CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO MENGOZZI
presentate il 4 ottobre 2018 (1)
Causa C‑557/17
Y.Z.,
Z.Z.,
Y.Y.,
Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/86/CE – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/109/CE – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Revoca del permesso di soggiorno o perdita dello status per frode – Mancanza di conoscenza»
I. Introduzione
1. Nella causa in esame, con la prima questione pregiudiziale, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) chiede se il permesso di soggiorno rilasciato al familiare di un cittadino di un paese terzo, conformemente alla direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (2), ottenuto in base a informazioni fraudolente fornite dal soggiornante (3), possa essere revocato qualora il titolare non fosse a conoscenza della natura fraudolenta di dette informazioni. Analogamente, con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio tenta di stabilire se, per perdere lo status di soggiornante di lungo periodo, come previsto dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (4), sia necessario che il titolare di detto status sia stato a conoscenza della frode, per il motivo che detto status sarebbe stato ottenuto in base a informazioni fraudolente.
2. È vero che, come osservava l’avvocato generale Elmer nelle sue conclusioni, presentate nella causa Kol (C‑285/95, EU:C:1997:107, paragrafo 19), qualora si avallasse la frode commessa al fine di ottenere un permesso di soggiorno «si finirebbe col premiare un comportamento riprovevole, cosa che inciterebbe altri a rilasciare false dichiarazioni alle autorità degli Stati membri di polizia per gli stranieri, anziché dissuaderli». Tuttavia, nel procedimento principale, i beneficiari dei permessi di soggiorno oggetto delle questioni pregiudiziali non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle informazioni fornite a sostegno delle domande presentate per ottenere tali permessi. Essi subiscono, pertanto, le conseguenze della frode commessa da altri.
3. La Corte è già stata chiamata a pronunciarsi sull’incidenza dell’acquisizione fraudolenta, da parte di un lavoratore turco, del proprio permesso di soggiorno sui diritti di cui beneficiano i familiari di tale lavoratore in forza dell’articolo 7, primo comma, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE‑Turchia (5), del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione tra la Comunità europea e la Turchia. Per contro, essa non è mai stata interpellata sulla questione se, quando sono stati utilizzati documenti fraudolenti a sostegno di domande di rilascio di permessi di soggiorno per, da un lato, ricongiungimento familiare e, dall’altro, soggiorno di lungo periodo, i permessi così ottenuti possano essere revocati retroattivamente per frode, nel caso in cui i titolari degli stessi non siano stati a conoscenza della natura fraudolenta di detti documenti. La causa in esame offrirà quindi alla Corte l’opportunità di chiarire tale punto che richiede l’esame dell’interazione tra frode e intenzione fraudolenta.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
4. Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86:
«Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:
a) sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti».
5. Secondo l’articolo 17 della direttiva 2003/86, «[i]n caso (…) di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno (…) gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».
6. L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, intitolato «Revoca o perdita dello status», dispone:
«1. I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti:
a) constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo».
B. Diritto dei Paesi Bassi
7. L’articolo 18, paragrafo 1, parte iniziale e lettera c), della Vreemdelingenwet 2000 (legge sugli stranieri del 2000, Paesi Bassi; in prosieguo: la «Vw 2000»), in combinato disposto con l’articolo 19 della medesima legge, costituiscono l’attuazione dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86. L’articolo 18, paragrafo 1, parte iniziale e lettera c), della Vw 2000 stabilisce:
«Una domanda diretta a ottenere la proroga della validità di un permesso di soggiorno a durata determinata di cui all’articolo 14 può essere respinta quando (…) lo straniero ha fornito informazioni inesatte o non ha fornito informazioni laddove tali informazioni avrebbero comportato il rigetto della domanda iniziale di ottenimento o di proroga».
8. L’articolo 19 della Vw 2000 dispone:
«Il permesso di soggiorno a durata determinata può essere revocato per i motivi di cui all’articolo 18, paragrafo 1, ad eccezione di quello previsto alla lettera b) (…)».
9. Secondo l’articolo 20, paragrafo 1, della Vw 2000 (6):
«Il Ministro è competente:
a) ad accogliere, respingere o escludere senza esame la domanda volta a ottenere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato;
b) a revocare il permesso di soggiorno a tempo indeterminato (…)».
