Language of document : ECLI:EU:T:2017:795

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

10 novembre 2017 (*)

«Concorrenza – Intese – Settore dei derivati sui tassi di interesse in yen – Decisione che constata sei infrazioni all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo SEE – Manipolazione dei tassi di riferimento interbancari JPY LIBOR e Euroyen TIBOR – Restrizione della concorrenza per oggetto – Partecipazione di un intermediario alle infrazioni – Procedimento “ibrido” di transazione – Principio della presunzione d’innocenza – Principio di buona amministrazione – Ammende – Importo di base – Adeguamento eccezionale – Articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑180/15,

Icap plc, con sede a Londra (Regno Unito),

Icap Management Services Ltd, con sede a Londra,

Icap New Zealand Ltd, con sede a Wellington (Nuova Zelanda),

rappresentate da C. Riis-Madsen e S. Frank, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da V. Bottka, B. Mongin e J. Norris-Usher, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta, in via principale, all’annullamento della decisione C(2015) 432 final della Commissione, del 4 febbraio 2015, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen) e, in subordine, alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte in tale decisione alle ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata),

composto da M. Prek (relatore), presidente, E. Buttigieg, F. Schalin, B. Berke e M. J. Costeira, giudici,

cancelliere: L. Grzegorczyk, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 gennaio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        Le ricorrenti, l’Icap plc, l’Icap Management Services Ltd e l’Icap New Zealand Ltd, fanno parte di un’impresa di servizi d’intermediazione attraverso reti vocali ed elettroniche la quale è altresì fornitore di servizi di post-negoziazione (in prosieguo: l’«Icap»).

2        Con la sua decisione C(2015) 432 final, del 4 febbraio 2015, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione europea ha dichiarato che l’Icap aveva partecipato alla realizzazione di sei infrazioni all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo SEE riguardanti la manipolazione dei tassi di riferimento interbancari London Interbank Offered Rate (LIBOR, tasso interbancario di Londra) e Tokyo Interbank Offered Rate (TIBOR, tasso interbancario di Tokyo) sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi, le quali erano state precedentemente constatate dalla decisione C(2013) 8602 final della Commissione, del 4 dicembre 2013, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen) (in prosieguo: la «decisione del 2013»).

3        Il 17 dicembre 2010, l’UBS AG e l’UBS Securities Japan (congiuntamente, in prosieguo: l’«UBS») hanno presentato alla Commissione una domanda di attribuzione di un numero d’ordine (il cosiddetto marker) ai sensi della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), informandola dell’esistenza di un cartello nel settore dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi.

4        Il 24 aprile 2011, il 18 novembre 2011, il 28 settembre 2012 e il 3 dicembre 2012, la Citigroup Inc. e la Citigroup Global Markets Japan Inc. (congiuntamente, in prosieguo: la «Citi»), la Deutsche Bank Aktiengesellschaft (in prosieguo: la «DB»), la R. P. Martin Holdings e la Martin Brokers (UK) Ltd nonché la The Royal Bank of Scotland (in prosieguo: la «RBS») hanno rispettivamente presentato domande ai sensi della comunicazione sulla cooperazione (punti da 47 a 50 della decisione impugnata). Il 29 giugno 2011 e il 12 febbraio 2013, la Commissione ha concesso all’UBS e alla Citi un’immunità condizionale in applicazione del paragrafo 8, lettera b), di tale comunicazione (punti 45 e 47 di tale decisione).

5        Il 12 febbraio 2013, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento (CE) n.°1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), la Commissione ha avviato una procedura d’infrazione contro l’UBS, la RBS, la DB, la Citi, la R. P. Martin Holdings e la Martin Brokers (UK), nonché la JP Morgan Chase & Co., la JP Morgan Chase Bank, la National Association e la J.P. Morgan Europe Ltd (punto 51 della decisione impugnata).

6        Il 29 ottobre 2013, la Commissione ha trasmesso una comunicazione degli addebiti alle società di cui al precedente punto 5 (punto 52 della decisione impugnata).

7        In applicazione della procedura di transazione di cui all’articolo 10 bis del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18), come modificato dal regolamento (CE) n. 622/2008 della Commissione del 30 giugno 2008 (GU 2008, L 171, pag. 3), la Commissione ha adottato la decisione del 2013, con cui ha concluso che le società di cui al precedente punto 5 avevano violato le disposizioni dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 SEE partecipando ad accordi o a pratiche concordate dirette a restringere o falsare la concorrenza nel settore dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi.

A.      Procedimento amministrativo all’origine della decisione impugnata

8        Il 29 ottobre 2013, a norma dell’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003, la Commissione ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti delle ricorrenti (punto 53 della decisione impugnata).

9        Il 31 ottobre 2013 si è tenuta una riunione diretta a giungere a una transazione ai sensi dell’articolo 10 bis del regolamento n. 773/2004, nel corso della quale la Commissione ha presentato alle ricorrenti gli addebiti che intendeva muovere all’Icap nonché le prove principali in suo possesso alla base degli stessi (punto 54 della decisione impugnata).

10      Il 12 novembre 2013 le ricorrenti hanno informato la Commissione della loro intenzione di non optare per un procedimento di transazione (punto 55 della decisione impugnata).

11      Il 6 giugno 2014 la Commissione ha inviato alle ricorrenti una comunicazione degli addebiti. Queste ultime vi hanno risposto il 14 agosto 2014 nonché al momento dell’audizione che si è tenuta il 12 settembre 2014 (punti 58 e 59 della decisione impugnata).

12      Il 4 febbraio 2015 la Commissione ha adottato la decisione impugnata, contestando all’Icap di aver «facilitato» sei infrazioni e infliggendole sei ammende per un importo complessivo di EUR 14 960 000.

B.      Decisione impugnata

1.      Strumenti finanziari derivati di cui trattasi

13      Le infrazioni in questione vertono su derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi indicizzati sul JPY LIBOR (LIBOR in yen giapponesi) o sull’Euroyen TIBOR. Il JPY LIBOR è un insieme di tassi d’interesse di riferimento applicato a Londra (Regno Unito) che, al momento dell’adozione della decisione impugnata, era stabilito e pubblicato dalla British Bankers Association (BBA, Associazione delle banche britanniche) e utilizzato per numerosi strumenti finanziari in yen giapponesi. Esso è calcolato a partire dalle offerte del tasso presentate giornalmente da una commissione di banche appartenenti a tale associazione (in prosieguo: la «commissione JPY LIBOR»). Tali offerte consentono di stabilire il tasso «medio» a partire dal quale ogni banca, membro di tale commissione, potrebbe contrarre prestiti richiedendo e accettando offerte interbancarie in volumi ragionevoli. Sulla base delle informazioni comunicate da tali banche ed escludendo i quattro riferimenti più elevati e i quattro riferimenti meno elevati la BBA stabiliva così i tassi giornalieri del JPY LIBOR. L’Euroyen TIBOR è un insieme di tassi d’interesse di riferimento applicato a Tokyo (Giappone) che svolge una funzione equivalente, ma è calcolato dalla Japanese Banker Association (JBA, Associazione delle banche giapponesi) a partire dalle offerte di un gruppo di membri di tale associazione ed escludendo i due riferimenti più elevati nonché i due meno elevati. La Commissione ha accertato che i tassi del JPY LIBOR e dell’Euroyen TIBOR costituivano una componente dei prezzi dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi. Essi possono incidere sul livello di denaro contante che una banca dovrà versare o riceverà dalla sua controparte alla scadenza del termine o a intervalli stabiliti. I derivati più frequenti sono i contratti su tassi a termine del tipo forward rate agreement, gli swap su tassi d’interesse, le opzioni su tassi d’interesse e i future sui tassi d’interesse (v. punti da 9 a 19 della decisione impugnata).

2.      Comportamenti contestati all’Icap

14      I comportamenti contestati all’Icap consistono nella «facilitazione» di sei infrazioni, ossia:

–        l’«infrazione UBS/RBS del 2007», tra il 14 agosto e il 1o novembre 2007;

–        l’«infrazione UBS/RBS del 2008», tra il 28 agosto e il 3 novembre 2008;

–        l’«infrazione UBS/DB», tra il 22 maggio e il 10 agosto 2009;

–        l’«infrazione Citi/RBS», tra il 3 marzo e il 22 giugno 2010;

–        l’«infrazione Citi/DB», tra il 7 aprile e il 7 giugno 2010;

–        l’«infrazione Citi/UBS», tra il 28 aprile e il 2 giugno 2010.

15      In primo luogo, la Commissione ha considerato, segnatamente, che l’Icap operasse come intermediario sul mercato dei depositi in contante di yen giapponesi, mediante il tramite del suo sportello «Cash/Money Market desk», basato a Londra. Nell’ambito di tale attività, essa avrebbe fornito agli attori di tale mercato stime sia sui volumi disponibili sia sui prezzi, la cui finalità sarebbe quella di facilitare la conclusione di accordi tra tali attori. Per quanto concerne più precisamente le stime fornite dall’Icap a tali attori, la Commissione ha rilevato, in sostanza, che queste ultime includevano le sue stime relative ai tassi del JPY LIBOR del giorno, sotto forma di un bollettino («Run Thrus») trasmesso a taluni istituti finanziari, tra cui alcuni membri della commissione JPY LIBOR. Essa ha ritenuto che tale bollettino avesse avuto un’influenza notevole sul comportamento delle banche al momento dell’emissione delle loro offerte di tassi (punti da 98 a 101 della decisione impugnata).

16      In secondo luogo, la Commissione ha rilevato che l’Icap era altresì un intermediario sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi e che esercitava tale ruolo mediante uno sportello specifico. Essa ha ritenuto che alcuni traders operanti all’interno di tale sportello, oltre a transazioni legittime con il sig. H., trader dell’UBS e successivamente della Citi, abbiano altresì, su richiesta di quest’ultimo, cercato di influire sul valore del JPY LIBOR mediante una modifica del bollettino in questione oppure utilizzando i contatti dell’Icap con talune banche della commissione JPY LIBOR (punti 102 e 103 della decisione impugnata).

17      In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che ciò avesse portato l’Icap a facilitare la realizzazione delle sei infrazioni constatate nella decisione del 2013 (punti da 165 a 171 della decisione impugnata). Per quanto riguarda, innanzitutto, le infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/RBS del 2008 e UBS/DB, essa ha rilevato che un trader dell’UBS aveva utilizzato i servizi dell’Icap per influenzare le offerte di talune banche appartenenti alla commissione JPY LIBOR che non partecipavano a questi tre cartelli. A tal riguardo, essa ha contestato all’Icap di aver utilizzato i suoi contatti con le banche appartenenti a tale gruppo nel senso voluto dall’UBS e di aver diffuso informazioni errate vertenti sui futuri tassi del JPY LIBOR [punto 77, lettere a) e b), e punti da 106 a 141 di tale decisione]. Per quanto riguarda poi le infrazioni Citi/UBS e Citi/DB, essa ha accertato che un trader della Citi aveva utilizzato i servizi dell’Icap per influenzare le offerte di determinate banche appartenenti a tale gruppo che non partecipavano a questi due cartelli. In tale situazione, essa ha altresì contestato all’Icap di aver utilizzato i suoi contatti con le banche appartenenti al medesimo gruppo e di aver diffuso informazioni errate [punto 83, lettere a) e b), e punti da 154 a 164 di tale decisione]. Per quanto riguarda, infine, l’infrazione Citi/RBS, essa ha contestato all’Icap di aver funto da mezzo di comunicazione tra un trader della Citi e un trader della RBS per facilitarne la realizzazione (punti 84 e da 142 a 153 della medesima decisione).

3.      Calcolo dell’ammenda

18      La Commissione ha rammentato in via preliminare che, in applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), l’importo di base dell’ammenda deve essere determinato tenuto conto del contesto in cui l’infrazione è stata commessa nonché, segnatamente, della gravità e della durata dell’infrazione e che il ruolo svolto da ciascuno dei partecipanti deve essere oggetto di una valutazione individuale che rispecchi al contempo eventuali circostanze aggravanti o attenuanti (punto 284 della decisione impugnata).

19      La Commissione ha osservato che gli orientamenti del 2006 fornivano poche indicazioni sul metodo di calcolo dell’ammenda per i facilitatori. Poiché l’Icap era un operatore attivo sul mercato dei servizi d’intermediazione, e non su quello dei derivati sui tassi d’interesse, essa ha ritenuto di non poter sostituire le spese di mediazione con quelle dei prezzi dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi per stabilire il fatturato e fissare l’importo dell’ammenda, giacché una siffatta sostituzione non avrebbe rispecchiato la gravità e la natura dell’infrazione. Essa ne ha dedotto, in sostanza, che occorresse applicare il punto 37 degli orientamenti del 2006 che consente di discostarsi da questi ultimi per quanto riguarda la determinazione dell’importo di base dell’ammenda (punto 287 della decisione impugnata).

20      Tenuto conto della gravità dei comportamenti in questione e della durata della partecipazione dell’Icap a ciascuna delle sei frazioni di cui trattasi, la Commissione ha fissato, per ognuna di esse, un importo di base dell’ammenda, ossia EUR 1 040 000 per l’infrazione UBS/RBS del 2007, EUR 1 950 000 per l’infrazione UBS/RBS del 2008, EUR 8 170 000 per l’infrazione UBS/DB, EUR 1 930 000 per l’infrazione Citi/RBS, EUR 1 150 000 per l’infrazione Citi/DB e EUR 720 000 per l’infrazione Citi/UBS (punto 296 della decisione impugnata).

21      Per quanto attiene alla determinazione dell’importo definitivo dell’ammenda, la Commissione non ha riconosciuto la sussistenza di alcuna circostanza aggravante o attenuante e ha preso atto che il limite massimo del 10% del fatturato annuo non era stato superato (punto 299 della decisione impugnata). L’articolo 2 del dispositivo della decisione impugnata infligge, pertanto, alle ricorrenti ammende il cui importo definitivo equivale a quello del loro importo di base.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

22      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria il 14 aprile 2015 le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

23      Il 15 febbraio 2016, su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione), nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del suo regolamento di procedura, ha invitato le ricorrenti a rispondere a un quesito relativo al loro secondo motivo, in seguito alla pronuncia della sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717).

24      Il 29 febbraio 2016 le ricorrenti hanno risposto al quesito posto dal Tribunale, rinunciando a una parte del loro secondo motivo.

25      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la causa in esame.

26      Su proposta della Seconda Sezione, il Tribunale ha deciso la rimessione della causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura.

27      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento ai sensi dell’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto alle parti quesiti scritti e ha chiesto alla Commissione di produrre le domande di transazione presentate dall’UBS per le infrazioni UBS/RBS del 2007 e UBS/RBS del 2008.

28      Il 30 novembre 2016 la Commissione ha rifiutato di ottemperare alla richiesta di produzione di documenti. Con ordinanza del 1o dicembre 2016 il Tribunale ha ordinato alla Commissione di fornirgli tali due documenti. Conformemente all’articolo 92, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di procedura e al fine di conciliare, da un lato, il principio del contraddittorio e, dall’altro, le caratteristiche del procedimento di transazione, l’ordinanza del 1o dicembre 2016 ha limitato la consultazione di tali due documenti ai soli rappresentanti delle parti presso la cancelleria, senza che se ne potessero estrarre copie. Il 7 dicembre 2016 la Commissione ha ottemperato a tale misura istruttoria.

29      L’8 e il 9 dicembre 2016 le ricorrenti e la Commissione, rispettivamente, hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale. Il 31 dicembre 2016 e il 5 gennaio 2017 la Commissione e le ricorrenti, rispettivamente, hanno presentato le loro osservazioni sulle risposte presentate dall’altra parte.

30      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 10 gennaio 2017.

31      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare, in tutto o in parte, la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare o ridurre l’importo delle ammende inflitte;

–        condannare la Commissione a tutte le spese sostenute nell’ambito della presente controversia;

–        adottare tutte le misure che il Tribunale ritenga opportune.

32      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

III. In diritto

A.      Sulla ricevibilità di un documento e di un capo delle conclusioni

33      La Commissione contesta la ricevibilità del quarto capo delle conclusioni delle ricorrenti nonché la ricevibilità di una lettera trasmessa al Tribunale.

1.      Sulla ricevibilità del quarto capo delle conclusioni delle ricorrenti

34      Con il quarto capo delle loro conclusioni le ricorrenti chiedono al Tribunale «di adottare tutte le misure che [esso] ritenga opportune».

35      Nei limiti in cui un siffatto capo delle conclusioni deve essere interpretato come una richiesta che il Tribunale rivolga ingiunzioni alla Commissione, occorre rammentare che, in forza di una costante giurisprudenza, non spetta al giudice dell’Unione europea rivolgere ingiunzioni alle istituzioni dell’Unione o sostituirsi a queste ultime nell’ambito del controllo di legittimità da esso esercitato. Spetta all’istituzione interessata, in forza dell’articolo 266 TFUE, adottare le misure che comporta l’esecuzione di una sentenza emessa nell’ambito di un ricorso di annullamento (v. sentenza del 30 maggio 2013, Omnis Group/Commissione, T‑74/11, non pubblicata, EU:T:2013:283, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

36      Il quarto capo delle conclusioni, nei limiti in cui contiene una domanda d’ingiunzione, deve quindi essere dichiarato irricevibile.

2.      Sulla contestazione della ricevibilità di una lettera delle ricorrenti

37      Nella controreplica, la Commissione sostiene che una lettera delle ricorrenti inviata al Tribunale e di cui le è stata trasmessa una copia direttamente dalle ricorrenti stesse deve essere dichiarata irricevibile in quanto non sarebbe conforme alle disposizioni del regolamento di procedura.

