Language of document : ECLI:EU:F:2012:114

SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA DELL’UNIONE EUROPEA (Seconda Sezione)

17 luglio 2012 (*)

«Funzione pubblica – Procedimento disciplinare – Sanzione disciplinare – Destituzione – Esistenza di un’indagine preliminare dinanzi alle autorità giudiziarie penali nazionali al momento dell’adozione della decisione di destituzione – Parità di trattamento tra uomini e donne – Divieto di licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza durante il periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità»

Nella causa F‑54/11,

avente ad oggetto un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 270 TFUE, applicabile al Trattato CEEA in forza del suo articolo 106 bis,

BG, ex funzionaria del Mediatore europeo, residente in Strasburgo (Francia), rappresentata da L. Levi e A. Blot, avvocati,

ricorrente,

contro

Mediatore europeo, rappresentato da J. Sant’Anna, in qualità di agente, assistito da D. Waelbroeck e A. Duron, avvocati,

convenuto,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA (Seconda Sezione),

composto da M.I. Rofes i Pujol, presidente, I. Boruta e K. Bradley (relatore), giudici,

cancelliere: X. Lopez Bancalari, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 marzo 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con atto introduttivo pervenuto nella cancelleria del Tribunale il 4 maggio 2011, BG ha proposto il presente ricorso diretto ad ottenere, da una parte, l’annullamento della decisione del Mediatore europeo di infliggerle la sanzione della destituzione senza perdita di diritti a pensione e, dall’altra, il risarcimento del preteso danno da lei subìto a seguito di tale decisione.

 Contesto normativo

2        L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è così formulato:

«(…)

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

(…)».

3        L’articolo 23 della Carta, dal titolo: «Parità tra donne e uomini», dispone:

«La parità tra donne e uomini e deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

(…)».

4        L’articolo 1 sexies, paragrafo 2, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto») stabilisce quanto segue:

«I funzionari in attività di servizio hanno diritto a condizioni di lavoro rispondenti a norme sanitarie e di sicurezza adeguate e almeno equivalenti ai requisiti minimi applicabili conformemente alle misure adottate in quest’ambito ai sensi dei trattati».

5        L’articolo 12 dello Statuto prevede quanto segue:

«Il funzionario deve astenersi da qualsiasi atto o comportamento che possa menomare la dignità della sua funzione».

6        Ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 3, dello Statuto:

«Le norme, le procedure e le misure disciplinari nonché le norme e le procedure relative alle indagini amministrative sono definite all’allegato IX».

7        L’allegato IX dello Statuto riguarda il procedimento disciplinare. Il suo articolo 5 è così formulato:

«1.      Una commissione di disciplina, in appresso denominata “commissione”, è creata nell’ambito di ciascuna istituzione. Almeno un membro della commissione, che può essere il presidente, è scelto al di fuori dell’istituzione.

2.      La commissione è composta da un presidente e da quattro membri permanenti, che possono essere sostituiti da supplenti; quando il caso riguarda un funzionario di grado AD 13 o inferiore, la commissione è estesa per includere due membri supplementari appartenenti allo stesso gruppo di funzioni e allo stesso grado del funzionario oggetto del procedimento disciplinare.

3.      I membri permanenti della commissione e i relativi supplenti sono designati tra i funzionari in attività di servizio di grado almeno AD 14 per tutti i casi diversi da quelli riguardanti funzionari di grado AD 16 o AD 15.

(…)».

8        A norma dell’articolo 6 dell’allegato IX dello Statuto:

«1.      L’autorità che ha il potere di nomina e il comitato del personale designano ciascuno, simultaneamente, due membri permanenti e due supplenti.

2.      Il presidente e il suo supplente sono designati dall’autorità che ha il potere di nomina.

(…)

5.      Nei cinque giorni successivi alla costituzione della commissione, il funzionario interessato può ricusare uno dei membri della commissione. Anche l’istituzione ha il diritto di ricusare uno dei membri della commissione.

(…)».

9        L’articolo 10 dell’allegato IX dello Statuto così dispone:

«La sanzione disciplinare inflitta deve essere proporzionale alla gravità della mancanza commessa. Per determinare la gravità di quest’ultima e decidere in merito alla sanzione da infliggere, sono presi in considerazione, in particolare:

a)      la natura della mancanza e le circostanze in cui è stata commessa;

b)      l’entità del danno arrecato all’integrità, alla reputazione o agli interessi delle istituzioni a motivo della mancanza commessa;

c)      la parte di intenzionalità o di negligenza nella mancanza commessa;

d)      i motivi che hanno condotto il funzionario a commettere tale mancanza;

e)      il grado e l’anzianità del funzionario;

f)      il grado di responsabilità personale del funzionario;

g)      il livello delle funzioni e delle responsabilità del funzionario;

h)      il carattere di recidiva dell’atto o del comportamento scorretto;

i)      la condotta del funzionario su tutto l’arco della carriera».

10      L’articolo 18 dell’allegato IX dello Statuto è del seguente tenore:

«Sulla base dei documenti presentati [dinanzi alla commissione di disciplina] e tenuto conto all’occorrenza delle dichiarazioni scritte o verbali, nonché delle risultanze dell’inchiesta eventualmente svolta, la commissione formula a maggioranza un parere motivato quanto alla realtà dei fatti addebitati e, se del caso, alla sanzione che a suo giudizio tali fatti dovrebbero comportare. Tale parere è firmato da tutti i membri della commissione. Ciascun membro della commissione ha la facoltà di accludere al parere un’opinione divergente. Il parere è trasmesso all’autorità che ha il potere di nomina e al funzionario interessato entro un termine di due mesi a decorrere dalla data di ricevimento del rapporto della suddetta autorità, sempreché tale periodo risulti adeguato alla complessità del caso. Nel caso di un’inchiesta condotta su iniziativa della commissione il termine è di quattro mesi, sempreché tale periodo risulti adeguato alla complessità del caso».

11      L’articolo 23 dell’allegato IX dello Statuto stabilisce che:

«1.      In caso di colpa grave addebitata ad un funzionario dall’autorità che ha il potere di nomina, che si tratti di una mancanza ai suoi obblighi professionali o di una infrazione delle norme di legge, quest’ultima può sospendere in qualsiasi momento il responsabile per un periodo determinato o indeterminato.

2.      Salvo in circostanze eccezionali, l’autorità che ha il potere di nomina prende questa decisione dopo aver sentito il funzionario interessato».

12      Ai sensi dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto:

«Quando il funzionario sia sottoposto a procedimento penale [nel testo francese: “poursuites pénales”, vale a dire “azione penale”] per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria».

13      L’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), è così formulato:

«La presente direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».

14      La direttiva 76/207 è stata abrogata, a partire dal 15 agosto 2009, dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204, pag. 23), il cui articolo 1, intitolato «Scopo», prevede quanto segue:

«Lo scopo della presente direttiva è assicurare l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:

a)      l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;

b)      le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;

c)      i regimi professionali di sicurezza sociale.

Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l'attuazione mediante l'istituzione di procedure adeguate».

15      L’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 dispone:

«Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:

(…)

c)      qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE».

16      L’articolo 10, dal titolo «Divieto di licenziamento», della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1), è del seguente tenore:

«Per garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:

1)      gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l'inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l'autorità competente abbia dato il suo accordo;

2)      qualora una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto giustificati motivi per il licenziamento;

(…)».

 Fatti

17      Dopo aver lavorato dal 2002 presso il Mediatore europeo in qualità di agente temporanea, poi in qualità di funzionaria nel gruppo di funzioni degli assistenti (AST), la ricorrente ha svolto, nel gruppo di funzioni degli amministratori (AD), tra il 1° ottobre 2008 e il 31 luglio 2010, le funzioni di responsabile di comunicazione in seno all’unità «Comunicazione» dell’ufficio del Mediatore, con il grado AD 5.

18      All’udienza, la ricorrente ha precisato che, al momento dei fatti, era proprietaria di una casa a Kehl (Germania), che ella e il marito non avevano mai utilizzato come residenza principale, e che nel 2006 aveva acquistato un appartamento a Strasburgo (Francia), il quale era stato poi messo in vendita.

