Language of document : ECLI:EU:C:2016:788

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 20 ottobre 2016 (1)

Causa C413/14 P

Intel Corporation Inc.

contro

Commissione europea


Indice


I – Contesto normativo

II – Fatti

III – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

IV – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

V – Valutazione dei motivi di impugnazione

A – Osservazioni introduttive

B – Sul primo motivo di impugnazione: il criterio giuridico da applicare ai cosiddetti «sconti di esclusiva»

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

a) La valutazione svolta in via principale dal Tribunale sugli sconti e sui pagamenti effettuati dalla ricorrente

i) I principi fondamentali della giurisprudenza della Corte relativa agli sconti

ii) Le circostanze del caso di specie come mezzo per determinare se il comportamento addebitato abbia un probabile effetto sulla concorrenza

iii) Secondo la giurisprudenza, esistono solo due categorie di sconti

– Una presunzione di illegittimità basata sulla forma non può essere superata

– Gli sconti di fedeltà non sono sempre dannosi

– Gli effetti degli sconti di fedeltà dipendono dal contesto

– Le pratiche correlate richiedono la presa in considerazione di tutte le circostanze

– Conclusione intermedia

b) La valutazione della capacità effettuata ad abundantiam dal Tribunale

i) Capacità e/o probabilità

ii) I fattori considerati dal Tribunale per confermare la constatazione di una pratica abusiva

iii) Altre circostanze

– Copertura di mercato

– Durata

– Risultati di mercato del concorrente e calo dei prezzi

– Il test AEC

c) Conclusione

C – Sul secondo motivo di impugnazione: la copertura di mercato nel determinare se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

D – Sul terzo motivo di impugnazione: la classificazione di taluni sconti come «sconti di esclusiva»

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

E – Sul quarto motivo di impugnazione: i diritti della difesa

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

a) La riunione in questione era un colloquio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003

b) La nota interna non sana il vizio procedurale

c) La conseguenza della mancata verbalizzazione della riunione in questione

F – Sul quinto motivo di impugnazione, vertente sulla competenza

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

a) Osservazioni generali: attuazione e/o effetti?

b) Valutazione dell’applicazione, da parte del Tribunale, dei criteri rilevanti in materia di competenza

i) Attuazione

ii) Effetti «qualificati»

G – Sul sesto motivo di impugnazione, vertente sull’importo dell’ammenda

1. I principali argomenti delle parti

2. Analisi

VI – Conseguenze della valutazione

VII – Conclusione

«Impugnazione – Articolo 102 TFUE – Abuso di posizione dominante – Sconti di fedeltà – Qualificazione come pratica abusiva – Criterio giuridico applicabile – Infrazione unica e continuata – Diritti della difesa – Articolo 19 del regolamento (CE) n. 1/2003 – Colloquio relativo all’oggetto di un’indagine – Competenza della Commissione – Attuazione – Effetti»





1.        Con la presente impugnazione, l’Intel Corporation (in prosieguo: l’«Intel» o la «ricorrente») chiede alla Corte di annullare la sentenza del 12 giugno 2014, Intel/Commissione (2), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso di annullamento della decisione C(2009) 3726 definitivo della Commissione, del 13 maggio 2009, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 82 [CE] (divenuto articolo 102 TFUE) e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (caso COMP/C‑3/37.990 – Intel) (in prosieguo: la «decisione controversa») (3).

2.        La causa solleva una serie di importanti questioni di principio. Tali questioni includono l’applicazione della nozione di «infrazione unica e continuata» nel contesto di quello che è attualmente l’articolo 102 TFUE, il potere discrezionale di cui dovrebbe disporre la Commissione nel registrare i colloqui dalla stessa tenuti durante le indagini e la portata della competenza della Commissione a svolgere indagini su infrazioni commesse all’estero.

3.        Inoltre, il caso offre alla Corte un’occasione per affinare la sua giurisprudenza relativa all’abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Più specificamente, si pone la questione se, alla luce della linea giurisprudenziale derivante dalla sentenza Hoffmann‑La Roche (4), sia giustificato operare una distinzione tra diversi tipi di sconti. Tenuto conto di tale giurisprudenza, la Corte deve determinare il criterio giuridico corretto da applicare a una particolare categoria di sconti, che il Tribunale ha definito «sconti di esclusiva» nella sentenza impugnata.

4.        In particolare, la Corte è chiamata a stabilire se il Tribunale abbia correttamente dichiarato che gli sconti del tipo di cui trattasi nella fattispecie sono intrinsecamente anticoncorrenziali. La natura intrinsecamente anticoncorrenziale di tali sconti renderebbe inutile prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie al fine di stabilire se il comportamento in questione sia atto a restringere, in concreto, la concorrenza in un particolare mercato.

I –    Contesto normativo

5.        Il considerando 25 del regolamento (CE) n. 1/2003 (5) chiarisce che la Commissione dovrebbe in particolare avere la facoltà di sentire chiunque possa disporre di informazioni utili e di verbalizzarne le dichiarazioni.

6.        L’articolo 19 del regolamento riguarda il potere della Commissione di raccogliere dichiarazioni. Il paragrafo 1 di tale articolo così dispone:

«Per l’assolvimento dei compiti affidatile dal presente regolamento, la Commissione può sentire ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine».

7.        L’articolo 27, paragrafo 2, di tale regolamento prevede quanto segue:

«Nel corso del procedimento sono pienamente garantiti i diritti di difesa delle parti interessate. Esse hanno diritto d’accesso al fascicolo della Commissione, fermo restando il legittimo interesse delle imprese alla tutela dei propri segreti aziendali. Sono esclusi dal diritto di accesso le informazioni riservate e i documenti interni della Commissione e delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri (…)».

8.        Il considerando 3 del regolamento (CE) n. 773/2004 (6) chiarisce che, quando la Commissione tiene colloqui, le persone sentite dovrebbero essere informate delle finalità del colloquio e delle registrazioni che ne potranno essere fatte.

9.        L’articolo 3 di tale regolamento riguarda il potere della Commissione di assumere dichiarazioni. Esso prevede quanto segue:

«1. Quando la Commissione sente una persona con il consenso di quest’ultima, ai sensi dell’articolo 19 del regolamento [n. 1/2003], essa deve, all’inizio del colloquio, indicare la base giuridica e la finalità dello stesso e ricordarne la natura facoltativa. Essa informa inoltre la persona sentita qualora intenda effettuare una registrazione del colloquio.

2. Il colloquio può svolgersi con qualsiasi mezzo, inclusi il telefono e le vie elettroniche.

3. La Commissione può registrare in qualsiasi forma le dichiarazioni rese dalle persone sentite. Una copia dell’eventuale registrazione viene messa a disposizione della persona sentita per l’approvazione. All’occorrenza la Commissione può stabilire il termine entro il quale la persona sentita può comunicare eventuali correzioni da apportare alla dichiarazione resa».

II – Fatti

10.      I fatti della controversia, quali risultano dalla sentenza impugnata, possono essere riassunti come segue.

11.      L’Intel è una società con sede negli Stati Uniti che progetta, sviluppa, fabbrica e commercializza processori (in prosieguo: i «CPU»), «chipset» e altri componenti di semiconduttori, nonché soluzioni per piattaforme nell’ambito del trattamento dei dati e dei dispositivi di comunicazione.

12.      Il 18 ottobre 2000, l’Advanced Micro Devices (in prosieguo: l’«AMD») ha presentato una denuncia formale alla Commissione ai sensi del regolamento n. 17 (7), che ha integrato con nuovi fatti e affermazioni nell’ambito di una denuncia complementare del 26 novembre 2003.

13.      Nel maggio 2004, la Commissione ha avviato indagini incentrate sulle affermazioni contenute nella denuncia complementare dell’AMD.

14.      Il 17 luglio 2006, l’AMD ha presentato una denuncia al Bundeskartellamt (Ufficio federale tedesco garante della concorrenza), in cui sosteneva che l’Intel aveva concluso, in particolare, accordi commerciali di esclusione con la Media‑Saturn‑Holding GmbH (in prosieguo: la «MSH»), rivenditore europeo di dispositivi microelettronici e il maggiore distributore europeo di computer fissi. L’Ufficio federale garante della concorrenza ha scambiato informazioni con la Commissione a tal proposito.

15.      Il 23 agosto 2006, la Commissione ha tenuto una riunione con un alto dirigente, il sig. D1, della Dell Inc., un cliente dell’Intel (8). La Commissione non ha inserito nel fascicolo l’elenco indicativo degli argomenti oggetto di discussione nel corso della riunione e non ha redatto alcun verbale della riunione. Un membro del gruppo della Commissione, responsabile della tenuta del fascicolo, qualche tempo dopo la riunione, ha redatto una nota, definita interna dalla Commissione. Il 19 dicembre 2008, la Commissione ha fornito alla ricorrente una versione non riservata di tale nota.

16.      Il 26 luglio 2007, la Commissione ha notificato alla ricorrente una comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti del 2007») relativa al suo comportamento nei confronti di cinque principali produttori di apparecchiature originali (Original Equipment Manufacturer; in prosieguo: i «costruttori OEM»), ossia la Dell, la Hewlett‑Packard Company (HP), l’Acer Inc., la NEC Corp. e l’International Business Machines Corp. (IBM).

17.      Il 17 luglio 2008, la Commissione ha inviato alla ricorrente una comunicazione degli addebiti complementare, relativa al comportamento dell’Intel nei confronti della MSH e della Lenovo Group Ltd (in prosieguo: la «Lenovo»). Tale comunicazione comprendeva nuove prove del comportamento dell’Intel nei riguardi di alcuni costruttori OEM oggetto della comunicazione degli addebiti del 2007, che erano state ottenute dalla Commissione dopo la sua pubblicazione.

18.      Dopo varie fasi procedurali, il 13 maggio 2009, la Commissione ha adottato la decisione controversa nella quale ha affermato che l’Intel aveva violato l’articolo 82 CE e l’articolo 54 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), dall’ottobre 2002 fino al dicembre 2007, attuando una strategia volta a precludere a un concorrente, l’AMD, il mercato dei microprocessori CPU x86 (in prosieguo: i «CPU x86»).

19.      Tale decisione conteneva le seguenti considerazioni.

20.      I prodotti interessati sono i CPU. L’architettura x86 è uno standard sviluppato dall’Intel per i suoi CPU. Essa può supportare entrambi i sistemi operativi, Windows e Linux. Windows è principalmente connesso alle istruzioni x86. Prima del 2000, esistevano vari produttori di CPU x86. Tuttavia, da allora, la maggior parte di essi è uscita dal mercato. Secondo la decisione controversa, l’Intel e l’AMD sono essenzialmente le uniche due società che continuano a produrre CPU x86.

21.      Nella decisione controversa, inoltre, la Commissione ha concluso che il mercato rilevante del prodotto non era più esteso del mercato dei CPU x86. Essa ha tuttavia lasciato, tuttavia, aperta la questione se esista un mercato unico di CPU x86 per tutti i computer, oppure se sia necessario operare una distinzione fra tre mercati separati di CPU x86, ossia il mercato dei computer fissi, quello dei computer portatili e quello dei server. Secondo la decisione controversa, considerate le quote di mercato detenute dall’Intel per ciascuno di tali segmenti, le conclusioni relative alla posizione dominante rimangono inalterate.

22.      Nella decisione controversa il mercato geografico è stato definito a livello mondiale.

23.      Per quanto riguarda la posizione dominante, nel periodo di dieci anni esaminato dalla Commissione (1997‑2007), l’Intel ha detenuto quote di mercato pari o superiori al 70% circa. Inoltre, la Commissione ha individuato significativi ostacoli all’accesso e all’espansione nel mercato dei CPU x86. Tali ostacoli derivavano, in particolare, dagli investimenti irrecuperabili in materia di ricerca e sviluppo, proprietà intellettuale e impianti di produzione necessari per produrre CPU x86. Basandosi sulle quote di mercato dell’Intel e sugli ostacoli all’accesso e all’espansione sul mercato rilevante, la Commissione ha concluso che l’Intel ha detenuto una posizione dominante in tale mercato almeno per il periodo contemplato dalla decisione, ossia dall’ottobre 2002 al dicembre 2007.

24.      Nella decisione controversa la Commissione ha individuato due tipi di comportamento adottati dall’Intel nei confronti dei suoi partner commerciali, ossia gli sconti condizionati e le cosiddette «restrizioni allo scoperto» («naked restrictions»).

25.      Per quanto riguarda il primo tipo, l’Intel ha applicato sconti a quattro costruttori OEM, nella specie la Dell, la Lenovo, l’HP e la NEC, a condizione che essi si rifornissero per tutto o quasi tutto il loro fabbisogno di CPU x86 presso la Intel. L’Intel ha anche effettuato pagamenti alla MSH, a condizione che quest’ultima vendesse esclusivamente computer muniti di CPU x86 di Intel.

26.      Secondo la decisione controversa, gli sconti condizionati concessi dall’Intel sono definiti sconti di fedeltà. Per quanto riguarda i pagamenti condizionati dell’Intel alla MSH, la Commissione ha concluso che il meccanismo economico di detti pagamenti è equivalente a quello degli sconti condizionati concessi ai costruttori OEM.

27.      La decisione controversa procede inoltre a un’analisi in termini economici della capacità degli sconti e dei pagamenti alla MSH di precludere il mercato ad un ipotetico concorrente efficiente al pari dell’Intel (as efficient competitor test; in prosieguo: il «test AEC») (9).

28.      Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ha concluso che gli sconti condizionati e i pagamenti dell’Intel fidelizzavano i principali costruttori OEM e la MSH. Tali pratiche avrebbero avuto effetti complementari, riducendo in modo significativo la capacità dei concorrenti di competere sulla qualità dei loro CPU x86. Il comportamento anticoncorrenziale dell’Intel avrebbe pertanto determinato una scelta più limitata per i consumatori e minori incentivi ad innovare.

29.      Per quanto riguarda il secondo tipo di comportamento individuato nella decisione controversa, ossia le «restrizioni allo scoperto», la Commissione ha ritenuto che l’Intel avesse concesso pagamenti a tre costruttori OEM, ossia l’HP, l’Acer e la Lenovo, a condizione che essi ritardassero o annullassero il lancio di prodotti muniti di CPU dell’AMD e/o ne limitassero la distribuzione. La Commissione ha concluso che il comportamento dell’Intel, relativo alle restrizioni allo scoperto, aveva arrecato un pregiudizio alla concorrenza, in quanto i clienti erano stati privati di una scelta di cui avrebbero altrimenti usufruito. Secondo la Commissione, ciò non costituiva una normale concorrenza basata sui meriti.

30.      La Commissione ha concluso nella decisione controversa che, in ciascun caso, il comportamento adottato dall’Intel nei confronti dei summenzionati costruttori OEM e della MSH costituiva una pratica abusiva ai sensi dell’articolo 102 TFUE, ma che ogni singolo abuso era anche parte di un’unica strategia volta a precludere il mercato dei CPU x86 all’AMD, unico concorrente importante dell’Intel. Tali singoli abusi sono quindi parte una violazione unica dell’articolo 102 TFUE.

31.      Facendo applicazione degli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (in prosieguo: gli «Orientamenti del 2006») (10), la Commissione ha inflitto alla ricorrente un’ammenda pari a EUR 1,06 miliardi.

32.      La decisione controversa prevede quanto segue:

«Articolo 1

Intel (…) ha commesso un’infrazione unica e continuata all’articolo [102 TFUE] e all’articolo 54 dell’accordo SEE, fra l’ottobre 2002 e il dicembre 2007, mediante una strategia volta a precludere ai concorrenti il mercato dei CPU x86, la quale è stata caratterizzata dalle seguenti azioni:

a)      applicazione di sconti alla Dell fra il dicembre 2002 e il dicembre 2005, il cui livello era subordinato alla condizione che la Dell acquistasse dall’Intel la totalità dei suoi CPU x86;

b)      applicazione di sconti all’HP fra il novembre 2002 e il maggio 2005, il cui livello era subordinato alla condizione che l’HP acquistasse dall’Intel almeno il 95% dei CPU x86 destinati ai suoi computer aziendali fissi;

c)      applicazione di sconti alla NEC fra l’ottobre 2002 e il novembre 2005, il cui livello era subordinato alla condizione che la NEC acquistasse dall’Intel almeno l’80% dei CPU x86 destinati ai suoi PC clienti;

d)      applicazione di sconti alla Lenovo fra il gennaio 2007 e il dicembre 2007, il cui livello era subordinato alla condizione che la Lenovo acquistasse dall’Intel la totalità dei CPU x86 destinati ai suoi computer portatili;

e)      effettuazione di pagamenti alla [MSH] fra l’ottobre 2002 e il dicembre 2007, il cui livello era subordinato alla condizione che la [MSH] vendesse esclusivamente computer muniti di CPU x86 dell’Intel;

f)      effettuazione di pagamenti all’HP fra il novembre 2002 e il maggio 2005, subordinata alla condizione che: i) l’HP orientasse i suoi computer aziendali fissi muniti di CPU x86 dell’AMD verso piccole e medie imprese e verso i clienti del settore governativo, educativo e medico piuttosto che verso le grandi imprese; ii) l’HP vietasse ai suoi rivenditori di avere in magazzino i computer aziendali fissi dell’HP muniti di CPU x86 dell’AMD in modo tale che i clienti potessero ottenere tali computer unicamente ordinandoli all’HP (direttamente o tramite rivenditori dell’HP che svolgono la funzione di agenti commerciali); iii) l’HP ritardasse di sei mesi il lancio nella regione [Europa, Medio Oriente e Africa] del suo computer aziendale fisso munito di un CPU x86 dell’AMD;

g)      effettuazione di pagamenti a favore dell’Acer fra il settembre 2003 e il gennaio 2004, subordinata alla condizione che l’Acer ritardasse il lancio di un portatile munito di un CPU x86 dell’AMD;

h)      effettuazione di pagamenti a favore della Lenovo fra il giugno 2006 e il dicembre 2006, subordinata alla condizione che la Lenovo ritardasse e alla fine annullasse il lancio dei suoi computer portatili muniti di CPU x86 dell’AMD».

III – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

33.      Con atto introduttivo depositato il 22 luglio 2009, la ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare la decisione controversa. L’Association for Competitive Technology, Inc. (in prosieguo: l’«ACT») è intervenuta a sostegno dell’Intel.

34.      Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto integralmente il ricorso.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

35.      Con l’impugnazione proposta alla Corte il 26 agosto 2014, l’Intel chiede che la Corte voglia:

–        annullare, in tutto o in parte, la sentenza impugnata;

–        annullare, in tutto o in parte, la decisione controversa;

–        annullare oppure ridurre in modo sostanziale l’ammenda inflitta;

–        in subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché questo statuisca conformemente alla sentenza della Corte;

–        condannare la Commissione alle spese del presente procedimento e del procedimento dinanzi al Tribunale.

36.      L’ACT ha presentato una memoria a sostegno delle conclusioni della ricorrente.

37.      La Commissione chiede alla Corte il rigetto dell’impugnazione e la condanna della ricorrente alle spese.

38.      L’Intel, l’ACT e la Commissione hanno formulato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 21 giugno 2016.

V –    Valutazione dei motivi di impugnazione

39.      La ricorrente deduce sei motivi a sostegno della sua impugnazione. Il primo motivo di impugnazione verte su errori di diritto nella qualificazione giuridica degli sconti definiti dal Tribunale come «sconti di esclusiva». Il secondo motivo di impugnazione verte su un errore di diritto nel constatare una violazione nel 2006 e nel 2007 e nella valutazione della rilevanza della copertura di mercato. Il terzo motivo verte su un errore di diritto per quanto riguarda la qualificazione come «sconti di esclusiva» di taluni accordi di sconto che riguardavano soltanto una minima parte degli acquisti di un cliente. Con il quarto motivo di impugnazione si deduce un errore procedurale derivante da un’errata interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, concernente l’inesistenza di un obbligo di registrare i colloqui. Il quinto motivo di impugnazione verte sulla violazione dell’articolo 102 TFUE e riguarda la competenza della Commissione ad applicare l’articolo 102 TFUE agli accordi della ricorrente, conclusi con la Lenovo in Cina nel 2006 e nel 2007. Infine, il sesto motivo verte sull’importo dell’ammenda derivante da un errore di diritto relativo all’applicazione retroattiva degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende.

40.      Esaminerò tutte le questioni in ordine successivo. Prima di tale esame, tuttavia, ritengo opportuno formulare alcune osservazioni preliminari per quanto riguarda la struttura e la ratio dell’articolo 102 TFUE. Tali osservazioni costituiscono il punto di partenza per la successiva valutazione dei primi tre motivi di impugnazione.

A –    Osservazioni introduttive

41.      Fin dall’inizio, le regole di concorrenza dell’Unione hanno mirato a istituire un sistema di concorrenza non falsata, quale parte del mercato interno stabilito dall’Unione (11). A tal proposito, non si può sottolineare a sufficienza il fatto che la tutela ai sensi delle regole di concorrenza dell’Unione è concessa al processo concorrenziale in quanto tale e non, ad esempio, ai concorrenti (12). Analogamente, i concorrenti costretti a uscire dal mercato a causa di una feroce concorrenza, e non per comportamenti anticoncorrenziali, non sono tutelati. Pertanto, non tutte le uscite dal mercato sono necessariamente un segno di comportamenti abusivi, quanto piuttosto un segno di concorrenza aggressiva, pur se sana e ammissibile (13). Ciò in quanto, data la sua natura economica, il diritto della concorrenza mira, in ultima analisi, a migliorare l’efficienza. L’importanza attribuita all’efficienza è, a mio avviso, chiaramente riflessa anche nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione.

42.      Da tale enfasi discende naturalmente che la posizione dominante in quanto tale non è considerata incompatibile con l’articolo 102 TFUE. Al contrario, solo il comportamento costituente espressione del potere di mercato a danno della concorrenza e, quindi, dei consumatori è vietato e di conseguenza sanzionato come abuso di posizione dominante.

43.      Un logico corollario dell’obiettivo del miglioramento dell’efficienza è che gli effetti anticoncorrenziali di una particolare pratica assumono un’importanza fondamentale. A prescindere dal sapere se si tratti di una scorciatoia nell’applicazione della normativa quale quella offerta dalla nozione di «restrizione per oggetto» nel contesto dell’articolo 101 TFUE (14), o del comportamento di una singola impresa rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 102 TFUE, le regole di concorrenza dell’Unione cercano di individuare comportamenti aventi effetti anticoncorrenziali. Fino ad ora, la forma di una particolare pratica non è stata ritenuta rilevante.

44.      Nella sentenza impugnata il Tribunale ha operato una distinzione fra tre categorie di sconti: sconti basati sui volumi, «sconti di esclusiva» e sconti basati su un meccanismo che può avere un effetto fidelizzante. Diversamente da un sistema di sconti basato semplicemente sul volume degli acquisti (categoria 1), che riflette guadagni in termini di efficienza ed economie di scala, i sistemi di sconti di esclusiva (categoria 2), secondo la tassonomia utilizzata dal Tribunale, sono incompatibili con l’obiettivo di una concorrenza non falsata nel mercato interno. Tali sconti sono subordinati alla condizione che il cliente si rifornisca per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (15).

45.      Oltre che alle due categorie di sconti summenzionate, la sentenza impugnata fa riferimento a una categoria residuale di sconti dotata di un meccanismo di fidelizzazione senza essere direttamente collegata a una fornitura esclusiva o quasi esclusiva (categoria 3). Tale categoria include sconti quali quelli retroattivi (16). Il Tribunale ha considerato che gli sconti appartenenti alla categoria 3 dovrebbero essere tenuti distinti dagli «sconti di esclusiva» in quanto essi non sono direttamente subordinati alla condizione dell’esclusiva. Per tale motivo, il Tribunale ha riconosciuto la necessità di considerare tutte le circostanze per stabilire se siffatti sconti siano atti a restringere la concorrenza (17).

46.      Data la condizionalità degli sconti, il Tribunale ha classificato gli sconti e i pagamenti offerti dalla ricorrente come «sconti di esclusiva». Basandosi sulla giurisprudenza derivante dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, il Tribunale ha considerato che, per stabilire se l’impresa in questione avesse abusato della sua posizione dominante, fosse sufficiente che gli sconti fossero «sconti di esclusiva» appartenenti alla categoria 2. Una volta dimostrato tutto ciò, non era più necessario tener conto di «tutte le circostanze» per verificare che il comportamento fosse atto a restringere la concorrenza. Siffatta capacità poteva essere presunta già in base alla forma del comportamento. Ciò avveniva, secondo il Tribunale, in quanto tali sconti mirano, di norma, a togliere all’acquirente o a ridurre nei suoi riguardi la possibilità di scelta per quel che concerne le sue fonti di approvvigionamento e, in tal senso, a impedire che i clienti si riforniscano presso produttori concorrenti (18).

47.      Conformemente a tale metodologia, la presunzione secondo la quale gli «sconti di esclusiva» offerti da un’impresa in posizione dominante comportano sempre, e senza eccezioni, una esclusione anticoncorrenziale dal mercato è presente nell’intera sentenza impugnata. È in base a tale presunzione che sono stati respinti dal Tribunale la rilevanza del contesto e, di conseguenza, la necessità di considerare la capacità del comportamento di produrre effetti anticoncorrenziali.

48.      Tenendo presente tale aspetto, la sorte dei motivi di impugnazione primo, secondo e terzo dipende, in definitiva, dall’eventualità che la Corte consideri tale presunzione corretta.

B –    Sul primo motivo di impugnazione: il criterio giuridico da applicare ai cosiddetti «sconti di esclusiva»

1.      I principali argomenti delle parti

49.      In via principale, l’Intel, sostenuta dall’ACT, sostiene che il Tribunale è incorso in un errore nel fornire una qualificazione giuridica di ciò che lo stesso ha definito come «sconti di esclusiva», vale a dire, «scont[i] di fedeltà ai sensi della giurisprudenza Hoffmann‑La Roche» (19). A suo avviso, il Tribunale è incorso in un errore nel concludere che, diversamente da altri sconti e pratiche tariffarie, detti sconti sono intrinsecamente atti a restringere la concorrenza e sono quindi anticoncorrenziali senza che sia necessario considerare le circostanze rilevanti degli sconti in questione o la probabilità che gli sconti possano restringere la concorrenza (20). In tale contesto, la ricorrente sostiene che il Tribunale è incorso in un errore nel confermare la constatazione di una pratica abusiva senza esaminare se un danno anticoncorrenziale fosse probabile. Inoltre, l’Intel sostiene che, in ogni caso, il Tribunale è incorso in un errore nella sua constatazione ad abundantiam secondo la quale gli sconti in questione, nella fattispecie, erano atti a restringere la concorrenza (21).