38      È sufficiente sottolineare a tal riguardo che, con decisione del 2 marzo 2016,si è deciso di non versare tale lettera agli atti. La contestazione della Commissione in merito alla ricevibilità è divenuta, pertanto, priva di oggetto.

B.      Sulle conclusioni dirette all’annullamento

39      A sostegno della domanda di annullamento della decisione impugnata, le ricorrenti deducono sei motivi. I primi quattro motivi, vertenti rispettivamente, in primo luogo, sull’interpretazione e l’applicazione della nozione di restrizione o distorsione della concorrenza «per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in secondo luogo, sull’applicazione alle circostanze del caso di specie della nozione di «facilitazione», in terzo luogo, sulla durata delle sei infrazioni in questione e, in quarto luogo, su una violazione dei principi della presunzione d’innocenza e di buona amministrazione, riguardano la legittimità dell’articolo 1 di tale decisione, relativo all’esistenza di dette infrazioni. Il quinto e il sesto motivo, relativi, rispettivamente, alla determinazione dell’importo delle ammende e a una violazione del principio del ne bis in idem, riguardano la legittimità dell’articolo 2 di tale decisione, relativo alle ammende inflitte dalla Commissione per ognuna di tali infrazioni.

1.      Sul primo motivo, vertente su errori nell’interpretazione e nell’applicazione della nozione di restrizione e di distorsione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

40      Nell’ambito del primo motivo, le ricorrenti contestano la qualificazione come infrazione per oggetto applicata ai comportamenti censurati dalla Commissione, in quanto questi ultimi non sarebbero idonei a influenzare la concorrenza, e ne deducono che l’Icap non può essere ritenuta responsabile della «facilitazione» di una qualsivoglia infrazione.

41      La Commissione chiede che il presente motivo venga respinto.

42      Nei limiti in cui è in discussione la qualificazione come infrazioni per oggetto applicata dalla Commissione, occorre rammentare che, per rientrare nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo, una decisione di associazione d’imprese o una pratica concordata devono avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato interno.

43      A tal proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 49, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 113; v. altresì, in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 34).

44      Alcune forme di coordinamento tra imprese, infatti, possono essere ritenute, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 50, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 114; v. altresì, in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 35).

45      È quindi pacifico che la probabilità che certi comportamenti collusivi, come quelli volti alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi, è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare che tali comportamenti hanno effetti concreti sul mercato. L’esperienza, infatti, mostra che siffatti comportamenti determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo ad una scorretta allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 51, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 115).

46      Nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà, per contro, esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo. (sentenze del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 34; dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 52, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 116).

47      Secondo la giurisprudenza della Corte, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione d’imprese presenti un grado sufficiente di dannosità per essere considerato una restrizione della concorrenza «per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale esso si colloca. Nell’ambito della valutazione di tale contesto si deve altresì prendere in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti, nonché le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione (sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 53, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 117; v., altresì, in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 36).

48      Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo tra imprese, nulla vieta alle autorità garanti della concorrenza ovvero ai giudici nazionali e dell’Unione di tenerne conto (sentenze del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 37; dell’11 settembre 2014, CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 54, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 118).

49      Per quanto riguarda, in particolare, lo scambio d’informazioni tra concorrenti, occorre ricordare che i criteri del coordinamento e della cooperazione, costitutivi di una pratica concordata, devono essere intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo la quale ogni operatore economico deve determinare autonomamente la condotta che intende seguire sul mercato comune (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 32, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 119).

50      Se è vero che la suddetta esigenza di autonomia non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o atteso dei loro concorrenti, nondimeno essa vieta rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti, diretti o indiretti, in grado di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, oppure di rivelare a tale concorrente il comportamento che si intende tenere, o che si prevede di tenere, sul mercato, qualora tali contatti abbiano per oggetto, o producano l’effetto, di realizzare condizioni di concorrenza diverse da quelle normali nel mercato in questione, tenuto conto della natura dei prodotti o delle prestazioni fornite, dell’importanza e del numero delle imprese e del volume di detto mercato (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 33, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 120).

51      In tal senso, la Corte ha dichiarato che lo scambio d’informazioni tra concorrenti poteva risultare contrario alle regole della concorrenza qualora riducesse o annullasse il grado d’incertezza in ordine al funzionamento del mercato di cui trattasi, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese (sentenze del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, EU:C:2003:527, punto 89; del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 35, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 121).

52      In particolare, si deve ritenere che abbia un oggetto anticoncorrenziale uno scambio d’informazioni che sia idoneo a eliminare talune incertezze nei soggetti coinvolti in relazione al momento, alla portata e alle modalità dell’adeguamento del comportamento sul mercato che le imprese interessate porranno in essere (sentenza del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 122; v. altresì, in tal senso, sentenza del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 41).

53      Inoltre, una pratica concordata può avere un oggetto anticoncorrenziale nonostante essa sia priva di collegamenti diretti con i prezzi al dettaglio. Infatti, la formulazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE non è tale da indurre a ritenere che siano vietate unicamente quelle pratiche concordate che abbiano effetti diretti sul prezzo pagato dai consumatori finali (sentenza del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 123; v. altresì, in tal senso, sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 36).

54      Per contro, da tale articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE risulta che una pratica concordata può avere un oggetto anticoncorrenziale qualora essa consista nel «fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione» (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 37, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 124).

55      In ogni caso, l’articolo 101 TFUE, come le altre regole in materia di concorrenza enunciate nel Trattato, non è destinato a tutelare soltanto gli interessi immediati dei concorrenti o dei consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale. Pertanto, l’accertamento della sussistenza dell’oggetto anticoncorrenziale di una pratica concordata non può essere subordinato all’accertamento di un legame diretto di quest’ultima con i prezzi al dettaglio (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punti 38 e 39, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 125).

56      Infine, si deve ricordare che dalla lettera stessa dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE risulta che la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione tra le imprese interessate, un comportamento sul mercato che dia seguito a tale concertazione e un nesso causale tra questi due elementi (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 51, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 126).

57      A tal proposito, la Corte ha considerato che si deve presumere, salvo prova contraria che spetta agli operatori interessati fornire, che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato. In particolare, la Corte ha concluso che una tale pratica concordata rientrava nell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE anche in assenza di effetti anticoncorrenziali su detto mercato (sentenze del 4 giugno 2009, T-Mobile Netherlands e a., C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 51, e del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 127).

58      Nel caso di specie, ai punti 77 e 78 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato che tutte e sei le infrazioni in questione includevano due forme di comportamento, ossia, da un lato, la discussione delle offerte di almeno una delle banche per influenzare l’andamento di tale offerta e, dall’altro, la comunicazione o la ricezione d’informazioni sensibili sotto il profilo commerciale riguardanti posizioni di negoziato o future offerte di almeno una delle banche rispettive. Inoltre, per quanto riguarda l’infrazione UBS/DB, essa ha altresì rilevato, al punto 78 di tale decisione, l’esame da parte delle banche della possibilità di concludere transazioni volte ad allineare i loro interessi commerciali in materia di derivati e l’eventuale conclusione, in rare occasioni, di siffatte transazioni.

59      La Commissione ha concluso che i comportamenti controversi avevano per oggetto una manipolazione dei tassi del JPY LIBOR, la quale avrebbe consentito un miglioramento della posizione delle banche partecipanti sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi.

60      Ai punti da 13 a 17 della decisione impugnata la Commissione ha sottolineato che i derivati e segnatamente i forward rate agreement e gli swap sui tassi d’interesse disponevano di due «gambe» o «zampe», una corrispondente a un flusso da pagare, l’altra a un flusso da ricevere. Una era costituita da un tasso fisso, l’altra da un tasso variabile. Una parte versava all’altra un importo calcolato sulla base del tasso variabile e riceveva un importo determinato sulla base del tasso fisso stabilito al momento della conclusione, e viceversa.

61      La Commissione ha rilevato che la manipolazione dei tassi del JPY LIBOR aveva avuto un impatto diretto sui flussi di cassa (cash-flow) percepiti o versati a titolo della gamba «variabile» dei contratti di cui al precedente punto 60 (punti 199 e 201 della decisione impugnata), dal momento che i flussi di cassa erano calcolati direttamente con riferimento a detti tassi.

62      La Commissione ha considerato che la manipolazione dei tassi del JPY LIBOR aveva avuto un impatto anche sulla gamba «fissa» dei contratti di cui al precedente punto 60, nella misura in cui il livello attuale di detti tassi si rifletteva indirettamente nel tasso fisso dei futuri contratti, dal momento che, in sostanza, questi ultimi costituivano una stima di come sarebbero tali tassi in futuro (punti 200 e 201 della decisione impugnata).

63      Nella decisione impugnata, la Commissione ha concluso che il coordinamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR, nonché lo scambio d’informazioni riservate tra le banche partecipanti, corrispondevano a una restrizione della concorrenza che doveva di norma sussistere tra di esse e che aveva portato a una distorsione della concorrenza a loro vantaggio e a scapito delle banche non partecipanti. Ciò aveva così consentito la creazione di una situazione di «informazione asimmetrica» a vantaggio delle sole banche partecipanti, che consentiva loro di proporre contratti in condizioni migliori rispetto alle altre banche che operavano sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi (punti da 202 a 204 di tale decisione). I comportamenti controversi avevano così falsato la concorrenza a vantaggio delle banche partecipanti e a scapito degli altri attori di tale mercato. La Commissione ne ha dedotto che le sei infrazioni di cui trattasi presentavano il grado di dannosità sufficiente per essere qualificate come infrazioni per oggetto (punti 219 e 220 di tale decisione).

64      Per contestare tale analisi le ricorrenti evidenziano la definizione restrittiva della nozione d’infrazione per oggetto accolta nella giurisprudenza della Corte. Esse sostengono che i comportamenti in questione non presentano un grado di dannosità per il normale gioco della concorrenza nel mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi che giustifichi la loro qualificazione come infrazioni per oggetto. Esse aggiungono che gli scambi d’informazioni contestati non costituiscono un comportamento avente «per oggetto» di restringere o falsare il gioco della concorrenza. Esse sottolineano altresì che determinati elementi rilevanti per la qualificazione come infrazione per oggetto sarebbero stati evidenziati per la prima volta al punto 200 della decisione impugnata. Infine, esse ritengono che, per quanto riguarda l’infrazione UBS/DB, la Commissione non abbia dimostrato la conclusione di transazioni tra le banche dirette ad allineare i loro interessi commerciali in materia di derivati e non abbia qualificato tale comportamento come costitutivo di uno scambio d’informazioni.

65      Nei limiti in cui, per le sei infrazioni in questione, la Commissione ha accertato la sussistenza di un coordinamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR, sia di uno scambio d’informazioni riservate, è sufficiente verificare se uno di questi due comportamenti abbia un oggetto anticoncorrenziale.

66      Per quanto riguarda il primo comportamento comune alle sei infrazioni in questione, ossia il coordinamento delle offerte presso la commissione LIBOR in yen, occorre rilevare che la Commissione ha correttamente constatato che i pagamenti dovuti da un istituto finanziario a un altro, per un derivato, erano direttamente o indirettamente legati ai livelli dei tassi del JPY LIBOR.

67      Pertanto, per quanto concerne, in primo luogo, i pagamenti dovuti in forza dei contratti in vigore, l’incidenza dei tassi del JPY LIBOR può essere considerata evidente. Essa riguarda i pagamenti dovuti a titolo della gamba «variabile» dei contratti di cui al precedente punto 60, i quali si basano direttamente su detti tassi. Così, rispetto ad essi, un coordinamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR poteva portare a influenzare il livello di detti tassi in senso favorevole agli interessi delle banche alla base di tale coordinamento, come concluso, in sostanza, dalla Commissione ai punti 199 e 201 della decisione impugnata.

68      Per quanto riguarda, in secondo luogo, i pagamenti dovuti in forza dei contratti futuri, si deve constatare che, anche in questo caso, la Commissione ha concluso correttamente che il coordinamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR aveva un impatto sui pagamenti dovuti a titolo della gamba «fissa» dei contratti di cui al precedente punto 60.

69      Da un lato, occorre rilevare che ai punti da 34 a 44 e al punto 200 della decisione impugnata, la Commissione ha chiarito i motivi per i quali il livello dei tassi del JPY LIBOR aveva un impatto sulla gamba «fissa» dei contratti di cui al precedente punto 60. In sostanza, essa ha rilevato che la determinazione dei tassi fissi era valutata in una proiezione, basata su formula matematica, della curva di rendimento attuale dei derivati, essa stessa funzione dei livelli attuali dei tassi del JPY LIBOR.

70      Dall’altro lato, e di conseguenza, si può ritenere che un coordinamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR consentisse alle banche che vi partecipavano di diminuire notevolmente l’incertezza in merito ai livelli ai quali sarebbero stati fissati i tassi del JPY LIBOR e, quindi, forniva loro un vantaggio concorrenziale in occasione delle negoziazioni e dell’offerta di derivati rispetto alle banche che non avevano partecipato a tale coordinamento, circostanza che la Commissione ha correttamente rilevato ai punti da 201 a 204 della decisione impugnata.

71      Da quanto precede risulta che il coordinamento delle offerte presso la commissione LIBOR in yen è pertinente per i pagamenti dovuti in virtù dei contratti di cui al precedente punto 60 sia per quanto riguarda la loro gamba «variabile» sia per quella «fissa».

72      È giocoforza constatare che un siffatto coordinamento delle offerte nella commissione JPY LIBOR, in quanto destinato a influenzare l’importo dei pagamenti dovuti dalle banche interessate, o che dovevano essere loro versati, comporta chiaramente un oggetto anticoncorrenziale.

73      Nei limiti in cui le sei infrazioni in questione comportano tutte un coordinamento delle offerte presso la commissione LIBOR in yen tale da giustificare la qualificazione come infrazione per oggetto adottata dalla Commissione, non è necessario esaminare se l’altro comportamento comune a tali infrazioni, ossia lo scambio d’informazioni riservate, sia anch’esso tale da giustificare una siffatta qualificazione.

74      Infatti, da una costante giurisprudenza risulta che, qualora taluni motivi di una decisione siano, di per sé, idonei a giustificarla adeguatamente, i vizi di cui potrebbero essere inficiati altri motivi che la sorreggono sono, comunque, ininfluenti sul suo dispositivo (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 12 luglio 2001, Commissione e Francia/TF1, C‑302/99 P e C‑308/99 P, EU:C:2001:408, punto 27, e del 12 dicembre 2006, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, T‑155/04, EU:T:2006:387, punto 47).

75      In ogni caso, tenuto conto dell’importanza dell’impatto del livello dei tassi del JPY LIBOR sull’importo dei pagamenti effettuati in virtù tanto della gamba «variabile» quanto della gamba «fissa» dei contratti di cui al precedente punto 60, è giocoforza constatare che la sola comunicazione d’informazioni riguardante le offerte future di una banca membro della commissione JPY LIBOR poteva fornire un vantaggio alle banche interessate, allontanandole dall’applicazione del normale gioco della concorrenza sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi in modo tale che questo scambio d’informazioni può essere ritenuto come avente ad oggetto la restrizione della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in applicazione della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 49 a 52. Il medesimo ragionamento è applicabile al comportamento vertente sullo scambio d’informazioni riservate riguardante le offerte future relative all’Euroyen TIBOR, accertato dalla Commissione solo nell’ambito dell’infrazione Citi/UBS.

76      Tenuto conto di quanto precede, occorre concludere nel senso che la Commissione non è incorsa in errori di diritto o di valutazione concludendo che le sei infrazioni in questione fossero restrittive della concorrenza per il loro oggetto.

77      Tale conclusione non è inficiata dai vari argomenti addotti dalle ricorrenti.

78      Ciò vale, in primo luogo, per la confutazione da parte delle ricorrenti della dannosità, per il normale gioco della concorrenza, dei comportamenti controversi.

79      Innanzitutto, le ricorrenti sostengono erroneamente che non sussiste un rapporto di concorrenza tra le banche sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi. Poiché la conclusione di contratti su detto mercato implica una negoziazione di tali derivati, e più precisamente del tasso fisso applicabile, esiste necessariamente un processo concorrenziale per quanto concerne l’offerta dei derivati tra le diverse banche operanti su tale mercato.

80      Successivamente, e di conseguenza, non può nemmeno essere condivisa l’affermazione delle ricorrenti vertente su un asserito contrasto tra, da un lato, la possibilità per le banche interessate di proporre migliori condizioni rispetto ai loro concorrenti e, dall’altro, la qualificazione come infrazione per oggetto. Tale possibilità, invece, costituisce piuttosto la manifestazione dell’alterazione del processo concorrenziale sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi a vantaggio delle banche che hanno partecipato alla collusione.

81      Infine, è irrilevante il risalto dato dalle ricorrenti alla conclusione, da parte delle banche, di un numero considerevole di transazioni in cui adottano posizioni opposte. Infatti, uno degli obiettivi di una manipolazione dei tassi del JPY LIBOR, per quanto riguarda più precisamente i contratti vigenti, è quello di consentire che quest’ultimo rifletta al meglio gli interessi delle banche di cui trattasi, ossia un tasso elevato in caso di posizione netta creditoria e un tasso basso in caso di posizione netta debitoria.

82      In secondo luogo, le ricorrenti deducono, in sostanza, una violazione dei loro diritti di difesa in quanto determinati elementi rilevanti per la qualificazione come infrazione per oggetto sarebbero stati evidenziati per la prima volta al punto 200 della decisione impugnata.

83      È vero che, in applicazione di una costante giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa impone che l’impresa interessata sia stata posta in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la sua affermazione circa l’esistenza di una violazione del Trattato (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 265 e giurisprudenza ivi citata).