10. L’articolo 21, paragrafi 1 e 3, della Vw 2000, enuncia:
«1. In applicazione dell’articolo 8, paragrafo 2, della [direttiva 2003/109], la domanda diretta a ottenere o a modificare un permesso di soggiorno a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 20 può essere respinta solo se lo straniero:
a) non ha soggiornato legalmente, ai sensi dell’articolo 8, per un periodo di cinque anni ininterrotto e immediatamente precedente la domanda;
(…)
d) non dispone in modo indipendente e duraturo, congiuntamente o meno con il familiare presso il quale risiede, di mezzi di sussistenza sufficienti;
(…)
h) ha fornito informazioni inesatte o non ha fornito informazioni laddove tali informazioni avrebbero comportato il rigetto della domanda di rilascio, di modifica o di proroga;
(…)».
III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
11. Al ricorrente Y.Z. (in prosieguo: il «padre»), cittadino di un paese terzo, sono stati rilasciati vari permessi di soggiorno conformemente al diritto nazionale, nell’ambito delle sue presunte attività di dirigente di una società, rivelatesi fittizie (7). È pacifico che il padre ha ottenuto i permessi di soggiorno in modo fraudolento.
12. Nel contesto del diritto al ricongiungimento familiare, il 31 gennaio 2002 al ricorrente Z.Z. (in prosieguo: il «figlio»), nato nel 1991, e alla ricorrente Y.Y. (in prosieguo: la «madre»), entrambi cittadini di un paese terzo, è stato rilasciato un permesso di soggiorno regolare a durata determinata, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2003/86 (8) (in prosieguo: il «permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare»). Con decisioni del 21 marzo 2007 alla madre e al figlio è stato rilasciato, con decorrenza dal 18 ottobre 2006, un permesso di soggiorno regolare a tempo indeterminato recante l’annotazione «soggiornante CE di lungo periodo», (in prosieguo: il «permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo»), conformemente agli articoli 7 e 8 della direttiva 2003/109.
13. Con decisioni del 29 gennaio 2014, lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla sicurezza e alla giustizia, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato») ha revocato con efficacia retroattiva, da un lato, i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare concessi alla madre e al figlio e, dall’altro, in applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, i permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo ad essi rilasciati (in prosieguo: le «decisioni di revoca del 29 gennaio 2014»). Il Segretario di Stato ha ingiunto loro di lasciare immediatamente i Paesi Bassi e ha adottato un divieto di reingresso nei loro confronti. Le decisioni di revoca del 29 gennaio 2014 erano giustificate dal fatto che i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre e del figlio erano stati rilasciati in base alle dichiarazioni fraudolente rese dal presunto datore di lavoro del padre, al fine di giustificare il fatto che il padre disponeva di risorse stabili, regolari e sufficienti, come richieste all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86. Analogamente, i permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo rilasciati alla madre e al figlio erano stati parimenti ottenuti in modo fraudolento, in quanto, da un lato, erano stati rilasciati in base all’inesatto presupposto che la madre e il figlio beneficiassero di un soggiorno regolare nell’ambito del loro soggiorno per ricongiungimento familiare, e, dall’altro, le attestazioni fraudolente sull’occupazione del padre erano state anch’esse rese per giustificare il fatto che essi disponevano di risorse stabili, regolari e sufficienti in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Secondo il Segretario di Stato, il fatto che la madre e il figlio fossero o meno al corrente della frode commessa dal padre e che essi fossero o meno a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni era irrilevante ai fini della risposta alla questione se i loro permessi di soggiorno fossero stati ottenuti in modo fraudolento. Non era neppure pertinente il fatto che il figlio, minore al momento della presentazione delle domande volte a ottenere i suoi permessi di soggiorno, non avesse firmato esso stesso dette domande.
14. Con decisione del 4 maggio 2015, il Segretario di Stato ha dichiarato infondate le censure formulate contro le decisioni del 29 gennaio 2014. Con decisione del 31 maggio 2016, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia con sede ad Amsterdam, Paesi Bassi) ha in parte annullato e in parte confermato tali decisioni. Il padre, la madre, il figlio nonché il Segretario di Stato hanno interposto appello contro tale decisione dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato).
