garantito a livello comunitario (51).

58.      Sebbene una gravidanza non possa certamente essere equiparata ad uno stato di malattia, è possibile addurre diversi motivi a favore di una corrispondente applicazione di questa giurisprudenza al rapporto fra ferie annuali e congedo per malattia. Analogamente al congedo di maternità, il congedo per malattia, infatti, ha lo scopo di preservare l’integrità psico‑fisica del lavoratore, offrendogli la possibilità, mediante lo svincolo dal dovere di lavorare e la concessione di un periodo di riposo, di riprendersi fisicamente e di reinserirsi successivamente nel proprio posto di lavoro. Diversamente dalle ferie annuali, che servono per ritemprarsi, distaccarsi e riposarsi, il congedo per malattia mira pertanto esclusivamente alla guarigione e alla cura, cioè al superamento di uno stato patologico le cui cause risiedono per di più al di fuori della sfera di controllo del lavoratore interessato (52).

59.      A tale riguardo, in adesione alla tesi del governo italiano, si deve affermare che, in considerazione dei principi elaborati dalla Corte di giustizia, non è possibile pervenire alla conclusione che il diritto del ricorrente della causa principale all’effettiva fruizione delle ferie si estingua, senza con ciò mettere in discussione le diverse finalità del congedo ordinario per riposo e del congedo per malattia. Secondo la tesi fondamentale della suddetta giurisprudenza, non dovrebbe essere consentito concedere il congedo per malattia a spese delle ferie annuali retribuite, in quanto in caso contrario si potrebbe pervenire ad uno svuotamento di questo diritto sancito come fondamentale.

ii)    Contrasto con la ratio dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88

–       Rischio di un’interpretazione estranea alla finalità normativa

60.      Oltre ai dubbi già espressi in precedenza contro un’interpretazione dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 che permetta una perdita del diritto alle ferie dopo il decorso un certo termine, si può addurre come argomento ulteriore l’incompatibilità di una siffatta normativa con la finalità della direttiva 2003/88 di garantire il miglioramento della sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori.

61.      La ratio originaria del divieto imposto dalle norme giuslavoristiche di accumulare giorni di ferie non goduti, quale previsto sino ad oggi da taluni ordinamenti giuridici nazionali – fra cui quello tedesco –, sembra quella di garantire l’effettiva fruizione delle ferie entro l’anno corrente, ponendo a carico del lavoratore stesso la responsabilità dell’attuazione del proprio diritto alle ferie nel caso singolo. Secondo questa concezione appare palesemente coerente porre a carico del lavoratore le conseguenze della sua inerzia o del tardivo azionamento del diritto mediante la perdita del medesimo (53).

62.      Occorre tuttavia riflettere sul fatto che lo scopo originario della tutela sociale del lavoratore, che ispira la suddetta normativa ed in quanto tale è identico a quello della direttiva 2003/88, viene rovesciato nel suo esatto contrario se il lavoratore non può realizzare il proprio diritto alle ferie annuali per motivi a lui non imputabili. Fra le circostanze non imputabili al lavoratore rientra, da un lato, la possibilità di un inadempimento intenzionale da parte del datore di lavoro, che per di più viene premiato da una siffatta disciplina; ma vi rientrano, dall’altro, anche circostanze naturali di forza maggiore, estranee alla sfera di controllo del soggetto interessato, come la malattia.

63.      In entrambi i casi attraverso la perdita del diritto alle ferie non solo lo scopo perseguito viene perso di vista, ma si determina in ultima analisi una sanzione a carico del lavoratore, non giustificabile oggettivamente. Una siffatta conseguenza giuridica è palesemente inconciliabile con la ratio della direttiva 2003/88. Conseguentemente l’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 non può essere interpretato nel senso che l’incapacità lavorativa del lavoratore dovuta a malattia comporti una perdita del diritto ad un periodo minimo di ferie annuali garantito come diritto fondamentale.

–       Interpretazione ispirata agli interessi delle parti del rapporto di lavoro

64.      Contrariamente a quanto affermato dalla convenuta della causa principale, è senz’altro possibile un’interpretazione dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 che tenga conto degli interessi del datore di lavoro e allo stesso tempo comprima il diritto fondamentale ad un periodo minimo di ferie annuali in misura minore rispetto alla normativa tedesca controversa. Come correttamente chiarito dalla Commissione, appare opportuno che uno Stato membro stabilisca condizioni affinché, nell’interesse della salute e della sicurezza, ad esempio, i diritti alle ferie possano essere riportati solo nella misura in cui ciò appaia necessario. Sarebbe ipotizzabile anche la creazione di incentivi per indurre i lavoratori a fruire delle ferie annuali entro un periodo di tempo ragionevole nell’anno successivo.

65.      L’attuazione concreta di questi provvedimenti a livello d’impresa spetta per contro al datore di lavoro, il quale grazie ai suoi ampi poteri di organizzazione e coordinamento (54) è in grado di conciliare il più possibile il diritto dei lavoratori alle ferie con i bisogni della propria azienda.

iii) Confronto con le disposizioni di cui alla convenzione n. 132 dell’OIL

66.      Contro un collegamento fra diritto alle ferie e capacità lavorativa del lavoratore depone inoltre la circostanza che, secondo il testo non equivoco dell’art. 5, n. 4, della convenzione n. 132 dell’OIL, «le assenze dal lavoro per motivi indipendenti dalla volontà della persona impiegata interessata, come ad esempio le assenze per malattia, incidente o congedo per maternità, saranno calcolate nel periodo di servizio» (55). Inoltre l’art. 6, n. 2, della medesima convenzione prescrive espressamente che «i periodi di inabilità al lavoro derivanti da malattie o incidenti non possono essere calcolati nel congedo pagato minimo annuale».

