Language of document : ECLI:EU:C:2018:820

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 4 ottobre 2018 (1)

Causa C557/17

Y.Z.,

Z.Z.,

Y.Y.,

Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/86/CE – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/109/CE – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Revoca del permesso di soggiorno o perdita dello status per frode – Mancanza di conoscenza»






I.      Introduzione

1.        Nella causa in esame, con la prima questione pregiudiziale, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) chiede se il permesso di soggiorno rilasciato al familiare di un cittadino di un paese terzo, conformemente alla direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (2), ottenuto in base a informazioni fraudolente fornite dal soggiornante (3), possa essere revocato qualora il titolare non fosse a conoscenza della natura fraudolenta di dette informazioni. Analogamente, con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio tenta di stabilire se, per perdere lo status di soggiornante di lungo periodo, come previsto dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (4), sia necessario che il titolare di detto status sia stato a conoscenza della frode, per il motivo che detto status sarebbe stato ottenuto in base a informazioni fraudolente.

2.        È vero che, come osservava l’avvocato generale Elmer nelle sue conclusioni, presentate nella causa Kol (C‑285/95, EU:C:1997:107, paragrafo 19), qualora si avallasse la frode commessa al fine di ottenere un permesso di soggiorno «si finirebbe col premiare un comportamento riprovevole, cosa che inciterebbe altri a rilasciare false dichiarazioni alle autorità degli Stati membri di polizia per gli stranieri, anziché dissuaderli». Tuttavia, nel procedimento principale, i beneficiari dei permessi di soggiorno oggetto delle questioni pregiudiziali non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle informazioni fornite a sostegno delle domande presentate per ottenere tali permessi. Essi subiscono, pertanto, le conseguenze della frode commessa da altri.

3.        La Corte è già stata chiamata a pronunciarsi sull’incidenza dell’acquisizione fraudolenta, da parte di un lavoratore turco, del proprio permesso di soggiorno sui diritti di cui beneficiano i familiari di tale lavoratore in forza dell’articolo 7, primo comma, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE‑Turchia (5), del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione tra la Comunità europea e la Turchia. Per contro, essa non è mai stata interpellata sulla questione se, quando sono stati utilizzati documenti fraudolenti a sostegno di domande di rilascio di permessi di soggiorno per, da un lato, ricongiungimento familiare e, dall’altro, soggiorno di lungo periodo, i permessi così ottenuti possano essere revocati retroattivamente per frode, nel caso in cui i titolari degli stessi non siano stati a conoscenza della natura fraudolenta di detti documenti. La causa in esame offrirà quindi alla Corte l’opportunità di chiarire tale punto che richiede l’esame dell’interazione tra frode e intenzione fraudolenta.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86:

«Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:

a)      sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti».

5.        Secondo l’articolo 17 della direttiva 2003/86, «[i]n caso (…) di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno (…) gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».

6.        L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, intitolato «Revoca o perdita dello status», dispone:

«1.      I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti:

a)      constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo».

B.      Diritto dei Paesi Bassi

7.        L’articolo 18, paragrafo 1, parte iniziale e lettera c), della Vreemdelingenwet 2000 (legge sugli stranieri del 2000, Paesi Bassi; in prosieguo: la «Vw 2000»), in combinato disposto con l’articolo 19 della medesima legge, costituiscono l’attuazione dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86. L’articolo 18, paragrafo 1, parte iniziale e lettera c), della Vw 2000 stabilisce:

«Una domanda diretta a ottenere la proroga della validità di un permesso di soggiorno a durata determinata di cui all’articolo 14 può essere respinta quando (…) lo straniero ha fornito informazioni inesatte o non ha fornito informazioni laddove tali informazioni avrebbero comportato il rigetto della domanda iniziale di ottenimento o di proroga».

8.        L’articolo 19 della Vw 2000 dispone:

«Il permesso di soggiorno a durata determinata può essere revocato per i motivi di cui all’articolo 18, paragrafo 1, ad eccezione di quello previsto alla lettera b) (…)».

9.        Secondo l’articolo 20, paragrafo 1, della Vw 2000 (6):

«Il Ministro è competente:

a)      ad accogliere, respingere o escludere senza esame la domanda volta a ottenere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato;

b)      a revocare il permesso di soggiorno a tempo indeterminato (…)».

10.      L’articolo 21, paragrafi 1 e 3, della Vw 2000, enuncia:

«1.      In applicazione dell’articolo 8, paragrafo 2, della [direttiva 2003/109], la domanda diretta a ottenere o a modificare un permesso di soggiorno a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 20 può essere respinta solo se lo straniero:

a)      non ha soggiornato legalmente, ai sensi dell’articolo 8, per un periodo di cinque anni ininterrotto e immediatamente precedente la domanda;

(…)

d)      non dispone in modo indipendente e duraturo, congiuntamente o meno con il familiare presso il quale risiede, di mezzi di sussistenza sufficienti;

(…)

h)      ha fornito informazioni inesatte o non ha fornito informazioni laddove tali informazioni avrebbero comportato il rigetto della domanda di rilascio, di modifica o di proroga;

(…)».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

11.      Al ricorrente Y.Z. (in prosieguo: il «padre»), cittadino di un paese terzo, sono stati rilasciati vari permessi di soggiorno conformemente al diritto nazionale, nell’ambito delle sue presunte attività di dirigente di una società, rivelatesi fittizie (7). È pacifico che il padre ha ottenuto i permessi di soggiorno in modo fraudolento.

12.      Nel contesto del diritto al ricongiungimento familiare, il 31 gennaio 2002 al ricorrente Z.Z. (in prosieguo: il «figlio»), nato nel 1991, e alla ricorrente Y.Y. (in prosieguo: la «madre»), entrambi cittadini di un paese terzo, è stato rilasciato un permesso di soggiorno regolare a durata determinata, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2003/86 (8) (in prosieguo: il «permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare»). Con decisioni del 21 marzo 2007 alla madre e al figlio è stato rilasciato, con decorrenza dal 18 ottobre 2006, un permesso di soggiorno regolare a tempo indeterminato recante l’annotazione «soggiornante CE di lungo periodo», (in prosieguo: il «permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo»), conformemente agli articoli 7 e 8 della direttiva 2003/109.

