Language of document : ECLI:EU:T:2019:557

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

4 settembre 2019 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive, adottate contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo – Congelamento dei capitali – Possibilità per un’autorità di uno Stato terzo di essere qualificata come autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931/PESC – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Obbligo di motivazione – Errore di valutazione – Principio di non ingerenza – Diritti della difesa – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Autenticazione degli atti del Consiglio»

Nella causa T‑308/18,

Hamas, con sede a Doha (Qatar), rappresentato da L. Glock, avvocato,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente da B. Driessen e A. Sikora‑Kalėda, successivamente da B. Driessen e S. Van Overmeire, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento, da un lato, della decisione (PESC) 2018/475 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/1426 (GU 2018, L 79, pag. 26), e del regolamento di esecuzione (UE) 2018/468 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 (GU 2018, L 79, pag. 7), e, dall’altro, della decisione (PESC) 2018/1084 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2018/475 (GU 2018, L 194, pag. 144), e del regolamento di esecuzione (UE) 2018/1071 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2018/468 (GU 2018, L 194, pag. 23),

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da I. Pelikánová, presidente, P. Nihoul (relatore) e J. Svenningsen, giudici,

cancelliere: E. Coulon

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

 Risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

1        Il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie dirette a contrastare con ogni mezzo il terrorismo e, in particolare, il suo finanziamento. Il punto 1, lettera c), della stessa risoluzione prevedeva, in particolare, che tutti gli Stati congelassero senza indugio i capitali e le altre attività finanziarie ovvero le risorse economiche delle persone che commettevano o tentavano di commettere atti terroristici, li facilitavano o vi partecipavano, delle entità appartenenti alle medesime persone o da esse controllate e delle persone ed entità che agivano in nome o agli ordini di tali persone ed entità.

2        La risoluzione in questione non prevedeva alcun elenco di persone, di entità o di gruppi ai quali dovessero essere applicate le misure summenzionate.

 Diritto dellUnione europea

3        Il 27 dicembre 2001, ritenendo che fosse necessaria un’azione dell’Unione europea per attuare la risoluzione 1373 (2001), il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93). In particolare, l’articolo 2 della posizione comune 2001/931 prevedeva il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici e riportati nell’elenco contenuto nell’allegato della medesima.

4        In pari data, per attuare a livello dell’Unione le misure descritte nella posizione comune 2001/931, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70), nonché la decisione 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 (GU 2001, L 344, pag. 83).

5        Il nome di «Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem (ala terroristica di Hamas)» figurava nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 e in quello incluso nella decisione 2001/927. Questi due atti sono stati regolarmente aggiornati, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 e dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e il nome di «Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem» è rimasto inserito nei suddetti elenchi.

6        Il 12 settembre 2003, il Consiglio ha adottato la posizione comune 2003/651/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2003/482/PESC (GU 2003, L 229, pag. 42), e la decisione 2003/646/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e che abroga la decisione 2003/480/CE (GU 2003, L 229, pag. 22). Il nome dell’organizzazione inserita negli elenchi associati agli atti citati era quello di «Hamas (incluso Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem)».

7        Il nome dell’organizzazione in parola è rimasto inserito negli elenchi allegati agli atti successivi.

 Atti impugnati

 Atti del marzo 2018

8        Il 30 novembre 2017, il Consiglio ha inviato all’avvocato del ricorrente una lettera con cui lo informava di aver ricevuto nuove informazioni rilevanti per la costituzione degli elenchi delle persone, gruppi ed entità sottoposti alle misure restrittive previste dal regolamento n. 2580/2001 e di aver modificato di conseguenza la motivazione. Esso invitava il ricorrente a presentare le proprie osservazioni in merito a tale motivazione aggiornata entro il 15 dicembre 2017.

9        Il ricorrente non ha risposto alla suddetta lettera.

10      Il 21 marzo 2018, il Consiglio ha adottato, da un lato, la decisione (PESC) 2018/475, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione (PESC) 2017/1426 (GU 2018, L 79, pag. 26), e, dall’altro, il regolamento di esecuzione (UE) 2018/468, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 (GU 2018, L 79, pag. 7) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del marzo 2018»). Il nome di «“Hamas”, incluso “Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem”» era mantenuto negli elenchi allegati ai suddetti atti (in prosieguo: gli «elenchi controversi del marzo 2018»).

11      Con lettera del 22 marzo 2018, il Consiglio ha trasmesso all’avvocato del ricorrente la motivazione alla base del mantenimento del nome «“Hamas”, incluso “Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem”» negli elenchi controversi del marzo 2018, indicandogli la possibilità di chiedere il riesame dei medesimi ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

12      Inoltre, il 22 marzo 2018, il Consiglio ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un avviso all’attenzione delle persone, dei gruppi e delle entità che figurano nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 (GU 2018, C 107, pag. 6).

13      Con l’avviso succitato, il Consiglio ha in particolare informato le persone e le entità interessate, in primo luogo, di aver ritenuto che i motivi alla base dell’inserimento del loro nome negli elenchi adottati in forza del regolamento n. 2580/2001 fossero ancora validi, sicché esso aveva deciso di mantenere il loro nome negli elenchi controversi del marzo 2018, in secondo luogo, che le medesime potevano presentare una richiesta volta a ottenere la motivazione per la quale il loro nome era stato mantenuto negli stessi elenchi, in terzo luogo, che potevano anche, in qualsiasi momento, presentare una richiesta di riesame della decisione con la quale il loro nome era stato incluso negli elenchi in questione e, in quarto luogo, che le richieste, per essere prese in considerazione in occasione dell’esame successivo, conformemente all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, dovevano essere presentate al Consiglio entro il 25 maggio 2018.

14      Il ricorrente non ha risposto alla lettera e all’avviso summenzionati.

15      Dalla motivazione relativa agli atti del marzo 2018 risulta che, per includere «“Hamas”, incluso “Hamas-Izz al-Din al-Qassem”» negli elenchi controversi del marzo 2018, il Consiglio si è basato su quattro decisioni nazionali.

16      La prima decisione nazionale era il decreto n. 1261 del Secretary of State for the Home Department (Ministero dell’Interno del Regno Unito; in prosieguo: lo «Home Secretary»), del 29 marzo 2001, recante modifica del UK Terrorism Act 2000 (legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo) e proscrizione di Hamas-Izz al-Din al-Qassem, considerata come un’organizzazione coinvolta in atti terroristici (in prosieguo: la «decisione dello Home Secretary»).

17      La seconda decisione nazionale era una decisione dello United States Secretary of State (Segretario di Stato degli Stati Uniti), dell’8 ottobre 1997, che qualificava Hamas, ai fini dell’Immigration and Nationality Act (legge degli Stati Uniti sull’immigrazione e la cittadinanza; in prosieguo: l’«INA»), come organizzazione terroristica straniera (in prosieguo: la «decisione americana del 1997»).

18      La terza decisione nazionale proveniva dal Segretario di Stato degli Stati Uniti ed era stata adottata, il 31 ottobre 2001, in applicazione dell’Executive Order n. 13224 (ordine esecutivo n. 13224) (in prosieguo: la «decisione americana del 2001»).

19      La quarta decisione nazionale era del 23 gennaio 1995 ed era stata adottata in applicazione dell’Executive Order n. 12947 (ordine esecutivo n. 12947) (in prosieguo: la «decisione americana del 1995»).

20      Nella parte principale della motivazione relativa agli atti del marzo 2018, il Consiglio constatava, anzitutto, che le decisioni nazionali succitate costituivano decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 e che esse erano ancora in vigore. Esso riferiva poi di aver verificato se esistessero elementi in suo possesso che deponessero a favore della cancellazione del nome del ricorrente dagli elenchi controversi del marzo 2018 e di non averne rinvenuto alcuno. Infine, esso indicava di ritenere che i motivi che avevano giustificato l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi di congelamento dei capitali restassero validi e concludeva che il medesimo doveva essere mantenuto negli elenchi controversi del marzo 2018.

21      Inoltre, la motivazione relativa agli atti del marzo 2018 conteneva un allegato A riguardante la «decisione dell’autorità competente del Regno Unito» e un allegato B riguardante le «decisioni delle autorità competenti degli Stati Uniti». Ciascuno di tali allegati conteneva una descrizione delle normative nazionali in forza delle quali le decisioni delle autorità nazionali erano state adottate, una presentazione delle definizioni delle nozioni di terrorismo figuranti nelle medesime normative, una descrizione delle procedure di riesame delle decisioni in questione, una descrizione dei fatti sui quali le suddette autorità si erano basate e la constatazione che i medesimi fatti costituivano atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

22      Al punto 14 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti del marzo 2018, il Consiglio riportava diversi fatti presi in considerazione dallo Home Secretary per la proscrizione di Hamas‑Izz al‑Din al‑Qassem. I fatti in questione si erano verificati nel 1994 e nel 1996.

23      Al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti del marzo 2018, il Consiglio aggiungeva che, nel Regno Unito, la proscrizione era stata oggetto, nel settembre 2016, di un riesame da parte del gruppo interministeriale di riesame delle proscrizioni e che quest’ultimo aveva concluso, sulla base degli elementi che esso indicava, che si poteva ragionevolmente ritenere che Hamas-Izz al-Din al-Qassem continuasse a essere coinvolto nel terrorismo.

24      Al punto 10 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti del marzo 2018, il Consiglio riferiva che il riesame più recente della designazione di Hamas come organizzazione terroristica straniera era stato portato a termine il 27 luglio 2012 e aveva condotto il governo americano a concludere che le circostanze sulle quali la decisione americana del 1997 era fondata non erano cambiate in modo tale da giustificare la revoca della designazione.

25      Infine, al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti del marzo 2018, il Consiglio elencava diversi fatti avvenuti tra il 2003 e il 2016 sui quali le autorità americane si erano basate per qualificare il ricorrente come organizzazione terroristica straniera, senza indicare le decisioni da cui essi provenivano.

 Atti del luglio 2018

26      Il 30 luglio 2018, il Consiglio ha adottato, da un lato, la decisione (PESC) 2018/1084, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione 2018/475 (GU 2018, L 194, pag. 144), e, dall’altro, il regolamento di esecuzione (UE) 2018/1071, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2018/468 (GU 2018, L 194, pag. 23) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del luglio 2018»). Il nome di «“Hamas”, incluso “Hamas-Izz al-Din al-Qassem”» era mantenuto negli elenchi allegati ai suddetti atti (in prosieguo: gli «elenchi controversi del luglio 2018»).

27      Con lettera del 31 luglio 2018, il Consiglio ha trasmesso all’avvocato del ricorrente la motivazione alla base del mantenimento del nome di «“Hamas”, incluso “Hamas-Izz al-Din al-Qassem”» negli elenchi controversi del luglio 2018, indicandogli la possibilità di chiedere il riesame dei medesimi ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

28      Inoltre, il 31 luglio 2018, il Consiglio ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un avviso all’attenzione delle persone, dei gruppi e delle entità che figurano nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 (GU 2018, C 269, pag. 3).

29      Con l’avviso succitato, il Consiglio ha in particolare informato le persone e le entità interessate, in primo luogo, di aver ritenuto che i motivi alla base dell’inserimento del loro nome negli elenchi adottati in forza del regolamento n. 2580/2001 fossero ancora validi, sicché esso aveva deciso di mantenere il loro nome negli elenchi controversi del luglio 2018, in secondo luogo, che le medesime potevano presentare una richiesta volta a ottenere la motivazione per la quale il loro nome era stato mantenuto negli stessi elenchi, in terzo luogo, che potevano anche, in qualsiasi momento, presentare una richiesta di riesame della decisione con la quale il loro nome era stato incluso negli elenchi in questione e, in quarto luogo, che le richieste, per essere prese in considerazione in occasione dell’esame successivo, conformemente all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, dovevano essere presentate al Consiglio entro il 1o ottobre 2018.

30      La suddetta motivazione era identica a quella relativa agli atti del marzo 2018, fatta eccezione per alcune differenze formali e per un riferimento, al punto 16 dell’allegato B, al «diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva» anziché al «diritto ad una tutela giurisdizionale».

31      Il ricorrente non ha risposto alla lettera e all’avviso summenzionati.

 Procedimento e conclusioni delle parti

32      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 maggio 2018, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

33      Il 13 settembre 2018, il Consiglio ha depositato il controricorso.

34      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 settembre 2018, il ricorrente, sulla base dell’articolo 86 del regolamento di procedura del Tribunale, ha adattato il ricorso al fine di tener conto degli atti del luglio 2018, nella parte in cui essi lo riguardavano.

35      Con lettere del 13 dicembre 2018 nonché del 1º marzo e del 10 aprile 2019, il Tribunale, nell’ambito di misure di organizzazione del procedimento, ha posto quesiti alle parti. Queste vi hanno risposto nel termine impartito.

36      In assenza di una domanda di udienza di discussione presentatagli entro il termine impartito, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura, di statuire senza fase orale.

