Language of document : ECLI:EU:C:2017:253

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 30 marzo 2017 (1)

Causa C73/16

Peter Puškár,

Parti:

Finančné riaditeľstvo Slovenskej republiky,

Kriminálny úrad finančnej správy

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca, Slovacchia)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Trattamento dei dati personali – Tutela dei diritti fondamentali – Necessità di una procedura precontenziosa – Elenco di dati personali redatto ai fini della lotta alla frode fiscale – Ammissibilità dell’elenco quale mezzo di prova – Principio di leale cooperazione – Rapporto tra la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo»






I.      Introduzione

1.        Non è la prima volta che una divergenza tra la Corte suprema della Repubblica slovacca e la Corte costituzionale di detto Stato membro sfocia in una domanda di pronuncia pregiudiziale (2). Questa volta si discute della possibilità per le autorità fiscali di tenere un elenco riservato di persone fisiche che rivestono funzioni direttive fittizie presso determinate persone giuridiche. La controversia di cui trattasi solleva nel contempo talune questioni in materia di tutela giurisdizionale effettiva, vale a dire, da una parte, se la proposizione dell’azione giudiziaria possa essere subordinata all’esaurimento di un rimedio amministrativo obbligatorio e, dall’altra, se l’elenco possa essere respinto quale mezzo di prova inammissibile ove sia stato diffuso senza il consenso delle autorità fiscali. La Corte di giustizia è infine chiamata a indicare al giudice nazionale se esso debba allinearsi alla sua giurisprudenza o alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») in caso di disaccordo tra i suddetti due giudici.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

2.        Il diritto fondamentale alla protezione dei dati sancito dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la «Carta»] è precisato nella direttiva sulla protezione dei dati (3), che sarà presto abrogata dal regolamento generale sulla protezione dei dati (4).

3.        L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulla protezione dei dati contiene alcuni principi in materia di trattamento dei dati personali:

«Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere:

a)      trattati lealmente e lecitamente;

(…)

d)      esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati;

(…)».

4.        L’articolo 7 della direttiva sulla protezione dei dati disciplina le condizioni in cui il trattamento dei dati personali risulta ammissibile:

«Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:

a)      la persona interessata ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile, oppure

(…)

c)      è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento, oppure

(…)

e)      è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure

f)      è necessario per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l’interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1».

5.        L’articolo 10 della direttiva sulla protezione dei dati impone di fornire alla persona interessata determinate informazioni quando i dati personali sono raccolti direttamente presso di essa. L’articolo 11 contiene disposizioni corrispondenti per l’ipotesi dei dati non raccolti presso la persona interessata. L’articolo 12 prevede inoltre il diritto della persona interessata a ottenere informazioni in merito al trattamento dei suoi dati nonché il suo diritto alla rettifica, alla cancellazione o al congelamento dei dati il cui trattamento non sia conforme alle disposizioni della direttiva.

6.        L’articolo 13, paragrafo 1, prevede deroghe rispetto a determinate disposizioni della direttiva sulla protezione dei dati:

«Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative intese a limitare la portata degli obblighi e dei diritti previsti dalle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 10, dell’articolo 11, paragrafo 1 e degli articoli 12 e 21, qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria alla salvaguardia

(…)

d)      della prevenzione, della ricerca, dell’accertamento e del perseguimento di infrazioni penali o di violazioni della deontologia delle professioni regolamentate;

e)      di un rilevante interesse economico o finanziario di uno Stato membro o dell’Unione europea, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria;

f)      di un compito di controllo, ispezione o disciplina connesso, anche occasionalmente, con l’esercizio dei pubblici poteri nei casi di cui alle lettere c), d) ed e);

(…)».

7.        L’articolo 14 della direttiva sulla protezione dei dati prevede un diritto di opposizione della persona interessata:

«Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto:

a)      almeno nei casi di cui all’articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati;

(…)».

8.        L’articolo 22 della direttiva sulla protezione dei dati contiene una disposizione in materia di ricorsi:

«Fatti salvi ricorsi amministrativi che possono essere promossi, segnatamente dinanzi all’autorità di controllo di cui all’articolo 28, prima che sia adita l’autorità giudiziaria, gli Stati membri stabiliscono che chiunque possa disporre di un ricorso giurisdizionale in caso di violazione dei diritti garantitigli dalle disposizioni nazionali applicabili al trattamento in questione».

9.        L’articolo 28, paragrafo 4, della direttiva sulla protezione dei dati prevede un diritto di ricorso dinanzi a un’autorità di controllo:

«Qualsiasi persona, o associazione che la rappresenti, può presentare a un’autorità di controllo una domanda relativa alla tutela dei suoi diritti e libertà con riguardo al trattamento di dati personali. La persona interessata viene informata del seguito dato alla sua domanda.

Qualsiasi persona può, in particolare, chiedere a un’autorità di controllo di verificare la liceità di un trattamento quando si applicano le disposizioni nazionali adottate a norma dell’articolo 13 della presente direttiva. La persona viene ad ogni modo informata che una verifica ha avuto luogo».

B.      Diritto slovacco

10.      L’articolo 250v, paragrafi 1 e 3, dell’Občiansky súdny poriadok (codice di procedura civile), nella versione applicabile al procedimento principale, contiene alcune disposizioni in materia di tutela giudiziaria:

«(1)      La persona fisica o giuridica che sostiene di essere stata lesa nei suoi diritti o interessi giuridicamente protetti da un’illecita ingerenza di un’autorità pubblica in forma diversa da una decisione, ingerenza direttamente rivolta nei suoi confronti o che abbia prodotto effetti nei suoi confronti, può chiedere tutela giudiziaria, se tale ingerenza o i suoi effetti persistono o se sussiste il rischio del loro ripetersi.

(…)

(3)      Il ricorso non è ammissibile, se il ricorrente non ha esaurito i rimedi offerti dalle disposizioni di una legge speciale (…)».

11.      Lo zákon č. 9/2010 Z. z. o sťažnostiach (legge n. 9/2010 sui reclami amministrativi) prevede la possibilità di proporre reclamo avverso le azioni od omissioni dell’Amministrazione.

12.      L’articolo 164 dello zákon č. 563/2009 Z. z. o správe daní (daňový poriadok) [legge n. 563/2009 sull’amministrazione fiscale (codice tributario)], nella versione applicabile al procedimento principale, verte sul trattamento dei dati personali:

«Ai fini della riscossione delle imposte, le autorità fiscali, la Direzione delle Finanze e il Ministero (delle Finanze) sono legittimati a trattare i dati personali dei contribuenti, dei loro rappresentanti e di altri soggetti in conformità delle disposizioni di una legge speciale (95) (5); i dati personali possono essere comunicati solo al comune in quanto autorità fiscale, alle autorità finanziarie e al Ministero (delle Finanze) nonché, relativamente alla riscossione delle imposte e allo svolgimento dei suoi compiti ai sensi di legge speciale, ad altra persona, giudice o organo che agisca in un procedimento penale. Il trattamento informatico (95) può vertere sul nome e cognome, sull’indirizzo della residenza principale e sul numero di identificazione nazionale di una persona fisica, se a tale persona non è stato attribuito nel registrarsi un numero di identificazione fiscale».

13.      L’articolo 4, paragrafo 3, lettere d), e) nonché o), dello zákon č. 333/2011 Z. z. o orgánoch štátnej správy v oblasti daní, poplatkov a colníctva (legge n. 333/2011 sulle autorità pubbliche competenti in materia di imposte, tasse e diritti di dogana) disciplina i compiti della Direzione delle Finanze rilevanti ai fini della presente controversia:

«3.      La Direzione delle Finanze adempie i seguenti compiti:

d)      crea, sviluppa e gestisce i sistemi informatici dell’Amministrazione finanziaria (…); notifica al Ministero l’intenzione di svolgere attività relative alla creazione e allo sviluppo di tali sistemi informatici;

e)      crea e gestisce il registro centrale degli operatori economici e delle altre persone che esercitano attività alle quali si applica la normativa doganale e ne assicura la conformità agli appositi registri della Commissione europea; crea e gestisce il registro centrale dei contribuenti; mantiene e aggiorna la banca dati; crea e gestisce i suddetti registri per mezzo dei sistemi informatici dell’Amministrazione finanziaria;

(…)

o)      informa le persone dei rispettivi diritti e obblighi in materia di imposte e tasse nonché dei diritti e obblighi ai sensi delle disposizioni di legge speciale (…)».

14.      Il trattamento dei dati relativi alle infrazioni è disciplinato dall’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della legge n. 333/2011:

«L’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria utilizza i sistemi informatici dell’amministrazione finanziaria, per mezzo dei quali raccoglie, tratta, conserva, trasmette, utilizza, protegge e distrugge, da un lato, le informazioni e i dati personali di coloro che abbiano violato la normativa fiscale o doganale o dei quali sia ragionevole sospettare che violino la normativa fiscale o doganale, oppure di coloro che, nell’ambito di competenza dell’amministrazione finanziaria, abbiano perturbato, o si possa ragionevolmente sospettare che perturbino, l’ordine pubblico, e, dall’altro lato, ulteriori informazioni su tali violazioni della normativa fiscale o doganale oppure su tali turbative dell’ordine pubblico; tali informazioni e dati personali sono forniti o resi accessibili alla Direzione delle Finanze, all’Ufficio delle imposte o all’Ufficio doganale nella misura necessaria all’adempimento dei loro compiti».