15. Secondo il padre, la madre e il figlio, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia con sede ad Amsterdam) non avrebbe tenuto conto del fatto che, in nessun caso, né la madre né il figlio hanno commesso essi stessi atti fraudolenti. Inoltre, essi ritengono che il principio della certezza del diritto garantito dal diritto dell’Unione osti alla revoca del loro permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Essi fanno riferimento al riguardo alla sentenza del 18 dicembre 2008, Altun (C‑337/07, EU:C:2008:744).
16. Il giudice del rinvio rileva che la questione concernente chi abbia fatto ricorso alla frode sembra irrilevante alla luce del dettato dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86 e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Detto giudice sottolinea, tuttavia, da un lato, che i termini «informazioni false o ingannevoli» e «ovvero è stato fatto ricorso alla frode», contenute nell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, nonché il termine «fraudolenta», contenuto nell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, indicano che deve trattarsi di un determinato requisito del dolo o della colpa. D’altro lato, esso osserva che, nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 2 luglio 2009, concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri (in prosieguo: gli «orientamenti in applicazione della direttiva 2004/38») (9), per «frode» si intende «un inganno o altro espediente usato per ottenere il diritto di circolare e di soggiornare liberamente ai sensi della direttiva». Quanto alla giurisprudenza della Corte, essa non fornisce, secondo tale giudice, elementi sufficienti per interpretare la nozione di «frode».
17. È in tale contesto che il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 16, paragrafo 2, parte iniziale e lettera a), della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca di un permesso di soggiorno rilasciato nel contesto del ricongiungimento familiare nel caso in cui il rilascio di detto titolo di soggiorno sia basato su dati fraudolenti, laddove il familiare non era a conoscenza della natura fraudolenta di detti dati.
2) Se l’articolo 9, paragrafo 1, parte iniziale e lettera a), della [direttiva 2003/109] debba essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo nel caso in cui l’acquisizione di tale status sia fondata su dati fraudolenti, laddove il soggiornante di lungo periodo non era a conoscenza della natura fraudolenta di detti dati».
IV. Analisi
A. Sull’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86
18. Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se, per la revoca del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre e del figlio, occorra, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, stabilire se questi ultimi fossero al corrente del fatto che le attestazioni sull’occupazione del padre erano fraudolente (10).
19. Secondo una giurisprudenza costante, i soggetti dell’ordinamento non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto dell’Unione (11). Tale principio, ripetutamente affermato dalla Corte a prescindere dal settore considerato, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, il quale si impone indipendentemente da qualsiasi attuazione nella legislazione europea o nazionale (12). Secondo la giurisprudenza della Corte, il diniego di un diritto o di un beneficio in ragione di fatti abusivi o fraudolenti non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale, in caso di frode o di abuso di diritto, le condizioni oggettive richieste ai fini dell’ottenimento del vantaggio che si vuole conseguire non sono, in realtà, soddisfatte e che, pertanto, tale diniego non necessita di una base giuridica specifica (13). La Corte sembra applicare tale giurisprudenza sia al caso di frode che nei casi di abuso di diritto (14). Spetta ai giudici nazionali, in ciascun caso di specie, tener conto, basandosi su elementi obiettivi, del comportamento abusivo o fraudolento delle persone interessate per negare loro, eventualmente, la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto dell’Unione invocate, pur tenendo presenti, nel valutare tale comportamento, le finalità perseguite da dette disposizioni (15).
20. Tale principio generale di divieto della frode e degli abusi di diritto si applica anche in materia di immigrazione legale. Dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento (in prosieguo: gli «orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86») (16) risulta che è «indispensabile [per gli Stati membri] adottare misure contro gli abusi e le frodi riguardanti i diritti conferiti dalla direttiva [2003/86]. Nell’interesse della società e dei richiedenti onesti, la Commissione incoraggia gli Stati membri ad adottare misure energiche in linea con le disposizioni dell’articolo 16, paragrafi 2 e 4».
21. Nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punti da 50 a 53), la Corte ha precisato che «la constatazione di una frode si basa su un insieme di indizi concordanti da cui risulti la sussistenza sia di un elemento oggettivo sia di un elemento soggettivo» (17). L’elemento oggettivo consiste nel fatto che le condizioni richieste per ottenere il vantaggio previsto dal diritto dell’Unione non siano soddisfatte (18). L’elemento soggettivo corrisponde all’intenzione degli interessati di aggirare o eludere le condizioni previste dalla normativa applicabile, per ottenere il vantaggio in questione (19). L’acquisizione fraudolenta può quindi derivare da un’«azione volontaria», quale una presentazione dei fatti non corrispondente alla realtà, oppure da un’«omissione volontaria», quale la dissimulazione dell’esistenza di un’informazione rilevante, con l’intento di eludere le condizioni di applicazione della normativa in questione (20).
22. È alla luce di tale giurisprudenza che occorre verificare se, nelle circostanze di cui al procedimento principale, sussistano gli elementi costitutivi di una frode.
23. Dall’ordinanza di rinvio emerge che, al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, sono stati utilizzati documenti falsi o fraudolenti quali documenti giustificativi (21) al fine di provare il rispetto della condizione richiesta all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86, riguardante l’obbligo di disporre di risorse stabili, regolari e sufficienti. In tali circostanze, se dovesse risultare che, in mancanza di detti documenti, la condizione prevista da tale articolo non era soddisfatta, sarebbe dimostrato l’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, quale definito nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63). Al riguardo, ricordo che, nella sentenza del 6 dicembre 2012, O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 72), la Corte ha precisato che sono, in linea di principio, le risorse del soggiornante ad essere oggetto dell’esame individualizzato delle domande di ricongiungimento familiare prescritto dalla direttiva 2003/86 e non le risorse del cittadino di un paese terzo per il quale è richiesto un diritto di soggiorno. Al pari della Commissione europea nei suoi orientamenti in applicazione della direttiva 2003/86, ritengo che, utilizzando l’espressione «in linea di principio», la Corte suggerisca, quantomeno, che possono sussistere in casi specifici deroghe alla regola secondo la quale si deve tener conto delle risorse del soggiornante, quando sono motivate da circostanze particolari (22).
24. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo necessario per la constatazione della frode, esso corrisponde, secondo la definizione fornita nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 52) applicata alle circostanze di cui al procedimento principale, all’intenzione dell’interessato di aggirare o eludere le condizioni di rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, al fine di ottenere il relativo vantaggio. Da tale definizione emerge che tale elemento deve essere valutato rispetto alla persona che tenta di ottenere il vantaggio derivante dalle disposizioni di diritto dell’Unione. Nelle circostanze di cui al procedimento principale tale valutazione deve quindi riguardare la persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare.
25. Al riguardo, il fatto che il testo dell’articolo 16, lettera a), della direttiva 2003/86 sia redatto in forma passiva («sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati» e «è stato fatto ricorso alla frode») non implica che sia irrilevante accertare chi abbia fatto ricorso alla frode, come suggeriscono il giudice del rinvio, la Commissione europea e il governo polacco. Infatti, tale redazione è, a mio avviso, dovuta al fatto che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/86, gli Stati membri possono decidere che la domanda di ricongiungimento familiare sia presentata o dal soggiornante o dal familiare.
26. Orbene, nel procedimento principale, la domanda di ricongiungimento familiare sembra essere stata presentata dal padre, in qualità di soggiornante. Se così fosse effettivamente, sarebbe dimostrato anche l’elemento soggettivo della frode, dal momento che il padre era a conoscenza della natura fraudolenta dei documenti presentati a sostegno della domanda di ricongiungimento familiare.
27. Tuttavia, ricordo che, anche quando viene dimostrata una frode ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, le autorità competenti degli Stati membri sono tenute, prima di decidere la revoca del permesso di soggiorno o l’adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, a procedere a una valutazione ai sensi dell’articolo 17 di tale direttiva (23). Tale norma impone in particolare agli Stati membri di prendere «nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine (…)» (24)».
28. Occorre ricordare che dalla giurisprudenza della Corte deriva che l’articolo 17 della direttiva 2003/86 impone un’individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento (25) e che le autorità nazionali competenti, nell’attuazione della direttiva 2003/86, e quindi anche nell’adottare una decisione di revoca di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, sono tenute a effettuare una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco (26). Siffatta revoca non può quindi avvenire automaticamente.