50.      La Commissione chiede il rigetto del primo motivo di impugnazione. Essa afferma, in sostanza, che il presente motivo di impugnazione è basato su un errore: ossia che gli «sconti di esclusiva» costituiscano semplici pratiche tariffarie. La Commissione asserisce che gli «sconti di esclusiva» sono intrinsecamente diversi da altre pratiche tariffarie. A suo avviso, gli sconti subordinati alla condizione dell’esclusiva presentano caratteristiche che rendono non necessario verificare se siano atti a restringere la concorrenza in un caso specifico. La Commissione ritiene, in particolare, che la giurisprudenza della Corte relativa agli sconti non corrobori la tesi della ricorrente secondo la quale non si dovrebbe operare alcuna distinzione tra «sconti di esclusiva» e altri sconti aventi un effetto di fidelizzazione o, peraltro, pratiche tariffarie.

51.      Riguardo alla valutazione ad abundantiam di tutte le circostanze, la Commissione ritiene che la ricorrente non abbia addotto alcun argomento che rimetta in discussione la valutazione della capacità di restringere la concorrenza, effettuata ad abundantiam dal Tribunale nella sentenza impugnata.

2.      Analisi

52.      L’essenza dell’esame del primo motivo risiede nella determinazione del criterio giuridico corretto da applicare ai cosiddetti «sconti di esclusiva». In altri termini, la questione è se il Tribunale potesse a giusto titolo constatare che non è necessario prendere in considerazione «tutte le circostanze» per verificare se tali sconti possono avere effetti anticoncorrenziali. Altrimenti detto: se il Tribunale potesse correttamente ritenere che, data la loro forma, neppure il contesto possa salvare gli «sconti di esclusiva» da un giudizio negativo.

53.      Anzitutto, contrariamente a quanto suggerito dalla Commissione nelle sue memorie, non ravviso un motivo per cui la Corte non debba esaminare in toto il primo motivo di impugnazione. Con tale motivo, la ricorrente cerca chiaramente di contestare gli errori di diritto che, a suo avviso, hanno viziato la classificazione degli sconti e dei pagamenti dell’Intel come «sconti di esclusiva», distinti da altri sconti fidelizzanti. Più in particolare, la ricorrente contesta il fatto che il Tribunale non abbia ritenuto necessario valutare tutte le circostanze prima di giungere alla conclusione che il comportamento addebitato configurava un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. L’Intel contesta inoltre la valutazione ad abundantiam della «capacità» (22) effettuata dal Tribunale. A suo avviso, tale valutazione non tiene adeguatamente conto delle varie circostanze rilevanti al fine di stabilire se il comportamento addebitato sia atto a restringere la concorrenza. Benché strettamente connessa all’esame dei fatti, tale questione non può sottrarsi al controllo giurisdizionale in quanto la Corte di giustizia è competente ai sensi dell’articolo 256 TFUE ad esaminare la qualificazione giuridica di tali fatti da parte del Tribunale e le conseguenze di diritto che il medesimo ne ha tratto.

54.      Quanto alla sostanza del primo motivo di impugnazione, inizierò con l’esaminare se il Tribunale abbia correttamente dichiarato che, nel valutare gli «sconti di esclusiva» offerti dall’Intel ai costruttori OEM in questione e gli accordi commerciali conclusi con la MSH, non era necessario esaminare «tutte le circostanze» per stabilire se il comportamento addebitato configurasse un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE. In tale contesto, saranno delineati i principi fondamentali della giurisprudenza pertinente per chiarire che la giurisprudenza richiede una valutazione di tutte le circostanze. Come logico corollario di tale conclusione, proseguirò esaminando la valutazione ad abundantiam effettuata dal Tribunale riguardo alla capacità degli sconti offerti dalla ricorrente di restringere la concorrenza.

a)      La valutazione svolta in via principale dal Tribunale sugli sconti e sui pagamenti effettuati dalla ricorrente

55.      Come accennato supra (paragrafi da 44 a 46), in base alla giurisprudenza della Corte, il Tribunale ha operato una distinzione, fra tre categorie di sconti: sconti basati sui volumi (categoria 1), «sconti di esclusiva» subordinati alla condizione che il cliente si rifornisca per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (categoria 2), e altri tipi di sconti in cui la concessione di un incentivo finanziario non è direttamente collegata all’approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo (categoria 3) (23).

56.      In particolare, il Tribunale ha dichiarato che gli sconti concessi alla Dell, all’HP, alla NEC e alla Lenovo menzionati dalla Commissione, segnatamente, all’articolo 1, lettere da a) a d), della decisione impugnata, erano «sconti di esclusiva» che rientravano nella categoria 2. Ciò in quanto si trattava di sconti subordinati alla condizione che tali società si rifornissero presso l’Intel, perlomeno in un determinato segmento, o per la totalità del loro fabbisogno di CPU x86, (per quanto riguardava la Dell e la Lenovo) o per una parte considerevole del loro fabbisogno (nella specie il 95% per l’HP e l’80% per la NEC) (24). Per quanto riguarda i pagamenti alla MSH, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione non era tenuta ad esaminare le circostanze del caso di specie, ma doveva solo dimostrare la concessione, da parte della ricorrente, di un incentivo finanziario soggetto ad una condizione di esclusiva (25).

57.      In particolare, basandosi sulla pronuncia della Corte nella sentenza Hoffmann‑La Roche (26), il Tribunale ha dichiarato che l’eventuale qualificazione di uno «sconto di esclusiva» come abusivo non dipende da un’analisi della capacità degli sconti di restringere la concorrenza alla luce delle circostanze del caso di specie (27).

58.      La ricorrente sostiene che tale conclusione è errata in diritto. In particolare, essa sostiene che il Tribunale erroneamente non ha tenuto conto della rilevanza delle affermazioni della Corte in altre cause attinenti agli sconti ai sensi dell’articolo 102 TFUE, nonché in quelle riguardanti altre pratiche tariffarie.

59.      Nei seguenti paragrafi spiegherò i motivi per cui concordo con la ricorrente.

i)      I principi fondamentali della giurisprudenza della Corte relativa agli sconti

60.      In linea generale, la giurisprudenza della Corte mostra diffidenza nei confronti di una serie di meccanismi di sconto offerti dalle imprese in posizione dominante. Ciò può essere spiegato col fatto che si ritiene in genere che siano le imprese in posizione dominante ad avere la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il loro comportamento, la concorrenza nel mercato interno (28). Da questa particolare responsabilità consegue che i meccanismi che in un modo o nell’altro obbligano i clienti a rifornirsi dalle imprese in posizione dominante sono considerati fidelizzanti e, quindi, si presumono abusivi.

61.      Dalla linea giurisprudenziale derivante dalla fondamentale sentenza Hoffmann‑La Rocheemerge che si presumono illegittimi gli sconti subordinati alla condizione che il cliente si rifornisca per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante. La stessa presunzione di illegittimità si applica ad altri sconti, anch’essi fidelizzanti, anche se non sono formalmente basati sull’esclusiva. Gli sconti, retroattivi e personalizzati come nel caso delle sentenze MichelinI (29), British Airways (30) e Tomra (31) oppure basati sulle quote di mercato e personalizzati come nella sentenza Hoffmann‑La Roche (32), sono stati considerati anticoncorrenziali dalla Corte. Finora, l’unico tipo di sconto che è sfuggito alla presunzione di illegittimità è quello basato sui volumi. Tali sconti sono collegati unicamente al volume degli acquisti effettuati presso un’impresa in posizione dominante (33).

62.      Gli sconti e i pagamenti offerti dall’Intel possono essere definiti come sconti di fedeltà basati sulle quote di mercato (34). Per avere diritto a uno sconto, il cliente deve rifornirsi per una certa percentuale del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante. Come è stato chiarito, fondandosi su quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Hoffmann‑La Roche, il Tribunale ha stabilito che, quando uno sconto è uno sconto di esclusiva rientrante nella categoria 2, non è necessario prendere in esame la capacità di tale sconto di restringere la concorrenza in base alle circostanze del caso di specie (35).

63.      La sentenzaHoffmann‑La Roche aveva ad oggetto un sistema di sconti basati sulle quote di mercato, subordinato alla condizione che il cliente acquistasse una certa percentuale del suo fabbisogno dall’impresa in posizione dominante. Più in particolare, gli sconti aumentavano in base alla percentuale del fatturato ottenuta grazie agli acquisti (36). In tale causa, la Corte ha dichiarato che, salvo circostanze eccezionali, gli sconti di fedeltà non sono basati su una prestazione economica che giustifichi siffatto onere o vantaggio. A giudizio della Corte, essi mirano invece a togliere all’acquirente, o a ridurre nei suoi riguardi, la possibilità di scegliere le sue fonti di approvvigionamento e a precludere l’accesso al mercato agli altri produttori (37). Pertanto, secondo la Corte, «[p]er un’impresa che si trova in posizione dominante su un mercato, il fatto di vincolare (…) gli acquirenti con l’obbligo o la promessa di rifornirsi per tutto o gran parte del loro fabbisogno esclusivamente presso l’impresa in questione, costituisce sfruttamento abusivo di posizione dominante ai sensi dell’articolo [102 TFUE], tanto se l’obbligo in questione è imposto sic et simpliciter, quanto se ha come contropartita la concessione di sconti» (38). La Corte ha proseguito dichiarando quanto segue: «lo stesso dicasi se detta impresa, senza vincolare gli acquirenti con un obbligo formale, applica, o in forza di accordi stipulati con gli acquirenti, o unilateralmente, un sistema di sconti di fedeltà, cioè riduzioni subordinate alla condizione che il cliente – indipendentemente dal volume degli acquisti, rilevante o trascurabile – si rifornisca esclusivamente per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante» (39).

64.      Nel formulare tale fondamentale affermazione, la Corte non ha fatto alcun accenno alla necessità di prendere in considerazione tutte le circostanze nello stabilire se un abuso di posizione dominante sia stato dimostrato a sufficienza.

65.      In quest’ottica, non deve forse sorprendere il fatto che il Tribunale abbia concluso in tal senso.

66.      Tuttavia, occorre sottolineare già in questa sede che, nella sentenza Hoffmann‑La Roche la conclusione dell’illegittimità degli sconti in questione era nondimeno basata su un’analisi approfondita, in particolare, delle condizioni alle quali era subordinata la concessione degli sconti e la loro copertura di mercato (40). È stato in base a tale esame che la Corte ha dichiarato che gli sconti di fedeltà in questione, in quella causa erano destinati, mediante la concessione di un vantaggio finanziario, a impedire che i clienti si rifornissero dai produttori concorrenti.

67.      A partire dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, come è stato correttamente sottolineato dal Tribunale (41), la giurisprudenza si è concentrata principalmente sulla definizione dei criteri adeguati per stabilire se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante ricorrendo a sistemi di sconto non direttamente collegati a una fornitura esclusiva o quasi esclusiva. Questi sono gli sconti che, secondo la tassonomia utilizzata nella sentenza impugnata, rientrano nella categoria 3.

68.      In tale successiva giurisprudenza la Corte ha costantemente ripetuto l’affermazione di principio derivante dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, riguardante la presunzione di abusività degli sconti di fedeltà. Tuttavia, come è stato correttamente sottolineato in udienza dall’ACT, essa ha sempre tenuto conto, in concreto, di «tutte le circostanze» nel verificare se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE.

69.      Nella sentenza Michelin I, avente ad oggetto sconti basati sugli obiettivi di vendita, la Corte ha dichiarato che è necessario considerare tutte le circostanze quando si esamina un sistema di sconti non basato su accordi di esclusiva o sull’obbligo di rifornirsi per una determinata quota del fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (42). In altre cause successive riguardanti gli sconti non direttamente subordinati alla condizione dell’esclusiva, la Corte ha dichiarato che nel determinare se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante occorre valutare i criteri e le modalità di concessione degli sconti, ed esaminare se tali sconti mirino, mediante un vantaggio che non è giustificato da alcuna prestazione economica, a sottrarre o a ridurre all’acquirente la possibilità di scelta per quel che concerne le sue fonti di approvvigionamento, a precludere l’accesso al mercato ai concorrenti o a rafforzare la posizione dominante mediante una concorrenza falsata (43).

70.      Ripetere un’affermazione di principio relativa a una presunzione di abusività non significa tuttavia, come indicato nella giurisprudenza della Corte, omettere di prendere in considerazione le circostanze del caso di specie. Infatti, la sentenza impugnata costituisce uno dei pochissimi casi in cui la dichiarazione della Corte, contenuta nella sentenza Hoffmann‑La Roche, è stata applicata verbatim, senza esaminare le circostanze della fattispecie, prima di concludere che un’impresa ha abusato della sua posizione dominante (44). Per giustificare tale severo approccio riguardo agli «sconti di esclusiva», il Tribunale ha dichiarato, nella sentenza impugnata, che gli sconti e i pagamenti effettuati dall’Intel erano subordinati alla condizione dell’esclusiva (in modo simile, ma non identico a quanto avveniva nella sentenza Hoffmann‑La Roche, data la mancanza di un obbligo formale di esclusiva). Tale circostanza è servita per distinguere la presente causa da quelle menzionate al punto precedente.

71.      Pertanto, si potrebbe facilmente concludere che, prima facie, la sentenza impugnata si limita a ribadire la giurisprudenza esistente e la applica al comportamento dell’Intel.

72.      Tuttavia, tale conclusione trascurerebbe l’importanza del contesto giuridico ed economico secondo la medesima giurisprudenza.

ii)    Le circostanze del caso di specie come mezzo per determinare se il comportamento addebitato abbia un probabile effetto sulla concorrenza

73.      Nella presente sezione spiegherò il motivo per cui un abuso di posizione dominante non viene mai constatato in astratto: anche in caso di presunte pratiche illecite, la Corte ha sempre esaminato il contesto giuridico ed economico del comportamento addebitato. In tal senso, la valutazione del contesto del comportamento esaminato costituisce un corollario necessario per stabilire se si è verificato un abuso di posizione dominante. Ciò non sorprende. Per rientrare nell’ambito del divieto stabilito all’articolo 102 TFUE il comportamento esaminato deve, quanto meno, essere atto a precludere il mercato ai concorrenti (45).

74.      Già una rapida lettura delle cause discusse supra (paragrafi da 66 a 69) dimostra che la giurisprudenza non omette l’esame del contesto giuridico ed economico del comportamento – o, per ricorrere alla formula abitualmente utilizzata nelle cause relative all’articolo 102 TFUE, di «tutte le circostanze» – per stabilire se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante. Così avviene sia per gli sconti subordinati alla condizione dell’esclusiva sia per altri tipi di accordi di fidelizzazione.

75.      Pertanto, a mio avviso, l’interpretazione che il Tribunale ha dato della sentenza Hoffmann‑La Roche trascura un elemento importante. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata (46), nella sentenza Hoffmann‑La Roche la Corte aveva considerato varie circostanze relative al contesto giuridico ed economico degli sconti per constatare che l’impresa in questione aveva abusato della sua posizione dominante. È vero che tale sentenza non statuisce espressamente che un’analisi di tutte le circostanze è fondamentale per stabilire se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante. Tuttavia, come è stato rilevato supra (paragrafo 66), una lettura più attenta della sentenza dimostra che la Corte ha esaminato nei dettagli, in modo encomiabile, le particolarità del mercato farmaceutico in questione, la copertura di mercato degli sconti nonché i termini e le condizioni dei contratti tra l’impresa in posizione dominante e i suoi clienti (47). In base a tale analisi dettagliata del contesto giuridico ed economico degli sconti, ossia delle condizioni per la concessione degli sconti, della loro copertura di mercato, nonché della durata degli accordi di sconto, la Corte è giunta alla conclusione che gli sconti di fedeltà sono illegittimi, salvo in casi eccezionali (48).

76.      Come ha riconosciuto il Tribunale nella sentenza impugnata (49), a parte la sentenza Hoffmann‑La Roche, la giurisprudenza della Corte relativa ai sistemi di sconto (diversi da quelli basati semplicemente sui volumi) ha costantemente ed espressamente considerato particolarmente importante prendere in esame tutte le circostanze per stabilire se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE (50). Il che, di per sé, non sorprende: a parte la sentenza Hoffmann‑La Roche, non mi constano altre cause trattate dalla Corte aventi ad oggetto obblighi di fornitura esclusiva analoghi a quelli in discussione in detta sentenza. Non sorprende quindi che la necessità di considerare tutte le circostanze sia stata ancora una volta affermata nella sentenza Post Danmark II, una sentenza su rinvio pregiudiziale emessa dopo che era stata pronunciata la sentenza impugnata, relativamente a sconti retroattivi non collegati a un obbligo di esclusiva (51).

77.      Ma cosa comporta la valutazione di «tutte le circostanze»?

78.      A mio avviso, l’analisi del «contesto» – o di «tutte le circostanze», come viene definito nella giurisprudenza della Corte – mira semplicemente, ma in maniera cruciale, ad accertare che sia stato a sufficienza dimostrato che un’impresa ha abusato della sua posizione dominante (52). Anche nel caso di un comportamento di esclusione apparentemente manifesto come la fissazione di prezzi inferiori ai costi, non può essere tralasciato il contesto (53). Altrimenti, un comportamento che, in qualche occasione, semplicemente non sia idoneo a restringere la concorrenza si troverebbe ad essere oggetto di un divieto generale. Un divieto generale siffatto rischierebbe anche di includere e di penalizzare comportamenti che favoriscono la concorrenza.

79.      Ecco perché il contesto è fondamentale.

iii) Secondo la giurisprudenza, esistono solo due categorie di sconti

80.      Ai fini dell’articolo 102 TFUE, gli sconti di fedeltà costituiscono – a mio avviso – una restrizione quasi equivalente alla restrizione per oggetto ai sensi dell’articolo 101 TFUE. Ciò in quanto gli sconti di fedeltà, al pari delle restrizioni per oggetto, si presumono illegittimi. Tuttavia, come già accennato supra (punto 61), gli sconti di fedeltà devono essere intesi nel senso che includono non solo quelli subordinati alla condizione che il cliente si rifornisca per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante, ma anche altre strutture dei prezzi subordinate alla condizione che il cliente raggiunga un particolare obiettivo.

81.      Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale nella sentenza impugnata, la giurisprudenza distingue fra due, non tre,categorie di sconti. Da un lato, alcuni sconti si presumono legittimi, come gli sconti basati sui volumi (54). Qualsiasi indagine sulla (il)legittimità di tali sconti richiede necessariamente un esame completo dei loro effetti reali o potenziali. Tali sconti non sono in discussione in questa sede.

82.      D’altro lato, per gli sconti di fedeltà (che si presumono illegittimi), siano essi direttamente subordinati o meno alla condizione dell’esclusiva, la Corte adotta un approccio che presenta talune analogie con quello applicato nei confronti delle restrizioni per oggetto ai sensi dell’articolo 101 TFUE. Ciò in quanto, anche in base a tale disposizione, per accertare se un determinato comportamento costituisca una restrizione per oggetto, si deve esaminare anzitutto il contesto giuridico ed economico del comportamento addebitato in modo da escludere ogni altra spiegazione plausibile per tale comportamento. In altri termini, non viene mai trascurato il contesto particolare del comportamento addebitato.

83.      Come già menzionato supra, nella sentenza Hoffmann‑La Rochela Corte ha in effetti esaminato tutte le circostanze. Un requisito in tal senso è stato successivamente formulato in modo esplicito dalla Corte nella sentenza Michelin I, relativamente a sconti non direttamente collegati all’esclusiva. Tale requisito è stato successivamente affinato nelle sentenze British Airways, Michelin II e Tomra. Lo scopo dell’analisi di tutte le circostanze è di accertare se un abuso di posizione dominante sia stato a sufficienza dimostrato e se, di conseguenza, gli sconti siano atti a determinare una preclusione anticoncorrenziale del mercato.

84.      Nella sentenza impugnata, tuttavia, il Tribunale è andato oltre. Applicando alla lettera la dichiarazione della Corte nella sentenza Hoffmann‑La Roche, senza collocare tale dichiarazione nel giusto contesto, esso ha distinto un sottotipo di sconti di fedeltà, che ha definito «sconti di esclusiva», da altri tipi di sconti fidelizzanti (55). Così facendo, esso ha creato una «supercategoria» di sconti per la quale non è necessario l’esame di tutte le circostanze per concludere che il comportamento addebitato configura un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE. Fatto ancor più importante, il carattere abusivo di tali sconti si presume in astratto, in base semplicemente alla loro forma.

85.      Questo modo di procedere non è affatto ovvio dal punto di vista metodologico. Le quattro ragioni seguenti spiegano perché.

–       Una presunzione di illegittimità basata sulla forma non può essere superata

86.      In primo luogo, se si ammettesse che gli «sconti di esclusiva» costituiscano una categoria separata di sconti che andrebbe distinta da altri tipi di sistemi di sconto fidelizzante, la presunzione di illegittimità sottostante non sarebbe più superabile (56). Ciò in quanto un divieto siffatto è basato sulla forma, del comportamento, anziché sui suoi effetti.

87.      In effetti, la sentenza impugnata sembra adottare, quale punto di partenza, il fatto che uno «sconto di esclusiva», quando viene offerto da un’impresa in posizione dominante, non può avere in nessun caso effetti benefici sulla concorrenza. Ciò in quanto, secondo il Tribunale, la concorrenza è ristretta dalla mera esistenza di una posizione dominante in quanto tale (57). Tale punto di vista equivale a negare la possibilità, già ammessa nella sentenza Hoffmann‑La Roche (58), e riproposta nella sentenza impugnata (59), addurre una giustificazione obiettiva (e favorevole alla concorrenza) per l’uso degli sconti in questione.

88.      Contrariamente a quanto suggerito dalla Commissione in udienza, né l’efficienza né altre considerazioni possono essere d’ausilio ad un’impresa nel giustificare l’uso di «sconti di esclusiva» nel caso in cui il divieto riguardi la forma, piuttosto che gli effetti (60). Infatti, indipendentemente dagli effetti, la forma rimane immutata. Ciò è problematico. L’impresa in posizione dominante dovrebbe essere in grado, come ha correttamente sottolineato il Tribunale nella sentenza impugnata (61), e come la stessa Commissione ha ammesso nelle sue memorie, di giustificare l’uso di un sistema di sconti fornendo la prova che l’effetto preclusivo che ne deriva può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza (62).

–       Gli sconti di fedeltà non sono sempre dannosi

89.      In secondo luogo, la creazione di una «supercategoria» di sconti è giustificata solo nel caso in cui si ritenga che non esistano aspetti positivi riguardo ad accordi subordinati alla condizione dell’esclusiva, a prescindere dalle particolari circostanze del caso specifico. Paradossalmente, tuttavia, il Tribunale stesso ha ammesso che le condizioni di esclusiva possano anche avere effetti benefici. Nondimeno, esso ha negato qualsiasi necessità di esaminare tali effetti per il fatto che, data la posizione dominante dell’impresa sul mercato, la concorrenza era già inconfutabilmente ristretta (63).

90.      L’esperienza e l’analisi economica non mostrano inequivocabilmente che gli sconti di fedeltà sono, di norma, dannosi o anticoncorrenziali, anche se sono offerti da un’impresa in posizione dominante (64). Ciò in quanto gli sconti aumentano la competizione, che costituisce l’essenza stessa della concorrenza.

91.      È vero, tuttavia, che si ritiene che il principale problema di concorrenza relativamente gli sconti sorga quando i clienti di un’impresa in posizione dominante devono trattare una percentuale dei suoi prodotti e/o quando lo sconto è subordinato alla condizione che il cliente acquisti per tutto (o per una parte sostanziale) del suo fabbisogno presso tale impresa. Ciò potrebbe essere considerato un argomento a favore della scelta di trattare gli «sconti di esclusiva» in modo più rigoroso. Nondimeno, altri tipi di sconto possono avere un analogo effetto distorsivo. Ciò accade anche quando il sistema non è esplicitamente collegato all’esclusiva (65).

92.      Infatti, come illustrato chiaramente dalla giurisprudenza, un meccanismo fidelizzante può assumere forme diverse. Come nel caso delle sentenze Hoffmann‑La Roche (66) e Tomra (67), il meccanismo di fedeltà può essere inerente alla condizione che il cliente acquisti per la totalità o per una parte significativa del suo fabbisogno sostanziale presso l’impresa in posizione dominante. Esso può anche assumere la forma di obiettivi di vendita personalizzati (68) o di incentivi (69), che non sono necessariamente collegati a una particolare percentuale del fabbisogno o delle vendite.

93.      In quest’ottica, non sussiste alcuna ragione obiettiva per cui gli sconti della categoria 2 debbano essere sottoposti a un trattamento più severo di quelli rientranti nella categoria 3.

–       Gli effetti degli sconti di fedeltà dipendono dal contesto

94.      In terzo luogo, la dottrina economica contemporanea sottolinea generalmente che gli effetti dell’esclusiva dipendono dal contesto (70). Per contro, pochi commentatori negherebbero il fatto che gli sconti di fedeltà, in particolare, possono avere – a seconda delle circostanze – un effetto preclusivo anticoncorrenziale.

95.      La consapevolezza di tale dipendenza dal contesto può anche contribuire a spiegare il motivo per cui la Corte, nella recente giurisprudenza relativa all’articolo 102 TFUE, ha sottolineato l’importanza di considerare tutte le circostanze. Si è espressa in tal senso segnatamente nella sentenza Tomra. È vero che, come ha osservato il Tribunale (71), gli sconti esaminati in sede di impugnazione nella sentenza Tomra riguardavano sconti retroattivi personalizzati, ossia sconti appartenenti alla categoria 3, secondo la tassonomia utilizzata nella sentenza impugnata. Tuttavia, nella sentenza Tomra la Corte non ha esplicitamente operato una distinzione tra sconti appartenenti alle categorie 2 e 3. Essa ha semplicemente osservato che quando gli sconti sono subordinati alla condizione che il cliente si rifornisca per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante, è necessario considerare tutte le circostanze per stabilire se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante (72).