37      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare gli atti del marzo e del luglio 2018 (in prosieguo: gli «atti impugnati»), nella parte in cui essi lo riguardano, incluso Hamas-Izz al-Din al-Qassem;

–        condannare il Consiglio a tutte le spese.

38      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

39      Il ricorrente deduce sette motivi di ricorso, vertenti rispettivamente:

–        sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931;

–        su errori circa la sussistenza dei fatti;

–        su un errore di valutazione quanto alla natura terroristica dell’organizzazione Hamas;

–        sulla violazione del principio di non ingerenza;

–        sull’insufficiente considerazione dell’evoluzione della situazione per effetto del trascorrere del tempo;

–        sulla violazione dell’obbligo di motivazione;

–        sulla violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

40      Il 19 marzo 2019, in una risposta a un quesito postogli dal Tribunale il precedente 1o marzo, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il ricorrente ha sollevato un ottavo motivo di ricorso, vertente sulla «mancanza di autenticazione delle motivazioni».

41      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare il sesto motivo di ricorso per secondo.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931

42      Nell’ambito del primo motivo di ricorso, il ricorrente, dopo aver presentato le proprie osservazioni sull’individuazione delle organizzazioni di cui alle decisioni dello Home Secretary e alle decisioni americane del 1995, del 1997 e del 2001 (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni americane»), contesta al Consiglio il fatto di aver violato l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 nel qualificare le succitate decisioni come decisioni adottate da autorità competenti ai sensi della stessa disposizione.

43      A tale proposito, occorre rilevare che la disposizione invocata dal ricorrente riguarda l’inserimento del nome di persone o di entità negli elenchi di congelamento dei capitali, mentre il presente ricorso verte su decisioni adottate sulla base dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il quale riguarda il mantenimento di detto inserimento in simili elenchi.

44      Tuttavia, secondo la Corte, il mantenimento del nome di una persona o entità in un elenco di congelamento dei capitali costituisce, in sostanza, il prolungamento dell’inserimento iniziale e presuppone, dunque, la persistenza del pericolo di un’implicazione della persona o entità interessata in attività terroristiche, quale constatato inizialmente dal Consiglio, sulla base della decisione nazionale che ha costituito il fondamento di tale inserimento iniziale (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 61, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 39).

45      Il motivo è quindi operante.

46      Ai fini dell’esame del motivo in questione, occorre, dopo aver individuato le organizzazioni di cui alle decisioni delle autorità competenti prese in considerazione dal Consiglio, esaminare le critiche specifiche alle decisioni delle autorità americane prima di quelle comuni alle autorità americane e alla decisione dello Home Secretary.

 Sull’individuazione delle organizzazioni di cui alle decisioni delle autorità competenti prese in considerazione dal Consiglio

47      Il ricorrente rileva che, secondo la motivazione trasmessa dal Consiglio, gli atti impugnati si basano su una decisione dello Home Secretary, che proscrive Hamas-Izz al-Din al-Qassem, ala armata di Hamas, e su tre decisioni americane, che riguardano Hamas senza ulteriori precisazioni.

48      Il ricorrente nutre dubbi sul fatto che le autorità americane abbiano avuto l’intenzione di inserire nell’elenco Hamas nel suo complesso e sostiene che il Consiglio, nel ritenere che così fosse, ha operato un’interpretazione estensiva delle loro decisioni, che non risultava chiaramente dagli elenchi pubblicati da dette autorità.

49      A tale riguardo, occorre constatare che le decisioni americane menzionano espressamente «Hamas», designazione arricchita, nelle decisioni americane del 1997 e del 2001, di una dozzina di altre denominazioni – tra le quali «Izz-Al-Din Al-Qassam brigades» – con le quali il movimento in questione era altresì conosciuto.

50      Tale circostanza non può essere interpretata, contrariamente a quanto suggerisce il ricorrente, nel senso che le autorità americane abbiano inteso limitare in tal modo la designazione soltanto a «Hamas-Izz al-Din al-Qassem». Anzitutto, tra le summenzionate ulteriori denominazioni figurano alcune denominazioni che si riferiscono a Hamas nel suo complesso, quali «Islamic Resistance Movement», che costituisce la traduzione inglese di «Harakat Al-Muqawama Al-Islamia», altra denominazione parimenti presente e di cui «Hamas» costituisce l’acronimo. Inoltre, l’indicazione di queste diverse denominazioni mira soltanto a garantire l’efficacia concreta della misura adottata nei confronti di Hamas, consentendo che essa raggiunga il medesimo attraverso tutte le sue denominazioni e diramazioni conosciute.

51      Dalle considerazioni suesposte risulta che la decisione dello Home Secretary riguarda Hamas-Izz al-Din al-Qassem, mentre le decisioni americane riguardano Hamas, tra cui Hamas-Izz al-Din al-Qassem.

 Sulle critiche specifiche alle decisioni delle autorità americane

52      Il ricorrente ritiene che il Consiglio non potesse fondare gli atti impugnati sulle decisioni delle autorità americane poiché gli Stati Uniti costituiscono uno Stato terzo e, per principio, le autorità di tali Stati non sono «autorità competenti» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

53      Sotto tale profilo, il ricorrente sostiene, in via principale, che il sistema istituito dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 riposa sulla fiducia accordata alle autorità nazionali, la quale è basata sul principio di leale cooperazione tra il Consiglio e gli Stati membri dell’Unione e poggia sulla condivisione di valori comuni, sanciti nei trattati, nonché sull’assoggettamento a norme condivise, tra le quali la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le autorità di Stati terzi non potrebbero beneficiare della suddetta fiducia.

54      A tale riguardo, si deve rilevare che, secondo la Corte, la nozione di «autorità competente» utilizzata all’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non si limita alle autorità degli Stati membri, bensì può, in linea di principio, comprendere anche autorità di paesi terzi (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 22).

55      L’interpretazione adottata dalla Corte si giustifica, da un lato, alla luce del tenore dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, che non limita la nozione di «autorità competenti» alle autorità degli Stati membri, e, dall’altro, alla luce dell’obiettivo della medesima posizione comune, la quale è stata adottata per attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, volta a intensificare la lotta contro il terrorismo a livello mondiale attraverso la cooperazione sistematica e stretta di tutti gli Stati (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 23).

56      In subordine, nell’ipotesi in cui si ammettesse che l’autorità di uno Stato terzo possa costituire un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, il ricorrente sostiene che la validità degli atti adottati dal Consiglio dipende parimenti dalle verifiche che devono essere effettuate da quest’ultimo per sincerarsi, in particolare, della compatibilità della legislazione americana con il principio del rispetto dei diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

57      Orbene, nella specie, il Consiglio, nella motivazione degli atti impugnati, si sarebbe limitato, in sostanza, a descrivere talune procedure di riesame e a osservare che esistevano possibilità di ricorso, senza verificare se i diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva fossero garantiti.

58      A tale riguardo, occorre constatare che, secondo la Corte, quando il Consiglio si fonda su una decisione di uno Stato terzo, esso deve verificare, preliminarmente, se la medesima decisione sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 31).

59      Nelle motivazioni relative ai propri atti, il Consiglio è tenuto a fornire indicazioni che consentano di concludere che esso ha effettuato detta verifica (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 31).

60      A tal fine, il Consiglio deve esporre, nelle motivazioni di cui trattasi, le ragioni che l’hanno portato a ritenere che la decisione dello Stato terzo sulla quale esso si fonda sia stata adottata nel rispetto del principio dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 33).

61      In base alla giurisprudenza, le indicazioni che devono figurare nelle motivazioni per quanto riguarda tale valutazione possono essere, se del caso, succinte (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 33).

62      È alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti da 58 a 61 supra che occorre esaminare gli argomenti avanzati dalla ricorrente per quanto riguarda, da un lato, il principio del rispetto dei diritti della difesa e, dall’altro, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

63      Per quanto riguarda il rispetto dei diritti della difesa, il ricorrente sostiene che, nella motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio non ha fornito alcuna indicazione sulle ragioni che l’hanno portato a ritenere, al termine di una verifica, che, negli Stati Uniti, il rispetto del principio in questione fosse garantito nell’ambito di procedimenti amministrativi concernenti la designazione di organizzazioni come terroristiche.

64      Del resto, la legislazione americana non richiederebbe che le decisioni adottate dalle autorità in materia siano notificate né tantomeno motivate. Secondo il ricorrente, se è pur vero che l’articolo 219 dell’INA, sui cui si basa la decisione americana del 1997, prevede un obbligo di pubblicare la decisione di designazione nel Registro federale, lo stesso non vale tuttavia per l’ordine esecutivo n. 13224, su cui si basa la decisione americana del 2001 e il quale non prevedrebbe alcuna misura di tale natura.

65      A tale proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il principio del rispetto dei diritti della difesa richiede che le persone interessate da decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi siano messe in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a loro carico per fondare le decisioni di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2013, Texdata Software, C‑418/11, EU:C:2013:588, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

66      Nel caso di misure volte a inserire i nomi di persone o di entità in un elenco di congelamento dei capitali, il principio in questione implica che la motivazione delle medesime misure sia comunicata a dette persone in concomitanza con, o immediatamente dopo, la loro adozione (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran, C‑27/09 P, EU:C:2011:853, punto 61).

67      Al punto 16 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio afferma quanto segue:

«In merito alle (…) procedure di riesame e alla descrizione dei mezzi di ricorso legali disponibili, il Consiglio ritiene che la legislazione statunitense garantisca la protezione dei diritti della difesa […]».

68      Le informazioni fornite dal Consiglio nella motivazione relativa agli atti impugnati differiscono, poi, a seconda delle decisioni americane esaminate.

69      Da un lato, quanto agli ordini esecutivi n. 12947 e n. 13224, su cui si basano le decisioni americane del 1995 e del 2001, la descrizione generale fornita dal Consiglio non menziona alcun obbligo, per le autorità americane, di trasmettere agli interessati una motivazione né tantomeno di pubblicare le decisioni in questione.

70      Ne consegue che il rispetto dei diritti della difesa non è accertato per queste due decisioni e che dunque, in applicazione della giurisprudenza richiamata ai punti da 58 a 61 supra, esse non possono costituire il fondamento degli atti impugnati.

71      Dall’altro lato, per quanto riguarda la decisione americana del 1997, è pur vero che il Consiglio spiega che, in applicazione dell’INA, le designazioni di organizzazioni terroristiche straniere o le decisioni che fanno seguito a una revoca delle medesime designazioni sono oggetto di una pubblicazione nel Registro federale. Tuttavia, esso non fornisce alcuna indicazione quanto alla questione se, nella fattispecie, la pubblicazione della decisione americana del 1997 contenesse una qualsiasi motivazione. Inoltre, neanche dalla motivazione relativa agli atti impugnati risulta che, oltre al dispositivo della decisione, una qualsiasi motivazione sia stata in qualche modo messa a disposizione del ricorrente da parte delle autorità americane.

72      Ciò premesso, si deve accertare se l’indicazione che una decisione è pubblicata in una Gazzetta ufficiale dello Stato terzo sia sufficiente per ritenere che il Consiglio, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti da 58 a 61 supra, abbia ottemperato al suo obbligo di verificare se, negli Stati terzi da cui provengono le decisioni che costituiscono il fondamento degli atti impugnati, siano stati rispettati i diritti della difesa.

73      A tal fine, occorre far riferimento alla causa che ha dato origine alle sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885). Nella causa in questione, il Consiglio aveva indicato, nella motivazione di uno degli atti considerati, che le decisioni delle autorità dello Stato terzo interessato erano state oggetto di una pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del medesimo Stato, senza fornire ulteriori informazioni (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 145).

74      Nella sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 36 e 37), la Corte, considerando globalmente tutte le indicazioni relative alle decisioni delle autorità dello Stato terzo che figuravano nella motivazione del regolamento del Consiglio, ha dichiarato che esse non erano sufficienti perché potesse essere accertato che detta istituzione aveva effettuato la verifica richiesta quanto al rispetto, nello stesso Stato terzo, dei diritti della difesa.

75      La medesima conclusione deve essere accolta, per identità di motivi, nella presente causa per quanto riguarda la sola indicazione figurante nella motivazione relativa agli atti impugnati, secondo la quale la decisione americana del 1997 era stata oggetto, negli Stati Uniti, di una pubblicazione nel Registro federale.

76      Per le ragioni suesposte, e senza che sia neppure necessario esaminare la questione del rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, si deve ritenere che, nella specie, la motivazione relativa alle decisioni americane sia insufficiente, sicché queste ultime non possono costituire il fondamento degli atti impugnati.

77      Tuttavia, atteso che l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 non richiede che gli atti del Consiglio si fondino su una pluralità di decisioni di autorità competenti, gli atti impugnati hanno potuto riferirsi, per quanto riguarda l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi del marzo e del luglio 2018 (in prosieguo: gli «elenchi controversi»), alla sola decisione dello Home Secretary, sicché occorre proseguire l’esame del ricorso limitandolo agli atti impugnati nella misura in cui essi si basano su quest’ultima decisione.