29. Il giudice del rinvio non pone questioni riguardo alla valutazione ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/86 o riguardo alla legittimità della misura di allontanamento di cui sono destinatari la madre e il figlio. Mi limiterò quindi alle due osservazioni seguenti.
30. In primo luogo, la circostanza secondo la quale la madre e il figlio non sono individualmente responsabili della frode, ma ne subiscono le conseguenze deve essere presa, a mio avviso, nella dovuta considerazione nell’ambito della valutazione condotta in base all’articolo 17 della direttiva 2003/86. Infatti, tale disposizione impone di garantire che le misure di revoca e di allontanamento previste dalle autorità nazionali competenti siano proporzionate, proporzionalità da valutare alla luce di tutte le circostanze, di fatto e personali, del caso di specie (27).
31. In secondo luogo, dal considerando 2 della direttiva 2003/86 emerge che quest’ultima riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, che contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare (28). Orbene, la valutazione ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/86 deve essere condotta alla luce di tale diritto, tenendo conto, da un lato, della «durata del (…) soggiorno» (29), nello Stato membro considerato, del titolare del diritto al ricongiungimento familiare, e, dall’altro, dell’«esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine» (30).
32. La durata del soggiorno come elemento da considerare nella ponderazione degli interessi in gioco si riferisce al presupposto secondo il quale più una persona soggiorna per lungo tempo in un particolare Stato, più forti sono i legami con tale Stato e più deboli saranno i legami con il suo paese d’origine (31). In tale contesto, si dovrebbe tener conto, segnatamente, delle particolari situazioni dei cittadini di paesi terzi che hanno trascorso la maggior parte della loro vita nello Stato membro considerato, che ivi sono stati cresciuti e hanno ricevuto un’istruzione (32). L’esistenza o meno di legami familiari, culturali o sociali dell’interessato con il suo paese d’origine, si valuta, per contro, in base a circostanze quali, in particolare, una cerchia familiare presente in tale paese, viaggi o periodi di soggiorno in tale paese, oppure attraverso il livello di conoscenza della lingua di detto paese (33).
33. Orbene, nel procedimento principale, dalla decisione di rinvio emerge che il soggiornante risiede nei Paesi Bassi da più di diciassette anni, e la madre e il figlio da più di sedici anni, in quanto quest’ultimo aveva solo 11 anni quando è arrivato nei Paesi Bassi (34). Non si può quindi escludere che, nel corso di tale periodo, essi abbiano stabilito legami stretti con i Paesi Bassi e che, per contro, i legami con il paese d’origine siano ormai praticamente inesistenti, o quantomeno assai deboli. In tali circostanze, non si può escludere che le conseguenze della revoca del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e di un’eventuale espulsione siano eccessivamente gravose, se non addirittura sproporzionate.
34. Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 2, lettera), della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla revoca di un permesso di soggiorno concesso, come diritto derivato, nell’ambito di un ricongiungimento familiare che sia stato ottenuto in base a informazioni fraudolente quando è dimostrata, in capo alla persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare, l’intenzione di aggirare o eludere le condizioni di concessione di tale permesso, e ciò anche nel caso in cui il titolare di quest’ultimo non fosse al corrente della natura fraudolenta di dette informazioni. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri, prima di procedere a siffatta revoca, valutare, conformemente all’articolo 17 della direttiva 2003/86, tutti gli interessi in gioco ed effettuare tale valutazione alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso di specie, tra le quali il fatto che il titolare del permesso di soggiorno non sia all’origine frode che ha portato alla concessione di detto titolo, né sia a conoscenza di tale frode.
B. Sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109
35. Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato nel senso che esso osta, nelle circostanze di cui al procedimento principale, alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo della madre e del figlio (35).
36. Più precisamente, il giudice del rinvio tenta di stabilire se la circostanza secondo la quale il figlio e a madre non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni concernenti il lavoro del padre, presentate quali documenti giustificativi al fine di ottenere detto statuto, avrebbe dovuto essere presa in considerazione quando il Segretario di Stato ha adottato le decisioni di revoca del 29 gennaio 2014.
