Language of document : ECLI:EU:C:2001:594

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 6 novembre 2001 (1)

Causa C-273/00

Ralf Sieckmann

contro

Deutsches Patent- und Markenamt

(domanda di pronuncia pregiudiziale, presentata dal Bundespatentgericht)

«Marchi - Ravvicinamento delle legislazioni - Direttiva 89/104/CEE -

Segni che possono costituire un marchio d'impresa - Capacità distintiva

e riproducibilità grafica - Mancanza di idoneità dei segni olfattivi

a costituire marchi commerciali»

1.
    La questione pregiudiziale che il Bundespatentgericht (Tribunale federale competente in materia di brevetti e marchi) ha sottoposto a questa Corte verte sull'interpretazione dell'art. 2 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (2) (in prosieguo: la «prima direttiva»).

2.
    Il Bundespatentgericht chiede che la Corte di giustizia interpreti il concetto di «segni che possono essere riprodotti graficamente» contenuto nell'art. 2 della prima direttiva.

Vuole però soprattutto sapere se possano costituire marchi segni che, come gli odori, non possono essere riprodotti graficamente in maniera diretta e, conseguentemente, non possono essere percepiti visivamente, ma possono essere rappresentati visivamente attraverso strumenti ausiliari. In caso di risposta affermativa, il tribunale tedesco vuole avere chiarimenti sulle caratteristiche di riproducibilità grafica necessarie nel caso dei segni olfattivi.

I - Contesto normativo

1. Il diritto comunitario: la prima direttiva

3.
    La prima direttiva ha come obiettivo il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa allo scopo di eliminare le disparità che possano ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune. Tuttavia l'armonizzazione che essa persegue è solo parziale, cosicché l'intervento del legislatore comunitario si limita a determinati aspetti attinenti ai marchi d'impresa acquisiti in seguito a registrazione (3).

4.
    L'art. 2 della prima direttiva prevede che:

«Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese».

5.
    Da parte sua l'art. 3 dispone che:

«1    Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a)    i segni che non possono costituire un marchio di impresa;

(...)».

2. La normativa tedesca

6.
    Allo scopo di adeguare il proprio ordinamento giuridico alla prima direttiva, il legislatore tedesco approvava, il 25 ottobre 1994, la Gesetz über den Schutz von Marken und sonstigen Kennezeichnungen (Legge tedesca sulla tutela dei marchi d'impresa e di altri segni) (4).

7.
    L'art. 3, n. 1, della citata legge così definisce i segni che possono costituire un marchio:

«Possono essere tutelati come marchi d'impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persona, i disegni, le lettere, le cifre, i segnali acustici, le raffigurazioni tridimensionali, nonché la forma di un prodotto o il suo confezionamento, al pari di altre presentazioni, nonché i colori e le combinazioni di colori, che siano atti a distinguere i prodotti e i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese».

8.
    L'art. 8, n. 1, della stessa legge prevede che:

«Sono esclusi dalla registrazione i marchi che non possono essere oggetto di rappresentazione grafica».

II - Fatti di cui alla causa principale e questione pregiudiziale

9.
    Il sig. Sieckmann depositava presso il Deutsches Patent- und Markenamt (Ufficio dei marchi e brevetti; in prosieguo: l'«ufficio tedesco»), affinché fosse registrato come segno distintivo di servizi compresi nelle classi 35, 41 e 42 (5), un «marchio olfattivo» consistente nella:

«sostanza chimica pura metilcinnamato (= estere (6) metilico di acido cinnamico), la cui formula di struttura viene riportata in appresso. Campioni di questo marchio olfattivo possono essere anche ottenuti tramite richieste ai locali laboratori elencati nelle pagine gialle della Deutsche Telekom AG o, ad esempio, tramite la ditta E. Merck in Darmstadt.

C6 H5-CH = CHCOOCH3».

10.
    In subordine, nel caso in cui la descrizione di cui sopra non fosse sufficiente ai fini della registrazione di cui all'art. 62 della legge tedesca, il richiedente si dichiarava d'accordo con una consultazione pubblica del marchio da esso depositato, ai sensi dei artt. 61, n. 1, di detta legge, e 48, n. 2, del suo regolamento di attuazione (7).