13.      Con decisioni del 29 gennaio 2014, lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla sicurezza e alla giustizia, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato») ha revocato con efficacia retroattiva, da un lato, i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare concessi alla madre e al figlio e, dall’altro, in applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, i permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo ad essi rilasciati (in prosieguo: le «decisioni di revoca del 29 gennaio 2014»). Il Segretario di Stato ha ingiunto loro di lasciare immediatamente i Paesi Bassi e ha adottato un divieto di reingresso nei loro confronti. Le decisioni di revoca del 29 gennaio 2014 erano giustificate dal fatto che i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre e del figlio erano stati rilasciati in base alle dichiarazioni fraudolente rese dal presunto datore di lavoro del padre, al fine di giustificare il fatto che il padre disponeva di risorse stabili, regolari e sufficienti, come richieste all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86. Analogamente, i permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo rilasciati alla madre e al figlio erano stati parimenti ottenuti in modo fraudolento, in quanto, da un lato, erano stati rilasciati in base all’inesatto presupposto che la madre e il figlio beneficiassero di un soggiorno regolare nell’ambito del loro soggiorno per ricongiungimento familiare, e, dall’altro, le attestazioni fraudolente sull’occupazione del padre erano state anch’esse rese per giustificare il fatto che essi disponevano di risorse stabili, regolari e sufficienti in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Secondo il Segretario di Stato, il fatto che la madre e il figlio fossero o meno al corrente della frode commessa dal padre e che essi fossero o meno a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni era irrilevante ai fini della risposta alla questione se i loro permessi di soggiorno fossero stati ottenuti in modo fraudolento. Non era neppure pertinente il fatto che il figlio, minore al momento della presentazione delle domande volte a ottenere i suoi permessi di soggiorno, non avesse firmato esso stesso dette domande.

14.      Con decisione del 4 maggio 2015, il Segretario di Stato ha dichiarato infondate le censure formulate contro le decisioni del 29 gennaio 2014. Con decisione del 31 maggio 2016, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia con sede ad Amsterdam, Paesi Bassi) ha in parte annullato e in parte confermato tali decisioni. Il padre, la madre, il figlio nonché il Segretario di Stato hanno interposto appello contro tale decisione dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato).

15.      Secondo il padre, la madre e il figlio, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia con sede ad Amsterdam) non avrebbe tenuto conto del fatto che, in nessun caso, né la madre né il figlio hanno commesso essi stessi atti fraudolenti. Inoltre, essi ritengono che il principio della certezza del diritto garantito dal diritto dell’Unione osti alla revoca del loro permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Essi fanno riferimento al riguardo alla sentenza del 18 dicembre 2008, Altun (C‑337/07, EU:C:2008:744).

16.      Il giudice del rinvio rileva che la questione concernente chi abbia fatto ricorso alla frode sembra irrilevante alla luce del dettato dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86 e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Detto giudice sottolinea, tuttavia, da un lato, che i termini «informazioni false o ingannevoli» e «ovvero è stato fatto ricorso alla frode», contenute nell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, nonché il termine «fraudolenta», contenuto nell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, indicano che deve trattarsi di un determinato requisito del dolo o della colpa. D’altro lato, esso osserva che, nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 2 luglio 2009, concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri (in prosieguo: gli «orientamenti in applicazione della direttiva 2004/38») (9), per «frode» si intende «un inganno o altro espediente usato per ottenere il diritto di circolare e di soggiornare liberamente ai sensi della direttiva». Quanto alla giurisprudenza della Corte, essa non fornisce, secondo tale giudice, elementi sufficienti per interpretare la nozione di «frode».

17.      È in tale contesto che il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 16, paragrafo 2, parte iniziale e lettera a), della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca di un permesso di soggiorno rilasciato nel contesto del ricongiungimento familiare nel caso in cui il rilascio di detto titolo di soggiorno sia basato su dati fraudolenti, laddove il familiare non era a conoscenza della natura fraudolenta di detti dati.

2)      Se l’articolo 9, paragrafo 1, parte iniziale e lettera a), della [direttiva 2003/109] debba essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo nel caso in cui l’acquisizione di tale status sia fondata su dati fraudolenti, laddove il soggiornante di lungo periodo non era a conoscenza della natura fraudolenta di detti dati».

IV.    Analisi

A.      Sull’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86

18.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se, per la revoca del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre e del figlio, occorra, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, stabilire se questi ultimi fossero al corrente del fatto che le attestazioni sull’occupazione del padre erano fraudolente (10).

19.      Secondo una giurisprudenza costante, i soggetti dell’ordinamento non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto dell’Unione (11). Tale principio, ripetutamente affermato dalla Corte a prescindere dal settore considerato, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, il quale si impone indipendentemente da qualsiasi attuazione nella legislazione europea o nazionale (12). Secondo la giurisprudenza della Corte, il diniego di un diritto o di un beneficio in ragione di fatti abusivi o fraudolenti non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale, in caso di frode o di abuso di diritto, le condizioni oggettive richieste ai fini dell’ottenimento del vantaggio che si vuole conseguire non sono, in realtà, soddisfatte e che, pertanto, tale diniego non necessita di una base giuridica specifica (13). La Corte sembra applicare tale giurisprudenza sia al caso di frode che nei casi di abuso di diritto (14). Spetta ai giudici nazionali, in ciascun caso di specie, tener conto, basandosi su elementi obiettivi, del comportamento abusivo o fraudolento delle persone interessate per negare loro, eventualmente, la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto dell’Unione invocate, pur tenendo presenti, nel valutare tale comportamento, le finalità perseguite da dette disposizioni (15).