84      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 riflette tale principio prevedendo l’invio alle parti di una comunicazione degli addebiti che deve contenere in termini chiari tutti gli elementi essenziali su cui la Commissione si fonda in tale fase del procedimento, per consentire agli interessati di venire effettivamente a conoscenza dei comportamenti loro contestati dalla Commissione e di far valere proficuamente la loro difesa prima che essa adotti una decisione definitiva. Tale esigenza è rispettata quando detta decisione non contesti agli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prenda in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati abbiano avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 266 e giurisprudenza ivi citata).

85      Tuttavia, tale indicazione può farsi in modo sommario e la decisione finale non deve necessariamente ricalcare l’elenco degli addebiti, poiché tale comunicazione rappresenta un documento preparatorio le cui valutazioni di fatto e di diritto hanno un carattere puramente provvisorio. Sono quindi ammissibili supplementi alla comunicazione degli addebiti predisposti alla luce della memoria di risposta delle parti, i cui argomenti dimostrino che queste ultime hanno potuto effettivamente esercitare i loro diritti della difesa. La Commissione può altresì, alla luce del procedimento amministrativo, rivedere o aggiungere argomenti di fatto o di diritto a sostegno degli addebiti da essa formulati (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 267 e giurisprudenza ivi citata).

86      Così, un’ulteriore comunicazione degli addebiti agli interessati è necessaria solo qualora il risultato degli accertamenti induca la Commissione a porre atti nuovi a carico delle imprese o ad alterare significativamente gli elementi di prova delle infrazioni contestate (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 268 e giurisprudenza ivi citata).

87      Infine, va altresì rammentato che, in base alla giurisprudenza, sussiste violazione dei diritti della difesa qualora sia ipotizzabile che, a causa di un’irregolarità commessa dalla Commissione, il procedimento amministrativo da quest’ultima instaurato avrebbe potuto giungere ad un risultato differente. Un’impresa ricorrente fornisce la prova del verificarsi di tale violazione quando dimostri in modo sufficiente non già che la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì che essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità in questione, ad esempio per il fatto che avrebbe potuto utilizzare per la propria difesa documenti il cui accesso le era stato rifiutato nell’ambito del procedimento amministrativo (v. sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione, T‑111/08, EU:T:2012:260, punto 269 e giurisprudenza ivi citata).

88      Nel caso di specie, da un lato, occorre rilevare che il riferimento a una fissazione indiretta dei prezzi che figura al punto 200 della decisione impugnata è priva del carattere nuovo asserito dalle ricorrenti. Certamente, i punti 137 e 175 della comunicazione degli addebiti ai quali la Commissione fa riferimento non possono essere considerati l’espressione di un addebito vertente su una fissazione indiretta dei prezzi in quanto costituiscono un semplice richiamo dei principi giuridici che disciplinano l’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Tuttavia, dalla lettura della comunicazione degli addebiti risulta che la sostanza dell’argomento che vi figura era la stessa illustrata in tale decisione, segnatamente al punto 200 di quest’ultima, ossia l’incidenza del livello del JPY LIBOR sul livello dei tassi applicabili ai contratti futuri (v., in particolare, il punto 157 della comunicazione degli addebiti). Le ricorrenti erano pertanto in grado di presentare le proprie osservazioni in merito a tale addebito durante il procedimento amministrativo.

89      Dall’altro lato, per quanto concerne l’affermazione vertente sul carattere nuovo del riferimento, al punto 200 della decisione impugnata, al fatto che la manipolazione del JPY LIBOR costituisse altresì una fissazione delle condizioni di transazione ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, lettera a), TFUE, occorre osservare che, per i motivi di cui ai precedenti punti da 66 a 76, l’impatto di tale manipolazione sul livello dei pagamenti dovuti a titolo di derivati è sufficiente per giustificare la qualificazione come infrazione per oggetto adottata dalla Commissione. Di conseguenza, non si può ritenere che l’eventuale assenza di possibilità per le ricorrenti di presentare le proprie osservazioni in merito all’addebito vertente su una fissazione delle condizioni di transazione avrebbe impedito loro di difendersi più efficacemente ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 87.

90      In terzo luogo, per quanto riguarda le critiche avanzate dalle ricorrenti contro la constatazione da parte della Commissione dell’esistenza di un comportamento consistente nel prendere in esame da parte delle banche la possibilità di concludere transazioni dirette ad allineare i loro interessi commerciali in materia di derivati e dell’eventuale conclusione, in rare occasioni, di siffatte transazioni, la quale riguarda soltanto l’infrazione UBS/DB, dalla lettura del punto 78 della decisione impugnata risulta che tale comportamento è stato preso in considerazione dalla Commissione solo in quanto diretto a facilitare il coordinamento delle offerte future presso la commissione JPY LIBOR. Poiché non risulta che tale comportamento assuma carattere autonomo rispetto a quello di detto coordinamento, il cui oggetto anticoncorrenziale è stato adeguatamente dimostrato, non è necessario replicare a tale aspetto dell’argomento delle ricorrenti.

91      Alla luce di quanto precede, occorre respingere il primo motivo.

2.      Sul secondo motivo vertente su errori nell’applicazione della nozione di «facilitazione» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e della giurisprudenza

92      Le ricorrenti considerano che la Commissione abbia erroneamente concluso che l’Icap aveva agevolato le sei infrazioni in questione. A seguito della pronuncia della sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717), esse hanno rinunciato a una parte del loro argomento, cosicché il presente motivo si articola attualmente in tre parti.

93      Con la prima parte del secondo motivo, che non riguarda l’infrazione Citi/RBS, ma solo le altre cinque infrazioni in questione, le ricorrenti sostengono che il criterio della «facilitazione» applicato all’Icap è troppo ampio, nuovo e in contrasto con il principio della certezza del diritto. Con la seconda parte di tale motivo, che riguarda le cinque medesime infrazioni, esse sostengono che il ruolo svolto dall’Icap non soddisfi i criteri giurisprudenziali della «facilitazione». Infine, con la terza parte di tale motivo, la quale riguarda solo le infrazioni UBS/RBS del 2007, Citi/UBS e Citi/DB, esse contestano la fondatezza dei motivi della decisione impugnata, basata sull’utilizzo da parte dell’Icap dei suoi contatti presso varie banche al fine d’influenzare le loro offerte presso la commissione JPY LIBOR.

94      Il Tribunale ritiene che occorra analizzare, innanzitutto, la seconda e la terza parte del presente motivo, dal momento che riguardano, in sostanza, il carattere d’infrazione dei comportamenti contestati all’Icap e, successivamente, la contestazione della conformità al principio della certezza del diritto del carattere d’infrazione accertato, contenuta nella prima parte di tale motivo.

a)      Sulla seconda parte, vertente sulla violazione da parte della Commissione dei criteri giurisprudenziali della «facilitazione»

95      Nell’ambito della presente parte, le ricorrenti affermano, sostanzialmente, che la conclusione derivante dal fatto che il comportamento dell’Icap rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE è errata.

96      La Commissione chiede il rigetto della presente parte.

97      Occorre rammentare che nulla nella formulazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, indica che il divieto ivi enunciato riguardi solamente le parti degli accordi o pratiche concordate attive nei mercati interessati dai medesimi (sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 27).

98      Inoltre, conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un «accordo» è basata sull’espressione della comune volontà di almeno due parti, non essendo di per sé determinante il modo con cui tale comune volontà si manifesta (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

99      Per quanto concerne la nozione di «pratica concordata», dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE distingue tale nozione, in particolare, da quella di «accordo» e da quella di «decisione di associazione di imprese» al solo scopo di ricomprendere diverse forme di collusione tra imprese che, dal punto di vista soggettivo, hanno la medesima natura e che si distinguono unicamente per la loro intensità e per le forme in cui si manifestano (v., sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

100    Inoltre, qualora si tratti di accordi e di pratiche concordate aventi un oggetto anticoncorrenziale, risulta dalla giurisprudenza della Corte che la Commissione, al fine di poter concludere nel senso della partecipazione di un’impresa all’infrazione e della sua responsabilità per tutti i diversi elementi che include, deve dimostrare che l’impresa interessata aveva inteso contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti ed era a conoscenza dei comportamenti materiali progettati o adottati da altre imprese per conseguire tali obiettivi, o poteva ragionevolmente prevederli ed era disposta ad accettarne il rischio (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

101    A tale riguardo, la Corte ha in particolare statuito che le modalità passive di partecipazione all’infrazione, quali la presenza di un’impresa a riunioni durante le quali erano stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale senza che detta impresa vi si fosse manifestamente opposta, rappresentano una complicità idonea a far sorgere la sua responsabilità nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dal momento che il fatto di approvare tacitamente un’iniziativa illecita, senza prendere pubblicamente le distanze dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi, ha l’effetto d’incoraggiare la continuazione dell’infrazione e di pregiudicare la sua scoperta (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

102    Benché la Corte abbia già rilevato che un «accordo» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE è l’espressione della comune volontà delle parti di comportarsi sul mercato in un determinato modo e che i criteri del coordinamento e della cooperazione costitutivi di una «pratica concordata», ai sensi della medesima disposizione, devono essere intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza secondo cui ogni operatore economico deve determinare autonomamente la condotta che intende seguire nel mercato comune, da tali considerazioni non risulta che le nozioni di accordo e di pratica concordata presuppongano una limitazione reciproca della libertà d’azione in uno stesso mercato in cui siano presenti tutte le parti (sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti 32 e 33).

103    Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte non si può dedurre che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE riguardi solo le imprese attive nel mercato interessato dalle restrizioni della concorrenza, o in mercati posizionati a monte, a valle o nei pressi del medesimo, o le imprese che limitano la loro autonomia di comportamento in un determinato mercato in forza di un accordo o di una pratica concordata. Da una giurisprudenza consolidata della Corte discende, infatti, che il testo dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE si riferisce in generale a tutti gli accordi e pratiche concordate che, in rapporti orizzontali o verticali, falsano la concorrenza nel mercato comune, indipendentemente dal mercato in cui le parti sono attive, così come dal fatto che solo il comportamento commerciale di una di esse sia interessato dai termini degli accordi in questione (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti 34, 35 e giurisprudenza ivi citata).

104    Occorre altresì sottolineare che il principale obiettivo del divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE è di assicurare il mantenimento di una concorrenza non falsata nel mercato comune e la sua piena efficacia implica che sia considerato il contributo attivo di un’impresa a una restrizione della concorrenza, anche qualora tale contributo non riguardi un’attività economica rientrante nel mercato rilevante sul quale tale restrizione si materializza o ha per obiettivo di materializzarsi (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

105    Nel caso di specie, occorre immediatamente rilevare che la Commissione non ha ritenuto sussistenti infrazioni autonome tra l’Icap e l’UBS, poi l’Icap e la Citi, il cui obiettivo sarebbe stato la manipolazione del livello delle offerte delle banche in senso conforme agli interessi dell’UBS, poi della Citi, attraverso la propagazione mediante l’Icap d’informazioni errate. Nella decisione impugnata, la responsabilità dell’Icap si configura a motivo della sua partecipazione ai comportamenti anticoncorrenziali rilevati dalla Commissione, che quest’ultima ha qualificato come «facilitazione».

106    In base all’iter logico seguito dalla Commissione nella decisione impugnata, si deve verificare se la partecipazione dell’Icap soddisfi i criteri evidenziati dalla giurisprudenza citata al precedente punto 100, il cui solo concorso può giustificare la sussistenza della sua responsabilità per le infrazioni commesse dalle banche interessate.

107    A tal riguardo, si deve rilevare che le ricorrenti contestano il concorso di tali criteri nell’ambito delle tre censure vertenti sul fatto che la Commissione non ha dimostrato, in primo luogo, che l’Icap fosse a conoscenza dell’esistenza di una collusione tra le banche interessate nell’ambito di alcune delle sei infrazioni in questione (prima censura), in secondo luogo, l’esistenza di una volontà da parte dell’Icap di contribuire all’obiettivo comune delle banche interessate (seconda censura) e, in terzo luogo, che l’Icap avrebbe contribuito alla realizzazione degli obiettivi comuni delle banche interessate (terza censura). Il Tribunale considera che occorre esaminare, innanzitutto, la prima censura, poi la terza censura e, infine, la seconda censura.

1)      Sulla prima censura, relativa alla mancata dimostrazione della conoscenza da parte dell’Icap dell’esistenza di una collusione tra le banche interessate nell’ambito di alcune delle sei infrazioni in questione

108    Nell’ambito della prima censura, le ricorrenti ritengono che la Commissione non abbia adeguatamente dimostrato l’esistenza della conoscenza da parte dell’Icap di una collusione tra le banche interessate nell’ambito delle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/RBS del 2008, Citi/DB e Citi/UBS, ma soltanto, al limite, dei tentativi unilaterali di un trader di manipolare i tassi del JPY LIBOR.

109    La presente censura riguarda, pertanto, solo quattro delle sei infrazioni in questione.

110    Le ricorrenti sostengono che i brevi messaggi usati come elemento di prova dalla Commissione potrebbero soltanto dimostrare che un trader di una delle banche interessate fosse a conoscenza delle future offerte di un’altra banca. In un contesto caratterizzato, segnatamente, dall’esistenza di contatti leciti tra dette banche, non se ne può dedurre che l’Icap conoscesse la comune volontà di tali banche di coordinare le loro offerte presso la commissione JPY LIBOR. Ciò varrebbe per le infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/RBS del 2008, Citi/DB e Citi/UBS.

111    Le ricorrenti sostengono che la struttura del mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi, che implica negoziazioni continue tra le banche interessate, può spiegare la conoscenza, da parte di una data banca, dell’andamento delle offerte di un’altra banca, senza che tale conoscenza sia il frutto di uno scambio d’informazioni. Esse ne deducono che l’Icap poteva ragionevolmente ritenere che i riferimenti alla futura posizione di un’altra banca contenuti nelle comunicazioni di un trader non fossero la conseguenza di un cartello illecito. Esse contestano alla Commissione di non avere preso in considerazione tale possibile interpretazione degli elementi di prova, sia per l’infrazione UBS/RBS del 2007 sia per l’infrazione UBS/RBS del 2008. Per quanto riguarda il riferimento fatto dalla Commissione al riconoscimento da parte dell’UBS del ruolo di facilitatore dell’Icap nella sua domanda di transazione, esse sostengono, segnatamente, che la decisione di transazione sottolinea esplicitamente che i fatti riconosciuti dalle parti non possono dimostrare alcuna responsabilità per quanto concerne l’Icap. Per quanto riguarda le infrazioni Citi/DB e Citi/UBS, esse ribadiscono che gli elementi addotti non dimostrano l’esistenza di una collusione tra le banche interessate durante il periodo d’infrazione considerato.

112    La Commissione sostiene che i punti da 214 a 221 della decisione impugnata dimostrano adeguatamente che l’Icap era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, che le sue azioni contribuivano a infrazioni restrittive della concorrenza. Per ognuna delle sei infrazioni in questione l’Icap sarebbe stata informata dall’UBS, poi dalla Citi, dell’identità dell’altra banca della commissione JPY LIBOR con cui esse mantenevano contatti anticoncorrenziali. Ciò varrebbe tanto per l’infrazione UBS/RBS del 2007 quanto per l’infrazione UBS/RBS del 2008. Per quanto riguarda tali ultime infrazioni, la Commissione osserva che la prova della conoscenza da parte dell’Icap della collusione tra le banche interessate si fonda altresì sul riconoscimento da parte dell’UBS, nella sua domanda di transazione, del ruolo di facilitatore dell’Icap, che figura ai punti 115 e 126 della decisione impugnata, riconoscimento non messo in discussione dalle ricorrenti. Essa fa riferimento anche alla conoscenza del mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi da parte dell’Icap e alla sua qualità d’intermediario principale su tale mercato per sottolineare che la natura anticoncorrenziale di tale collusione non poteva essere ignorata. Per quanto concerne le infrazioni Citi/DB e Citi/UBS, essa fa notare che le ricorrenti non contestano la conoscenza da parte dell’Icap della collusione tra le banche interessate, ma soltanto l’ambito temporale di quest’ultima. Essa rammenta, a tal riguardo, che la data d’inizio di un’infrazione coincide con quella della collusione e non della sua attuazione.

113    Al riguardo, si deve rilevare che, in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 100, spetta alla Commissione dimostrare che l’Icap era a conoscenza dei comportamenti materiali considerati o attuati da ciascuna delle banche interessate o poteva ragionevolmente prevederli.

114    Inoltre, occorre rammentare che, nel settore del diritto della concorrenza, in caso di controversia sulla sussistenza di un’infrazione, spetta alla Commissione produrre la prova delle infrazioni da essa accertate e raccogliere elementi di prova atti a dimostrare adeguatamente la sussistenza dei fatti costitutivi di un’infrazione (v. sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

115    Per dimostrare l’esistenza di una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è necessario che la Commissione deduca prove serie, precise e concordanti. Tuttavia, non occorre che ogni singola prova dedotta dall’istituzione debba necessariamente rispondere a tali criteri con riguardo a ogni singolo elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso d’indizi addotti dall’istituzione, complessivamente valutati, risponda a tale esigenza (v. sentenza del 1o luglio 2010, Knauf Gips/Commissione, C‑407/08 P, EU:C:2010:389, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

116    Inoltre, qualora il giudice nutra un dubbio, quest’ultimo deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione. Infatti, la presunzione d’innocenza costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, oggi sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

117    Dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che il principio della presunzione d’innocenza si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (v. sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

118    Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, per valutare la forza probatoria di un documento, si deve verificare la verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta e prendere in considerazione, segnatamente, la provenienza del documento, le circostanze in cui esso è stato elaborato, il suo destinatario e chiedersi se, in base al suo contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (v. sentenza del 14 aprile 2011, Visa Europe e Visa International Service/Commissione, T‑461/07, EU:T:2011:181, punto 182 e giurisprudenza ivi citata).