19      Alla fine del mese di febbraio 2008, la ricorrente ha presentato una domanda presso una società cooperativa di promozione immobiliare (in prosieguo: la «società cooperativa») al fine di acquistare un alloggio a Strasburgo beneficiando di aiuti pubblici proposti in Francia a famiglie a basso reddito e che sono considerate accedenti per la prima volta alla proprietà della propria abitazione. Ad integrazione della sua domanda, ella ha trasmesso alla società cooperativa due attestazioni di redditi in data 27 febbraio 2008, relative agli anni 2006 e 2007.

20      Con lettera del 24 marzo 2009, la società cooperativa ha chiesto alla ricorrente di precisare se ella confermava il suo interesse all’acquisto dell’alloggio e di trasmetterle talune informazioni.

21      Nel corso del mese di luglio 2009, al fine di poter convalidare la domanda della ricorrente, la società cooperativa le ha chiesto di trasmettere i suoi fogli paga nonché quelli del coniuge.

22      La ricorrente ha allora trasmesso i fogli paga relativi ai mesi di aprile, maggio, giugno e luglio 2009 (in prosieguo: i «fogli paga»), nonché le informazioni concernenti i redditi del coniuge.

23      Il 3 agosto 2009, la società cooperativa ha contattato il capo unità «Amministrazione e personale» dell’ufficio del Mediatore al fine di ottenere chiarimenti in ordine, da una parte, alla presa in considerazione degli stipendi percepiti dai funzionari dell’Unione europea ai fini della concessione di mutui immobiliari mediante aiuti pubblici e, dall’altra, ai fogli paga trasmessi dalla ricorrente. A seguito di una richiesta dell’ufficio del Mediatore, la società cooperativa ha trasmesso, il 7 agosto 2009, copia dei fogli paga.

24      Una volta presa conoscenza dei fogli paga, l’unità «Amministrazione e personale» si è accorta che questi ultimi erano stati modificati in modo tale da abbassare il reddito reale dell’interessata. Così, dai fogli paga di aprile, maggio e giugno 2009 risultava uno stipendio netto di EUR 2 410,36 anziché EUR 5 822,43, e dal foglio paga di luglio 2009 uno stipendio netto di EUR 5 711,32 anziché EUR 9 123,39.

25      Il 10 agosto 2009, il capo unità «Amministrazione e personale» ha inviato un messaggio di posta elettronica alla società cooperativa per informarla, da una parte, di non essere in grado di precisare quali fossero gli importi da prendere in considerazione alla luce della legge francese e, dall’altra, di aver scoperto notevoli inesattezze nei fogli paga che erano stati trasmessi dalla ricorrente.

26      L’11 agosto 2009, il capo unità «Amministrazione e personale» ha proposto l’avvio di un’indagine amministrativa avente ad oggetto la «possibile falsificazione di documenti ufficiali del Mediatore (…) e la [loro] utilizzazione nei confronti di terzi al fine di ricavarne un vantaggio personale».

27      Il 17 agosto 2009, la società cooperativa ha informato il capo unità «Amministrazione e personale» della sua intenzione di chiedere alla ricorrente di trasmetterle un’attestazione riguardante il reddito fiscale di riferimento per l’anno 2008.

28      Il 25 agosto 2009, la ricorrente ha chiesto all’ufficio del Mediatore di fornirle l’attestazione richiesta dalla società cooperativa nonché un’altra attestazione in lingua tedesca. In pari data, il capo unità «Amministrazione e personale» ha informato la ricorrente che non era possibile fornirle immediatamente l’attestazione per l’anno 2008, ma le ha inviato l’attestazione in lingua tedesca.

29      Il 26 agosto 2009, la ricorrente ha presentato alla società cooperativa un documento dal titolo «Attestazione» riguardante il reddito imponibile per l’anno 2008 su carta intestata del Mediatore europeo dell’unità «Amministrazione [e personale]».

30      La società cooperativa ha inviato tale attestazione all’unità «Amministrazione e personale», la quale ha constatato che il documento in questione non era stato da essa redatto. Su detta attestazione figurava in particolare il numero di riferimento dell’attestazione in lingua tedesca fornita alla ricorrente il 25 agosto 2009.

31      Il 2 settembre 2009, il Mediatore ha deciso di avviare un’indagine amministrativa, di informare il procuratore della Repubblica francese dei fatti di cui trattasi e di sospendere la ricorrente dalle sue funzioni a tempo indeterminato, senza riduzione di stipendio. La ricorrente ne è stata informata il giorno stesso.

32      Il 3 settembre 2009, la ricorrente è stata invitata ad una prima audizione nell’ambito dell’indagine amministrativa. Nel corso di tale audizione ella ha riconosciuto di aver proceduto ella stessa alla falsificazione dei quattro fogli paga e dell’attestazione di redditi per l’anno 2008. Inoltre, ella ha informato gli inquirenti del suo stato di gravidanza, ha risposto ai quesiti che le sono stati posti e ha presentato agli inquirenti una lettera manoscritta nella quale dichiarava che non negava assolutamente i fatti a lei contestati, ma desiderava fornire spiegazioni. In particolare, ella affermava di aver commesso atti «insensati» e di aver agito in tal modo per «finirla con una situazione familiare assolutamente insopportabile», cioè la difficoltà di contrarre un mutuo immobiliare a seguito della grave infermità del coniuge.

33      Il 18 settembre 2009, gli inquirenti hanno inviato le loro conclusioni sui fatti contestati alla ricorrente. Quest’ultima ha fornito commenti aggiuntivi il 22 settembre 2009, precisando, in particolare, che, all’inizio del luglio 2009, ella si era resa conto di essere in stato di gravidanza e aveva agito in condizioni di panico temendo che la sua domanda presso la società cooperativa non trovasse accoglimento.

34      Con lettera del 24 settembre 2009, gli inquirenti hanno trasmesso al Mediatore la relazione d’indagine amministrativa nella quale concludevano che la ricorrente aveva falsificato alcuni documenti e li aveva trasmessi alla società cooperativa a sostegno di una domanda che, se accolta, le avrebbe consentito di usufruire di un mutuo immobiliare a condizioni riservate, secondo la legge francese, a famiglie a basso reddito. Di conseguenza, gli inquirenti raccomandavano l’avvio di un procedimento disciplinare.

35      Il 23 ottobre 2009, la ricorrente è stata sentita dal Mediatore nell’ambito dell’audizione previa prevista dall’articolo 3 dell’allegato IX dello Statuto.

36      Il 20 novembre 2009, il Mediatore ha deciso di avviare un procedimento disciplinare. Tuttavia, tenuto conto della gravidanza della ricorrente e in seguito al parere del medico di fiducia dell’istituzione, esso ha deciso, il 18 gennaio 2010, di rinviare gli atti connessi al procedimento disciplinare ad una data successiva al parto della ricorrente.

37      Il 19 maggio 2010, il Mediatore ha adito la commissione di disciplina che ha sentito la ricorrente l’8 luglio 2010.

38      Il 9 luglio 2010, la commissione di disciplina ha espresso un parere motivato nel quale giungeva alla conclusione che i fatti contestati erano accertati e riconosciuti dalla ricorrente.

39      Per quanto riguarda la sanzione proposta, la commissione di disciplina ha spiegato la sua posizione nel modo seguente:

«–      I fatti contestati arrecano pregiudizio alla dignità della funzione svolta dalla [ricorrente], in particolare nel contesto del valore di integrità associato all’istituzione da cui dipende, e costituiscono gravi infrazioni all’articolo 12 dello Statuto (…),

–        Il carattere intenzionale dei fatti contestati e la responsabilità [della] funzionari[a] sono incontestabili,

–        [la] funzionari[a] svolge mansioni che comportano un elevato livello di responsabilità,

–        non vi è recidiva nei fatti contestati,

–        [la] funzionari[a] ha ricevuto buoni rapporti informativi per tutta la sua carriera».

40      Tenuto conto di questi elementi, la commissione di disciplina, a maggioranza, ha proposto come sanzione «l’inquadramento dell’interessata in un gruppo di funzioni inferiori con retrocessione di grado (AST 1, primo scatto)». Una parte minoritaria della commissione di disciplina era tuttavia del parere che la destituzione fosse la sanzione più appropriata.

41      Nella sua decisione del 20 luglio 2010, notificata alla ricorrente il 22 luglio 2010, il Mediatore ha deciso di infliggere la sanzione della destituzione senza perdita di diritti a pensione con decorrenza 31 luglio 2010 (in prosieguo: la «decisione controversa»).

42      Il 21 ottobre 2010, la ricorrente ha presentato un reclamo, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, contro la decisione del 20 luglio 2010.