20.      Tale principio generale di divieto della frode e degli abusi di diritto si applica anche in materia di immigrazione legale. Dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento (in prosieguo: gli «orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86») (16) risulta che è «indispensabile [per gli Stati membri] adottare misure contro gli abusi e le frodi riguardanti i diritti conferiti dalla direttiva [2003/86]. Nell’interesse della società e dei richiedenti onesti, la Commissione incoraggia gli Stati membri ad adottare misure energiche in linea con le disposizioni dell’articolo 16, paragrafi 2 e 4».

21.      Nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punti da 50 a 53), la Corte ha precisato che «la constatazione di una frode si basa su un insieme di indizi concordanti da cui risulti la sussistenza sia di un elemento oggettivo sia di un elemento soggettivo» (17). L’elemento oggettivo consiste nel fatto che le condizioni richieste per ottenere il vantaggio previsto dal diritto dell’Unione non siano soddisfatte (18). L’elemento soggettivo corrisponde all’intenzione degli interessati di aggirare o eludere le condizioni previste dalla normativa applicabile, per ottenere il vantaggio in questione (19). L’acquisizione fraudolenta può quindi derivare da un’«azione volontaria», quale una presentazione dei fatti non corrispondente alla realtà, oppure da un’«omissione volontaria», quale la dissimulazione dell’esistenza di un’informazione rilevante, con l’intento di eludere le condizioni di applicazione della normativa in questione (20).

22.      È alla luce di tale giurisprudenza che occorre verificare se, nelle circostanze di cui al procedimento principale, sussistano gli elementi costitutivi di una frode.

23.      Dall’ordinanza di rinvio emerge che, al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, sono stati utilizzati documenti falsi o fraudolenti quali documenti giustificativi (21) al fine di provare il rispetto della condizione richiesta all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86, riguardante l’obbligo di disporre di risorse stabili, regolari e sufficienti. In tali circostanze, se dovesse risultare che, in mancanza di detti documenti, la condizione prevista da tale articolo non era soddisfatta, sarebbe dimostrato l’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, quale definito nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63). Al riguardo, ricordo che, nella sentenza del 6 dicembre 2012, O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 72), la Corte ha precisato che sono, in linea di principio, le risorse del soggiornante ad essere oggetto dell’esame individualizzato delle domande di ricongiungimento familiare prescritto dalla direttiva 2003/86 e non le risorse del cittadino di un paese terzo per il quale è richiesto un diritto di soggiorno. Al pari della Commissione europea nei suoi orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86, ritengo che, utilizzando l’espressione «in linea di principio», la Corte suggerisca, quantomeno, che possono sussistere in casi specifici deroghe alla regola secondo la quale si deve tener conto delle risorse del soggiornante, quando sono motivate da circostanze particolari (22).

24.      Per quanto riguarda l’elemento soggettivo necessario per la constatazione della frode, esso corrisponde, secondo la definizione fornita nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 52) applicata alle circostanze di cui al procedimento principale, all’intenzione dell’interessato di aggirare o eludere le condizioni di rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, al fine di ottenere il relativo vantaggio. Da tale definizione emerge che tale elemento deve essere valutato rispetto alla persona che tenta di ottenere il vantaggio derivante dalle disposizioni di diritto dell’Unione. Nelle circostanze di cui al procedimento principale tale valutazione deve quindi riguardare la persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare.

25.      Al riguardo, il fatto che il testo dell’articolo 16, lettera a), della direttiva 2003/86 sia redatto in forma passiva («sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati» e «è stato fatto ricorso alla frode») non implica che sia irrilevante accertare chi abbia fatto ricorso alla frode, come suggeriscono il giudice del rinvio, la Commissione europea e il governo polacco. Infatti, tale redazione è, a mio avviso, dovuta al fatto che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/86, gli Stati membri possono decidere che la domanda di ricongiungimento familiare sia presentata o dal soggiornante o dal familiare.

26.      Orbene, nel procedimento principale, la domanda di ricongiungimento familiare sembra essere stata presentata dal padre, in qualità di soggiornante. Se così fosse effettivamente, sarebbe dimostrato anche l’elemento soggettivo della frode, dal momento che il padre era a conoscenza della natura fraudolenta dei documenti presentati a sostegno della domanda di ricongiungimento familiare.

27.      Tuttavia, ricordo che, anche quando viene dimostrata una frode ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, le autorità competenti degli Stati membri sono tenute, prima di decidere la revoca del permesso di soggiorno o l’adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, a procedere a una valutazione ai sensi dell’articolo 17 di tale direttiva (23). Tale norma impone in particolare agli Stati membri di prendere «nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine (…)» (24)».

28.      Occorre ricordare che dalla giurisprudenza della Corte deriva che l’articolo 17 della direttiva 2003/86 impone un’individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento (25) e che le autorità nazionali competenti, nell’attuazione della direttiva 2003/86, e quindi anche nell’adottare una decisione di revoca di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, sono tenute a effettuare una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco (26). Siffatta revoca non può quindi avvenire automaticamente.

29.      Il giudice del rinvio non pone questioni riguardo alla valutazione ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/86 o riguardo alla legittimità della misura di allontanamento di cui sono destinatari la madre e il figlio. Mi limiterò quindi alle due osservazioni seguenti.

30.      In primo luogo, la circostanza secondo la quale la madre e il figlio non sono individualmente responsabili della frode, ma ne subiscono le conseguenze deve essere presa, a mio avviso, nella dovuta considerazione nell’ambito della valutazione condotta in base all’articolo 17 della direttiva 2003/86. Infatti, tale disposizione impone di garantire che le misure di revoca e di allontanamento previste dalle autorità nazionali competenti siano proporzionate, proporzionalità da valutare alla luce di tutte le circostanze, di fatto e personali, del caso di specie (27).