67.      Pertanto, le suddette disposizioni devono essere intese, conformemente alla loro finalità, nel senso che un congedo fruito in precedenza per malattia non può pregiudicare il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite (56). È vero che gli Stati firmatari, fra cui figura la maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea (57), devono «garantire ciò secondo condizioni stabilite dalle autorità competenti o con procedure adeguate in ciascuno Stato»; tuttavia la competenza degli Stati membri è limitata anche in questo caso all’adozione di provvedimenti attuativi, per cui dovrebbe essere loro giuridicamente vietato non considerare le suddette assenze dal lavoro come periodi di servizio.

68.      Di conseguenza, le norme della convenzione n. 132 dell’OIL e della direttiva 2003/88 sono sostanzialmente convergenti nel loro contenuto normativo di base (58). Quindi gli Stati membri sono tenuti ad interpretare tali testi e ad organizzare i propri ordinamenti giuridici nazionali in modo tale che le assenze dal lavoro a causa di malattia non pregiudichino il diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite.

B –    Sulla seconda questione

69.      Oggetto della seconda questione pregiudiziale è la portata normativa del diritto all’indennità per le ferie non godute previsto dall’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88. La monetizzazione delle ferie, ovvero il pagamento delle ferie annuali non godute, si sostituisce alla concessione di tempo libero quando le ferie non possono più essere concesse a seguito della fine del rapporto di lavoro. Questo diritto rappresenta l’unica eccezione al divieto di monetizzazione previsto in linea di principio dalla direttiva, che vieta altrimenti in modo categorico alle parti di un rapporto di lavoro di sostituire le ferie annuali con un’indennità finanziaria, indipendentemente dal fatto che queste debbano essere prese nell’anno in corso o riportate ad un periodo successivo.

70.      Secondo la giurisprudenza della Corte questo divieto mira a garantire che il lavoratore possa di norma beneficiare di un periodo di riposo effettivo per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (59). In tal modo si intende impedire una «compravendita» abusiva del diritto alle ferie da parte del datore di lavoro ovvero una rinuncia del lavoratore alle stesse per motivi meramente economici (60).

71.      L’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88 sottolinea la funzione del mantenimento della retribuzione durante il periodo di ferie, la quale consiste nel mettere il lavoratore, in occasione di tali ferie, in una situazione che, dal punto di vista retributivo, è paragonabile ai periodi di lavoro (61). In altre parole l’obbligo di corrispondere tale retribuzione durante le ferie garantisce che il lavoratore sia economicamente in condizione di fruire effettivamente delle proprie ferie annuali (62). Non diverso è lo scopo dell’indennità sostitutiva per le ferie non fruite. La finalità dell’indennità finanziaria sostitutiva è infatti che il lavoratore possa, in linea di principio, prendere un periodo di riposo retribuito anche dopo la fine del rapporto di lavoro prima di intraprenderne uno nuovo (63). Pertanto, ove la suddetta indennità venisse meno, la conseguenza sarebbe che la finalità del riposo del lavoratore, perseguita dalla direttiva 2003/88, non potrebbe essere raggiunta.

72.      La Corte di giustizia ha osservato nella sentenza Robinson Steele (64) che la direttiva 2003/88 tratta il diritto alle ferie annuali e quello al pagamento della retribuzione durante le ferie come due aspetti di un unico diritto. Sono dell’avviso che proprio questa identità di funzioni del diritto allo stipendio e di quello all’indennità per le ferie non godute induca a considerare anche quest’ultimo come una parte inscindibile del diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite.

73.      A questo proposito la soluzione della seconda questione pregiudiziale discende già dalle mie considerazioni relative alla prima questione. Se infatti la decadenza automatica dal diritto alle ferie annuali retribuite dopo il decorso di un determinato termine si pone, come già osservato, in contrasto con lo scopo della direttiva 2003/88, ciò deve valere in ugual modo per il diritto ad un’indennità per le ferie non godute collegato, quale diritto accessorio, al diritto alle ferie.

74.      Per contro non si può aderire alla tesi della convenuta della causa principale secondo cui la prospettiva di dover monetizzare, alla conclusione del rapporto di lavoro, un gran numero di giorni di ferie eventualmente accumulatisi nel corso di vari anni potrebbe indurre i datori di lavoro a separarsi prematuramente dai lavoratori colpiti da malattia di lunga durata ricorrendo al licenziamento. Si può opporre a questa tesi, infatti, che proprio la mancanza di un obbligo del datore di lavoro di indennizzare le ferie non godute potrebbe incoraggiare quest’ultimo a licenziare dei lavoratori prima della concessione delle ferie annuali, in quanto egli in caso contrario sarebbe tenuto a soddisfare il diritto di costoro ad un periodo di ferie annuali retribuite ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88. Qualora si intenda prevenire un ricorso abusivo al diritto di licenziamento finalizzato all’elusione di questo diritto fondamentale garantito dalla normativa comunitaria, si deve in ogni caso attribuire al lavoratore, alla fine del rapporto di lavoro, un diritto ad un’indennità finanziaria in sostituzione delle ferie maturate e non godute.

75.      Neanche un esame comparato delle disposizioni pertinenti della convenzione n. 132 dell’OIL consente una conclusione diversa. L’art. 11 della convenzione sancisce in linea di principio il diritto del lavoratore ad un’indennità sostitutiva per le ferie non godute proporzionale al periodo di servizio per il quale egli non ha ancora usufruito di ferie. Dal momento che il diritto all’indennità sostitutiva anche qui è collegato al diritto ad un periodo minimo di ferie, che si configura quale diritto principale, occorre fare riferimento all’art. 5, n. 4, della convenzione, a norma del quale le assenze dal lavoro per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore interessato, come ad esempio quelle per malattia, incidente o congedo per maternità, devono essere calcolate nel periodo di servizio (65). Conseguentemente, un’incapacità lavorativa dovuta a malattia non può risolversi in un pregiudizio per il diritto ad un’indennità sostitutiva per le ferie non godute.