11.
    Il richiedente presentava inoltre, in un contenitore, un campione olfattivo ed affermava al riguardo che il profumo viene comunemente designato come balsamico-fruttato con una leggera traccia di cannella.

12.
    La Sezione dei marchi dell'Ufficio competente per la classe 35 rifiutava l'iscrizione per due ragioni. La prima, in quanto si trattava di un segno inadatto a costituire un marchio e ad essere riprodotto graficamente (artt. 3, n. 1, e 8, n. 1, della legge tedesca sui marchi). La seconda in quanto privo di carattere distintivo (art. 8, n. 2, sub 1, della stessa legge).

13.
    Non condividendo la decisione di cui sopra, il sig. Sieckmann la impugnava dinanzi al Bundespatentgericht. Quest'ultimo ritiene che gli odori, considerati in astratto, sono idonei a distinguere i prodotti di un'impresa da quelli di altre imprese, ma nutre dubbio sul fatto che un marchio olfattivo possa soddisfare il requisito della riproduzione grafica di cui all'art. 2 della prima direttiva. Dal momento che la decisione della controversia dinanzi ad esso pendente dipende dall'interpretazione di tale requisito, il detto giudice ha sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee le seguenti questioni:

«1)    Se l'art. 2 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, debba essere interpretato nel senso che l'espressione “segni che possono essere riprodotti graficamente” comprende, sul piano concettuale, solo i segni che possono essere direttamente rappresentati nella loro forma visibile ovvero se debbano intendersi in essa compresi anche segni che, pur non essendo visivamente percepibili in quanto tali - come ad esempio profumi o suoni -, possono però essere indirettamente rappresentati attraverso strumenti ausiliari.

2)    Nel caso in cui la questione sub 1 venga risolta nel senso di un'interpretazione estensiva: se risponda ai requisiti di riproducibilità grafica ai sensi dell'art. 2 della direttiva il fatto che un odore venga rappresentato

    a)    attraverso una formula chimica

    

    b)    attraverso una descrizione (da pubblicare)

    

    c)    tramite un deposito o

    

    d)    attraverso una combinazione dei menzionati surrogati di riproduzione».

    

III - Analisi della questione pregiudiziale

14.
    La Corte di giustizia si trova a dover risolvere una causa suggestiva e nello stesso tempo importante. Si tratta di sapere se un odore possa essere registrato come marchio e le condizioni da soddisfare a tal fine.

15.
    Lo studio che affronterò qui di seguito per formulare una soluzione alla questione pregiudiziale deve partire dal concetto di marchio d'impresa attraverso l'analisi delle sue funzioni. Successivamente dovrò abbandonare l'ambito strettamente giuridico, allo scopo di addentrarmi in campi estranei al diritto, per poi rientrarvi nuovamente con le conoscenze necessarie per risolvere la questione se un odore sia registrabile come marchio e se, conseguentemente, possa usufruire dello status che l'ordinamento giuridico comunitario attribuisce a tale forma di proprietà immateriale.

1. Le funzioni del marchio. I marchi come strumento di comunicazione

16.
    Il marchio è un segno (8) la cui funzione è quella di distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese. Ciò è quanto stabilisce con tutta chiarezza l'art. 2 della prima direttiva (9).

17.
    Tale distinzione è necessaria affinché il consumatore o l'utilizzatore finale possano scegliere in tutta libertà tra le molteplici opzioni di cui dispone (10) e favorire, in tal modo, la libera concorrenza sul mercato. La prima direttiva esprime un'idea simile nel primo ‘considerando’ laddove indica che l'armonizzazione da essa perseguita intende superare gli ostacoli frapposti alla libera circolazione dei prodotti e alla libera prestazione dei servizi e, in definitiva, alla libera concorrenza, dalle disparità tra le normative esistenti tra gli Stati membri. Il diritto di marchio «costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato desidera stabilire e conservare» (11) e il legislatore comunitario ha voluto dare il suo contributo a tale desiderio, armonizzando le legislazioni degli Stati membri. Il segno distintivo costituisce pertanto il punto di partenza e la libera concorrenza è l'obiettivo finale (12).