31.      In secondo luogo, dal considerando 2 della direttiva 2003/86 emerge che quest’ultima riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, che contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare (28). Orbene, la valutazione ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/86 deve essere condotta alla luce di tale diritto, tenendo conto, da un lato, della «durata del (…) soggiorno» (29), nello Stato membro considerato, del titolare del diritto al ricongiungimento familiare, e, dall’altro, dell’«esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine» (30).

32.      La durata del soggiorno come elemento da considerare nella ponderazione degli interessi in gioco si riferisce al presupposto secondo il quale più una persona soggiorna per lungo tempo in un particolare Stato, più forti sono i legami con tale Stato e più deboli saranno i legami con il suo paese d’origine (31). In tale contesto, si dovrebbe tener conto, segnatamente, delle particolari situazioni dei cittadini di paesi terzi che hanno trascorso la maggior parte della loro vita nello Stato membro considerato, che ivi sono stati cresciuti e hanno ricevuto un’istruzione (32). L’esistenza o meno di legami familiari, culturali o sociali dell’interessato con il suo paese d’origine, si valuta, per contro, in base a circostanze quali, in particolare, una cerchia familiare presente in tale paese, viaggi o periodi di soggiorno in tale paese, oppure attraverso il livello di conoscenza della lingua di detto paese (33).

33.      Orbene, nel procedimento principale, dalla decisione di rinvio emerge che il soggiornante risiede nei Paesi Bassi da più di diciassette anni, e la madre e il figlio da più di sedici anni, in quanto quest’ultimo aveva solo 11 anni quando è arrivato nei Paesi Bassi (34). Non si può quindi escludere che, nel corso di tale periodo, essi abbiano stabilito legami stretti con i Paesi Bassi e che, per contro, i legami con il paese d’origine siano ormai praticamente inesistenti, o quantomeno assai deboli. In tali circostanze, non si può escludere che le conseguenze della revoca del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e di un’eventuale espulsione siano eccessivamente gravose, se non addirittura sproporzionate.

34.      Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 2, lettera), della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla revoca di un permesso di soggiorno concesso, come diritto derivato, nell’ambito di un ricongiungimento familiare che sia stato ottenuto in base a informazioni fraudolente quando è dimostrata, in capo alla persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare, l’intenzione di aggirare o eludere le condizioni di concessione di tale permesso, e ciò anche nel caso in cui il titolare di quest’ultimo non fosse al corrente della natura fraudolenta di dette informazioni. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri, prima di procedere a siffatta revoca, valutare, conformemente all’articolo 17 della direttiva 2003/86, tutti gli interessi in gioco ed effettuare tale valutazione alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso di specie, tra le quali il fatto che il titolare del permesso di soggiorno non sia all’origine frode che ha portato alla concessione di detto titolo, né sia a conoscenza di tale frode.

B.      Sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109

35.      Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato nel senso che esso osta, nelle circostanze di cui al procedimento principale, alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo della madre e del figlio (35).

36.      Più precisamente, il giudice del rinvio tenta di stabilire se la circostanza secondo la quale il figlio e a madre non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni concernenti il lavoro del padre, presentate quali documenti giustificativi al fine di ottenere detto statuto, avrebbe dovuto essere presa in considerazione quando il Segretario di Stato ha adottato le decisioni di revoca del 29 gennaio 2014.

37.      Come precisato nel considerando 2, la direttiva 2003/109 mira a dare attuazione alla dichiarazione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, a conclusione della quale il Consiglio europeo ha affermato che «occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro per un periodo da definirsi e sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato membro dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea». L’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce l’obiettivo principale della direttiva 2003/109, come emerge, in particolare, dai considerando 4, 6 e 12 (36). Ai fini della realizzazione di tale obiettivo, la direttiva 2003/109 garantisce ai cittadini di paesi terzi che abbiano acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro considerato nei settori elencati all’articolo 11, paragrafo 1, lettere da a) ad h) di detta direttiva, entro il territorio dello Stato membro ospitante.

38.      Peraltro, come ha rilevato la Corte ai punti 66 e 67 della sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233), il sistema istituito dalla direttiva 2003/109 subordina l’ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo, dalla stessa previsto, a una procedura particolare e a condizioni precise. In tal senso, l’articolo 4 di tale direttiva prevede che gli Stati membri riservino il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente e ininterrottamente nel loro territorio nei cinque anni immediatamente precedenti la presentazione della relativa domanda (37); l’articolo 5 subordina l’ottenimento dello status suddetto alla prova che il cittadino di un paese terzo che chiede il beneficio di tale status dispone di risorse sufficienti nonché di un’assicurazione malattia; infine, l’articolo 7 precisa i requisiti procedurali che devono essere rispettati.

39.      L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, intitolato «Revoca o perdita dello status», dispone che la constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo comporta la perdita del diritto a tale status (38).

40.      Nessun elemento del testo di tale articolo stabilisce specificamente che la nozione di «acquisizione fraudolenta» richiede un elemento intenzionale.

41.      Tuttavia, come ho già ricordato ai paragrafi da 21 a 22 delle presenti conclusioni, la constatazione di una frode, come emerge dalla sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 50), implica la verifica dell’esistenza di un insieme di indizi concordanti da cui risulti la sussistenza sia di un elemento oggettivo sia di un elemento soggettivo. Pertanto, può essere sanzionata solo la frode commessa materialmente e intenzionalmente dal cittadino di un paese terzo che abbia presentato la domanda di soggiorno di lungo periodo.