96.      Le parti traggono conclusioni opposte dalla dichiarazione della Corte: entrambe le parti sostengono che essa definisce una volta per tutte la controversia relativa al criterio giuridico da applicare agli «sconti di esclusiva». Tuttavia esse continuano a essere in disaccordo riguardo a cosa implichi tale criterio.

97.      A mio avviso, l’affermazione della Corte contenuta nella sentenza Tomra non è utile in questa sede. Come illustrato dalle interpretazioni diametralmente opposte delle parti, i termini utilizzati in tale sentenza riguardo al tipo di sconti che dovrebbe essere soggetto alla valutazione di tutte le circostanze sono semplicemente troppo ambigui.

98.      Resta, invece, aperta la questione se la distinzione operata dal Tribunale, nella sentenza impugnata, tra le sentenze Tomrae Hoffmann‑La Roche sia giustificata. Al riguardo, occorre richiamare l’attenzione su due punti.

99.      Da un lato, analogamente alla sentenza Tomra, nella sentenza Hoffmann‑La Roche gli sconti considerati presentavano talune caratteristiche degli sconti retroattivi personalizzati. In effetti, diversi contratti esaminati nella sentenza Hoffmann‑La Roche non soltanto contenevano una clausola di sconto relativa alla maggior parte del fabbisogno dell’acquirente, ma includevano altresì clausole di sconto che prevedevano uno sconto a percentuale crescente se, nel periodo di riferimento, l’acquirente si fosse rifornito in una percentuale del suo fabbisogno pari alle previsioni (73). D’altro lato, anche supponendo che sia giustificata una distinzione dovuta ad una presunta differenza intrinseca tra gli sconti oggetto delle due cause – ipotesi che, a mio avviso, non ricorre nel caso di specie – nella sentenza Hoffmann‑La Roche la Corte non ha in alcun modo trascurato il contesto degli sconti contestati. Per quale ragione avrebbe dovuto farlo nella sentenza Tomra, più di tre decenni dopo?

100. La differenza tra gli sconti in questione nelle sentenze Tomrae Hoffmann‑La Roche è, semmai, una differenza di grado piuttosto che di genere. Lo stesso dicasi per la sentenza Post Danmark II, una causa in cui è stata recentemente confermata l’importanza del contesto e di tutte le circostanze al fine di stabilire se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante (74).

–       Le pratiche correlate richiedono la presa in considerazione di tutte le circostanze

101. In quarto luogo e infine, la giurisprudenza relativa alle pratiche di fissazione dei prezzi e di compressione dei margini richiede, come sottolinea correttamente la ricorrente, una valutazione di tutte le circostanze per stabilire se l’impresa in questione abbia abusato della sua posizione dominante (75).

102. Il Tribunale ha respinto la rilevanza di tale giurisprudenza in base alla considerazione che, diversamente da un incentivo per una fornitura esclusiva, un particolare prezzo non può essere di per sé abusivo (76). Eppure la sentenza impugnata considera gli sconti dell’Intel anticoncorrenziali a causa del prezzo (77). A mio avviso, è problematico respingere la rilevanza di tale giurisprudenza: ciò comporta un’ingiustificata distinzione fra diversi tipi di pratiche di fissazione dei prezzi. Infatti, gli sconti di fedeltà, le pratiche di compressione dei margini nonché i prezzi predatori possiedono la caratteristica comune di costituire una «esclusione basata sui prezzi» (78).

103. È evidente che è estremamente importante che i criteri giuridici applicati a una tipologia di comportamento siano coerenti con quelli utilizzati per pratiche analoghe. Una classificazione giuridica solida e coerente non solo è a vantaggio delle imprese in termini di maggiore certezza del diritto, ma anche è d’ausilio per le autorità garanti della concorrenza nell’applicazione della normativa sulla concorrenza. Ciò non avviene nel caso di una classificazione arbitraria.

104. La Corte sembra concordare. Da ultimo, nella sentenza Post Danmark II la Corte ha applicato la giurisprudenza relativa alle pratiche di fissazione dei prezzi e di compressione dei margini a sostegno delle sue conclusioni relative a un sistema di sconti offerto da un’impresa in posizione dominante (79). È vero, tuttavia, che la sentenza Post Danmark II potrebbe anche essere interpretata nel senso che essa conferma la tesi secondo la quale, per quanto riguarda gli «sconti di esclusiva», potrebbe non essere necessario considerare tutte le circostanze (80). La ragione di ciò risiede nel fatto che, in tale causa, la Corte ha distinto gli sconti in questione da quelli basati su un obbligo di esclusiva prima di dichiarare che devono essere considerate tutte le circostanze per stabilire se l’impresa in posizione dominante abbia abusato di tale posizione. In effetti, semmai, gli sconti retroattivi considerati dalla Corte in tale causa erano, semmai, simili a quelli che, nella sentenza impugnata, sono stati considerati come sconti fidelizzanti appartenenti alla categoria 3 (81).

105. Come spiegato supra, siffatta distinzione è una distinzione che non si fonda su una differenza (dato che la differenza risiede nella forma più che negli effetti). Un aspetto più fondamentale, tuttavia, è che un’interpretazione in tal senso di detta sentenza contrasterebbe con l’approccio adottato dalla Corte – pronunciatasi in Grande Sezione – nella sentenza Post Danmark I, in cui ha dichiarato che laddove si tratti di pratiche di fissazione dei prezzi, si devono considerare tutte le circostanze (82). È significativo, infatti, che la Corte abbia ribadito, in un diverso punto nella sentenza Post Danmark II – e in tale sede senza distinguere fra diversi tipi di sistemi di sconto – che «occorre valutare la capacità di un sistema di sconti di restringere la concorrenza tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti» (83) Certamente, essa lo ha fatto al fine di garantire un approccio giurisprudenziale coerente alla valutazione del comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 102 TFUE.

–       Conclusione intermedia

106. Alla luce delle suesposte considerazioni, gli «sconti di esclusiva» non dovrebbero essere considerati come una categoria unica e separata di sconti per la quale non è richiesta una valutazione di tutte le circostanze per stabilire se il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante. Pertanto, ritengo che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel considerare che gli «sconti di esclusiva» possono essere classificati come abusivi senza un’analisi della loro capacità di restringere la concorrenza in base alle circostanze del caso di specie.

107. Detto ciò, il Tribunale ha proceduto, ad abundantiam, a valutare in dettaglio se gli sconti e i pagamenti offerti dalla ricorrente fossero atti a restringere la concorrenza. Vale a dire, il Tribunale ha esaminato «tutte le circostanze». È per questo che la constatazione dell’errore di diritto di cui trattasi nel punto precedente non comporta necessariamente che la sentenza impugnata debba essere annullata. Si può giungere infatti a tale conclusione solo se la valutazione ad abundantiam effettuata dal Tribunale riveli un errore di diritto.

108. Pertanto, è necessario proseguire esaminando tale valutazione ad abundantiam.

b)      La valutazione della capacità effettuata ad abundantiam dal Tribunale

109. La ricorrente deduce, in sostanza, tre serie di argomenti che mettono in discussione la valutazione svolta ad abundantiam dal Tribunale. In primo luogo, essa sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel confermare la constatazione di una pratica abusiva effettuata dalla Commissione, senza considerare la probabilità di effetti anticoncorrenziali. In secondo luogo, i fattori di cui il Tribunale ha tenuto conto erano o irrilevanti o valutati in modo errato. In terzo luogo, il Tribunale non ha valutato correttamente diversi altri fattori fondamentali ai fini della constatazione di una pratica abusiva.

110. La Commissione afferma che non esiste una soglia di «probabilità» più elevata da raggiungere (rispetto alla normale «capacità») per dimostrare l’esistenza di un abuso di posizione dominante: la capacità è sufficiente. A suo avviso, gli argomenti dedotti dalla ricorrente non suscitano dubbi sulle constatazioni contenute nella sentenza impugnata, relative alla capacità del comportamento dell’Intel di restringere la concorrenza.

111. Con i suoi argomenti, la ricorrente rimette in discussione il criterio giuridico applicato nella sentenza impugnata per accertare che il comportamento addebitato fosse atto a restringere la concorrenza. In primo luogo: quale livello di probabilità è necessario in una valutazione sulla capacità? In secondo luogo: quali sono le circostanze rilevanti da prendere in considerazione nel determinare se il comportamento in questione sia atto a restringere la concorrenza? Esaminerò ciascuna di tali le questioni in successione.

i)      Capacità e/o probabilità

112. La ricorrente sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel confermare la constatazione di una pratica abusiva senza prendere in considerazione la probabilità di un pregiudizio per la concorrenza derivante dal comportamento contestato.

113. Nella sua valutazione ad abundantiam il Tribunale ha spiegato che la Commissione può limitarsi a stabilire che il comportamento esaminato era atto a restringere la concorrenza. Inoltre, il Tribunale ha sottolineato che la Commissione non è tenuta a provare che un effetto restrittivo concreto si sia verificato anche quando tutte le circostanze sono prese in considerazione (84).

114. È ben vero che non è necessario che sia presentata la prova di effetti concreti. Ciò in quanto è sufficiente, relativamente a un comportamento che si presume illegittimo, che il comportamento addebitato sia atto a restringere la concorrenza. È importante, tuttavia, che tale capacità non può essere solo ipoteticamente o teoricamente possibile. Altrimenti, non sarebbe di per sé necessario esaminare tutte le circostanze.

115. È vero che, nella giurisprudenza, sussiste qualche divergenza riguardo ai termini utilizzati. La giurisprudenza fa riferimento alla capacità e alla probabilità, talvolta anche indistintamente (85). A mio avviso, detti termini designano un’unica fase obbligatoria nell’analisi volta a stabilire se l’uso degli sconti di fedeltà configuri un abuso di posizione dominante.

116. Ma qual è il livello di probabilità di preclusione anticoncorrenziale richiesto? Tale questione è alla base del dissenso tra la ricorrente e la Commissione riguardo all’adeguatezza della valutazione della capacità effettuata dal Tribunale: mentre la Commissione ritiene che la valutazione sia stata adeguata, l’Intel sostiene che il Tribunale ha omesso di verificare se il comportamento della ricorrente potesse, nelle circostanze del caso di specie, restringere la concorrenza.

117. Lo scopo della valutazione della capacità è di verificare se, con tutta probabilità, il comportamento addebitato abbia un effetto di preclusione anticoncorrenziale. Per tale motivo, la probabilità deve essere ben più di una semplice possibilità che un determinato comportamento possa restringere la concorrenza (86). Per contro, semplicemente non è sufficiente che sia più probabile la sussistenza di un effetto preclusivo rispetto alla sua insussistenza (87).

118. Sebbene sia certamente vero che, nella sua giurisprudenza, la Corte ha costantemente sottolineato la particolare responsabilità delle imprese in posizione dominante, tale responsabilità non può essere intesa nel senso che la soglia per l’applicazione del divieto di pratica abusiva stabilito all’articolo 102 TFUE possa essere portata a livelli così bassi da divenire praticamente inesistente. Ciò si verificherebbe nel caso in cui il grado di probabilità richiesto per accertare che il comportamento addebitato configuri un abuso di posizione dominante consistesse unicamente nella mera possibilità teorica di un effetto preclusivo, come sembra suggerire la Commissione. Se fosse ammesso un grado di probabilità così ridotto, si dovrebbe ammettere che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza sanzioni la forma, non già gli effetti anticoncorrenziali.

119. Ovviamente, ciò ostacolerebbe notevolmente il conseguimento degli obiettivi del diritto dell’Unione in materia di concorrenza. Presumere l’esistenza di una pratica abusiva in base al fatto che, tutto sommato, la preclusione anticoncorrenziale sembra più probabile rispetto all’ipotesi contraria, comporta il rischio di individuare non solo casi isolati di pratiche abusive, ma anche un numero non trascurabile di pratiche che possono essere, in realtà, favorevoli alla concorrenza. Il costo di errori derivanti da un approccio di tal genere sarebbe inaccettabilmente elevato per effetto di un’inclusione eccessivamente ampia.

120. Per evitare siffatta inclusione ampia, la valutazione della capacità per quanto riguarda un comportamento che si presume illegittimo, deve essere intesa nel senso di verificare se, tenuto conto di tutte le circostanze, il comportamento in questione non abbia solo effetti ambivalenti nel mercato o produca effetti restrittivi accessori che sono necessari per la realizzazione di qualcosa che sia favorevole alla concorrenza, bensì che i suoi presunti effetti restrittivi siano concretamente confermati. In mancanza di tale conferma, deve essere effettuata un’analisi completa.

121. Di conseguenza, la questione che si pone in questa sede è se la valutazione della capacità effettuata dal Tribunale sia decisiva poiché, in base a tale valutazione, è possibile confermare che la ricorrente aveva abusato della propria posizione dominante in contrasto con l’articolo 102 TFUE. In particolare, si deve verificare se, come richiesto dalla giurisprudenza, tale valutazione possa confermare che gli sconti sopprimono o limitano la libertà di scelta, da parte del cliente, delle sue fonti di rifornimento, chiudono l’accesso del mercato ai concorrenti o rafforzano la posizione dominante mediante una concorrenza falsata (88).

ii)    I fattori considerati dal Tribunale per confermare la constatazione di una pratica abusiva

122. Nella sentenza impugnata il Tribunale ha fondato la constatazione che gli sconti e i pagamenti offerti dalla ricorrente erano atti a restringere la concorrenza sui seguenti fattori: i) la ricorrente era un partner commerciale irrinunciabile per i clienti interessati; ii) i ridotti margini operativi dei costruttori OEM rendono gli sconti appetibili e rafforzano il loro incentivo a soddisfare la condizione dell’esclusiva; iii) gli sconti della ricorrente erano presi in considerazione dai suoi clienti nel decidere di rifornirsi per tutto o quasi tutto il loro fabbisogno presso tale società; iv) le due diverse pratiche della ricorrente si integravano e si rafforzavano a vicenda; v) la ricorrente si rivolgeva a imprese di importanza strategica fondamentale per l’accesso al mercato; e infine, vi) gli sconti della ricorrente erano parte di una strategia a lungo termine diretta a precludere l’accesso dell’AMD ai più importanti canali di vendita (89).

123. L’Intel ritiene che non ci si possa fondare su tali fattori per dimostrare a sufficienza che gli sconti e i pagamenti dell’Intel erano atti a produrre un effetto preclusivo anticoncorrenziale. Più in particolare, la ricorrente sostiene che i fattori sui quali si è fondato il Tribunale si riducono a due punti: che i costruttori OEM avevano tenuto conto degli sconti dell’Intel in quanto tali sconti erano appetibili, e che l’Intel ricorreva a due infrazioni complementari per precludere all’AMD i clienti importanti.

124. In primo luogo, quindi, la ricorrente contesta la rilevanza della circostanza che gli sconti e i pagamenti in questione siano stati effettivamente presi in considerazione nelle decisioni commerciali di coloro che ne beneficiavano (90).

125. Concordo con la ricorrente.

126. Un’offerta allettante, che si traduce in un incentivo finanziario a rimanere con il fornitore che la presenta, può essere un fattore che denota un effetto fidelizzante a livello di un singolo cliente. Tuttavia, non è d’ausilio ai fini della dimostrazione del probabile effetto di preclusione anticoncorrenziale degli sconti. Infatti, come sottolinea correttamente la ricorrente, un aspetto essenziale della concorrenza è la circostanza che i clienti tengano conto dei prezzi inferiori quando decidono un acquisto. In altri termini, il fatto che un prezzo inferiore sia preso effettivamente in considerazione rende possibile un effetto preclusivo, ma, d’altro canto, neppure esclude il contrario. In altri termini, tale fattore semplicemente non è decisivo per determinare se la capacità di un comportamento addebitato di restringere la concorrenza in base al grado di probabilità richiesto.

127. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che l’esistenza di una strategia complessiva comprendente due tipi di infrazione (sconti e pagamenti nonché restrizioni allo scoperto), reputati integrati e rafforzantisi a vicenda, non può dimostrare la capacità di restringere la concorrenza (91).

128. Mentre una strategia di preclusione può essere certamente indicativa di un intento soggettivo di esclusione dei concorrenti, una mera volontà in tal senso non si traduce nella capacità di restringere la concorrenza. Un problema più cruciale può, tuttavia, ravvisarsi nell’iter logico seguito dal Tribunale. In effetti, un esame più attento della sentenza impugnata rivela che il Tribunale ha messo il carro davanti ai buoi: esso si è basato sull’esistenza di una strategia complessiva fondata su due violazioni complementari per determinare la capacità del comportamento addebitato di restringere la concorrenza. Così facendo, il Tribunale ha iniziato il proprio ragionamento partendo dal presupposto che la strategia in esame fosse abusiva, anziché valutare tutte le circostanze per stabilire se un’infrazione fosse stata sufficientemente dimostrata.

129. Dopo aver esaminato, anzitutto, queste due particolari critiche, proseguirò nell’analisi esaminando la critica più generale mossa dalla ricorrente, relativa alla valutazione della capacità. La ricorrente sostiene che i fattori considerati rilevanti non sono sufficienti per accertare che il comportamento addebitato sia atto a determinare una preclusione anticoncorrenziale. In particolare, il Tribunale non ha attribuito rilevanza ad altri fattori di fondamentale importanza in una valutazione di tal genere.

130. Va ricordato che la valutazione di tutte le circostanze mira ad accertare che il comportamento addebitato determini, con tutta probabilità, una preclusione anticoncorrenziale. Tenendo presente ciò, la questione che si pone è la seguente: le constatazioni effettuate nella sentenza impugnata – che l’Intel era un partner commerciale irrinunciabile e che gli sconti e i pagamenti contestati avevano come destinatari le imprese di importanza strategica fondamentale per l’accesso al mercato – sono giuridicamente sufficienti per dimostrare la responsabilità dell’Intel? Per la risposta a tale questione è determinante stabilire se le circostanze ritenute cruciali dall’Intel, e considerate irrilevanti dal Tribunale, mettano in dubbio la presunta anticoncorrenzialità del comportamento dell’Intel.

131. Esaminerò tale questione in seguito.

iii) Altre circostanze

132. La ricorrente sostiene che il Tribunale è incorso in un errore nell’analisi delle circostanze del caso di specie non avendo preso in considerazione le seguenti circostanze: i) l’insufficiente copertura di mercato degli sconti e dei pagamenti contestati; ii) la breve durata degli sconti contestati; iii) i risultati di mercato del concorrente e il calo dei prezzi; e iv) il test AEC applicato dalla Commissione.

133. A sua volta, la Commissione ritiene che la sentenza impugnata abbia accertato correttamente che gli sconti e i pagamenti offerti dall’Intel erano atti a determinare una preclusione anticoncorrenziale. I fattori non contestati sono sufficienti per suffragare la conclusione che gli sconti e i pagamenti dell’Intel erano atti a restringere la concorrenza.

134. Non concordo con la Commissione.

135. Come ho già chiarito, in termini in qualche modo simili alla “scorciatoia” nell’applicazione delle norme riguardo alle restrizioni per oggetto di cui all’articolo 101 TFUE, la valutazione di tutte le circostanze ai sensi dell’articolo 102 TFUE presuppone l’esame del contesto del comportamento addebitato per verificare se si possa confermare che esso ha un effetto anticoncorrenziale. Se una qualsiasi delle circostanze così esaminate suscita dubbi circa la natura anticoncorrenziale del comportamento, diviene necessaria un’analisi più approfondita degli effetti.

136. Come spiegherò nei seguenti paragrafi, la valutazione di tutte le circostanze avrebbe dovuto indurre il Tribunale a concludere che, per stabilire se il comportamento addebitato configurasse un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE, era necessaria un’analisi degli effetti reali o potenziali di tale comportamento.

–       Copertura di mercato

137. La ricorrente sostiene che la valutazione di un probabile effetto sulla concorrenza deve tener conto della copertura di mercato degli sconti in questione. A suo avviso, non è probabile che gli sconti di fedeltà restringano la concorrenza quando la loro copertura di mercato è limitata, in quanto i concorrenti possono ottenere quote più ampie di mercato senza che essi debbano eguagliare tali sconti. La ricorrente sottolinea inoltre che, nel suo caso, la quota di mercato vincolata, comparativamente, era in media notevolmente inferiore rispetto alle cause Tomra e Van den Bergh Foods(92). Ad esempio, nella sentenza Tomra la quota di mercato vincolata era (in media) del 39% (93). La Commissione, considera, invece, la questione della copertura di mercato irrilevante ai fini della determinazione della capacità del comportamento addebitato di dar luogo a una preclusione anticoncorrenziale.

138. Nel contesto della valutazione ad abundantiam della capacità, il Tribunale ha dichiarato che la copertura di mercato degli sconti e dei pagamenti offerti dalla ricorrente ammontava, in media, al 14% circa nel corso del periodo complessivo di durata dell’infrazione (se il calcolo non è limitato alla sola quota della domanda contendibile) (94). Il Tribunale ha ritenuto tale percentuale significativa (95). Secondo la sentenza impugnata, gli sconti e i pagamenti offerti dall’Intel possono essere ritenuti distinti rispetto alle circostanze alla base della sentenza Van den Bergh Foods, dato che la forma del sistema in esame era diversa da quello in discussione nel presente procedimento (96).

139. Per quanto mi riguarda, non sono convinto che la giurisprudenza cui fa riferimento la ricorrente sia irrilevante, come dichiarato dal Tribunale. Il meccanismo dell’esclusiva nella sentenza Van den Bergh Foodsfunzionava, in effetti, attraverso la fornitura di un congelatore a titolo gratuito. Si tratta, tuttavia, di una distinzione in cui non sussiste una differenza. La fornitura di tale congelatore era subordinata alla condizione del suo uso esclusivo per la conservazione dei gelati dell’impresa in posizione dominante. Di conseguenza, il 40% di tutti i rivenditori di gelato era soggetto a una clausola di esclusiva del prodotto (97).

140. Come è stato chiarito, l’essenza delle regole di concorrenza dell’Unione ha sempre riguardato gli effetti e non la forma. In quest’ottica, le dimensioni della quota di mercato vincolata sono ugualmente rilevanti, a prescindere dalla forma del sistema attuato. Per questo motivo, si ammette, in generale, che la probabilità di effetti negativi sulla concorrenza aumenti in linea con le dimensioni della quota di mercato vincolata (98).

141. Ciò detto, definire il livello della copertura di mercato che può causare effetti anticoncorrenziali non è affatto un esercizio aritmetico. Non sorprende quindi che la Corte abbia respinto l’idea che si debba determinare una soglia precisa di preclusione del mercato, oltre la quale le pratiche in questione possono essere considerate abusive ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Ciò è stato confermato dalla Corte nella sentenza Tomra (99).

142. È certamente vero che le soglie possono rivelarsi problematiche a causa delle specificità dei diversi mercati e delle circostanze di ogni singolo caso. Ad esempio, quando gli sconti di fedeltà hanno come obiettivo clienti particolarmente importanti per i concorrenti per poter accedere al mercato o espandere la loro quota di mercato, anche una copertura di mercato modesta può certamente comportare una preclusione anticoncorrenziale. Se tale ipotesi ricorra dipenderà da una serie di fattori propri del caso.

143. In quest’ottica, una copertura di mercato del 14% può avere o meno un effetto preclusivo anticoncorrenziale. Ciò che è certo, tuttavia, è che tale copertura di mercato non può escludere la possibilità che gli sconti in questione non abbiano un effetto preclusivo anticoncorrenziale. Ciò è vero anche supponendo che gli sconti e i pagamenti in questione abbiano come obiettivo i principali clienti (100). Semplicemente, il 14% non è decisivo.

144. Il carattere non decisivo non è rimediato dal fatto che, nella sentenza impugnata, si trae fondamento dalla circostanza assodata che la ricorrente era un partner commerciale irrinunciabile nel mercato dei CPU. Va rilevato che, secondo il Tribunale il fatto che un’impresa rappresenti un partner commerciale irrinunciabile indica, quanto meno, che uno «sconto di esclusiva» o un pagamento offerto da tale impresa è atto a restringere la concorrenza (101).

145. Tale conclusione è corretta solo se si ammette che il grado di probabilità richiesto non corrisponda a null’altro che la mera possibilità che un determinato comportamento abbia effetti anticoncorrenziali. Come spiegato in precedenza, tuttavia, la valutazione di tutte le circostanze mira ad accertare che il comportamento addebitato ha, con tutta probabilità, un effetto anticoncorrenziale.

146. Su tale base, concludo che la valutazione della copertura di mercato effettuata nella sentenza impugnata non è irrefutabile. Fatto importante, essa non può dimostrare a sufficienza che la quota di mercato sulla quale incidono gli sconti e i pagamenti fosse sufficiente a comportare una preclusione anticoncorrenziale.

–       Durata

147. La ricorrente ritiene che la durata di un accordo di sconto sia cruciale ai fini dell’analisi della capacità di restringere la concorrenza. In particolare, essa mette in discussione la valutazione della durata di cui alla sentenza impugnata, che è stata effettuata in base al cumulo di molteplici contratti a breve termine.

148. La Commissione sostiene, invece, che l’Intel sbaglia nel ritenere che i potenziali effetti preclusivi degli sconti di fedeltà possano derivare unicamente da un’obbligazione contrattuale: al contrario, il potere di mercato dell’impresa in posizione dominante rende tali obbligazioni contrattuali non necessarie. In sintesi: la durata è irrilevante.

149. Specificamente, il Tribunale ha dichiarato che il criterio rilevante non è la durata del termine di risoluzione di un contratto o la durata determinata di un contratto individuale che si inserisce in una serie di contratti consecutivi. Il criterio rilevante è invece, a suo avviso, la durata totale durante la quale la ricorrente applica sconti di esclusiva e pagamenti nei confronti di un cliente (102). Tale durata era pari a circa cinque anni nel caso della MSH, a circa tre anni nel caso della Dell e della NEC, a più di due anni nel caso dell’HP e a circa un anno nel caso della Lenovo. La concessione di «sconti di esclusiva» e di pagamenti durante tali periodi era ritenuta generalmente atta a restringere la concorrenza. A giudizio del Tribunale, ciò valeva a maggior ragione per il mercato dei CPU, caratterizzato da un forte dinamismo e da brevi cicli di vita dei prodotti (103).