37. Come precisato nel considerando 2, la direttiva 2003/109 mira a dare attuazione alla dichiarazione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, a conclusione della quale il Consiglio europeo ha affermato che «occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro per un periodo da definirsi e sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato membro dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea». L’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce l’obiettivo principale della direttiva 2003/109, come emerge, in particolare, dai considerando 4, 6 e 12 (36). Ai fini della realizzazione di tale obiettivo, la direttiva 2003/109 garantisce ai cittadini di paesi terzi che abbiano acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro considerato nei settori elencati all’articolo 11, paragrafo 1, lettere da a) ad h) di detta direttiva, entro il territorio dello Stato membro ospitante.
38. Peraltro, come ha rilevato la Corte ai punti 66 e 67 della sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233), il sistema istituito dalla direttiva 2003/109 subordina l’ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo, dalla stessa previsto, a una procedura particolare e a condizioni precise. In tal senso, l’articolo 4 di tale direttiva prevede che gli Stati membri riservino il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente e ininterrottamente nel loro territorio nei cinque anni immediatamente precedenti la presentazione della relativa domanda (37); l’articolo 5 subordina l’ottenimento dello status suddetto alla prova che il cittadino di un paese terzo che chiede il beneficio di tale status dispone di risorse sufficienti nonché di un’assicurazione malattia; infine, l’articolo 7 precisa i requisiti procedurali che devono essere rispettati.
39. L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, intitolato «Revoca o perdita dello status», dispone che la constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo comporta la perdita del diritto a tale status (38).
40. Nessun elemento del testo di tale articolo stabilisce specificamente che la nozione di «acquisizione fraudolenta» richiede un elemento intenzionale.
41. Tuttavia, come ho già ricordato ai paragrafi da 21 a 22 delle presenti conclusioni, la constatazione di una frode, come emerge dalla sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 50), implica la verifica dell’esistenza di un insieme di indizi concordanti da cui risulti la sussistenza sia di un elemento oggettivo sia di un elemento soggettivo. Pertanto, può essere sanzionata solo la frode commessa materialmente e intenzionalmente dal cittadino di un paese terzo che abbia presentato la domanda di soggiorno di lungo periodo.
42. Il fatto che, come sottolinea la Commissione, la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo abbia implicazioni rilevanti, in particolare per il soggiorno in altri Stati membri (39), non rimette in discussione la necessità, al fine di constatare l’esistenza di una frode, di dimostrare che la persona che ha chiesto di ottenere detto status avesse l’intenzione di aggirare le disposizioni applicabili,. Osservo, del resto, che, contrariamente all’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, che include tra i motivi di revoca anche il semplice utilizzo di «informazioni false o ingannevoli» o di «documenti falsi o falsificati», l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 menziona soltanto il caso di «acquisizione fraudolenta». Fatta salva l’interpretazione che occorre attribuire all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, ciò corrisponde, a mio avviso, all’intenzione del legislatore di limitare la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), solo ai casi in cui sia provato un intento fraudolento. Sottolineo altresì che la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo presuppone un grado elevato di integrazione (40) e di investimento personale (41) dell’interessato nello Stato membro ospitante, il che osta, a mio avviso, a un’interpretazione eccessivamente ampia delle condizioni di revoca di detto status.
43. Infine, mentre i diritti di ingresso e di soggiorno dei familiari, concessi nell’ambito di un ricongiungimento familiare, sono diritti derivati da quello del soggiornante, lo status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109 è un diritto personale, ottenuto a seguito di una domanda presentata dall’interessato in nome proprio. Tale distinzione ci deve indurre, tanto più nel caso di tale status, a respingere l’argomento, sostenuto in particolare dalla Commissione in udienza e fondato sull’adagio «fraus omnia corrumpit», che porterebbe ad attribuire alla frode commessa da terzi un’incidenza determinate ai fini della revoca di detto status. Osta decisamente a siffatto argomento la tradizione di tutela dei diritti individuali della Corte.
44. Nel procedimento principale, riguardo all’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, dall’ordinanza di rinvio emerge che la madre e il figlio non disponevano, in modo autonomo, di risorse stabili, regolari e sufficienti ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 (42). Inoltre, come sottolineato dal giudice del rinvio, dato che i permessi di soggiorno della madre e del figlio per ricongiungimento familiare sono stati acquisiti in base a documenti fraudolenti, la condizione del soggiorno legale stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, non era, in via di principio, soddisfatta al momento della presentazione della domanda dello status di soggiornante di lungo periodo. Ne consegue che le condizioni prescritte da tale direttiva non erano soddisfatte in capo alla madre e al figlio e che, pertanto, è dimostrato l’elemento oggettivo necessario per la constatazione della frode, quale definito nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 51).
45. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo necessario per la constatazione della frode, esso corrisponde, secondo la definizione fornita nella sentenza del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punto 52), applicata alle circostanze di cui al procedimento principale, all’intenzione del richiedente di aggirare o eludere le condizioni di concessione dello status di soggiornante di lungo periodo, al fine di ottenere il relativo vantaggio. Pertanto, solo la conoscenza da parte della madre e del figlio della frode commessa dal padre e la loro intenzione di trarne profitto avrebbe dato luogo a un’acquisizione fraudolenta ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Il giudice del rinvio precisa che la madre e il figlio non erano a conoscenza della natura fraudolenta delle attestazioni del datore di lavoro del padre, che gli stessi hanno presentato come documenti giustificativi volti a dimostrare che essi soddisfacevano la condizione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109. Pertanto, non risulta, nel procedimento principale, che la madre e il figlio abbiano deliberatamente tentato di aggirare tale condizione. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se così è, effettivamente, nel caso di specie.
46. Fatta salva tale verifica, la mancanza in capo alla madre e al figlio di un elemento intenzionale volto ad aggirare le condizioni di concessione dello status di soggiornante di lungo periodo deve indurre a escludere l’esistenza di una frode.
47. A questo punto, occorre rilevare che la constatazione a posteriori della mancanza dei presupposti per la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo non rientra fra i motivi di perdita o di revoca di detto status, i quali sono previsti, tassativamente, all’articolo 9 della direttiva 2003/109. Conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva «[l]o status di soggiornante di lungo periodo è permanente, fatto salvo l’articolo 9», il che implica che, oltre ai casi tassativamente elencati in quest’ultimo articolo (43), detto status non può essere perduto o revocato (44). Infatti, come emerge dai lavori preparatori della direttiva 2003/109, lo status di soggiornante di lungo periodo deve garantire la massima certezza del diritto al suo titolare (45).
48. È vero che la Corte ha affermato nella sentenza del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094, punti 30 e 34), che la condizione del soggiorno legale e ininterrotto nel territorio dello Stato membro interessato nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda di cui trattasi, stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, è una condizione indispensabile per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo previsto dalla stessa direttiva. Tuttavia, tale sentenza riguarda unicamente il rigetto di una domanda di status di soggiornante di lungo periodo. Detta sentenza non precisa che la mancanza di tale condizione, constatata a posteriori, comporta la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo.
49. Ne consegue che, in mancanza della constatazione di una frode, non sussisteva alcuna base giuridica nella direttiva 2003/109 per la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo della madre e del figlio.
50. Da tutte le suesposte considerazioni emerge che l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 deve essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo quando il titolare di tale status non era al corrente della natura fraudolenta delle informazioni che esso ha presentato a sostegno della sua domanda e in base alle quali detto status è stato concesso.
V. Conclusione
51. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Raad van Staat (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nei seguenti termini:
1) L’articolo 16, paragrafo 2, lettera), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla revoca di un permesso di soggiorno concesso nell’ambito di un ricongiungimento familiare che sia stato ottenuto in base a informazioni fraudolente quando è dimostrata, in capo alla persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare, l’intenzione di aggirare o eludere le condizioni di concessione di tale permesso, e ciò anche nel caso in cui il titolare di quest’ultimo non fosse al corrente della natura fraudolenta di dette informazioni. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri, prima di procedere a siffatta revoca, valutare, conformemente all’articolo 17 della direttiva 2003/86, tutti gli interessi in gioco ed effettuare tale valutazione alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso di specie, tra le quali il fatto che il titolare del permesso di soggiorno non sia all’origine della frode che ha portato alla concessione di detto titolo, né sia a conoscenza di tale frode.
2) L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo deve essere interpretato nel senso che esso osta alla revoca dello status di soggiornante di lungo periodo quando il titolare di tale status non era al corrente della natura fraudolenta delle informazioni che esso ha presentato a sostegno della sua domanda e in base alle quali detto status è stato concesso.