 Sulle critiche comuni alla decisione dello Home Secretary e alle decisioni delle autorità americane

78      Il ricorrente sostiene che, per tre ragioni, la decisione dello Home Secretary e le decisioni delle autorità americane, sulle quali si basano gli atti impugnati, non costituiscono «decisioni di autorità competenti» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

79      Le suddette ragioni saranno esaminate di seguito nei limiti in cui esse riguardano la decisione adottata dallo Home Secretary, conformemente al punto 77 supra.

–       Sulla preferenza che deve essere accordata alle autorità giudiziarie

80      Il ricorrente sostiene che, secondo l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, il Consiglio può basarsi su decisioni amministrative solo se le autorità giudiziarie non hanno alcuna competenza in materia di lotta al terrorismo. Orbene, ciò non avverrebbe nel caso di specie, giacché, nel Regno Unito, le autorità giudiziarie avrebbero una competenza in tale ambito. La decisione dello Home Secretary, quindi, non avrebbe potuto essere presa in considerazione dal Consiglio negli atti impugnati.

81      Il Consiglio contesta l’argomento in esame.

82      A tale riguardo, occorre rilevare che, in base alla giurisprudenza, la natura amministrativa e non giudiziaria di una decisione non è decisiva per l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, in quanto il testo stesso di tale disposizione prevede espressamente che un’autorità non giudiziaria può essere qualificata come autorità competente ai sensi della medesima disposizione (sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punti 144 e 145, e del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 105).

83      Anche se l’articolo 1, paragrafo 4, secondo comma, della posizione comune 2001/931 considera di preferenza le decisioni emesse dalle autorità giudiziarie, esso non esclude in alcun modo che vengano prese in considerazione decisioni provenienti da autorità amministrative, ove queste ultime, da un lato, siano effettivamente investite, nel diritto nazionale, della competenza ad adottare decisioni restrittive nei confronti di gruppi coinvolti nel terrorismo e, dall’altro, benché meramente amministrative, possano essere considerate «equivalenti» alle autorità giudiziarie (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 107).

84      Secondo la giurisprudenza, delle autorità amministrative devono essere considerate come equivalenti a delle autorità giudiziarie quando le loro decisioni possono essere oggetto di ricorso giurisdizionale (sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 145).

85      Di conseguenza, il fatto che organi giurisdizionali dello Stato interessato detengano competenze in materia di repressione del terrorismo non osta a che il Consiglio tenga conto delle decisioni emesse dall’autorità amministrativa nazionale incaricata dell’adozione delle misure restrittive in materia di terrorismo (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 108).

86      Nel caso di specie, dalle informazioni fornite dal Consiglio risulta che le decisioni dello Home Secretary possono essere oggetto di un ricorso dinanzi alla Proscribed Organisations Appeal Commission (commissione d’appello per le organizzazioni proscritte, Regno Unito), che statuirà applicando i principi che disciplinano il sindacato giurisdizionale, e che ciascuna parte può impugnare la decisione della commissione d’appello per le organizzazioni proscritte su un punto di diritto dinanzi a un giudice d’appello se ottiene l’autorizzazione della medesima commissione o, in mancanza, del giudice d’appello (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, EU:T:2006:384, punto 2).

87      Ciò posto, risulta che le decisioni dello Home Secretary possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale, sicché, sulla base della giurisprudenza esposta ai punti 83 e 84 supra, detta autorità amministrativa deve essere considerata come l’equivalente di un’autorità giudiziaria e, quindi, come sostiene il Consiglio, come un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, in conformità con la giurisprudenza che si è già pronunciata più volte in tal senso (sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 144, e del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punti da 120 a 123).

88      Dalle considerazioni che precedono emerge che gli atti impugnati non possono essere annullati per la ragione che, nella loro motivazione, il Consiglio ha fatto riferimento a una decisione dello Home Secretary, il quale costituisce un’autorità amministrativa.

–       Sul fatto che la decisione dello Home Secretary consiste in un’elencazione delle organizzazioni terroristiche

89      Il ricorrente sostiene che l’azione delle autorità competenti cui si riferiscono gli atti impugnati, tra le quali lo Home Secretary, consiste, nella prassi, nel redigere elenchi di organizzazioni terroristiche per imporre loro un regime restrittivo. Tale attività di elencazione non costituirebbe una competenza repressiva assimilabile a un’«apertura di indagini o di azioni penali» o ancora a una «condanna», per citare i poteri di cui dovrebbe disporre l’«autorità competente», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

90      Il Consiglio contesta la fondatezza dell’argomento in esame.

91      A tale riguardo, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, la posizione comune 2001/931 non richiede che la decisione dell’autorità competente s’inserisca nell’ambito di un procedimento penale stricto sensu, purché, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla stessa posizione comune nell’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il procedimento nazionale in questione abbia ad oggetto la lotta al terrorismo in senso ampio (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 113).

92      In tal senso, la Corte ha ritenuto che la protezione delle persone interessate non fosse posta in discussione nel caso in cui la decisione assunta dall’autorità nazionale si collocasse non nel quadro di un procedimento diretto a infliggere sanzioni penali, bensì in quello di un procedimento avente ad oggetto misure di tipo preventivo (sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 70).

93      Nel caso di specie, la decisione dello Home Secretary prescrive misure di divieto nei confronti di organizzazioni considerate terroristiche e si inserisce dunque, come richiesto dalla giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento nazionale diretto, in via principale, all’imposizione di misure di tipo preventivo o repressivo nei confronti del ricorrente, nel quadro della lotta al terrorismo (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 115).

94      Quanto alla circostanza che l’attività dell’autorità in questione sfoci nella redazione di un elenco di persone o di entità coinvolte nel terrorismo, occorre sottolineare che essa non implica, di per sé, che la medesima autorità non abbia effettuato alcuna valutazione individuale su ciascuna di tali persone o entità preliminarmente al suo inserimento negli elenchi di cui trattasi, né che la stessa valutazione debba essere necessariamente arbitraria o priva di fondamento (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 118).

95      Ciò che interessa, infatti, non è tanto la circostanza che l’attività dell’autorità in questione sfoci nella redazione di un elenco di persone o di entità coinvolte nel terrorismo quanto la questione se detta attività venga esercitata con garanzie sufficienti a consentire al Consiglio di basarsi sulla medesima per fondare la propria decisione di inserimento (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 118).

96      Di conseguenza, il ricorrente erra nell’affermare che un potere di elencazione non possa caratterizzare un’autorità competente, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

97      Tale tesi non è inficiata dagli altri argomenti addotti dal ricorrente.

98      In primo luogo, il ricorrente sostiene che, secondo l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, soltanto gli elenchi redatti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite possono essere presi in considerazione dal Consiglio.

99      Tale argomento non può essere accolto, atteso che l’ultima frase dell’articolo 1, paragrafo 4, primo comma, della posizione comune 2001/931 mira soltanto a offrire al Consiglio una possibilità di designazione supplementare, accanto alle designazioni che esso può operare sulla base di decisioni di autorità nazionali competenti.

100    In secondo luogo, il ricorrente sottolinea che, poiché l’elenco dell’Unione riprende elenchi proposti dalle autorità competenti, esso si riduce a un elenco di elenchi, estendendo in tal modo a quest’ultimo l’ambito di applicazione di misure amministrative nazionali adottate, eventualmente, da autorità di Stati terzi, senza che le persone di cui trattasi ne siano informate e senza che esse siano messe in condizione di difendersi in modo effettivo.

101    A tale riguardo, occorre constatare che, come indica il ricorrente, il Consiglio, nell’individuare le persone o entità da sottoporre a misure di congelamento dei capitali, si basa su constatazioni effettuate da autorità competenti.

102    Nell’ambito della posizione comune 2001/931, è stata istituita tra le autorità degli Stati membri e le istituzioni dell’Unione una forma di cooperazione specifica, la quale fa sorgere, per il Consiglio, l’obbligo di rimettersi, nei limiti del possibile, alla valutazione delle autorità nazionali competenti (v., in tal senso, sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 133, e del 4 dicembre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑284/08, EU:T:2008:550, punto 53).

103    In linea di principio, non spetta al Consiglio pronunciarsi sul rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato da parte delle autorità degli Stati membri, in quanto tale potere spetta ai giudici nazionali competenti (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punto 168).

104    È soltanto eccezionalmente, qualora il ricorrente contesti, sulla base di elementi concreti, il rispetto dei diritti fondamentali da parte di autorità degli Stati membri, che il Tribunale deve verificare che i medesimi siano stati effettivamente rispettati [v., per analogia, sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 36].

105    Per contro, quando sono coinvolte autorità di Stati terzi, il Consiglio è tenuto, come rilevato ai punti 58 e 59 supra, a sincerarsi d’ufficio che tali garanzie siano state effettivamente attuate e a motivare la sua decisione su tale punto.

106    Dalle considerazioni che precedono risulta che gli atti impugnati non possono essere annullati sulla base del motivo che l’azione dello Home Secretary consisterebbe nel redigere elenchi di organizzazioni terroristiche.

–       Sull’assenza di prove o di indizi seri e credibili alla base della decisione dello Home Secretary

107    Il ricorrente ritiene che, dal momento che il Consiglio si basava su una decisione amministrativa e non su una decisione giudiziaria, esso dovesse dimostrare che la decisione in questione era «basata su prove o indizi seri e credibili», come richiesto dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

108    Poiché non riguarda la qualificazione di «decisione adottata da autorità competenti» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, che è oggetto del presente motivo di ricorso, tale argomento sarà esaminato di seguito nell’ambito del sesto motivo di ricorso.

–       Sulla confusione tra i fatti asseritamente risultanti dalle decisioni nazionali invocate e quelli asseritamente risultanti da altre fonti

109    Per quanto riguarda i fatti che giustificano il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi, il ricorrente ritiene che, nella motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio avrebbe dovuto indicare se essi provenissero da una decisione nazionale o da una fonte pubblica, essendo il regime probatorio diverso nei due casi. Nel primo caso, il Consiglio dovrebbe dimostrare che la decisione nazionale è stata adottata da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, mentre, nel secondo, la prova potrebbe essere prodotta liberamente.

110    Orbene, al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio non avrebbe indicato l’origine dei fatti intervenuti tra il luglio 2014 e l’aprile 2016, i quali non potrebbero provenire dalle decisioni che qualificano il ricorrente come organizzazione terroristica straniera, poiché, come sarebbe indicato al punto 10 dello stesso allegato, il più recente riesame effettuato al riguardo risalirebbe al luglio 2012.

111    Giacché tale questione non riguarda l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, relativo all’inserimento delle persone e delle entità terroristiche negli elenchi di congelamento dei capitali, e attiene alla motivazione degli atti impugnati, a essa sarà data risposta nell’ambito del sesto motivo di ricorso, di seguito esaminato.

 Conclusione sul primo motivo di ricorso

112    Dai punti da 58 a 76 supra emerge che, per quanto riguarda l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi, le decisioni americane non possono costituire il fondamento degli atti impugnati, in quanto il Consiglio è venuto meno all’obbligo di motivazione per quanto concerne la verifica dell’applicazione del principio del rispetto dei diritti della difesa negli Stati Uniti.

113    Inoltre, dai punti da 49 a 51 supra risulta che le decisioni americane in parola riguardavano Hamas nel suo complesso, mentre la decisione dello Home Secretary riguardava soltanto Hamas-Izz al-Din al-Qassem.

114    Secondo il ricorrente, tale circostanza implica che gli atti impugnati devono essere annullati nella parte in cui riguardano Hamas e possono sussistere soltanto nella parte in cui riguardano Hamas-Izz al-Din al‑Qassem. Queste due entità dovrebbero infatti essere distinte, in quanto Hamas è un partito politico che partecipa legalmente alle elezioni e al governo in Palestina, mentre Hamas-Izz al-Din al-Qassem è un movimento di resistenza all’occupazione israeliana.

115    La tesi suesposta è criticata dal Consiglio, secondo il quale non può essere operata alcuna distinzione tra le due entità. A sostegno della sua tesi, il Consiglio cita in particolare, nel controricorso, una dichiarazione del ricorrente nella quale questi presenta la propria organizzazione come comprendente entrambe le entità. Tale dichiarazione è formulata nei termini seguenti [v. punto 19 del controricorso che riproduce i punti 7 e 8 del ricorso presentato dal ricorrente nella causa che ha dato origine alla sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio (T‑400/10 RENV, in fase di impugnazione, EU:T:2018:966)]:

«Hamas comprende un Ufficio politico e un’ala armata: le Brigate Ezzedine Al-Qassam [= Hamas IDQ]. La direzione di Hamas si caratterizza per la sua natura bicefala. La direzione interna, divisa tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza, e la direzione esterna situata in Siria (…) Sebbene l’ala armata disponga di una relativa indipendenza, essa resta soggetta alle strategie generali elaborate dall’Ufficio politico. L’Ufficio politico prende le decisioni e le Brigate le rispettano per effetto della forte solidarietà indotta dalla componente religiosa del movimento».