III. Fatti

15.      Con ricorso del 19 novembre 2014, il sig. Puškár chiedeva al Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca) di vietare alla Direzione delle Finanze e a tutte le autorità fiscali a essa subordinate nonché all’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria di inserire il suo nome nell’elenco delle persone fisiche (secondo il ricorrente, 1 227 persone) che, ad avviso della Pubblica amministrazione, costituirebbero «biele kone» (definizione colloquiale comune delle persone con posizioni direttive fittizie). Nell’elenco in parola a una singola persona fisica corrispondono, di regola, una o più persone giuridiche (secondo il ricorrente, complessivamente 3 369) per conto delle quali avrebbe agito una persona così designata, con l’indicazione del suo numero di identificazione nazionale, del numero di identificazione del soggetto fiscale per conto del quale tale persona opera e della durata del suo mandato. Nel contempo, il ricorrente chiedeva che le autorità eliminassero il suo nome da detto o analogo elenco e dai sistemi informatici dell’Amministrazione finanziaria.

16.      L’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria confermava l’esistenza di un elenco di «biele kone», ma affermava che esso sarebbe stato redatto dalla Direzione delle Finanze.

17.      Il ricorrente ritiene che l’ingerenza della Direzione delle Finanze e dell’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria sia illegittima in ragione sostanzialmente del fatto che la sua inclusione nell’elenco suddetto viola il suo diritto alla tutela della personalità, in particolare il diritto alla tutela dell’onore, della dignità e della reputazione.

18.      La Corte suprema respingeva il ricorso, al pari dei ricorsi di altre due persone incluse nell’elenco, in distinti procedimenti, in quanto infondato, in parte per motivi procedurali e in parte per motivi di merito.

19.      Nell’ambito dei ricorsi costituzionali presentati dal ricorrente e dalle altre succitate persone, l’Ústavný súd Slovenskej republiky (Corte costituzionale, Slovacchia) stabiliva che la Corte suprema aveva violato, con le sue sentenze, i diritti fondamentali dei ricorrenti a un equo processo.

20.      Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte costituzionale stabiliva inoltre, in una delle suddette cause, che era stato violato, oltre al diritto alla vita privata, anche il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali contro la raccolta non autorizzata e contro altri abusi. Su tali basi giuridiche, la Corte costituzionale annullava le suddette sentenze della Corte suprema nel loro insieme e rinviava le cause alla medesima per una nuova trattazione e una nuova pronuncia nel merito. Nel contempo, essa sottolineava che la Corte suprema era vincolata alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») in materia di protezione dei dati personali.

21.      Nelle restanti sentenze, la Corte costituzionale avrebbe contestato alla Corte suprema di aver adottato, nelle circostanze del procedimento principale, un approccio strettamente formalistico in sede di interpretazione della norma sull’inammissibilità di un ricorso giurisdizionale contro l’indebita ingerenza dell’amministrazione pubblica. Tale approccio non terrebbe conto della portata costituzionale del diritto fondamentale slovacco alla tutela giurisdizionale. Quest’ultimo diritto permetterebbe di agire in giudizio per verificare le decisioni e le prassi delle amministrazioni pubbliche che incidono sui diritti e sulle libertà fondamentali. La Corte costituzionale non avrebbe, invece, preso in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all’applicazione del diritto dell’Unione europea in materia di protezione dei dati personali.

22.      In base alle indicazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale, negli ultimi anni, sotto l’influenza della giurisprudenza della Corte EDU, la Corte costituzionale slovacca avrebbe abbandonato l’idea che un reclamo ai sensi della legge sui reclami amministrativi debba sempre essere considerato come un rimedio effettivo nei confronti dell’ingerenza illegittima delle autorità pubbliche o della loro inerzia. L’indicazione da essa fornita, secondo cui, nel procedimento principale, la Corte suprema dovrebbe conformarsi senza riserve alla succitata giurisprudenza della Corte EDU, sarebbe, in base al diritto slovacco, vincolante per il prosieguo del procedimento nel merito, senza che siano presi in considerazione nella stessa misura gli effetti del diritto dell’Unione europea e della giurisprudenza della Corte di giustizia.

IV.    Domanda di pronuncia pregiudiziale

23.      La Corte suprema della Repubblica slovacca sottopone quindi alla Corte di giustizia le seguenti questioni:

1)      Se l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta – in base al quale ogni persona i cui diritti, dunque anche il diritto alla vita privata con riguardo al trattamento dei dati personali, sancito all’articolo 1, paragrafo 1, e susseguenti disposizioni della direttiva sulla protezione dei dati, siano stati violati ha diritto, alle condizioni stabilite nel medesimo articolo, a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice – osti a una disposizione nazionale che subordini l’esercizio di un tale ricorso dinanzi al giudice amministrativo alla condizione che il ricorrente, per proteggere i propri diritti e libertà, prima di proporre l’azione giudiziaria, esaurisca i rimedi offerti dalle disposizioni di una lex specialis come la legge slovacca sui reclami amministrativi.

2)      Se sia possibile interpretare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, sancito all’articolo 7, e il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, sancito all’articolo 8 della Carta, in caso di asserita violazione del diritto alla protezione dei dati di carattere personale attuato, per quanto riguarda l’Unione europea, principalmente dalla citata direttiva sulla protezione dei dati e implicante, in particolare:

–        l’obbligo degli Stati membri di garantire il diritto alla vita privata con riguardo al trattamento dei dati personali (articolo 1, paragrafo 1),

–        la facoltà degli Stati membri di disporre il trattamento dei dati personali quando è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico [articolo 7, lettera e)] ovvero per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del terzo o dei terzi cui vengono comunicati i dati,

–        nonché il potere eccezionale dello Stato membro di limitare la portata degli obblighi e dei diritti [articolo 13, paragrafo 1, lettere e) e f)] qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria alla salvaguardia di un rilevante interesse economico o finanziario di uno Stato membro o dell’Unione europea, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria,

nel senso che uno Stato membro non può, senza il consenso della persona interessata, compilare elenchi di dati personali ai fini della riscossione delle imposte, tale che l’acquisizione di dati personali nella disponibilità di un’autorità pubblica ai fini della lotta contro la frode fiscale sarebbe di per sé rischiosa.

3)      Se un elenco di un’autorità finanziaria di uno Stato membro, che contenga i dati personali del ricorrente e la cui riservatezza sia stata garantita da adeguate misure tecniche e organizzative di protezione dei dati personali contro la diffusione o l’accesso non autorizzati ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, della succitata direttiva sulla protezione dei dati, che il ricorrente si è procurato senza il legittimo consenso di tale autorità finanziaria dello Stato membro, possa essere considerato un mezzo di prova illegale, la cui produzione deve essere rifiutata dal giudice nazionale in conformità al principio dell’equo processo enunciato, nel dirito dell’Unione, all’articolo 47, secondo comma, della Carta.

4)      Se agisca in conformità al suddetto diritto a un ricorso effettivo e a un equo processo (di cui, in particolare, al succitato articolo 47 della Carta) il giudice nazionale che, dinanzi a divergenze tra la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e la risposta fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un determinato caso, privilegi, in ottemperanza al principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE e all’articolo 267 TFUE, l’orientamento giuridico della Corte di giustizia.

24.      Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Puškár, la Repubblica slovacca, la Repubblica ceca, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, l’Italia, la Polonia e la Commissione europea. All’udienza del 16 febbraio 2017 hanno presenziato il sig. Puškár, la Repubblica slovacca, il Regno di Spagna e la Commissione.

V.      Analisi

25.      La prima e la terza questione della Corte suprema riguardano il procedimento di ricorso e la tutela giurisdizionale. Esse devono pertanto essere esaminate l’una dopo l’altra (sub B e C), vale a dire prima della seconda questione, di diritto materiale, vertente sulla compatibilità dell’elenco controverso con la protezione dei dati personali (sul punto sub D). Occorre poi esaminare la quarta questione che riguarda i potenziali conflitti tra la giurisprudenza della Corte di giustizia e quella della Corte EDU (v., sul punto, sub E). In via preliminare, occorre tuttavia chiarire in quale misura il diritto europeo in materia di protezione dei dati sia applicabile all’elenco controverso (v., sul punto, sub A).

A.      Sull’applicabilità del diritto europeo in materia di protezione dei dati

26.      È principalmente la Spagna a sostenere che il diritto europeo in materia di protezione dei dati non troverebbe applicazione nel procedimento principale.

27.      A tal riguardo, occorre distinguere tra la direttiva sulla protezione dei dati e l’articolo 8 della Carta.

28.      L’ambito di applicazione della direttiva sulla protezione dei dati viene limitato, in particolare, dal suo articolo 3, paragrafo 2. In base ad esso, la direttiva non si applica, tra l’altro, all’azione penale. Lo stesso deve valere anche nella misura in cui l’elenco controverso persegua obiettivi di carattere penale (6). Di contro, la direttiva sulla protezione dei dati trova, in linea di principio, applicazione alla riscossione delle imposte e all’utilizzo dell’elenco in tale contesto (7). Ciò emerge anche dal suo stesso articolo 13, paragrafo 1, lettera e), che ammette esplicitamente una restrizione della protezione dei dati per fini fiscali.