42.      Il fatto che, come sottolinea la Commissione, la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo abbia implicazioni rilevanti, in particolare per il soggiorno in altri Stati membri (39), non rimette in discussione la necessità, al fine di constatare l’esistenza di una frode, di dimostrare che la persona che ha chiesto di ottenere detto status avesse l’intenzione di aggirare le disposizioni applicabili,. Osservo, del resto, che, contrariamente all’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, che include tra i motivi di revoca anche il semplice utilizzo di «informazioni false o ingannevoli» o di «documenti falsi o falsificati», l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 menziona soltanto il caso di «acquisizione fraudolenta». Fatta salva l’interpretazione che occorre attribuire all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, ciò corrisponde, a mio avviso, all’intenzione del legislatore di limitare la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), solo ai casi in cui sia provato un intento fraudolento. Sottolineo altresì che la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo presuppone un grado elevato di integrazione (40) e di investimento personale (41) dell’interessato nello Stato membro ospitante, il che osta, a mio avviso, a un’interpretazione eccessivamente ampia delle condizioni di revoca di detto status.

43.      Infine, mentre i diritti di ingresso e di soggiorno dei familiari, concessi nell’ambito di un ricongiungimento familiare, sono diritti derivati da quello del soggiornante, lo status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109 è un diritto personale, ottenuto a seguito di una domanda presentata dall’interessato in nome proprio. Tale distinzione ci deve indurre, tanto più nel caso di tale status, a respingere l’argomento, sostenuto in particolare dalla Commissione in udienza e fondato sull’adagio «fraus omnia corrumpit», che porterebbe ad attribuire alla frode commessa da terzi un’incidenza determinate ai fini della revoca di detto status. Osta decisamente a siffatto argomento la tradizione di tutela dei diritti individuali della Corte.

44.      Nel procedimento principale, riguardo all’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, dall’ordinanza di rinvio emerge che la madre e il figlio non disponevano, in modo autonomo, di risorse stabili, regolari e sufficienti ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 (42). Inoltre, come sottolineato dal giudice del rinvio, dato che i permessi di soggiorno della madre e del figlio per ricongiungimento familiare sono stati acquisiti in base a documenti fraudolenti, la condizione del soggiorno legale stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, non era, in via di principio, soddisfatta al momento della presentazione della domanda dello status di soggiornante di lungo periodo. Ne consegue che le condizioni prescritte da tale direttiva non erano soddisfatte in capo alla madre e al figlio e che, pertanto, è dimostrato l’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, quale definito nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 51).

45.      Per quanto riguarda l’elemento soggettivo necessario per la constatazione della frode, esso corrisponde, secondo la definizione fornita nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 52), applicata alle circostanze di cui al procedimento principale, all’intenzione del richiedente di aggirare o eludere le condizioni di concessione dello status di soggiornante di lungo periodo, al fine di ottenere il relativo vantaggio. Pertanto, solo la conoscenza da parte della madre e del figlio della frode commessa dal padre e la loro intenzione di trarne profitto avrebbe dato luogo a un’acquisizione fraudolenta ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Il giudice del rinvio precisa che la madre e il figlio non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni del datore di lavoro del padre, che gli stessi hanno presentato come documenti giustificativi volti a dimostrare che essi soddisfacevano la condizione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Pertanto, non risulta, nel procedimento principale, che la madre e il figlio abbiano deliberatamente tentato di aggirare tale condizione. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se così è, effettivamente, nel caso di specie.

46.      Fatta salva tale verifica, la mancanza in capo alla madre e al figlio di un elemento intenzionale volto ad aggirare le condizioni di concessione dello status di soggiornante di lungo periodo deve indurre a escludere l’esistenza di una frode.

47.      A questo punto, occorre rilevare che la constatazione a posteriori della mancanza dei presupposti per la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo non rientra fra i motivi di perdita o di revoca di detto status, i quali sono previsti, tassativamente, all’articolo 9 della direttiva 2003/109. Conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva «[l]o status di soggiornante di lungo periodo è permanente, fatto salvo l’articolo 9», il che implica che, oltre ai casi tassativamente elencati in quest’ultimo articolo (43), detto status non può essere perduto o revocato (44). Infatti, come emerge dai lavori preparatori della direttiva 2003/109, lo status di soggiornante di lungo periodo deve garantire la massima certezza del diritto al suo titolare (45).

48.      È vero che la Corte ha affermato nella sentenza del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094, punti 30 e 34), che la condizione del soggiorno legale e ininterrotto nel territorio dello Stato membro interessato nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda di cui trattasi, stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, è una condizione indispensabile per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo previsto dalla stessa direttiva. Tuttavia, tale sentenza riguarda unicamente il rigetto di una domanda di status di soggiornante di lungo periodo. Detta sentenza non precisa che la mancanza di tale condizione, constatata a posteriori, comporta la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo.

49.      Ne consegue che, in mancanza della constatazione di una frode, non sussisteva alcuna base giuridica nella direttiva 2003/109 per la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo della madre e del figlio.

50.      Da tutte le suesposte considerazioni emerge che l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 deve essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo quando il titolare di tale status non era al corrente della natura fraudolenta delle informazioni che esso ha presentato a sostegno della sua domanda e in base alle quali detto status è stato concesso.

 V. Conclusione

51.      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Raad van Staat (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 16, paragrafo 2, lettera), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla revoca di un permesso di soggiorno concesso nell’ambito di un ricongiungimento familiare che sia stato ottenuto in base a informazioni fraudolente quando è dimostrata, in capo alla persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare, l’intenzione di aggirare o eludere le condizioni di concessione di tale permesso, e ciò anche nel caso in cui il titolare di quest’ultimo non fosse al corrente della natura fraudolenta di dette informazioni. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri, prima di procedere a siffatta revoca, valutare, conformemente all’articolo 17 della direttiva 2003/86, tutti gli interessi in gioco ed effettuare tale valutazione alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso di specie, tra le quali il fatto che il titolare del permesso di soggiorno non sia all’origine della frode che ha portato alla concessione di detto titolo, né sia a conoscenza di tale frode.