119    Alla luce di tali considerazioni occorre verificare se, per ognuna delle quattro infrazioni di cui trattasi, la Commissione abbia adeguatamente dimostrato che l’Icap era a conoscenza o poteva ragionevolmente prevedere che le domande che le erano state rivolte dall’UBS, poi dalla Citi, non erano poste nell’interesse esclusivo del suo interlocutore, ma erano il frutto di una collusione tra le banche interessate.

120    A tal riguardo, sebbene dalla giurisprudenza citata al precedente punto 100 risulti che la Commissione poteva dimostrare alternativamente, da un lato, la conoscenza da parte dell’Icap della partecipazione dell’altra banca interessata a ognuna delle quattro infrazioni in questione o, dall’altro lato, il fatto che l’Icap poteva ragionevolmente prevedere una siffatta partecipazione, occorre rilevare che tale seconda possibilità deve essere esaminata prendendo in considerazione il contesto in cui s’inserivano gli scambi tra la UBS, poi la Citi, e l’Icap.

121    Infatti, come sottolineano, sostanzialmente, le ricorrenti, le domande rivolte dall’UBS, poi dalla Citi, all’Icap, relative a una manipolazione dei tassi del JPY LIBOR non implicavano, per loro natura, l’esistenza di una concertazione a monte con un’altra banca. Siffatte domande potevano legittimamente essere interpretate da quest’ultima come effettuate dall’UBS, poi dalla Citi, per manipolare tali tassi nel perseguimento dei loro esclusivi interessi. È giocoforza constatare che una tale circostanza rende più difficile per la Commissione dimostrare che l’Icap avrebbe ragionevolmente dovuto dedurre dalle domande dell’UBS, poi della Citi, che esse s’inserivano nell’ambito di una collusione con un’altra banca.

i)      Sulla prova della Commissione della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2007

122    Gli elementi fattuali sui quali la Commissione si è basata per stabilire l’esistenza di un comportamento dell’Icap costitutivo di un’infrazione sono illustrati alla sezione 5.3.2 della decisione impugnata per quanto riguarda le infrazioni UBS/RBS del 2007.

123    In primo luogo, la Commissione si è fondata sul riferimento, in una conversazione tra il sig. H., all’epoca trader dell’UBS, e il sig. R., membro del personale dell’Icap, il 14 agosto 2007 (in prosieguo: la «conversazione del 14 agosto 2007»), al fatto che «la RBS e l’UBS puntano in alto per sei mesi», per ritenere che, a partire da tale discussione, «[l’Icap] sapeva o avrebbe quantomeno dovuto sapere che l’[UBS] coordinava le future offerte di tassi JPY LIBOR assieme alla RBS e che l’aiuto fornito dall’UBS dopo tale conversazione facilitava o avrebbe potuto facilitare le prassi anticoncorrenziali tra l’UBS e la RBS» (punto 106 della decisione impugnata).

124    In secondo luogo, la Commissione ha evidenziato diverse comunicazioni tra il sig. H. e il sig. R. e tra quest’ultimo e altri membri del personale dell’Icap avvenute il 15 agosto 2007 e il 1o novembre 2007, al fine di dimostrare il ruolo svolto dall’Icap nella manipolazione dei tassi del JPY LIBOR (punti da 107 a 114 della decisione impugnata).

125    Infine, in terzo luogo, la Commissione ha fatto riferimento al riconoscimento da parte dell’UBS, nella sua domanda di transazione, dell’utilizzo dei servizi dell’Icap per influenzare le future offerte sui tassi del JPY LIBOR di determinate banche della commissione JPY LIBOR. Essa ha concluso che la RBS non era a conoscenza del ruolo svolto dall’Icap (punto 115 della decisione impugnata).

126    La decisione impugnata menziona così solo due elementi di prova potenzialmente idonei a dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap della partecipazione della RBS all’infrazione UBS/RBS del 2007, ossia, da un lato, la conversazione del 14 agosto 2007 e, dall’altro, le dichiarazioni dell’UBS nella sua domanda di transazione. Infatti, le parti concordano sul fatto che gli scambi avvenuti tra l’Icap e l’UBS dopo il 14 agosto 2017 non contenevano alcun riferimento alla RBS.

127    Per quanto riguarda le dichiarazioni dell’UBS nella sua domanda di transazione, dall’esame di tale documento non risulta che l’UBS vi riconosca di avere informato l’Icap della partecipazione della RBS all’infrazione UBS/RBS del 2007, in quanto l’UBS si limita a sottolineare di aver usato i servizi dell’Icap.

128    Ne deriva che il solo elemento di prova idoneo a dimostrare l’esistenza della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2007 è costituito da un passaggio della conversazione del 14 agosto 2017 in cui il sig. H. informa il sig. R. che «la RBS e l’UBS puntano in alto per sei mesi». Al punto 106 della decisione impugnata la Commissione ha interpretato tale frase nel senso che essa implica che il sig. H., all’epoca trader dell’UBS, aveva informato il sig. R., membro del personale dell’Icap, delle sue discussioni in corso sulle future offerte dei tassi JPY LIBOR con la RBS.

129    Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, è stato chiesto alle parti di esprimere il proprio parere sull’interpretazione di tale frase tenuto conto del seguito della conversazione: «[l’Icap:] bene, sarà utile:); l’[UBS:] will mi fa un favore; [l’Icap:] egli [dovrebbe]», e di precisare se il termine «will» indicasse un dipendente della RBS. Ne è emerso che tale conversazione riguardava il sig. W.H., trader della RBS, i cui scambi con il sig. H. sono stati presi in considerazione per constatare l’esistenza dell’infrazione UBS/RBS del 2007.

130    Se ne deve dedurre che, a seguito di tale conversazione, il sig. R., membro del personale dell’Icap, è stato informato in termini univoci da parte del sig. H., all’epoca trader dell’UBS, che egli si era accordato con il sig. W.H., trader della RBS, su un aumento delle loro offerte relative ai tassi d’interesse a scadenza semestrale. Dato tale elemento di prova è costituito da una conversazione a cui il sig. R. ha direttamente partecipato e tenuto conto del suo tenore, occorre, in applicazione della giurisprudenza menzionata al precedente punto 118, riconoscergli un valore probatorio elevato.

131    In tali circostanze, la conversazione del 14 agosto 2017 consente, da sola, di dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2007.

132    Di conseguenza, la prima censura, nei limiti in cui riguarda l’infrazione UBS/RBS del 2007, deve essere respinta.

ii)    Sulla prova della Commissione della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2008

133    Alla sezione 5.3.3 della decisione impugnata, intitolato «Facilitazione da parte dell’Icap dell’infrazione UBS/RBS del 2008», la Commissione ha fatto riferimento, in primo luogo, a una conversazione del 28 agosto 2008 in cui il sig. H., all’epoca trader dell’UBS, avrebbe rivelato al sig. R., membro del personale dell’Icap, l’andamento delle offerte presso la commissione JPY LIBOR della RBS, ossia delle offerte «basse su tutta la linea» (in prosieguo: la «conversazione del 28 agosto 2008») (punto 116 della decisione impugnata).

134    In secondo luogo, la Commissione ha evidenziato diverse comunicazioni tra il sig. H. e il sig. R. e tra quest’ultimo e altri membri del personale dell’Icap avvenute il 28 agosto 2008 e il 3 novembre 2008, al fine di dimostrare il ruolo svolto dall’Icap nella manipolazione dei tassi del JPY LIBOR (punti da 117 a 125 della decisione impugnata). Tra tali elementi di prova figura un messaggio di posta elettronica interno all’Icap del 5 settembre 2008, in cui si indicava che l’UBS e la RBS avevano un interesse particolare a un tasso trimestrale basso per il JPY LIBOR.

135    In terzo luogo, la Commissione ha fatto riferimento al riconoscimento da parte dell’UBS, nella sua domanda di transazione, dell’utilizzo dei servizi dell’Icap al fine d’influenzare le future offerte di tasso presso la commissione LIBOR in yen. Essa ha concluso che la RBS non era a conoscenza del ruolo svolto dall’Icap (punto 126 della decisione impugnata).

136    La decisione impugnata menziona al riguardo tre elementi di prova potenzialmente idonei a dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2008, ossia, anzitutto, la conversazione del 28 agosto 2008, successivamente, il messaggio di posta elettronica interno all’Icap del 5 settembre 2008 (v. precedente punto 134) e, infine, le dichiarazioni dell’UBS nella sua domanda di transazione.

137    Per quanto riguarda, in primo luogo, le dichiarazioni dell’UBS nella sua domanda di transazione, è giocoforza constatare che, anche rispetto a tale infrazione, l’esame di tale documento fa emergere soltanto che l’UBS riconosce di aver usato i servizi dell’Icap, senza sostenere di aver informato l’Icap della partecipazione della RBS all’infrazione UBS/RBS del 2008.

138    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la conversazione del 28 agosto 2008, la Commissione ha ritenuto che la menzione da parte del sig. H., all’epoca trader dell’UBS, del fatto che le offerte della RBS sarebbero state «basse su tutta la linea» avrebbe dovuto indurre il sig. R., membro del personale dell’Icap, a concludere che esistevano contatti tra l’UBS e la RBS e che l’aiuto fornito a partire da tale momento al sig. H. per modificare i tassi del JPY LIBOR era o poteva anche essere un aiuto alle pratiche anticoncorrenziali tra l’UBS e la RBS (punto 118 della decisione impugnata).

139    È giocoforza constatare che il passaggio della conversazione del 28 agosto 2008, evidenziato dalla Commissione, non ha un significato univoco, il quale avrebbe solo potuto indurre l’Icap a sospettare che l’UBS aveva ricevuto informazioni riservate relative al livello delle future offerte della RBS presso la commissione JPY LIBOR. Esso poteva altresì essere interpretato come il palesamento di un’analisi o di un parere del sig. H. sulle future probabili posizioni di uno dei suoi concorrenti.

140    Inoltre, l’esame del passaggio della conversazione del 28 agosto 2008 evidenziato dalla Commissione non consente, nel più ampio contesto di tale conversazione, di chiarirne il senso. Benché emerga l’intenzione congiunta dell’UBS e dell’Icap di alterare il normale corso della fissazione dei tassi del JPY LIBOR, non è fornito nessun elemento supplementare in merito a un’eventuale partecipazione della RBS all’infrazione UBS/RBS del 2008.

141    Di conseguenza, tale elemento di prova non consente, da solo, di dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2008. È tuttavia necessario verificare se, unitamente ad altri elementi, esso possa contribuire a costituire un insieme d’indizi ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 115.

142    Per quanto riguarda, in terzo luogo, il messaggio di posta elettronica scambiato tra due membri del personale dell’Icap, in esso è indicato che «l’UBS e la RBS possiedono un interesse particolare a che il [JPY LIBOR] trimestrale sia basso» (punto 121 della decisione impugnata). Occorre constatare che l’interpretazione privilegiata dalla Commissione, ossia che tale messaggio di posta elettronica rappresenterebbe il palesamento della conoscenza da parte dell’Icap dell’esistenza di un’infrazione tra la RBS e l’UBS, non è l’unica possibile. Infatti, nei limiti in cui l’Icap, attraverso le sue funzioni, è in contatto costante con le banche interessate, non si può escludere che essa formi la propria opinione sugli interessi di ognuna delle banche attive sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi. La probabilità di tale interpretazione alternativa può apparire rafforzata tenuto conto del carattere tronco della citazione utilizzata dalla Commissione, evidenziato dalle ricorrenti, dal momento che la formulazione precisa del messaggio di posta elettronica, ossia «[io] penso che [l’UBS] e [la RBS] abbiano un evidente interesse a che [i tassi] siano bassi», s’inserisce piuttosto nell’ambito della formulazione di un parere personale.

143    È giocoforza constatare che tali due elementi non possono essere considerati elementi di prova seri, precisi e concordanti ai sensi della giurisprudenza indicata al precedente punto 115. L’ambiguità dei termini che contengono implica, invece, necessariamente un dubbio in merito alla conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2008, dubbio che, in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 116, deve operare a suo vantaggio.

144    Inoltre, per i motivi indicati al precedente punto 121, non si può concludere che l’Icap avrebbe dovuto sospettare che le domande dell’UBS si inserivano nell’attuazione di una collusione con un’altra banca, dal momento che siffatte domande ben potevano essere formulate dal sig. H. nel perseguimento dei soli interessi dell’UBS.

145    Alla luce di quanto precede, si deve accogliere la prima censura per quanto riguarda l’infrazione UBS/RBS del 2008, e annullare l’articolo 1, lettera b), della decisione impugnata nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap a tale infrazione.

iii) Sulla prova della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla DB e dell’UBS nelle infrazioni Citi/DB e Citi/UBS

146    Alla sezione 5.3.6 della decisione impugnata, intitolata «Facilitazione da parte dell’Icap dell’infrazione Citi/DB», la Commissione si è basata sul riferimento a una conversazione tra il sig. H., divenuto poi trader della Citi, e il sig. R., membro del personale dell’Icap, tenutasi il 7 aprile 2010, relativa a una futura diminuzione concordata dei tassi offerti dalla Citi, dall’UBS, e dalla DB alla commissione JPY LIBOR dopo il mese di giugno 2010 (in prosieguo: la «conversazione del 7 aprile 2010»). Essa ha altresì evidenziato due richieste del sig. H. al sig. R. in data 18 maggio 2010, una vertente su tassi annuali bassi e l’altra vertente in modo generale su tassi bassi del JPY LIBOR fino alla fine del mese di giugno, nonché una richiesta, in data 23 maggio 2010, vertente su tassi bassi per il tasso del JPY LIBOR a scadenza annuale e su un tasso elevato per quello dotato di scadenza triennale (punto 155 della decisione impugnata).

147    Inoltre, la Commissione si è basata anche su una comunicazione tra il sig. R. e il sig. G., membri del personale dell’Icap, diretta a un adeguamento del bollettino di cui al precedente punto 15 in data 1o giugno 2010 (punto 157 della decisione impugnata), nonché su una conversazione del 2 giugno 2010 in cui il sig. R. informa il sig. H., attualmente trader della Citi, che il sig. G. ha effettuato le modifiche desiderate (punto 156 di tale decisione).

148    Infine, la decisione impugnata menziona una conversazione del 7 giugno 2010 in cui il sig. H., divenuto poi trader della Citi, ha chiesto al sig. R., membro del personale dell’Icap, tassi bassi per tale mese (punto 158) (in prosieguo: la «conversazione del 7 giugno 2010»). Occorre rilevare che, in tale conversazione, l’Icap allude chiaramente all’esistenza di una collusione tra la Citi, la DB e l’UBS.

149    Alla sezione 5.3.7 della decisione impugnata, intitolata «Facilitazione da parte dell’Icap dell’infrazione Citi/UBS», la Commissione si è basata esclusivamente sugli elementi di cui ai precedenti punti 146 e 147 (punti da 161 a 163), poiché la conversazione del 7 giugno 2010 non era stata addotta quale elemento di prova per quanto riguarda tale infrazione.

150    In primo luogo, occorre rilevare che l’elemento cardine su cui si basa la dimostrazione della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla DB e dall’UBS nelle infrazioni Citi/DB e Citi/UBS è costituito dal contenuto della conversazione del 7 aprile 2010.

151    Innanzitutto, si deve constatare che, nell’ambito di tale conversazione, il sig. H., divenuto poi trader della Citi, spiega al sig. R., membro del personale dell’Icap, in termini inequivocabili, di essersi accordato con due trader della DB e della RBS per ottenere una diminuzione dei tassi offerti dalla Citi, dall’UBS e dalla DB alla commissione JPY LIBOR dopo il giugno 2010.

152    Occorre poi rilevare che le ricorrenti non contestano la portata anticoncorrenziale della conversazione del 7 aprile 2010, ma il suo valore probatorio rispetto alle infrazioni Citi/UBS e Citi/DB, dal momento che la Commissione ha considerato quale data di cessazione delle infrazioni, rispettivamente, il 2 giugno 2010 e il 7 giugno 2010, ossia prima della diminuzione dei tassi alla quale si faceva riferimento nella conversazione del 7 aprile 2010, che verteva sul periodo successivo al giugno 2010.

153    Se è vero che, come sottolinea in sostanza la Commissione, la conversazione del 7 aprile 2010 è sufficiente per dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap di una concertazione per alterare i tassi del JPY LIBOR e, di conseguenza, dell’esistenza di un comportamento costituente un’infrazione tra la Citi, la DB, l’UBS, resta il fatto che tale comportamento riguardava un periodo d’infrazione diverso da quelli considerati dalla Commissione per le infrazioni Citi/DB e Citi/UBS, che si contesta all’Icap di aver agevolato.

154    Orbene, secondo la giurisprudenza, la durata di un’infrazione costituisce un elemento che è parte integrante di quest’ultima e, come tale, indissociabile da ogni constatazione d’infrazione (sentenza del 16 novembre 2006, Peróxidos Orgánicos/Commissione, T‑120/04, EU:T:2006:350, punto 21).

155    Di conseguenza, se ne deve dedurre che la conversazione del 7 aprile 2010 riguardava un’infrazione diversa dalle infrazioni Citi/DB e Citi/UBS che si contesta all’Icap di aver agevolato e che essa non può, di per sé, dimostrare la sua conoscenza di queste ultime infrazioni.