43      Con decisione in data 18 gennaio 2011, notificata all’interessata il 24 gennaio 2011, il Mediatore ha respinto il reclamo.

 Conclusioni delle parti e procedimento

44      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione del 20 luglio 2010;

–        per quanto necessario, annullare la decisione, in data 18 gennaio 2011 e notificata il 24 gennaio 2011, con cui viene respinto esplicitamente il suo reclamo;

di conseguenza:

–        in via principale, dichiarare che l’annullamento della decisione controversa comporta il suo reintegro, con effetto retroattivo, alla data di entrata in vigore della detta decisione, nel suo posto di amministratore di grado AD 5, secondo scatto, nonché la liquidazione delle spettanze economiche a lei dovute per tutto questo periodo, oltre agli interessi di mora al tasso della Banca centrale europea maggiorato di 2 punti;

–        in subordine, condannare il Mediatore a versare una somma corrispondente alla retribuzione che la ricorrente avrebbe percepito dalla data di decorrenza della sua destituzione sino al mese in cui ella raggiungerà l’età pensionabile, nel luglio 2040, e la corrispondente regolarizzazione dei diritti a pensione della ricorrente;

–        in ogni caso, condannare il Mediatore al pagamento della somma di EUR 65 000 a titolo di danni morali subiti dalla ricorrente;

–        condannare il Mediatore a sopportare tutte le spese.

45      Il Mediatore conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato nel suo complesso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

46      Con la sua relazione preparatoria d’udienza, trasmessa con lettera del 15 dicembre 2011, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a misure di organizzazione del procedimento, alle quali esse hanno ottemperato entro i termini impartiti. Tuttavia, la ricorrente ha informato il Tribunale di non essere in grado di produrre copia della scheda informativa allegata alla richiesta della società cooperativa del 24 marzo 2009.

 In diritto

1.     Sull’oggetto del ricorso

47      Oltre all’annullamento della decisione del 20 luglio 2010, la ricorrente chiede l’annullamento, per quanto necessario, della decisione del 18 gennaio 2011 con la quale l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») ha respinto il suo reclamo.

48      Secondo una giurisprudenza costante, le domande di annullamento formalmente dirette contro il provvedimento di rigetto di un reclamo comportano che il Tribunale sia chiamato a conoscere dell’atto contestato con il reclamo, nel caso in cui tale provvedimento sia privo di contenuto autonomo (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 gennaio 1989, Vainker/Parlamento, 293/87, punto 8). Poiché la decisione di rigetto del reclamo presentato contro la decisione controversa è, nella fattispecie, priva di contenuto autonomo, il ricorso dev’essere considerato diretto contro la sola decisione controversa.

49      Inoltre, il Tribunale ricorda che non gli spetta, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 91 dello Statuto, rivolgere ingiunzioni alle istituzioni dell’Unione (v., ad esempio, sentenze del Tribunale del 24 febbraio 2010, P/Parlamento, F‑89/08, punto 120, e del 14 settembre 2010, Da Silva Pinto Branco/Corte di giustizia, F‑52/09, punto 31). La domanda diretta a che il Tribunale dichiari che l’annullamento della decisione controversa comporta il reintegro della ricorrente, con effetto retroattivo, alla data di entrata in vigore di tale decisione, nel suo posto di amministratore di grado AD 5, secondo scatto, deve, di conseguenza, essere respinta in quanto irricevibile.

2.     Sulle conclusioni dirette all’annullamento

50      A sostegno delle sue conclusioni dirette all’annullamento della decisione controversa, la ricorrente deduce cinque motivi relativi, rispettivamente, alla violazione della procedura disciplinare prevista dallo Statuto, alla violazione dell’obbligo di motivazione, all’errore manifesto di valutazione, alla violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne e al diritto al congedo di maternità, nonché alla violazione del dovere di sollecitudine e del principio di buona amministrazione.

51      Inoltre, nelle sue memorie, la ricorrente solleva una questione fondata sul ruolo del Mediatore nel contesto del procedimento disciplinare tenuto conto dei principi di parità delle armi tra le parti e del processo equo. Orbene, anche supponendo che la ricorrente intenda così dedurre un motivo a sostegno delle sue conclusioni dirette all’annullamento, si deve necessariamente constatare che un siffatto motivo, non essendo suffragato da alcun argomento, contrariamente alla regola prevista dall’articolo 35, paragrafo 1, lettera e), del regolamento di procedura, dovrebbe essere respinto in quanto irricevibile.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione della procedura disciplinare prevista dallo Statuto

52      Il motivo relativo alla violazione della procedura disciplinare prevista dallo Statuto si fonda su tre parti attinenti, rispettivamente, alla violazione dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto, alla violazione dell’articolo 23 dell’allegato IX dello Statuto e alla violazione degli articoli 5 e 6 dell’allegato IX dello Statuto.

 Sulla prima parte del primo motivo, relativa all’esistenza di un’azione penale riguardante gli stessi fatti

–       Argomenti delle parti

53      La ricorrente fa valere che il Mediatore avrebbe preso una decisione definitiva senza attendere la conclusione del procedimento penale intentato nei suoi confronti, in violazione dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto.

54      Secondo il Mediatore, la nozione di «poursuites pénales» di cui all’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto dev’essere valutata alla luce della legge nazionale applicabile al caso di specie e, quindi, alla luce della legge francese. Il Mediatore sostiene al riguardo che, al momento dell’adozione della decisione controversa, non erano in corso «poursuites pénales» ai sensi della legge francese e chiede al Tribunale di respingere questa parte del primo motivo.

55      All’udienza, la ricorrente ha sostenuto che era necessario dare all’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto un’interpretazione autonoma e che il riferimento alla legge francese operato dal Mediatore nel suo controricorso non era pertinente.

–       Giudizio del Tribunale

56      In via preliminare, si deve constatare che la censura fondata sulla violazione dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto non è stata esposta nell’ambito del procedimento precontenzioso.

57      Vero è che il Mediatore non ha opposto un’eccezione di irricevibilità alla ricorrente. Tuttavia, la concordanza tra il reclamo e il ricorso, da cui dipende la ricevibilità di quest’ultimo, costituisce una questione di ordine pubblico che spetta al giudice esaminare d’ufficio (v. sentenza del Tribunale dell’11 luglio 2007, B/Commissione, F‑7/06, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

58      Tale regola può intervenire nei soli casi in cui il ricorso contenzioso modifichi l’oggetto del reclamo o la sua causa, nozione, quest’ultima di «causa», da interpretare in senso lato. In particolare, per quanto riguarda le domande di annullamento, con l’espressione «causa della controversia» va intesa la contestazione da parte del ricorrente della legittimità interna dell’atto impugnato o, in alternativa, la contestazione della sua legittimità esterna, distinzione riconosciuta dalla giurisprudenza (v. sentenza del Tribunale del 1° luglio 2010, Časta/Commissione, F‑40/09, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

59      Nella fattispecie si deve necessariamente constatare che la ricorrente ha fatto valere nella fase del reclamo più argomenti attinenti sia alla legittimità esterna sia alla legittimità interna della decisione controversa, cioè l’irregolarità della procedura di adozione di detta decisione, l’inesattezza materiale dei fatti contestati, la violazione dell’obbligo di motivazione e la violazione del principio di proporzionalità. Ne consegue che, deducendo nel suo ricorso il motivo relativo alla violazione dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto, la ricorrente non ha violato la regola della concordanza e che, di conseguenza, il presente motivo è ricevibile.

60      Quanto al merito, la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale di cui all’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto ha una duplice ragion d’essere.

61      Da una parte, essa risponde alla preoccupazione di non pregiudicare la posizione del funzionario di cui trattasi nell’ambito di un’azione penale avviata a suo carico a seguito di fatti che formino peraltro oggetto di un procedimento disciplinare in seno alla sua istituzione (sentenza del Tribunale di primo grado del 19 marzo 1998, Tzoanos/Commissione, T‑74/96, punto 34).