29.      L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva succitata lascia invece impregiudicato l’ambito di applicazione del diritto fondamentale alla protezione dei dati ai sensi dell’articolo 8 della Carta. Esso si ricava, in particolare, dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, in base al quale i diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione trovano applicazione in tutte le fattispecie disciplinate dal diritto dell’Unione (8). Come già stabilito, segnatamente, nella sentenza Åkerberg Fransson, la Carta trova quindi applicazione anche alle sanzioni nel settore del diritto tributario ove si discuta di disposizioni fiscali del diritto dell’Unione (9). Si pensi, al riguardo, soprattutto, alle imposte sulla cifra d’affari e alle accise. Tuttavia, anche talune questioni attinenti alle imposte dirette ricadono nel diritto dell’Unione, ad esempio nell’ambito di applicazione di specifiche misure di armonizzazione (10) o in caso di restrizioni alle libertà fondamentali (11). Nel singolo caso il giudice nazionale sarà pertanto spesso chiamato a verificare se la Carta sia applicabile. Nei casi in cui il diritto dell’Unione e la Carta non trovino applicazione, requisiti equiparabili si ricavano inoltre, spesso, dall’articolo 8 della CEDU.

30.      Ai fini del procedimento in esame, ne consegue che l’utilizzo dell’elenco in sede di riscossione delle imposte è soggetto alla direttiva sulla protezione dei dati e alla Carta, mentre nell’ambito penale trova applicazione soltanto la Carta, a condizione che si discuta di questioni determinate a livello di diritto dell’Unione.

B.      Sulla prima questione – rimedio amministrativo obbligatorio

31.      La prima questione verte sulle condizioni per la tutela giurisdizionale nei casi in cui siano azionati diritti attinenti a dati personali. La Corte suprema desidera sapere se sia compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva sancito dall’articolo 47, primo comma, della Carta subordinare l’ammissibilità di un ricorso al previo esaurimento di un rimedio amministrativo da parte del ricorrente.

32.      La questione in parola si pone, evidentemente, in ragione del fatto che la Corte costituzionale slovacca ha messo in dubbio la suddetta condizione per la proposizione dell’azione.

33.      Di norma, la Corte di giustizia risponde a tali questioni richiamando l’autonomia procedurale degli Stati membri, da esercitare nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (12). L’autonomia procedurale trova tuttavia applicazione solo a condizione che il diritto dell’Unione non contenga alcun precetto. La direttiva sulla protezione dei dati mostra però, in effetti, talune disposizioni che, quantomeno, accennano alla questione di cui trattasi. A prescindere dalla possibilità di dare isolata applicazione ai diritti sanciti dall’articolo 8 della Carta (13), occorre quindi esaminare anzitutto le disposizioni della direttiva (v., al riguardo, sub 2), prima di analizzare il rapporto tra il principio di effettività e il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva (v., al riguardo, sub 3). A conclusione, è possibile stabilire quali effetti dispieghino i suddetti precetti su un rimedio amministrativo obbligatorio (v., sul punto, sub 4). In primo luogo si rende tuttavia necessario svolgere alcune considerazioni sulla ricevibilità della presente questione (v., sul punto, sub 1).

1.      Sulla ricevibilità della prima questione

34.      Il sig. Puškár, in particolare, contesta la ricevibilità della prima questione. Egli afferma di aver presentato vari ricorsi, rimasti tutti senza esito. La questione in parola sarebbe pertanto ipotetica.

35.      Tuttavia, come riconosciuto dallo stesso sig. Puškár, le questioni pregiudiziali relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte di giustizia verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza ai fini della decisione. Il rifiuto di quest’ultima di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del pocedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte di giustizia non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte (14).

36.      La domanda di pronuncia pregiudiziale non precisa purtroppo quali rimedi amministrativi abbia esaurito il sig. Puškár. Essa spiega tuttavia che la Corte suprema e la Corte costituzionale slovacca sono in disaccordo quanto alla necessità di esaurire i rimedi amministrativi e quanto alle conseguenze di tale esaurimento ai fini della ricevibilità dell’azione. La questione di cui trattasi non è pertanto manifestamente ipotetica e occorre invece darvi risposta.

2.      Sui precetti della direttiva sulla protezione dei dati

37.      La direttiva sulla protezione dei dati si occupa dei ricorsi negli articoli 22 e 28. L’articolo 22 enuncia che, fatti salvi ricorsi amministrativi a norma dell’articolo 28, paragrafo 4, chiunque può disporre di un ricorso giurisdizionale in caso di violazione dei diritti garantitigli dalle disposizioni nazionali applicabili al trattamento in questione.

38.      In base all’articolo 28, paragrafo 4, della direttiva sulla protezione dei dati, qualsiasi persona può presentare a un’autorità di controllo una domanda relativa alla tutela dei suoi diritti e libertà con riguardo al trattamento di dati personali. Qualsiasi persona può, in particolare, chiedere a un’autorità di controllo di verificare la liceità di un trattamento.

39.      Negli articoli 22 e 28, paragrafo 4, della direttiva sulla protezione dei dati si potrebbero prima facie ravvisare disposizioni riguardanti, nell’ambito dell’attuazione del diritto alla protezione dei dati, il rapporto tra un ricorso e un rimedio amministrativo accordato all’interessato.

40.      Ad un esame più attento, diviene tuttavia chiaro che quantomeno il procedimento di ricorso [amministrativo] di cui all’articolo 28, paragrafo 4, della direttiva sulla protezione dei dati non è oggetto del presente procedimento pregiudiziale. Il procedimento di ricorso [amministrativo] di cui alla direttiva sulla protezione dei dati viene condotto dalla ivi prevista autorità di controllo indipendente (15). Il reclamo amministrativo cui il diritto slovacco subordina la proposizione dell’azione è invece diretto alle competenti autorità amministrative.

41.      La futura, più ampia, disposizione dell’articolo 79 del regolamento generale sulla protezione dei dati, non ancora applicabile, illustra quale dovrebbe essere il rapporto tra il diritto di azione in base alla normativa in materia di protezione dei dati e gli altri rimedi. Sulla sua base, fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o extragiudiziale disponibile, compreso il diritto di ricorso a un’autorità di controllo, ogni interessato ha il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo.

42.      Quantomeno in futuro, il ricorso giurisdizionale sarà così garantito fatti salvi tutti gli altri mezzi di ricorso. Ciò significa che il diritto di agire giudizialmente fa salvi gli altri mezzi di ricorso.

43.      Non è però ancora chiaro in proposito se sia possibile subordinare l’azione al necessario previo esaurimento di un altro mezzo di ricorso. Dall’articolo 79 del regolamento generale sulla protezione dei dati si evince al riguardo soltanto che il ricorso giurisdizionale deve essere efficace. L’obbligo di avvalersi di un altro rimedio prima di proporre l’azione sarà quindi inammissibile ove tale condizione comporti l’inefficacia del ricorso giurisdizionale.

44.      È vero che l’articolo 22 della direttiva sulla protezione dei dati si riferisce soltanto a uno specifico mezzo di ricorso né impone espressamente l’efficacia del ricorso giurisdizionale; tuttavia, almeno il requisito dell’efficacia appare comunque chiaro (16). Che il diritto a un ricorso giurisdizionale non debba mettere in discussione altre tipologie di rimedio emerge, poi, già dal fatto che l’articolo 22 non disciplina tale aspetto.

45.      Di conseguenza, anche il diritto ad agire giudizialmente previsto nella direttiva sulla protezione dei dati, applicabile nel procedimento principale, comporta che l’esaurimento di una procedura precontenziosa possa essere imposto solo ove ciò non comprometta l’efficacia del ricorso giurisdizionale. Si tratta dello stesso limite posto dal principio di effettività all’autonomia procedurale nazionale.

3.      Sul principio di effettività e sul diritto alla tutela giurisdizionale effettiva

46.      In base al principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, ove manchino disposizioni dell’Unione applicabili, è l’ordinamento giuridico interno a disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione.

47.      Tradizionalmente, la suddetta autonomia viene limitata dai principi di equivalenza e di effettività. Nel caso di specie, assume rilievo soltanto quest’ultimo principio. In base ad esso, le modalità procedurali interne non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (17).

48.      La Corte di giustizia ha dichiarato in più occasioni che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali; sotto tale profilo si devono considerare segnatamente, se necessario, i principi alla base dell’ordinamento giuridico nazionale, ad esempio la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (18).

49.      Di recente, tuttavia, il principio di effettività viene associato sempre più al diritto alla tutela giurisdizionale effettiva in base all’articolo 47, primo comma, della Carta (19). Negli ultimi mesi sono state addirittura emanate due sentenze pertinenti che non si richiamano più al principio di effettività, ma esclusivamente all’articolo 47, primo comma (20).

50.      Il rinvio all’articolo 47, primo comma, della Carta conferisce una certa struttura al necessario esame della misura in questione, posto che esso mette necessariamente in luce i limiti dei diritti fondamentali a norma dell’articolo 52, paragrafo 1 (21). In base a tale disposizione, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali sono giustificate solo se previste dalla legge e se rispettano il contenuto essenziale del diritto di volta in volta considerato. Inoltre, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Peraltro, il principio di proporzionalità è anche parte del principio di effettività. Esso vi trova espressione nel limite costituito dal grado eccessivo di difficoltà.

51.      L’articolo 47, primo comma, della Carta e il principio di effettività incarnano quindi, in ultima analisi, il medesimo principio di diritto e possono essere esaminati insieme applicando i criteri di cui agli articoli 47, primo comma, e 52, paragrafo 1, della Carta.

4.      Sulla compatibilità di una procedura precontenziosa obbligatoria con la tutela giurisdizionale effettiva

52.      Occorre dunque verificare se l’esaurimento obbligatorio di un rimedio amministrativo prima della proposizione di un’azione sia compatibile con l’articolo 47, primo comma, della Carta e con il principio di effettività.