150. Anzitutto, vorrei osservare che la breve durata di un accordo non esclude che quest’ultimo sia atto a produrre effetti anticoncorrenziali. Analogamente, è irrilevante la questione se la durata totale sia breve o lunga in astratto.

151. Quando, come nella fattispecie, l’esclusiva dipende, in ultima analisi, dalla scelta del cliente di rifornirsi per la maggior parte presso l’impresa in posizione dominante, non si può semplicemente presumere – ex post – che il cumulo di contratti a breve termine dimostri che tali sconti sono atti a restringere la concorrenza.

152. A sostegno di ciò possono essere addotte almeno due ragioni.

153. In primo luogo, diversamente da una situazione di accordo di esclusiva, il cambio di fornitori non comporta l’applicazione di una penale. Ciò è vero a condizione che un concorrente possa, almeno in linea di principio, accordare uno sconto pari a quello perduto. Se, tuttavia, il concorrente non può vendere le merci in questione senza subire perdite, il cliente è de facto vincolato all’impresa dominante. Esaminata da questa prospettiva, neppure l’entità dello sconto può essere considerata completamente priva di significato.

154. Più in particolare, in un’analisi ex post della durata, come nella fattispecie, è necessario stabilire se un altro fornitore avrebbe potuto compensare la perdita degli sconti. In caso contrario, la scelta del cliente di restare legato all’impresa in posizione dominante sarebbe automaticamente considerata indicativa di un abuso, nonostante il fatto che i clienti possano risolvere liberamente i loro contratti con l’impresa in posizione dominante.

155. Chiaramente, non si può semplicemente presumere, in base alla scelta di un cliente di rimanere con l’impresa dominante che tale scelta costituisca espressione di un comportamento abusivo. Ciò in quanto possono esservi altre spiegazioni plausibili per tale scelta. Queste includono, non tassativativamente, considerazioni sulla qualità, la certezza dell’approvvigionamento e le preferenze degli utenti finali.

156. In secondo luogo, è vero che una lunga durata complessiva dell’accordo può denotare un effetto fidelizzante del meccanismo di sconto a livello di singolo cliente. Tuttavia, salvo che siano state presentate a tal fine ulteriori prove convincenti, il fatto che un cliente abbia deciso di restare legato all’impresa in posizione dominante non può bastare per dimostrare a sufficienza che gli sconti offerti sono atti a restringere la concorrenza. Infatti, occorre rammentare che allorché il cliente può scegliere di cambiare i fornitori periodicamente, pur se tale opzione non è stata esercitata, gli sconti di fedeltà incrementeranno anche la competizione. Così, tali sconti possono anche avere un effetto favorevole alla concorrenza.

157. Pertanto, ritengo che la valutazione della durata effettuata nella sentenza impugnata – che si limitava a considerare la durata complessiva degli accordi esaminati – non è decisiva. In altri termini, tale valutazione non è utile ai fini di verificare se tale comportamento abbia, con tutta probabilità, un effetto anticoncorrenziale.

–       Risultati di mercato del concorrente e calo dei prezzi

158. La ricorrente contesta il rigetto, da parte del Tribunale, dei risultati di mercato dell’AMD e delle prove relative alla mancanza di preclusione (calo dei prezzi dei CPU x86) come irrilevanti nel contesto di una valutazione della capacità.

159. Secondo il Tribunale, il successo del concorrente e il calo dei prezzi non potevano escludere che le pratiche della ricorrente avessero avuto effetti. Il Tribunale ha osservato che si può legittimamente ritenere che, senza tali pratiche, l’aumento delle quote di mercato del concorrente e dei suoi investimenti in materia di ricerca e sviluppo nonché la diminuzione del prezzo dei CPU x86 avrebbero potuto essere più consistenti (104).

160. A mio avviso, il Tribunale ha dichiarato correttamente che i risultati di mercato dell’AMD e la diminuzione del prezzo dei CPU x86 non sono decisivi per verificare se il comportamento addebitato abbia la capacità di restringere la concorrenza. Tuttavia, la stessa conclusione si applicherebbe anche se i risultati del concorrente fossero mediocri. A mio avviso, la presa in considerazione di tali elementi di fatto può avere una funzione significativa solo quale parte di una valutazione dettagliata degli effetti reali o potenziali sulla concorrenza. Essa non è d’ausilio nel determinare se un sistema di sconti che si presume illegittimo sia atto a restringere la concorrenza.

–       Il test AEC

161. La ricorrente ritiene che, quando, come nella fattispecie, la Commissione ha svolto un’analisi nella sostanza delle circostanze economiche relativamente a un comportamento asseritamente abusivo, è giuridicamente errato prescindere da tale analisi solo perché non è utile ai fini dell’accertamento di un’infrazione.

162. La Commissione sostiene che il test AEC non è rilevante per dimostrare che il comportamento addebitato è atto a restringere la concorrenza. A suo avviso, la giurisprudenza della Corte non corrobora quanto sostenuto dalla ricorrente, secondo la quale il test AEC dovrebbe inserirsi in una valutazione di tutte le circostanze.

163. Nella sentenza impugnata il Tribunale ha negato la rilevanza del test AEC ai fini della determinazione, nel contesto di una valutazione di tutte le circostanze, della capacità del comportamento addebitato di restringere la concorrenza. Pertanto, esso non ha proceduto al controllo del test utilizzato dalla Commissione nella decisione controversa. In primo luogo, il Tribunale ha ritenuto irrilevante il test AEC in quanto, alla luce della loro forma, la Commissione non è tenuta a dimostrare caso per caso la capacità preclusiva degli «sconti di esclusiva». La sentenza impugnata ha negato la rilevanza del test AEC essenzialmente per il fatto che esso è finalizzato soltanto a verificare se il comportamento addebitato non renda impossibile l’accesso al mercato. Secondo la sentenza impugnata, gli «sconti di esclusiva» possono ostacolare l’accesso al mercato dei concorrenti dell’impresa in posizione dominante, anche allorché, dal punto di vista economico, l’accesso al mercato non è completamente impossibile, ma è solo reso più difficile (105). In secondo luogo, anche per quanto riguarda gli sconti rientranti nella categoria 3, il Tribunale ha osservato che la giurisprudenza non richiede l’impiego di un test AEC. In terzo luogo, il Tribunale ha osservato che detto test è stato ritenuto rilevante dalla Corte solo nelle cause relative a pratiche di fissazione dei prezzi e di compressione dei margini, che sono intrinsecamente diverse dalle cause relative agli «sconti di esclusiva» (106).

164. Anzitutto, come ho dimostrato supra (paragrafi da 122 a 160), è necessario esaminare tutte le circostanze per verificare se il comportamento in questione sia atto a precludere il mercato ai concorrenti anche qualora si tratti di «sconti di esclusiva». In altri termini, la capacità preclusiva deve essere dimostrata in ogni singolo caso. Certamente, il test AEC può essere considerato irrilevante se si ammette che una mera possibilità ipotetica o teorica che il comportamento addebitato abbia un effetto preclusivo anticoncorrenziale sia sufficiente per dimostrare una pratica abusiva. Invero, teoricamente, qualsiasi sconto offerto da un’impresa in posizione dominante può avere, in alcune circostanze, un effetto anticoncorrenziale.

165. Tuttavia, dato che è necessario uneffetto preclusivo, il test AEC non può essere tralasciato. Come ha osservato il Tribunale, il test serve a individuare un comportamento che rende economicamente impossibile per un concorrente altrettanto efficiente assicurarsi la quota contendibile della domanda di un cliente. In altri termini, esso può servire a individuare un comportamento che abbia, con tutta probabilità, un effetto anticoncorrenziale. Per contro, quando tale test dimostra che un concorrente altrettanto efficiente è in grado di coprire i costi, la probabilità di un effetto anticoncorrenziale diminuisce in modo significativo. È questo il motivo per cui, nella prospettiva dell’individuazione di un comportamento che ha un effetto preclusivo anticoncorrenziale, il test AEC è particolarmente utile.

166. Per quanto riguarda le considerazioni seconda e terza, ho spiegato supra (paragrafi da 101 a 105) le ragioni per cui la giurisprudenza relativa alle pratiche di fissazione dei prezzi e alle pratiche di compressione dei margini non dovrebbe essere ignorata. In ogni caso, ogni incertezza residua al riguardo è svanita con la sentenza Post Danmark II. Tale causa dimostra che la giurisprudenza riguardante altri tipi di esclusione basata sui prezzi non può essere semplicemente ignorata nel contesto delle cause relative agli sconti. Come ha confermato la Corte, con riferimento in particolare a tale giurisprudenza, il test AEC può rivelarsi utile anche nel contesto dell’esame di un sistema di sconti (107).

167. Tuttavia, è anche opportuno osservare che nella sentenza Post Danmark II, la Corte si è premurata di definire la sua posizione sul test AEC. Essa ha osservato in particolare che, sebbene il test AEC possa rivelarsi utile in determinate situazioni, non sussiste alcun obbligo giuridico di ricorrervi (108). Ciò è in linea con quanto affermato nello stesso senso dalla Corte nella sentenza Tomra. In tale causa la Corte ha dichiarato che la Commissione non è tenuta a dimostrare che gli sconti di fedeltà costringano i concorrenti dell’impresa in posizione dominante ad applicare prezzi inferiori ai costi al fine di concorrere per la quota contendibile di mercato. La Corte ha piuttosto dichiarato che la Commissione poteva dimostrare che gli sconti in questione fossero atti a restringere la concorrenza in base a elementi qualitativi denotanti la loro natura anticoncorrenziale (109).

168. In tal senso, si potrebbe essere certamente tentati di concludere che, nella fattispecie, non è necessario ricorrere a un test AEC. Seguendo tale logica, come sostenuto dalla Commissione, la valutazione della capacità effettuata dal Tribunale non conterrebbe un errore di diritto per il fatto di non aver tenuto conto del test AEC in quanto irrilevante.

169. Tuttavia, tale punto di vista non tiene conto di due aspetti. Diversamente dalla sentenza Tomra, nella decisione controversa, la Commissione aveva effettivamente svolto un test AEC approfondito. Fatto ancor più cruciale, le altre circostanze valutate dal Tribunale non corroborano inequivocabilmente la constatazione di un effetto sulla concorrenza. In tale contesto, mi sembra evidente che il test AEC non possa essere semplicemente ignorato in quanto circostanza irrilevante.

170. Pertanto, il Tribunale è incorso in un errore di diritto per non aver preso in considerazione il test AEC, effettuato dalla Commissione nella decisione controversa, quale parte della valutazione di tutte le circostanze.

171. Per concludere la mia analisi della valutazione ad abundantiam della capacità, svolta dal Tribunale, osservo quanto segue.

172. Le circostanze prese in considerazione in tale valutazione non possono confermare un effetto sulla concorrenza. Al massimo, tale valutazione mostra che è teoricamente possibile un effetto preclusivo anticoncorrenziale del comportamento addebitato, ma l’effetto in quanto tale non è stato confermato. In linea di principio, una valutazione di tutte le circostanze deve, quanto meno, tener conto della copertura di mercato e della durata del comportamento addebitato. Oltre a ciò, può essere necessario prendere in considerazione altre circostanze che possono differire da caso a caso. Nella fattispecie, il test AEC, proprio perché era stato effettuato dalla Commissione nella decisione controversa, non può essere ignorato nel verificare se il comportamento addebitato sia atto a produrre un effetto preclusivo anticoncorrenziale. La valutazione delle circostanze rilevanti, considerata nel suo complesso, dovrebbe consentirci di accertare, in base al grado di probabilità necessario, se l’impresa in questione abbia abusato della sua posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE. In mancanza di siffatta conferma, in ragione, ad esempio, di una limitata copertura di mercato, della breve durata degli accordi contestati o del risultato positivo del test AEC, è necessaria una valutazione economica più approfondita degli effetti reali o potenziali sulla concorrenza per la constatazione di una pratica abusiva.

c)      Conclusione

173. Concludo che il Tribunale è incorso in un errore di diritto, in primo luogo, nel constatare che gli «sconti di esclusiva» costituiscono una categoria di sconti unica e separata per la quale non è necessaria una valutazione di tutte le circostanze per dimostrare un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE. In secondo luogo, il Tribunale è incorso in un errore di diritto nella sua valutazione ad abundantiam della capacità omettendo di accertare, in base a tutte le circostanze, che gli sconti e i pagamenti offerti dalla ricorrente avevano, con tutta probabilità, un effetto preclusivo anticoncorrenziale.

174. Ne consegue che il primo motivo dovrebbe essere accolto.

C –    Sul secondo motivo di impugnazione: la copertura di mercato nel determinare se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante

1.      I principali argomenti delle parti

175. Nel secondo motivo di impugnazione, la ricorrente sostiene che, indipendentemente dalla conclusione cui si giunga riguardo al primo motivo, la copertura di mercato del comportamento dell’Intel non consentiva a quest’ultima, in ogni caso, di restringere la concorrenza durante il 2006 e il 2007. In tale periodo l’infrazione riguardava soltanto l’MSH e la Lenovo. Secondo la ricorrente, il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel dichiarare che, poiché nella decisione controversa la Commissione aveva constatato un’infrazione unica e continuata per gli anni dal 2002 al 2007, la constatazione di un’infrazione per il 2006 e per il 2007 poteva essere fondata sulla copertura di mercato media per l’intero periodo dal 2002 al 2007 (anziché sulla copertura di mercato del comportamento nei due anni in questione) (110).

176. La Commissione sottolinea che il secondo motivo di impugnazione costituisce una semplice aggiunta al primo motivo. Esso è basato interamente sulle stesse premesse del primo motivo. Tale istituzione ritiene che la copertura di mercato sia irrilevante ai fini di determinare se gli sconti dell’Intel erano in grado di restringere la concorrenza: la copertura di mercato delle pratiche dell’Intel è solo in rapporto alla misura in cui dette pratiche hanno effettivamente ristretto la competenza. Data l’importanza strategica dei costruttori OEM specificamente considerati nel 2006 e nel 2007, la rilevanza delle pratiche dell’Intel non può essere misurata facendo semplicemente riferimento alla copertura di mercato. In tale contesto, la Commissione sostiene che la copertura di mercato durante i suddetti due anni dovrebbe essere considerata alla luce di un’infrazione unica e continuata riconducibile all’esistenza di una strategia complessiva di esclusione dell’AMD dal mercato mondiale dei CPU.

2.      Analisi

177. Ho concluso supra che il Tribunale è incorso in un errore nella sua valutazione ad abundantiam della capacità alla luce di tutte le circostanze. In particolare, il Tribunale è incorso in un errore nella sua valutazione della copertura di mercato non avendo ammesso che una quota vincolata di mercato del 14% non può dimostrare a sufficienza che il comportamento addebitato è atto a restringere la concorrenza. Già su tale base anche il secondo motivo dovrebbe essere accolto.

178. Tuttavia, ritengo che il presente motivo meriti di essere brevemente discusso in maniera autonoma. Ciò in quanto le conclusioni del Tribunale relative all’esistenza di un’infrazione unica e continuata, costituiscono il fondamento per la constatazione di un’infrazione per gli anni 2006 e 2007. Il Tribunale ha considerato, infatti, che, nel contesto di un’infrazione unica e continuata basata su una strategia complessiva di preclusione del mercato, una valutazione globale della quota media del mercato vincolato fosse sufficiente per constatare che il comportamento in questione era atto a determinare una preclusione anticoncorrenziale (111).

179. Pertanto, il punto cruciale del presente motivo di impugnazione consiste nel definire il ruolo della nozione di infrazione unica e continuata nella valutazione della capacità del comportamento di una singola impresa di restringere la concorrenza. Più in particolare, si pone la questione se il ricorso a tale nozione possa porre rimedio al fatto che la copertura di mercato sia troppo limitata per dimostrare di per sé che il comportamento addebitato era atto a restringere la concorrenza durante uno specifico periodo di tempo.

180. Nella giurisprudenza della Corte la nozione di infrazione unica e continuata è stata utilizzata, in particolare, nel contesto dell’articolo 101 TFUE per far rientrare vari elementi di un comportamento anticoncorrenziale nell’ambito di un’infrazione unica e continuata ai fini dell’applicazione delle norme. Al riguardo, la ratio sottesa è di garantire un’effettiva applicazione delle norme nei casi in cui le infrazioni siano costituite da una serie pratiche anticoncorrenziali che possono assumere forme diverse e perfino evolvere nel tempo (112).

181. In altri termini, lo scopo è di evitare l’esito increscioso, nell’applicazione delle norme, in cui vari accordi e pratiche concordate ai sensi dell’articolo 101 TFUE, che in realtà si inseriscono in un piano generale di restrizione della concorrenza, vengano trattati separatamente. Per tale motivo, il ricorso alla nozione di infrazione unica e continuata attenua l’onere della prova, generalmente gravante sulle autorità preposte all’applicazione delle norme, riguardo all’esigenza di provare la natura continuativa delle pratiche anticoncorrenziali esaminate. Più in particolare, quando è stata data attuazione a una serie di accordi e di pratiche per un lungo periodo di tempo, non è raro che, durante il periodo di riferimento, si verifichino mutamenti di portata, di forma e di partecipanti a tali accordi e/o pratiche. Senza l’ausilio della nozione di infrazione unica e continuata, la Commissione dovrebbe soddisfare un livello probatorio più elevato. Essa sarebbe tenuta ad individuare e a provare l’esistenza di vari distinti accordi anticoncorrenziali e/o pratiche concordate nonché ad individuare le parti di ciascuno di essi separatamente. Trattare separatamente le pratiche contestate potrebbe anche, in alcuni casi, condurre alla prescrizione degli accordi e/o delle pratiche concordate più risalenti nel tempo. Ciò renderebbe l’applicazione delle norme meno efficace.

182. La nozione di infrazione unica e continuata costituisce quindi una norma procedurale.

183. Rendendo meno gravoso l’onere probatorio delle autorità garanti della concorrenza, la nozione assume particolare rilevanza nel contesto del calcolo delle ammende. Più in particolare, la circostanza che non siano state fornite prove per alcuni periodi determinati non impedisce di considerare dimostrata l’infrazione durante un periodo complessivo più lungo. Ciò impone tuttavia che tale constatazione sia fondata su indizi obiettivi e concordanti in tal senso. Generalmente, nell’ambito di un’infrazione estesa su più anni, il fatto che manifestazioni dell’intesa si verifichino in periodi differenti, eventualmente separati da intervalli di tempo più o meno lunghi, resta ininfluente ai fini dell’esistenza dell’intesa stessa. Tale ipotesi ricorre tuttavia a condizione che le diverse azioni che compongono tale infrazione perseguano una medesima finalità e si inseriscano nel quadro di un’infrazione a carattere unico e continuato (113). In effetti, è particolarmente importante il fatto che la Commissione sia stata in grado di provare un piano d’insieme per restringere la concorrenza (114).

184. Per contro, il ricorso alla nozione di infrazione unica e continuata non estende – né può estendere – l’ambito dei divieti ai sensi dei Trattati.

185. Nella fattispecie in esame, la nozione di infrazione unica e continuata è stata inserita in un contesto completamente diverso (115). Nella sentenza impugnata tale nozione è stata utilizzata per constatare un’infrazione relativa al comportamento di una singola impresa, in relazione alla quale non era stato verificato se tale comportamento fosse atto da solo a restringere la concorrenza nel mercato interno.

186. Nutro dubbi riguardo a tale modo di procedere.

187. Fondamentalmente, come osserva la ricorrente, il ricorso alla nozione di infrazione unica e continuata non può trasformare un comportamento legittimo in un’infrazione.

188. Tuttavia, poiché la Commissione aveva effettivamente concluso che si era verificata un’infrazione unica e continuata, il Tribunale ha ritenuto sufficiente svolgere un’analisi globale della media della quota di mercato che era stata bloccata durante il periodo compreso tra il 2002 e il 2007 (116). Su tale base, il Tribunale ha dichiarato irrilevante la circostanza che la copertura di mercato fosse notevolmente più limitata nel 2006 e nel 2007 rispetto alla media della quota di mercato vincolata (14%).

189. In altri termini, il Tribunale ha sostituito un criterio sostanziale con un criterio procedurale. Ha abbandonato il criterio della copertura di mercato sufficiente, che, paradossalmente, aveva dichiarato rilevante per verificare se il comportamento addebitato fosse atto a determinare una preclusione anticoncorrenziale, e lo ha sostituito con quello dell’infrazione unica e continuata. Tale ragionamento semplicemente non può essere accettato. O si ammette che la copertura di mercato non abbia alcuna rilevanza e che le regole di concorrenza dell’Unione sanzionino la forma piuttosto che gli effetti (ho spiegato supra i motivi per cui tale soluzione è insostenibile), oppure la copertura di mercato deve presa seriamente in considerazione nella valutazione di tutte le circostanze.

190. Nel procedere nel modo esposto supra, il Tribunale non ha, anzitutto, verificato se il comportamento in questione fosse atto a restringere la concorrenza durante l’intero periodo considerato.

191. In ogni caso, se non avesse omesso di verificare se tale ipotesi ricorresse nella fattispecie, avrebbe dovuto concludere che una quota di mercato vincolata così esigua non è decisiva ai fini della dimostrazione che il comportamento addebitato era atto a restringere la concorrenza.

192. Analogamente a quanto è stato osservato supra al paragrafo 143, relativamente a una quota di mercato del 14%, non si può escludere che anche una quota vincolata di mercato inferiore al 5% possa essere sufficiente, in alcuni casi, a precludere il mercato ai concorrenti. Comunque sia, nel contesto di una valutazione della capacità tale quota di mercato semplicemente non è decisiva. Come è stato spiegato, non si può presumere (in base alla forma del comportamento) che taluni accordi rientrino nell’ambito del divieto stabilito all’articolo 102 TFUE senza tenere debitamente conto della quota del mercato vincolato. Nei casi in cui la quota di mercato vincolata non fornisca una prova decisiva di un effetto sulla concorrenza, stabilire che si è verificato un abuso richiede una valutazione degli effetti reali o potenziali del comportamento in questione.

193. Ribadisco che, quando la copertura di mercato è considerata non decisiva ai fini della dimostrazione di un effetto sulla concorrenza durante un determinato periodo di tempo, non si può porre rimedio a tale problema applicando la nozione di infrazione unica e continuata. Piuttosto, come suggerisce la stessa nozione, affinché più casi di comportamento costituiscano un caso unico e continuato di infrazione, ogni singolo caso deve anch’esso costituire, di per sé, una violazione. In altri termini, tale comportamento deve costituire una violazione per tutto il periodo in questione.

194. Pertanto, anche il secondo motivo di impugnazione dovrebbe essere accolto.

D –    Sul terzo motivo di impugnazione: la classificazione di taluni sconti come «sconti di esclusiva»

1.      I principali argomenti delle parti

195. La ricorrente, sostenuta dall’ACT, afferma che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel classificare gli accordi di sconto con l’HP e la Lenovo come «sconti di esclusiva». Sebbene riguardassero il 95% dei computer aziendali fissi dell’HP e l’80% dei computer portatili della Lenovo, tali sconti costituiscono una parte minoritaria degli acquisti di CPU di queste due imprese complessivamente considerati. L’Intel afferma, in sostanza, che, poiché il requisito dell’esclusiva era connesso agli sconti relativi a taluni segmenti del fabbisogno di CPU di tali costruttori OEM, la classificazione degli sconti in questione come «sconti di esclusiva» è errata in diritto. Secondo la ricorrente, il Tribunale è incorso in un errore nel dichiarare che ciò ha lo stesso effetto della fornitura «per la totalità o per una parte considerevole» del fabbisogno totale del cliente. Più in particolare, tale approccio priva, di fatto, di qualsiasi rigore il criterio «per la totalità o per una parte considerevole»: esso conduce ad un’ingiustificata estensione della portata della nozione di «sconti di esclusiva», che sarebbe automaticamente censurata in base all’approccio del Tribunale riguardo all’articolo 102 TFUE.

196. La Commissione sostiene che il presente motivo di impugnazione debba essere respinto per due ragioni. In primo luogo, essa sostiene che la libertà dei costruttori OEM di rifornirsi in taluni segmenti non può neutralizzare la restrizione della libertà dei costruttori OEM di scegliere la loro fonte di approvvigionamento in un segmento del mercato dei CPU. In secondo luogo, la Commissione sostiene che l’Intel ha interpretato erroneamente la giurisprudenza pertinente della Corte, la quale esige che i concorrenti dell’impresa in posizione dominante debbano essere in grado di concorrere in base ai meriti per l’intero mercato.

2.      Analisi

197. Al pari del secondo motivo di impugnazione, questo terzo motivo è strettamente collegato al primo. In sostanza, esso solleva la questione se il Tribunale abbia correttamente dichiarato che gli sconti offerti dalla ricorrente all’HP e alla Lenovo potevano essere classificati come «sconti di esclusiva» (117).

198. Ho spiegato supra i motivi per cui non esiste una categoria separata di «sconti di esclusiva». Agli sconti di fedeltà, compresi (ma non solo) quelli definiti dal Tribunale come «sconti di esclusiva» si applica una presunzione di illegittimità. Una delle possibili ragioni per cui uno sconto è considerato sconto di fedeltà è che esso è basato sul requisito che il cliente acquisti «la totalità o (…) una parte considerevole» del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (118). Tuttavia, la forma in sé stessa non determina la sorte di tali sconti. Ciò in quanto devono essere esaminate tutte le circostanze prima che si possa concludere che il comportamento addebitato configura un abuso di posizione dominante. Pertanto, laddove, come da me proposto, la Corte accolga l’impugnazione della ricorrente relativamente al primo motivo non è necessario esaminare il terzo motivo.

199. Tuttavia, il terzo motivo rimane rilevante qualora la Corte dovesse respingere il primo motivo e dichiarare che gli «sconti di esclusiva» devono essere distinti da altri tipi di sconti di fedeltà.