156    In secondo luogo, per quanto riguarda gli altri elementi di prova evidenziati nella decisione impugnata, occorre fare una distinzione tra l’infrazione Citi/DB e l’infrazione Citi/UBS.

157    Per quanto riguarda l’infrazione Citi/DB, nei limiti in cui la Commissione adduce, come elemento di prova, la conversazione del 7 giugno 2010, in cui l’Icap si riferisce essa stessa a un intervento concertato della Citi, dell’UBS e della DB, ne deriva necessariamente che la conoscenza da parte dell’Icap dell’esistenza di una collusione tra la Citi e la DB è dimostrata adeguatamente.

158    Per quanto riguarda l’infrazione Citi/UBS, occorre rilevare che la Commissione ha fissato la data della sua cessazione al 2 giugno 2010 e non adduce, pertanto, come elemento di prova, la conversazione del 7 giugno 2010.

159    Se ne deduce che, per quanto riguarda l’infrazione Citi/UBS, la Commissione non fornisce alcun elemento di prova che dimostri la conoscenza da parte dell’Icap della collusione tra la Citi e l’UBS.

160    Tuttavia, si deve verificare se l’Icap, informata dalla conversazione del 7 aprile 2010 delle future manovre concertate della Citi, dell’UBS, e della DB, non avrebbe dovuto «ragionevolmente prevedere», ai sensi della giurisprudenza indicata al precedente punto 100, che determinate domande che la Citi le aveva rivolto a partire dal 18 maggio 2010 s’inserivano nell’ambito dell’attuazione di una collusione tra le banche interessate.

161    A tal riguardo, occorre rilevare che la lettura della conversazione del 7 aprile 2010, nel suo complesso, dà l’impressione che l’obiettivo della Citi, dell’UBS e della DB, quale portato a conoscenza dell’Icap, fosse un calo di alcuni tassi del JPY LIBOR fino a dicembre, seguito da un aumento di detti tassi, quantomeno quelli aventi scadenza trimestrale.

162    Si deve, quindi, verificare se determinate domande del sig. H., divenuto poi trader della Citi, al sig. R., membro del personale dell’Icap, durante il periodo d’infrazione avrebbero dovuto ragionevolmente indurre l’Icap a ritenere che esse s’inserivano nell’ambito della preparazione della collusione tra le banche interessate menzionata nella conversazione del 7 aprile 2010.

163    Si deve necessariamente constatare che dai punti da 161 a 163 della decisione impugnata risulta che, fatta eccezione per un riferimento a tassi elevati aventi scadenza triennale, le domande rivolte all’Icap dal sig. H., divenuto poi trader della Citi, il 18 maggio 2010 e il 23 maggio 2010 erano volte a mantenere tassi bassi. Di conseguenza, l’Icap poteva ragionevolmente prevedere che domande riguardanti una diminuzione o una stabilizzazione dei tassi del JPY LIBOR rivolte nei mesi di aprile e maggio s’inserivano nell’ambito della preparazione della collusione tra la Citi, la DB e l’UBS, portata alla sua conoscenza il 7 aprile 2010.

164    La prima censura deve essere quindi respinta per quanto riguarda le infrazioni Citi/DB e Citi/UBS.

2)      Sulla terza censura, che contesta il contributo dell’Icap agli obiettivi comuni delle banche interessate

165    Con la terza censura le ricorrenti sostengono che il comportamento contestato all’Icap nell’ambito delle cinque infrazioni in questione differisce eccessivamente da quello considerato rispetto alle banche interessate per poter concludere che esistano obiettivi comuni ai sensi della giurisprudenza menzionata al precedente punto 100. Poiché la decisione impugnata, nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2008, deve essere annullata per i motivi indicati ai precedenti punti da 133 a 145, è sufficiente esaminare la presente censura rispetto alle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/DB, Citi/DB e Citi/UBS.

166    In sostanza, le ricorrenti ritengono che, per ognuna delle quattro infrazioni di cui al precedente punto 165, debba essere effettuata una distinzione tra, da un lato, il comportamento delle due banche interessate da ciascuna delle infrazioni, che concerne la manipolazione delle proprie offerte alla commissione LIBOR in yen, e, dall’altro, il comportamento contestato all’Icap, che verte su un tentativo di manipolazione delle offerte di altre banche a detto gruppo. Esse rammentano, inoltre, che, in ognuna di tali infrazioni, una delle due banche interessate non era a conoscenza del ruolo svolto dall’Icap.

167    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha considerato erroneamente che i due comportamenti menzionati al precedente punto 166 concorrevano a formare una medesima infrazione. Così, i riferimenti al comune obiettivo di restringere o falsare la concorrenza sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi o di modificare il JPY LIBOR, sarebbero vaghi, errati e non suffragati. Le ricorrenti aggiungono che la circostanza che, fatta eccezione per il sig. H., questi due comportamenti non hanno visto l’intervento dei medesimi partecipanti costituisce un motivo oggettivo per ritenere che essi costituiscano eventi separati. Allo stesso modo, esse considerano che i metodi utilizzati in ciascuno di questi due comportamenti sono radicalmente diversi, il che impedirebbe che essi rientrino nella stessa infrazione.

168    Inoltre, le ricorrenti sostengono che la Commissione si era impegnata, nel corso di una riunione tenutasi nel corso del procedimento amministrativo, a non basarsi, nella decisione impugnata, sull’addebito di un ampliamento da parte dell’Icap degli effetti delle infrazioni in questione. Nella replica, esse contestano alla Commissione di non aver stilato un verbale di tale riunione e chiedono che quest’ultima fornisca al Tribunale le note che essa aveva preparato per tale riunione e ritengono, in sostanza, che il mancato rispetto di un siffatto impegno integri una violazione del principio del legittimo affidamento.

169    La Commissione chiede il rigetto di tale censura.

170    In primo luogo, occorre rilevare che, per le quattro infrazioni di cui al precedente punto 165, la Commissione ha contestato all’Icap di aver influenzato, segnatamente attraverso una modifica del bollettino di cui al precedente punto 15, il livello delle offerte di tasso di determinate banche appartenenti alla commissione LIBOR in yen (v. precedenti punti da 15 a 17) e che l’effettiva realtà di tale comportamento non è contestata dalle ricorrenti.

171    In secondo luogo, è evidente che esiste una relazione di complementarietà tra il comportamento contestato all’Icap e quello contestato alle banche interessate, dal momento che i tassi del JPY LIBOR sono calcolati a partire dalle offerte di banche appartenenti alla commissione LIBOR in yen. La modifica di tali tassi avrebbe avuto, pertanto, una probabilità di successo molto inferiore se le quattro infrazioni di cui al precedente punto 165 si fossero basate solo sull’allineamento delle offerte delle due banche interessate da ciascuna infrazione. Ne discende che l’Icap ha svolto un ruolo centrale nell’attuazione di tali infrazioni influenzando alcune delle offerte presso tale gruppo nel senso voluto dalle banche interessate.

172    La Commissione ha quindi correttamente concluso che il comportamento contestato all’Icap ha contributo agli obiettivi comuni delle banche interessate per ognuna delle quattro infrazioni di cui al precedente punto 165.

173    Tale conclusione non è messa in discussione dall’argomento delle ricorrenti derivante dal loro legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non avrebbe invocato, nella decisione impugnata, l’ampliamento degli effetti delle manipolazioni del JPY LIBOR da parte dell’Icap.

174    Un tale argomento si basa sull’esistenza di assicurazioni che sarebbero state fornite ai rappresentanti dell’Icap da funzionari della Commissione in una riunione successiva alla comunicazione degli addebiti.

175    Tuttavia, senza che occorra interrogarsi sulla questione se le assicurazioni fornite nell’ambito informale di una riunione della Commissione siano tali da far sorgere un legittimo affidamento nelle ricorrenti, è sufficiente osservare che un tale argomento si fonda su una premessa errata in fatto. Dall’allegato C.1, fornito dalle ricorrenti e costituito dalle note scritte a mano dei loro rappresentanti nel corso di tale riunione, risulta che tali assicurazioni sono state fornite dalla Commissione solo per quanto riguarda il calcolo dell’ammenda e non nell’ambito del riconoscimento dell’esistenza di un’infrazione. Infatti, ciascuna delle tre serie di note dimostra che tale questione è stata affrontata nel corso della discussione sull’importo dell’ammenda e in risposta ai termini utilizzati al punto 248 della comunicazione degli addebiti, che riguardava tale calcolo.

176    La terza censura deve pertanto essere respinta, senza che si debba ricorrere alla misura di organizzazione del procedimento richiesta dalle ricorrenti.

3)      Sulla seconda censura, che contesta l’esistenza dell’intenzione da parte dell’Icap di contribuire alla realizzazione degli obiettivi comuni delle banche interessate

177    Con la seconda censura, le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di una volontà da parte dell’Icap di contribuire agli obiettivi comuni delle banche interessate nell’ambito delle cinque infrazioni. Per i medesimi motivi indicati al precedente punto 165, è sufficiente esaminare la presente censura rispetto alle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/DB, Citi/DB e Citi/UBS.

178    Dagli elementi di prova emergerebbe solo la volontà dell’Icap di soddisfare le aspettative di un trader che era cliente unico di uno dei suoi intermediari. Le ricorrenti sostengono che l’argomento della Commissione è diretto a mettere in discussione il criterio dell’intenzionalità che figura nella giurisprudenza pertinente.

179    La Commissione chiede che la presente censura sia respinta.

180    Dal momento che, da un lato, per le quattro informazioni che sono ancora in discussione, la Commissione ha correttamente considerato che l’Icap fosse a conoscenza dell’esistenza di una collusione tra le banche interessate e, dall’altro, è stato accertato che esisteva un’amplissima complementarietà tra il comportamento delle banche interessate e quello dell’Icap, se ne deduce necessariamente l’esistenza di un’intenzione da parte sua di contribuire alla realizzazione degli obiettivi comuni di dette banche.

181    Infatti, è giocoforza constatare che l’argomento delle ricorrenti si basa su una confusione tra i moventi dell’Icap, che potevano effettivamente consistere nell’auspicio di soddisfare le domande di un trader, e la consapevolezza che il suo comportamento aveva come obiettivo di facilitare la manipolazione dei tassi del JPY LIBOR influenzando le offerte presso la commissione JPY LIBOR nel senso auspicato dalle banche interessate dall’infrazione.

182    Di conseguenza, la seconda censura deve essere respinta.

b)      Sulla terza parte, vertente sull’erroneità dei motivi della decisione impugnata relativi all’utilizzo da parte dell’Icap dei suoi contatti per influenzare le offerte di determinate banche

183    Con la presente parte, che riguarda solo le infrazioni UBS/RBS del 2007, Citi/UBS e Citi/DB, le ricorrenti contestano l’interpretazione da parte della Commissione di alcune comunicazioni dell’Icap con i suoi clienti. Da un lato, la Commissione non spiegherebbe in che modo le comunicazioni prese in considerazione come elementi di prova sarebbero rilevanti per le infrazioni interessate. Dall’altro, essa avrebbe travisato il senso di dette comunicazioni, che non rivelerebbero un’intenzione di manipolare le offerte di altre banche presso la commissione JPY LIBOR.

184    La Commissione chiede il rigetto della presente parte.

185    Nell’ambito dell’infrazione UBS/RBS del 2007, al punto 79, lettera a), della decisione impugnata la Commissione ha rilevato che il 24 ottobre 2007 l’Icap aveva utilizzato i suoi contatti per tentare d’influenzare il comportamento di una banca del gruppo. Nell’ambito delle infrazioni Citi/UBS e Citi/DB, al punto 83, lettera a), di tale decisione essa ha rilevato un comportamento equivalente il 30 aprile 2010.

186    Nel caso di specie, è sufficiente sottolineare, da un lato, che dal punto 79, lettera b), e dal punto 83, lettera b), della decisione impugnata risulta che la Commissione non si è limitata a constatare la partecipazione dell’Icap a queste tre infrazioni sulla sola base dell’utilizzo dei suoi contatti, ma l’ha altresì fondata sulla comunicazione d’informazioni ingannevoli alle banche della commissione JPY LIBOR mediante il bollettino di cui al precedente punto 15 e, dall’altro, che le ricorrenti non contestano tale aspetto del ragionamento della Commissione.

187    Pertanto, poiché la comunicazione d’informazioni ingannevoli è, di per sé, idonea a dimostrare la partecipazione dell’Icap a queste tre infrazioni, occorre, in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 74, respingere tale parte del motivo in quanto inconferente.

c)      Sulla prima parte, vertente sulla violazione del principio di certezza del diritto

188    Con la presente parte, le ricorrenti sostengono che il criterio di «facilitazione» applicato all’Icap è troppo ampio, nuovo e in contrasto con il principio della certezza del diritto. La qualificazione come «facilitazione» applicata all’Icap non avrebbe potuto essere ragionevolmente dedotta dalla sentenza dell’8 luglio 2008, AC-Treuhand/Commissione (T‑99/04, EU:T:2008:256) e sarebbe, pertanto, contraria sia al principio della certezza del diritto sia al principio della legalità dei reati e delle pene.

189    Le ricorrenti sostengono, al riguardo, che la nozione di «facilitazione» è recente e poco sviluppata. Esse aggiungono che la situazione dell’Icap si differenzia nettamente dal ruolo svolto dall’AC-Treuhand, sia nella causa che ha dato luogo alla sentenza dell’8 luglio 2008, AC-Treuhand/Commissione (T‑99/04, EU:T:2008:256), sia in quella che ha dato origine alla sentenza del 6 febbraio 2014, AC-Treuhand/Commissione (T‑27/10, EU:T:2014:59). Mentre l’AC-Treuhand avrebbe reso possibile la collusione, all’Icap si contesta soltanto di aver agito al servizio della collusione o di avervi contribuito. A tale riguardo, le ricorrenti osservano che, nel caso di specie, la collusione tra le banche interessate sarebbe esistita anche senza un qualsivoglia intervento dell’Icap.

190    Invece che nella «facilitazione» di un accordo orizzontale, il ruolo dell’Icap si limiterebbe a una restrizione verticale con un trader, la quale di per sé non restringe né falsa la concorrenza. Le ricorrenti aggiungono che, in cinque delle sei infrazioni in questione, l’altra banca parte alla collusione non era a conoscenza del coinvolgimento dell’Icap. Esse ritengono che l’applicazione di un criterio ampio tanto quanto la nozione di «facilitazione» comporti conseguenze particolarmente gravi in capo a imprese estranee alla collusione.

191    La Commissione chiede il rigetto di questa parte del motivo.

192    Poiché la decisione impugnata, nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2008, deve essere annullata per i motivi indicati ai precedenti punti da 133 a 145, è sufficiente esaminare la presente parte del motivo rispetto alle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/DB, Citi/DB e Citi/UBS.

193    Occorre rammentare che il principio della certezza del diritto esige, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese (v. sentenza del 17 dicembre 2015, X-Steuerberatungsgesellschaft, C‑342/14, EU:C:2015:827, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

194    In ambito penale, il principio della certezza del diritto trova la sua particolare espressione nel principio di legalità dei reati e delle pene, garantito dall’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 3 giugno 2008, Intertanko e a., C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 70), il quale implica che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono e tale condizione si rivela soddisfatta qualora il soggetto sia in grado di sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente ed eventualmente con l’aiuto dell’interpretazione che ne è data dai tribunali, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

195    Il principio di legalità dei reati e delle pene non può pertanto essere interpretato come un divieto di graduale chiarimento, da una causa all’altra, delle norme sulla responsabilità penale da parte di un’interpretazione giurisprudenziale, a condizione che il risultato sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione dell’infrazione, alla luce in particolare dell’interpretazione vigente a quell’epoca nella giurisprudenza relativa alla disposizione legale in questione (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

196    La portata della nozione di prevedibilità dipende in larga parte dal contenuto del testo di cui si tratta, dal settore interessato, nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non impedisce che l’interessato sia portato a ricorrere a un illuminato parere legale al fine di valutare, in una misura ragionevole in base alle circostanze della causa, le conseguenze che possono risultare da un atto determinato. Ciò vale in particolare per professionisti, abituati a dover dare prova di grande prudenza nello svolgimento del loro lavoro. Da questi ci si può inoltre aspettare una particolare attenzione nel valutare i rischi che esso comporta (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

197    Nel caso di specie, si deve considerare che l’Icap avrebbe dovuto presumere, se necessario dopo aver fatto ricorso a un illuminato parere legale, che il suo comportamento potesse essere dichiarato incompatibile con le regole della concorrenza del diritto dell’Unione, tenuto conto, segnatamente, dell’ampia portata delle nozioni di «accordo» e di «pratica concordata» risultanti dalla giurisprudenza della Corte.

198    Per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti diretto a sminuire il ruolo svolto dall’Icap nelle infrazioni in questione paragonandolo a quello attribuito all’AC-Treuhand nei cartelli considerati nelle cause che hanno dato origine alla sentenza dell’8 luglio 2008 AC-Treuhand/Commissione (T‑99/04, EU:T:2008:256) e alla sentenza del 6 febbraio 2014, AC-Treuhand/Commissione (T‑27/10, EU:T:2014:59), occorre, invece, sottolineare l’importanza di tale partecipazione per alcune di dette infrazioni. Infatti, dato che i tassi del JPY LIBOR sono calcolati a partire dalle offerte dei membri del gruppo, l’influenza esercitata dall’Icap sui suoi clienti membri di tale gruppo mediante il bollettino di cui al precedente punto 15 ha consentito di dare alle manipolazioni di tali tassi un’ampiezza notevolmente maggiore rispetto a quella che avrebbero avuto se si fossero limitate alle sole offerte delle due banche interessate da ciascuna di tali infrazioni.