2)      L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo deve essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo quando il titolare di tale status non era al corrente della natura fraudolenta delle informazioni che esso ha presentato a sostegno della sua domanda e in base alle quali detto status è stato concesso.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2003, L 251, pag. 12.


3      L’articolo 2, punto c), della direttiva 2003/86, definisce il «soggiornante» nei seguenti termini: «il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare».


4      GU 2004, L 16, pag. 44.


5      V. sentenza del 18 dicembre 2008, Altun (C‑337/07, EU:C:2008:744, punti da 51 a 64). In tale sentenza la Corte ha dichiarato che il comportamento fraudolento del lavoratore turco in questione poteva produrre effetti giuridici sulla sua sfera familiare. La Corte ha precisato che questi effetti devono, tuttavia, essere valutati con riferimento alla data di adozione, da parte delle autorità nazionali dello Stato membro ospitante, di una decisione di revoca del permesso di soggiorno di detto lavoratore. Come risulta dal punto 59 della sentenza Altun summenzionata, le autorità competenti devono quindi verificare se i familiari abbiano acquisito, in tale data, un diritto proprio di accesso al mercato del lavoro nello Stato membro ospitante e, correlativamente, un diritto di soggiorno nel medesimo. Al punto 60 della sentenza citata, la Corte aggiunge che qualsiasi altra soluzione sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto.


6      Come applicabile il 21 marzo 2007, alla data del rilascio dei permessi di soggiorno di lungo periodo.


7      La società certo esisteva nei registri amministrativi, ma senza mai esercitare effettivamente alcuna attività.


8      Ai sensi dell’articolo 14 della Vw 2000.


9      COM (2009) 313 definitivo del 2 luglio 2009, titolo 4 «Abuso e frode», pag. 14.


10      Come emerge dagli elementi trasmessi dal giudice del rinvio, il figlio, nato nel 1991, aveva 11 anni quando il Segretario di Stato ha adottato la decisione del 31 gennaio 2002. Tuttavia, nonostante la minore età del figlio, la questione del giudice del rinvio è stata posta in termini generali.


11      V., in particolare, sentenze del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 49, frode nell’utilizzo di un certificato di iscrizione al regime previdenziale, che implica una presunzione di regolarità nel diritto europeo), del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27), del 22 dicembre 2010, Bozkurt (C‑303/08, EU:C:2010:800, punto 47, frode documentale riguardo alle condizioni di soggiorno di un lavoratore migrante turco), del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68, frode in materia di IVA), del 23 settembre 2003, Akrich (C‑109/01, EU:C:2003:491, punto 57, matrimonio di comodo con un cittadino di uno Stato membro dell’Unione), del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, libera prestazione di servizi), del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296, punto 24, libera circolazione dei lavoratori), nonché del 3 dicembre 1974, van Binsbergen (33/74, EU:C:1974:131, punto 13, libera prestazione di servizi). V. anche orientamenti in applicazione della direttiva 2004/38 [COM (2009) 313 definitivo del 2 luglio 2009, titolo 4 «Abuso e frode», pag. 14].


12      V., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punti 27, 28 e 30), del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punti da 38 a 48).


13      V., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 35), del 4 giugno 2009, Pometon (C‑158/08, EU:C:2009:349, punto 28), sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland‑Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 56), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 93).


14      V., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 34).


15      V., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 2000, Emsland‑Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 52), e del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, Centros, punto 25).


16      V., in tal senso, orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86 [COM(2014) 210 final del 3 aprile 2014 punto 7, «Abusi e frodi», pag. 28].


17      Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza si trattava dell’utilizzo fraudolento, da parte di un’impresa, di un certificato che crea una presunzione di regolarità dell’iscrizione dei lavoratori distaccati al regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l’impresa che ha distaccato tali lavoratori, ed è vincolante per l’istituzione competente dello Stato membro in cui tali lavoratori sono distaccati e implica necessariamente che il regime di quest’ultimo Stato membro non possa essere applicato. Sebbene alla data di rilascio dei certificati l’impresa soddisfacesse tutte le condizioni amministrative, vale a dire che essa aveva un’attività effettiva in Bulgaria, i certificati sono stati ottenuti fraudolentemente mediante una presentazione dei fatti non corrispondente alla realtà, allo scopo di eludere le condizioni alle quali la normativa dell’Unione subordina il distacco dei lavoratori.


18      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 51). Le condizioni di concessione del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare sono elencate al capo IV della direttiva 2003/86, intitolato «Condizioni richieste per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare».


19      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 52). La necessità di un elemento soggettivo è sottolineata dalla Commissione nei suoi orientamenti in applicazione della direttiva 2004/38, citati dal giudice del rinvio, in cui la frode, definita all’articolo 35 della direttiva 2004/38, viene intesa come «un inganno o altro espediente usato per ottenere il diritto di circolare e di soggiornare liberamente ai sensi della direttiva». Peraltro, secondo gli orientamenti, qualora una persona abbia ottenuto un permesso di soggiorno solo grazie a un comportamento fraudolento che ne ha determinato la condanna, i diritti ai sensi della direttiva possono essere rifiutati, estinti o revocati. V. anche sentenze del 27 settembre 2001, Gloszczuk (C‑63/99, EU:C:2001:488), e del 5 giugno 1997, Kol (C‑285/95, EU:C:1997:280), riguardanti comportamenti fraudolenti commessi personalmente, con la conseguente revoca dei permessi di soggiorno degli interessati.


20      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punti 53 e 58).


21      Dagli orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86 emerge che, per ogni domanda, i documenti che la corredano e l’«opportunità» e la «necessità» di colloqui e altre indagini devono essere valutati caso per caso, nell’ambito di un esame individualizzato di ogni domanda di ricongiungimento familiare [v. COM (2014) 210 final del 3 aprile 2014, pag. 10].


22      V., in tal senso, orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86 [COM (2014) 210 final del 3 aprile 2014, pagg. 15 e 16].