116    La dichiarazione succitata presenta una valenza probatoria significativa in quanto, da un lato, come sottolinea il Consiglio, proviene dal ricorrente stesso e, dall’altro, non è stata successivamente contestata da quest’ultimo mediante elementi tangibili e concreti.

117    A tale riguardo, va rilevato che il ricorrente non si è avvalso della possibilità, offertagli dall’articolo 83, paragrafo 2, del regolamento di procedura, di completare il fascicolo dopo che il Tribunale ha deciso, ai sensi del paragrafo 1 della stessa disposizione, che un secondo scambio di memorie non era necessario.

118    Ciò posto, non si può ritenere, ai fini della determinazione degli effetti della risposta fornita al primo motivo di ricorso nell’ambito del presente ricorso, che Hamas-Izz al-Din al-Qassem sia un’organizzazione distinta da Hamas (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2015, Bank of Industry and Mine/Consiglio, T‑10/13, EU:T:2015:235, punti 182, 183 e 185, e del 29 aprile 2015, National Iranian Gas Company/Consiglio, T‑9/13, non pubblicata, EU:T:2015:236, punti 163 e 164).

119    Ciò è tanto più vero in quanto, sebbene fossero state adottate misure di congelamento dei capitali nei suoi confronti da vari anni, Hamas non ha cercato di dimostrare al Consiglio di non essere in alcun modo coinvolto negli atti che hanno determinato l’adozione delle misure in questione, dissociandosi, in modo da dissipare qualsiasi esitazione, da Hamas-Izz al-Din al-Qassem, che, a suo avviso, ne era l’unico responsabile.

120    Per le ragioni summenzionate e fatto salvo l’esame degli argomenti illustrati ai punti 107, 109 e 110 supra, il motivo di ricorso in esame deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul sesto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellobbligo di motivazione

121    Il sesto motivo di ricorso si articola in tre parti.

 Sulla prima parte del sesto motivo di ricorso

122    Com’è stato già rilevato al punto 107 supra, il ricorrente sostiene che il Consiglio, nelle motivazioni relative agli atti impugnati, avrebbe dovuto indicare «le prove e gli indizi seri e credibili» sui quali si basavano le decisioni delle autorità competenti.

123    Il Consiglio ritiene che l’argomento non sia fondato.

124    Tenuto conto del punto 77 supra, il motivo di ricorso in questione deve essere esaminato soltanto nella misura in cui riguarda la decisione dello Home Secretary.

125    A tale riguardo, si deve constatare che il motivo di ricorso è errato in punto di fatto. Contrariamente a quanto afferma il ricorrente, infatti, il Consiglio, al punto 14 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati, ha indicato vari fatti che erano alla base della decisione dello Home Secretary.

126    In ogni caso, l’argomento è privo di fondamento.

127    A tale riguardo, si deve rilevare che, secondo l’articolo 1, paragrafo 4, primo comma, della posizione comune 2001/931, gli elenchi di congelamento dei capitali sono redatti sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone e delle entità interessate, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, del tentativo di commetterlo, della partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, «basate su prove o indizi seri e credibili», o si tratti di una condanna per tali fatti.

128    Dalla struttura della disposizione succitata risulta che l’obbligo incombente al Consiglio di verificare, prima di inserire il nome di persone o di entità negli elenchi di congelamento dei capitali sulla base di decisioni adottate da autorità competenti, che le medesime decisioni siano «basate su prove o indizi seri e credibili» riguarda soltanto le decisioni di apertura di indagini o di azioni penali e non quelle di condanna.

129    La distinzione così operata tra i due tipi di decisione deriva dall’applicazione del principio di leale cooperazione tra le istituzioni e gli Stati membri, principio nel quale s’inserisce l’adozione di misure restrittive in materia di lotta al terrorismo e in forza del quale il Consiglio deve fondare l’inserimento di persone o di entità terroristiche negli elenchi di congelamento dei capitali su decisioni adottate dalle autorità nazionali senza doverle o persino poterle mettere in discussione.

130    Così definito, il principio di leale cooperazione si applica alle decisioni nazionali che comportano una condanna, con la conseguenza che il Consiglio non deve verificare, prima di inserire il nome di persone o di entità negli elenchi di congelamento dei capitali, che le medesime decisioni siano basate su prove o indizi seri e credibili e che esso deve rimettersi, su tale punto, alla valutazione effettuata dall’autorità nazionale.

131    Quanto alle decisioni nazionali vertenti sull’apertura di indagini o di azioni penali, esse si collocano, per loro natura, all’inizio o nel corso di un procedimento non ancora giunto a termine. Per garantire l’efficacia della lotta al terrorismo, è stato ritenuto utile che il Consiglio, per adottare misure restrittive, possa basarsi su decisioni di questo tipo, sebbene queste abbiano carattere meramente preparatorio, prevedendo al contempo, per assicurare la protezione delle persone oggetto dei procedimenti in questione, che tale pratica sia sottoposta alla verifica, da parte del Consiglio, che esse riposino su prove o indizi seri e credibili.

132    Nel caso di specie, la decisione dello Home Secretary è definitiva nel senso che a essa non deve seguire un’indagine. Inoltre, come risulta dalla risposta fornita dal Consiglio a un quesito del Tribunale, essa ha ad oggetto la proscrizione del ricorrente nel Regno Unito, con conseguenze penali per le persone che mantengano da vicino o da lontano un collegamento con il medesimo.

133    Ciò posto, la decisione dello Home Secretary non costituisce una decisione di apertura di indagini o di azioni penali, ma deve essere assimilata a una decisione di condanna, sicché, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, il Consiglio non era tenuto a indicare, nella motivazione relativa agli atti impugnati, le prove e gli indizi seri che erano alla base della decisione dell’autorità in parola.

134    A tale proposito, il fatto che lo Home Secretary costituisce un’autorità amministrativa è irrilevante, giacché, come risulta dai punti 86 e 87 supra, le sue decisioni possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale e, pertanto, esso deve essere considerato come l’equivalente di un’autorità giudiziaria.

135    Non dovendo essere indicati, i fatti in questione non devono, a fortiori, essere provati dal Consiglio.

136    Di conseguenza, non si può censurare il Consiglio per non aver indicato, nelle motivazioni relative agli atti impugnati, «le prove e gli indizi seri e credibili» che erano alla base della decisione dello Home Secretary né di non averli provati.

137    Occorre dunque respingere la prima parte del sesto motivo di ricorso in quanto infondata.

 Sulla seconda parte del sesto motivo di ricorso

138    Dalla giurisprudenza risulta che, quando è trascorso un notevole lasso di tempo tra la decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’inserimento iniziale e l’adozione degli atti tesi al mantenimento del medesimo inserimento, il Consiglio, per concludere che il rischio di implicazione della persona o dell’entità interessata in attività terroristiche persiste, non può limitarsi a constatare che la decisione in questione è rimasta in vigore, ma deve effettuare una valutazione aggiornata della situazione, tenendo conto di elementi fattuali più recenti che attestino che il rischio di cui trattasi sussiste (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 54 e 55, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti 32 e 33).

139    Dalla stessa giurisprudenza emerge altresì che gli elementi fattuali più recenti alla base del mantenimento del nome di una persona o di un’entità negli elenchi di congelamento dei capitali possono provenire da fonti diverse dalle decisioni nazionali adottate da autorità competenti (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 72, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 50).

140    Nel caso di specie, la decisione iniziale dello Home Secretary risale al 2001, mentre gli atti impugnati sono stati adottati nel marzo e nel luglio 2018.

141    Essendo trascorso un periodo di diciassette anni tra la decisione iniziale dello Home Secretary e gli atti impugnati, il Consiglio, sulla scorta della giurisprudenza richiamata al punto 138 supra, non poteva limitarsi a constatare che la decisione dello Home Secretary era ancora in vigore, senza menzionare elementi più recenti che dimostrassero che il rischio di implicazione del ricorrente in attività terroristiche persisteva.

142    Simili elementi più recenti sono stati forniti dal Consiglio nella motivazione relativa agli atti impugnati.

143    In tal senso, al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati, sono stati menzionati dal Consiglio due fatti collegati al procedimento di riesame della decisione dello Home Secretary che aveva avuto luogo nel settembre 2016.

144    Inoltre, al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati sono stati riportati dal Consiglio tredici fatti in relazione alla qualificazione del ricorrente quale organizzazione terroristica straniera da parte delle autorità americane. I fatti in questione sono descritti come segue:

–        «Hamas ha rivendicato un attentato suicida commesso nel settembre 2003 che causò la morte di nove soldati delle forze di difesa israeliane (IDF) e il ferimento di 30 persone all’esterno dell’ospedale Assaf Harofeh e della base militare di Tzrifin [(Israele)];

–        nel gennaio 2004, a Gerusalemme un attentatore suicida distrusse un autobus nei pressi della residenza del primo ministro uccidendo undici civili e ferendone altri trenta. Hamas e la Brigata dei martiri di Al-Aqsa ne rivendicarono la responsabilità congiunta;

–        nel gennaio 2005, dei terroristi attivarono un dispositivo esplosivo sul lato palestinese del valico di Karni (Karni crossing), aprendo un varco che permise a palestinesi armati di entrare nel lato israeliano. Furono uccisi sei civili israeliani e feriti altri cinque. Hamas e la Brigata dei martiri di Al-Aqsa ne rivendicarono la responsabilità congiunta;

–        nel gennaio 2007, Hamas rivendicò il rapimento di tre bambini nella striscia di Gaza;

–        nel gennaio 2008, un cecchino palestinese della striscia di Gaza uccise un volontario ecuadoriano ventunenne mentre lavorava nei campi del Kibbutz Ein Hashlosha [(Israele)]. Hamas ne rivendicò la responsabilità;

–        nel febbraio 2008, un attentatore suicida di Hamas uccise una donna anziana e ferì altre trentotto persone in un centro commerciale a Dimona [(Israele)]. Un agente di polizia sparò e uccise un secondo terrorista prima che questi facesse detonare la cintura esplosiva che indossava. Hamas definì l’attentato terroristico “eroico”;

–        il 14 giugno 2010, a Hebron, in Cisgiordania, assalitori armati fecero fuoco contro un’automobile della polizia, provocando la morte di un agente e il ferimento di altri due. Un’azione congiunta dell’agenzia israeliana per la sicurezza, della polizia israeliana e delle forze di difesa israeliane permise di catturare gli assalitori il 22 giugno 2010. Durante gli interrogatori, il commando di Hamas responsabile dell’attacco dichiarò di essere stato formato diversi anni prima e di essersi dotato di armi, tra cui fucili d’assalto Kalashnikov. Durante l’interrogatorio emerse anche che il commando intendeva perpetrare altri attentati, compreso il rapimento di un soldato o di un civile nella zona di Etzion Block, a nord del Monte Hebron;

–        nell’aprile 2011, Hamas lanciò un missile Kornet colpendo uno scuolabus israeliano. Uno scolaro sedicenne fu gravemente ferito, mentre il conducente subì ferite superficiali. La testata utilizzata nell’attentato è in grado di penetrare la corazzatura di un moderno carro armato;

–        il 20 agosto 2011, a Ofaqim, distretto meridionale di Israele, degli assalitori lanciarono razzi contro una comunità, ferendo due bambini e un altro civile. Hamas ne rivendicò la responsabilità;

–        il 7 luglio 2014, Hamas rivendicò il lancio di razzi sulle città israeliane di Ashdod, Ofakim, Ashkelon e Netivot;

–        nell’agosto 2014, Hamas rivendicò il rapimento e l’uccisione di tre adolescenti, avvenuti nel giugno 2014 in Cisgiordania;

–        nel novembre 2014, Hamas rivendicò l’attacco con un furgone, lanciato contro un gruppo di pedoni a Gerusalemme;

–        nell’aprile 2016, Hamas rivendicò un attentato dinamitardo contro un autobus a Gerusalemme, che causò il ferimento di 18 persone».

145    Come già esposto ai punti 109 e 110 supra, il ricorrente contesta al Consiglio il fatto di non aver indicato se i fatti verificatisi tra il luglio 2014 e l’aprile 2016 provenissero da una decisione di un’autorità nazionale o da un’altra fonte.

146    Per il ricorrente, l’individuazione della fonte del fatto citato è importante in quanto determina il mezzo di prova che deve essere utilizzato dal Consiglio. Nel caso in cui il fatto citato derivi da una decisione nazionale, la suddetta istituzione dovrebbe provare che la medesima decisione proviene da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, mentre, nel caso in cui derivi da un’altra fonte, essa potrebbe produrre la prova liberamente.