199    La prima parte del motivo va pertanto respinta.

200    Alla luce di quanto precede si deve accogliere il presente motivo per quanto riguarda l’infrazione UBS/RBS del 2008 e respingerlo quanto al resto.

3.      Sul terzo motivo, vertente sull’erroneità della durata delle infrazioni in questione

201    Le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver addotto elementi di prova che giustifichino la scelta della durata delle infrazioni in questione. A loro avviso, la Commissione non dimostra, da un lato, che la partecipazione dell’Icap a dette infrazioni abbia avuto una durata equivalente a quella delle banche interessate e, dall’altro, che tale partecipazione si sia protratta senza interruzione tra le date per le quali quest’ultima ritiene di possedere elementi di prova. Più precisamente, la Commissione dovrebbe dimostrare una conoscenza continuativa da parte dell’Icap del comportamento costituente un’infrazione delle banche interessate sull’intero periodo considerato per ciascuna di tali infrazioni.

202    Ciò sarebbe tanto più necessario tenuto conto sia del carattere giornaliero del calcolo della determinazione dei tassi d’interesse sia dell’ammissione da parte della Commissione che l’Icap non era a conoscenza di tutte le misure adottate dalle banche interessate. Inoltre, in sostanza, le ricorrenti evidenziano la diversità del tenore, e addirittura la contraddittorietà, delle domande unilaterali dell’UBS, poi della Citi, per sottolineare che era ragionevole per l’Icap ritenere che non rientrassero nell’ambito del comportamento costituente un’infrazione delle banche interessate.

203    La Commissione sostiene che gli elementi di prova addotti nella decisione impugnata sono rilevanti sia per quanto riguarda l’esistenza delle infrazioni in questione sia per la loro durata. Ne risulta l’esistenza di contatti regolari che sarebbero avvenuti in periodi intermittenti sulla base delle esigenze delle banche interessate. Sarebbe pertanto artificiale scindere una serie di accadimenti strettamente connessi in casi individuali di una durata di alcuni giorni per il semplice fatto che i tassi del JPY LIBOR sono stabiliti su base giornaliera. La Commissione rinvia, a tal riguardo, all’argomento che figura al punto 234, lettera c), della decisione impugnata e rammenta che l’adesione volontaria dell’Icap agli obiettivi comuni delle infrazioni interessate è stata dimostrata.

204    La Commissione sottolinea altresì che per ognuna delle infrazioni in questione le banche interessate hanno tutte riconosciuto la stessa durata di quella considerata contro l’Icap e per ciascuna infrazione una delle banche interessate ha riconosciuto il ruolo svolto dall’Icap. Questo renderebbe irrilevante l’argomento vertente sul fatto che l’Icap avrebbe potuto ritenere che ogni infrazione si fosse conclusa dopo un breve periodo iniziale.

205    Secondo una giurisprudenza costante, una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione. Quindi, qualora le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 156 e giurisprudenza ivi citata).

206    Un’impresa che abbia partecipato a una tale infrazione unica e complessa con comportamenti suoi propri, rientranti nella nozione di accordo o di pratica concordata a scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e miranti a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso, può essere quindi responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa. Questa ipotesi ricorre quando è dimostrato che detta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era al corrente dei comportamenti illeciti previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne il rischio (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 157 e giurisprudenza ivi citata).

207    In tal senso, un’impresa può avere partecipato direttamente al complesso dei comportamenti anticoncorrenziali che compongono l’infrazione unica e continuata, nel qual caso correttamente la Commissione può imputarle la responsabilità di tutti questi comportamenti e, pertanto, di tale infrazione nel suo insieme. Un’impresa può anche avere partecipato direttamente solo ad alcuni dei comportamenti anticoncorrenziali che compongono l’infrazione unica e continuata, ma essere stata al corrente di tutti gli altri comportamenti illeciti previsti o attuati dagli altri partecipanti all’intesa nel perseguire i medesimi obiettivi, o aver potuto ragionevolmente prevederli ed essere stata pronta ad accettarne il rischio. Anche in un caso del genere la Commissione può ben imputare a tale impresa la responsabilità di tutti i comportamenti anticoncorrenziali che compongono tale infrazione e, di conseguenza, dell’infrazione nel suo insieme (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 158 e giurisprudenza ivi citata).

208    Per contro, se un’impresa ha preso parte direttamente a uno o a più comportamenti anticoncorrenziali che compongono un’infrazione unica e continuata, ma non risulta provato che tramite il proprio comportamento essa intendesse contribuire al complesso degli obiettivi comuni perseguiti dagli altri partecipanti all’intesa e che fosse al corrente di tutti gli altri comportamenti illeciti previsti o attuati da tali partecipanti nel perseguire i medesimi obiettivi, o che potesse ragionevolmente prevederli e fosse pronta ad accettarne il rischio, la Commissione deve limitarsi a imputarle la responsabilità dei soli comportamenti ai quali essa ha partecipato direttamente e dei comportamenti previsti o attuati dagli altri partecipanti nel perseguire obiettivi analoghi a quelli che essa perseguiva e dei quali sia dimostrato che essa era al corrente o che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne il rischio (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 159 e giurisprudenza ivi citata).

209    Nel caso di specie, per determinare la durata delle infrazioni in questione, la Commissione si è fondata sulla loro qualificazione come infrazione unica e continuata, come risulta dai punti da 210 a 217 della decisione impugnata. Al punto 234, lettera c), di tale decisione, essa ha ritenuto che gli elementi di prova addotti dimostrassero l’esistenza di contatti regolari avvenuti in periodi intermittenti in base alle esigenze dei diversi partecipanti e ne ha dedotto che sarebbe artificiale scinderli in casi individuali di una durata di alcuni giorni, in ragione del fatto che il processo di fissazione dei tassi del JPY LIBOR ha una frequenza giornaliera. Al punto 234, lettera d), di tale decisione, essa ha ritenuto che il fatto di conoscere i contatti tra l’UBS, poi la Citi, e l’altra banca interessata implicasse che l’Icap era in grado di supporre che l’insieme delle sue azioni ordinarie a vantaggio dell’UBS, poi della Citi, avrebbe altresì potuto favorire un meccanismo tra tali banche e le altre banche interessate da dette infrazioni.

210    L’argomento delle ricorrenti può essere suddiviso in due censure. Esse contestano, da un lato, la rilevanza di determinati comportamenti dell’Icap sui quali la Commissione si è basata e, dall’altro, l’inclusione nei periodi d’infrazione d’intervalli per i quali non è stata fornita nessuna prova della partecipazione dell’Icap.

211    Poiché la decisione impugnata, nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2008, deve essere annullata per i motivi indicati ai precedenti punti da 133 a 145, è sufficiente esaminare il presente motivo rispetto alle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/DB, Citi/RBS, Citi/DB e Citi/UBS.

212    Due osservazioni preliminari sono necessarie prima di valutare la legittimità della decisione impugnata per quanto concerne ciascun periodo d’infrazione considerato dalla Commissione.

213    Per quanto riguarda la prima censura, occorre rammentare la constatazione effettuata al precedente punto 105 vertente sul fatto che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha ritenuto sussistenti infrazioni autonome tra l’Icap e l’UBS, poi tra l’Icap e la Citi, aventi come obiettivo di manipolare i tassi del JPY LIBOR in questione in senso conforme agli interessi dell’UBS, poi della Citi, attraverso la diffusione mediante l’Icap d’informazioni errate. Essa si è basata sull’attuazione da parte dell’Icap d’infrazioni decise ogni volta tra due banche. Di conseguenza, per motivi analoghi a quelli indicati ai precedenti punti da 119 a 121, solo elementi di prova atti a dimostrare che l’Icap era a conoscenza o poteva ragionevolmente prevedere che le domande che le erano state rivolte dall’UBS, poi dalla Citi, s’inserivano nel perseguimento degli obiettivi comuni delle due banche interessate da ciascuna delle infrazioni potevano essere presi in considerazione come prova della sua partecipazione a tali infrazioni.

214    Per quanto attiene alla seconda censura, occorre rilevare che l’argomento delle ricorrenti si fonda essenzialmente sulla circostanza che i tassi del JPY LIBOR sono adottati su base giornaliera e che, di conseguenza, la manipolazione doveva essere reiterata ogni giorno per continuare a produrre i suoi effetti.

215    È giocoforza constatare che un tale argomento equivale a contestare la fondatezza della continuità della partecipazione dell’Icap alle infrazioni in questione accertata dalla Commissione.

216    A tal riguardo, occorre rammentare che, in base alle circostanze, un’infrazione unica può essere continuata o ripetuta.

217    Infatti, benché la nozione d’infrazione unica riguardi una situazione in cui più imprese hanno preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto e di soggetti, le modalità secondo cui l’infrazione è stata commessa consentono di qualificare l’infrazione unica o come continua o come riptetuta (v., in tal senso, sentenze del 17 maggio 2013, Trelleborg Industrie e Trelleborg/Commissione, T‑147/09 e T‑148/09, EU:T:2013:259, punti 85 e 86, e del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissionne, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 484).

218    In relazione a un’infrazione continuata, la nozione di piano d’insieme consente alla Commissione di presumere che la realizzazione di un’infrazione non è stata interrotta anche se, per un certo periodo, essa non dispone di prove che dimostrino la partecipazione dell’impresa interessata a tale infrazione, a condizione che la medesima abbia partecipato all’infrazione prima e dopo tale periodo e sempreché non sussistano prove o indizi che lascino ritenere, per quanto la riguarda, che l’infrazione si fosse interrotta. In tal caso, la Commissione potrà infliggere un’ammenda per tutto il periodo d’infrazione, compreso il periodo per il quale essa non dispone di prove che dimostrino la partecipazione dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenze del 17 maggio 2013, Trelleborg Industrie e Trelleborg/Commissione, T‑147/09 e T‑148/09, EU:T:2013:259, punto 87, e del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 481).

219    Tuttavia, il principio della certezza del diritto impone che, in mancanza di elementi di prova tali da dimostrare direttamente la durata di un’infrazione, la Commissione faccia valere, quantomeno, elementi probatori relativi a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente presumere che detta infrazione sia durata ininterrottamente tra due date precise (v. sentenza del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 482 e giurisprudenza ivi citata).

220    Anche se il periodo che intercorre tra due manifestazioni di un comportamento costitutivo di un’infrazione è un criterio pertinente per acclarare il carattere continuato di un’infrazione, ciononostante la questione se tale periodo sia o meno sufficientemente lungo per costituire un’interruzione dell’infrazione non può essere esaminata in astratto. Occorre, invece, valutarla nel contesto del funzionamento dell’intesa in questione (v. sentenza del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 483 e giurisprudenza ivi citata).

221    Infine, qualora sia possibile ritenere che la partecipazione di un’impresa all’infrazione si sia interrotta e che l’impresa abbia partecipato all’infrazione prima e dopo tale interruzione, l’infrazione in parola può essere qualificata come ripetuta se – proprio come nel caso dell’infrazione continuata – esiste un unico obiettivo perseguito dalla stessa prima e dopo l’interruzione, il che può essere dedotto dall’identità degli obiettivi delle pratiche in questione, dei prodotti considerati, delle imprese che hanno partecipato alla collusione, delle principali modalità di attuazione di quest’ultima, delle persone fisiche coinvolte per conto delle imprese e, infine, dell’ambito di applicazione geografica di dette pratiche. L’infrazione è pertanto unica e ripetuta e, sebbene la Commissione possa infliggere un’ammenda per tutto il periodo d’infrazione, essa non può infliggerla, per contro, per il periodo durante il quale l’infrazione è stata interrotta (sentenze del 17 maggio 2013, Trelleborg Industrie e Trelleborg/Commissione, T‑147/09 e T‑148/09, EU:T:2013:259, punto 88, e del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 484).

222    Nel caso di specie, sulla base del contesto del funzionamento delle infrazioni in questione, che è rilevante per valutare se il periodo che separa due manifestazioni di un comportamento costitutivo di un’infrazione implichi l’esistenza di un’interruzione della partecipazione di un’impresa in applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 220, occorre effettivamente prendere in considerazione il carattere giornaliero della fissazione dei tassi del JPY LIBOR. Ne discende necessariamente che gli effetti di una manipolazione di tali tassi sono limitati nel tempo e che essa deve essere reiterata affinché tali effetti continuino.

223    A tal riguardo, occorre rammentare che, nel caso in cui il proseguimento di un accordo o di pratiche concordate richieda misure positive peculiari, la Commissione non può presumere la continuazione di un’intesa in assenza di prove dell’adozione di tali misure (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punti 2803 e 2804).

224    Ne discende che la dimostrazione della partecipazione dell’Icap a infrazioni uniche e continuate e, di conseguenza, della sussistenza della sua responsabilità per l’insieme dei periodi d’infrazione implicava che la Commissione evidenziasse le misure positive adottate dall’Icap su base, se non giornaliera, perlomeno sufficientemente limitata nel tempo. In caso contrario, spettava alla Commissione accertare l’esistenza d’infrazioni uniche e ripetute e non includere nei periodi delle infrazioni addebitate all’Icap gli intervalli per i quali essa non disponeva di elementi di prova della sua partecipazione.

225    Occorre esaminare congiuntamente, per ognuna delle infrazioni in questione, le due censure mosse dalle ricorrenti.

a)      Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2007

226    Per quanto riguarda il periodo dell’infrazione considerato nei confronti dell’Icap per l’infrazione UBS/RBS del 2007, come è già stato indicato ai precedenti punti da 128 a 131, la conoscenza da parte dell’Icap degli obiettivi comuni dell’UBS e della RBS si basa unicamente sulla conversazione del 14 agosto 2007, menzionata al punto 106 della decisione impugnata. Orbene, benché tale conversazione consentisse all’Icap di rendersi conto dell’esistenza di un’infrazione tra l’UBS e la RBS, resta il fatto che l’informazione in essa contenuta era doppiamente limitata. Da un lato, essa riguardava soltanto manipolazioni vertenti sul tasso del JPY LIBOR semestrale. Dall’altro, essa si riferiva esclusivamente a una manipolazione di tale tasso al rialzo.

227    In primo luogo, occorre rilevare che nel punto 107 della decisione impugnata sono evidenziate domande del sig. H., all’epoca trader dell’UBS, al sig. R., membro del personale dell’Icap, emesse il 15, 16 e 17 agosto 2007 e riguardanti tassi semestrali elevati. È giocoforza constatare che siffatte domande sono conformi al senso della conversazione del 14 agosto 2007 e s’inseriscono tutte in un breve intervallo di tempo. Ne discende necessariamente che esse sono in grado di provare la partecipazione dell’Icap a un’infrazione unica e continuata fino a tale data.

228    In secondo luogo, occorre tuttavia rilevare che i successivi elementi di prova presi in considerazione dalla Commissione a carico dell’Icap attengono a scadenze di tasso diverse da quelle menzionate nella conversazione del 14 agosto 2007, oppure a manipolazioni di tasso che vanno nel senso opposto rispetto al contenuto di tale conversazione.

229    Così, la domanda del sig. H., all’epoca trader dell’UBS, al sig. R., membro del personale dell’Icap, in data 20 agosto 2007, menzionata al punto 107 della decisione impugnata, riguardava tassi trimestrali elevati per il JPY LIBOR, mentre l’Icap era stata informata solo di un accordo tra l’UBS e la RBS su un rialzo dei tassi semestrali. Inoltre, la domanda del sig. H. al sig. R., del 22 agosto 2007, menzionata al punto 108 di tale decisione, sollecita tassi bassi per il JPY LIBOR semestrale, ossia l’opposto del contenuto dell’accordo tra l’UBS e la RBS, come è stato portato a conoscenza dell’Icap.

230    Così, perlomeno a partire dal 22 agosto 2007, l’Icap poteva ragionevolmente ritenere che l’infrazione UBS/RBS fosse cessata. Di conseguenza, in mancanza di informazioni successive rese note all’Icap relativamente a una continuazione o a una reiterazione della collusione tra l’UBS e la RBS, non si può contestarle di aver partecipato a detta infrazione a partire da tale data.

231    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere accolto nei limiti in cui la decisione impugnata ha constatato la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2007 dopo il 22 agosto 2007.

b)      Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/RBS

232    Per quanto riguarda il periodo dell’infrazione considerato nei confronti dell’Icap per l’infrazione Citi/RBS, occorre rilevare che le ricorrenti non contestano la partecipazione dell’Icap a tale infrazione per le date relativamente alle quali la Commissione deduce elementi di prova. Il loro argomento mira esclusivamente a contestare la continuità di tale partecipazione per l’intero periodo dell’infrazione considerato, ossia dal 3 marzo al 22 giugno 2010.

233    A tal riguardo, occorre osservare che dalla sezione 5.3.5 della decisione impugnata, vertente sulla «facilitazione» da parte dell’Icap dell’infrazione Citi/RBS, risulta che la Commissione fornisce elementi di prova solo rispetto alle seguenti date: 3 e 4 marzo 2010 (punti da 142 a 144), 28 e 29 aprile 2010 (punti 146 e 147), 4 maggio 2010 (punto 149), 12 maggio 2010 (punto 148), 13 maggio 2010 (punto 149), 25 maggio 2010 (punto 150), 15 giugno 2010 (punto 151) e 22 giugno 2010 (punto 152).

234    In primo luogo, dal momento che tutti i comportamenti contestati all’Icap consistevano nell’ottenere, su richiesta del sig. H., divenuto poi trader della Citi, informazioni della RBS vertenti sul livello delle sue future offerte presso la commissione LIBOR in yen nonché, talvolta, nell’influenzarle, ne deriva necessariamente che essi rientrano nell’ambito di un’infrazione unica.