62      Dall’altra parte, una siffatta sospensione consente di prendere in considerazione, nell’ambito del procedimento disciplinare, constatazioni di fatto operate dal giudice penale, una volta che la decisione di quest’ultimo sia passata in giudicato. Infatti, l’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto sancisce il principio secondo cui «il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova», il che si giustifica in particolare con il fatto che i giudici penali nazionali dispongono di poteri di indagine più ampi rispetto a quelli dell’APN. Pertanto, nel caso in cui i medesimi fatti possano configurare un illecito penale e una violazione degli obblighi statutari incombenti al funzionario, l’amministrazione è vincolata dagli accertamenti fattuali compiuti dal giudice nell’ambito del procedimento penale. Una volta che quest’ultimo giudice abbia accertato l’esistenza dei fatti in questione nella fattispecie, l’amministrazione può procedere in seguito alla loro qualificazione giuridica alla luce della nozione di illecito disciplinare, verificando in particolare se essi costituiscano violazioni degli obblighi statutari (sentenza del Tribunale di primo grado del 10 giugno 2004, François/Commissione, T‑307/01, punto 75; sentenza del Tribunale del 13 gennaio 2010, A e G/Commissione, F‑124/05 e F‑96/06, punto 323).

63      Inoltre, risulta dalla giurisprudenza in materia che spetta al funzionario interessato fornire all’APN gli elementi che consentono di valutare se i fatti a lui addebitati nell’ambito del procedimento disciplinare formino parallelamente oggetto di un’azione penale avviata nei suoi confronti. Per soddisfare tale obbligo, il funzionario di cui trattasi deve, in linea di principio, dimostrare che sia stata avviata un’azione penale a suo carico mentre egli formava oggetto di un procedimento disciplinare. Infatti, solo quando una siffatta azione penale sia stata avviata i fatti sui quali essa verte possono essere individuati e raffrontati ai fatti per i quali è stato intentato il procedimento disciplinare, al fine di determinare la loro eventuale identità (v. sentenza del Tribunale di primo grado del 30 maggio 2002, Onidi/Commissione, T‑197/00, punto 81).

64      Spetta pertanto al Tribunale decidere, innanzitutto, se, nelle circostanze del caso di specie, la ricorrente ha dimostrato che «[poursuites pénales] per gli stessi fatti» fossero state avviate al momento dell’adozione della decisione controversa.

65      Il Tribunale ricorda innanzitutto che, secondo una giurisprudenza costante, ai termini di una disposizione di diritto dell’Unione la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per la determinazione del suo senso e della sua portata, deve di regola essere data un’interpretazione autonoma, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (sentenze del Tribunale di primo grado del 5 ottobre 2009, Commissione/Roodhuijzen, T‑58/08, punto 70, e del Tribunale dell’Unione europea del 13 settembre 2011, Zangerl-Posselt/Commissione, T‑62/10 P, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Solo qualora esso non possa rinvenire nel diritto dell’Unione, o nei principi generali del diritto dell’Unione, gli elementi che gli consentano di precisare il contenuto e la portata di una disposizione attraverso un’interpretazione autonoma, il giudice dell’Unione, anche in mancanza di un espresso richiamo, può dover fare riferimento al diritto degli Stati membri per l’applicazione del diritto dell’Unione.

66      Risulta da tale giurisprudenza che occorre, in primo luogo, esaminare le disposizioni pertinenti dello Statuto (sentenza Commissione/Roodhuijzen, cit., punto 71). Orbene, i soli riferimenti alla nozione di «poursuites pénales» nello Statuto si trovano agli articoli 24 e 25 dell’allegato IX, quindi nel contesto del procedimento disciplinare, i quali non forniscono alcuna indicazione utile quanto al contenuto di tale nozione. Si deve pertanto constatare che lo Statuto non precisa il contenuto della nozione di «poursuites pénales», contrariamente, ad esempio, alla nozione di «partner non sposato di un funzionario» per la concessione dell’assegno di famiglia nella causa Commissione/Roodhuijzen, nozione che era definita all’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), dell’allegato VII dello Statuto.

67      Quanto al diritto dell’Unione, occorre rilevare che il legislatore ha adottato diversi atti che rinviano, esplicitamente o implicitamente, al diritto nazionale per la definizione della nozione di «procedimento penale» o di quella più specifica di «poursuites pénales». In tal senso, ad esempio, all’articolo 1, lettera c), della decisione quadro 2001/220/JAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, il termine «procedimento penale» è definito come «il procedimento penale conforme al diritto nazionale applicabile» (GU L 82, pag. 1). Analogamente, l’articolo 2 della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 marzo 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, conferisce diritti all’«indagato o [all’]imputato», senza prevedere definizioni autonome di tali nozioni (GU L 142, pag. 1).

68      Il Tribunale ne conclude che non è possibile rinvenire nel diritto dell’Unione gli elementi che gli consentano di precisare il contenuto e la portata dei termini «poursuites pénales» utilizzati all’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto attraverso un’interpretazione autonoma. Di conseguenza, il Tribunale non può che far riferimento per l’applicazione di tale disposizione al diritto degli Stati membri, nella fattispecie a quello della Repubblica francese, le cui autorità giudiziarie penali si ritengono competenti per i fatti contestati alla ricorrente.

69      Al riguardo risulta dagli atti che, al momento dell’adozione della decisione controversa, era in corso un’indagine preliminare su fatti qualificati come «falsificazione di documenti ufficiali del Mediatore (…) e loro utilizzazione nei confronti di terzi al fine di ricavarne un vantaggio personale», ma che nessuna inchiesta giudiziaria era stata avviata e affidata ad un giudice istruttore.

70      In secondo luogo, il Tribunale osserva che, nel diritto francese, la nozione di «poursuites pénales», per il fatto che implica la messa in moto dell’azione pubblica per l’irrogazione delle pene, non può includere l’esistenza di una semplice indagine preliminare. Ne consegue che, secondo il diritto francese, al momento dell’adozione della decisione controversa l’azione penale non era stata avviata.

71      Tuttavia, anche in assenza di azione penale ai sensi del diritto nazionale, qualora, come nella fattispecie, il funzionario formi oggetto di un’indagine in grado di sfociare in un’azione penale, occorre permettergli di dimostrare in maniera specifica e alla luce della duplice ratio dell’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto, da una parte, che la decisione disciplinare può pregiudicare la sua posizione nell’ambito di un’eventuale azione penale successiva cui potrebbe condurre la detta indagine (v. sentenza Tzoanos/Commissione, cit., punto 38) e, dall’altra, che, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’amministrazione ha preso in considerazione fatti contestati dal ricorrente prima che il giudice penale li abbia accertati in maniera definitiva.

72      Ciò non si verifica nella presente causa.

73      Infatti, da una parte, si deve necessariamente constatare che la ricorrente si è limitata ad affermare, nel suo ricorso, che la condizione di cui all’articolo 25 dell’allegato IX dello Statuto non era stata rispettata, senza nemmeno tentare di dimostrare che una decisione che disciplinasse definitivamente la sua situazione potesse pregiudicare la sua posizione nell’ambito di un’eventuale azione penale successiva cui poteva condurre l’indagine in corso al momento del procedimento disciplinare, azione eventualmente riguardante fatti identici.

74      Dall’altra, quanto al principio secondo il quale «il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova», il Tribunale rileva che, qualora tale principio debba essere applicato nell’ambito di semplici indagini prima ancora che sia avviata l’azione penale, esso dev’essere interpretato in maniera restrittiva salvo privare di ogni effetto utile i procedimenti disciplinari. In particolare, un siffatto principio non può impedire all’amministrazione di adottare una sanzione disciplinare qualora essa si basi su fatti che, al momento dell’adozione della sua decisione, non erano contestati dal funzionario interessato.

75      Nel caso di specie, risulta dagli atti che tutti i fatti che sono alla base della decisione controversa – la modifica di quattro fogli paga e di un’attestazione di reddito, la presentazione di tali documenti modificati a terzi nell’ambito di una domanda di concessione di un mutuo bancario a tasso agevolato – sono stati ammessi dalla ricorrente e confermati a più riprese lungo tutto il procedimento che ha dato luogo alla decisione controversa Inoltre, la ricorrente non cerca di dimostrare che un giudice penale francese che potrebbe essere adito al termine dell’indagine preliminare di cui ella forma oggetto potrebbe fare accertamenti di fatto tali da mettere in discussione in qualsiasi modo l’esattezza materiale di tali fatti.

76      Interrogata su tale questione all’udienza, la ricorrente si è limitata a dichiarare che un’eventuale indagine penale potrebbe fornire chiarimenti su talune «zone d’ombra», come le condizioni nelle quali la modifica dell’attestazione di reddito del 2008 è stata effettuata, l’esistenza di un interesse da parte sua a modificare i fogli paga e tale attestazione, nonché l’esistenza di un vantaggio personale che la ricorrente trarrebbe dai comportamenti che le sono contestati.