53.      Una siffatta modalità procedurale ha per effetto, quantomeno, di rallentare l’accesso a un ricorso giurisdizionale. Essa può inoltre comportare costi aggiuntivi. È possibile che le autorità amministrative addebitino diritti per lo svolgimento del procedimento. Può essere altresì opportuno o addirittura necessario ricorrere all’assistenza di un legale o presentare perizie.

54.      L’obbligo di esaurire un rimedio amministrativo prima di proporre l’azione incide pertanto sul diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo.

55.      Una siffatta modalità procedurale può tuttavia essere giustificata alla luce dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

56.      In base alla domanda di pronuncia pregiudiziale, la suddetta modalità è prevista dalla legge slovacca e non sembra incidere sul contenuto essenziale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, dal momento che non limita la cerchia delle persone che, in linea di principio, possono avvalersi della tutela giurisdizionale (22). A esse viene unicamente imposto un passaggio processuale aggiuntivo.

57.      Determinante è pertanto la proporzionalità del rimedio amministrativo obbligatorio.

58.      Il principio di proporzionalità esige che una misura sia «idonea all’obiettivo da essa perseguito, necessaria e proporzionata (23)» (24). Come evidenzia l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, tale obiettivo deve essere riconosciuto dall’Unione, risultare necessario e rispondere a finalità di interesse generale o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

59.      Secondo la Corte suprema, dall’esaurimento del rimedio amministrativo ci si attende un miglioramento in termini di efficienza, in quanto esso dà all’amministrazione la possibilità di porre rimedio all’ingerenza illegittima censurata, evitando di affrontare un imprevisto procedimento giudiziale. Nell’ambito della suddetta procedura precontenziosa è inoltre definito lo stato della controversia tra le parti, il che agevola la successiva trattazione della causa da parte dei giudici. Occorre anche osservare che il rimedio amministrativo tutela i giudici da procedimenti inutili e può contribuire alla stabilità del diritto facendo sì che l’interessato accetti, ad esempio sulla base di una motivazione più convincente, l’ingerenza subìta senza avviare necessariamente un procedimento giurisdizionale. Infine, il rimedio amministrativo è, di norma, per tutte le parti coinvolte, nettamente meno oneroso di un procedimento giurisdizionale.

60.      Tale obiettivo è riconosciuto nel diritto dell’Unione, come mostrano procedure precontenziose analoghe, ad esempio, nel settore della funzione pubblica (25) o nella normativa in materia di accesso ai documenti (26). Anche le commissioni di ricorso istituite presso l’EUIPO (27) o presso l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (28) perseguono il suddetto obiettivo. Non da ultimo, anche il ricorso al Mediatore europeo presuppone la proposizione di un reclamo amministrativo (29).

61.      Desidero aggiungere che anche l’ordinamento giuridico tedesco riconosce tale obiettivo. Nell’ambito della procedura amministrativa tedesca, la presentazione di un reclamo amministrativo ai sensi dell’articolo 68 della Verwaltungsgerichtsordnung [codice di procedura amministrativa] costituisce, di norma, una condizione per la proposizione di un ricorso. L’utilità della condizione di cui trattasi è, per lo più (30), incontestata. Al contrario, i giudici sono stati già chiamati a stabilire se l’abrogazione parziale del rimedio amministrativo sia compatibile con le norme di rango superiore (31).

62.      Una procedura precontenziosa obbligatoria è indubbiamente idonea a raggiungere gli obiettivi indicati nel paragrafo 59. Né emergono mezzi meno incisivi parimenti idonei a conseguirli.

63.      Resta così la questione se il rimedio amministrativo obbligatorio sia proporzionato e commisurato al raggiungimento dell’obiettivo da esso perseguito. La risposta dipende dalla struttura concreta del rimedio amministrativo. Solo i giudici nazionali possono, in ultima analisi, decidere definitivamente al riguardo.

64.      Ciò vale, in particolare, per un aspetto evidenziato dal sig. Puškár, ossia l’asserita incertezza sull’eventuale decorrenza del termine di ricorso già prima dell’adozione di una decisione sul rimedio amministrativo. Ove i giudici nazionali dovessero stabilire che, all’epoca dei fatti, sussisteva realmente una siffatta situazione di incertezza, ben difficilmente si potrebbe accettare di subordinare l’ammissibilità di un ricorso all’esaurimento del rimedio amministrativo.

65.      Nell’ambito della normativa sulla tutela dei consumatori, la Corte di giustizia ha peraltro stabilito che una procedura obbligatoria di conciliazione prima del ricorso a un organo giurisdizionale era ammissibile in quanto, in particolare, non comportava un ritardo sostanziale nella proposizione di un ricorso giurisdizionale e non generava costi, o generava costi non ingenti, per il consumatore (32).

66.      Entrambi i suddetti aspetti assumono rilievo anche ai fini della valutazione di un rimedio amministrativo obbligatorio. Ritardi sostanziali o costi eccessivi a carico del reclamante metterebbero di certo in dubbio la congruità della modalità procedurale di cui trattasi.

67.      Rispetto ai ritardi, già l’articolo 47, secondo comma, della Carta riconosce a ogni persona il diritto a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole. Tale diritto, benché si riferisca in effetti al procedimento giudiziale, non può, ovviamente, essere compromesso neppure mediante una condizione alla proposizione dell’azione. La Corte EDU tiene così conto della durata dei mezzi di ricorso amministrativi obbligatori nell’esaminare la durata della procedura giudiziale (33). E quand’anche si negasse l’applicazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, requisiti analoghi scaturirebbero da un principio generale del diritto dell’Unione (34).

68.      Rispetto ai costi, l’articolo 47, terzo comma, della Carta impone in effetti il patrocinio a spese dello Stato solo qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia. E, in linea di principio, non vi è motivo di contestare l’applicazione di diritti ragionevoli per lo svolgimento delle procedure amministrative (35).

69.      Tuttavia, l’applicazione di diritti per esercitare un rimedio amministrativo obbligatorio deve sottostare a limiti più rigorosi, posto che tale procedura precontenziosa rappresenta un ostacolo all’accesso al ricorso giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta e i suoi costi vanno ad aggiungersi a quelli di detto ricorso (36). Il principio alla base del diritto al patrocinio a spese dello Stato si estende quindi anche ai costi di un rimedio amministrativo obbligatorio. Inoltre, all’interno di un’Unione del diritto, l’autocontrollo dell’amministrazione collegato al ricorso amministrativo non opera nell’interesse soltanto del soggetto coinvolto, ma anche nell’interesse pubblico.

5.      Conclusione intermedia

70.      Il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta e il principio di effettività non ostano quindi a un ricorso amministrativo da esperire obbligatoriamente prima della proposizione dell’azione giudiziaria se le modalità di detto ricorso non pregiudicano eccessivamente l’efficacia della tutela giurisdizionale. Il rimedio amministrativo obbligatorio non può quindi, in particolare, ritardare oltre misura la procedura di ricorso nel suo insieme o comportare costi eccessivi.

71.      Occorre tuttavia precisare che la compatibilità di un rimedio amministrativo obbligatorio con il diritto dell’Unione non esclude che una siffatta modalità procedurale della tutela giurisdizionale sia incompatibile con il diritto costituzionale interno.

C.      Sulla terza questione – Esclusione dell’elenco quale mezzo di prova

72.      Con la terza questione, cui occorre rispondere prima di affrontare la seconda, la Corte suprema desidera sapere se l’elenco controverso possa essere escluso quale mezzo di prova in ragione del fatto che il sig. Puškár ne è entrato in possesso senza il consenso degli organi competenti.

1.      Sulla ricevibilità della questione

73.      La Slovacchia e il sig. Puškár ritengono che la presente questione sia irricevibile, in quanto – in mancanza di disposizioni applicabili di diritto dell’Unione – essa si riferirebbe unicamente all’interpretazione del diritto nazionale.

74.      L’eccezione in parola non tiene tuttavia conto del fatto che, analogamente a un rimedio amministrativo obbligatorio, anche le disposizioni in materia di prova integrano modalità procedurali che possono incidere sull’efficacia della tutela giuridica in sede di attuazione dei diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione. Detto diritto può pertanto limitare l’autonomia procedurale degli Stati membri anche in questo ambito.

75.      La Repubblica ceca dubita invece della rilevanza della presente questione ai fini della decisione, posto che una delle autorità che hanno preso parte al procedimento principale, vale a dire l’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria, ha ammesso l’esistenza dell’elenco e ha affermato che sarebbe stato compilato dall’altra autorità parte in causa, la Direzione delle Finanze. Si potrebbe così presumere superflua ogni altra prova con la conseguenza che la questione sarebbe ipotetica.

76.      Tuttavia, in particolare in occasione dell’udienza, è emerso chiaramente che l’altra autorità parte in causa, ossia la Direzione delle Finanze, ha contestato, nell’ambito del procedimento principale, di aver compilato l’elenco o di averne avuto conoscenza. Inoltre, è in ogni caso dubbio se le informazioni riguardanti il sig. Puškár siano parte del suddetto elenco. Non si può, infine, escludere che la Corte suprema debba ugualmente pronunciarsi sull’ammissibilità dell’elenco quale mezzo di prova indipendentemente dall’esito della controversia.

77.      Si deve pertanto ritenere che, ai fini della decisione sul procedimento principale, sia necessario rispondere alla questione in parola.

2.      Sulla risposta alla questione in esame

78.      Come nell’ambito della prima questione, anche rispetto alle disposizioni in materia di prove trova applicazione l’autonomia procedurale degli Stati membri. Spetta infatti agli Stati membri, in assenza di normativa di diritto dell’Unione, determinare quali mezzi di prova possano essere addotti, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività (37).