200. Qualora la Corte dovesse concludere in tal senso, il requisito «per la totalità o per una parte considerevole» assume un ruolo cruciale nella valutazione di tali sconti. Ciò in quanto solo gli sconti subordinati alla condizione che il cliente acquisti «la totalità o (…) una parte considerevole» del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante ricadrebbero nell’ambito degli «sconti di esclusiva».

201. Tenendo presente tali considerazioni, va osservato quanto segue.

202. Per quanto riguarda l’HP, ad esempio, la condizione dell’esclusiva era collegata al requisito che l’HP acquistasse il 95% dei CPU x86 destinati ai suoi computer aziendali fissi presso la ricorrente. Ciò corrisponde certamente all’approvvigionamento «per la totalità o per una parte considerevole» del suo fabbisogno di CPU in tale segmento. Tuttavia, il quadro diviene più sfumato per il fatto che tale 95% risulta corrispondente al 28% circa del fabbisogno totale di CPU dell’HP (119). Come argomenta la ricorrente, difficilmente si può sostenere che ciò costituisca un approvvigionamento per «la totalità o (…) una parte considerevole» di tale fabbisogno totale.

203. A tal proposito, il Tribunale ha dichiarato, nella sentenza impugnata, che è irrilevante se la condizione che il cliente acquisti «la totalità o (…) una parte considerevole» del fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante si riferisca all’intero mercato o a un suo particolare segmento (120). Per giustificare tale approccio, il Tribunale ha fatto riferimento alla sentenza Tomra. Secondo quanto dichiarato dalla Corte in tale causa, i concorrenti dovrebbero poter operare in un regime di concorrenza fondata sul merito su tutto il mercato e non soltanto su una parte di questo. Tuttavia, tale affermazione non si esprime quanto al modo in cui dovrebbe essere interpretato il criterio dell’approvvigionamento «per la totalità o per una parte considerevole» del fabbisogno. Essa riguarda, piuttosto, la questione se la preclusione di una parte sostanziale del mercato ad opera di un’impresa dominante possa essere comunque giustificata nel caso in cui la quota del mercato che può essere conquistata sia sufficiente per far posto ad un numero limitato di concorrenti (121).

204. Tale aspetto non è in discussione in questa sede. La questione è se il requisito «per la totalità o per una parte considerevole» possa riferisi anche a una quota specifica del mercato rilevante del prodotto.

205. Nella decisione controversa, nel definire il mercato rilevante del prodotto non è stata operata alcuna distinzione tra i CPU utilizzati nei computer aziendali e quelli utilizzati nei computer destinati ai privati. Ciò in quanto, per uno specifico tipo di computer, possono essere utilizzati gli stessi CPU nel segmento aziendale/commerciale e nel segmento privato/consumatore (122). La possibilità di sostituzione tra i segmenti sembra suggerire che il mercato non può essere suddiviso.

206. Su tale punto, il Tribunale ha osservato, nella sentenza impugnata, che la questione se i CPU utilizzati nel segmento aziendale siano diversi dai CPU x86 utilizzati per i computer destinati ai privati non è rilevante nel presente ambito. A giudizio del Tribunale, anche se tali CPU fossero interscambiabili, le scelte di acquisto dei costruttori OEM in questione sarebbero state notevolmente ristrette nel segmento interessato (123).

207. Tale argomento è prima facie convincente.

208. Tuttavia esso non tiene conto di un aspetto importante: l’iter logico seguito nella sentenza impugnata ha come punto di partenza il punto di vista dell’HP (e della Lenovo), più che quello dell’AMD. Dal punto di vista dell’AMD è del tutto irrilevante se la possibilità di scelta dell’HP e della Lenovo sia o meno notevolmente ristretta in un segmento, laddove si tenga presente la circostanza che l’HP e la Lenovo sono clienti dell’Intel e non suoi concorrenti.

209. Infatti, un aspetto che va sottolineato è che si sta esaminando il comportamento volto all’esclusione dell’AMD, concorrente della ricorrente, non già lo sfruttamento dei clienti della ricorrente. Ciò che conta, dal punto di vista dell’AMD (e quindi, al fine di stabilire se il comportamento addebitato costituisca un abuso di posizione dominante volto alla preclusione del mercato contrario all’articolo 102 TFUE), è la percentuale totale del fabbisogno vincolato quale conseguenza degli sconti e dei pagamenti dell’Intel.

210. Come sottolinea l’ACT, non rileva se una parte del fabbisogno sia acquistata per un particolare segmento. Ciò che rileva è se i costruttori OEM in questione possano ancora acquistare quantitativi significativi presso i concorrenti della Intel. Nella fattispecie, sembra ricorrere quest’ultima ipotesi: l’HP e la Lenovo potevano ancora acquistare quantitativi significativi di CPU x86 presso l’AMD. La determinazione se un’impresa abbia abusato della sua posizione dominante escludendo un concorrente non può dipendere da una segmentazione apparentemente arbitraria del mercato.

211. In quest’ottica, appare difficile sostenere che, per quanto riguarda l’HP, la condizione di esclusiva riguardante il 95% dei computer aziendali fissi corrisponda a qualcosa di più del 28% del fabbisogno totale dell’HP. Secondo la stessa logica, l’esclusiva nei computer portatili della Lenovo non corrisponde all’esclusiva totale. Semplicemente, il requisito «per la totalità o per una parte considerevole» non può essere soddisfatto in tali circostanze.

212. A costo di dire un’ovvietà, l’approccio adottato nella sentenza impugnata porta a un risultato difficilmente giustificabile: anche uno «sconto di esclusiva» relativo a un segmento del mercato rilevante che copra una parte non significativa del fabbisogno totale del cliente (diciamo, per ipotesi, il 3%) potrebbe essere automaticamente censurato.

213. Pertanto, concludo che il Tribunale è incorso in un errore di diritto riguardo alla classificazione degli sconti offerti dalla ricorrente all’HP e alla Lenovo.

214. Che la Corte concordi o meno con me sul primo e sul secondo motivo di impugnazione, il terzo motivo di impugnazione dovrebbe pertanto essere accolto.

E –    Sul quarto motivo di impugnazione: i diritti della difesa

1.      I principali argomenti delle parti

215. Il quarto motivo di impugnazione riguarda i diritti della difesa della ricorrente sanciti all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). L’Intel sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel concludere che non vi sia stato alcun vizio procedurale in ordine a una riunione tenutasi, nel 2006, con il dirigente della Dell, il sig. D1, durante l’indagine che ha portato all’adozione della decisione controversa (in prosieguo: la «riunione in questione»).

216. Al riguardo, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che il Tribunale è incorso in un errore nel dichiarare che la riunione in questione non era un colloquio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003. In secondo luogo, essa afferma che il Tribunale è incorso in un errore nel dichiarare che, sebbene la Commissione fosse tenuta a verbalizzare la riunione in questione data la sua importanza, la violazione del principio di buona amministrazione risultante da tale omissione era stata sanata mediante l’inclusione nel fascicolo di una versione non riservata della nota interna (il promemoria interno della Commissione; in prosieguo: la «nota interna») alla quale la ricorrente ha avuto accesso. In terzo luogo, essa sostiene che il Tribunale è incorso in un errore nella sua valutazione ad abundantiam relativa alla questione se un vizio procedurale del tipo individuato nella sentenza impugnata costituisca il fondamento per l’annullamento della decisione controversa per quanto riguarda il comportamento della ricorrente nei confronti della Dell.

217. La Commissione afferma, in via principale, che il quarto motivo di impugnazione è inconferente in quanto l’Intel non ha contestato la constatazione, contenuta nella sentenza impugnata, che gli sconti concessi alla Dell erano «sconti di esclusiva». Tale motivo è, secondo la Commissione, anche irricevibile in quanto la questione se la violazione del principio di buona amministrazione possa essere sanata mediante la concessione all’Intel dell’accesso alla versione non riservata della nota interna dipende dalla valutazione effettuata riguardo all’importanza della riunione in questione e all’adeguatezza della nota. Si tratta di questioni di fatto, non soggette a sindacato giurisdizionale in sede di impugnazione.

218. In subordine, gli argomenti dell’Intel sono infondati: l’Intel non ha addotto alcun argomento pertinente che rimetta in discussione la valutazione effettuata nella sentenza impugnata riguardo alla nota interna. La Commissione sostiene inoltre che la decisione controversa era principalmente basata su prove documentali riguardo alle quali la riunione in questione non avrebbe potuto, in nessun caso, offrire una luce diversa.

2.      Analisi

219. Anzitutto, è necessario sottolineare che il quarto motivo di impugnazione non è affatto inconferente, o, peraltro, irricevibile, come sostenuto dalla Commissione.

220. Nel presente motivo di impugnazione, l’Intel sostiene in particolare che la constatazione di un’infrazione deve essere annullata con riferimento alla Dell, in quanto le constatazioni di fatto sulle quali è fondata tale infrazione sono viziate dalla violazione dei suoi diritti della difesa. Si tratta di una questione di diritto sulla quale la Corte può e deve pronunciarsi. La qualificazione, nella sentenza impugnata, che gli sconti concessi dall’Intel alla Dell erano subordinati alla condizione dell’esclusiva, sia essa contestata o meno è irrilevante a tale proposito. Ho chiarito in precedenza che senza esaminare tutte le circostanze rilevanti non può constatato che gli sconti di cui trattasi (comunque siano «etichettati») sono illegittimi. La Commissione stessa ha ammesso in udienza che, in via di principio, anche gli «sconti di esclusiva» potrebbero essere giustificati dall’impresa in questione. Parimenti, non rileva il fatto che le parti concordino sulla circostanza che la Commissione non si sia basata sulle informazioni ottenute durante la riunione in questione per muovere addebiti all’Intel: ciò non ha alcuna incidenza sul possibile valore di elemento a discolpa della riunione (124). Fatto ancor più essenziale, la questione se si sia verificata una violazione dei diritti della difesa è del tutto indipendente dalla questione se detta (potenziale) violazione abbia avuto effetti sul contenuto sostanziale della decisione controversa.

221. Semplicemente, ha scarsa se non addirittura nessuna rilevanza il modo in cui sono stati classificati gli sconti dell’Intel o quali prove siano state utilizzate per muovere addebiti alla ricorrente qualora siano stati violati i suoi diritti della difesa. L’unico elemento che la Corte deve accertare è se la ricorrente abbia dimostrato che sarebbe stata maggiormente in grado di garantire la propria difesa, qualora avesse avuto accesso a una registrazione della riunione in questione. Per esaminare tale aspetto la Corte deve inoltre considerare, segnatamente, se la nota interna – che è stata resa accessibile alla ricorrente, tardivamente, solo in primo grado – abbia potuto «sanare» qualsiasi precedente irregolarità procedurale derivante dalla decisione della Commissione di non verbalizzare la riunione in questione. È questo il motivo per il quale non mi convince l’argomento della Commissione secondo cui gli argomenti della ricorrente riguardanti l’adeguatezza della nota interna mettono, in realtà, in discussione costatazioni di fatto.

222. Come spiegherò nei seguenti paragrafi, il quarto motivo dovrebbe essere, in effetti, accolto.

a)      La riunione in questione era un colloquio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003

223. La ricorrente sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel concludere che non sussisteva alcuna violazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 (125). Al riguardo, l’Intel afferma che la distinzione operata nella sentenza impugnata tra colloqui «formali» e «informali» è errata in diritto. Lo stesso vale, a suo avviso, per la constatazione che la Commissione non è tenuta a registrare i colloqui «informali» (126).

224. Prima di proseguire nell’esame di tale distinzione, è opportuno ricordare brevemente le fasi (procedurali) che hanno portato a rendere accessibile alla ricorrente la nota interna relativa alla riunione in questione.

225. Dalla sentenza impugnata emerge che, durante il procedimento amministrativo, la Commissione aveva negato, in un primo momento, che avesse avuto luogo una riunione con il sig. D1. Essa ha ammesso che si era tenuta una riunione solo dopo che l’Intel aveva dimostrato l’esistenza di un elenco indicativo degli argomenti relativi alla riunione in questione. A quell’epoca la Commissione continuava a negare che fosse stata effettuata una verbalizzazione di tale riunione. Alcuni mesi dopo, tuttavia, il consigliere‑auditore ha ammesso che esisteva una nota interna, ma ha sottolineato che la ricorrente non aveva il diritto di accedere a tale nota. Nondimeno, nel dicembre 2008, la Commissione ha inviato all’Intel una copia della versione non riservata di tale nota «a titolo di cortesia». Il testo di tale copia era stato in gran parte occultato. A seguito di una richiesta del Tribunale in tal senso, la versione riservata di tale nota è stata infine comunicata alla ricorrente durante il procedimento dinanzi al Tribunale, nel gennaio 2013 (127).

226. Orbene, per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n.1/2003, il potere di svolgere colloqui è un logico corollario degli ampi poteri d’indagine attribuiti alla Commissione ai sensi del regolamento n. 1/2003. La questione che si pone in questa sede è se tali poteri siano, tuttavia, soggetti a limiti.

227. Tali limiti possono essere chiaramente individuati in base al testo delle disposizioni rilevanti. Anzitutto, l’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 prevede che la Commissione possa sentire ogni persona (fisica o giuridica) che vi acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine. Mentre l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 773/2004 prevede l’obbligo giuridico di registrare i colloqui, l’articolo 3, paragrafo 3, di tale regolamento prevede che la Commissione possa scegliere come registrare le dichiarazioni rese dalle persone sentite.

228. In quest’ottica, mi sembra abbastanza ovvio che, quando la Commissione decide di tenere un colloquio, non può omettere di registrare l’oggetto di tale colloquio. Per contro, essa rimane libera di scegliere come (il mezzo da utilizzare per) registrarlo.

229. Questa considerazione, in quanto tale, non viene contraddetta dalla sentenza impugnata (128).

230. Il problema risiede, piuttosto, nel fatto che il Tribunale ha operato una distinzione, nella sentenza impugnata, tra colloqui formali e informali. Siffatta distinzione non esiste nel quadro normativo istituito dal regolamento n. 1/2003.

231. Tale distinzione è, a mio avviso, assai problematica. L’elaborazione, attraverso l’interpretazione di un organo giurisdizionale, di un nuovo strumento con cui la Commissione possa svolgere le sue indagini consentirebbe a quest’ultima di eludere le norme emanate dal legislatore proprio per disciplinare i poteri attribuiti a tale istituzione nel contesto di indagini relative alle violazioni di norme in materia di concorrenza.

232. Una di queste norme, come risulta chiaramente dall’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, prevede che le informazioni raccolte nel corso di colloqui relativi all’oggetto di un’indagine devono essere registrate. A mio avviso, qualsiasi riunione con terzi che sia specificamente organizzata per raccogliere informazioni significative da utilizzare nella valutazione di un caso deve rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 19 del regolamento n.1/2003.

233. Per contro, ciò non implica che la Commissione non possa mai contattare i terzi in modo informale. Come risulta chiaramente dalla formulazione stessa dell’articolo 19 del regolamento n.1/2003, rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione solo gli scambi di informazioni relative all’oggetto di un’indagine. Quando gli scambi di informazioni tra la Commissione e i terzi non riguardano l’oggetto di una particolare indagine (di solito in corso), non sussiste alcun obbligo di registrare tali scambi.

234. Nella fattispecie, tuttavia, non vedo come possa essere intesa la riunione in questione se non come un colloquio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003.

235. La riunione non era solo collegata all’oggetto dell’indagine della Commissione sulle pratiche dell’Intel che era in corso. Come indicato nella nota interna, gli argomenti esaminati durante la riunione, che, a quanto pare, è durata cinque ore, riguardavano il nucleo essenziale della questione oggetto di indagine (ossia se gli sconti concessi dall’Intel alla Dell fossero subordinati alla condizione dell’esclusiva). Fatto ancor più importante, la persona sentita era uno dei più alti dirigenti della Dell (129).

236. Al riguardo, è irrilevante se lo scopo della riunione fosse quello di raccogliere prove sotto forma di verbali controfirmati o di dichiarazioni o, come asserito dalla Commissione, non lo fosse (130).

237. Se si ammettesse che solo tali contatti con i terzi rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, ciò estenderebbe notevolmente il potere discrezionale della Commissione di svolgere colloqui senza obblighi di registrazione e consentirebbe altresì alla Commissione di selezionare quanto alle prove da rendere accessibili alle imprese sospettate di aver violato le regole di concorrenza dell’Unione: il personale della Commissione che convoca la persona da sentire o il personale che partecipa a tale riunione potrebbe decidere, in base alle proprie opinioni personali, ciò che debba rientrare o meno nel fascicolo.

238. Tuttavia, ciò non corrisponde a come il diritto di «accesso al fascicolo» è stato concepito dal legislatore dell’Unione. La divulgazione di tutte le prove costituisce la regola, e l’omessa divulgazione di specifici elementi di prova l’eccezione, come precisato dall’articolo 27, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. L’interpretazione dell’articolo 19, proposta dalla Commissione, rischierebbe di rendere l’articolo 27, paragrafo 2, privo di effetto.

239. In udienza, la Commissione ha avuto difficoltà a spiegare quali contatti con i terzi è tenuta a registrare e quali no. Sorprendentemente, nel tentare di spiegare la sua posizione, la Commissione è apparsa suggerire che poteva decidere di ricorrere all’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 completamente a sua discrezione. Il fatto che la Commissione non sia stata in grado di fornire una risposta chiara alla Corte su questo punto è comprensibile: risulta assai difficile individuare un criterio atto a distinguere tra colloqui formali e informali che sia diverso da quello sancito dalla legge, ossia se il colloquio riguardi l’oggetto dell’indagine.

240. Di pari importanza è il fatto che la decisione se registrare o meno un colloquio sarebbe anche sottratta a ogni possibile controllo giurisdizionale. Non esistendo alcuna registrazione scritta, in che modo i giudici dell’Unione potrebbero controllare se la Commissione ha osservato le disposizioni del regolamento n. 1/2003 e, più in generale, se i diritti delle imprese e delle persone fisiche coinvolte in un’indagine sono pienamente rispettati?

241. In ultima analisi, infatti, il requisito stabilito all’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, secondo il quale i colloqui devono essere registrati, esiste per almeno due ragioni collegate tra loro. Tale requisito garantisce, da un lato, che le imprese sospettate di violare le regole di concorrenza dell’Unione possano organizzare la loro difesa e, dall’altro, che i giudici dell’Unione possano controllare, ex post, se la Commissione abbia esercitato i suoi poteri d’indagine nei limiti consentiti dalla legge.

242. Per questi motivi, sono fermamente convinto che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione non aveva violato l’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 non organizzando la riunione in questione come un colloquio ai sensi di tale disposizione e omettendo di registrarla in modo adeguato.

b)      La nota interna non sana il vizio procedurale

243. Come accennato supra (paragrafo 216), nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha constatato una violazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003. Tuttavia, esso ha constatato che – considerati il contenuto e l’importanza delle informazioni ricevute durante la riunione in questione – la Commissione avrebbe dovuto registrarle. A tal proposito, il Tribunale ha considerato che ciò configurava una violazione del principio di buona amministrazione. Al riguardo, il Tribunale ha dichiarato che, nelle circostanze del caso di specie, si sarebbero dovuti acquisire agli atti almeno una nota succinta contenente i nomi dei partecipanti, nonché un breve riassunto dei temi affrontati. La ricorrente avrebbe potuto in tal caso richiedere l’accesso a tale documento (131).

244. Nondimeno, secondo tale giudice, detta irregolarità procedurale era stata sanata dal fatto che, durante il procedimento amministrativo, una versione non riservata della nota interna è stata messa a disposizione dell’Intel e dal fatto che è stata offerta a quest’ultima l’opportunità di presentare osservazioni su tale documento. Detta nota, intesa quale riassunto degli argomenti discussi ad uso interno dei membri dei servizi della Commissione che trattavano il caso, conteneva i nomi dei partecipanti e «un breve riassunto dei temi affrontati» (132).

245. La ricorrente sostiene che ciò costituisce un errore di diritto non solo perché la Commissione era tenuta a verbalizzare la sostanza della riunione in questione, ma anche perché la nota, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale, non conteneva un «un breve riassunto dei temi affrontati».

246. Concordo con tale tesi.

247. In linea di principio, una nota del tipo descritto nella sentenza impugnata non può, in nessun caso, porre rimedio alla violazione di un requisito procedurale essenziale. Fondamentalmente, come ha ammesso il Tribunale nella sentenza impugnata, tale nota consiste in un riassunto succinto degli argomenti discussi durante tale riunione (133). Per contro, essa non precisa la sostanza del colloquio. Ciò è riconosciuto dalla Commissione stessa. Più rilevante, tuttavia, è il fatto che tale nota tace sul contenuto delle informazioni, fornite dal sig. D1 durante la riunione, riguardanti le questioni cui si fa riferimento in tale nota.

248. A mio avviso, tale nota non può sanare una violazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004.

249. Non si può sottolineare a sufficienza che le informazioni relative a un colloquio contenute nel fascicolo devono essere sufficienti a garantire che siano rispettati i diritti della difesa delle imprese accusate di violare le regole di concorrenza dell’Unione. Ciò non è chiaramente avvenuto nel caso di specie. Approfondirò tale questione infra, ai paragrafi 257 e seguenti.

250. Si pone, pertanto, la questione se l’errore procedurale derivante dalla violazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, possa comportare l’illegittimità della decisione controversa relativamente alle constatazioni effettuate riguardo alla Dell. Contrariamente a quanto statuito dal Tribunale (134), la ricorrente ritiene che ciò dovrebbe comportare la suddetta illegittimità. L’ACT condivide tale opinione. È vero che gli argomenti della ricorrente riguardano il ragionamento esposto nella sentenza impugnata a fini di completezza. Si potrebbe quindi sostenere che tali argomenti sono inoperanti e che non possono comportare l’annullamento di tale sentenza (135). Tuttavia, nell’ipotesi in cui la Corte concordi con me sul fatto che il Tribunale è incorso in un errore nel dichiarare che 1) la riunione in questione non era un colloquio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e che 2) la nota interna sanava qualsiasi vizio procedurale derivante dalla decisione della Commissione di non verbalizzare tale riunione, la Corte deve anche esaminare il ragionamento relativo alle conseguenze di una possibile irregolarità procedurale di cui alla sentenza impugnata.

c)      La conseguenza della mancata verbalizzazione della riunione in questione

251. Secondo la sentenza impugnata, la presente situazione può essere distinta da quella sottesa alla sentenza Solvay (136), causa sulla quale si fonda principalmente la ricorrente. In tale causa, la Commissione aveva perso vari documenti dopo la conclusione del procedimento amministrativo. L’impresa in questione non aveva avuto accesso a tali documenti durante il procedimento dinanzi alla Commissione. In tali circostanze, la Corte aveva statuito che un vizio procedurale di tal genere giustifica l’annullamento della decisione della Commissione. Il criterio per siffatto annullamento era espresso nei seguenti termini: un vizio procedurale costituisce il presupposto per l’annullamento quando non si può escludere che il materiale (perso) avrebbe consentito all’impresa interessata di offrire un’interpretazione dei fatti, diversa da quella adottata dalla Commissione, che sarebbe potuta risultare utile per la sua difesa (137).

252. A giudizio del Tribunale, tuttavia, la dichiarazione della Corte nella sentenza Solvay non potrebbe essere applicata all’insieme delle circostanze in esame. Ciò in quanto, diversamente dalla sentenza Solvay, il contenuto della riunione in questione poteva essere ricostruito (138). Per questo motivo, in forza della giurisprudenza relativa all’accesso al fascicolo (139), Il Tribunale aveva richiesto all’Intel di fornire un primo indizio del fatto che la Commissione si fosse «astenuta dal verbalizzare elementi a discarico che contraddicono il tenore delle prove documentali dirette sulle quali la Commissione si è fondata nella decisione [controversa] o, quanto meno, offrono di esse una luce diversa». Una mera ipotesi di rilevanza delle informazioni fornite durante la riunione in questione non era considerata sufficiente (140).

253. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, quando l’accesso a una parte del file è stato negato durante il procedimento amministrativo, ma esso è stato tuttavia accordato durante il procedimento giurisdizionale, il criterio rilevante è, in linea di principio, se le informazioni negate sarebbero potute risultare utili, in qualsiasi modo, per la difesa dell’impresa. Non è necessario che le informazioni avrebbero condotto a una decisione di diverso contenuto (141). Si deve piuttosto, dimostrare che l’impresa sarebbe stata maggiormente in grado di garantire la propria difesa se non fossero stati commessi errori (142).

254. Tuttavia, tale regola si applica solo quando non è stato fatto ricorso a prove documentali dirette quali elementi di prova. Quando la Commissione, nella decisione controversa, si è basata su prove documentali dirette, l’impresa interessata deve dimostrare che la Commissione si è astenuta dal verbalizzare elementi a discarico che contraddicono il tenore delle prove documentali dirette, o, quanto meno, offrono di esse una luce diversa (143). In altri termini, qualora la Commissione abbia utilizzato prove documentali dirette per accusare l’impresa interessata, l’onere della prova è particolarmente difficile da soddisfare.

255. La questione se tale approccio sia giustificato, in termini generali, va oltre l’ambito delle presenti conclusioni. Tuttavia, porre tale requisito a carico della ricorrente nella fattispecie è, a mio avviso, manifestamente errato in diritto. Ciò in quanto l’onere della prova, posto in tal modo a carico dell’impresa interessata, è semplicemente impossibile da soddisfare. L’approccio corretto consiste nel chiedersi, come esige quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Solvay, se si possa fin dall’inizio escludere che le informazioni alle quali l’impresa interessata non ha avuto acceso sarebbero potute risultare utili per la difesa dell’impresa.

256. Nella fattispecie, a tale interrogativo si deve dare una risposta negativa.

257. Nella sentenza Solvay non vi era la minima possibilità di ricostruire il contenuto dei fascicoli mancanti attingendo da altre fonti. Inoltre, la Commissione stessa aveva ammesso che i fascicoli mancanti, con tutta probabilità, contenevano informazioni rilevanti per la difesa dell’impresa (più in particolare, risposte a richieste di informazioni) (144).