76.      Alla luce delle considerazioni che precedono, l’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che ai lavoratori spetta in ogni caso, alla fine del rapporto di lavoro, il diritto ad un’indennità finanziaria in sostituzione delle ferie maturate e non godute.

C –    Sulla terza questione

77.      Come già illustrato, consegue da un’interpretazione teleologica dell’art. 7 della direttiva 2003/88 (66), nonché dalla ratio normativa dell’art. 5, n. 4, della convenzione n. 132 dell’OIL (67), che il periodo di malattia deve essere equiparato al periodo di servizio, in quanto trattasi di un’assenza per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore e pertanto giustificata.

78.      Nel medesimo arco di tempo, perciò, sorgono tutti i diritti del lavoratore, incluso il diritto alle ferie annuali retribuite, il quale può essere fruito una volta ristabilita la capacità lavorativa o essere sostituito dal pagamento di un’indennità – in caso di fine del rapporto di lavoro – anche in caso di intervenuta incapacità lavorativa totale.

79.      La nascita del diritto alle ferie annuali o di quello all’indennità non è, in linea di principio, subordinata al previo espletamento di un’attività effettiva, per cui i suddetti diritti spettano al lavoratore anche ove questi sia stato assente dal lavoro per malattia durante l’intero anno di riferimento.

80.      Per quanto attiene alla parte della questione, ulteriore rispetto alla precedente, volta a stabilire se i suddetti diritti sorgano anche in caso di assenza ingiustificata nell’intero anno di riferimento, vorrei ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il procedimento di rinvio pregiudiziale ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (68).

81.      Nell’ambito di tale cooperazione, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (69).

82.      Tuttavia, la Corte ha parimenti affermato che, in ipotesi eccezionali, spetta ad essa esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza. Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con i reali termini o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (70).

83.      Infatti, lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento del procedimento pregiudiziale implica che il giudice nazionale, dal canto suo, tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche (71).

84.      Dall’ordinanza di rinvio si evince che il ricorrente della causa principale è rimasto ininterrottamente assente dal lavoro per malattia certificata dall’8 settembre 2004 al 30 settembre 2005, ovvero fino al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La sua assenza era pertanto chiaramente giustificata, per cui la Corte non è tenuta a pronunciarsi sulla parte della questione volta a stabilire se il diritto alle ferie annuali o ad un indennizzo finanziario sorga anche in caso di assenza ingiustificata, essendo essa irrilevante ai fini della decisione nella causa principale.

VII – Conclusione

85.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di giustizia di risolvere la domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal Landesarbeitsgericht di Düsseldorf statuendo nei seguenti termini:

1.      L’art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che i lavoratori devono comunque godere di un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. In particolare, le ferie non godute dal lavoratore a causa di malattia nel corso dell’anno di riferimento devono essere concesse in un momento successivo.

2.      L’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore ha comunque diritto ad un’indennità finanziaria a titolo di compensazione per le ferie maturate e non godute (indennità sostitutiva).

3.      L’art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che il diritto alle ferie annuali o alla compensazione monetaria sorge anche in caso di assenza giustificata (per malattia) nell’intero anno di riferimento.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 299, pag. 9.


3 – GU L 307, pag. 18.


4 – Il grado di disabilità (GdB) è un concetto utilizzato dalla normativa tedesca in materia di invalidità gravi. Si tratta di un’unità di misura per il grado di menomazione cagionato da un’invalidità. La nozione viene utilizzata nel Sozialgesetzbuch IX – Rehabilitation und Teilhabe behinderter Menschen (Libro IX del Codice delle materie sociali – Riabilitazione e inserimento dei disabili). Il GdB può variare da 20 a 100. È articolato in scaglioni di 10. Sono considerate disabili gravi tutte le persone con un grado di disabilità di almeno 50 GdB, accertato dal Versorgungsamt (Ufficio assistenza) o dall’Amt für Soziale Angelegenheiten (Ufficio per le questioni sociali). Nel documento di riconoscimento per disabili gravi sono riportati contrassegni che indicano menomazioni speciali. Il contrassegno «G» identifica una menomazione motoria nella circolazione stradale.


5 – V. la fondamentale sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer (Racc. pag. 497, punti 69 e 73), secondo cui «gli Stati membri [sono obbligati a] scegliere, nell’ambito discrezionale loro attribuito dall’art. [249 CE], le forme ed i mezzi più idonei a garantire l’efficacia reale delle direttive, tenuto conto del loro scopo».


6 – V. Stärker, L., Kommentar zur EU‑Arbeitszeit‑Richtlinie, Vienna 2006, pag. 81.


7 – Sentenze 26 giugno 2001, causa C‑173/99, BECTU (Racc. pag. I‑4881, punto 37); 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger (Racc. pag. I‑8389, punti 45 e 47); 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punto 91), e 1° dicembre 2005, causa C‑14/04, Dellas e a. (Racc. pag. I‑10253, punto 40).


8 – Sentenze 3 ottobre 2000, causa C‑303/98, Simap (Racc. pag. I‑7963, punto 49); BECTU (cit. alla nota 7, punto 38); Jaeger (cit. alla nota 7, punto 46); 12 ottobre 2004, causa C‑313/02, Wippel (Racc. pag. I‑9483, punto 47), e Dellas e a. (cit. alla nota 7, punto 41).


9 – Come afferma l’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni presentate l’8 febbraio 2001 nella causa BECTU (sentenza cit. alla nota 7, paragrafo 22), il diritto alle ferie annuali retribuite è da tempo annoverato tra i diritti sociali fondamentali.


10 – Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217 A (III) dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.


11 – Carta sociale europea, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa il 18 ottobre 1961 a Torino ed entrata in vigore il 26 febbraio 1965. L’art. 2, n. 3, afferma che, per assicurare l’effettivo esercizio del diritto ad eque condizioni di lavoro, le Parti s’impegnano a garantire il godimento di ferie annuali retribuite di almeno due settimane.