18.
    Per raggiungere tale obiettivo si deve percorrere una strada e il veicolo per poterla percorrere altro non è che il riconoscimento «al titolare del marchio di una serie di diritti e privilegi [(13)] il cui scopo è quello di garantirgli l'uso esclusivo del segno distintivo e proteggerlo contro i concorrenti che vogliano profittare della sua posizione e reputazione» (14). Questo è quanto la giurisprudenza della Corte di giustizia ha denominato «oggetto specifico del diritto di marchio» (15).

19.
    Lo scopo del marchio è quello di far sì che il consumatore possa identificare i prodotti e i servizi secondo la loro origine (16) e qualità (17). Ambedue conferiscono ai beni rappresentati dal segno un'immagine e una reputazione: cioè la fama del marchio (18). La funzione è pertanto quella di porre in essere un dialogo tra produttore e consumatore affinchè quest'ultimo conosca i prodotti, il fabbricante lo informi e talvolta lo convinca (19). In realtà, il marchio è comunicazione (20).

20.
    Comunicare vuol dire rendere un altro partecipe di ciò che uno possiede (21). Di conseguenza ogni atto di comunicazione richiede un emittente, un messaggio, un mezzo o un canale attraverso il quale trasmetterlo e un ricevente che possa decifrarlo o decodificarlo. Il codice nel quale tale atto può essere redatto dipende dalla natura del decodificatore con il quale il destinatario lo riceve, lo capisce e lo assimila. Ora, l'homo sapiens è un ricettore con molteplici decodificatori (22).

21.
    Tutto il corpo umano è un mezzo di ricezione sensoriale e, pertanto, il riconoscimento di un segno da parte del consumatore può assumere tante forme quanti sono i suoi sensi (23).

2. I segni atti a distinguere; in particolare, i segni olfattivi

22.
    Se lo scopo del marchio è quello di mettere il consumatore in grado di distinguere i prodotti e i servizi che gli vengono offerti in base alla loro origine, tale operazione può essere svolta da qualunque organo sensoriale con il quale si comunica con il mondo esterno. Il segno distintivo può essere percepito con la vista, con l'udito, con il tatto, con l'olfatto o anche con il gusto (24). A priori, ogni messaggio percepibile dai sensi può costituire un'indicazione per il consumatore e può, conseguentemente, essere un segno atto ad adempiere la funzione distintiva di un marchio (25).

23.
    In linea di principio quindi nulla impedirebbe che i marchi possano essere costituiti da messaggi diversi da quelli percepibili con gli occhi (26).

24.
    Orbene, nonostante che ogni messaggio percepibile con uno dei sensi possa costituire un segno atto ad identificare i prodotti di un'impresa, tale congenita attitudine non è sempre la stessa. Il motivo è molto semplice: la percezione del mondo esterno da parte di un essere umano è diversa a seconda del senso, del tramite attraverso il quale esso viene recepito (27).

25.
    In neurofisiologia si fa normalmente la distinzione tra i sensi «meccanici» e quelli «chimici». I primi sarebbero il tatto, la vista e l'udito, i tre facilmente percepibili poiché rispondono all'idea di forma (gestalthaft - «l'essenza della forma» -) e possono essere descritti in modo relativamente oggettivo. La caratterizzazione dei secondi, il gusto e l'olfatto, presenta tuttavia maggiori difficoltà per la mancanza di linee guida precise per definire il loro contenuto. Nella cultura occidentale, l'olfatto e il gusto, nonché il tatto, sono posti in secondo piano. Per Platone e Aristotele sono sensi che procurano piaceri meno puri ed elevati rispetto alla vista e all'udito. Nell'Europa illuministica, Kant li presentava come sensi ingrati e Hegel li considerava incapaci di trasmettere una vera conoscenza del mondo e del proprio Io. Freud e Lacan li relegavano al mondo animale e facevano dipendere lo sviluppo della civiltà dall'indebolimento di tali sensi (28).