147    A tale riguardo, è importante ricordare che, al punto 71 della sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e al punto 49 della sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584), la Corte ha dichiarato che, nell’ambito del ricorso presentato contro il mantenimento del suo nome nell’elenco controverso, la persona o l’entità interessata poteva contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si era basato per dimostrare la persistenza del rischio della sua implicazione in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi fossero ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti.

148    La Corte ha aggiunto che, in caso di contestazione, spettava al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti allegati e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 49).

149    Dalla giurisprudenza succitata risulta che gli elementi utilizzati dal Consiglio per dimostrare la persistenza del rischio di implicazione in attività terroristiche provenienti da decisioni nazionali devono essere provati allo stesso modo di quelli provenienti da altre fonti.

150    Occorre dunque ritenere che, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, il Consiglio non sia tenuto a indicare, nelle motivazioni relative agli atti impugnati, la fonte degli elementi addotti per mantenere l’inserimento di una persona o di un’entità in un elenco di congelamento dei capitali e che, pertanto, se tale elemento deriva da una decisione nazionale, non è necessario che esso provi che quest’ultima proviene da un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

151    Quanto a quest’ultima disposizione, occorre inoltre ricordare che essa riguarda l’inserimento del nome di persone o entità negli elenchi di congelamento dei capitali, e non il mantenimento di detto inserimento, che è invece disciplinato dall’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931. Essa non può pertanto essere invocata per imporre al Consiglio di indicare la fonte dei fatti sui quali esso fonda il reinserimento del nome di una persona o di un’entità negli elenchi di congelamento dei capitali.

152    La seconda parte del sesto motivo di ricorso va quindi respinta in quanto infondata.

 Sulla terza parte del sesto motivo di ricorso

153    Il ricorrente sostiene che la motivazione di un atto deve esprimere una scelta specifica dell’istituzione. Orbene, così non sarebbe nel caso di specie in quanto il Consiglio, per motivare gli atti impugnati, si sarebbe limitato a effettuare dei copia e incolla di documenti pubblicati su Internet. È quanto sarebbe avvenuto, in particolare, per le descrizioni dei procedimenti nazionali.

154    A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’obbligo di motivazione ha l’obiettivo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consenta di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro lato, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo sindacato di legittimità sul medesimo atto (sentenza del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran, C‑200/13 P, EU:C:2016:284, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

155    Nel caso di specie, il ricorrente non indica le ragioni per le quali la riproduzione da parte del Consiglio di documenti pubblicati su Internet, supponendo che essa corrisponda alla realtà, avrebbe impedito che la motivazione degli atti impugnati soddisfacesse i suddetti obiettivi.

156    L’obbligo di motivazione non può quindi essere considerato violato per il solo motivo che il Consiglio avrebbe riprodotto estratti di documenti pubblicati su Internet.

157    La terza parte del sesto motivo di ricorso va respinta in quanto infondata.

158    Alla luce delle considerazioni suesposte, occorre dunque respingere il sesto motivo di ricorso.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente su «errori quanto alla sussistenza dei fatti»

159    Nel motivo di ricorso vertente su «errori quanto alla sussistenza dei fatti», il ricorrente contesta i fatti menzionati dal Consiglio nelle motivazioni relative agli atti impugnati, argomentando che essi sono riportati in maniera troppo imprecisa, che non sono dimostrati e che sono troppo distanti nel tempo per giustificare il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi.

160    Il motivo di ricorso in questione deve essere esaminato solo nei limiti in cui riguarda i fatti sui quali si è basato il Consiglio per mantenere il nome del ricorrente negli elenchi controversi. Come infatti risulta dall’esame della prima parte del sesto motivo di ricorso, i fatti che sono alla base della decisione dello Home Secretary non devono essere indicati negli atti impugnati né essere provati dal Consiglio.

161    Per giustificare il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi, il Consiglio, conformemente alla giurisprudenza della Corte richiamata al punto 138 supra, si è basato su diversi fatti che ha menzionato negli allegati delle motivazioni relative agli atti impugnati.

162    I fatti summenzionati sono, da un lato, quelli riportati dal Consiglio in relazione alla procedura di riesame svoltasi nel Regno Unito nel settembre 2016 (punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati) e, dall’altro, quelli menzionati in relazione alle decisioni nelle quali il ricorrente è stato qualificato quale organizzazione terroristica straniera da parte delle autorità americane (punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati).

163    Per quanto riguarda i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio ha indicato che, nel Regno Unito, la proscrizione del ricorrente era stata oggetto, nel settembre 2016, di un riesame da parte del gruppo interministeriale di riesame delle proscrizioni e che questo era giunto alla conclusione che Hamas-Izz al-Din al-Qassem continuava a essere coinvolto nel terrorismo sulla base di due fatti:

–        durante il conflitto tra Israele e Gaza dell’estate del 2014, sei civili israeliani e un cittadino thailandese sarebbero stati uccisi nel corso di attacchi con razzi e una nave da crociera tedesca sarebbe stata colpita da attacchi con razzi;

–        Hamas avrebbe fatto ricorso ai social media per avvertire, tra gli altri, alcune compagnie aeree del Regno Unito della sua intenzione di attaccare l’aeroporto Ben Gourion a Tel Aviv (Israele), circostanza che avrebbe potuto causare vittime civili, e Hamas avrebbe effettivamente tentato di attaccare l’aeroporto nel luglio 2014.

164    Quanto ai fatti menzionati al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, essi sono stati riprodotti al punto 144 supra.

165    Allorché sono forniti elementi fattuali recenti per giustificare il mantenimento del nome di una persona o entità negli elenchi di congelamento dei capitali, la Corte ha ritenuto che il giudice dell’Unione fosse tenuto a verificare, inter alia, da un lato, l’osservanza dell’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE e, dall’altro, se i punti della motivazione fossero fondati (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 48).

166    Tenuto conto della giurisprudenza succitata e delle critiche del ricorrente, è opportuno verificare se i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati siano sufficientemente motivati e se la loro sussistenza sia dimostrata.

 Sulla motivazione dei fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati

167    Il ricorrente sostiene che i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati sono evocati in modo troppo impreciso, argomentando che essi non sono datati né localizzati, che non si comprende come essi siano stati attribuiti a Hamas o a Hamas-Izz al-Din al-Qassem e che il Consiglio non ha indicato in che modo i fatti imputati al secondo potessero essere imputati anche al primo.

168    A tale proposito, occorre ricordare che, secondo la Corte, il giudice dell’Unione è tenuto a verificare, in particolare, l’osservanza dell’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE e, pertanto, il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi dedotti (sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70, e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punto 48).

169    Per costante giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, onde consentire all’interessato di conoscere le ragioni dei provvedimenti adottati e al giudice competente di esercitare il suo controllo (sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

170    La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’adeguatezza della motivazione dev’essere valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenze del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 53, e del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 82).

171    In particolare, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (sentenze del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 54, e del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 82).

172    Nel caso di specie, va constatato che i fatti menzionati, da un lato, al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati (v. punto 163 supra) e, dall’altro, al punto 17 dell’allegato B della medesima (v. punto 144 supra) recano, perlomeno, l’anno, il mese o persino il giorno del loro verificarsi.

173    Inoltre, occorre osservare che i fatti in questione si sono verificati in un contesto noto al ricorrente, poiché sono avvenuti, o si suppone che siano avvenuti, in uno o più territori a lui ben noti, in cui esso conta membri in grado di trasmettergli qualsiasi informazione utile alla loro individuazione.

174    Infine, per la maggior parte di essi, vengono specificati il tipo di attacco perpetrato e l’identità delle vittime, il che rende ancora più agevole l’individuazione dei fatti in questione.

175    Ciò premesso, occorre ritenere che i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati siano descritti in modo sufficientemente preciso e concreto per essere contestati dal ricorrente e controllati dal Tribunale.

176    Quanto all’argomento del ricorrente secondo cui, per quanto riguarda Hamas, essi non sarebbero stati imputati all’ala politica dell’organizzazione, o al movimento di resistenza Hamas-Izz al-Din al‑Qassem, esso è inoperante, giacché, come si evince dai punti da 116 a 118 supra, queste due entità devono essere considerate come costituenti un’unica organizzazione ai fini dell’applicazione delle norme sulla lotta al terrorismo.

177    Si deve pertanto ritenere che i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati siano sufficientemente motivati.

 Sulla sussistenza dei fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati

178    Secondo il ricorrente, i fatti di cui al punto 15 dell’allegato A (v. punto 163 supra) e al punto 17 dell’allegato B (v. punto 144 supra) della motivazione relativa agli atti impugnati non possono fondare il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi. In primo luogo, i fatti in questione, in particolare quelli anteriori al 2009, sarebbero troppo distanti nel tempo per giustificare il mantenimento del nome del ricorrente in tali elenchi. In secondo luogo, gli stessi fatti non sarebbero provati. A tale riguardo, il ricorrente sostiene che i fatti dell’agosto 2014, del novembre 2014 e dell’aprile 2016, menzionati al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, non sono stati rivendicati da Hamas e che il fatto del 7 luglio 2014, menzionato allo stesso punto, dovrebbe essere considerato alla luce della guerra che ha avuto luogo a Gaza nel 2014.

179    Il Consiglio contesta la fondatezza del motivo di ricorso in esame.

180    Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente vertente sulla distanza nel tempo dei fatti, occorre constatare che, al punto 33 della sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584), la Corte ha dichiarato che, essendo trascorso un lasso di tempo di nove anni tra, da un lato, l’adozione delle decisioni nazionali che avevano costituito il fondamento dell’inserimento iniziale del nome del ricorrente negli elenchi di congelamento dei capitali e il medesimo inserimento iniziale e, dall’altro, l’adozione degli atti che mantenevano il nome del ricorrente negli elenchi in questione, il Consiglio doveva basarsi su elementi più recenti.

181    Per motivi analoghi, occorre ritenere, come sostiene il ricorrente, che, nel caso di specie, i primi sei fatti menzionati al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati (v. punto 144 supra), avvenuti tra il 2003 e il 2008, vale a dire più di nove anni prima dell’adozione degli atti impugnati, siano troppo distanti nel tempo per giustificare il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi.

182    Per quanto riguarda la loro data, gli altri sette fatti menzionati al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati possono essere suddivisi in due gruppi, ossia quelli verificatisi nel 2010 e nel 2011 e quelli verificatisi nel 2014 e nel 2016. A questi ultimi si aggiungono due fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A, avvenuti nel 2014.

183    Tra i fatti summenzionati, il Tribunale ritiene che anche i tre fatti verificatisi nel 2010 e nel 2011, menzionati per settimo, per ottavo e per nono al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, siano troppo distanti nel tempo per giustificare il mantenimento dell’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi, i quali risalgono al 2018. Stante l’obbligo imposto dalla Corte di addurre elementi «più recenti» per fondare il mantenimento dell’inserimento del nome di una persona o entità negli elenchi di congelamento dei capitali, occorre ritenere che una differenza di sette o otto anni non sia sostanzialmente diversa da una differenza di nove anni, già considerata notevole dalla Corte nella sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584).

184    Di conseguenza, solo gli ultimi quattro fatti menzionati al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati e i due fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A, tutti verificatisi nel 2014 o 2016, sono sufficientemente recenti per costituire il fondamento degli atti impugnati.

185    È quindi solo in relazione a questi sei fatti che devono essere esaminati gli argomenti del ricorrente vertenti sull’insufficienza delle prove fornite dal Consiglio.

186    A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, qualora taluni elementi di prova forniti da una parte siano contestati dall’altra parte, questa deve soddisfare due requisiti cumulativi.

187    In primo luogo, le sue contestazioni non possono presentare un carattere generico, ma devono avere un carattere concreto e circostanziato (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2013, Duravit e a./Commissione, T‑364/10, non pubblicata, EU:T:2013:477, punto 55).

188    In secondo luogo, le contestazioni circa la sussistenza dei fatti devono figurare chiaramente nel primo atto di procedura riguardante l’atto impugnato (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2015, Tomana e a./Consiglio e Commissione, T‑190/12, EU:T:2015:222, punto 261).

189    I suddetti requisiti hanno l’obiettivo di permettere al convenuto di conoscere con precisione, sin dalla fase dell’atto introduttivo, le contestazioni a esso rivolte dal ricorrente e di poter in tal modo preparare adeguatamente la propria difesa.

190    Nel caso di specie, le critiche relative ai fatti dell’agosto e del novembre 2014, menzionati per undicesimo e per dodicesimo al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, sono sufficientemente concrete per essere prese in considerazione dal Tribunale.