12 – Il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali è stato adottato all’unanimità il 19 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’art. 7, lett. d), afferma che «[g]li Stati parti (....) riconoscono il diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, le quali garantiscano in particolare (...) il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi».


13 – Convenzione n. 132 relativa ai congedi annuali pagati (nuova versione del 1970), adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro il 24 giugno 1970, entrata in vigore il 30 giugno 1973.


14 – Convenzione n. 52 sui congedi annuali pagati, adottata dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro il 24 giugno 1936, entrata in vigore il 22 settembre 1939. Questa convenzione è stata riformulata mediante la convenzione n. 132, ma continua ad essere aperta alla ratifica.


15 – Zuleeg, M., «Der Schutz sozialer Rechte in der Rechtsordnung der Europäischen Gemeinschaft», Europäische Grundrechte‑Zeitschrift 1992, fascicolo 15/16, pag. 331, sottolinea che gli atti privi di efficacia vincolante, come la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, fungono innanzi tutto da orientamenti programmatici. Essi acquisiscono eventualmente una valenza giuridica allorquando gli organi giurisdizionali li prendono in considerazione a fini interpretativi o per la creazione di norme di matrice giurisprudenziale. Balze, W., «Überblick zum sozialen Arbeitsschutz in der EU», Europäisches Arbeits‑ und Sozialrecht, 38° aggiornamento 1998, punto 4, rileva giustamente che, sebbene la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori non sia di per sé – in quanto dichiarazione solenne – per nulla vincolante sotto il profilo giuridico, essa ha tuttavia agito da importante catalizzatore per il programma della Commissione, adottato alla fine del 1989, per l’attuazione della Carta comunitaria del 28 novembre 1989. Tale programma d’attuazione prevedeva complessivamente 23 proposte concrete di direttiva, fra l’altro nel settore della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori, che sono state sostanzialmente attuate entro il 1993. Se ne deduce che anche dichiarazioni solenni, in quanto fonte di ispirazione dell’attività legislativa, possono in ultima analisi acquisire importanza nella realizzazione dei diritti sociali fondamentali in esse proclamati.


16 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1).


17 – Ad uguale risultato perviene l’avvocato generale Tizzano nelle sue conclusioni presentate l’8 febbraio 2001 nella causa BECTU (sentenza cit. alla nota 9, paragrafo 26).


18 – La Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori è stata adottata il 9 dicembre 1989 a Strasburgo dai capi di Stato e di governo degli Stati membri della Comunità europea. Al punto 8 della suddetta Carta si afferma che «[o]gni lavoratore della Comunità europea ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite i cui periodi devono essere via via ravvicinati, in modo da ottenere un progresso, conformemente alle prassi nazionali». Eichenhofer, E., Handbuch des EU‑Wirtschaftsrechts (a cura di Dauses, M.A.), Monaco 2004, volume 1, D. III., punti 38 e 39, qualifica espressamente in questo contesto il diritto alle ferie annuali retribuite come un «diritto sociale fondamentale» sancito dalla Carta comunitaria.


19 – V., al riguardo, Rengeling, H.‑W., Grundrechte in der Europäischen Union, Colonia 2004, punto 1016, pag. 812.


20 – Riedel, E., Charta der Grundrechte der Europäischen Union (a cura di Jürgen Meyer), 2ª edizione, Baden‑Baden 2006, art. 31, punto 20, è dell’opinione che l’importanza dell’art. 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali risieda innanzi tutto nell’avere sancito in modo incontestabile come minimo sociale i principi della limitazione della durata massima dell’orario lavoro, dei periodi di riposo giornalieri e dei periodi di riposo da concedere settimanalmente, anche in caso di rapporti di lavoro con orari di servizio organizzati su turni o flessibili, nonché nell’aver proclamato le ferie annuali retribuite come diritto umano spettante a chiunque.


21 – Ho espresso da ultimo tale opinione nelle conclusioni da me presentate il 3 maggio 2007 nella causa C‑62/06, Zefeser (paragrafo 54 e nota 43), relativamente al diritto ad un processo equo sancito all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali. Precedentemente si erano espressi in tal senso l’avvocato generale Tizzano, nelle sue conclusioni nella causa BECTU (cit. alla nota 9, paragrafo 28), nonché l’avvocato generale Léger, nelle conclusioni da lui presentate il 10 luglio 2001 nella causa C‑353/99 P, Consiglio/Hautala (Racc. pag. I‑9565, paragrafi 73‑86). Anche la Corte di giustizia si richiama con sempre maggior frequenza alle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali. V., da ultimo, sentenza 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑5769, punto 38), che rinvia al riferimento alla Carta contenuto nei ‘considerando’ della direttiva controversa, nonché sentenze 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet (Racc. pag. I‑2271, punto 37), e 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld (Racc. pag. I‑3633, punto 46).


22 – V., al riguardo, Poiares Maduro, M., «The double constitutional life of the Charter of Fundamental Rights», Unión Europea y derechos fundamentales en perspectiva constitucional, Madrid 2004, pag. 306; Schmitz, T., «Die Charta der Grundrechte der Europäischen Union als Konkretisierung der gemeinsamen europäischen Werte», Die Europäische Union als Wertegemeinschaft, Berlino 2005, pag. 85, nonché Beyer, U./Oehme, C./Karmrodt, F., «Der Einfluss der Europäischen Grundrechtecharta auf die Verfahrensgarantien im Unionsrecht», Beiträge zum Transnationalen Wirtschaftsrecht, fascicolo 34, novembre 2004, pag. 14. García Perrote Escartín, I., «Sobre el derecho de vacaciones», Scritti in memoria di Massimo D’Antona, volume 4 (2004), pag. 3586, dà voce all’ipotesi che il diritto alle ferie annuali retribuite, così come sancito all’art. 40, n. 2, della Costituzione spagnola, sia il frutto dell’insieme degli strumenti internazionali preposti alla tutela del diritto fondamentale. Egli ritiene che tali strumenti abbiano contribuito complessivamente allo sviluppo di una coscienza universale o prettamente europea dell’esistenza del suddetto diritto sociale fondamentale.