26.
    Quando si parla di soggettività o oggettività dei sensi la prudenza è d'obbligo. Non esistono organi sensoriali oggettivi e organi sensoriali soggettivi. Nell'opera citata, Goethe sostiene che il senso della vista e la percezione dei colori sono carichi di relativismo (29). D'altra parte, si sa che la rappresentazione di un'opera musicale non è sempre uguale (30), dipende da chi ascolta, dalla sua sensibilità. In fondo chi riceve il messaggio è un individuo con la sua propria esperienza e le sue singolari capacità percettive. Si deve invero parlare di maggiore o minore perfezione della percezione sensoriale e, conseguentemente, di maggiore o minore rigore nella descrizione di quanto percepito dal ricevente.

27.
    A questo punto, diventa difficile caratterizzare in modo generale i sensi per affermare che il più sviluppato è quello della vista. La capacità dell'occhio umano nel discernere colori è limitata (31) così come lo è l'olfatto umano nel riconoscere gli odori. Inoltre, la descrizione di un colore può arrivare ad un grado di imperfezione e difficoltà pari a quella di un odore (32).

28.
    Qual è quindi la differenza? L'occhio permette di vedere non solo il colore ma anche le forme (33), e l'olfatto permette di percepire il «colore dell'odore», mai però le sue «fattezze» (34). Nel senso della vista vi è una più ampia percezione e, conseguentemente, una più ampia comprensione. Questa è, secondo noi, la gran differenza che, con riferimento alla capacità di distinzione, esiste tra i messaggi visivi e, per quanto di rilievo nella presente specie, tra quelli olfattivi.

29.
    Riteniamo comunque indiscutibile l'idoneità in astratto dei segni che si percepiscono con l'olfatto a svolgere una funzione rappresentativa. Se si vogliono simbolizzare i prodotti o i servizi aventi una determinata origine, per distinguerli da quelli aventi origine diversa, se si tratta di evocare un concreto lignaggio, una qualità, una reputazione imprenditoriale, la cosa migliore è affidarsi ad un senso che, come quello olfattivo, ha innegabili qualità evocative, nonché persuasive (35). Dice M.D. Rivero, nell'opera citata (36), che gli studi sulla percezione degli odori dimostrano che la memoria olfattiva è probabilmente la migliore che l'essere umano possiede (37). L'olfatto, per la sua particolare funzione nel sistema nervoso, è molto legato alle strutture limbiche che influiscono nella rievocazione dei ricordi e nelle emozioni (38). Come Marcel Proust (39) ha appropriatamente rilevato sulla base delle ultime scoperte in campo neurofisiologico, i ricordi e le emozioni procedono parallelamente.

30.
    Tale proprietà dei segni percepibili con l'olfatto a svolgere la funzione distintiva propria dei marchi non è teorica. Alcuni ordinamenti giuridici hanno accolto i marchi olfattivi. Il primo è stato quello statunitense. Il 19 settembre 1990 veniva autorizzata la registrazione di un marchio consistente nella «fragranza fresca floreale che ricorda i fiori della mimosa di colore rosso», per distinguere filo da cucire e filo da ricamo (40). Occorre tuttavia fare due precisazioni su tale marchio. In realtà, il marchio non è tanto l'odore quanto il prodotto profumato, indipendentemente dalla sua fragranza (41).

31.
    La seconda concrezione è di maggior importanza e soddisfa una peculiarità propria del sistema statunitense di registrazione di marchi commerciali. A differenza di quanto avviene nell'ordinamento giuridico comunitario e in quello della maggior parte degli Stati membri, affinché determinati segni possano essere registrati come marchio non è sufficiente che abbiano carattere distintivo, ma è altresì indispensabile che tale capacità sia stata dimostrata in pratica attraverso il loro uso esclusivo e continuato durante un determinato periodo di tempo (secondary meaning). In questo caso, i diritti di marchio sorgono con l'uso, non per effetto della registrazione. Il simbolo diventa marchio quando la clientela lo considera come tale (42).