23      Dal fascicolo del giudice del rinvio emerge che quest’ultimo ha considerato che la ponderazione degli interessi, nel contesto dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), deponeva a sfavore del figlio, confermando la decisione del Segretario di Stato. Il padre avrebbe dovuto sapere che la vita privata del figlio si era svolta durante un soggiorno di cui il padre conosceva la precarietà, e che, pertanto, il suo diritto di soggiorno era precario. Al riguardo, è stato preso in considerazione il fatto che il figlio aveva abitato in Cina sino a 11 anni, che vi era andato a scuola, che parlava il cinese e sapeva un po’ scriverlo, che si recava una volta all’anno in Cina quando è venuto ad abitare nei Paesi Bassi e che, con i suoi genitori che dovevano anch’essi ritornare in Cina, avrebbe potuto trascorrervi la propria vita. Inoltre, è stata sottolineata la possibilità di chiedere, da parte del figlio, un permesso di soggiorno ai fini della prosecuzione dei suoi studi nei Paesi Bassi. Il Segretario di Stato non aveva considerato, correttamente, né la lunga durata del soggiorno del figlio nei Paesi Bassi, e il conseguente radicamento, né il fatto di seguire un corso di studi nei Paesi Bassi quali circostanze particolari che consentissero di concludere per l’esistenza di un obbligo, ai sensi dell’articolo 8 della CEDU, di consentire il proseguimento della vita privata dei figli. Per contro, la ponderazione degli interessi della madre relativi ai suoi permessi di soggiorno non è stata esaminata.


24      Nella Raccomandazione agli Stati membri, Rec(2002) 4, sullo status giuridico delle persone ammesse al ricongiungimento familiare (rubrica IV, intitolata «Protezione efficace contro l’espulsione dei familiari», paragrafo 1), il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si è così espresso: «Quando è prevista una misura come la revoca o il mancato rinnovo di un permesso di soggiorno oppure l’espulsione di un familiare, gli Stati membri prendono in debita considerazione criteri quali il luogo di nascita, l’età al momento dell’ingresso nello Stato, la durata del soggiorno, i rapporti familiari, l’esistenza di una famiglia nello Stato d’origine nonché la solidità dei legami sociali e culturali con lo Stato d’origine. L’interesse e il benessere dei figli meritano una considerazione particolare».


25      V., in tal senso, sentenze del 21 aprile 2016, Khachab (C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 43), del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 48), nonché del 9 luglio 2015, K et A(C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 60).


26      V., in tal senso, sentenze del 21 aprile 2016, Khachab (C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 43), del 6 dicembre 2012, O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 81), e le mie conclusioni nelle cause C e A (C‑257/17, EU:C:2018:503, punto 75) e K e B (C‑380/17, EU:C:2018:504, paragrafo 70).


27      V., in tal senso, orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86 [COM (2014) 210 final, del 3 aprile 2014, pag. 31] che raccomandano di rispettare i seguenti principi: devono essere individuate tutte le circostanze individuali della fattispecie, e la ponderazione degli interessi dell’individuo e della società deve essere analoga a quella in casi comparabili. Inoltre, l’equilibrio dei pertinenti interessi dell’individuo e della società deve apparire ragionevole e proporzionato.


28      V., in tal senso, sentenze del 6 dicembre 2012, O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punti 75 e 76), e del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 44).


29      Articolo 17 della direttiva 2003/86; il corsivo è mio.


30      Articolo 17 della direttiva 2003/86; il corsivo è mio.


31      La situazione non è evidentemente la stessa qualora la persona interessata sia arrivata nel paese ospitante durante l’infanzia o la giovinezza oppure qualora vi sia giunta solo in età adulta. V., in tal senso, in materia di misure di allontanamento, Corte EDU, 18 febbraio 1991, Moustaquim c. Belgio (Grande Sezione) (CE:ECHR:1991:0218JUD001231386, § 45): in tale causa il sig. Moustaquim aveva meno di 2 anni all’epoca del suo arrivo in Belgio. Da allora, vi aveva trascorso circa venti anni presso la sua famiglia o non lontano da essa, in Belgio, ed era ritornato in Marocco solo due volte, in vacanza; Corte EDU, 9 dicembre 2010, Gezginci c. Svizzera, (CE:ECHR:2010:1209JUD001632705, § 69): in tale causa il ricorrente era entrato in Svizzera nel 1990 dove aveva trascorso diciotto anni consecutivi al momento della sua espulsione. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, è evidente che si trattava di un periodo assai lungo nella vita di un individuo e, più in concreto, di più di due terzi della vita del ricorrente, che era nato nel 1983.


32      V., in particolare, Corte EDU, 18 ottobre 2006, Üner c. Paesi Bassi (Grande Sezione) (CE:ECHR:2006:1018JUD004641099, § 58), 23 giugno 2008, Maslov (Grande Sezione) (CE:ECHR:2008:0623JUD000163803, §§ 73, 74 e 86): il ricorrente era arrivato in Austria nel 1990, all’età di 6 anni, aveva trascorso il resto della sua infanzia e della sua adolescenza in tale paese); Corte EDU, 23 settembre 2010, Bousarra c. Francia (CE:ECHR:2010:0923JUD002567207, §§ 46 e 47). V. anche Corte EDU, 19 febbraio 1998, Dalia c. Francia (Recueil 1998‑I, pagg. 88 e 89, §§ da 42 a 45: l’espulsione di soggiornanti di lungo periodo può anche essere analizzata sia sotto il profilo della «vita privata» che sotto il profilo della «vita familiare», essendo riconosciuta una certa rilevanza su tale piano al grado di integrazione sociale degli interessati e ricordata nella sentenza della Corte EDU, 9 ottobre 2003, Slivenko c. Lettonia (CE:ECHR:2003:1009JUD004832199, § 96).