79.      Anche rispetto alla presente questione, non vi sono elementi nel senso di una violazione del principio di equivalenza. Ancora una volta assume, pertanto, rilievo solo il principio di effettività, che deve trovare applicazione in collegamento con il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta.

80.      Una limitazione dei mezzi di prova ammissibili ai fini della dimostrazione della violazione di un diritto riconosciuto dal diritto dell’Unione incide sul diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale effettiva. Essa deve pertanto essere giustificata ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

81.      Posto che è interessato soltanto un possibile mezzo di prova, il contenuto essenziale della tutela giurisdizionale effettiva resta impregiudicato. Occorre pertanto esaminare ancora una volta la proporzionalità.

82.      La Corte di giustizia ha già riconosciuto, in linea di principio (38), l’obiettivo di impedire l’utilizzo non autorizzato, nel procedimento giudiziale, di documenti interni. Come osserva correttamente la Corte suprema, tale obiettivo deve essere ricondotto al principio dell’equo processo e, in particolare, all’idea della parità delle armi del processo che sono sanciti dall’articolo 47 della Carta (39), posto che il ricorso illegittimo a informazioni interne può ledere gravemente la parte interessata. Anche gli organi statali possono richiamarsi a tali principi quando sono parte di una controversia (40). Il rigetto come prova di un documento interno presentato in assenza di autorizzazione è idoneo a raggiungere il suddetto obiettivo.

83.      Il rifiuto incondizionato della produzione di siffatti mezzi di prova non rappresenta, tuttavia, lo strumento meno invasivo. Occorrerebbe invece verificare se l’interessato abbia il diritto di accedere alle informazioni di cui trattasi. In tal caso, l’interesse a evitare un utilizzo non autorizzato non sarebbe più meritevole di tutela.

84.      La Corte di giustizia ammette, infatti, in caso di rigetto di documenti utilizzati in assenza di autorizzazione, di poterne disporre essa stessa la produzione (41). Essa sottolinea inoltre che la tutela contro un impiego non autorizzato si fonderebbe sul fatto che i documenti di cui trattasi non siano destinati alla divulgazione (42). La sua giurisprudenza in materia di diritto di accesso ai documenti mostra, da ultimo, che la riservatezza dei documenti interni può necessitare una giustificazione (43). Il diritto di accesso ai documenti ha pertanto valore di indizio ai fini della valutazione da compiere rispetto all’ammissione di documenti interni utilizzati senza autorizzazione (44).

85.      Nell’ambito del procedimento principale, occorre considerare che, in base all’articolo 8, paragrafo 2, secondo periodo, della Carta e all’articolo 12 della direttiva sulla protezione dei dati, ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano. Ciò vale, in linea di principio, anche per la menzione nell’elenco controverso. Inoltre, gli interessati avrebbero dovuto essere informati dell’utilizzo dei dati all’atto della loro raccolta a norma dell’articolo 10 o ai sensi dell’articolo 11 della direttiva sulla protezione dei dati.

86.      È vero che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva sulla protezione dei dati ammette la possibilità di limitare il suddetto diritto di informazione quando ciò è necessario, in particolare, alla salvaguardia della prevenzione, della ricerca, dell’accertamento e del perseguimento di infrazioni penali [lettera d)] o di un rilevante interesse economico o finanziario di uno Stato membro, anche in materia tributaria [lettera e)], o di un connesso compito di controllo, ispezione o disciplina [lettera f)]. L’articolo 13 esige tuttavia espressamente che tali restrizioni siano adottate a mezzo legge (45).

87.      In presenza di disposizioni siffatte, è ipotizzabile che sia necessaria una restrizione dei diritti di informazione delle persone interessate. Può sussistere il rischio che le attività di controllo e vigilanza svolte sulla base dell’elenco risultino meno efficaci qualora sia nota l’identità delle persone ivi menzionate.

88.      Prima di poter negare l’utilizzo dell’elenco controverso come mezzo di prova, i giudici competenti dovranno quindi verificare se una siffatta restrizione del diritto di informazione sia prevista e, se del caso, giustificata. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte di giustizia non è stata tuttavia fornita alcuna indicazione a tal riguardo.

89.      Quand’anche esistano elementi per riconoscere un interesse legittimo all’eventuale riservatezza ex lege dell’elenco di cui trattasi, i giudici nazionali devono verificare altresì se, nel singolo caso, esso prevalga sull’interesse alla tutela dei diritti del singolo.

90.      Nell’ambito della disciplina doganale la Corte di giustizia ha stabilito che l’esercizio dei diritti dell’interessato è reso eccessivamente difficile se questi è chiamato a presentare dati di cui non può disporre (46). L’esame di proporzionalità di cui trattasi può avere esiti diversi in altri settori ove siano toccati interessi più importanti rispetto alle entrate doganali (47). Ebbene, non necessariamente alle entrate fiscali deve essere riconosciuto un peso maggiore rispetto alle entrate doganali.

91.      L’interesse a mantenere la riservatezza dell’elenco nell’ambito del procedimento principale ha peraltro perso gran parte del suo peso, posto che il suddetto elenco è già stato diffuso da terzi e che l’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria ne ha confermato l’esistenza. L’eventuale danno si è pertanto forse già verificato.

92.      È certamente ipotizzabile di precludere a un interessato l’utilizzo dell’elenco ove egli stesso abbia partecipato alla sua divulgazione pubblica non autorizzata. Si potrebbe, infatti, impedire alle parti del procedimento di trarre vantaggio dalla propria condotta illegittima. Sarebbe tuttavia difficile giustificare perché a un soggetto interessato come il sig. Puškár sia contestato il comportamento di un terzo.

93.      Occorre quindi rispondere alla terza questione nel senso che il principio dell’equo processo sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta ammette, in linea di massima, la possibilità di rifiutare, come mezzo di prova inammissibile, documenti interni di un’autorità parte del procedimento che un’altra parte del medesimo procedimento si è procurata senza l’assenso della prima. Tale rifiuto è tuttavia escluso quando si tratta di un elenco compilato da un’autorità finanziaria di uno Stato membro che contiene dati personali del ricorrente che l’autorità è tenuta a comunicare al ricorrente medesimo ai sensi degli articoli 12 e 13 della direttiva sulla protezione dei dati.

D.      Sulla seconda questione – Ammissibilità dell’elenco sotto il profilo della normativa in materia di protezione dei dati

94.      La seconda questione verte sul fondo della controversia principale. Si domanda se i diritti fondamentali alla vita privata e alla tutela dei dati nonché la direttiva sulla protezione dei dati precludano a uno Stato membro di compilare, senza il consenso dell’interessato, elenchi di dati personali ai fini della riscossione delle imposte. Secondo la Corte suprema, in questo caso già l’acquisizione di dati personali nella disponibilità di un’autorità ai fini della lotta contro la frode fiscale sarebbe di per sé rischiosa.

95.      Il procedimento principale non richiede tuttavia di rispondere alla domanda generale se le autorità fiscali possano, senza il consenso delle persone interessate, raccogliere dati personali. Nessuna delle parti lo mette in dubbio. Occorre invece chiarire se l’amministrazione fiscale possa, a fini di contrasto delle frodi fiscali, compilare un elenco di persone che rivestono funzioni direttive fittizie presso determinate persone giuridiche e che non hanno acconsentito alla loro iscrizione nell’elenco. Occorre rispondere alla questione in parola anzitutto alla luce della direttiva sulla protezione dei dati, posto che essa precisa i diritti fondamentali alla vita privata e alla tutela dei dati. Nella misura in cui, in particolare rispetto all’azione penale nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, rilevano soltanto i diritti fondamentali, occorre verificare nuovamente se ne risultino precetti diversi.

96.      Le parti concordano giustamente nel ritenere che la menzione di una persona in un siffatto elenco e il suo collegamento a determinate persone giuridiche debba essere considerato quale trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva sulla protezione dei dati.

97.      Ai sensi del capo II della direttiva in questione, intitolato «Condizioni generali di liceità dei trattamenti di dati personali», fatte salve le deroghe ammesse dall’articolo 13 di tale direttiva, qualsiasi trattamento di dati personali deve essere conforme, da un lato, ai principi relativi alla qualità dei dati, enunciati all’articolo 6 di quest’ultima, e, dall’altro, a uno dei principi relativi alla legittimazione del trattamento dei dati elencati all’articolo 7 della direttiva stessa (48).

98.      Come già accennato nella questione pregiudiziale, quale fondamento per la compilazione dell’elenco controverso possono essere presi in considerazione sia l’articolo 7 (v., sul punto, infra, sub 1) che l’articolo 13 della direttiva sulla protezione dei dati (v., sul punto, infra, sub 2).

1.      Sull’articolo 7 della direttiva sulla protezione dei dati

99.      In base all’articolo 7 della direttiva sulla protezione dei dati, il trattamento dei dati personali può essere effettuato soltanto quando è soddisfatta una delle sei condizioni ivi indicate. Nella questione pregiudiziale sono elencati i casi citati nelle lettere e) e f), vale a dire la necessità per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico e per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure di un terzo. Si potrebbe, inoltre, anche pensare all’articolo 7, lettera c), vale a dire alla necessità per l’adempimento di un obbligo legale.

100. Desidero tuttavia chiarire fin da subito che, a mio avviso, un esame dell’articolo 7, lettere c) o f), risulta, nel caso di specie, superfluo. Come riconosciuto da tutte le parti, infatti, la riscossione delle imposte e la lotta alla frode fiscale costituiscono compiti di interesse pubblico ai sensi dell’articolo 7, lettera e), della direttiva sulla protezione dei dati.