77      Tuttavia, risulta dagli atti che le questioni relative, da una parte, al suo eventuale interesse a modificare i fogli paga e l’attestazione di reddito e, dall’altra, al vantaggio personale che ella avrebbe potuto trarre da tale modifica non sono stati elementi decisivi nella decisione del Mediatore, che si è limitato a prendere in considerazione, a titolo di circostanza aggravante, la finalità della ricorrente di utilizzare tali documenti «nel contesto di una domanda di concessione di un mutuo bancario a tasso agevolato destinato alle famiglie a basso reddito», il che non è contestato dalla ricorrente, e a respingere le spiegazioni alternative fornite dalla ricorrente.

78      Risulta da tutto quanto precede che, mentre un’azione penale a carico della ricorrente non era ancora avviata al momento dell’adozione della decisione controversa, la ricorrente non ha fornito la prova specifica del fatto che, nel caso in cui l’indagine in corso al momento dell’adozione della decisione controversa sfociasse in un’azione penale per gli stessi fatti, la decisione disciplinare rischierebbe di pregiudicare la sua posizione in un eventuale procedimento penale né del fatto che l’amministrazione abbia preso in considerazione fatti diversi da quelli che erano stati ammessi dalla ricorrente.

79      Pertanto, la prima parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

 Sulla seconda parte del primo motivo, relativa ad un vizio di procedura nell’adozione della decisione di sospensione

–       Argomenti delle parti

80      La ricorrente sostiene che la sua sospensione sarebbe stata decisa in violazione dell’articolo 23 dell’allegato IX dello Statuto poiché ella non era stata sentita prima dell’adozione di tale decisione.

81      Il Mediatore ribatte, in primo luogo, che la decisione di sospendere la ricorrente era stata adottata senza sentirla, ma nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 23 dell’allegato IX dello Statuto, il quale prevede una siffatta possibilità in caso di circostanze eccezionali. In secondo luogo, il Mediatore considera che, anche se vi fosse un vizio di procedura nell’adozione della decisione di sospensione, esso non avrebbe alcuna influenza sulla decisione controversa.

–       Giudizio del Tribunale

82      Secondo giurisprudenza costante, una decisione che ingiunge la sospensione di un funzionario costituisce un atto lesivo, tale da poter formare oggetto di ricorso di annullamento alle condizioni previste dagli articoli 90 e 91 dello Statuto (sentenza del Tribunale di primo grado del 19 maggio 1999, Connolly/Commissione, T‑203/95, punto 33).

83      Tuttavia, una siffatta decisione costituisce non un atto procedurale indispensabile, preparatorio della decisione finale che enuncia la sanzione da infliggere, ma una decisione autonoma, che l’APN può adottare e la cui applicazione è subordinata all’asserzione di una colpa grave (v. sentenze Connolly/Commissione, cit., punto 36, e del Tribunale di primo grado del 16 dicembre 2004, De Nicola/BEI, T‑120/01 e T‑300/01, punto 113). Ne consegue che un’eventuale illegittimità della decisione di sospensione non avrebbe alcuna influenza sulla validità della decisione controversa.

84      Di conseguenza, la seconda parte del primo motivo è inconferente e deve pertanto essere respinta.

 Sulla terza parte del primo motivo, relativa alla composizione irregolare della commissione di disciplina

–       Argomenti delle parti

85      La ricorrente sostiene che una commissione di disciplina composta esclusivamente da membri esterni all’istituzione, come la commissione di disciplina adita dal Mediatore, era costituita in violazione degli articoli 5 e 6 dell’allegato IX dello Statuto.

86      Il Mediatore chiede al Tribunale di respingere la terza parte del primo motivo.

–       Giudizio del Tribunale

87      Si deve constatare che l’articolo 5, paragrafo 1, dell’allegato IX dello Statuto, limitandosi a disporre che almeno un membro della commissione di disciplina debba essere scelto al di fuori dell’istituzione interessata, non vieta in nessun modo che la maggior parte, o addirittura tutti i membri della commissione di disciplina, possano essere scelti al di fuori dell’istituzione.

88      Un’interpretazione di tale disposizione che portasse a vietare la costituzione di commissioni di disciplina composte esclusivamente di membri esterni all’istituzione interessata non soltanto non si baserebbe su alcun elemento testuale, ma, come correttamente sostenuto dal Mediatore nel suo controricorso, avrebbe la conseguenza che, nel caso di istituzioni o di organismi privi di un numero sufficiente di funzionari inquadrati nel grado richiesto dagli articoli 5 e 6 dell’allegato IX dello Statuto per far parte di una commissione di disciplina, sarebbe impossibile costituirne validamente una.

89      Di conseguenza, la terza parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

90      Da tutto quanto precede deriva che il primo motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione

 Argomenti delle parti

91      La ricorrente considera che né il parere della commissione di disciplina né la decisione di destituzione soddisfano l’esigenza di motivazione.

92      In primo luogo, la ricorrente fa valere la laconicità del parere della commissione di disciplina, il quale non spiegherebbe né in che modo né per quale motivo i fatti a lei contestati ledano la dignità della funzione svolta. Inoltre, la ricorrente contesta l’affermazione della commissione di disciplina secondo la quale ella svolgeva mansioni comportanti un elevato livello di responsabilità, ricordando che ella era un funzionario del grado più basso del gruppo di funzioni AD.

93      In secondo luogo, la ricorrente considera che la decisione di destituzione non è conforme alle esigenze di motivazione proprio mentre si scosta dal parere della commissione di disciplina.

94      Secondo la ricorrente, nella decisione controversa il Mediatore non «verific[a] la materialità dei fatti contestati», si sarebbe limitato a compilare un elenco degli elementi aggravanti o attenuanti che assomiglierebbe ad «una figura di stile» e non avrebbe spiegato in nessun modo perché la sanzione della destituzione sarebbe più adeguata della retrocessione di grado raccomandata dalla commissione di disciplina.

95      Il Mediatore considera che la commissione di disciplina e l’APN hanno rispettato l’obbligo di motivazione esponendo gli elementi pertinenti e conclude per il rigetto di questo motivo.

 Giudizio del Tribunale

96      Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione di una decisione che arreca pregidizio deve consentire al giudice di esercitare il suo sindacato sulla legittimità della decisione e deve fornire all’interessato le indicazioni necessarie per stabilire se la decisione sia correttamente fondata (v. sentenza del Tribunale di primo grado del 19 maggio 1999, Connolly/Commissione, T‑34/96 e T‑163/96, punto 93 e giurisprudenza ivi citata).

97      La questione se la motivazione della decisione dell’APN con cui viene inflitta una sanzione soddisfi tali esigenze dev’essere valutata alla luce non solo della sua formulazione, ma anche del suo contesto e del complesso di norme giuridiche che disciplinano la materia. Al riguardo, pur se la commissione di disciplina e l’APN sono tenute e menzionare gli elementi di fatto e di diritto sui quali si fondano giuridicamente le loro decisioni e le considerazioni che le hanno indotte ad adottarle, non per questo esse sono obbligate a discutere tutti gli argomenti di fatto e di diritto addotti dell’interessata nel corso del procedimento (sentenza del Tribunale di primo grado del 5 dicembre 2002, Stevens/Commissione, T‑277/01, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

98      Inoltre, qualora, come nel caso di specie, la sanzione inflitta dall’APN sia più severa di quella suggerita dalla commissione di disciplina, la decisione deve precisare in maniera circostanziata i motivi che hanno indotto l’APN a scostarsi dal parere emesso dalla commissione di disciplina (v., in tal senso, sentenza della Corte del 29 gennaio 1985, F./Commissione, 228/83, punto 35).

99      È alla luce di questi principi che occorre esaminare se il parere della commissione di disciplina e la decisione controversa siano debitamente motivati.

100    In primo luogo, per quanto riguarda la censura relativa alla laconicità del parere della commissione di disciplina, il Tribunale osserva che tale parere è certamente molto sintetico. Tuttavia, da una parte, la commissione di disciplina constata che i fatti contestati sono riconosciuti come veri dalla ricorrente e, dall’altra, il parere non manca di delineare i vari elementi aggravanti e attenuanti che suffragano la proposta di retrocessione di grado della ricorrente, di modo che esso consente il sindacato del giudice e fornisce all’interessata le indicazioni necessarie per stabilire se la decisione sia correttamente fondata. Di conseguenza, tale censura dev’essere respinta.