191    Quanto al fatto dell’agosto 2014, infatti, il ricorrente adduce, documentandolo, al punto 98 del ricorso, quanto segue:

«(…) Hamas non ha mai organizzato o rivendicato tale rapimento. È stato il governo israeliano che l’ha pretestuosamente accusato di questo tragico atto al fine di giustificare il suo intervento militare a Gaza nel 2014. Inoltre, vari soggetti particolarmente autorizzati, quali l’ex capo dello Shin Bet Yuval Diskin, hanno contraddetto l’analisi del governo israeliano nella stampa, sostenendo che i rapitori erano isolati e avevano agito per proprio conto».

192    Analogamente, quanto al fatto del novembre 2014, il ricorrente afferma, documentandolo, al punto 99 del ricorso, quanto segue:

«(…) Hamas non ha mai rivendicato tale attentato e, secondo il corrispondente del quotidiano Le Monde, attacchi di questo tipo, e in particolare quello del novembre 2014, sono imputabili a palestinesi “isolati” che si oppongono di propria iniziativa all’“approccio puramente di sicurezza”».

193    Quanto invece al fatto dell’aprile 2016, menzionato per tredicesimo al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, il ricorrente si è limitato ad affermare, al punto 99 del ricorso, che «Hamas non ha mai organizzato né rivendicato attentati dinamitardi nel 2016, contrariamente a quanto afferma il Consiglio».

194    La suddetta critica è troppo generica, alla luce dei criteri ricordati al punto 187 supra, per poter essere presa in considerazione dal Tribunale.

195    Quanto al fatto del 7 luglio 2014, menzionato per decimo al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, il ricorrente afferma, al punto 100 del ricorso, che le allegazioni del Consiglio «devono essere considerate alla luce di quanto già detto in merito alla guerra di Gaza del 2014, a fortiori per quanto riguarda la loro imputazione all’ala politica di Hamas».

196    La suddetta critica, poiché attiene alla questione se un fatto verificatosi nell’ambito di un conflitto armato possa essere qualificato come terroristico e non alla questione se il fatto in questione si sia o no verificato o se possa essere imputato al ricorrente, sarà esaminata di seguito nell’ambito del terzo motivo di ricorso.

197    I due fatti del 2014, menzionati al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati, non sono stati oggetto di una contestazione concreta e circostanziata.

198    Da quanto precede deriva che, dei sei fatti verificatisi nel 2014 e nel 2016, solo quelli dell’agosto e del novembre 2014 sono stati validamente criticati.

199    Le suddette critiche sono tuttavia inoperanti in quanto gli altri quattro fatti, vale a dire i fatti del 2014 menzionati al punto 15 dell’allegato A della motivazione relativa agli atti impugnati e i fatti del 7 luglio 2014 e dell’aprile 2016 menzionati per decimo e per tredicesimo al punto 17 dell’allegato B, non sono stati validamente criticati dal ricorrente e sono in ogni caso sufficienti a giustificare il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi.

200    Fatto salvo l’esame dell’argomento di cui al punto 196 supra, il secondo motivo di ricorso deve essere quindi respinto in quanto infondato.

 Sul terzo motivo di ricorso, vertente su un errore di valutazione quanto alla natura terroristica del ricorrente

201    Il ricorrente ritiene che, adottando gli atti impugnati, il Consiglio sia incorso in un errore di valutazione nel qualificare come atti terroristici i fatti considerati nelle motivazioni relative agli atti impugnati nonché nel qualificarlo come organizzazione terroristica.

202    Dagli argomenti del ricorrente risulta che tali critiche riguardano sia i fatti alla base delle decisioni delle autorità competenti che hanno costituito il fondamento dell’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi di congelamento dei capitali sia i fatti che giustificano il mantenimento del medesimo inserimento e che sono menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati.

203    Per rispondere al motivo di ricorso in esame, occorre operare una distinzione tra queste due categorie di fatti.

 Per quanto riguarda i fatti alla base delle decisioni delle autorità competenti sulle quali il Consiglio si è basato per inserire il nome del ricorrente negli elenchi controversi

204    Stante la risposta fornita al primo motivo di ricorso, questa prima parte del terzo motivo di ricorso dovrà essere esaminata soltanto nei limiti in cui riguarda i fatti alla base della decisione dello Home Secretary.

205    Quanto ai suddetti fatti, è opportuno ricordare che, in risposta alla prima parte del sesto motivo di ricorso, è stato statuito, al punto 133 supra, che essi non dovevano essere indicati dal Consiglio nelle motivazioni relative agli atti impugnati.

206    Pertanto, non può essere richiesto a tale istituzione di verificare la qualificazione dei fatti in questione operata dall’autorità nazionale e di riportare, negli atti impugnati, il risultato della stessa qualificazione.

207    Ciò è tanto più vero in quanto la decisione dello Home Secretary deriva da uno Stato membro per il quale l’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 e l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 hanno istituito una forma di cooperazione specifica con il Consiglio che comporta, per tale istituzione, l’obbligo di rimettersi, nei limiti del possibile, alla valutazione dell’autorità nazionale competente (sentenze del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑256/07, EU:T:2008:461, punto 133, e del 4 dicembre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, T‑284/08, EU:T:2008:550, punto 53).

208    Le critiche sollevate dal ricorrente quanto ai fatti sui quali si basa la decisione dello Home Secretary sono dunque inoperanti.

 Per quanto riguarda i fatti addotti dal Consiglio per mantenere il nome del ricorrente negli elenchi controversi e menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati

209    Nelle motivazioni relative agli atti impugnati, il Consiglio ha qualificato, da un lato, i fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, punto iii), lettere a), d), f), g) e i), della posizione comune 2001/931 per i fini di cui all’articolo 1, paragrafo 3, punti i) e ii), della medesima posizione comune e, dall’altro, i fatti menzionati al punto 17 dell’allegato B come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, punto iii), lettere a), b), c) e f), della posizione comune 2001/931 per i fini di cui all’articolo 1, paragrafo 3, punti i) e ii), della medesima posizione comune.

210    Il ricorrente sostiene che il Consiglio è incorso in un errore nell’attribuire ai fatti considerati la qualificazione di atti terroristici. Anzitutto, il fatto che gli atti di cui trattasi si sarebbero verificati tutti nell’ambito della guerra di occupazione condotta da Israele in Palestina avrebbe dovuto portarlo a non adottare tale qualificazione nei suoi confronti. Inoltre, ammettendo che i fatti in questione siano dimostrati, gli atti cui essi si riferiscono sarebbero stati commessi per liberare il popolo palestinese, e non ai fini citati dal Consiglio e menzionati all’articolo 1, paragrafo 3, punti i), ii) e iii), della posizione comune 2001/931.

211    Con gli argomenti in questione, il ricorrente sostiene che il Consiglio avrebbe dovuto prendere in considerazione, al momento della qualificazione dei fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, la circostanza che il conflitto israelo-palestinese rientrava nell’ambito del diritto dei conflitti armati e aveva l’obiettivo di liberare il popolo palestinese.

212    A tale riguardo, si deve rilevare che, secondo una giurisprudenza consolidata, l’esistenza di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario non esclude l’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di prevenzione del terrorismo, quali la posizione comune 2001/931 e il regolamento n. 2580/2001, agli eventuali atti terroristici commessi in tale contesto (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 57; v. anche, in tal senso, sentenza del 14 marzo 2017, A e a., C‑158/14, EU:C:2017:202, punti da 95 a 98).

213    Invero, da un lato, la posizione comune 2001/931 non opera alcuna distinzione, per quanto attiene alla propria sfera di applicazione, a seconda che l’atto in questione venga commesso o no nell’ambito di un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario. Dall’altro, gli obiettivi dell’Unione e dei suoi Stati membri, nell’ambito della medesima posizione comune, consistono nella lotta al terrorismo, a prescindere dalle forme che esso possa assumere, in conformità degli obiettivi del diritto internazionale in vigore (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 58).

214    A tale proposito, va ricordato che è al fine di dare attuazione, a livello dell’Unione, alla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (v. punto 1 supra), la quale «riafferma la necessità di combattere con tutti i mezzi, in accordo con la Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici» e «chiede agli Stati membri di integrare la cooperazione internazionale prendendo misure supplementari per prevenire e reprimere, nei loro territori con tutti i mezzi legali disponibili, il finanziamento e la preparazione di qualsiasi atto di terrorismo», che il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/931 (v. considerando da 5 a 7 della posizione comune citata) e in seguito, conformemente alla stessa posizione comune, il regolamento n. 2580/2001 (v. considerando 3, 5 e 6 del regolamento citato) (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 59).

215    La tesi suesposta non è infirmata dagli argomenti che seguono.

216    In primo luogo, il ricorrente obietta che, nella sentenza del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202, punto 87), la Corte non si è pronunciata sull’ipotesi in cui il conflitto armato derivi dal diritto all’autodeterminazione, il quale costituisce un principio di diritto consuetudinario. Qualificare come atti terroristici le azioni di un movimento di liberazione nazionale quale Hamas o Hamas-Izz al-Din al-Qassem che resisterebbe all’occupazione illegittima del territorio palestinese da parte dello Stato di Israele pregiudicherebbe il principio in questione.

217    A tale riguardo, occorre rilevare che, come indica il ricorrente, la Corte, nella sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Fronte Polisario (C‑104/16 P, EU:2016:973, punto 88), ha ritenuto che il principio consuetudinario dell’autodeterminazione richiamato, in particolare, all’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite sia un principio di diritto internazionale applicabile a tutti i territori non autonomi e a tutti i popoli che non hanno ancora ottenuto l’indipendenza.

218    Senza prendere posizione sulla sua applicazione nella presente causa, occorre rilevare che il principio in parola non implica che, per esercitare il diritto all’autodeterminazione, un popolo o gli abitanti di un territorio possano ricorrere a mezzi che ricadono nell’ambito dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

219    Occorre infatti distinguere tra, da un lato, l’obiettivo che un popolo o gli abitanti di un territorio intendono conseguire e, dall’altro, i comportamenti che gli stessi mettono in atto per raggiungerlo.

220    Orbene, come già indicato ai punti da 212 a 214 supra, le norme adottate nell’Unione per contrastare il terrorismo si applicano a tutte le forme che questo può assumere, indipendentemente dall’obiettivo del conflitto, allorché sono adottati comportamenti che soddisfino le condizioni e i requisiti ivi espressi.

221    In secondo luogo, il ricorrente nega l’intenzione di instaurare uno Stato islamico, che il Consiglio gli avrebbe addebitato nella motivazione relativa agli atti impugnati e che avrebbe giustificato l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi.

222    È vero che, all’inizio della motivazione relativa agli atti impugnati, il Consiglio afferma:

«Harakat al-Muqāwamah al-Islāmiyyah (Hamas) è un gruppo che mira a porre fine all’occupazione israeliana della Palestina e a creare uno Stato islamico».

223    Tuttavia, dalla motivazione relativa agli atti impugnati nel suo complesso risulta che non è la succitata affermazione a costituire il fondamento dell’inserimento o del reinserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi.

224    Come si evince dall’esame dei precedenti motivi di ricorso primo, secondo e sesto, l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi si basa sulla decisione dello Home Secretary e il suo reinserimento sul mantenimento di questa stessa decisione, nonché sui fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, nei limiti indicati nell’ambito dell’esame del secondo motivo di ricorso.

225    Nell’insieme degli atti impugnati, la frase evidenziata dal ricorrente svolge soltanto un ruolo contestuale la cui erroneità, se dovesse essere accertata, non potrebbe comportare l’annullamento degli atti in parola.

226    Per le ragioni suesposte, occorre respingere il terzo motivo di ricorso in quanto infondato.

 Sul quarto motivo di ricorso, vertente sulla violazione del principio di non ingerenza

227    Il ricorrente sostiene che, nell’adottare gli atti impugnati, il Consiglio ha violato il principio di non ingerenza, che discende dall’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite e costituisce un principio di ius cogens derivante dall’uguaglianza sovrana degli Stati nel diritto internazionale. Tale principio vieterebbe che uno Stato o un governo possa essere considerato un’entità terroristica.

228    Orbene, Hamas non sarebbe una semplice organizzazione non governativa, né tantomeno un movimento informale, bensì un movimento politico legittimo che ha vinto le elezioni in Palestina e che formerebbe il cuore del governo palestinese. Poiché Hamas è stato portato ad assumere funzioni che andrebbero oltre quelle di un partito politico ordinario, i suoi atti a Gaza sarebbero assimilabili a quelli di un’autorità statale e non potrebbero di conseguenza essere condannati sotto il profilo delle misure antiterroristiche. Il ricorrente sarebbe, tra le persone ed entità i cui nomi sono inseriti negli elenchi controversi, il solo a trovarsi in una simile situazione.

229    A tale proposito, occorre rilevare che, costituendo un corollario del principio di uguaglianza sovrana degli Stati, il principio di non ingerenza, noto anche come principio di non intervento, è un principio di diritto internazionale consuetudinario che riguarda il diritto di ogni Stato sovrano di svolgere le proprie attività senza ingerenza esterna.