101. Il sig. Puškár sostiene tuttavia che l’elenco sarebbe stato redatto dalla Direzione delle Finanze senza una base giuridica, poiché solo l’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria sarebbe legittimato a compilare elenchi siffatti. Tale posizione si fonda sull’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della legge n. 333/2011, che autorizza l’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria a raccogliere dati su violazioni e sospette violazioni.

102. In sede di esame dell’articolo 7, lettera e), della direttiva sulla protezione dei dati si potrebbe interpretare il suddetto argomento nel senso che, ad avviso del sig. Puškár, la Direzione delle Finanze non sarebbe stata investita del compito di agire contro i prestanome.

103. La Slovacchia replica affermando che l’articolo 164 della legge n. 563/2009 costituirebbe già una base giuridica sufficiente. Ai suoi sensi, ai fini della riscossione delle imposte, le autorità fiscali, la Direzione delle Finanze e il Ministero (delle Finanze) sono legittimati a trattare i dati personali dei contribuenti, dei loro rappresentanti e di altri soggetti.

104. Solo i giudici nazionali possono stabilire di quali compiti sia investita ogni singola autorità amministrativa in Slovacchia in base alle suddette disposizioni. Lo stesso dicasi per la questione se una o entrambe le disposizioni debbano essere interpretate nel senso che autorizzano le autorità di volta in volta indicate a compilare l’elenco di cui trattasi.

105. La Corte di giustizia può tuttavia pronunciarsi sui requisiti di diritto dell’Unione che l’attribuzione dei relativi compiti ‑ necessaria ai sensi dell’articolo 7, lettera e), della direttiva sulla protezione dei dati ‑ deve soddisfare.

106. È vero che l’articolo 7, lettera e), della direttiva in questione non contiene alcuna indicazione al riguardo; la disposizione in parola deve tuttavia essere letta congiuntamente ai principi dell’articolo 6. In base all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), i dati personali devono essere rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime. Nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, lettera e), l’obiettivo del trattamento dei dati è indissolubilmente collegato con i compiti affidati. L’attribuzione dei compiti deve pertanto ricomprendere chiaramente l’obiettivo del trattamento.

107. Posto che la domanda di pronuncia pregiudiziale non precisa meglio l’obiettivo perseguito dall’elenco controverso, spetta alla Corte suprema approfondire tale questione. Tuttavia, non sembra escluso a priori che l’elenco controverso sia utile «ai fini della riscossione delle imposte» a norma dell’articolo 164 della legge n. 563/2009. Benché ivi non si parli espressamente della registrazione di dati personali attinenti a sospette violazioni, le persone interessate devono aspettarsi che le autorità fiscali registrino i suddetti dati per individuare i soggetti cui prestare particolare attenzione. Molto più chiara risulta, però, l’utilità dei dati di cui trattasi ai fini dell’espletamento dei compiti dell’Ufficio Crimini dell’amministrazione finanziaria in base all’articolo 5, paragrafo 3, lettera b), della legge n. 333/2011. La loro registrazione da parte della suddetta autorità è quindi, in ogni caso, prevedibile.

108. In un ulteriore momento la Corte suprema dovrà esaminare se la compilazione e l’utilizzo dell’elenco di cui trattasi, in particolare la menzione del sig. Puškár, siano necessari ai fini dell’interesse pubblico fatto valere. La tutela del diritto fondamentale alla vita privata sancito dall’articolo 7 della Carta richiede infatti che le deroghe e le restrizioni alla tutela dei dati personali operino entro i limiti dello stretto necessario (49). Ciò significa che occorre tener conto del principio di proporzionalità (50) e che il trattamento dei dati deve essere quindi «idoneo all’obiettivo da esso perseguito, necessario e proporzionato».

109. La Corte suprema dovrà quindi esaminare in dettaglio se la menzione del sig. Puškár sia adatta a realizzare i diversi obiettivi perseguiti dall’utilizzo dell’elenco, se esistano eventuali mezzi meno invasivi ma altrettanto efficaci e ‑ soprattutto ‑ se tale sua menzione sia proporzionata rispetto agli obiettivi di cui trattasi.

110. Pur mancando indicazioni concrete in merito all’obiettivo dell’elenco, è indubbio che la menzione nell’elenco di cui trattasi integri un’ingerenza rilevante nei diritti dell’interessato. Essa lede la sua reputazione e può anche comportare gravi svantaggi pratici nei suoi rapporti con le autorità fiscali. Allo stesso tempo, tale menzione lede la presunzione di innocenza sancita dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta (51). Inoltre, le persone giuridiche collegate agli interessati subiscono un’ingerenza nella propria libertà d’impresa ai sensi dell’articolo 16 della Carta.

111. Un’ingerenza tanto grave può risultare proporzionata solo ove sussistano elementi sufficienti a fondamento del sospetto che l’interessato rivesta funzioni direttive fittizie presso le persone giuridiche ad esso collegate e leda, in tal modo, l’interesse pubblico alla riscossione delle imposte e alla lotta alla frode fiscale (52).

2.      Sull’articolo 13 della direttiva sulla protezione dei dati

112. L’articolo 13 della direttiva sulla protezione dei dati permette agli Stati membri di derogare, per motivi determinati, a talune disposizioni della stessa. Tuttavia, l’articolo 7 non vi è indicato. L’articolo 13 non può pertanto mettere in discussione il risultato dell’interpretazione dell’articolo 7, lettera e).

113. Di contro, come già osservato (53), l’articolo 13 assume rilievo al fine di stabilire se l’elenco controverso possa essere mantenuto riservato benché dagli articoli 10, 11 e 12 della direttiva sulla protezione dei dati emerga che gli interessati devono di norma essere informati del trattamento dei dati. L’informazione in parola rappresenta la condizione necessaria affinché la persona interessata possa esercitare i diritti che le spettano in forza della direttiva sulla protezione dei dati e dei diritti fondamentali alla vita privata e alla tutela dei dati personali (54). Tuttavia, alla fine, la questione se l’elenco controverso sia stato a ragione mantenuto riservato non rileva per la legittimità della menzione del sig. Puškár nello stesso.

3.      Sui diritti fondamentali alla vita privata e alla tutela dei dati

114. I diritti fondamentali alla vita privata (articolo 7 della Carta) e alla tutela dei dati (articolo 8), che assumono rilievo, segnatamente, rispetto alle misure penali nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, portano al medesimo risultato dell’applicazione dell’articolo 7, lettera e), della direttiva sulla protezione dei dati.

115. La menzione di una persona nell’elenco controverso concernerebbe entrambi i diritti fondamentali. Siffatte ingerenze sono giustificate, a norma dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, solo se basate su un sufficiente fondamento di legge e a condizione che rispettino il contenuto essenziale di entrambi i diritti fondamentali e il principio di proporzionalità.

116. Dei suddetti aspetti, sino ad ora solo il rispetto del contenuto essenziale non è stato ancora affrontato. Ebbene, malgrado le violazioni connesse alla menzione nell’elenco controverso, tali ingerenze non integrano una lesione del contenuto essenziale ove sia rispettato, quanto al resto, il principio di proporzionalità.

4.      Conclusione intermedia

117. Occorre quindi rispondere alla terza questione nel senso che, a norma dell’articolo 7, lettera e), della direttiva sulla protezione dei dati, l’amministrazione fiscale può – per i propri fini – compilare un elenco di persone che rivestono funzioni direttive fittizie presso determinate persone giuridiche e che non hanno acconsentito alla propria iscrizione in tale elenco. Ciò a condizione che l’amministrazione fiscale sia stata investita ex lege del suddetto compito, che l’utilizzo dell’elenco sia effettivamente adeguato e necessario per gli obiettivi da essa perseguiti e che vi siano sufficienti elementi a fondamento del sospetto che le persone di cui trattasi siano giustamente menzionate nell’elenco de quo. Anche i diritti fondamentali alla vita privata (articolo 7 della Carta) e alla tutela dei dati (articolo 8) non osterebbero in tal caso alla compilazione e all’utilizzo dell’elenco.

E.      Sulla quarta questione – Rapporto tra la Corte di giustizia e la Corte EDU

118. La quarta questione è diretta a chiarire se un giudice nazionale possa seguire la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea quando essa è in contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU.

119. Come osservato da diverse parti, la ricevibilità della questione così formulata appare dubbia, posto, in particolare, che la Corte suprema non spiega rispetto a quale tra le questioni i due giudici europei si troverebbero in contrasto e in quale misura un siffatto contrasto rilevi ai fini della decisione del procedimento principale. Il procedimento di rinvio non mira, infatti, a procurarsi un parere su questioni generiche o ipotetiche (55).

120. Tuttavia, la questione in esame contiene un elemento che può assumere rilievo ai fini della risoluzione definitiva del procedimento principale. In base alla domanda di pronuncia pregiudiziale, infatti, nel caso di specie sussiste un contrasto tra la Corte costituzionale slovacca e la Corte suprema slovacca, nei limiti in cui la prima si richiama alla giurisprudenza della Corte EDU senza pronunciarsi però sulla giurisprudenza della Corte di giustizia. Le altre questioni pregiudiziali mostrano, inoltre, che il giudice del rinvio non è certo se la giurisprudenza della Corte di giustizia conduca al medesimo risultato cui è pervenuta la Corte costituzionale slovacca. È dunque opportuno indicare come occorra comportarsi ove il giudice del rinvio – eventualmente alla luce di una decisione della Corte costituzionale slovacca – dovesse ritenere che i due giudici europei si trovino in contrasto rispetto a una questione rilevante ai fini della decisione della controversia principale.