101    Circa la contestazione da parte della ricorrente relativa alla valutazione della commissione di disciplina quanto all’elevato livello di responsabilità delle mansioni da lei esercitate, si tratta di una questione che rientra nell’esame di merito e non in quello del carattere sufficiente o meno della motivazione. Tale questione sarà quindi esaminata di seguito nel contesto del terzo motivo, relativo all’errore manifesto di motivazione.

102    Per quanto riguarda la motivazione della decisione controversa, in primo luogo, essa menziona lo status lavorativo della ricorrente, la «falsificazione di quattro fogli [paga]» e di un’attestazione, nonché «l’uso di tali documenti falsificati nei confronti di terzi» nel contesto di una domanda di concessione di un mutuo bancario a tasso agevolato. In secondo luogo, la decisione prende in considerazione la circostanza che la ricorrente ha riconosciuto come veri tali fatti sin dalla prima audizione dinanzi alla commissione di disciplina e non li ha mai contestati per tutta la durata del procedimento. In terzo luogo, il Mediatore specifica che gli atti contestati alla ricorrente e il suo comportamento successivo «rendono impossibile il mantenimento, o anche il ripristino, del rapporto di fiducia istituzionale, professionale e personale tra il Mediatore e [la ricorrente]» e che, alla luce della gravità del suo comportamento e dei suoi atti, il suo mantenimento nell’ambito della funzione pubblica offuscherebbe gravemente l’immagine di quest’ultima e avrebbe implicazioni assai negative sull’autorità morale del Mediatore.

103    Tale motivazione, lungi dall’essere limitata ad una clausola di stile, precisa i fatti concreti addebitati alla ricorrente nonché le considerazioni che hanno indotto l’APN ad adottare la sanzione della destituzione anziché quella della retrocessione di grado. Detta motivazione può fornire all’interessata le indicazioni necessarie per stabilire se la decisione controversa sia correttamente fondata e consentire al Tribunale di esercitare il proprio sindacato di legittimità.

104    Alla luce di tali elementi, la motivazione del parere della commissione di disciplina e quella della decisione controversa non possono essere considerate insufficienti.

105    Di conseguenza, il secondo motivo dev’essere disatteso in quanto infondato.

 Sul terzo motivo, relativo ad un errore manifesto di valutazione

106    Il terzo motivo si compone di due parti, relative, rispettivamente, all’inesattezza materiale dei fatti accertati e alla violazione manifesta del principio di proporzionalità.

 Sulla prima parte del terzo motivo, relativa all’inesattezza materiale dei fatti accertati

–       Argomenti delle parti

107    La ricorrente considera che il Mediatore avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che ella avesse l’intenzione di ricavare dai suoi atti un «vantaggio personale a carattere sociale», secondo i termini della decisione controversa. Inoltre, ella asserisce che, secondo la giurisprudenza francese, si configura un falso punibile ai sensi dell’articolo 441-1 del codice penale francese solo qualora il documento contraffatto o alterato possa procurare a terzi un danno attuale o potenziale, ed ella sostiene che, nella fattispecie, il suo comportamento non ha causato alcun danno.

108    Il Mediatore conclude per il rigetto della prima parte del presente motivo.

–       Giudizio del Tribunale

109    Il Tribunale rileva che la decisione di applicare la sanzione della destituzione risulta dal fatto, non contestato dalla ricorrente, che ella ha modificato diversi documenti ufficiali utilizzandoli nei confronti dei terzi. L’esattezza materiale di tali fatti non è quindi rimessa in discussione dalla ricorrente.

110    Se è vero che la decisione controversa contesta alla ricorrente il fatto di aver utilizzato «i documenti falsificati nei confronti di terzi al fine di ricavarne un vantaggio personale a carattere sociale», tale decisione è fondata sul fatto che taluni documenti ufficiali erano stati modificati e utilizzati nei confronti di terzi. Infatti, a titolo di circostanza aggravante, la decisione controversa prende in considerazione l’intenzione della ricorrente di utilizzare tali documenti «nel contesto di una domanda di concessione di un mutuo bancario a tasso agevolato destinato alle famiglie a basso reddito». Tale circostanza non è contestata dalla ricorrente, la quale si limita a sostenere che ella non avrebbe ricavato alcun vantaggio di carattere sociale dai suoi atti, senza tuttavia addurre alcun argomento atto a dimostrare che la decisione controversa si fondasse su quest’ultima finalità. D’altro canto, si deve necessariamente considerare, ad abundantiam, che la decisione controversa esamina in maniera dettagliata le varie spiegazioni addotte dalla ricorrente, disattendendole, e che la ricorrente non ha fornito nessun’altra spiegazione soddisfacente dei propri atti.

111    In secondo luogo, la qualificazione giuridica degli atti della ricorrente alla luce del dirittto penale francese non è pertinente, poiché i fatti contestati sono stati esaminati dal Mediatore sotto il profilo di una mancanza disciplinare e non di un’infrazione penale.

112    Di conseguenza, il Tribunale constata che la ricorrente non ha fornito alcun argomento atto a dimostrare che la decisione controversa fosse viziata da errore manifesto di valutazione quanto alla materialità dei fatti a lei contestati. La prima parte del terzo motivo deve pertanto essere respinta.

 Sulla seconda parte del terzo motivo, relativa alla violazione manifesta del principio di proporzionalità

–       Argomenti delle parti

113    La ricorrente considera che il carattere definitivo e irreversibile della sanzione inflitta sarebbe sproporzionato alla luce della mancanza commessa e delle circostanze del caso di specie e che il Mediatore avrebbe valutato in maniera erronea le circostanze aggravanti e attenuanti.

114    Il Mediatore chiede al Tribunale di respingere tale parte del terzo motivo.

–       Giudizio del Tribunale

115    Ai sensi dell’articolo 10 dell’allegato IX dello Statuto, la sanzione disciplinare inflitta dev’essere proporzionale alla gravità della mancanza commessa. Lo stesso articolo enuncia altresì taluni criteri di cui l’APN deve in particolare tener conto nella scelta della sanzione.

116    La determinazione della sanzione è fondata su una valutazione globale da parte dell’APN di tutti i fatti concreti e delle circostanze proprie di ciascun caso individuale, dato che lo Statuto non prevede un rapporto fisso tra le sanzioni ivi indicate e i vari tipi di mancanze commesse dai funzionari e non precisa in quale misura l’esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti debba intervenire nella scelta della sanzione.

117    Occorre inoltre rilevare che il rispetto del principio di tutela giurisdizionale effettiva formulato all’articolo 47 della Carta non esclude che, in un procedimento di natura amministrativa, una sanzione sia inflitta dapprima da un’autorità amministrativa. Esso presuppone tuttavia che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfa di per sé le condizioni di tale articolo, come avviene, nella fattispecie, per l’APN, subisca il controllo successivo di un «organo giurisdizionale con competenza estesa al merito» (v., in tal senso e per analogia, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Albert e Le Compte c. Belgio del 10 febbraio 1983, serie A n. 58, § 29, sentenze Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria del 23 ottobre 1995, serie A n. 328 A‑C e 329 A‑C, rispettivamente § 34, 37, 42, 39, 41 e 38, e sentenza Mérigaud c. Francia, n. 32976/04, del 24 settembre 2009, § 68). Un organo giurisdizionale, per poter essere qualificato come «organo giurisdizionale con competenza estesa al merito», deve in particolare avere competenza ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per la controversia a lui sottoposta (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Chevrol c. Francia, n. 49636/99, del 3 febbraio 2003, § 77 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza Silvester’s Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, del 4 marzo 2004, § 27), il che implica, nel caso di una sanzione disciplinare, che esso abbia in particolare il potere di valutare la proporzionalità tra la mancanza e la sanzione, senza limitarsi alla ricerca di errori manifesti di valutazione o di uno sviamento di potere (sentenza del Tribunale del 15 maggio 2012, Nijs/Corte dei conti, T‑184/11 P, punti 85 e 86).

118    È nel contesto giuridico descritto ai punti da 115 a 117 della presente sentenza che il Tribunale è tenuto a valutare gli argomenti addotti dalla ricorrente in ordine ad una pretesa violazione del principio di proporzionalità esaminando se la ponderazione da parte dell’APN delle circostanze aggravanti e attenuanti sia stata operata in maniera proporzionata.