23 – Secondo il diritto comunitario, spetta anzitutto agli Stati membri dettare norme per la disciplina delle condizioni di lavoro. Diversi testi costituzionali contengono garanzie relativamente alle condizioni di lavoro, che comprendono il diritto dei lavoratori ad un periodo di riposo. Ad esempio, l’art. 11, n. 5, della Costituzione del Lussemburgo e l’art. 40, n. 2, della Costituzione della Spagna attribuiscono allo Stato il dovere di creare condizioni di lavoro salubri e di garantire il riposo dei lavoratori o di provvedere al riguardo [v. González Ortega, S., «El disfrute efectivo de las vacaciones anuales retribuidas: una cuestión de derecho y de libertad personal, de seguridad en el trabajo y de igualdad», Revista española de derecho europeo, n. 11 (2004), pagg. 423 e segg.]. Una disciplina molto più completa e maggiormente aderente alla formulazione dell’art. 31 della Carta è rinvenibile nell’art. 36 della Costituzione italiana, che, fra l’altro, prevede il diritto ad un giorno di riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. La Costituzione del Portogallo sembra essere stata uno dei modelli ispiratori delle norme della Carta, in quanto il suo art. 59, n. 1, lett. d), sancisce il diritto al riposo e allo svago, ad una durata massima dell’orario di lavoro giornaliero, ad una pausa di riposo settimanale, nonché a ferie regolari e retribuite (v. Vieira De Andrade, J. C., «La protection des droits sociaux fondamentaux dans l’ordre juridique du Portugal», La protection des droits sociaux fondamentaux dans les États membres de l’Union européenne – Étude de droit comparé, Atene/Bruxelles/Baden‑Baden 2000, pag. 677). Nella maggior parte dei vecchi Stati membri dell’Unione europea il diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite si basa su normative dettate da leggi ordinarie, che riflettono i pertinenti precetti di diritto derivato delle direttive nella misura in cui siano interessati ambiti di applicazione del diritto comunitario. I nuovi Stati membri, con l’eccezione di Cipro, presentano per contro una codificazione molto puntuale di questo diritto. Ciò vale, ad esempio, per l’art. 36, lett. f), della Costituzione slovacca, per l’art. 66, n. 2, di quella polacca, per l’art. 70/B, n. 4, di quella ungherese, per l’art. 107 di quella lettone, nonché per l’art. 49, n. 1, della Costituzione lituana, che garantiscono il periodo minimo di ferie annuali retribuite. Di condizioni di lavoro in generale si parla nelle Costituzioni della Slovenia (art. 66), della Repubblica ceca (art. 28), nonché dell’Estonia (art. 29, n. 4) (v. Riedel, E., op. cit. alla nota 20, art. 31, punti 3 e 4).


24 – Secondo Smismans, S., «The Open Method of Coordination and Fundamental Social Rights», Social Rights in Europe (a cura di Gráinne de Búrca e Bruno de Witte), Oxford 2005, pag. 229, nei procedimenti dinanzi alla Corte di giustizia si porrà necessariamente la questione del rapporto fra l’art. 7 della direttiva 2003/88 ed i diritti fondamentali, in primis l’art. 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Secondo Krebber, S., Kommentar zu EU‑Vertrag und EG‑Vertrag (a cura di Christian Calliess/Matthias Ruffert), 1ª edizione, Neuwied 1999, art. 136 CE, punto 35, pag. 1365, la Carta sociale europea e la Carta comunitaria forniscono importanti ausili interpretativi quanto al significato di nozioni giuslavoristiche a livello comunitario. Stärker, L., Kommentar zur EU‑Arbeitszeit‑Richtlinie, Vienna 2006, pag. 81, attribuisce apertamente all’art. 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali persino carattere normativo, sottolineando che tale disposizione impone di stabilire un periodo di ferie annuali retribuite. Secondo Benedetti, G., «La rilevanza giuridica della Carta Europea innanzi alla Corte di Giustizia: il problema delle ferie annuali retribuite», Carta Europea e diritti dei privati, 2000, pagg. 128 e 129, in una controversia sulla portata del diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite la Carta dei diritti fondamentali, seppur priva di efficacia vincolante, non può essere ignorata, in quanto essa contiene asserzioni che riflettono le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Nell’interpretazione del diritto comunitario essa svolge pertanto una funzione di punto di riferimento ovvero di ausilio interpretativo.


25 – Sentenze 6 aprile 2006, causa C‑124/05, Federatie Nederlandse Vakbeweging (Racc. pag. I‑3423, punto 28); Dellas e a. (cit. alla nota 7, punto 49); 18 marzo 2004, causa C‑342/01, Merino Gómez (Racc. pag. I‑2605, punto 29), e BECTU (cit. alla nota 7, punto 43).


26 – Sentenza BECTU (cit. alla nota 7, punto 44).


27 – Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (cit. alla nota 25, punti 30 e 31).


28 – Sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C‑131/04 e C‑257/04, Robinson‑Steele (Racc. pag. I‑2531, punto 57).


29 – Sentenza BECTU (cit. alla nota 7, punto 53).


30 – In tal senso le considerazioni della Commissione nella causa BECTU, riprese dall’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni da lui presentate in tale causa (cit. alla nota 9, paragrafo 34).