230    Come rileva il Consiglio, il principio di diritto internazionale in parola è enunciato a vantaggio degli Stati sovrani e non a vantaggio di gruppi o movimenti (sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

231    Non costituendo né uno Stato né il governo di uno Stato, Hamas non può beneficiare del principio di non ingerenza.

232    Il quarto motivo di ricorso deve quindi essere respinto in quanto infondato.

 Sul quinto motivo di ricorso, vertente sullinsufficiente considerazione dellevoluzione della situazione per effetto del trascorrere del tempo

233    Il ricorrente contesta al Consiglio il fatto di non aver correttamente effettuato l’esame previsto dall’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 per diversi motivi.

234    In primo luogo, al fine di mantenere l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi, il Consiglio si sarebbe limitato ad affermare che le decisioni nazionali erano ancora in vigore e a elencare, al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, una serie di fatti senza verificare se il mantenimento della sua designazione come organizzazione terroristica straniera da parte della decisione americana di riesame del 27 luglio 2012 fosse basata su prove e indizi seri e credibili e se i fatti in questione dovessero essere qualificati come terroristici ai sensi della posizione comune 2001/931.

235    In ogni caso, la decisione americana di riesame del 27 luglio 2012 sarebbe troppo distante nel tempo per giustificare il mantenimento dell’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi e tale obsolescenza non potrebbe essere sanata dalla decisione del Regno Unito del settembre 2016, che riguarda solo Hamas-Izz al-Din al‑Qassem.

236    A tale riguardo, occorre ricordare che, come risulta dai punti da 138 a 144 e da 161 a 163 supra, il reinserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi si basa sul mantenimento in vigore della decisione dello Home Secretary e, nei limiti illustrati nell’ambito dell’esame del secondo motivo di ricorso, sui fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati.

237    Nella misura in cui si riferiscono alla decisione americana di riesame del 27 luglio 2012, le critiche mosse dal ricorrente nell’ambito del presente motivo di ricorso sono inoperanti, poiché il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi non è legittimamente fondato sulla decisione in parola.

238    In secondo luogo, il ricorrente sostiene che i fatti commessi tra il 2014 e il 2016 non potevano essere attribuiti a Hamas o a Hamas-Izz al-Din al‑Qassem.

239    Poiché la suddetta critica è già stata esaminata nell’ambito del secondo motivo di ricorso, si rinvia al punto 176 supra.

240    In terzo luogo, il ricorrente contesta al Consiglio il fatto di non aver considerato alcun elemento a suo discarico. A tale proposito, esso sottolinea, da un lato, che la Carta di Hamas, pubblicata nel 2017, fonda l’azione del medesimo sul principio dell’autodeterminazione e riconosce il rispetto dei confini stabiliti dal piano dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) del 1967 e, dall’altro, che, secondo gli osservatori, dal 2014, gli atti di violenza sono stati commessi da persone isolate, mentre Hamas-Izz al-Din al-Qassem rispetta il cessate il fuoco.

241    A tale riguardo, è necessario rilevare che, in seguito alle lettere del 30 novembre 2017 e del 22 marzo 2018, il ricorrente, nonostante l’invito del Consiglio, non ha preso contatto con tale istituzione al fine di far valere simili elementi a suo discarico. Ciò premesso, non si può addebitare alla medesima istituzione di non averli presi in considerazione nelle motivazioni relative agli atti impugnati.

242    In ogni caso, dall’esame del secondo motivo di ricorso risulta che il reinserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi è adeguatamente fondato sul mantenimento in vigore della decisione dello Home Secretary nonché sui fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati, nei limiti illustrati nell’ambito dell’esame del suddetto motivo di ricorso.

243    Il quinto motivo di ricorso deve essere quindi respinto in quanto infondato.

 Sul settimo motivo di ricorso, vertente sulla violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva

244    Il settimo motivo di ricorso si suddivide in due parti.

 Sulla prima parte del settimo motivo di ricorso

245    Nella prima parte del settimo motivo di ricorso, il ricorrente ritiene che il Consiglio, quando si basa su decisioni nazionali adottate da un’autorità di uno Stato terzo, sia tenuto a verificare che i diritti processuali siano stati effettivamente rispettati nel corso del procedimento nazionale che ha portato all’adozione di tali misure e che il Tribunale debba accertare che l’esame in questione sia stato effettuato.

246    Il ricorrente ritiene che, nel caso di specie, i suoi diritti processuali non siano stati rispettati da parte delle autorità americane. Esso non avrebbe infatti ricevuto alcuna informazione circa la decisione adottata nei suoi confronti negli Stati Uniti, nonostante che una simile notifica fosse perfettamente possibile, essendo il medesimo «ben noto» a Damasco (Siria) e a Gaza. Gli sarebbe stato impedito, di conseguenza, di presentare le proprie osservazioni e di esercitare il proprio diritto di ricorso. Quand’anche la legislazione americana prevedesse un ricorso giurisdizionale, il difetto di notifica e di motivazione avrebbe pregiudicato il suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Come minimo, il Consiglio dovrebbe provare che il governo degli Stati Uniti ha tentato di avvertire il ricorrente e che tale tentativo è fallito.

247    Tenuto conto del fatto che, da un lato, in risposta al primo motivo di ricorso, il Tribunale ha ritenuto che le decisioni americane non potessero costituire una valida base per l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi e che, dall’altro, il reinserimento del suo nome nei medesimi elenchi si basa sul mantenimento della decisione dello Home Secretary e sui fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati (v. punti da 138 a 144 e da 161 a 163 supra), e non sulle decisioni da cui provengono i fatti in questione, la prima parte del settimo motivo di ricorso non può essere utilmente invocata.

 Sulla seconda parte del settimo motivo di ricorso

248    Nella seconda parte del settimo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene che il principio del rispetto dei diritti della difesa è stato violato dal Consiglio nel corso del procedimento che ha portato all’adozione degli atti impugnati; ciò per tre motivi.

249    In primo luogo, il ricorrente contesta al Consiglio il fatto di non avergli trasmesso le prove e gli indizi seri sui quali si basavano le decisioni americane, di modo che esso potesse far conoscere la propria posizione sui medesimi.

250    Giacché, nell’ambito del primo motivo di ricorso, il Tribunale ha dichiarato che le decisioni americane non potevano costituire una valida base per l’inserimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi e che, peraltro, il reinserimento del suo nome nei medesimi elenchi si basa sul mantenimento della decisione dello Home Secretary e sui fatti menzionati al punto 15 dell’allegato A e al punto 17 dell’allegato B della motivazione relativa agli atti impugnati (v. punti da 138 a 144 e da 161 a 163 supra), e non sulle decisioni da cui provengono i fatti in questione, l’argomento in esame deve essere respinto in quanto inoperante.

251    In secondo luogo, il ricorrente contesta al Consiglio il fatto di non avergli comunicato, preliminarmente all’adozione degli atti impugnati, le informazioni e gli elementi di prova riguardanti i fatti che non provenivano da decisioni nazionali e di non averlo sentito in merito alle informazioni e agli elementi di prova in questione. Il ricorrente ritiene altresì che il Consiglio avrebbe dovuto precisare, nella lettera del 30 novembre 2017, che esso aveva il diritto di richiederglieli.

252    A tale riguardo, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza, soltanto su richiesta della parte interessata il Consiglio è tenuto a consentire l’accesso a tutti i documenti amministrativi non riservati relativi alla misura di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 16 novembre 2011, Bank Melli Iran/Consiglio, C‑548/09 P, EU:C:2011:735, punto 92; del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 87, e del 28 luglio 2016, Tomana e a./Consiglio e Commissione, C‑330/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:601, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

253    Orbene, nel caso di specie, il ricorrente non ha avanzato una simile richiesta.

254    Quanto al fatto che la lettera del 30 novembre 2017 non menzionava espressamente la possibilità per il ricorrente di richiedere al Consiglio le informazioni e gli elementi di prova riguardanti i fatti che non provenivano da decisioni nazionali, va osservato che la lettera in questione riportava l’indirizzo al quale il ricorrente poteva inviare osservazioni in merito all’intenzione del Consiglio di mantenere l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi del marzo 2018. È evidente che esso aveva la possibilità di utilizzare detto indirizzo per richiedere le informazioni e gli elementi di prova in questione, cosa che non ha fatto.

255    Ciò posto, gli atti del marzo 2018 non possono essere annullati sulla base del motivo che il Consiglio non avrebbe comunicato le informazioni e gli elementi di prova riguardanti i fatti che non provenivano da decisioni nazionali.

256    In terzo luogo, il ricorrente ritiene che le lettere del 22 marzo e del 31 luglio 2018, contenenti le motivazioni relative agli atti impugnati, avrebbero dovuto essere indirizzate al medesimo, anziché al suo difensore, tenuto conto della sua notorietà a Damasco e a Doha (Qatar).

257    A tale riguardo, va rilevato che l’obbligo di notificare individualmente una motivazione concreta e precisa alle persone e alle entità nei confronti delle quali sono adottate misure restrittive mira essenzialmente a integrare la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta ufficiale, avviso che indica alle persone o alle entità interessate che sono state adottate misure restrittive nei loro confronti e che le invita a chiedere che venga loro trasmessa la motivazione delle stesse misure, fornendo l’indirizzo preciso al quale la suddetta richiesta può essere inviata. La notifica individuale alle persone e alle entità interessate non è pertanto l’unico meccanismo utilizzato per informarle delle misure adottate nei loro confronti (sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, in fase di impugnazione, EU:T:2018:966, punto 175).

258    Inoltre, dalla giurisprudenza emerge che l’obbligo di notificare individualmente la motivazione delle misure restrittive non si applica in tutti i casi, ma solo qualora risulti possibile (v. sentenza del 14 dicembre 2018, Hamas/Consiglio, T‑400/10 RENV, in fase di impugnazione, EU:T:2018:966, punto 176 e giurisprudenza ivi citata).

259    Orbene, nel caso di specie, risulta che, anche nell’ambito della presente causa, l’indirizzo del ricorrente resta ignoto, atteso che le uniche indicazioni fornite da questi al Tribunale si limitano al nome di una città e di un paese (Doha in Qatar e Gaza) (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2018, CIF, T‑400/10 RENV, EU:T:2018:966, punto 177).

260    Legittimamente quindi il Consiglio, oltre a pubblicare gli avvisi del 22 marzo e del 31 luglio 2018, ha trasmesso all’avvocato del ricorrente le motivazioni relative agli atti impugnati.

261    Alla luce di tutti gli elementi che precedono, si deve respingere il settimo motivo di ricorso in quanto infondato.

 Sullottavo motivo di ricorso, vertente sulla «mancanza di autenticazione delle motivazioni»

262    Nella risposta fornita, il 19 marzo 2019, al quesito postogli il precedente 1o marzo dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il ricorrente solleva un ottavo motivo di ricorso, vertente sulla «mancanza di autenticazione delle motivazioni».

263    Il ricorrente osserva che le motivazioni relative agli atti impugnati, che sono state trasmesse dal Consiglio al suo avvocato con le lettere del 22 marzo e del 31 luglio 2018, non erano firmate dal presidente di tale istituzione e, pertanto, non erano state autenticate, contrariamente a quanto richiesto dall’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio, quale adottato dalla decisione 2009/937/UE del 1o dicembre 2009 (GU 2009, L 325, pag. 35).

264    Il richiedente sostiene che, in assenza di una simile autenticazione, esso non può essere certo che le motivazioni trasmessegli corrispondano a quelle adottate dal Consiglio.

265    Senza eccepire l’irricevibilità del motivo di ricorso in esame, il Consiglio constata, nelle proprie osservazioni sull’ottavo motivo di ricorso, che il ricorrente l’ha sollevato solo in occasione di una risposta a un quesito del Tribunale e che non l’aveva dedotto né nel ricorso né nella memoria di adattamento.

266    A tale proposito, è opportuno ricordare che, in applicazione dell’articolo 84 del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi di ricorso nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi nel corso del procedimento.

267    Nella fattispecie, l’ottavo motivo di ricorso è stato sollevato dal ricorrente in occasione di una risposta a un quesito posto dal Tribunale nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, laddove avrebbe potuto esserlo sin dalla fase del ricorso. Esso deve dunque essere considerato irricevibile.

268    Nondimeno, il Tribunale, sentite le parti, può pronunciarsi d’ufficio, in qualsiasi momento, su un motivo di ordine pubblico (v., in tal senso, sentenza del 1o luglio 2008, Chronopost e La Poste/UFEX ea, C‑341/06 P e C‑342/06 P, EU:C:2008:375, punti 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata).

269    Poiché l’assenza di autenticazione costituisce una violazione di una forma sostanziale ai sensi dell’articolo 263 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a., C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punto 76), l’ottavo motivo di ricorso riveste carattere di ordine pubblico (v., in tal senso, sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 67, e del 30 marzo 2000, VBA/Florimex e a., C‑265/97 P, EU:C:2000:170, punto 114), sicché occorre esaminarlo.