258. Nella fattispecie, la riunione in questione non è stata adeguatamente verbalizzata, come ho spiegato supra. Tuttavia, la ricorrente ha avuto accesso alla versione non riservata della nota interna e al cosiddetto documento di accompagnamento durante il procedimento amministrativo. Tale documento conteneva le risposte scritte della Dell ai quesiti posti al sig. D1 durante la riunione in questione. Successivamente, durante il procedimento dinanzi al Tribunale, la ricorrente ha avuto accesso alla versione riservata della nota. Questi due documenti hanno fornito – a giudizio del Tribunale – indicazioni sufficienti su quanto è stato discusso durante la riunione. In base a tali documenti, il Tribunale ha concluso che la riunione non aveva rivelato nuovi elementi a discarico che la ricorrente avrebbe potuto utilizzare per la propria difesa (145).

259. Tuttavia, le informazioni che possono essere dedotte da tali documenti riguardo a ciò che è avvenuto durante la riunione in questione, rimangono mera supposizione come dimostra ampiamente la sentenza impugnata (146). Come illustrato dall’analisi delle informazioni disponibili nella sentenza impugnata, quando non esiste un’adeguata verbalizzazione della riunione, è impossibile affermare con certezza quali sono stati gli argomenti discussi e in quali limiti essi avrebbero potuto essere a discarico, a carico o invero neutrali (147).

260. Il controllo giurisdizionale non può basarsi su presunzioni relative alle prove.

261. È certamente vero, come sottolinea la Commissione, che un’analisi della questione se una violazione dei diritti della difesa possa condurre all’annullamento della decisione della Commissione inizia con le censure formulate nei confronti l’impresa in questione e con le prove fornite a sostegno di tali censure (148). Altrimenti, in tutti i casi sarebbe possibile sostenere che le informazioni non contenute nel fascicolo avrebbero potuto essere utili per l’impresa interessata (149).

262. Tenendo presenti le censure formulate dalla Commissione nei confronti dell’Intel nel caso in esame, sussistono pochi dubbi riguardo alla rilevanza della riunione in questione. In realtà, come osservato dal Tribunale, la nota interna nonché il documento di accompagnamento dimostrano che le questioni rilevanti al fine di stabilire se la Dell avesse ricevuto sconti di fedeltà anticoncorrenziali dalla ricorrente sono state discusse durante la riunione (150).

263. In situazioni come queste, l’onere della prova rimane – in generale – a carico dell’impresa interessata (151). Come osserva la Commissione, l’impresa deve esporre i fatti e fornire le prove per dimostrare che avrebbe potuto utilizzare a sua difesa i documenti per i quali le è stato negato l’accesso durante il procedimento amministrativo. Tuttavia, tale ipotesi ricorre nel caso in cui i documenti siano stati negati durante il procedimento amministrativo e il contenuto di tali documenti possa essere successivamente ricavato e sottoposto a controllo giurisdizionale da parte della Corte (152). Come ha osservato l’avvocato generale Kokott nelle conclusioni Solvay, la ragione di ciòrisiede nel fatto che l’impresa interessata può, in tali circostanze, fornire indicazioni sugli autori e sulla natura del documento che non le è stato comunicato. Ma non solo. Fatto ancor più essenziale, in tali circostanze, l’impresa interessata può anche descrivere il contenuto di tali documenti (153).

264. La situazione è diversa nella fattispecie. L’identità dell’autore e la natura della riunione sono conosciuti in base alla nota interna. Tuttavia, il contenuto delle risposte del sig. D1 ai quesiti rivoltigli dalla Commissione permane oscuro. È vero che, come ha osservato il Tribunale, la nota interna nonché il documento di accompagnamento gettano un po’ luce sui temi specifici affrontati durante la riunione. Tuttavia, tali documenti non sono sufficienti per ricostruire ex post le prove fornite, ossia ciò che è stato effettivamente dichiarato durante tale riunione.

265. Sebbene la sentenza impugnata non esamini espressamente la questione, è possibile giungere alla conclusione opposta solo presumendo che il sig. D1 e la Dell siano una sola e identica persona e che il sig. D1 potesse unicamente ribadire la posizione della Dell sugli argomenti discussi. Tenuto conto del suo status di alto dirigente all’interno della Dell, tale supposizione può essere certamente corretta.

266. Tuttavia, tale supposizione può essere anche errata.

267. Contrariamente a quanto la Commissione è sembrata suggerire in udienza, è altrettanto probabile che il sig. D1 abbia espresso la sua personale opinione sugli argomenti esaminati durante la riunione in questione (154). Semplicemente non lo sappiamo. Per questo motivo, non si può escludere che la riunione abbia posto la condizionalità degli sconti offerti alla Dell sotto una luce diversa, o addirittura nuova. Anziché riconoscere tale possibilità, il Tribunale ha assegnato alla ricorrente l’onere, probabilmente impossibile, di provare che la riunione non verbalizzata aveva fatto emergere elementi a discarico che avrebbero potuto porre sotto una luce diversa le prove fornite dalla Commissione a sostegno delle sue censure. Per ovvie ragioni, il Tribunale ha concluso che la ricorrente non era stata in grado di assolvere tale compito.

268. Su tale base, devo concludere che anche il quarto motivo di impugnazione dovrebbe essere quindi accolto.

269. Nell’ipotesi in cui la Corte non dovesse concordare con me, vorrei tuttavia suggerire cautela nel respingere il quarto motivo di impugnazione per le seguenti ragioni.

270. Ammettiamo, per ipotesi, che le prove in questione potessero essere ricostruite a sufficienza ex post, come ha dichiarato il Tribunale nella sentenza impugnata. Secondo il Tribunale, la ricorrente doveva quindi dimostrare che le prove in questione avrebbero potuto rimettere in discussione le «prove documentali dirette», già dichiarate sufficienti per condannare l’Intel per un abuso di posizione dominante riguardo agli sconti offerti alla Dell (155). Tale approccio si fonda su un errore. Esso presuppone erroneamente che le prove relativamente alle quali è stato negato l’accesso durante il procedimento amministrativo debbano necessariamente avere un valore probatorio inferiore rispetto alle prove presentate dalla Commissione a sostegno della sua constatazione della pratica abusiva. Più in particolare, il problema è originato dall’interpretazione eccessivamente estensiva della nozione di «prove documentali dirette» contenuta nella sentenza impugnata.

271. Per quanto mi consta, tale nozione non è stata definita espressamente dalla Corte. Tuttavia, la giurisprudenza fornisce utili indicazioni quanto alla sua portata.

272. In generale, la nozione di prove documentali dirette viene utilizzata in giurisprudenza nel contesto dell’articolo 101 TFUE per descrivere alcuni tipi di prove (rispetto, ad esempio, alle prove indiziarie ed economiche), che la Commissione può utilizzare per dimostrare che è stata commessa un’infrazione, ad esempio che determinate imprese hanno partecipato a un cartello o a una pratica correlata contrari all’articolo 101 TFUE (156).

273. Diversamente dalle prove indiziarie (157), le prove documentali dirette provengono, di regola, da un’impresa o da imprese sospettate di aver violato le regole di concorrenza dell’Unione e, in particolare, l’articolo 101 TFUE. Generalmente, tali prove assumono la forma di un documento che, di per sé, mostra l’esistenza di un cartello o di una pratica correlata (oppure la partecipazione di determinate imprese a tale pratica). Tale ipotesi ricorrerebbe, ad esempio, nel caso di un memorandum d’intesa tra partecipanti, scambi di posta elettronica tra partecipanti concernenti i prezzi o, addirittura, verbali di riunioni riguardanti tali pratiche (158). Qualora la Commissione si sia basata su prove del genere per dimostrare un’infrazione o la partecipazione di un’impresa a un’infrazione, le imprese devono – ai fini dell’annullamento della decisione di cui trattasi – dimostrare che le prove rimaste per esse inaccessibili durante il procedimento amministrativo contraddicevano il tenore delle prove documentali dirette presentate (159).

274. Le prove sulle quali si è basata la Commissione nella decisione controversa per dimostrare la condizionalità degli sconti concessi alla Dell, al massimo, possono essere descritte come indiziarie o presuntive (160). Infatti, un aspetto che non va trascurato consiste nel fatto che gli «sconti di esclusiva» di cui trattasi nella fattispecie (compresi quelli concessi alla Dell) sono stati considerati come de facto subordinati alla condizione dell’esclusiva. Ciò in quanto gli sconti non erano basati su un obbligo formale di fornitura esclusiva (161). La condizionalità degli sconti offerti alla Dell era piuttosto desunta (indirettamente) dal livello degli sconti (162). Speciale rilevanza era altresì attribuita alla consapevolezza, da parte della Dell, dei rischi conseguenti al trasferimento di parte delle sue forniture a un concorrente (163). A costo di dire un’ovvietà, tali prove possono essere difficilmente descritte come «prove documentali dirette» della condizionalità degli sconti in questione.

275. In mancanza di qualsiasi documento scritto attestante l’esistenza di un obbligo di fornitura esclusiva, l’ammissione di qualsiasi prova scritta quale «prova documentale diretta» di un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE pregiudicherebbe gravemente, a mio avviso, i diritti della difesa dell’impresa interessata: non sarebbe sufficiente per un’impresa dimostrare che una prova alla quale non abbia avuto accesso durante il procedimento amministrativo avrebbe potuto essere utile per la sua difesa. Oltre a ciò, tale impresa dovrebbe dimostrare (come richiesto dal Tribunale nella sentenza impugnata) che le prove non rese accessibili contraddicevano il tenore delle prove presentate dalla Commissione a supporto della constatazione di una pratica abusiva.

276. Tenendo presente tale aspetto, sono fermamente convinto che le prove indiziarie del tipo cui si fa riferimento nella decisione controversa debbano essere valutate complessivamente (prima che si possa decidere se la maggior parte delle prove presentate sia sufficiente a dimostrare un abuso di posizione dominante). Ai fini dell’annullamento della decisione controversa, l’impresa interessata, in tali circostanze, deve semplicemente dimostrare che avrebbe potuto utilizzare, in qualche modo, per la propria difesa le prove non rese accessibili, e non già che tali prove contraddicano il tenore delle prove presentate dalla Commissione per constatare l’infrazione (164).

277. Pertanto, concludo che, anche in base a tale considerazione alternativa, il quarto motivo di impugnazione dovrebbe essere accolto.

F –    Sul quinto motivo di impugnazione, vertente sulla competenza

1.      I principali argomenti delle parti

278. Con il suo quinto motivo di impugnazione, l’Intel, sostenuta dall’ACT, afferma che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel dichiarare che la Commissione aveva competenza ad applicare l’articolo 102 TFUE agli accordi dell’Intel con la Lenovo, del 2006 e del 2007, (in prosieguo, rispettivamente: l’«accordo del 2006» e l’«accordo del 2007» o, congiuntamente, gli «accordi Lenovo»). Da un lato, l’accordo del 2006 induceva, mediante la concessione di un incentivo finanziario, la Lenovo a posticipare (e infine ad annullare) il lancio di due prodotti dell’AMD nel mercato mondiale (165). D’altro lato, l’accordo del 2007 riguardava gli sconti che l’Intel avrebbe offerto qualora la Lenovo avesse deciso di rifornirsi esclusivamente di CPU per i suoi computer portatili presso l’Intel (166). La ricorrente sostiene che, per quanto riguarda la Lenovo, le restrizioni allo scoperto e gli sconti non erano né attuati nel SEE né avevano effetti prevedibili, immediati o sostanziali in tale area.

279. La Commissione considera infondato il quinto motivo: il Tribunale non è incorso in un errore nel dichiarare che la Commissione aveva il potere di applicare l’articolo 102 TFUE riguardo agli accordi con la Lenovo. La Commissione sostiene che, ai sensi del diritto internazionale pubblico, la competenza si può fondare su vari fattori, purché sussista un collegamento sufficiente tra il comportamento lamentato e la normativa applicabile nel territorio interessato. Al riguardo, il criterio dell’attuazione e il criterio degli effetti «qualificati» sono solo due possibili modi per dimostrare l’esistenza di tale collegamento. Nell’applicare tali criteri – sostiene la Commissione – la sentenza impugnata non rivela alcun errore di diritto.

2.      Analisi

280. Il presente motivo non è affatto di minor importanza rispetto a quelli esaminati finora. Esso fornisce alla Corte una gradita opportunità per chiarire la linea giurisprudenziale iniziata a partire dalla sentenza ICI, e successivamente sviluppatasi nella sentenza Pasta di legno (167), riguardante l’applicazione territoriale del diritto dell’Unione in materia di concorrenza. Il presente motivo consentirà alla Corte di affinare tale linea giurisprudenziale e di adeguarla alle condizioni attuali, caratterizzate da economie globali, mercati integrati e modelli commerciali elaborati.

281. In questa sede occorre tenere presenti le più ampie ramificazioni che possono derivare dalla pronuncia della Corte. Un’interpretazione eccessivamente generosa delle norme in materia di competenza territoriale non è infatti pacifica dal punto di vista del diritto internazionale pubblico, al quale è necessario conformarsi nell’interpretazione del diritto dell’Unione (168). È quindi opportuno inserire il presente motivo di impugnazione nel quadro di un contesto più ampio.

282. In generale, la competenza assume (almeno) tre forme diverse: competenza legislativa, competenza esecutiva e competenza giurisdizionale (o «togata»). L’Intel mette in discussione la competenza della Commissione ad applicare il diritto della concorrenza dell’Unione in materia di concorrenza a comportamenti unilaterali derivanti da accordi che probabilmente producono i loro effetti al di fuori dell’Unione europea. Pertanto, il presente procedimento non riguarda la concreta attuazione al di fuori del territorio dell’Unione, una questione che solleva un’ampia serie di problemi dal punto di vista del diritto internazionale pubblico.

283. Vorrei inoltre osservare che il diritto internazionale pubblico consente agli Stati di esercitare, in taluni casi, la loro competenza in ambito extraterritoriale. Tuttavia, se è pur vero che, di per sé, non è vincolante (169), il reciproco rispetto delle sfere di competenza tanto dell’Unione europea quanto degli Stati terzi interessati (170), o la cortesia, suggerisce di dar prova di moderazione nell’affermare la competenza extraterritoriale. Non sorprende che la stessa Unione europea si opponga all’applicazione extraterritoriale delle leggi di Stati terzi quando ritiene che tale applicazione sia illegittima (171).

284. Ciò detto, uno studio della giurisprudenza della Corte rivela che l’applicazione del diritto dell’Unione presuppone un adeguato collegamento al territorio dell’Unione (172). In tal modo, viene rispettato il principio fondamentale di territorialità ai sensi del diritto internazionale pubblico. Nondimeno, non è inusuale che uno Stato o un’organizzazione internazionale, nell’esercizio della propria sovranità, prenda in considerazione anche circostanze che hanno o hanno avuto luogo al di fuori della sua area di competenza territoriale (173).

285. Dalla giurisprudenza esistente della Corte risulta che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza esige un collegamento adeguato al territorio dell’Unione, sia esso estrinsecato attraverso la presenza di una società controllata oppure attraverso l’attuazione di un comportamento anticoncorrenziale nell’ambito del suo territorio. Tuttavia, nelle cause più risalenti nel tempo, tale collegamento era più molto facile da individuare che nella fattispecie attualmente in esame.

286. Nella presente causa il Tribunale ha dichiarato che possono essere applicati due criteri alternativi per affermare la competenza: il criterio dell’attuazione e quello degli effetti «qualificati» delle pratiche nell’ambito del SEE (174). A suo giudizio, l’applicazione di tali criteri conduceva alla stessa conclusione: la Commissione aveva competenza sugli accordi Lenovo (175).

287. Nei seguenti paragrafi spiegherò innanzitutto la mia posizione sulla questione della competenza con riferimento all’applicazione, da parte dei pubblici poteri, delle regole di concorrenza dell’Unione (176). Illustrerò successivamente le ragioni per cui ritengo che il presente motivo di impugnazione sia fondato.

a)      Osservazioni generali: attuazione e/o effetti?

288. La prima osservazione che vorrei fare è semplice e ovvia. Per stabilire se la Commissione possa applicare le regole di concorrenza dell’Unione a un comportamento specifico, il punto di partenza deve essere il testo degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE. Lungi dal concedere carta bianca alla Commissione per applicare il diritto dell’Unione in materia di concorrenza a un comportamento ovunque esso sia posto in essere e senza tener conto del fatto che esso presenti o meno un evidente collegamento con il territorio dell’Unione, tali disposizioni riguardano comportamenti anticoncorrenziali, collettivi o unilaterali, nell’ambito del mercato interno: l’articolo 101 TFUE vieta accordi o pratiche «che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno»; e l’articolo 102 TFUE, dal canto suo, vieta «lo sfruttamento abusivo (…) sul mercato interno».

289. Una norma sulla competenza ad applicare le regole di concorrenza dell’Unione è quindi chiaramente inserita in tali disposizioni. Sebbene l’articolo 102 TFUE sia un po’ meno chiaro, l’articolo 101 TFUE è molto esplicito riguardo al fatto che esso si applica a qualsiasi comportamento che abbia effetti anticoncorrenziali nel mercato interno.

290. Inoltre, al pari della Commissione, non interpreto la sentenza «Pasta di legno» della Corte nel senso che implica che l’attuazione sia l’unico criterio valido in materia di competenza. Sono piuttosto del parere che, quando un comportamento anticoncorrenziale è attuato nell’Unione europea, l’applicabilità degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE sia indubitabile. In altri termini, è incontestabile il fatto che un comportamento attuato nell’ambito dell’Unione possa avere effetti nel mercato interno e, di conseguenza, non possa sfuggire a un controllo ai sensi delle regole di concorrenza dell’Unione. In tale contesto, un aspetto da non trascurare è che il criterio dell’attuazione è saldamente radicato nel principio della territorialità e, di conseguenza, se soddisfatto, costituisce un fattore decisivo per stabilire la competenza della Commissione ad applicare tali regole a un comportamento specifico (177).

291. Il fatto che solo una parte del comportamento rilevante abbia luogo nell’Unione è, al riguardo, irrilevante (178). Nella sentenza «Pasta di legno» la Corte ha esaminato una serie di pratiche di fissazione dei prezzi della pasta di legno – che la Commissione aveva considerato contrarie a quello che attualmente è l’articolo 101 TFUE – che erano state adottate al di fuori dell’(attuale) Unione europea da produttori esteri di pasta di legno. In tale contesto, la Corte ha spiegato il motivo per cui l’attuazione, piuttosto che la conclusione o formazione, di un accordo o di una pratica correlata era rilevante ai fini della determinazione della competenza. Se i divieti stabiliti nei Trattati fossero applicati solo nel caso in cui l’accordo, la decisione o la pratica concordata siano stati raggiunti o adottati all’interno del territorio dell’Unione, ciò fornirebbe alle imprese la possibilità di sottrarsi facilmente all’applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione. In tale causa, il criterio dell’attuazione era soddisfatto attraverso la vendita diretta dei prodotti oggetto dell’intesa: le imprese interessate avevano venduto polpa di legno direttamente ad acquirenti nell’Unione europea (179).

292. Diversamente dall’Intel, tuttavia, non ritengo che si possa considerare che solo le vendite dirette all’interno dell’Unione, da parte dell’impresa in questione, soddisfino il criterio dell’attuazione ai fini della giurisprudenza «Pasta di legno». Il significato comune del termine «attuazione» è effettuare o dare esecuzione. Pertanto, per soddisfare tale criterio, uno degli elementi costitutivi essenziali del comportamento anticoncorrenziale deve aver luogo nell’Unione europea. Se tale ipotesi ricorra dipende principalmente dalla natura, dalla forma e dalla portata del comportamento in questione. È necessaria una valutazione caso per caso del comportamento illegittimo per verificare se tale comportamento sia attuato all’interno dell’Unione europea. Non sono convinto, ad esempio, che le vendite indirette del prodotto rilevante non possano mai essere considerate come attuazione (180). A mio avviso, ciò dipende dalle circostanze del caso di specie. Tra gli elementi da considerare in tale contesto, vi, ad esempio, è se una delle imprese che ha assoggettato un prodotto a un’intesa e l’impresa che lo incorpora in un altro prodotto, venduto successivamente nell’Unione, siano parte di un’unica entità economica o, in caso contrario, se sussistano altri vincoli societari o strutturali tra le imprese in questione.

293. Per concludere su tale punto, un comportamento collettivo o unilaterale è attuato nel mercato interno – e quindi determina inequivocabilmente l’applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE – quando sussiste un elemento di comportamento intraterritoriale (181). In altri termini, quando una parte del comportamento illegittimo viene eseguita, applicata o messa in pratica nel mercato interno perché uno dei suoi elementi costitutivi essenziali ha luogo in tale mercato.

294. Tuttavia, se l’attuazione dovesse essere considerata l’unico criterio in materia di competenza che determina l’applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione, vari tipi di comportamento che possono avere effettivamente per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ricadrebbero al di fuori dell’ambito di applicazione di tali norme. Mi riferisco, a questo proposito, a comportamenti caratterizzati da un’omissione illegittima, come il rifiuto di concludere accordi o gli atti di boicottaggio. Come accennato supra ai paragrafi 288 e 289, siffatta interpretazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE sarebbe contraria alla formulazione letterale di tali disposizioni.

295. In realtà, diversi avvocati generali hanno già suggerito alla Corte di adottare un approccio basato sugli effetti per quanto riguarda la competenza nel settore del diritto della concorrenza (182). La Corte, finora, non ha né sostenuto né espressamente respinto tale approccio (183).

296. In tale contesto, ritengo che la Corte debba esaminare espressamente detta questione nella presente causa e, in linea con quanto è stato suggerito dagli avvocati generali menzionati nel paragrafo precedente, adottare un approccio basato sugli effetti per l’applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE.

297. La questione se siffatto approccio sia fondato su una nozione (ampia) di territorialità o, al contrario, comporti una certa applicazione extraterritoriale delle norme dell’Unione non è determinante (184). L’aspetto fondamentale è che, a certe condizioni, gli effetti costituiscono un criterio in materia di competenza, il quale, per quanto riguarda questo tipo di normativa, è generalmente ammesso in base alle norme del diritto internazionale pubblico (185), ed è stato accettato da vari ordinamenti giuridici in tutto il mondo (186). Diversi studiosi di diritto ritengono, infatti, che qualsiasi controversia relativa alla sua ammissibilità sia una questione che appartiene, ormai, al passato(187).

298. In tale contesto, è opportuno osservare che diverse altre disposizioni del diritto dell’Unione disciplinano i comportamenti posti in essere all’estero da soggetti che non sono né cittadini di uno Stato membro dell’Unione né fisicamente o giuridicamente presenti nell’Unione, a causa dell’effetto che tali comportamenti producono nel mercato interno. Così avviene, ad esempio, per varie disposizioni che disciplinano operazioni su strumenti finanziari o altri tipi di comportamento in ambito economico (188).

299. Ciò non significa, tuttavia, che qualsiasi effetto, a prescindere da quanto sia tenue o indiretto, possa determinare l’applicazione delle norme dell’Unione in materia di competenza. In un’economia globalizzata un comportamento che ha luogo in una qualsiasi parte del mondo, ad esempio in Cina, avrà quasi inevitabilmente un qualche effetto nell’Unione. Tuttavia, l’applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE non può basarsi su un collegamento o un effetto che sia troppo remoto o puramente ipotetico.

300. Considero particolarmente importante il fatto che la competenza venga affermata con moderazione in relazione a un comportamento che non abbia avuto luogo, in senso stretto, nel territorio dell’Unione europea. Infatti, per rispettare una certa forma di cortesia e, allo stesso tempo, per garantire che le imprese possano operare in un contesto giuridico prevedibile, è solo con grande prudenza che l’effetto del comportamento lamentato può essere utilizzato come criterio per affermare la competenza. Ciò è ancor più importante al giorno d’oggi. Esistono al mondo più di 100 autorità nazionali o sovranazionali che rivendicano la competenza in materia di pratiche anticoncorrenziali.

301. Come ha dichiarato il Tribunale nella sentenza Gencor, l’applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione a taluni comportamenti specifici potrebbe essere giustificata solo quando tali comportamenti hanno effetti prevedibili, immediati e sostanziali nel mercato interno (189). In questa sede è possibile tracciare un ovvio parallelismo con le norme in materia di concorrenza applicabili negli Stati Uniti d’America (in prosieguo: gli «Stati Uniti»): l’articolo 1 dello Sherman Act detta un divieto generale sulle restrizioni al commercio senza limitazioni geografiche. Per questo motivo, nel 1982, il Congresso degli Stati Uniti ha emanato il Foreign Trade Antitrust Improvement Act (in prosieguo: l’«FTAIA») (190), per chiarire (ed eventualmente limitare) l’applicazione extraterritoriale dello Sherman Act. In particolare, l’FTAIA stabilisce, in sostanza, che le norme degli Stati Uniti in materia di antitrust non si applicano a un comportamento posto in essere all’estero a meno che tale comportamento abbia un effetto diretto, sostanziale e ragionevolmente prevedibile negli Stati Uniti. Nella sentenza Empagran, la Suprema Corte degli Stati Uniti – nell’interpretare lo Sherman Act e l’FTAIA – ha dichiarato che non era ragionevole applicare norme degli Stati Uniti a comportamenti posti in essere all’estero qualora il conseguente danno lamentato, verificatosi all’estero, fosse indipendente da qualsiasi danno a livello nazionale (191).

302. Principi analoghi dovrebbero guidare la Corte nell’interpretazione e nell’applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE a comportamenti collettivi o unilaterali delle imprese che abbiano interamente luogo al di fuori dei confini dell’Unione. A mio avviso, detti comportamenti rientrano nell’ambito di applicazione di tali disposizioni solo nei limiti in cui sia individuabile un effetto anticoncorrenziale diretto (o immediato), sostanziale e prevedibile nel mercato interno. Tale criterio degli effetti «qualificati» (nozione che, per come la intendo, significa che gli effetti sono sufficientemente importanti da giustificare che sia rivendicata la competenza) non è soddisfatto quando, ad esempio, l’effetto nell’Unione è meramente ipotetico o, in ogni caso, di minor rilievo. Non è soddisfatto neppure qualora la distorsione della concorrenza nel mercato interno non possa essere imputata all’impresa in questione, in quanto tali effetti dannosi non erano dalla stessa prevedibili.