235    In secondo luogo, per quanto riguarda la fondatezza della qualificazione come infrazione continuata applicata all’infrazione in questione, occorre rilevare che, sebbene a partire dal 28 aprile e fino al 22 giugno 2010, la Commissione fornisca la prova di un intervento periodico dell’Icap a intervalli relativamente frequenti, nessun elemento di prova è fornito per quanto attiene al periodo dal 5 marzo al 27 aprile 2010, ovvero durante più di sette settimane.

236    Inoltre, se è vero che gli elementi di prova relativi al 3 e al 4 marzo 2010 dimostrano chiaramente un intervento dell’Icap su richiesta del sig. H., divenuto poi trader della Citi, per ottenere una riduzione delle offerte della RBS presso la commissione LIBOR in yen, ne discende altresì che il sig. H. mirava a un calo puntuale del JPY LIBOR trimestrale al fine di migliorare le sue posizioni il 3 marzo 2010. Da ciò non può dedursi l’esistenza di un accordo quadro con cui la RBS avrebbe accettato di modificare per un periodo più lungo le sue offerte nel senso auspicato dal sig. H.

237    Ne discende che, per i motivi indicati ai precedenti punti da 222 a 224 e tenuto conto segnatamente del carattere giornaliero della fissazione dei tassi del JPY LIBOR, l’assenza di elementi di prova di un intervento dell’Icap per un periodo così lungo avrebbe dovuto indurre la Commissione a concludere nel senso di un’interruzione della sua partecipazione tra il 5 marzo e il 27 aprile 2010.

238    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere accolto nei limiti in cui la decisione impugnata ha constatato la partecipazione delle ricorrenti all’infrazione Citi/RBS tra il 5 marzo e il 27 aprile 2010.

c)      Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/DB e Citi/UBS

239    Per quanto riguarda la legittimità dei periodi d’infrazione considerati a carico dell’Icap per le infrazioni Citi/DB e Citi/UBS, le ricorrenti contestano tanto la pertinenza degli elementi di prova a carico dell’Icap, quanto il carattere continuativo della sua partecipazione a tali infrazioni.

240    Per quanto riguarda, in primo luogo, la pertinenza degli elementi di prova presi in considerazione dalla Commissione per quanto concerne l’infrazione Citi/UBS e Citi/DB, occorre rilevare quanto segue.

241    Per quanto attiene, innanzitutto, alla conversazione del 7 aprile 2010 menzionata ai punti 154 e 160 della decisione impugnata, per motivi analoghi a quelli indicati ai precedenti punti da 152 a 155, occorre rilevare che essa verteva su un’infrazione diversa da quelle prese in considerazione dalla Commissione. Così, nello stesso modo in cui si è ritenuto che tale conversazione fosse di per sé inidonea a dimostrare la conoscenza da parte dell’Icap delle infrazioni in questione, se ne deve dedurre che essa non può costituire una prova della sua partecipazione all’infrazione Citi/DB.

242    Per quanto concerne, poi, le domande del sig. H., divenuto poi trader della Citi, al sig. R., membro del personale dell’Icap, in data 18 maggio e 23 maggio 2010 indicate ai punti 155 e 161 della decisione impugnata, per motivi analoghi a quelli specificati al precedente punto 163, si deve concludere che l’Icap avrebbe potuto ragionevolmente prevedere che esse rientravano nell’ambito dell’attuazione di una collusione tra la Citi, la DB e la RBS. La Commissione, pertanto, le ha correttamente prese in considerazione.

243    Lo stesso vale, inoltre, per la comunicazione tra il sig. R. e il sig. G., membri del personale dell’Icap, diretta a un adeguamento del bollettino di cui al precedente punto 15 in data 1o giugno 2010, indicata ai punti 157 e 163 della decisione impugnata, dato che tale comunicazione è successiva alle domande menzionate al precedente punto 242 e può, quindi, essere vista come una loro attuazione. Ciò è inoltre confermato dalla conversazione del giorno successivo, il 2 giugno 2010, tra il sig. R. e il sig. H., divenuto poi trader della Citi, menzionata ai punti 156 e 162 di tale decisione, in cui il sig. R. informa il sig. H. che il sig. G. ha effettuato le modifiche auspicate.

244    Da ultimo, infine, per quanto attiene all’infrazione Citi/DB, la Commissione ha correttamente preso in considerazione la conversazione del 7 giugno 2010, menzionata al punto 158 della decisione impugnata, dal momento che, per i motivi indicati al precedente punto 157, il contenuto di quest’ultima dimostra chiaramente la conoscenza da parte dell’Icap dell’esistenza di una collusione tra la Citi e la DB.

245    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’esame della fondatezza della constatazione da parte della Commissione della continuità della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/DB tra il 7 aprile e il 7 giugno 2010, è giocoforza constatare che la decisione impugnata non si basa su alcun elemento di prova di una qualsivoglia domanda rivolta all’Icap in favore di una manipolazione delle offerte presso la commissione LIBOR in yen prima del 18 maggio 2010. Successivamente a tale data, invece, emerge dai precedenti punti da 242 a 244 che la Commissione fornisce la prova di un intervento periodico dell’Icap a intervalli relativamente frequenti fino al 7 giugno 2010.

246    Ne consegue che la Commissione ha erroneamente fissato come data d’inizio della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/DB il 7 aprile 2010, mentre invece essa è in grado di dimostrare tale partecipazione solo a partire dal 18 maggio 2010.

247    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere accolto nei limiti in cui la decisione impugnata ha constatato la partecipazione delle ricorrenti all’infrazione Citi/DB tra il 7 aprile e il 18 maggio 2010.

248    Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’esame della fondatezza della constatazione da parte della Commissione della continuità della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/UBS tra il 28 aprile e il 2 giugno 2010, è sufficiente rammentare che la Commissione si basa sui medesimi elementi di prova evidenziati nell’ambito dell’infrazione Citi/DB. Se ne deduce necessariamente che la Commissione ha erroneamente fissato l’inizio di tale partecipazione al 28 aprile 2010, mentre invece essa può dimostrare tale partecipazione solo a partire dal 18 maggio 2010.

249    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere accolto nei limiti in cui la decisione impugnata ha constatato la partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/UBS tra il 28 aprile e il 18 maggio 2010.

d)      Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/DB

250    Per quanto riguarda la legittimità della decisione impugnata relativamente al periodo d’infrazione considerato nei confronti dell’Icap per l’infrazione UBS/DB, ossia dal 22 maggio al 10 agosto 2009, occorre osservare, in primo luogo, che le ricorrenti non contestano la pertinenza degli elementi di prova addotti contro l’Icap.

251    In secondo luogo, dalla sezione 5.3.4 della decisione impugnata e più precisamente dai punti da 129 a 139 di tale decisione risulta che la Commissione fornisce la prova di un intervento periodico dell’Icap, a intervalli molto frequenti e per tutto il periodo d’infrazione considerato. La Commissione ha quindi correttamente accertato una partecipazione continuata dell’Icap all’infrazione UBS/DB dal 22 maggio al 10 agosto 2009.

252    Alla luce di quanto precede, si deve accogliere il presente motivo e annullare l’articolo 1, lettera a), della decisione impugnata nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2007 dopo il 22 agosto 2007, l’articolo 1, lettera d), di tale decisione nella parte in cui constata la sua partecipazione all’infrazione Citi/RBS tra il 5 marzo e il 27 aprile 2010, nonché l’articolo 1, lettere e) e f), di tale decisione nella parte in cui constata la sua partecipazione alle infrazioni Citi/DB e Citi/UBS prima del 18 maggio 2010.

4.      Sul quarto motivo, vertente su una violazione dei principi della presunzione d’innocenza e di buona amministrazione

253    Nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti ritengono che la decisione impugnata debba essere annullata a motivo dei riferimenti esistenti a partire dalla decisione del 2013 al comportamento dell’Icap e adducono due censure vertenti su una violazione, da un lato, del principio della presunzione d’innocenza e, dall’altro, del principio di buona amministrazione.

254    La Commissione chiede che il presente motivo venga respinto.

255    Poiché la decisione impugnata, nella parte in cui constata la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2008, deve essere annullata per i motivi indicati ai precedenti punti da 133 a 145, è sufficiente esaminare il presente motivo con riferimento alle infrazioni UBS/RBS del 2007, UBS/DB, Citi/RBS, Citi/DB e Citi/UBS.

256    Per quanto riguarda la censura vertente sul fatto che la decisione del 2013 sarebbe stata adottata in violazione del principio della presunzione d’innocenza, occorre rammentare che tale principio costituisce un principio generale del diritto dell’Unione attualmente sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, il quale si applica alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese, che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (v. sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione, C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punti 72 e 73 e giurisprudenza ivi citata).

257    Il principio della presunzione d’innocenza implica che ogni persona accusata è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. Essa osta, quindi, a qualsiasi constatazione formale ed anche a qualsiasi allusione alla responsabilità della persona cui sia imputata una data infrazione in una decisione che pone fine all’azione, senza che la persona abbia potuto beneficiare di tutte le garanzie inerenti all’esercizio dei diritti della difesa nell’ambito di un procedimento che segua il suo corso normale e si concluda con una decisione sulla fondatezza dell’addebito (sentenze del 6 ottobre 2005, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, T‑22/02 e T‑23/02, EU:T:2005:349, punto 106, del 12 ottobre 2007, Pergan Hilfsstoffe für industrielle Prozesse/Commissione, T‑474/04, EU:T:2007:306, punto 76, e del 16 settembre 2013, Villeroy & Boch Austria/Commissione, T‑373/10 e T‑374/10, non pubblicata, EU:T:2013:455, punto 158).

258    Nel caso di specie, occorre innanzitutto rilevare che, nella parte della decisione del 2013 intitolata «Descrizione dei fatti», la Commissione precisa, segnatamente ai punti 43, 45, 46, 49, 50, 54, 56, 59, 60, 62 e 64, le modalità con cui l’Icap avrebbe «facilitato» le infrazioni in questione addebitate alle banche partecipanti al procedimento di transazione.

259    È giocoforza constatare che tali passaggi, benché figurino nella parte della decisione del 2013 relativa al riepilogo dei fatti e non contengano in quanto tali una qualificazione giuridica ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, fanno tuttavia emergere con particolare chiarezza la posizione della Commissione relativamente alla partecipazione dell’Icap ai comportamenti costitutivi d’infrazioni addebitati alle banche interessate. A tal riguardo, la lettura del punto 45 di tale decisione è particolarmente rivelatrice dell’esistenza di una posizione adottata dalla Commissione su tale questione, dal momento che essa vi indica quanto segue:

«(…) L’Icap ha tentato d’influire sulla sua offerta di tassi JPY LIBOR orientandola nella direzione auspicata dal trader dell’UBS; (…) in alcune occasioni, comunicando informazioni ingannevoli a determinate banche della commissione mediante bollettini (…), presentate come “previsioni” o “prospettive” relativamente al livello al quale i tassi JPY LIBOR sarebbero fissati (; tali) informazioni ingannevoli miravano a influenzare determinate banche della commissione che non partecipavano alle infrazioni affinché esse presentassero tassi JPY LIBOR conformi alle “previsioni” o “prospettive” adattate».

260    In secondo luogo, se è vero che il punto 51 della decisione del 2013 precisa che tale decisione non riguarda la qualificazione giuridica del comportamento dell’Icap, né la sua responsabilità, resta il fatto che la posizione della Commissione in merito alla qualificazione giuridica del comportamento dell’Icap nonché l’insorgenza della sua responsabilità per le sei infrazioni in questione poteva facilmente dedursi dal tenore di tale decisione.

261    Infatti, da un lato, al punto 69 della decisione del 2013, la Commissione riproduce il contenuto del punto 130 della sentenza dell’8 luglio 2008, AC-Treuhand/Commission (T‑99/04, EU:T:2008:256), alla quale fa riferimento, in cui il Tribunale ha chiarito i presupposti per la sussistenza della responsabilità di un’impresa in virtù di ciò che essa qualifica come «facilitazione» di un’infrazione. Dall’altro, tale decisione fa riferimento, segnatamente nel titolo delle sue sezioni 4.1.2.1, 4.1.2.3, 4.1.2.4 e 4.1.3, alla «facilitazione» delle infrazioni di cui trattasi da parte dell’Icap.

262    In terzo luogo occorre rilevare che la decisione del 2013 costituisce una decisione definitiva «che pone fine all’azione» ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 257.

263    A tal riguardo, il parallelo effettuato dalla Commissione all’udienza tra l’espressione di una posizione sulla legittimità del comportamento dell’Icap nella decisione del 2013 e quella che potrebbe figurare in una comunicazione degli addebiti è irrilevante. Infatti, in tale secondo scenario, l’impresa interessata è in grado di provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una decisione definitiva. Avendo deciso di non partecipare al procedimento di transazione, le ricorrenti non sono state in grado di far valere il proprio punto di vista prima dell’adozione di tale decisione. Analogamente, la possibilità per le ricorrenti di esercitare i propri diritti di difesa in occasione del ricorso presentato avverso la decisione impugnata nulla toglie al fatto che, in una decisione definitiva precedente a quest’ultima decisione, la Commissione aveva già formalmente accertato la partecipazione dell’Icap a sei infrazioni ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

264    Infine, in quarto luogo, tale conclusione non è messa in discussione dall’argomento della Commissione vertente, in sostanza, sul fatto che i riferimenti alla partecipazione di terzi possono essere necessari per valutare la colpevolezza di coloro che partecipano a un procedimento di transazione. La Commissione rammenta che la ricerca di una maggiore rapidità e efficacia costituisce uno degli obiettivi del procedimento di transazione e ne deduce che sarebbe contrario alla realizzazione di tali obiettivi consentire a una parte che non intende procedere alla transazione di ritardare l’adozione della decisione di transazione nei confronti delle altre parti.

265    A tal riguardo, occorre rammentare che, benché il principio della presunzione d’innocenza sia sancito dall’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali, la quale, in applicazione dell’articolo 6 TUE ha lo stesso valore dei Trattati, il procedimento di transazione trae la sua origine dal regolamento adottato dalla sola Commissione sul fondamento dell’articolo 33 del regolamento n. 1/2003, ossia il regolamento n. 622/2008, e ha carattere facoltativo sia per la Commissione sia per le imprese interessate.

266    Di conseguenza, i requisiti legati al rispetto del principio della presunzione d’innocenza non possono essere alterati dalle considerazioni connesse alla salvaguardia degli obiettivi, per quanto lodevoli, di celerità ed efficacia del procedimento di transazione. Spetta, invece, alla Commissione applicare il suo procedimento di transazione in maniera compatibile con i requisiti di cui all’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali.

267    Certamente, come rammentato dal Tribunale nella sua sentenza del 20 maggio 2015, Timab Industries e CFPR/Commissione (T‑456/10, EU:T:2015:296, punto 71), qualora una transazione non coinvolga tutti i partecipanti a un’infrazione, la Commissione è legittimata ad adottare, da una lato, a seguito di un procedimento semplificato, una decisione che ha per destinatari i partecipanti all’infrazione che hanno deciso di procedere alla transazione e che riflette, per ciascuno di essi, il loro impegno e, dall’altra, secondo un procedimento ordinario, una decisione indirizzata ai partecipanti all’infrazione che hanno deciso di non procedere alla transazione.

268    Tuttavia, l’attuazione di un siffatto procedimento di transazione «ibrido» deve essere effettuata nel rispetto della presunzione d’innocenza dell’impresa che ha deciso di non procedere alla transazione. Di conseguenza, in circostanze in cui la Commissione ritenga di non essere in grado di pronunciarsi sulla responsabilità delle imprese che partecipano alla transazione senza pronunciarsi anche sulla partecipazione all’infrazione dell’impresa che ha deciso di non partecipare alla transazione, le spetta adottare le misure necessarie – tra cui l’adozione eventuale in una stessa data di decisioni vertenti su tutte le imprese interessate dal cartello, come ha fatto nella causa che ha dato origine alla sentenza del 20 maggio 2015, Timab Industries e CFPR/Commissione (T‑456/10, EU:T:2015:296) – che consentano di tutelare detta presunzione d’innocenza.

269    Tenuto conto di quanto precede, si deve concludere che la Commissione ha violato la presunzione d’innocenza dell’Icap in occasione dell’adozione della decisione del 2013. Si deve, certamente, constatare che tale violazione della sua presunzione d’innocenza in occasione dell’adozione della decisione del 2013 non può avere conseguenze dirette sulla legittimità della decisione impugnata, tenuto conto del carattere distinto e autonomo dei procedimenti che hanno portato a queste due decisioni.

270    Tuttavia, occorre verificare se una tale constatazione da parte della Commissione della partecipazione dell’Icap alle infrazioni in questione, effettuata prima della decisione impugnata, possa viziarla per difetto d’imparzialità oggettiva da parte sua e, di conseguenza, per violazione del principio di buona amministrazione di cui all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, come sostengono le ricorrenti nell’ambito della loro seconda censura.

271    In applicazione di una costante giurisprudenza, la Commissione è tenuta a rispettare nell’ambito di un procedimento amministrativo in materia d’intese il diritto a una buona amministrazione sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 154 e giurisprudenza ivi citata).

272    Ai sensi dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, ogni individuo ha diritto in particolare a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale dalle istituzioni dell’Unione. Tale esigenza di imparzialità riguarda, da un lato, il profilo soggettivo, nel senso che nessuno dei membri dell’istituzione interessata che è incaricata della questione manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali e, dall’altro, il profilo oggettivo, nel senso che l’istituzione è tenuta ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 155 e giurisprudenza ivi citata).