119    Nella fattispecie non risulta che la sanzione controversa sia sproporzionata, dato che modificando documenti ufficiali la ricorrente ha gravemente pregiudicato la dignità della sua funzione e ha definitivamente infranto il rapporto di fiducia con il Mediatore. Inoltre, nessun elemento addotto dalla ricorrente permette di concludere che la sanzione inflitta sia sproporzionata rispetto al comportamento contestatole.

120    In particolare, la ricorrente contesta al Mediatore, in primo luogo, di aver preso erroenamente in considerazione, quali circostanze aggravanti, le importanti funzioni da lei svolte in quanto amministratore responsabile di comunicazione, la natura di grave infrazione dei fatti addebitati, l’incapacità e il rifiuto della ricorrente di riconoscere i fatti, il grave danno arrecato alla reputazione del Mediatore e la premeditazione.

121    Per quanto riguarda le responsabilità facenti capo alla ricorrente, come giustamente ricorda il Mediatore nelle sue memorie, la ricorrente era l’unico amministratore in seno all’unità «Comunicazione». Inoltre, dai rapporti informativi allegati al ricorso risulta che ella era effettivamente incaricata di importanti funzioni in materia di contratti pubblici e di gestione di fondi pubblici. L’esperienza della ricorrente alle dipendenze del Mediatore e gli importanti compiti ad essa attribuiti dimostrano la fiducia del Mediatore nei confronti della ricorrente e giustificano la sua considerazione di tali elementi quali circostanze aggravanti (v., in tal senso, sentenza Onidi/Commissione, cit., punto 146).

122    Quanto alla qualificazione dei fatti e alla gravità della mancanza, la ricorrente si limita ad affermare che quest’ultima non è di natura tale da portarla a negare il suo ruolo di funzionaria, ma ella non adduce alcun argomento che possa mettere in discussione la valutazione del Mediatore secondo la quale il fatto di aver modificato documenti ufficiali e di averli utilizzati nei confronti di terzi costituisce una mancanza molto grave.

123    Sulla censura riguardante «l’incapacità e il rifiuto [della ricorrente] di riconoscere i fatti» e la circostanza che ella non ha mai presentato scuse per il suo comportamento, il Tribunale osserva che il Mediatore non ha mai contestato che la ricorrente abbia riconosciuto i fatti e che, in realtà, nella decisione controversa, esso considera come circostanza aggravante «l’incapacità e il rifiuto [della ricorrente] di riconoscere la gravità dei fatti commessi». Inoltre, se è vero che al momento del colloquio con gli inquirenti la ricorrente aveva immediatamente affermato di essere «consapevole della gravità dei fatti», risulta dagli atti che ella ha più volte tentato di minimizzarli. Infatti, in occasione dell’audizione con il Mediatore, ella sottolineava che la società cooperativa e la procura attribuivano scarsa importanza al caso; analogamente, nei commenti aggiuntivi del 3 novembre 2009 ella denunciava la «volontà di eccedere» del Mediatore «per superare alla fine il principio di proporzionalità». Infine, la ricorrente si era limitata a presentare agli inquirenti delle scuse «per questo momento sgradevole e penoso [loro] impo[sto] da tale situazione e [dai suoi] atti», ma ella non ha mai presentato scuse per i suoi atti. Di conseguenza, non può contestarsi al Mediatore il fatto di aver constatato a titolo delle circostanze aggravanti che la ricorrente non aveva compreso la gravità dei fatti che le erano addebitati.

124    La ricorrente sostiene che il Mediatore ha erroneamente considerato quale circostanza aggravante il danno che i suoi atti hanno arrecato alla reputazione del Mediatore, poiché il caso è rimasto riservato. Orbene, il Tribunale osserva che la ricorrente stessa si lamenta della pubblicità data alla vicenda e che, come ricorda il Mediatore, il caso è certamente noto alla società cooperativa e alle pubbliche autorità francesi alle quali, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della decisione 94/262/CECA, CE, Euratom del Parlamento europeo del 9 marzo 1994, sullo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore (GU L 113, pag. 15), il Mediatore ha riferito i fatti contestati alla ricorrente, di modo che tale censura non può essere accolta.

125    Infine, la ricorrente contesta la censura di premeditazione sollevata dal Mediatore. Tuttavia, basta ricordare che non è contestato che gli atti della ricorrente si collocavano in un periodo di circa due mesi dall’inizio del mese di luglio 2009 e sino al 26 agosto 2009, data in cui la ricorrente ha fatto pervenire alla società cooperativa l’attestazione di redditi da lei stessa predisposta. Inoltre, gli atti che quest’ultima riconosce di aver commesso implicano palesemente un livello di preparazione che esclude un «atto inconsulto» come sostiene la ricorrente. Pertanto, tale censura dev’essere respinta.

126    In secondo luogo, per quanto riguarda la valutazione delle circostanze attenuanti, la ricorrente contesta al Mediatore di non aver tenuto conto della sua difficile situazione personale e familiare. Tuttavia, il fatto che il Mediatore abbia respinto tali argomenti non dimostra che esso non li abbia presi in considerazione.

127    Inoltre, la ricorrente contesta al Mediatore di non aver tratto le dovute conseguenze dal fatto che non vi era stata recidiva da parte sua. Al riguardo, l’articolo 10, lettera h), dell’allegato IX dello Statuto precisa che, per determinare la gravità della mancanza commessa, l’APN prende in considerazione il carattere di recidiva dell’atto o del comportamento scorretto, di modo che un’eventuale recidiva potrebbe giustificare un aggravamento della sanzione. Per contro, la mancanza di recidiva non può costituire una circostanza attenuante dato che, per principio, un funzionario è tenuto ad astenersi da qualunque atto e comportamento che possa arrecare pregiudizio alla dignità della sua funzione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 30 novembre 2011, Quinn Barlo e a./Commissione, T‑208/06, punti 255 e 264, secondo i quali, in materia di concorrenza l’assenza di recidiva non può costituire una circostanza attenuante, oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte, causa C‑70/12 P).

128    La ricorrente contesta al Mediatore di aver operato una commistione dei suoi atti privati e della sua attività lavorativa, dato che la mancanza commessa è del tutto indipendente dalle sue mansioni lavorative. Tuttavia, una siffatta censura dev’essere respinta, poiché il rispetto dovuto da parte del funzionario alla dignità della sua funzione non si limita al momento particolare in cui egli esercita l’una o l’altra mansione specifica, ma si impone nei suoi confronti in ogni circostanza (sentenza della Corte del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, punti da 79 a 93 e 130; sentenza del Tribunale di primo grado del 7 marzo 1996, Williams/Corte dei conti, T‑146/94, punto 68).

129    Infine, la ricorrente contesta al Mediatore di non aver considerato quali circostanze attenuanti i suoi rapporti informativi nei quali il Mediatore dichiarava che ella aveva un rendimento eccellente. Orbene, indipendentemente dalla valutazione contenuta nei rapporti informativi della ricorrente e anche se il Mediatore ha osservato, nella decisione controversa, che l’efficienza e la competenza della ricorrente erano innegabili, l’APN poteva nondimeno legittimamente ritenere che, alla luce della gravità dei fatti accertati, del grado e delle responsabilità della ricorrente, una siffatta circostanza non fosse idonea ad attenuare la sanzione da infliggere (v. sentenza Connolly/Commissione, T‑34/96 e T‑163/96, cit., punto 167).

130    Risulta da quanto precede che il presente motivo deve pertanto essere respinto nel suo complesso in quanto infondato.

 Sul quarto motivo, relativo alla parità di trattamento tra donne e uomini e al diritto al congedo di maternità

 Argomenti delle parti

131    La ricorrente considera che, nella misura in cui la decisione controversa è entrata in vigore mentre ella era in congedo di maternità, essa viola l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207 e l’articolo 10 della direttiva 92/85.

132    Pur ammettendo che la direttiva 92/85 possa applicarsi in linea di principio, il Mediatore ribatte che l’articolo 10 di quest’ultima vieta il licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza solo qualora il licenziamento sia connesso allo stato di quest’ultima e conclude per il rigetto di tale motivo.