303. Il testo degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE non giustifica l’applicazione, da parte della Commissione, delle norme dell’Unione per quanto riguarda comportamenti che non abbiano effetti «qualificati» nel territorio dell’Unione europea. Sostenere il contrario risulterebbe problematico anche ai sensi delle norme del diritto internazionale pubblico. Una portata eccessivamente ampia delle regole di concorrenza dell’Unione rischierebbe di interferire con gli interessi sovrani di altri Stati e di essere difficile da applicare sotto il profilo giuridico e in concreto (192). Essa aumenterebbe altresì notevolmente le sovrapposizioni tra gli ordinamenti dei diversi Stati o autorità e creerebbe così grande incertezza per le imprese e maggiori rischi di conflitti di norme (o di sentenze) applicabili al medesimo comportamento. Infine, anche se non è l’aspetto meno importante, essa può sollevare questioni alla luce del principio di buona amministrazione: quale sarebbe l’interesse ad applicare le norme dell’Unione nei riguardi di comportamenti che non hanno alcun effetto significativo nell’Unione europea? Sarebbe questo un uso valido ed efficace delle risorse limitate dell’Unione?

304. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che il Tribunale non possa essere criticato, come invece sostenuto dall’Intel, per aver esaminato la competenza della Commissione ad applicare l’articolo 102 TFUE alla luce tanto del criterio dell’attuazione quanto del criterio degli effetti «qualificati». Certamente, sarebbe stato più logico esaminare, dapprima, se il comportamento dell’Intel fosse attuato nell’Unione e, in caso di risposta negativa, solo allora valutare se tale comportamento stesse tuttavia producendo effetti «qualificati» nel mercato interno.

305. Tuttavia, il fatto che l’Intel non abbia messo in discussione la competenza della Commissione durante il procedimento amministrativo – circostanza che il Tribunale sottolinea al punto 246 della sentenza impugnata – è irrilevante. Come è stato costantemente dichiarato dalla Corte, la portata del controllo di legittimità previsto all’articolo 263 TFUE si estende a tutti gli elementi delle decisioni della Commissione relative ai procedimenti a norma degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE, decisioni di cui il Tribunale assicura un controllo approfondito, in diritto e in fatto, alla luce dei motivi dedotti dai ricorrenti e in considerazione di tutti gli elementi presentati da questi ultimi, a prescindere dal fatto che essi siano anteriori o posteriori alla decisione adottata e che siano stati preventivamente presentati nell’ambito del procedimento amministrativo o, per la prima volta, nell’ambito del ricorso proposto dinanzi al Tribunale, laddove questi ultimi elementi siano pertinenti per il controllo della legittimità della decisione della Commissione (193).

306. Per concludere, il quadro giuridico applicato dal Tribunale non può essere contestato. Tuttavia, l’applicazione, nella sentenza impugnata, di tali criteri in materia di competenza ai presunti abusi derivanti dagli accordi Lenovo richiede la formulazione, da parte mia, delle seguenti osservazioni critiche.

b)      Valutazione dell’applicazione, da parte del Tribunale, dei criteri rilevanti in materia di competenza

307. Inizierò con l’esaminare le constatazioni del Tribunale per quanto riguarda l’attuazione, nell’ambito del SEE, delle restrizioni allo scoperto e degli sconti di esclusiva derivanti dagli accordi Lenovo.

i)      Attuazione

308. Nella sentenza impugnata (194) il Tribunale ha dichiarato che gli accordi Lenovo erano destinati ad essere attuati dalla Lenovo, in tutto il mondo, compreso il SEE. Alla luce di tali accordi, l’Intel non poteva sostenere di non avere alcuna influenza sull’uso, da parte della Lenovo, dei CPU dell’Intel. L’Intel era anche a conoscenza del fatto che la Lenovo era presente nel mercato interno e che vendeva computer portatili in tale mercato.

309. Ritengo che tale ragionamento sia viziato da un errore di diritto. Se la Commissione avesse concluso che l’Intel, insieme alla Lenovo, aveva violato l’articolo 101 TFUE, sarebbe stato corretto da parte del Tribunale esaminare se i loro accordi fossero destinati ad essere attuati da ciascuna delle parti nel SEE. Tuttavia, la decisione controversa ha ad oggetto il comportamento che la Commissione ha contestato ai sensi dell’articolo 102 TFUE: un comportamento unilaterale da parte dell’Intel. È pertanto tale comportamento unilaterale – il presunto abuso – che deve essere attuato nel SEE.

310. In nessun punto della sentenza impugnata, tuttavia si fa riferimento, a un comportamento iniziato o posto in essere dall’Intel nel territorio SEE per dare attuazione a quanto era stato concordato negli accordi Lenovo. Ciò non sorprende. Tali accordi, conclusi tra società statunitense e una società cinese, riguardavano vendite di CPU fabbricati e venduti al di fuori dell’Unione, per essere incorporati in computer fabbricati in Cina. Essi limitavano soltanto la possibilità per l’AMD – altra società con sede negli Stati Uniti – di vendere CPU nel mercato cinese.

311. Anziché concentrarsi su una possibile attuazione da parte dell’Intel, il Tribunale si è concentrato sul comportamento del cliente nel mercato a valle per dimostrare l’esistenza di un collegamento con il territorio SEE. Il semplice fatto che la Lenovo si sia astenuta, per un certo periodo di tempo, dal vendere un determinato modello di computer a livello mondiale, con il SEE eventualmente incluso, ha costituito per il Tribunale un caso di attuazione di pratiche abusive da parte dell’Intel.

312. Tale ragionamento non convince. Collegando l’attuazione al comportamento del cliente dell’impresa accusata di aver violato l’articolo 102 TFUE, quasi ogni comportamento – a prescindere da quanto lontanamente collegato al territorio dell’Unione – potrebbe essere interpretato come rientrante nella competenza della Commissione in base al criterio dell’attuazione. Gli altri elementi presi in considerazione dal Tribunale sono del pari non convincenti. In primo luogo, il semplice fatto che l’Intel avesse influenza sull’uso, da parte della Lenovo, di CPU Intel non mi sembra avere alcuna incidenza al riguardo. Se la Lenovo avesse avuto qualche vincolo societario o strutturale con l’Intel, la conclusione avrebbe potuto essere diversa. In secondo luogo, la circostanza che l’Intel fosse a conoscenza del fatto che la Lenovo era presente nel mercato interno e vendeva computer portatili in tale mercato è anch’essa, a mio avviso, scarsamente rilevante. Occorre sottolineare ancora una volta che il comportamento illegittimo non riguarda la vendita di computer portatili: esso riguarda l’esclusione dell’AMD dal mercato dei CPU. La semplice conoscenza della presenza di un cliente nel SEE non può essere considerata come un caso di attuazione delle pratiche abusive in un mercato a monte.

313. Alla luce degli elementi indicati nella sentenza impugnata, non sono quindi convinto che si possa ritenere che il presunto abuso dell’Intel sia stato attuato nel SEE ai sensi della sentenza «Pasta di legno». Nessun elemento nel comportamento in questione, a mio avviso, potrebbe essere qualificato come attuato, eseguito o messo in pratica nel mercato interno.

314. Ciò non esclude, tuttavia, che il comportamento dell’Intel possa aver avuto effetti anticoncorrenziali nel mercato interno, rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 102 TFUE. Pertanto, passerò ora ad esaminare le constatazioni del Tribunale relative agli effetti della pratica abusiva dell’Intel nel SEE.

ii)    Effetti «qualificati»

315. Nella sentenza impugnata (195) il Tribunale ha spiegato anzitutto che il criterio da applicare era quello di verificare se il comportamento dell’Intel potesse avere effetti immediati, sostanziali e prevedibili nel mercato interno. A suo giudizio, ciò non significa che l’effetto nel mercato debba essere attuale, ma solo che debba essere sufficientemente probabile che il comportamento in questione sia atto ad avere un’influenza apprezzabile e non trascurabile in tale mercato. Il Tribunale ha poi esaminato separatamente gli effetti dei due tipi di comportamento.

316. Per quanto riguarda le restrizioni allo scoperto, il Tribunale ha osservato che, relativamente al quarto trimestre del 2006, per i due modelli di computer portatile interessati dal ritardo del lancio erano previsti dati di vendita pari a 5 400 e a 4 250 unità nell’intera area EMOA (Europa, Medio Oriente e Africa). Il Tribunale ha aggiunto che il SEE costituisce una parte importante di tale area. Poiché l’Intel non ha fornito prove a sostegno della sua asserzione secondo la quale era possibile che tutti questi computer fossero destinati ad aree al di fuori del SEE, il Tribunale ha dichiarato che gli effetti nel SEE erano almeno potenziali. Esso ha poi proseguito riconoscendo che le cifre riguardanti l’area EMOA erano modeste, ma ha aggiunto che il comportamento dell’Intel faceva parte di un’infrazione unica e continuata (196). Il Tribunale ha inoltre considerato che il comportamento dell’Intel fosse destinato a produrre effetti immediati nel SEE (nel quale, per un certo periodo di tempo, non era disponibile un computer dotato di CPU dell’AMD) e diretti (il comportamento dell’Intel riguardava direttamente le vendite di computer da parte della Lenovo) (197).

317. Per quanto riguarda gli sconti di esclusiva, il Tribunale ha ritenuto gli effetti immediati in quanto, in nessuna parte del mondo, compreso il SEE, era disponibile alcun computer portatile Lenovo in cui fosse incorporato un CPU x86 prodotto da un concorrente dell’Intel. Detto giudice ha poi aggiunto che l’effetto anticoncorrenziale era prevedibile e anche voluto dall’Intel. Per quanto riguarda la natura sostanziale dell’effetto, il Tribunale ha affermato che gli sconti di esclusiva facevano parte di un’infrazione unica e continuata (198).

318. Il ragionamento del Tribunale non è solo succinto. Fatto ancor più importante, esso è viziato da un errore di diritto.

319. Per entrambi i tipi di comportamento, l’unico argomento del Tribunale riguardante la natura sostanziale dell’effetto nel mercato interno è che essi facevano parte di un’infrazione unica e continuata. Tuttavia, come spiegato supra ai paragrafi 179 e seguenti, la nozione di infrazione unica e continuata è una norma meramente procedurale diretta ad attenuare l’onere probatorio delle autorità garanti della concorrenza. Tale nozione non estende – né può estendere – l’ambito dei divieti ai sensi dei Trattati.

320. Tuttavia, ciò è precisamente quel che ha fatto il Tribunale nella sentenza impugnata. Anziché esaminare se gli sconti di esclusiva e le restrizioni allo scoperto fossero idonei, ciascuno di essi, a produrre un effetto anticoncorrenziale apprezzabile nel mercato interno, che avrebbe determinato l’applicazione dell’articolo 102 TFUE, il Tribunale si è limitato a riunirli, assieme a comportamenti verificatisi nell’Unione europea, in un’infrazione unica e continuata il cui effetto era, a suo avviso, significativo. Pertanto, due tipi distinti di comportamento posti in essere all’estero, che, in linea di principio, sarebbero potuti restare entrambi fuori dall’ambito di applicazione dell’articolo 102 TFUE ricadevano improvvisamente nell’ambito di tale disposizione per il fatto di essere stati esaminati assieme ad altri comportamenti quali parti di un piano d’insieme finalizzato a restringere la concorrenza.

321. Se il Tribunale avesse adeguatamente applicato il criterio degli effetti «qualificati» (nel valutare se ciascun tipo di comportamento rientrasse nella competenza della Commissione), il risultato della sua analisi avrebbe potuto essere ben diverso. Ad esempio, il Tribunale stesso ha dichiarato che il numero di computer sui quali hanno inciso le restrizioni allo scoperto era «modesto» e che non era chiaro se tutti o alcuni di essi fossero destinati ad essere venduti nel SEE. Per quanto riguarda quest’ultimo elemento, devo anche sottolineare un altro errore di diritto commesso dal Tribunale: incombe chiaramente alla Commissione provare che gli effetti nell’ambito del mercato interno di un comportamento contestato possono essere apprezzabili. Secondo una giurisprudenza costante, spetta, infatti, alla Commissione provare che sono soddisfatte tutte le condizioni necessarie per l’applicazione degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE a un caso di specie (199). Pertanto, era errato richiedere all’Intel di confutare una presunzione utilizzata dalla Commissione riguardo alla possibile vendita nel SEE di computer destinati a una regione assai più ampia.

322. A dire il vero, gli accordi Lenovo hanno avuto un effetto immediato e diretto, se con tali termini si intende che tali accordi hanno influito sul comportamento della Lenovo per quanto riguarda l’acquisto di CPU e la successiva vendita di computer portatili dotati di un CPU x86. Tuttavia, la questione fondamentale che si pone in questa sede è se gli effetti anticoncorrenziali derivanti da tali accordi fossero immediati e diretti nel SEE. In altri termini, il Tribunale avrebbe dovuto chiedersi: tali accordi erano idonei a ridurre immediatamente o direttamente la capacità dei concorrenti dell’Intel di concorrere sui CPU x86 nel mercato interno? Il Tribunale non ha esaminato affatto tale aspetto. Esso ha semplicemente dichiarato che tali accordi avevano un impatto sulle scelte commerciali della Lenovo. Quest’ultimo è un requisito che probabilmente è inteso avere qualsiasi accordo commerciale.

323. Lo stesso ragionamento errato è stato applicato dal Tribunale riguardo alla prevedibilità degli effetti prodotti dagli accordi Lenovo. Ancora una volta, il Tribunale ha concentrato la propria attenzione sull’effetto che tali accordi hanno avuto (o erano destinati ad avere) sulle scelte commerciali della Lenovo. La sentenza impugnata non esamina la prevedibilità dell’effetto anticoncorrenziale che tali accordi hanno (asseritamente) prodotto nel mercato interno.

324. In base agli elementi cui fa riferimento la sentenza impugnata, lungi dall’essere immediato, sostanziale e prevedibile, qualsiasi effetto anticoncorrenziale derivante dagli accordi Lenovo risulta alquanto ipotetico, speculativo e infondato. Ciò non significa, tuttavia, che gli accordi Lenovo non abbiano avuto, o non potessero avere tale effetto «qualificato» nel mercato interno.

325. Da un lato, possono sorgere legittimi dubbi riguardo alla questione se, ad esempio, il comportamento che ha inciso sulla vendita nel SEE di alcune migliaia di computer, che rappresentano una percentuale estremamente limitata del mercato mondiale dei CPU, in un arco temporale particolarmente breve, potesse essere ritenuto produttivo di un qualche effetto immediato, sostanziale e prevedibile nel SEE. D’altro lato, non si può escludere che gli accordi Lenovo possano aver avuto un impatto significativo sulla capacità ininterrotta dell’AMD di sviluppare, fabbricare e commercializzare CPU in tutto il mondo, compreso il SEE. Dal punto di vista dell’Intel, l’esclusione dell’unico possibile concorrente nel mercato dei CPU può essere ottenuta indipendentemente dal fatto di scegliere di rivolgersi a clienti che operano nel SEE o altrove. L’effetto auspicato rimane lo stesso.

326. Purtroppo, il Tribunale non ha svolto un’analisi di tal genere. La questione fondamentale se gli accordi Lenovo fossero atti a produrre un qualsiasi effetto anticoncorrenziale immediato, sostanziale e prevedibile nel SEE rimane quindi senza risposta. E ciò nonostante la fondamentale importanza di tale aspetto ai fini della pronuncia sull’applicazione dell’articolo 102 TFUE al presunto abuso derivante da tali accordi.

327. Alla luce di quanto esposto supra, concludo che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nell’applicare tanto il criterio dell’attuazione quanto il criterio degli effetti «qualificati» per respingere gli argomenti dell’Intel (e dell’ACT) relativi all’incompetenza della Commissione ad applicare l’articolo 102 TFUE alle pratiche abusive derivanti dagli accordi Lenovo. Pertanto, il quinto motivo di impugnazione dovrebbe essere accolto.

G –    Sul sesto motivo di impugnazione, vertente sull’importo dell’ammenda

1.      I principali argomenti delle parti

328. Il sesto motivo di impugnazione riguarda l’importo dell’ammenda inflitta in primo grado. Esso è diviso in due parti. In primo luogo, l’Intel sostiene che l’ammenda è sproporzionata, a prescindere da una sua qualche ulteriore riduzione in conseguenza degli errori di diritto commessi dal Tribunale. In secondo luogo, l’Intel sostiene che il Tribunale è incorso in un errore nell’applicare gli Orientamenti del 2006 a un comportamento ad essi precedente. L’applicazione retroattiva degli Orientamenti del 2006 per giustificare un’ammenda più di 50 volte superiore a quella prevista dalle norme in vigore nel momento in cui è stata posta in essere gran parte del comportamento è, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, in contrasto con i principi fondamentali del diritto dell’Unione. In particolare, la ricorrente mette in discussione la conformità di tale approccio con l’articolo 7 CEDU e l’articolo 49 della Carta.

329. La Commissione ritiene che il rigetto del presente motivo di impugnazione debba essere respinto in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente inoperante o, in subordine, infondato.

2.      Analisi

330. La ricorrente deduce il presente motivo di impugnazione come motivo autonomo di annullamento della sentenza impugnata. Essa asserisce che, nel calcolare l’ammenda, il Tribunale ha violato il principio di proporzionalità e ha applicato erroneamente (retroattivamente) gli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende.

331. La prima parte del sesto motivo di impugnazione riguarda il carattere (s)proporzionato dell’ammenda inflitta alla ricorrente nella decisione controversa e successivamente confermata dal Tribunale. In sostanza, con essa si chiede: quali sono i parametri adeguati per valutare la proporzionalità di un’ammenda inflitta dalla Commissione nell’ambito delle sue indagini?

332. Questo non è affatto un quesito privo di interesse. In linea di principio, esso riguarda il nucleo essenziale dei poteri attribuiti alla Commissione di svolgere indagini e di sanzionare le violazioni delle regole di concorrenza dell’Unione Inoltre, esso ha implicazioni riguardo al modo in cui i giudici dell’Unione esercitano la loro competenza estesa al merito nel calcolare le ammende.

333. Una risposta dettagliata a tale quesito richiederebbe la valutazione di un’ampia serie di questioni delicate. Mi riferisco, in particolare, all’interazione tra l’effetto dissuasivo e il livello delle ammende, al punto di riferimento rilevante per misurare la proporzionalità (ossia, proporzionalità in relazione a che cosa?) e ai limiti che l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta può fissare quanto al livello delle ammende inflitte a imprese che abbiano violato le regole di concorrenza dell’Unione.

334. Purtroppo, tuttavia, la presente impugnazione non si presta a una discussione di tal genere. A parte osservazioni isolate, relative alla natura sproporzionata dell’ammenda, in particolare rispetto ad ammende inflitte in precedenza in cause aventi oggetto sconti ai sensi dell’articolo 102 TFUE, la ricorrente non spiega in che modo la valutazione del Tribunale violi il principio di proporzionalità (200). L’Intel chiede semplicemente alla Corte di determinare essa stessa quale ammenda sia eventualmente proporzionata nelle circostanze del caso di specie.

335. A tal proposito, come è ben noto, non spetta alla Corte sostituire, per ragioni di equità, il proprio giudizio a quello del Tribunale in relazione all’importo dell’ammenda. Eccezionalmente, la Corte, quando considera il livello dell’ammenda non semplicemente inadeguato, ma anche eccessivo a tal punto da essere sproporzionato, può constatare che il Tribunale è incorso in un errore di diritto a causa dell’inadeguatezza dell’importo dell’ammenda (201). Il fatto che l’ammenda inflitta nella decisione controversa (EUR 1,06 miliardi) fosse, all’epoca, l’ammenda più elevata mai irrogata non la rende di per sé inadeguata, o addirittura sproporzionata, come sembra suggerire la ricorrente.

336. In effetti, gli argomenti relativi alla proporzionalità, mettono in realtà in discussione talune constatazioni di fatto e, in particolare, la valutazione delle prove in primo grado (202). Diversamente da quanto avviene nel contesto degli altri motivi di impugnazione dedotti nella causa in esame, l’errore di diritto asseritamente commesso dal Tribunale non è immediatamente ricavabile dagli argomenti della ricorrente. Come è già stato sottolineato, non spetta alla Corte valutare nuovamente, in sede di impugnazione, i fatti o le prove. Nella causa in esame non è stata presentata alcuna richiesta circostanziata riguardo a un errore manifesto nella valutazione dei fatti. Neppure dagli atti di causa emerge in modo manifesto uno snaturamento delle prove del tipo asserito dall’Intel. Per poter essere riesaminato in sede di impugnazione dalla Corte, l’asserito snaturamento deve, infatti, poter essere individuato senza una nuova valutazione dei fatti (203).

337. Per questo motivo, concordo con la Commissione sul fatto che gli argomenti dedotti dalla ricorrente in relazione alla proporzionalità dell’ammenda debbano essere dichiarati irricevibili.

338. La seconda parte del sesto motivo di impugnazione riguarda l’applicazione retroattiva degli Orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 della Commissione a un comportamento che è in parte ad essi precedente. Con essa si chiede: entro quali limiti la Commissione è vincolata dai suoi Orientamenti per il calcolo delle ammende?

339. La giurisprudenza della Corte è chiara su tale punto e non è di sostegno per la ricorrente.

340. Secondo una costante giurisprudenza, alla Commissione non è vietato adeguare il livello delle ammende (verso l’alto) entro i limiti indicati nel regolamento n. 1/2003, qualora ciò sia necessario per garantire l’attuazione della politica dell’Unione in materia di concorrenza. Ciò in quanto la corretta applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione presuppone che la Commissione possa adeguare in qualsiasi momento il livello delle ammende alle esigenze di detta politica (204). In tale contesto, il principio di irretroattività può avere un impatto sul potere discrezionale della Commissione di fissare l’ammenda solo qualora la modifica in questione non fosse ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni interessate sono state commesse (205).

341. Fatto ancor più essenziale, la Corte ha dichiarato che le imprese coinvolte in un procedimento amministrativo che possa dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che sarà utilizzato un particolare metodo di calcolo delle ammende. Le imprese in questione devono, invece, tenere conto della possibilità che, in qualsiasi momento, la Commissione può aumentare il livello delle ammende rispetto a quello praticato in passato. Tale ipotesi ricorre non solo allorché la Commissione procede ad un aumento del livello dell’ammontare nell’infliggere ammende nelle sue decisioni individuali, ma anche nel caso in cui tale maggiorazione venga effettuata mediante l’applicazione, a casi concreti, di norme di comportamento di portata generale, quali gli Orientamenti del 2006 (206).

342. Tali affermazioni mi inducono a ritenere che, fintanto che l’ammenda inflitta rimane entro i limiti stabiliti all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la ricorrente non può utilmente invocare il principio di irretroattività per contestare l’ammenda inflitta in base agli Orientamenti del 2006. E ciò anche per il fatto, non trascurabile, che tali Orientamenti erano già in vigore prima della cessazione del comportamento addebitato. È, infatti, il regolamento n. 1/2003 che definisce, quale normativa applicabile, i limiti del potere discrezionale della Commissione nell’infliggere un’ammenda per la violazione delle regole di concorrenza dell’Unione e non già gli Orientamenti, che espongono in modo più dettagliato il modo in cui la Commissione intende avvalersi del suo potere discrezionale.

343. Alla luce delle suesposte considerazioni, la seconda parte del sesto motivo di impugnazione dovrebbe essere respinta in quanto infondata. Pertanto, il sesto motivo di impugnazione dovrebbe essere respinto.

VI – Conseguenze della valutazione

344. Ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 1, dello Statuto della Corte di giustizia, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la sentenza del Tribunale. Essa può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. Essa può anche rinviare la causa al Tribunale.

345. Ho concluso che i motivi di impugnazione primo, secondo, terzo, quarto e quinto dovrebbero essere accolti. Pertanto, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata.

346. Alla luce della natura degli errori commessi dal Tribunale riguardo ai motivi di impugnazione primo, secondo, terzo e quinto, lo stato del presente procedimento non consente, a mio avviso, di statuire definitivamente. Ciò in quanto una decisione nel merito (se gli sconti e i pagamenti offerti dall’Intel costituiscano o meno un abuso di posizione dominante contrario all’articolo 102 TFUE, nonché se gli accordi Lenovo abbiano avuto effetti anticoncorrenziali immediati, sostanziali e prevedibili nell’ambito del SEE) dipende dall’esame di tutte le circostanze del caso di specie e, eventualmente, degli effetti reali o potenziali del comportamento dell’Intel sulla concorrenza nell’ambito del mercato interno. Ciò comporta, a sua volta, una valutazione dei fatti che il Tribunale è maggiormente in grado di effettuare.

347. D’altro canto, per quanto riguarda il quarto motivo di impugnazione, riguardante la violazione dei diritti della difesa della ricorrente, a prima vista sembrerebbe che la Corte sia sufficientemente edotta per pronunciarsi sull’annullamento della decisione controversa. Tuttavia, i fatti a sua disposizione e gli scambi di punti di vista dinanzi alla Corte mi inducono a proporre il rinvio, anche su tale punto, al Tribunale. Più specificamente, alle parti dovrebbe essere offerta un’adeguata opportunità per esprimere il loro punto di vista sulle conseguenze che devono essere tratte dall’irregolarità procedurale in questione e, più in particolare, sulla questione se la decisione controversa debba essere integralmente annullata (come avvenuto nella sentenza Solvay (207)) o solo per quanto riguarda il comportamento dell’Intel nei confronti della Dell.

348. Pertanto, propongo alla Corte di rinviare la causa al Tribunale per un nuovo esame.

VII – Conclusione

349. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare e statuire quanto segue:

1)      la sentenza del Tribunale dell’Unione europea, del 12 giugno 2014, nella causa Intel/Commissione (T‑286/09) è annullata;

2)      la causa è rinviata al Tribunale;

3)      le spese sono riservate.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      EU:T:2014:547 (in prosieguo: la «sentenza impugnata»).


3      Per una sintesi di tale decisione, v. GU 2009, C 227, pag. 13.


4      V. sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36 (in prosieguo: la «sentenza Hoffmann‑La Roche»).


5      Regolamento del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1).


6      Regolamento della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18).


7      Regolamento del Consiglio del 6 febbraio 1962: Primo regolamento d’applicazione degli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 1962, 13, pag. 204).