273    Solo la nozione d’imparzialità oggettiva rientra nel presente motivo. Le ricorrenti sostengono, essenzialmente, che dubbi legittimi sussistono in merito all’imparzialità oggettiva della Commissione, dal momento che essa doveva pronunciarsi sulla fondatezza delle proprie valutazioni.

274    Tuttavia, va necessariamente constatato che tale censura, nelle circostanze del caso di specie, non può comportare di per sé l’annullamento della decisione impugnata. Infatti, occorre rilevare che la Commissione non ha esercitato nessuna discrezionalità in occasione della qualificazione delle infrazioni in questione o dell’esame della partecipazione dell’Icap che avrebbe potuto essere viziata da un difetto d’imparzialità oggettiva, come attestato dal pieno controllo esercitato dal Tribunale nell’ambito dell’esame del primo, secondo e terzo motivo.

275    A tal riguardo, occorre rilevare che le critiche delle ricorrenti vertevano sulla fondatezza della qualificazione come infrazioni per oggetto adottata dalla Commissione (primo motivo) e delle constatazioni della partecipazione dell’Icap a tali infrazioni (secondo e terzo motivo).

276    Per quanto riguarda, in primo luogo, la partecipazione dell’Icap alle infrazioni di cui trattasi, la questione se un eventuale vizio d’imparzialità oggettiva della Commissione abbia potuto incidere sulla legittimità della decisione impugnata si confonde con la questione se le constatazioni effettuate in tale decisione siano suffragate da sufficienti elementi di prova prodotti dalla Commissione (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2000, Volkswagen/Commissione, T‑62/98, EU:T:2000:180, punto 270, e del 16 giugno 2011, Bavaria/Commissione, T‑235/07, EU:T:2011:283, punto 226), analizzate nell’ambito dell’esame del secondo e terzo motivo.

277    Così, anche supponendo che un eventuale difetto d’imparzialità oggettiva della Commissione abbia potuto indurla a constatare erroneamente la partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2008 o per determinati periodi delle infrazioni UBS/RBS del 2007, Citi/RBS, Citi/DB e Citi/UBS, occorre rilevare che la decisione impugnata deve comunque essere annullata a tal riguardo.

278    Per quanto concerne le altre constatazioni effettuate nella decisione impugnata, l’irregolarità attinente a un eventuale vizio d’imparzialità oggettiva della Commissione potrebbe comportare l’annullamento di tale decisione solo se si dimostrasse che, in mancanza di tale irregolarità, tale decisione avrebbe avuto un contenuto diverso (sentenza del 6 luglio 2000, Volkswagen/Commissione, T‑62/98, EU:T:2000:180, punto 283). Orbene, nel caso di specie, nell’ambito dell’esercizio di un controllo pieno sui motivi pertinenti di tale decisione, si è constatato che, fatta eccezione per gli aspetti menzionati al precedente punto 277, la Commissione aveva dimostrato adeguatamente la partecipazione dell’Icap a cinque delle sei infrazioni di cui trattasi.

279    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la qualificazione come infrazioni per oggetto adottata nella decisione impugnata, si deve analogamente concludere che l’irregolarità riguardante un eventuale difetto d’imparzialità oggettiva della Commissione non ha potuto incidere sul contenuto di tale decisione, giacché, in risposta al primo motivo, si è concluso che l’applicazione di una siffatta qualificazione alle infrazioni in questione non era viziata da alcun errore di diritto o di valutazione.

280    Occorre quindi respingere il quarto motivo.

5.      Sul quinto motivo vertente sulla determinazione dell’importo delle ammende

281    Con il presente motivo le ricorrenti contestano l’importo delle ammende il cui pagamento è stato loro inflitto. In tale contesto, esse sollevano varie censure tra cui quella della carenza di motivazione della decisione impugnata.

282    Il Tribunale considera che si debba esaminare innanzitutto quest’ultimo motivo.

283    Le ricorrenti sostengono che la Commissione era vincolata dai suoi orientamenti del 2006 e che l’applicazione del punto 37 di tali orientamenti implicava che essa giustificasse i motivi per i quali si era discostata dalla sua metodologia generale. Esse ritengono che la decisione impugnata non contenga giustificazioni adeguate a tal riguardo e che le ammende avrebbero dovuto essere fissate sulla base delle commissioni d’intermediazione percepite dall’Icap. Le ricorrenti aggiungono che la Commissione non fornisce una motivazione sufficiente nemmeno per quanto riguarda la fissazione dell’importo delle ammende irrogate. Esse ritengono che la metodologia esplicitata dalla Commissione nei suoi documenti e nel corso di una riunione tenutasi nel corso del procedimento amministrativo abbia un carattere troppo complesso, arbitrario e inadeguato.

284    In risposta all’affermazione vertente su una carenza di motivazione della scelta di non calcolare l’ammenda sulla base delle spese d’intermediazione, la Commissione replica che le sue motivazioni sono chiaramente esplicitate al punto 287 della decisione impugnata.

285    Per quanto riguarda la pretesa carenza di motivazione in merito al metodo di calcolo delle ammende applicato, la Commissione osserva che le ricorrenti, durante il procedimento amministrativo, sono state informate del metodo che sarebbe stato utilizzato. Essa aggiunge che la decisione impugnata è sufficientemente in diritto, poiché in essa si fa riferimento alla gravità, alla durata nonché alla natura della partecipazione dell’Icap alle infrazioni in questione. Sottolineando al contempo di non esservi tenuta, la Commissione fornisce nei propri documenti spiegazioni supplementari in merito al metodo che ha seguito in tale decisione.

286    Occorre rammentare che, alla sezione 9.3 della decisione impugnata, relativa al calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha, in primo luogo, sottolineato di aver applicato il punto 37 dei suoi orientamenti del 2006, il quale precisa che le peculiarità di un dato caso o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo in un caso particolare possono giustificare che essa si discosti dalla metodologia che figura in tali orientamenti (punti da 286 a 288). In secondo luogo, nella decisione impugnata essa ha precisato di aver applicato una diminuzione appropriata in occasione della determinazione dell’importo di base dell’ammenda per le infrazioni Citi/UBS e Citi/DB, per le quali essa suppone che l’Icap abbia adottato il medesimo comportamento, al fine di evitare un livello di sanzioni sproporzionato, senza fornire precisazioni sul livello di tale riduzione (punto 289). In terzo luogo, per quanto riguarda la determinazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione ha indicato aver tenuto conto della gravità e della durata delle infrazioni in questione nonché della natura della partecipazione dell’Icap, senza fornire spiegazioni in merito all’incidenza di tali elementi sugli importi di base considerati (punti da 290 a 296). In quarto luogo, per quanto attiene alla determinazione dell’importo finale delle ammende, in assenza di circostanze aggravanti o attenuanti o di superamento del massimale del 10% del fatturato, esso è stato fissato allo stesso livello dell’importo di base (punti da 297 a 300).

287    Come riconosciuto da constante giurisprudenza, l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296, secondo comma, TFUE costituisce una formalità sostanziale che dev’essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso. Sotto tale profilo, la motivazione prescritta dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Per quanto riguarda, in particolare, la motivazione delle decisioni individuali, l’obbligo di motivare tali decisioni ha quindi lo scopo, oltre che di consentire un controllo giurisdizionale, di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per sapere se la decisione sia eventualmente affetta da un vizio che consente di contestarne la validità (v. sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punti da 146 a 148 e giurisprudenza ivi citata; dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punti 114 e 115, e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 44).

288    Inoltre, l’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o qualsiasi altra persona, che detto atto riguardi direttamente e individualmente, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto per accertare se la motivazione di un atto soddisfi le prescrizioni di cui all’articolo 296 TFUE occorre far riferimento non solo al suo tenore, ma anche al suo contesto e al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 150; dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 116, e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 45).

289    Qualora la Commissione decida di discostarsi dalla metodologia generale prevista negli orientamenti del 2006, con i quali essa si è autolimitata nell’esercizio del proprio potere discrezionale relativamente alla fissazione dell’importo delle ammende, basandosi, come nel caso di specie, sul punto 37 dei richiamati orientamenti, tali obblighi di motivazione si impongono ancora di più (sentenza del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 48). A tal riguardo, occorre richiamare la costante giurisprudenza che ha riconosciuto che gli orientamenti prevedono una norma di condotta indicativa della prassi da seguire da cui la Commissione non può discostarsi, in un caso particolare, senza fornire ragioni compatibili, segnatamente, con il principio di parità di trattamento (v., in tal senso, sentenze del 30 maggio 2013, Quinn Barlo e a./Commissione, C‑70/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:351, punto 53, e dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). Tale motivazione deve essere specificata a maggior ragione dal momento che il punto 37 degli orientamenti contiene unicamente un generico riferimento alle «specificità di un determinato caso» e lascia, dunque, un ampio margine di discrezionalità alla Commissione affinché proceda a un adeguamento eccezionale degli importi di base delle ammende delle imprese interessate. Infatti, in un caso del genere, è di fondamentale importanza il rispetto, da parte della Commissione, nei procedimenti amministrativi, delle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dell’Unione, tra cui l’obbligo di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C‑269/90, EU:C:1991:438, punto 14).

290    La giurisprudenza precisa inoltre che, in linea di principio, la motivazione deve dunque essere comunicata all’interessato contemporaneamente alla decisione che gli arreca pregiudizio. La mancanza di motivazione non può essere regolarizzata dal fatto che l’interessato apprenda i motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione (sentenze del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 149; del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione, C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 74 e del 13 dicembre 2016, Printeos e a./Commissione, T‑95/15, EU:T:2016:722, punto 46).

291    Con riferimento a una decisione che infligge un’ammenda, la Commissione deve fornire una motivazione, in particolare quanto all’importo dell’ammenda inflitta e al metodo scelto a tal riguardo (sentenza del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, EU:T:2006:270, punto 91). Le spetta indicare, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione, senza essere tenuta ad inserirvi una spiegazione più dettagliata ovvero i dati in cifre relativi al metodo di calcolo dell’ammenda (sentenza del 13 luglio 2011, Schindler Holding e a./Commissione, T‑138/07, EU:T:2011:362, punto 243). Essa deve tuttavia spiegare la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati (sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61).

292    Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che i motivi per cui la Commissione ha deciso di discostarsi dalla metodologia che figura negli orientamenti del 2006, applicando il punto 37 di questi ultimi, si possono dedurre dalla lettura del punto 287 della decisione impugnata. Essi risultano dalla circostanza che l’Icap non era attiva sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi e che, di conseguenza, la presa in considerazione del valore delle vendite, ossia le spese d’intermediazione percepite, non consentirebbe di riflettere la gravità e la natura delle infrazioni in questione.

293    In secondo luogo, è tuttavia giocoforza constatare che il punto 287 della decisione impugnata non fornisce precisazioni circa il metodo alternativo prescelto dalla Commissione, ma si limita ad assicurare in via generale che gli importi di base rispecchino la gravità, la durata e la natura della partecipazione dell’Icap alle infrazioni in questione nonché la necessità di garantire che le ammende abbiano un effetto sufficientemente dissuasivo.

294    Redatto in tal modo, il punto 287 della decisione impugnata non consente alle ricorrenti di capire la fondatezza della metodologia prescelta dalla Commissione né al Tribunale di verificarla. Tale carenza di motivazione si ritrova altresì ai punti da 290 a 296 di tale decisione, i quali non forniscono le informazioni minime che avrebbero potuto consentire di capire e verificare la pertinenza e la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione nella determinazione dell’importo di base delle ammende, e ciò in violazione della giurisprudenza citata al precedente punto 291.

295    Dalle memorie delle parti risulta che la questione della metodologia che la Commissione intendeva utilizzare ai fini del calcolo dell’importo delle ammende sarebbe stata affrontata nel corso di una discussione con i rappresentanti delle ricorrenti durante il procedimento amministrativo. Se è vero che, in applicazione della giurisprudenza menzionata al precedente punto 288, la motivazione di un atto impugnato deve essere esaminata prendendo in considerazione il suo contesto, non si può ritenere che lo svolgimento di tali colloqui esplorativi e informali possa dispensare la Commissione dal suo obbligo di esplicitare, nella decisione impugnata, la metodologia che essa applica per determinare gli importi delle ammende inflitte.

296    Al punto 176 del controricorso la Commissione evidenzia l’esistenza di un criterio in cinque tappe volto a calcolare l’importo di base delle ammende. Tuttavia, in applicazione della giurisprudenza menzionata al precedente punto 290, una tale spiegazione fornita nella fase del procedimento dinanzi al Tribunale non può essere presa in considerazione al fine di valutare il rispetto da parte della Commissione del suo obbligo di motivazione.

297    Tenuto conto di quanto precede, occorre constare che, per quanto riguarda la determinazione delle ammende inflitte all’Icap per le infrazioni in questione, la decisione impugnata è viziata da una carenza di motivazione.

298    Il quinto motivo deve di conseguenza essere accolto e l’articolo 2 della decisione impugnata deve essere annullato nella sua interezza, senza che sia necessario esaminare le altre censure di tale motivo né quelle del sesto motivo, il quale verte esclusivamente sulla legittimità di tale articolo.

299    Inoltre, poiché l’articolo 2 della decisione impugnata è annullato nella sua interezza, non è necessario esaminare le conclusioni di riforma, presentate in via subordinata dalle ricorrenti.

 Sulle spese

300    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

301    Nel caso di specie, le ricorrenti sono state parzialmente soddisfatte per una parte sostanziale delle loro conclusioni. In tale contesto, in base a un’equa valutazione delle circostanze del caso, si statuisce che la Commissione sopporterà le proprie spese e i tre quarti di quelle delle ricorrenti.

302    Infine, nei limiti in cui le ricorrenti chiedono la condanna della Commissione alle spese e alle «altre spese sostenute nell’ambito della presente controversia», occorre rammentare che, in applicazione dell’articolo 140, lettera b), del regolamento di procedura, sono considerate spese ripetibili le spese indispensabili sostenute dalle parti per la causa.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata),

dichiara e statuisce:

1)      L’articolo 1, lettera a), della decisione C (2015) 432 final della Commissione europea, del 4 febbraio 2015, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen), è annullato nella parte in cui fa riferimento al periodo successivo al 22 agosto 2007.

2)      L’articolo 1, lettera b), della decisione C(2015) 432 final è annullato.

3)      L’articolo 1, lettera d), della decisione C(2015) 432 final è annullato nella parte in cui fa riferimento al periodo compreso tra il 5 marzo e il 27 aprile 2010.

4)      L’articolo 1, lettera e), della decisione C(2015) 432 final è annullato nella parte in cui fa riferimento al periodo precedente al 18 maggio 2010.

5)      L’articolo 1, lettera f), della decisione C(2015) 432 final è annullato nella parte in cui fa riferimento al periodo precedente al 18 maggio 2010.

6)      L’articolo 2 della decisione C(2015) 432 final è annullato.

7)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

8)      L’Icap plc, l’Icap Management Services Ltd e l’Icap New Zealand Ltd sono condannate a sopportare un quarto delle proprie spese.

9)      La Commissione è condannata a sopportare le proprie spese e i tre quarti delle spese dell’Icap, dell’Icap Management Services e dell’Icap New Zealand.

Prek

Buttigieg

Schalin

Berke

 

Costeira

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 novembre 2017.

Firme


Indice


I. Fatti

A. Procedimento amministrativo all’origine della decisione impugnata

B. Decisione impugnata

1. Strumenti finanziari derivati di cui trattasi

2. Comportamenti contestati all’Icap

3. Calcolo dell’ammenda

II. Procedimento e conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sulla ricevibilità di un documento e di un capo delle conclusioni

1. Sulla ricevibilità del quarto capo delle conclusioni delle ricorrenti

2. Sulla contestazione della ricevibilità di una lettera delle ricorrenti

B. Sulle conclusioni dirette all’annullamento

1. Sul primo motivo, vertente su errori nell’interpretazione e nell’applicazione della nozione di restrizione e di distorsione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE

2. Sul secondo motivo vertente su errori nell’applicazione della nozione di «facilitazione» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e della giurisprudenza

a) Sulla seconda parte, vertente sulla violazione da parte della Commissione dei criteri giurisprudenziali della «facilitazione»

1) Sulla prima censura, relativa alla mancata dimostrazione della conoscenza da parte dell’Icap dell’esistenza di una collusione tra le banche interessate nell’ambito di alcune delle sei infrazioni in questione

i) Sulla prova della Commissione della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2007

ii) Sulla prova della Commissione della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla RBS nell’infrazione UBS/RBS del 2008

iii) Sulla prova della conoscenza da parte dell’Icap del ruolo svolto dalla DB e dell’UBS nelle infrazioni Citi/DB e Citi/UBS

2) Sulla terza censura, che contesta il contributo dell’Icap agli obiettivi comuni delle banche interessate

3) Sulla seconda censura, che contesta l’esistenza dell’intenzione da parte dell’Icap di contribuire alla realizzazione degli obiettivi comuni delle banche interessate

b) Sulla terza parte, vertente sull’erroneità dei motivi della decisione impugnata relativi all’utilizzo da parte dell’Icap dei suoi contatti per influenzare le offerte di determinate banche

c) Sulla prima parte, vertente sulla violazione del principio di certezza del diritto

3. Sul terzo motivo, vertente sull’erroneità della durata delle infrazioni in questione

a) Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/RBS del 2007

b) Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/RBS

c) Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione Citi/DB e Citi/UBS

d) Sulla durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione UBS/DB

4. Sul quarto motivo, vertente su una violazione dei principi della presunzione d’innocenza e di buona amministrazione

5. Sul quinto motivo vertente sulla determinazione dell’importo delle ammende

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.