33      V., ad esempio, Corte EDU, 23 giugno 2008, Maslov (Grande Sezione) (CE:ECHR:2008:0623JUD000163803, §§ 96 e 97), in cui è stato constatato che i legami del ricorrente con il paese d’origine, la Bulgaria, erano deboli, dato che, al momento della sua espulsione, egli non parlava la lingua bulgara, in quanto la sua famiglia apparteneva alla comunità turca in Bulgaria ed egli non leggeva né scriveva il cirillico, non avendo mai frequentato la scuola in Bulgaria, nonché Corte EDU, 30 novembre 1999, Baghli c. Francia (CE:ECHR:1999:1130JUD003437497, § 48), in cui, per contro, la Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo aver constatato che il ricorrente non aveva dimostrato di intrattenere rapporti stretti né con i genitori né con i fratelli e le sorelle residenti in Francia, che egli aveva mantenuto la cittadinanza algerina, che conosceva la lingua araba, che aveva prestato servizio militare nel paese d’origine, che si era recato più volte in vacanza in tale paese e che non aveva mai manifestato la volontà di diventare francese, ha concluso che, anche se i legami familiari e sociali si trovavano essenzialmente in Francia, era dimostrato che il ricorrente aveva mantenuto col paese d’origine legami diversi dalla semplice cittadinanza.


34      A tal riguardo, è interessante rilevare che, sempre in materia di misure di allontanamento, nella Raccomandazione agli Stati membri (2000) 15 sulla sicurezza del soggiorno degli immigrati di lungo periodo, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dichiara al paragrafo 4 «Sulla protezione contro l’espulsione», lettera b): «In applicazione del principio di proporzionalità stabilito al paragrafo 4. a), gli Stati membri dovrebbero prendere nella dovuta considerazione la durata o la natura del soggiorno nonché la gravità del reato commesso dall’immigrato di lungo periodo. Gli Stati membri possono in particolare prevedere che un immigrato di lungo periodo non debba essere espulso: dopo cinque anni di soggiorno, salvo il caso in cui sia stato condannato per un reato a una pena superiore a due anni di reclusione senza sospensione; dopo dieci anni di soggiorno, salvo il caso in cui sia stato condannato per un reato a una pena superiore a cinque anni di reclusione senza sospensione. Dopo venti anni di soggiorno, un immigrato di lungo periodo non dovrebbe più essere soggetto a espulsione».


35      Come emerge dagli elementi trasmessi dal giudice del rinvio, il figlio, nato nel 1991, aveva 16 anni quando il Segretario di Stato ha adottato la decisione del 21 marzo 2007. La questione del giudice del rinvio è stata posta, tuttavia, in termini generali.


36      V., in tal senso, sentenze del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094, punto 32), del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 46 e giurisprudenza ivi citata) e del 2 settembre 2015, CGIL e INCA (C‑309/14, EU:C:2015:523, punto 21).


37      Come emerge dalla sentenza del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094, punto 34), un cittadino di un paese terzo può presentare domanda, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, per acquisire tale status, solo se egli stesso soddisfi, a titolo personale, la condizione del soggiorno legale e ininterrotto nel territorio dello Stato membro interessato nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda di cui trattasi.


38      Rilevo che, anche se il titolo dell’articolo 9 della direttiva 2003/109 prevede l’eventualità della revoca o della perdita dello status di soggiornante di lungo periodo, il testo di tale articolo si limita a enunciare alcuni casi di perdita. Peraltro, nei limiti in cui osta al mantenimento del diritto a detto status, la «perdita» sembra comportare, di per sé, soltanto conseguenze per il futuro, come sostengono Y.Z., Z.Z. e Y.Y. Tale interpretazione è confermata dalla versione inglese («no longer be entitled to maintain»), tedesca («ist nicht mehr berechtigt, die Rechtsstellung eines langfristig Aufenthaltsberechtigten zu behalten») e italiana («I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti») dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2003/109. Poiché la Corte non è stata investita della questione se i permessi di soggiorno di soggiornante di lungo periodo della madre e del figlio potessero essere revocati con effetto retroattivo, non esaminerò tale questione.


39      V. capo III della direttiva 2003/109.


40      Pertanto, la presenza discontinua del soggiornante di lungo periodo nel territorio dello Stato membro costituisce un motivo di perdita dello status di soggiornante di lungo periodo, v. articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/109.


41      A tal riguardo, ricordo in particolare che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, gli Stati membri possono esigere che i cittadini di paesi terzi soddisfino le condizioni di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale. V., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto47): non si può negare che l’acquisizione di una conoscenza tanto della lingua quanto della società dello Stato membro ospitante faciliti ampiamente la comunicazione tra i cittadini di paesi terzi e i cittadini nazionali e, inoltre, favorisca l’interazione e lo sviluppo di rapporti sociali tra gli stessi. Neppure si può negare che l’acquisizione della conoscenza della lingua dello Stato membro ospitante renda meno difficile l’accesso da parte dei cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro e alla formazione professionale.


42      La condizione delle risorse stabili, regolari e sufficienti (articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/109), deve essere dimostrata al momento dell’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo. In tale momento, il richiedente fornisce la prova che esso dispone e continuerà a disporre di risorse di un determinata consistenza e con regolarità.


43      La tassatività dell’elenco contenuto nell’articolo 9 della direttiva 2003/109 emerge chiaramente dai lavori preparatori; v., in tal senso, commento all’articolo 10 della proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo [COM (2001) 127 definitivo (GU 2008, E 240, pag. 79].


44      Per contro, ci si potrebbe interrogare sulla possibilità che le autorità competenti degli Stari membri procedano alla revoca del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare in caso di constatazione, a posteriori, della mancanza dei presupposti richiesti dalla direttiva 2003/86, in quanto l’articolo 16, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, prevede che tale permesso possa essere revocato «qualora le condizioni fissate dalla presente direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte».


45      V. commento all’articolo 10 della proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo [COM (2001) 127 definitivo (GU 2008, E 240, pag. 79].