121. In senso analogo si è peraltro già pronunciata la Corte di giustizia quando è stata chiamata a precisare la portata della competenza o dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE (56). Spesso le domande di pronuncia pregiudiziale contengono già le questioni specifiche cui è necessario rispondere ai fini della decisione del rispettivo procedimento principale. Tuttavia, la Corte di giustizia si pronuncia anche sulle questioni più generali ai sensi dell’articolo 267 TFUE. In caso contrario, molto difficilmente essa avrebbe occasione di esprimersi su questioni siffatte. Nel contempo vi sarebbe altresì motivo di temere che i giudici nazionali restino in una situazione di incertezza rispetto alla loro competenza o all’obbligo di richiedere una pronuncia pregiudiziale, commettendo così errori evitabili in sede di applicazione del diritto dell’Unione.

122. Per quanto attiene alla questione come riformulata, l’articolo 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta stabilisce che i diritti ivi sanciti, corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, hanno significato e portata uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. In base alle spiegazioni relative alla disposizione in parola, il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo della CEDU, ma in particolare anche dalla giurisprudenza della Corte EDU (57). L’articolo 52, paragrafo 3, secondo periodo, della Carta ammette tuttavia che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.

123. Il diritto dell’Unione permette quindi alla Corte di giustizia di discostarsi dalla giurisprudenza della Corte EDU solo nella misura in cui essa riconosca a determinati diritti fondamentali una tutela più ampia rispetto a quella che offre quest’ultima. Tale deroga è peraltro ammissibile soltanto a condizione che essa non comporti, nel contempo, rispetto a un altro diritto fondamentale della Carta corrispondente a un diritto sancito nella CEDU, il riconoscimento di una tutela inferiore a quella accordatagli dalla giurisprudenza della Corte EDU. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui deve essere creato un equilibrio tra determinati diritti fondamentali (58).

124. Qualora dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulti una più ampia, ammissibile, tutela del diritto fondamentale, il primato del diritto dell’Unione impone ai giudici nazionali di allinearsi, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, alla suddetta giurisprudenza e di garantire il succitato livello di protezione.

125. Se il giudice nazionale giunge però alla conclusione che la giurisprudenza della Corte di giustizia riconosce a un determinato diritto fondamentale sancito sia dalla Carta che dalla CEDU una tutela minore di quella accordata dalla giurisprudenza della Corte EDU, ne scaturisce necessariamente una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, vale a dire del diritto fondamentale considerato e dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta. Tale conclusione del giudice nazionale porterebbe, infatti, a un contrasto tra l’interpretazione del diritto fondamentale in questione da parte della Corte di giustizia e l’articolo 52, paragrafo 3.

126. Se una questione siffatta assume rilievo ai fini della decisione di un procedimento pendente dinanzi a un giudice nazionale, quest’ultimo può domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi su di essa ai sensi dell’articolo 267, secondo comma, TFUE. Se avverso la decisione del giudice nazionale non può più proporsi un ricorso giurisdizionale, questi è addirittura tenuto a rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

127. Occorre pertanto rispondere alla quarta questione nei seguenti termini: ove giunga alla conclusione che la decisione di un procedimento dinanzi ad esso pendente sia influenzata da una giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in base alla quale diritti sanciti dalla Carta corrispondenti a diritti sanciti dalla CEDU sono tutelati con meno forza rispetto a quanto previsto nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, un giudice nazionale può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea per sapere come debba essere interpretato il diritto dell’Unione rispetto a tale caso. Se avverso le decisioni dello stesso giudice nazionale non può più proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, questi è tenuto ad adire la Corte di giustizia.

VI.    Conclusione

128. Propongo pertanto alla Corte di giustizia di deliberare come segue:

1)      L’utilizzo dei dati personali soggiace, nell’ambito della riscossione delle imposte, alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, come modificata dal regolamento (CE) n. 1882/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 settembre 2003, e agli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, mentre nell’ambito penale trovano applicazione soltanto gli articoli 7 e 8 della Carta, a condizione che si tratti di questioni determinate dal diritto dell’Unione.

2)      Il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta e il principio di effettività non ostano a un ricorso amministrativo da esperire obbligatoriamente prima della proposizione dell’azione giudiziaria se le modalità di detto ricorso non pregiudicano eccessivamente l’efficacia della tutela giurisdizionale. Il rimedio amministrativo obbligatorio non può quindi, in particolare, ritardare oltre misura la procedura di ricorso nel suo insieme o comportare costi eccessivi.

3)      A norma dell’articolo 7, lettera e), della direttiva 95/46, l’amministrazione fiscale può – per i propri fini – compilare un elenco di persone che rivestono funzioni direttive fittizie presso determinate persone giuridiche e che non hanno acconsentito alla propria iscrizione in tale elenco. Ciò a condizione che l’amministrazione fiscale sia stata investita ex lege del suddetto compito, che l’utilizzo dell’elenco sia effettivamente adeguato e necessario per gli obiettivi da essa perseguiti e che vi siano sufficienti elementi a fondamento del sospetto che le persone di cui trattasi siano giustamente menzionate nell’elenco de quo. Anche i diritti fondamentali alla vita privata (articolo 7 della Carta) e alla tutela dei dati (articolo 8) non osterebbero in tal caso alla compilazione e all’utilizzo dell’elenco.

4)      Il principio dell’equo processo sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta ammette, in linea di massima, la possibilità di rifiutare, come mezzo di prova inammissibile, documenti interni di un’autorità parte del procedimento che un’altra parte del medesimo procedimento si è procurata senza l’assenso della prima. Tale rifiuto è tuttavia escluso quando si tratta di un elenco compilato da un’autorità finanziaria di uno Stato membro che contiene dati personali del ricorrente che l’autorità è tenuta a comunicare al ricorrente medesimo ai sensi degli articoli 12 e 13 della direttiva 95/46.

5)      Ove giunga alla conclusione che la decisione di un procedimento dinanzi ad esso pendente sia influenzata da una giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in base alla quale diritti sanciti dalla Carta corrispondenti a diritti sanciti dalla CEDU sono tutelati con meno forza rispetto a quanto previsto nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, un giudice nazionale può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea per sapere come debba essere interpretato il diritto dell’Unione rispetto a tale caso. Se avverso le decisioni del giudice nazionale non può più proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, questi è tenuto ad adire la Corte di giustizia.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      V. sentenze dell’8 novembre 2012, Profitube (C‑165/11, EU:C:2012:692, punti da 36 a 38), e del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punti da 38 a 46).


3      Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31), nella versione del regolamento (CE) n. 1882/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 settembre 2003 (GU 2003, L 284, pag. 1).


4      Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (GU 2016, L 119, pag. 1).


5      La nota 95 rimanda allo zákon č. 428/2002 Z. z. o ochrane osobných údajov v znení neskorších predpisov (legge n. 428/2002 sulla protezione dei dati personali) e successive modifiche.


6      V. sentenze del 6 novembre 2003, Lindqvist (C‑101/01, EU:C:2003:596, punto 43), e del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 41).


7      V. sentenza del 16 dicembre 2008, Huber (C‑524/06, EU:C:2008:724, punto 45).


8      Sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 19), e del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 66).


9      Sentenza del 26 febbraio 2013 (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 27).


10      V., ad esempio, sentenza del 22 ottobre 2013, Sabou (C‑276/12, EU:C:2013:678, punti 23 e segg.).


11      Sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a. (C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 74 e la giurisprudenza ivi citata).


12      V., ad esempio, sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).


13      V., supra, paragrafo 29.


14      V., ad esempio, sentenza del 17 luglio 2014, Y.S. (C‑141/12 e C‑372/12, EU:C:2014:2081, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).


15      V. sentenze del 9 marzo 2010, Commissione/Germania (C‑518/07, EU:C:2010:125, punti 17 e segg.); del 16 ottobre 2012, Commissione/Austria (C‑614/10, EU:C:2012:631, punti 36 e segg.), e del 6 ottobre 2015, Schrems (C‑362/14, EU:C:2015:650, punti 38 e segg.).


16      V., ad esempio, sentenze del 9 luglio 1985, Bozzetti (179/84, EU:C:1985:306, punto 17); del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 45); dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie (C‑240/09, EU:C:2011:125, punto 47), e dell’8 novembre 2016, Lesoochranárske zoskupenie VLK (C‑243/15, EU:C:2016:838, punto 65).


17      V., ad esempio, sentenze del 16 dicembre 1976, Rewe‑Zentralfinanz e Rewe‑Zentral (33/76, EU:C:1976:188, punto 5); del 9 novembre 1983, San Giorgio (199/82, EU:C:1983:318, punto 12); del 14 dicembre 1995, Peterbroeck (C‑312/93, EU:C:1995:437, punto 12); del 7 gennaio 2004, Wells (C‑201/02, EU:C:2004:12, punto 67); del 20 ottobre 2016, Danqua (C‑429/15, EU:C:2016:789, punto 29), e del 21 dicembre 2016, TDC (C‑327/15, EU:C:2016:974).


18      Sentenze del 14 dicembre 1995, Peterbroeck (C‑312/93, EU:C:1995:437, punto 14); del 10 aprile 2003, Steffensen (C‑276/01, EU:C:2003:228, punto 66), e del 20 ottobre 2016, Danqua (C‑429/15, EU:C:2016:789, punto 42).