8      Dati riservati omessi. In prosieguo, al fine di garantire l’anonimato, il nome della persona di cui trattasi sarà sostituito, come nel primo caso, con la prima lettera del nome dell’impresa per la quale essa lavora, seguita da un numero.


9      Il test stabilisce a quale prezzo un concorrente efficiente al pari dell’Intel avrebbe dovuto offrire CPU per compensare un costruttore OEM della perdita di uno sconto dell’Intel.


10      GU 2006, C 210, pag. 2.


11      V. sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera, C‑52/09, EU:C:2011:83 (in prosieguo: la «sentenza TeliaSonera»), punto 22 e giurisprudenza ivi citata. Come esposto dalla Corte, le regole di concorrenza dell’Unione hanno la funzione di evitare che la concorrenza sia alterata a danno dell’interesse pubblico, delle singole imprese e dei consumatori, contribuendo in tal modo a garantire il benessere economico all’interno dell’Unione.


12      Come ha osservato la Corte, l’articolo 102 TFUE non è diretto a garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti dell’impresa che detiene una posizione dominante. V. sentenza del 27 marzo, Post Danmark, C‑209/10, EU:C:2012:172 (in prosieguo: la «sentenza Post Danmark I»), punti 21 e 22.


13      Sentenza Post Danmark I, punti 21 e 22.


14      V., per i benefici derivanti dall’uso di tale scorciatoia, le mie conclusioni presentate nella causa CB/Commissione, C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 35.


15      Sentenza impugnata, punti 76 e 77. V. anche sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 89.


16      Sentenza impugnata, punti 75 e 78.


17      Sentenza impugnata, punti 78 e 82.


18      Sentenza impugnata, punti 76 e 77.


19      Sentenza impugnata, punto 76.


20      Sentenza impugnata, punto 99.


21      Sentenza impugnata, punti da 172 a 197.


22      V. infra, in modo più dettagliato, paragrafi 110 e segg.


23      Sentenza impugnata, punti da 74 a 78.


24      Sentenza impugnata, punto 79.


25      Sentenza impugnata, punto 171.


26      Sentenza Hoffmann‑La Roche, punti 89 e 90.


27      Sentenza impugnata, punto 81.


28      V. sentenza del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden‑Industrie‑Michelin/Commissione, 322/81, EU:C:1983:313, punto 57 (in prosieguo: la «sentenza Michelin I»); v. anche sentenze del 2 aprile 2009, France Télécom/Commissione, C‑202/07 P, EU:C:2009:214, punto 105, e del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione, C‑280/08 P, EU:C:2010:603 (in prosieguo: la «sentenza Deutsche Telekom»), punto 176, nonché sentenza TeliaSonera, punto 24.


29      Michelin I, punti da 66 a 71 riguardo a sconti basati sugli obiettivi di vendita.


30      V. sentenza del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione, C‑95/04 P, EU:C:2007:166 (in prosieguo: la «sentenza British Airways»), punto 52 riguardante gli incentivi concessi in base alla totalità delle vendite.


31      V. sentenza del 19 aprile 2012, Tomra Systems e a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221 (in prosieguo: la «sentenza Tomra»), punto 75, riguardante gli sconti rilevanti in sede di impugnazione.


32      Hoffmann‑La Roche, punti da 92 a 100.


33      V. sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 90. V. anche sentenza del 30 settembre 2003, Michelin/Commissione, T‑203/01, EU:T:2003:250 (in prosieguo: la «sentenza Michelin II»), punto 58. Nel secondo caso, il Tribunale ha sfumato la presunzione di legittimità dichiarando che essa non ricorre quando gli sconti quantitativi hanno un effetto fidelizzante.


34      Secondo una possibile definizione, gli sconti di fedeltà sono subordinati alla condizione che un cliente si rifornisca per un’ampia o crescente quota di acquisti presso l’impresa che pratica gli sconti. Tali sconti si applicano quando un cliente supera uno specifico obiettivo di vendita in un periodo determinato. L’obiettivo può essere collegato all’aumento degli acquisti, o all’acquisto effettuato unicamente (o per una certa percentuale) presso il fornitore, o all’acquisto oltre una determinata soglia stabilita in base al fabbisogno del cliente. In altri termini, lo sconto di fedeltà è uno sconto concesso dal fornitore al cliente quale ricompensa per essere rimasto fedele a tale fornitore. V. OECD Policy roundtables, Fidelity and Bundled Rebates and Discounts, DAF/COMP(2008)29, 2008, pag. 97. Disponibile al seguente indirizzo: www.oecd.org/competition/abuse/41772877.pdf


35      Sentenza impugnata, punti 80 e 81.


36      V., ad esempio, punto 97 della sentenza Hoffmann-La Roche.


37      Sentenza Hoffmann-La Roche, punto 90.


38      V. sentenza Hoffmann-La Roche, punto 89.


39      V. sentenza Hoffmann-La Roche, punto 89.


40      V. sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 92 e segg.


41      Sentenza impugnata, in particolare punti 82 e 83.


42      V. sentenza Michelin I, punto 73.


43      V., in particolare, sentenze British Airways, punto 67, e Tomra, punto 71.


44      V., per altri due casi isolati, sentenze del 3 luglio 1991, AKZO/Commissione, C‑62/86, EU:C:1991:286, punto 149, e del 27 aprile 1994, Almelo, C‑393/92, EU:C:1994:171, punto 44. È, tuttavia, importante osservare che l’esame, da parte della Corte, dell’obbligo di fornitura esclusiva nella sentenza AKZO/Commissione dovrebbe essere collocato nel suo contesto, che consisteva in una molteplicità di pratiche abusive poste in essere dalla AKZO. Analogamente, la dichiarazione categorica della Corte nella sentenza Comune di Almelo e a. era una risposta ad una domanda di pronuncia pregiudiziale con le ovvie limitazioni da ciò derivanti quanto ai fatti di causa.


45      V. infra, in modo più dettagliato, punti 109 e segg. sul livello di probabilità necessario per concludere che un determinato tipo di comportamento costituisce una pratica abusiva.


46      Sentenza impugnata, punto 81.


47      Sentenza Hoffman-La Roche, punto 82.


48      Sentenza Hoffman-La Roche, punto 90.


49      Sentenza impugnata, punti da 82 a 84.


50      V. sentenze Michelin I, punto 73, British Airways, punto 67, e Tomra, punto 71. V. anche sentenza del 9 settembre 2010, Tomra Systems e a./Commissione, T‑155/06, EU:T:2010:370, punto 215.


51      Sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark, C‑23/14, EU:C:2015:651 (in prosieguo: la «sentenzaPost Danmark II»), punto 68.


52      V. infra, paragrafi 168 e segg.


53      V., a tal fine, sentenza Post Danmark I, punto 44.


54      V. sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 90. V. anche sentenza Michelin II, punto 58.


55      Sentenza impugnata, punti 92 e 93. Tale sottotipo di sconti di fedeltà è stato descritto come «opzioni di esclusiva» che funzionano tramite la leva finanziaria. Petit, N., «Intel, Leveraging Rebates and the Goals of Article 102 TFEU», European Competition Journal, vol. 11, issue 1, 2015, pagg. da 26 a 28.


56      V. sentenza impugnata, punto 94.


57      V. sentenza impugnata, punto 89.


58      V. Hoffman‑La Roche, punto 89.


59      V. affermazione contenuta al punto 81 della sentenza impugnata.


60      Sentenza impugnata, punto 89.


61      Sentenza impugnata, punto 81.


62      V. sentenze British Airways, punti 85 e 86 e giurisprudenza ivi citata, e Post Danmark I, punti 40 e 41 e giurisprudenza ivi citata. V. anche sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 90. In tali sentenze la Corte ha osservato che un’impresa potrebbe anche giustificare l’uso di sconti qualora, in casi eccezionali, un accordo tra imprese rientri nell’eccezione di cui all’articolo 101, paragrafo 3, TFUE.


63      Sentenza impugnata, punti da 89 a 94.


64      OECD Policy roundtables, Fidelity and Bundled Rebates and Discounts, op. cit., pagg. 9 e 21. V. anche Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo [102 TFUE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti (GU 2009, C 45, pag. 7), punto 37, riguardante gli sconti condizionati. La Commissione osserva che tali sconti possono essere utilizzati per attirare maggiori richieste e, in quanto tali, essi possono stimolare la domanda e andare a vantaggio dei consumatori V. anche Neven, D., «A structured assessment of rebates contingent on exclusivity», Competition Law & Policy Debate, vol. 1, issue 1, 2015, pag. 86.


65      OECD Policy roundtables, Fidelity and Bundled Rebates and Discounts, op. cit., pag. 9.


66      Sentenza Hoffmann La Roche, punto 89.


67      Sentenza Tomra, punto 70.


68      V. sentenza Michelin I, punto 72.


69      V. sentenza British Airways, punto 75.


70      V., ad esempio, Neven, D., op.cit., pag. 39. La preclusione del mercato dipende, in particolare, da vendite non contestabili, dal potere degli incentivi forniti dalla condizione dell’esclusiva sulle vendite non contestabili, dal grado di concorrenza tra gli acquirenti, dalla rilevanza delle economie di scala e dalla questione se gli sconti abbiano come obiettivo acquirenti che sono in concorrenza con imprese che acquistano dai concorrenti.


71      Sentenza impugnata, punto 97.


72      V. sentenza Tomra, punti 70 e 71, con riferimento alla sentenza Michelin I, punti 71 e 73.


73      V. sentenza Hoffmann‑La Roche, punto 97.


74      Sentenza Post Danmark II, punto 68.


75      V. sentenze Deutsche Telekom, punto 175, TeliaSonera, punto 76 e Post Danmark I, punto 26.


76      Sentenza impugnata, punto 99.


77      Sentenza impugnata, punto 93.


78      DG Competition discussion paper on the application of Article [102 TFUE] to exclusionary abuses, 2005, pag. 23., disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/competition/antitrust/art82/discpaper2005.pdf V. anche OECD Policy roundtables, Fidelity and Bundled Rebates and Discounts, op. cit., pag. 26. Anche questo documento definisce gli sconti come una forma di pratica di fissazione dei prezzi.


79      Post Danmark II, punto 55 sul test AEC e giurisprudenza ivi citata.


80      Post Danmark II, punti da 27 a 29.


81      V. sentenza Post Danmark II, punti da 23 a 25.


82      Sentenza Post Danmark I, punto 26.


83      Sentenza Post Danmark I, punto 68.


84      Sentenza impugnata, punto 177. Infatti, in caso contrario, le autorità garanti della concorrenza potrebbero intervenire solo dopo che dal sospetto abuso sia derivata una preclusione anticoncorrenziale.


85      V., sentenza Post Danmark II, punti 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata. V., d’altro canto, sentenza Tomra, punto 68. In tale causa, la Corte ha osservato che per accertare un abuso di posizione dominante è sufficiente dimostrare che il comportamento abusivo dell’impresa in posizione dominante mira a restringere la concorrenza o che è tale da avere o da poter avere un simile effetto.


86      V., recentemente, sentenza Post Danmark II, punto 69, e Post Danmark I, punto 44.


87      V., tuttavia, conclusioni dell’avvocato generale Kokott, presentate nella causa Post Danmark, C‑23/14, EU:C:2015:343, paragrafo 82.


88      V. sentenza Michelin I, punto 73. V. anche sentenza Post Danmark II, punto 29 e giurisprudenza ivi citata.


89      Sentenza impugnata, punti da 178 a 184.


90      Sentenza impugnata, punto 180.


91      Sentenza impugnata, punto 181.


92      V. sentenza del 23 ottobre 2003, Van den Bergh Foods/Commissione, T‑65/98, EU:T:2003:281 (in prosieguo: la «sentenza Van den Bergh Foods»).


93      Sentenza Tomra, punto 34.


94      Inoltre, il Tribunale osserva, con riferimento alla quota di mercato della Dell, che gli sconti offerti alla Dell avevano precluso tra il 14,58 e il 16,34% del mercato, percentuale considerata ugualmente significativa: v. sentenza impugnata, punti 190 e 191.


95      Sentenza impugnata, punto 194.


96      Sentenza impugnata, punti 121 e 122.


97      Van den Bergh Foods, punto 98.


98      Commission Discussion Paper on Article [102 TFUE], op. cit., pagg. 18, 19 e 41.


99      Tomra, punto 46.


100      Il Tribunale ha osservato che la Commissione era legittimata a concludere che, in ragione dell’attenzione nei confronti delle imprese che, da un punto di vista strategico, erano particolarmente significative per l’accesso al mercato, gli sconti e i pagamenti erano rivolti a costruttori OEM importanti e a un grosso rivenditore. Sentenza impugnata, punti 182 e 183. V. anche punti da 1507 a 1511 relativamente all’MSH.


101      Sentenza impugnata, punto 178.


102      Sentenza impugnata, punti da 112 a 113 e 195.


103      Sentenza impugnata, punto 195.


104      Sentenza impugnata, punto 186.


105      Sentenza impugnata, punti 93 e 150.


106      Sentenza impugnata, punti 143, 144 e 152.


107      V. Post Danmark II, punti da 55 a 58.


108      V. Post Danmark II, punto 57 e giurisprudenza ivi citata.


109      V. Tomra, punti da 73 a 80.


110      Sentenza impugnata, punti 192 e 193.


111      Sentenza impugnata, punti 193, 1561 e 1562.


112      V., in proposito, sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 41 e giurisprudenza ivi citata.


113      V. sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 72 e giurisprudenza ivi citata. V. anche sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6 (in prosieguo: la «sentenza Aalborg»), punto 260.


114      V., ad esempio, sentenza Aalborg, punto 260.


115      Per l’uso di tale nozione nel contesto della competenza, v. infra, paragrafo 319 e segg.


116       Sentenza impugnata, punto 193.


117      Sentenza impugnata, punti 134 e 137.


118      V. Hoffmann‑La Roche, punto 89, e Tomra, punto 70.


119      V. sentenza impugnata, in particolare punti 126 e 129, relativi all’HP, e punto 137, relativo alla Lenovo.


120      Sentenza impugnata, in particolare punti 132 e 133.


121      V. Tomra, punto 42.


122      Decisione controversa, punto 831. V. anche sentenza impugnata, punto133.


123      Sentenza impugnata, punto 133.


124      V., su tale punto, sentenza impugnata, punto 611.


125      Sentenza impugnata, punto 612.


126      Sentenza impugnata, punti 614 e 615.


127      Sentenza impugnata, punti 601 e 606.


128      Sentenza impugnata, punto 617.


129      Sentenza impugnata, punto 621. V. anche punto 636 riguardo agli argomenti esaminati durante la riunione.


130      V. anche sentenza impugnata, punto 617.


131      Sentenza impugnata, punto 621.


132      Sentenza impugnata, punto 622.


133      Sentenza impugnata, punti 635 e 636.


134      Sentenza impugnata, punto 664.


135      V., ad esempio, sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408 (in prosieguo: la «sentenza Dansk Rørindustri»), punto 148 e giurisprudenza ivi citata.


136      V. sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:686 (in prosieguo: la «sentenza Solvay»).


137      Solvay, punti da 57 a 62.


138      Sentenza impugnata, punto 630.


139      V., in particolare, Aalborg, punto 133.


140      Sentenza impugnata, punto 629.


141      Sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P, e C‑254/99 P, EU:C:2002:582 (in prosieguo: la «sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij»), punto 318 e giurisprudenza ivi citata. V. anche sentenza Aalborg, punto 75.


142      V. sentenza del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, EU:C:2003:527, punto 31 e giurisprudenza ivi citata.


143      V. sentenza Aalborg, punto 133. V. anche sentenza del 1o luglio 2010, Knauf Gips/Commissione, C‑407/08 P, EU:C:2010:389 (in prosieguo: la «sentenza Knauf Gips»), punti 23 e 24 e giurisprudenza ivi citata.


144      V. Solvay, punti 62 e 64.


145      V. sentenza impugnata, ad esempio, punti 631, 644, 658 e 660.


146      V. sentenza impugnata, in particolare punti 646 e 658.


147      V. sentenza impugnata, punti da 632 a 660.


148      V. sentenza Solvay, punto 59.


149      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott, presentate nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 191.


150      Sentenza impugnata, punti 632 e segg.


151      Per una critica, v. le mie conclusioni, presentate nella causa SKWStahl-Metallurgie e SKW Stahl‑Metallurgie Holding/Commissione, C‑154/14 P, EU:C:2015:543, paragrafi 76 e 77.


152      Limburgse Vinyl Maatschappij, punti 318 e 324, Aalborg, punti 74, 75 e 131; e Knauf Gips, punti 23 e 24.


153      Conclusioni dell’avvocato generale Kokott, presentate nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, EU:C:2011:256, paragrafo 193.


154      V., a tal proposito, sentenza impugnata, punti da 572 a 575.


155      V., in particolare, punti da 651 a 653 della sentenza impugnata.


156      Per una discussione sulle prove documentali dirette in casi di cartelli, v. Guerrin, M. e Kyriazis, G., «Cartels: Proof and Procedural» Fordham International Law Journal, Volume 16, Issue 2, 1992, pagg. da 266 a 341, in particolare da 299 a 301.


157      V., ad esempio, sentenze del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione, 48/69, EU:C:1972:70, punti da 65 a 68 (in prosieguo: la «sentenza ICI»), e del 16 dicembre 1975, Suiker Unie e a./Commissione, da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, EU:C:1975:174, punti 164 e 165, riguardo all’uso, come prove, di corrispondenza fra terzi.


158      V., ad esempio, Aalborg, punto 158, relativa alla sentenza impugnata in tale causa. V. anche sentenza del 19 marzo 2003, CMA CGM e a./Commissione, T‑213/00, EU:T:2003:76, punti 136 e segg.


159      V. Aalborg, punto 133, in cui la regola è stata chiaramente espressa dalla Corte.


160      Per dimostrare la condizionalità degli sconti in questione nella decisione controversa, la Commissione si è basata su taluni documenti interni dell’Intel, in particolare presentazioni e messaggi di posta elettronica (decisione controversa, punti da 238 a 242), su una risposta della Dell ai sensi dell’articolo 18 (decisione controversa, punti 233 e 234) e su taluni documenti interni della Dell, in particolare, presentazioni interne e messaggi di posta elettronica (decisione controversa, in particolare punti da 222 a 227, 229 e 231). V. anche sentenza impugnata, punti da 444 a 515.


161      Per quanto riguarda la Dell, v. sentenza impugnata, punto 440.


162      Decisione controversa, punto 950, e sentenza impugnata, punti da 504 a 514.


163      Decisione controversa, in particolare punti 221 e 323.


164      Sentenza del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, EU:C:2003:527, punto 31 e giurisprudenza ivi citata.


165      Decisione controversa, punto 560.


166      Decisione controversa, punto 561.


167      V. sentenza del 27 settembre 1988, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, EU:C:1988:447 (in prosieguo: la «sentenza “Pasta di legno”»).


168      V., in particolare, sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation, C‑286/90, EU:C:1992:453 (in prosieguo: la «sentenza Poulsen»), punto 9.


169      V., a tal fine, sentenza del 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, C‑308/04 P, EU:C:2006:433, punto 34.


170      V., a tal fine, sentenza del 14 luglio 1972, Geigy/Commissione, 52/69, EU:C:1972:73, punto 11.


171      Mi riferisco, ad esempio, al Regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio, del 22 novembre 1996, relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (GU 1996, L 309, pag. 1, in particolare considerando terzo e quarto).


172      V., in particolare, sentenze Poulsen, punto 28; del 29 giugno 1994, Aldewereld, C‑60/93, EU:C:1994:271, punto 14, del 9 novembre 2000, Ingmar, C‑381/98, EU:C:2000:605, punto 25; del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C‑188/07, EU:C:2008:359, punti da 60 a 63; del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864 (in prosieguo: la «sentenza ATAA»), punto 125; e del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punti 54 e 55. V., del pari, sentenza del 23 aprile 2015, Zuchtvieh‑Export, C‑424/13, EU:C:2015:259, punto 56.


173      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott, presentate nella causa Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:637, paragrafi 148 e 149.


174      Sentenza impugnata, punti da 231 a 236 e 244.


175      Sentenza impugnata, punti 296 e 310.


176      Nelle presenti conclusioni non prenderò in considerazione la competenza dei giudici dell’Unione a trattare cause concernenti l’applicazione, su richiesta dei privati, delle regole di concorrenza dell’Unione o il potere del legislatore dell’Unione di legiferare su materie inerenti alla concorrenza.


177      V. sentenza «Pasta di legno», punti 16 e 18.


178      Osservo che siffatto approccio è stato confermato dalla Corte in numerose cause in cui l’applicabilità delle norme pertinenti dell’Unione veniva contestata, per un asserito effetto extraterritoriale, da alcune parti private: v. sentenze Poulsen, ATAA, nonché Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317.


179      Sentenza «Pasta di legno», punti da 12 a 18.


180      Su tale questione, la mia posizione è quindi diversa da quella adottata dall’avvocato generale Wathelet. V. paragrafo 46 delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet, presentate nella causa InnoLux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:292.


181      Cf. Lowe, V. e Staker, C., «Jurisdiction», in Evans, M.D., (a cura di), International Law, 3a ed., Oxford University Press, 2010, pagg. 322 e 323.


182      Quali esempi a sostegno dell’approccio basato sugli effetti per quanto riguarda la competenza, v. in particolare conclusioni dell’avvocato generale Mayras, presentate nella causa Imperial Chemical Industries/Commissione, 48/69, EU:C:1972:32, paragrafi 693 e segg. e conclusioni dell’avvocato generale Darmon, presentate nelle cause riunite Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, EU:C:1988:258 (in prosieguo: le «conclusioni Pasta di legno»), paragrafi 19 e segg. Sulla stessa vena, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet, presentate nella causa Innolux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:292, paragrafi 49 e segg.


183      Le parti hanno discusso a lungo sulla questione se la recente sentenza del 9 luglio 2015, InnoLux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:451 corroborasse, sia pure implicitamente, tale approccio. Ho, tuttavia, l’impressione che la Corte abbia deciso di non esaminare la questione della competenza, ritenendola irrilevante ai fini della definizione della controversia. V. punti da 71 a 73 della sentenza.


184      Tale questione è infatti discussa in dottrina: v., in particolare, International Bar Association, Report of the Task Force on Extraterritorial Jurisdiction, 2009, pagg 12 e 13.


185      V. OECD Revised recommendation of the Council Concerning Cooperation between Member countries on Anticompetitive Practices affecting International Trade, 1995, disponibile al seguente indirizzo: https://www.oecd.org/daf/competition/21570317.pdf. V. anche conclusioniWoodpulp, paragrafi da 19 a 31, e sentenza del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione, T‑102/96, EU:T:1999:65, punto 90.


186      V., ad esempio, International Bar Association, Report of the Task Force on Extraterritorial Jurisdiction, 2009, pagg. da 39 a 77.


187      V., in particolare, Wagner‑von Papp, F., «Competition Law, Extraterritoriality & Bilateral Agreements», Research handbook on International Competition Law, Edward Elgar Publishing 2012, pag. 41 e ulteriori riferimenti.


188      Per una panoramica di tali disposizioni e una valutazione critica, v. Scott, J., «The New EU “Extraterritoriality”», Common Market Law Review, vol. 51, Wolters Kluwer Law and Business, 2014, pagg. da 1343 a 1380.


189      Sentenza impugnata, punto 243.


190      15 U.S Code, title 15, chapter 1, §6a.


191      Sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti, Hoffman‑La Roche Ltd./Empagran S.A., 124 S.Ct. 2359 (2004).


192      È proprio per questi motivi che le istituzioni dell’Unione hanno concluso accordi con le autorità di vari paesi al di fuori dell’Unione per stabilire forme di cooperazione nel settore della concorrenza. Ad esempio, con il governo degli Stati Uniti sono stati conclusi non meno di due accordi di tal genere; fatto interessante, entrambi trattano la questione della competenza. Per il testo di tali accordi e ulteriori riferimenti, v. http://ec.europa.eu/competition/international/bilateral


193      V. sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 72.


194      Sentenza impugnata, punti da 310 a 314.


195      Sentenza impugnata, punti da 250 a 258, e da 283 a 297.


196      Sentenza impugnata, punto 290.


197      Sentenza impugnata, punti 277 e 278.


198      Sentenza impugnata, punti da 293 a 295.


199      V. articolo 2 del regolamento n. 1/2003.


200      Al riguardo, occorre ricordare che la prassi della Commissione in precedenti decisioni non può servire, in genere, da quadro giuridico per le ammende irrogate in materia di concorrenza. Ciò in quanto la Commissione dispone, in materia di fissazione dell’importo delle ammende, di un ampio potere discrezionale ed essa non è vincolata, in linea di principio, dalle proprie precedenti valutazioni V., in particolare, sentenza del 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 82 e giurisprudenza ivi citata.


201      V., fra vari esempi, sentenze del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 205 e giurisprudenza ivi citata, e del 4 settembre 2014, YKK e a./Commissione, C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 29 e giurisprudenza ivi citata. V. anche sentenze del 29 aprile 2004, British Sugar/Commissione, C‑359/01 P, EU:C:2004:255, punto 47 e giurisprudenza ivi citata, e del 19 dicembre 2013, Koninklijke Wegenbouw Stevin/Commissione, C‑586/12 P, EU:C:2013:863, non pubblicata, punto 33 e giurisprudenza ivi citata.


202      Al riguardo, la ricorrente fa riferimento a un elenco di fattori che, a suo avviso, sono stati valutati in modo errato nella sentenza impugnata. Inoltre, la ricorrente, dissente sul modo in cui il Tribunale ha valutato la prova relativa alla dissimulazione, un fattore di cui si è tenuto conto per aumentare l’ammenda.


203      V., ad esempio, sentenze del 6 aprile 2006, General Motors/Commissione, C‑551/03 P, EU:C:2006:229, punti da 51 a 53 e giurisprudenza ivi citata, e dell’8 marzo 2016, Grecia/Commissione, C‑431/14 P, EU:C:2016:145, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata.


204      V., recentemente, sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 75 e giurisprudenza ivi citata.


205      V. sentenza Dansk Rørindustri, punto 224.


206      Sentenza Dansk Rørindustri, punti da 228 a 231.


207      Solvay, punti 71 e 72.