 Giudizio del Tribunale

133    Per quanto riguarda la pretesa violazione della parità di trattamento tra donne e uomini, si deve innanzitutto constatare che l’articolo 23 della Carta impone il rispetto del principio di uguaglianza tra donne e uomini in tutti i campi, compreso in materia di lavoro, e che il principio di non discriminazione delle lavoratrici in stato di gravidanza è previsto dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 e dall’articolo 10 della direttiva 92/85. Le memorie della ricorrente devono pertanto essere intese come riferentisi a tali disposizioni.

134    Il Tribunale ricorda che la giurisprudenza ha riconosciuto l’esigenza di garantire la parità tra lavoratrici e lavoratori alle dipendenze delle istituzioni dell’Unione (sentenza del Tribunale di primo grado del 28 gennaio 1992, Speybrouck/Parlamento, T‑45/90, punto 48).

135    Nella fattispecie, la ricorrente non ha provato alcun fatto che consenta di rivelare l’esistenza di una discriminazione diretta o indiretta, discriminazione che non può essere presunta per il solo fatto che il Mediatore era a conoscenza dello stato di gravidanza della ricorrente.

136    In mancanza di qualsiasi fatto che consenta di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta o indiretta dimostrata dalla ricorrente, non spetta al Mediatore provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento tra donne e uomini.

137    Per quanto riguarda la pretesa violazione dell’articolo 10 della direttiva 92/85, l’articolo 1 sexies, paragrafo 2, dello Statuto dispone che i funzionari in attività di servizio hanno diritto a condizioni di lavoro rispondenti a norme sanitarie e di sicurezza adeguate e almeno equivalenti ai requisiti minimi applicabili conformemente alle misure adottate in quest’ambito ai sensi dei Trattati.

138    Orbene, la direttiva 92/85 ha lo scopo di migliorare l’ambiente di lavoro rafforzando la tutela della salute e della sicurezza delle lavoratrici in stato di gravidanza. Pertanto, tale direttiva vincola le istituzioni in quanto, nell’ambito della loro autonomia organizzativa e nei limiti dello Statuto, esse devono garantire alle lavoratrici in stato di gravidanza una tutela equivalente alla tutela minima offerta dalla direttiva (v. sentenza del Tribunale del 30 aprile 2009, Aayhan e a./Parlamento, F‑65/07, punto 116).

139    Tuttavia, l’articolo 10 della direttiva 92/85 non può essere interpretato nel senso che vieti qualsiasi licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza. Infatti, una decisione di destituzione presa durante il periodo che va dall’inizio della gravidanza fino al termine del congedo di maternità per motivi non connessi allo stato di gravidanza non è contraria a detto articolo 10, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto giustificati motivi di licenziamento e che il licenziamento dell’interessata sia consentito dalla normativa e/o dalla prassi conformemente alle disposizioni dell’articolo 10, punti 1 e 2, di tale direttiva (v. sentenza della Corte dell’11 novembre 2010, Danosa, C‑232/09, punto 63).

140    Orbene, in primo luogo, risulta chiaramente dagli atti che la destituzione della ricorrente non è assolutamente connessa alla sua gravidanza. D’altro canto, la ricorrente non ha mai preteso, né nelle sue memorie né nelle sue difese presentate all’udienza, che la decisione di destituzione fosse dovuta al fatto che ella era in stato di gravidanza.

141    In secondo luogo, il Mediatore ha esposto per iscritto, nella decisione controversa, i giustificati motivi di licenziamento.

142    In terzo luogo, benché lo Statuto non preveda una disposizione specifica che stabilisca esplicitamente un’eccezione al divieto previsto dall’articolo 10 della direttiva, esso dev’essere interpretato nel senso che ammette una siffatta eccezione al suo articolo 47, lettera e), il quale contempla la possibilità, del tutto eccezionale, di cessazione definitiva dal servizio di un funzionario in caso di decisione di destituzione adottata a seguito di un procedimento disciplinare.

143    Da quanto precede risulta che il presente motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul quinto motivo, relativo alla violazione del dovere di sollecitudine e del principio di buona amministrazione

 Argomenti delle parti

144    La ricorrente contesta al Mediatore di aver deciso di attendere il 19 maggio 2010 per avviare un procedimento disciplinare mentre ella aveva invece chiesto, per iscritto e producendo un certificato medico del suo medico curante, che il procedimento fosse chiuso il più rapidamente possibile, tenuto conto degli effetti dello stress così provocati sulla sua gravidanza. Inoltre, la ricorrente osserva che il procedimento è stato condotto mentre ella era in stato di gravidanza, poi in puerperio, il che rivelerebbe una mancanza di sollecitudine da parte del Mediatore.

145    Il Mediatore conclude per il rigetto di tale motivo.

 Giudizio del Tribunale

146    Risulta dagli atti che il 25 novembre 2009 la ricorrente ha contattato il Mediatore per informarlo del suo stato di stress connesso al procedimento in corso e del fatto che tale stato poteva avere conseguenze negative sullo svolgimento della sua gravidanza. Con lettera del 27 novembre 2009, il Mediatore ha informato la ricorrente della sua intenzione di chiedere al proprio medico di fiducia di prendere conoscenza della situazione medica della ricorrente al fine di suggerirle eventuali misure dirette a minimizzare l’incidenza del procedimento disciplinare sulla sua salute e su quella del nascituro. A seguito del parere del medico di fiducia dell’istituzione, secondo cui lo stato di salute della ricorrente era fragile e un procedimento disciplinare poteva avere effetti nefasti sullo stesso, il Mediatore ha adottato, il 18 gennaio 2010, la decisione di rinviare gli atti connessi al procedimento disciplinare a una data successiva al parto della ricorrente.

147    Orbene, si deve necessariamente constatare che proprio per sollecitudine il Mediatore ha differito l’avvio del procedimento disciplinare.

148    Di conseguenza, questo quinto motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

3.     Sulle conclusioni risarcitorie

 Argomenti delle parti

149    La ricorrente chiede al Tribunale, in via principale, di dichiarare che l’annullamento della decisione controversa comporta il pagamento delle spettanze economiche che le sono dovute per il periodo compreso tra la data di decorrenza della destituzione e la decisione del Tribunale che pronuncia tale annullamento, oltre agli interessi di mora a far data da detta decisione.

150    In subordine, la ricorrente chiede al Tribunale di condannare il Mediatore a risarcire il danno materiale nonché il danno morale che ella asserisce di aver subìto a seguito della decisione controversa.

151    In ogni caso, ella chiede che il Mediatore sia condannato al pagamento della somma di EUR 65 000 a titolo di danno morale subìto.

152    Il Mediatore conclude per il rigetto di tali conclusioni.

 Giudizio del Tribunale

153    Secondo una giurisprudenza costante in materia di funzione pubblica, la domanda di risarcimento danni deve essere respinta qualora presenti uno stretto legame con la domanda di annullamento, a sua volta respinta in quanto infondata (sentenza del Tribunale dell’8 novembre 2007, Andreasen/Commissione, F‑40/05, punto 277).

154    Nella fattispecie, esiste uno stretto legame tra l’insieme delle conclusioni risarcitorie e le conclusioni di annullamento che sono state respinte in quanto infondate. Poiché l’esame delle conclusioni dirette all’annullamento non ha rivelato alcuna illegittimità tale da far sorgere la responsabilità del Mediatore, le conclusioni risarcitorie vanno respinte.

155    Risulta da tutto quanto precede che il ricorso dev’essere integralmente respinto.

 Sulle spese

156    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del regolamento di procedura, fatte salve le altre disposizioni del capo VIII del titolo II di tale regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza del paragrafo 2 dello stesso articolo, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sia condannata solo parzialmente alle spese, o addirittura che non debba essere condannata a tale titolo.

157    Dalla motivazione sopra esposta risulta che la ricorrente è soccombente. Inoltre, il Mediatore, nelle sue conclusioni, ha espressamente chiesto la condanna della ricorrente alle spese. Atteso che le circostanze del caso di specie non giustificano l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la ricorrente dovrà sopportare le proprie spese ed è condannata a sopportare le spese sostenute dal Mediatore.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA

(Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso di BG è respinto.

2)      BG sopporterà le proprie spese ed è condannata a sopportare le spese sostenute dal Mediatore europeo.

Rofes i Pujol

Boruta

Bradley

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 17 luglio 2012.

Il cancelliere

 

       Il presidente

W. Hakenberg

 

       H. Kreppel


* Lingua processuale: il francese.