31 – Secondo una costante giurisprudenza, dall’art. 10 CE discende l’obbligo degli Stati membri di trasporre le direttive in modo da assicurarne effettivamente la piena applicazione (sentenze 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑6325, punti 24‑26; 16 novembre 2000, causa C‑214/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑9601, punto 49, e 9 settembre 1999, causa C‑217/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑5087, punto 31). Il legislatore nazionale deve pertanto modificare, abrogare o integrare la normativa interna in modo tale che i precetti del diritto comunitario possano dispiegare tutta la loro efficacia pratica [v. sentenza 8 febbraio 1973, causa 30/72, Commissione/Italia, Racc. pag. 161, punto 11; Kahl, W., Kommentar zu EU‑Vertrag und EG‑Vertrag (a cura di Christian Calliess/Matthias Ruffert), 1ª edizione, Neuwied 1999, art. 10 CE, punto 19, pag. 374].


32 – In questo senso Bogg, A.L., «The right to paid annual leave in the Court of Justice: the eclipse of functionalism», European Law Review, volume 31 (2006), n. 6, pag. 897, secondo cui una normativa nazionale non si può spingere a negare l’esistenza del diritto ad un periodo minimo di ferie annuali retribuite.


33 – Sentenza BECTU (cit. alla nota 7, punto 48).


34– Nella sentenza BECTU (cit. alla nota 7, punto 61) la Corte ha osservato che la direttiva 93/104 non impedisce agli Stati membri «di organizzare le modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali disciplinando, ad esempio, il modo in cui i lavoratori possono prendere le ferie cui hanno diritto durante le prime settimane di lavoro».


35 – Proprio questo, peraltro, non è consentito agli Stati membri (v. sentenza BECTU, cit. alla nota 7, punto 52). In base alla suddetta sentenza, gli Stati membri non possono limitare unilateralmente il diritto alle ferie annuali retribuite, conferito a tutti i lavoratori, subordinandone la concessione ad una condizione che ha l’effetto di escludere taluni lavoratori dal godimento di tale diritto.


36 – L’art. 137 CE rappresenta la più importante norma autorizzativa per l’adozione di direttive nel capitolo sulla politica sociale. Essa impone di dare all’armonizzazione un orientamento definito, ricavabile dal collegamento tra il primo ed il secondo paragrafo. Su questa base, l’armonizzazione deve avere luogo al fine di promuovere la funzione di sostegno e di completamento dell’attività della Comunità nei settori enunciati al primo paragrafo, lett. a)‑i). Fra questi figura, ai sensi del primo paragrafo, lett. a), la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. La precedente base normativa era costituita dall’art. 118 del Trattato CE, anch’esso connotato da un orientamento principalmente socio‑politico e che, sotto questo profilo, si distingueva dall’altra norma sulla competenza di cui all’art. 100 bis del Trattato CE (art. 94 CE), finalizzato al mercato comune (v. Krebber, S., op. cit. alla nota 24, art. 137 CE, punto 18, pag. 1373).


37 – Sentenza 12 novembre 1996, causa C‑84/94, Regno Unito/Consiglio (Racc. pag. I‑5755, punto 56).


38 – Balze, W., op. cit. alla nota 15, 38° supplemento 1998, punto 3.


39 – Sentenza Regno Unito/Consiglio (cit. alla nota 37, punto 42). Balze, W., «Arbeitszeit, Urlaub und Teilzeitarbeit», Europäisches Arbeits‑ und Sozialrecht, 79° supplemento (ottobre 2002), B 3100, punto 6, pag. 9, concepisce le norme della direttiva sull’orario di lavoro come disposizioni minime conformemente alla concezione dell’art. 137 CE, per cui gli Stati membri possono adottare o mantenere normative più severe in materia di orario di lavoro. Tuttavia, ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2003/88, eventuali norme comunitarie più specifiche prevalgono sulle disposizioni di quest’ultima indipendentemente dalla questione se il loro livello di tutela sia inferiore rispetto a quello offerto dalla direttiva stessa.


40 – V. sentenze Robinson Steele (cit. alla nota 28, punto 62) e BECTU (cit. alla nota 7, punto 41). In questo senso anche Balze, W., «Die Richtlinie über die Arbeitszeitgestaltung», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, n. 7 (1994), pag. 207, il quale non vede alcuna concreta facoltà di deroga a questa normativa.


41 – Si ricordi in questo contesto che, ai sensi del sesto ‘considerando’ della direttiva 2003/88, occorre tener conto dei principi dell’OIL in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. Anche l’avvocato generale Kokott, alla nota 8 delle conclusioni presentate il 12 gennaio 2006 nella causa Federatie Nederlandse Vakbeweging (sentenza cit. alla nota 25), vi fa riferimento. Un’interpretazione della direttiva 2003/88 che tenga conto dei principi fondamentali della convenzione n. 132 dell’OIL mi sembra inevitabile considerato che la normativa dell’OIL ha stabilito standard internazionali determinanti nel settore del diritto del lavoro. Considerati nel loro complesso, si registra un elevato grado di convergenza fra i due strumenti giuridici: ad un esame più accurato, tuttavia, non deve sfuggire che talune disposizioni della direttiva 2003/88 vanno al di là di quanto prescritto dalla convenzione n. 132 dell’OIL. Per tale motivo è corretto affermare relativamente alla direttiva 2003/88 che essa rappresenta un perfezionamento propriamente comunitario della menzionata convenzione (v. Murray, J., Transnational Labour Regulation: The ILO and EC Compared, L’Aia 2001, pag. 185).