19      V., ad esempio, sentenze del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, EU:C:2010:811, punto 28 e 31); dell’11 aprile 2013, Edwards e Pallikaropoulos (C‑260/11, EU:C:2013:221, punto 33); del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 52), e del 13 ottobre 2016, Polkomtel (C‑231/15, EU:C:2016:769, punto 23 e 24), nonché le mie conclusioni nelle cause Mellor (C‑75/08, EU:C:2009:32, paragrafo 28), Alassini (da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2009:720, paragrafo 42), e Lesoochranárske zoskupenie VLK (C‑243/15, EU:C:2016:491, paragrafo 99).


20      Sentenze del 15 settembre 2016, Star Storage e a. (C‑439/14 e C‑488/14, EU:C:2016:688, punto 46), e dell’8 novembre 2016, Lesoochranárske zoskupenie VLK (C‑243/15, EU:C:2016:838, punto 65).


21      Esemplificative le sentenze del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 51); del 17 settembre 2014, Liivimaa Lihaveis (C‑562/12, EU:C:2014:2229, punti 67 e segg.), e del 15 settembre 2016, Star Storage e a. (C‑439/14 e C‑488/14, EU:C:2016:688, punti 49 e segg.).


22      V. sentenze del 6 ottobre 2015, Schrems (C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 95), e del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 161)


23      Sulla formulazione, v. le mie conclusioni nella causa G4S Secure Solutions (C‑157/15, EU:C:2016:382, paragrafo 98), in linea con il Conseil constitutionnel francese nelle decisioni n. 2015‑527 QPC del 22 dicembre 2015 (FR:CC:2015:2015.527.QPC, punti 4 e 12) e n. 2016‑536 QPC del 19 febbraio 2016 (FR:CC:2016:2016.536.QPC, punti 3 e 10); in senso analogo il Conseil d’État francese nella sentenza n. 317827 del 26 ottobre 2011 (FR:CEASS:2011:317827.20111026); v. anche il Bundesverfassungsgericht tedesco, BVerfGE 120, 274, pagg. 318 e 319 (DE:BVerfG:2008:rs20080227.1bvr037007, punto 218).


24      V., ad esempio, sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).


25      V. articoli 90 e 91 dello Statuto dei funzionari.


26      Articolo 8 del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).


27      Articoli 58 e segg. del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU 2009, L 78, pag. 226).


28      Articoli 89 e segg. del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) (GU 2006, L 396, pag. 1).


29      Articolo 2, paragrafo 4, seconda frase, della decisione del Parlamento europeo sullo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del mediatore (GU 1994, L 113, pag. 15).


30      V., tuttavia, ordinanza del Bundesverfassungsgericht del 28 ottobre 1975 (2 BvR 883/73, 379/74, 497/74, 526/74, Neue Juristische Wochenschrift 1976, pag. 34 [pagg. 36 e 37]).


31      Ordinanza del Bundesverfassungsgericht del 9 maggio 1973 (2 BvL 43 e 44/71, Neue Juristische Wochenschrift 1973, 1683) e decisioni del Bayrisches Verfassungsgerichtshof del 15 novembre 2006, R.R. e K.N. (6-VII‑05 e 12-VII‑05, VerfGHE 59, 219), e del 23 ottobre 2008, A.D.-G. (10-VII‑07, VerfGHE 61, 248).


32      Sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a. (da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2010:146, punti 55 e 57).


33      Corte EDU, sentenze del 28 giugno 1978, König c. Germania (6232/73, CE:ECHR:1980:0310JUD000623273, § 98); del 20 dicembre 2001, Janssen c. Germania (23959/94, CE:ECHR:2001:1220JUD002395994, §§ 13 e 40), e del 2 dicembre 2014, Siermiński c. Polonia (53339/09, CE:ECHR:2014:1202JUD005333909, § 65).


34      Sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 50).


35      Sentenza del 9 novembre 2006, Commissione/Irlanda (C‑216/05, EU:C:2006:706, punto 33). V. anche Corte EDU, sentenze del 19 giugno 2001, Kreuz c. Polonia (28249/95, CE:ECHR:2001:0619JUD002824995, § 59), e del 24 maggio 2006, Weissman e a. c. Romania (63945/00, CE:ECHR:2006:0524JUD006394500, § 35).


36      V. sentenza del 12 dicembre 2013, X (C‑486/12, EU:C:2013:836, punto 29), sui costi per il rilascio di indicazioni attinenti al trattamento di dati personali.


37      Sentenze del 9 febbraio 1999, Dilexport [C‑343/96, EU:C:1999:59, punto 48 (cita soltanto il principio di effettività)]; del 10 aprile 2003, Steffensen (C‑276/01, EU:C:2003:228, punto 63); del 28 gennaio 2010, Direct Parcel Distribution Belgium (C‑264/08, EU:C:2010:43, punti 33 e 34); del 23 ottobre 2014, Unitrading (C‑437/13, EU:C:2014:2318, punto 27); del 4 giugno 2015, Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 64); del 15 ottobre 2015, Nike European Operations Netherlands (C‑310/14, EU:C:2015:690, punti 27 e 28), e del 6 ottobre 2015, Capoda Import‑Export (C‑354/14, EU:C:2015:658, punto 44).


38      Ordinanze del 23 ottobre 2002, Austria/Consiglio (C‑445/00, EU:C:2002:607, punto 12); del 23 marzo 2007, Stadtgemeinde Frohnleiten e Gemeindebetriebe Frohnleiten (C‑221/06, EU:C:2007:185, punto 19), e del 29 gennaio 2009, Donnici/Parlamento (C‑9/08, non pubblicata, EU:C:2009:40, punto 13).


39      Sentenze del 6 novembre 2012, Otis e a. (C‑199/11, EU:C:2012:684, punto 48), e del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecătoresc Horațiu-Vasile Cruduleci (C‑205/15, EU:C:2016:499, punti 36 e 47).


40      Sentenze del 9 giugno 2005, Spagna/Commissione (C‑287/02, EU:C:2005:368, punto 37, sui diritti della difesa degli Stati membri); del 2 dicembre 2009, Commissione/Irlanda e a. (C‑89/08 P, EU:C:2009:742, punto 53, sulle istituzioni dell’Unione), e del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96, punto 49, su un’entità iraniana).


41      Ordinanze del 23 ottobre 2002, Austria/Consiglio (C‑445/00, EU:C:2002:607, punto 12); del 23 marzo 2007, Stadtgemeinde Frohnleiten e Gemeindebetriebe Frohnleiten (C‑221/06, EU:C:2007:185, punto 19), e del 29 gennaio 2009, Donnici/Parlamento (C‑9/08, non pubblicata, EU:C:2009:40, punto 13).


42      Ordinanza del 23 marzo 2007, Stadtgemeinde Frohnleiten e Gemeindebetriebe Frohnleiten (C‑221/06, EU:C:2007:185, punto 19).


43      V. sentenze del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374), e del 21 luglio 2011, Svezia/MyTravel e Commissione (C‑506/08 P, EU:C:2011:496, punti 77 e segg.).


44      Ordinanza del 29 gennaio 2009, Donnici/Parlamento (C‑9/08, non pubblicata, EU:C:2009:40, punto 17).


45      Sentenza del 1o ottobre 2015, Bara e a. (C‑201/14, EU:C:2015:638, punto 39).


46      Sentenza del 23 ottobre 2014, Unitrading (C‑437/13, EU:C:2014:2318, punto 28).


47      Esemplificative al riguardo le sentenze del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punti da 64 a 68), e del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 128 e 129).


48      Sentenze del 16 dicembre 2008, Huber (C‑524/06, EU:C:2008:724, punto 48), e del 1o ottobre 2015, Bara e a. (C‑201/14, EU:C:2015:638, punto 30).


49      Sentenze del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 56); del 7 novembre 2013, IPI (C‑473/12, EU:C:2013:715, punto 39); dell’11 dicembre 2014, Ryneš (C‑212/13, EU:C:2014:2428, punto 28), e del 6 ottobre 2015, Schrems (C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 92).


50      Sentenza del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970, punto 96).


51      V. Corte EDU, sentenze del 4 dicembre 2008, S. e Marper c. Regno Unito (30562/04 e 30566/04, CE:ECHR:2008:1204JUD003056204, § 122), e del 18 ottobre 2011, Khelili/Svizzera (16188/07, CE:ECHR:2011:1018JUD001618807, § 68).


52      V. sentenze dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland e a. (C‑293/12 e C‑594/12, EU:C:2014:238, punti 58 e 59), e del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970, punti 105 e 106), nonché Corte EDU, sentenza del 18 ottobre 2011, Khelili c. Svizzera (16188/07, CE:ECHR:2011:1018JUD001618807, §§ da 66 a 68).


53      V. supra paragrafi 86 e segg.


54      Sentenze del 7 maggio 2009, Rijkeboer (C‑553/07, EU:C:2009:293, punto 49), e del 17 luglio 2014, Y.S. (C‑141/12 e C‑372/12, EU:C:2014:2081, punto 44).


55      Sentenza del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970, punto 130 e la giurisprudenza ivi citata).


56      V. sentenze del 27 giugno 1991, Mecanarte (C‑348/89, EU:C:1991:278, punti 42 e segg.); del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:723, punti 80 e segg.), e del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punti 21 e segg.).


57      Sentenze del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, EU:C:2010:811, punti 35 e 37), e del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecătoresc Horațiu‑Vasile Cruduleci (C‑205/15, EU:C:2016:499, punto 41).


58      V., ad esempio, sentenza del 29 gennaio 2008, Promusicae (C‑275/06, EU:C:2008:54, punto 68).