270    Nel merito, occorre ricordare che l’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE così recita:

«Gli atti non legislativi adottati sotto forma di regolamenti, di direttive e di decisioni, quando queste ultime non designano i destinatari, sono firmati dal presidente dell’istituzione che li ha adottati».

271    Inoltre, l’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio prevede quanto segue:

«In calce al testo (…) degli atti adottati dal Consiglio è apposta la firma del presidente in carica al momento della loro adozione e quella del segretario generale. Il segretario generale può delegare il suo potere di firma a direttori generali del segretariato generale».

272    Nella sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a. (C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punto 75), citata dal ricorrente, la Corte ha statuito, in riferimento a una decisione adottata dalla Commissione europea, che l’autenticazione prevista dal regolamento interno di tale istituzione mirava a garantire la certezza del diritto fissando, nelle lingue che fanno fede, il testo adottato dal collegio.

273    Secondo la Corte, l’autenticazione prevista dal regolamento interno della Commissione permette di controllare, in caso di contestazione, la perfetta corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con il testo adottato dall’istituzione e, quindi, con la volontà del loro autore (sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a., C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punto 75).

274    Ne consegue, secondo la Corte, che l’autenticazione richiesta dal regolamento interno della Commissione costituisce, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, una forma sostanziale la cui violazione può giustificare un ricorso di annullamento (sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a., C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punto 76).

275    Le regole succitate, enunciate nella sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a. (C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punti 75 e 76), in relazione ad atti della Commissione, devono essere applicate agli atti del Consiglio.

276    Come per gli atti della Commissione, il principio della certezza del diritto esige che i terzi dispongano di un mezzo per verificare che gli atti del Consiglio che sono pubblicati o notificati corrispondano a quelli che sono stati adottati.

277    Lo stesso vale anche se, a differenza della Commissione, il Consiglio non è un collegio. Invero, nella sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a. (C‑137/92 P, EU:C:1994:247), la Corte, per giustificare l’obbligo di autenticare alcuni atti, si è in particolare basata sulla necessità di garantire la certezza del diritto, consentendo di verificare, in caso di contestazione, la perfetta corrispondenza dei testi notificati o pubblicati con il testo adottato dall’istituzione. Orbene, la certezza del diritto è un principio generale del diritto che si applica a tutte le istituzioni, in particolare quando, come avviene nel caso di specie, esse adottano atti destinati a produrre effetti sulla situazione giuridica delle persone giuridiche o dei privati.

278    Nel caso di specie, è pacifico che le motivazioni relative agli atti impugnati trasmesse al ricorrente non contengono alcuna firma, ma si presentano, di per sé, come documenti dattiloscritti senza intestazione e non contenenti alcuna menzione, neppure una data, che consenta di identificarli come atti provenienti dal Consiglio e di determinare il momento in cui sono stati adottati.

279    In allegato alle osservazioni sull’ottavo motivo di ricorso, il Consiglio ha trasmesso al Tribunale gli atti impugnati, datati e recanti la firma del proprio presidente e quella del proprio segretario generale.

280    È tuttavia necessario constatare che i suddetti atti non contengono le motivazioni alla base della loro adozione.

281    Orbene, in applicazione dell’articolo 296 TFUE, gli atti adottati dal Consiglio devono essere motivati, atteso che la disposizione in questione richiede, conformemente a una giurisprudenza costante, che l’istituzione interessata esponga le ragioni che l’hanno indotta ad adottarli, onde consentire all’interessato di conoscere le giustificazioni dei provvedimenti adottati e al giudice competente di esercitare il suo controllo (sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

282    Il dispositivo di un atto può essere compreso e la sua portata misurata solo alla luce della sua motivazione. Poiché il dispositivo e la motivazione costituiscono un tutto inscindibile (sentenze del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a., C‑137/92 P, EU:C:1994:247, punto 67, e del 18 gennaio 2005, Confédération Nationale du Crédit Mutuel/Commissione, T‑93/02, EU:T:2005:11, punto 124), non è possibile operare alcuna distinzione tra la motivazione e il dispositivo di un atto per l’applicazione delle disposizioni che richiedono la sua autenticazione. Allorché, come nel caso di specie, l’atto e la motivazione sono contenuti in documenti distinti, entrambi devono essere autenticati, come prescritto dalle disposizioni in questione, senza che la presenza di una firma su uno di essi possa dar luogo a una presunzione, relativa o assoluta, che il secondo sia stato parimenti autenticato.

283    Come il Consiglio stesso riconosce al punto 29 delle proprie osservazioni sull’ottavo motivo di ricorso, la firma dei suoi atti costituisce una forma sostanziale. Di conseguenza, poiché risulta che essa non è stata rispettata nella fattispecie, gli atti impugnati devono essere annullati.

284    L’analisi suesposta è contestata dal Consiglio.

285    In primo luogo, il Consiglio afferma che la giurisprudenza gli impone di separare, nell’ambito della posizione comune 2001/931, le motivazioni dagli atti stessi. Per quanto riguarda le misure restrittive adottate dal Consiglio, è pertanto dalla giurisprudenza che risulterebbe la situazione attuale, nella quale gli atti sono firmati, ma non le motivazioni, sicché nessun addebito potrebbe essergli mosso su questo punto e gli atti non potrebbero, di conseguenza, essere annullati.

286    A tale riguardo, è necessario rilevare che, in applicazione dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, tutti gli atti devono essere motivati e che, come rilevato al punto 282 supra, il dispositivo e la motivazione di una decisione costituiscono un tutto inscindibile.

287    È vero che, in considerazione del fatto che la pubblicazione dettagliata delle censure assunte a carico delle persone e delle entità interessate potrebbe scontrarsi con ragioni imperative di interesse generale e pregiudicare i loro legittimi interessi, è stato ammesso che la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del dispositivo e di una motivazione generica di misure di congelamento dei capitali fosse sufficiente, fermo restando che la motivazione specifica e concreta della medesima decisione doveva essere formalizzata e portata a conoscenza degli interessati mediante qualsiasi altro strumento appropriato (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, EU:T:2006:384, punto 147).

288    Tuttavia, tale tolleranza riguarda soltanto la pubblicazione degli atti e non gli atti stessi, sicché essa non incide sull’obbligo, previsto all’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE e all’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio, di firmarli.

289    In secondo luogo, il Consiglio indica che gli atti impugnati e le motivazioni alla base degli stessi sono stati adottati simultaneamente dagli Stati membri in esito a una procedura scritta rigorosa, quale prevista all’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento interno.

290    Anzitutto, il gruppo di lavoro competente del Consiglio, ossia il gruppo «Misure restrittive per la lotta al terrorismo» (COMET), avrebbe discusso l’eventuale reinserimento del nome del ricorrente sulla base della motivazione esistente e avrebbe ritenuto che nessuna nuova informazione deponesse a favore della cancellazione del suo nome dall’elenco. Su tale base, il COMET avrebbe messo a punto le motivazioni afferenti a tutte le entità e persone interessate.

291    Inoltre, rispettivamente il 5 marzo e il 3 luglio 2018, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza avrebbe presentato le proprie proposte in vista dell’adozione degli atti impugnati. L’8 marzo e il 5 luglio 2018, le stesse proposte sarebbero state esaminate da un gruppo di lavoro del Consiglio, ossia il gruppo «Consiglieri per le relazioni esterne» (RELEX), che avrebbe messo a punto il testo dei progetti.

292    Infine, il Segretariato generale del Consiglio avrebbe preparato una nota per il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) e per il Consiglio contenente tutti i documenti che avrebbero dovuto essere adottati. Su tale base, il Segretariato generale del Consiglio avrebbe quindi avviato procedure scritte conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento interno del Consiglio. I documenti che avrebbero avviato le suddette procedure scritte avrebbero illustrato nel dettaglio proprio i documenti da esse interessati e, tra i medesimi documenti, sarebbero figurati sia i progetti degli atti impugnati sia i progetti delle motivazioni a essi relativi. Tutte le delegazioni degli Stati membri avrebbero approvato tali progetti.

293    Dal rispetto delle procedure in questione e dai documenti che ne sono scaturiti risulterebbe con certezza che gli atti impugnati, comprese le motivazioni, sarebbero stati adottati dal Consiglio e che gli stessi sarebbero il risultato della volontà di quest’ultimo.

294    Un simile argomento non può essere accolto.

295    A tale riguardo, è importante ricordare che la firma degli atti del Consiglio da parte del suo presidente e del suo segretario generale, prevista dall’articolo 297, paragrafo 2, primo comma, TFUE e dall’articolo 15 del regolamento interno del Consiglio, è intesa in particolare a consentire ai terzi di assicurarsi che gli atti loro notificati siano stati effettivamente adottati da tale istituzione.

296    In altre parole, l’autenticazione degli atti del Consiglio può essere intesa come la concretizzazione dell’accertamento del presidente e del segretario generale di tale istituzione che gli atti in questione sono stati effettivamente adottati da quest’ultima.

297    Detta formalità non può essere sostituita dalla descrizione della procedura seguita in seno al Consiglio per adottare gli atti di cui trattasi. Quando il trattato e il regolamento interno di un’istituzione impongono a quest’ultima di adempiere una formalità specifica volta a garantire il rispetto del principio della certezza del diritto a favore dei terzi, vale a dire la firma degli atti da essa adottati, la medesima istituzione non può esimersi da tale formalità adducendo che le norme procedurali previste dal regolamento di ordine interno sono state rispettate.

298    In terzo luogo, il Consiglio sostiene che, nella presente causa, il contesto fattuale è diverso da quello della causa che ha dato origine alla sentenza del 15 giugno 1994, Commissione/BASF e a. (C‑137/92 P, EU:C:1994:247), nella quale la decisione impugnata non corrispondeva alla versione adottata dalla Commissione. Una simile situazione non potrebbe prodursi per gli atti del Consiglio per via delle procedure interne applicate in seno allo stesso e il ricorrente non avrebbe peraltro fornito alcun elemento che suggerisca che le motivazioni sarebbero state modificate dopo la loro adozione.

299    A tale riguardo, si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza, la violazione di una forma sostanziale è determinata dalla sola mancanza di autenticazione di un atto, senza che sia necessario dimostrare in aggiunta che l’atto presenti un altro vizio o che l’assenza di autenticazione abbia causato un danno a chi la deduce (sentenze del 6 aprile 2000, Commissione/ICI, C‑286/95 P, EU:C:2000:188, punto 42, e del 6 aprile 2000, Commissione/Solvay, C‑287/95 P e C‑288/95 P, EU:C:2000:189, punto 46).

300    Per quanto è necessario, occorre constatare che in nessun momento il Consiglio ha sostenuto, nelle proprie memorie scritte, che gli fosse impossibile procedere all’autenticazione delle motivazioni relative agli atti impugnati.

301    Essendo state apposte sugli atti impugnati, le firme del presidente e del segretario generale del Consiglio potevano essere apposte anche sulle motivazioni a essi relativi. Dovevano esserlo, in quanto gli atti impugnati e le loro motivazioni erano oggetto di documenti distinti e, come emerge dai punti 281 e 282 supra, le seconde costituivano il complemento indispensabile dei primi.

302    Come indicato al punto 283 supra, il Consiglio stesso ha riconosciuto l’importanza della firma degli atti giuridici che esso adotta, qualificandola, al punto 29 della sua risposta al quesito del Tribunale, come forma sostanziale.

303    Infine, il Consiglio afferma che, se il Tribunale ritenesse che gli atti impugnati presentassero un vizio di forma, tale vizio non sarebbe sufficiente per annullare gli atti impugnati.

304    L’argomento suesposto deve essere parimenti respinto. Dal momento che la firma degli atti del Consiglio da parte del suo presidente e del suo segretario generale costituisce una forma sostanziale, la sua violazione deve comportare, secondo la giurisprudenza, l’annullamento degli atti impugnati (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, Spagna/Commissione, C‑263/13 P, EU:C:2015:415, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

305    In conclusione, poiché le motivazioni relative agli atti impugnati non sono state firmate dal presidente del Consiglio e dal suo segretario generale sebbene le stesse figurassero in documenti distinti, si deve accogliere l’ottavo motivo di ricorso e annullare gli atti impugnati, nella parte in cui riguardano il ricorrente.

 Sulle spese

306    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

307    Il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal ricorrente, conformemente alla domanda di quest’ultimo.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione (PESC) 2018/475 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/1426, il regolamento di esecuzione (UE) 2018/468 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420, la decisione (PESC) 2018/1084 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2018/475, e il regolamento di esecuzione (UE) 2018/1071 del Consiglio, del 30 luglio 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2018/468, sono annullati nella parte in cui riguardano «“Hamas”, incluso “HamasIzz alDin alQassem”».

2)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute da Hamas.

Pelikánová

Nihoul

Svenningsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 settembre 2019.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.