42 – L’art. 9 della convenzione n. 132 dell’OIL è una disposizione speciale in materia di diritto alle ferie, che fa riferimento alla possibilità di frazionare le ferie annuali retribuite prevista dall’art. 8. Tale frazionamento delle ferie annuali può essere autorizzato dall’autorità competente, tuttavia il lavoratore ha diritto ad almeno due settimane ininterrotte, salvo diverso accordo tra il datore di lavoro ed il lavoratore. L’art. 9 stabilisce che la suddetta frazione ininterrotta di ferie annuali deve essere accordata e goduta entro il termine di un anno al massimo e la frazione rimanente di ferie annuali retribuite entro il termine di 18 mesi al massimo, a partire dalla fine dell’anno in cui è maturato il diritto alle ferie. È consentito un rinvio oltre i menzionati limiti di una frazione che superi un minimo stabilito, con il consenso del lavoratore, entro un termine successivo. Tale termine va fissato previa consultazione delle associazioni professionali a livello nazionale. (v., al riguardo, Böhmert, S., Das Recht der ILO und sein Einfluss auf das deutsche Arbeitsrecht im Zeichen der europäischen Integration, Baden‑Baden 2002, pag. 128).


43 – Dalla disciplina dei termini di cui all’art. 9 della convenzione n. 132 dell’OIL non si evince nulla che possa fare pensare ad un’eventuale perdita del diritto del lavoratore, in quanto la stessa non prescrive conseguenze giuridiche nel caso in cui le ferie non siano fruite o concesse prima dello scadere del termine. Piuttosto emerge chiaramente dall’art. 12 della medesima convenzione che il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite non è disponibile, per cui qualsiasi accordo circa la disapplicazione del diritto o la rinuncia allo stesso deve essere considerato nullo o vietato, secondo le condizioni del paese interessato. García Perrote Escartín, I., (op. cit. alla nota 22, pag. 3602), è del pari dell’avviso che una normativa che preveda la decadenza dal diritto ad un periodo di ferie retribuite dopo il decorso di un determinato termine non abbia fondamento normativo né nella convenzione n. 132 dell’OIL né nella direttiva 2003/88. Dall’art. 12 della convenzione n. 132 dell’OIL si evincerebbe piuttosto la natura irrinunciabile del suddetto diritto.


44 – Sentenza Merino Gómez (cit. alla nota 25).


45 – Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (cit. alla nota 25).


46 – Direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU L 348, pag. 1).


47 – Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


48 – Sentenze Merino Gómez (cit. alla nota 25, punto 32); 27 ottobre 1998, causa C‑411/96, Boyle e a. (Racc. pag. I‑6401, punto 41); 30 aprile 1998, causa C‑136/95, Thibaut (Racc. pag. I‑2011, punto 25); 14 luglio 1994, causa C‑32/93, Webb (Racc. pag. I‑3567, punto 20); 5 maggio 1994, causa C‑421/92, Habermann‑Beltermann (Racc. pag. I‑1657, punto 21), e 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann (Racc. pag. 3047, punto 25).


49 – Sentenza Merino Gómez (cit. alla nota 25, punto 38).


50 – Sentenze Federatie Nederlandse Vakbeweging (cit. alla nota 25, punto 24), e 14 aprile 2005, causa C‑519/03, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑3067, punto 33).


51 – Sentenze Federatie Nederlandse Vakbeweging (cit. alla nota 25, punto 24); Commissione/Lussemburgo (cit. alla nota 50, punto 33), e Merino Gómez (cit. alla nota 25, punto 41).


52 – González Ortega, S., op. cit. alla nota 23, pag. 432, rileva che la prima fase del congedo di maternità ha come scopo il recupero fisico, ovvero la tutela biologica della madre dopo il parto. Essa pertanto persegue una finalità diversa rispetto alla fase successiva di questo congedo, destinata alla cura del bambino nonché al rafforzamento del legame madre/figlio. L’autore traccia paralleli fra la suddetta prima fase del congedo di maternità e il congedo per malattia e si esprime dunque a favore di una corrispondente applicazione della giurisprudenza sul rapporto fra congedo di maternità e ferie annuali al rapporto fra congedo per malattia e ferie annuali.


53 – Glaser, R./Lüders, H., «§ 7 BUrlG auf dem Prüfstand des EuGH – Anmerkungen zum Vorlagebeschluss des LAG Düsseldorf», Betriebs‑Berater, 61ª annata (2006), fascicolo 49, pag. 2692, ritengono che la minaccia di decadenza dal diritto alle ferie serva appunto a far sì che queste vengano fruite anche di fatto e in tempo utile. García Perrote Escartín, I., (op. cit. alla nota 22, pagg. 3593 e 3600), sottolinea che questo divieto di cumulo mira a consentire al lavoratore di godere effettivamente delle ferie annuali. In tale ottica, il lavoratore sopporterebbe l’«onere» di difendere in maniera coerente il proprio diritto alle ferie. L’autore, peraltro, fa notare che tale divieto comporta non pochi svantaggi. Esso potrebbe avere un «effetto boomerang», ben noto ai giuslavoristi, in quanto sarebbe assolutamente possibile che il lavoratore in ultima analisi perda completamente il proprio diritto alle ferie, fornendo così un sostegno ad un’eventuale violazione del diritto da parte del datore di lavoro. L’autore è dell’avviso che una siffatta normativa giustifichi le violazioni del diritto e offra l’opportunità di arricchimenti indebiti da parte del datore di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, potrebbe assistere passivamente alla perdita delle ferie annuali da parte del lavoratore senza essere obbligato a corrispondere un’indennità finanziaria. Ciò comporterebbe che non sarebbe sanzionato colui che deve essere chiamato a rispondere della violazione del diritto (il datore di lavoro), bensì colui che non è in grado di imporre il proprio diritto (il lavoratore).


54 – Le disposizioni comunitarie sulla tutela tecnica e sociale del lavoro tengono conto degli ampi poteri di organizzazione e di coordinamento del datore di lavoro, assoggettando ad esempio quest’ultimo all’obbligo, ex art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU L 183, pag. 1), di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro. V., da ultimo, sentenza 14 giugno 2007, causa C‑127/05, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4619, punti 40 e 41), in cui la Corte ha confermato l’obbligo del datore di lavoro di assicurare ai lavoratori un ambiente di lavoro sicuro.


55 – L’equiparazione fra malattia e maternità quanto alle conseguenze giuridiche, attuata dall’art. 5, n. 4, della convenzione n. 132 dell’OIL, conferma peraltro la tesi, sostenuta supra al paragrafo 60, secondo cui il lavoratore merita uguale tutela in entrambi i casi.


56 – In questo senso anche García Perrote Escartín, I., op. cit. alla nota 22, pagg. 3584 e 3595.


57 – Tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono membri dell’OIL. Vero è che la Comunità europea non è un membro, tuttavia entrambe le organizzazioni, stando allo scambio di lettere fra la Commissione europea e il direttore generale dell’OIL del 14 maggio 2001, hanno assunto un comune impegno per il progresso sociale ed economico, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro e per promuovere l’occupazione (GU C 165, pag. 23). Sin dal primo accordo fra l’OIL e la Comunità europea, nel 1958, entrambe le organizzazioni hanno approfondito gradualmente la cooperazione per conseguire queste finalità. A livello istituzionale la Commissione europea gode di uno status di osservatore. Essa partecipa al coordinamento della posizione degli Stati membri della Comunità europea in seno all’OIL, per garantire in tal modo la corrispondenza fra le norme dell’OIL e le disposizioni normative della Comunità, facilitando in tal modo la ratifica delle norme dell’OIL. Sino ad oggi hanno ratificato la convenzione n. 132 dell’OIL il Belgio (2 giugno 2003), la Repubblica ceca (23 agosto 1996), la Finlandia (15 gennaio 1990), la Germania (1º ottobre 1975), l’Ungheria (19 agosto 1998), l’Irlanda (20 giugno 1974), l’Italia (28 luglio 1981), la Lettonia (10 giugno 1994), il Lussemburgo (1º ottobre 1979), Malta (9 giugno 1988), il Portogallo (17 marzo 1981), la Slovenia (29 maggio 1992), la Spagna (30 giugno 1972) e la Svezia (7 giugno 1978). Altri Stati membri, come la Bulgaria (29 dicembre 1949), la Danimarca (22 giugno 1939), la Francia (23 agosto 1939), la Grecia (13 giugno 1952) e la Slovacchia (1º gennaio 1993) per il momento sono solo Stati firmatari della meno recente convenzione n. 52 dell’OIL. Occorre inoltre riflettere sul fatto che non di rado le convenzioni dell’OIL hanno anche un effetto concreto, in quanto, per la loro funzione di modello, esercitano anche senza ratifica formale un’influenza sullo sviluppo degli ordinamenti giuridici di numerosi Stati (v. al riguardo Verdier, J.M., «L’apport des normes de l’OIT au droit français du travail», Revue internationale du Travail, volume 132, 1993, nn. 5-6, pagg. 474 e 478; Kohl, H., «Pas de paix possible sans une politique sociale internationale», Regards sur l’avenir de la justice sociale – Mélanges à l’occasion du 75e anniversaire de l’OIT, Ginevra 1994, pag. 177).


58 – Si rende così superfluo analizzare quale sia il vincolo risultante per gli Stati membri in caso di obblighi di contenuto discordante imposti dalla convenzione n. 132 dell’OIL e dalla direttiva 2003/88. V., in proposito, le considerazioni dell’avvocato generale Tesauro nelle conclusioni da lui presentate il 24 gennaio 1991 nella causa C‑345/89, Stöckel (Racc. pag. I‑4047, paragrafo 11).


59 – Sentenze BECTU (cit. alla nota 7, punto 44); Merino Gómez (cit. alla nota 25, punto 30), e Robinson Steele (cit. alla nota 28, punto 60).


60 – Nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (cit. alla nota 25, punto 32) la Corte di giustizia ha osservato che la possibilità di sostituire con un’indennità finanziaria il periodo minimo di ferie annuali costituirebbe un incentivo, incompatibile con gli obiettivi della direttiva, a rinunciare alle ferie come periodo di riposo ovvero a fare in modo che i lavoratori vi rinuncino. Fenski, M., «Urlaubsrecht im Umbruch?», Der Betrieb, fascicolo 12 (2007), pag. 688, nonché Jacobsen, K., Münchener Anwaltshandbuch Arbeitsrecht (a cura di Wilhelm Moll), 1ª edizione, 2005, § 25, punto 102, fanno riferimento alla pratica illecita della «compravendita» delle ferie in costanza di rapporto di lavoro.


61 – Sentenza Robinson‑Steele (cit. alla nota 28, punto 58).


62 – Bogg, A.L., op. cit. alla nota 32, pag. 899.


63 – In questo senso anche l’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni presentate nella causa BECTU (sentenza cit. alla nota 9, paragrafo 38).


64 – Sentenza Robinson Steele (cit. alla nota 28, punto 58).


65 – V. paragrafo 66.


66 – V. paragrafi 55‑65.


67 – V. paragrafi 66‑68.


68 – V., ex multis, sentenze 16 luglio 1992, causa C 83/91, Meilicke (Racc. pag. I‑4871, punto 22), e 5 febbraio 2004, causa C‑380/01, Schneider (Racc. pag. I‑1389, punto 20).


69 – Sentenza Schneider (cit. alla nota 68, punto 21) e giurisprudenza ivi citata.


70 – V., ex multis, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello (Racc. pag. 3045, punto 18); 15 giugno 1995, cause riunite da C‑422/93 a C‑424/93, Zabala Erasun e a. (Racc. pag. I‑1567, punto 29); 12 marzo 1998, causa C‑314/96, Djabali (Racc. pag. I‑1149, punto 19), e Schneider (cit. alla nota 68, punto 22). V. da ultimo le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano presentate il 18 gennaio 2005 nella causa C‑165/03, Längst (Racc. pag. I‑5637, paragrafo 45), e la sentenza 30 giugno 2005 nella stessa causa (Racc. pag. I‑5637, punti 30‑35).


71 – Sentenza Schneider (cit. alla nota 68, punto 23).