32.
    Nell'ordinamento giuridico comunitario, l'Ufficio per l'armonizzazione del mercato interno ha autorizzato la registrazione del marchio «profumo dell'erba appena tagliata» per identificare determinate palline da tennis (43). Ma si tratta, sembra, di una «perla nel deserto», di una decisione isolata senza seguito (44).

33.
    Nel Regno Unito (45) lo United Kingdom Trade Mark Registry ha autorizzato due marchi olfattivi: l'odore di rosa in riferimento a pneumatici (marchio n. 2001416) e l'odore di birra per distinguere freccette (marchio n. 2000234). Ciononostante, come afferma il governo britannico nelle sue osservazioni scritte (46), la prassi rispetto a tale tipo di marchi sta cambiando. Infatti il Registry, con decisione 16 giugno 2000, confermata con decisione 19 dicembre dello stesso anno, pronunciata a seguito di ricorso, ha negato l'iscrizione di un marchio consistente nell'aroma o essenza di cannella per identificare mobili e suoi accessori (n. 2000169).

34.
    In Francia (47) i profumi possono essere oggetto di diritti d'autore (48) e nel Benelux è stato autorizzato un marchio olfattivo per prodotti cosmetici (49).

3. L'impossibilità dei messaggi olfattivi di essere «riprodotti graficamente»

35.
    Ora, conformemente a quanto dispone l'art. 2 della prima direttiva, per poter costituire un marchio d'impresa non è sufficiente che i segni «siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese», ma devono inoltre poter essere «riprodotti graficamente» (50).

36.
    Tale requisito si impone per il principio di certezza del diritto. Un marchio registrato attribuisce un monopolio al suo titolare, che usa in modo esclusivo, nei confronti dei terzi, i segni che lo compongono. La consultazione del registro deve permettere di conoscere, con l'ampiezza propria della pubblicità tipica dei registri, la natura e la portata dei segni, delle indicazioni e dei simboli registrati come marchi e, a tale scopo, è richiesta la loro riproducibilità grafica. Se ciò che si vuole conseguire è che un imprenditore, per distinguere i propri prodotti e i servizi da quelli di altri, faccia propri determinati segnali ed indicazioni, occorre conoscere con dettagliata precisione i simboli di cui si appropria, affinché gli altri sappiano come regolarsi. Nel solco della certezza del diritto, il requisito della riproducibilità grafica si raccorda alla funzione distintiva, prima ed essenziale funzione del marchio.

37.
    Riprodurre graficamente significa descrivere qualcosa usando simboli atti ad essere disegnati. Ciò vuol dire che all'attitudine originaria di un segno qualunque a distinguere deve aggiungersi la sua capacità ad essere «portato su carta» e, di conseguenza, ad essere percepito visivamente. Dal momento che lo scopo è quello di differenziare, tale rappresentazione deve farsi in modo da risultare comprensibile, poiché la comprensione è il presupposto della distinzione.

38.
    Non è pertanto sufficiente una qualsiasi rappresentazione grafica, ma è necessario che vengano soddisfatte due condizioni. La prima, che la rappresentazione sia completa chiara e precisa, affinché si sappia, senza alcun dubbio, ciò che si monopolizza. La seconda, che essa sia comprensibile a coloro che possano essere interessati a consultare il registro, ossia gli altri produttori e i consumatori (51). Idoneità a distinguere e capacità di riproduzione grafica sono due elementi che convergono unitariamente allo stesso scopo: cioè a che i potenziali acquirenti sul mercato possano scegliere i prodotti in funzione della loro origine. Si riproducono graficamente i segni che costituiscono un marchio allo scopo di tutelare e dare pubblicità al fatto che un imprenditore se ne è appropriato, che cioè se ne è impossessato per distinguere i suoi prodotti o i servizi da esso forniti.

39.
    E' possibile «disegnare» un odore? Un segno olfattivo può essere riprodotto graficamente con precisione e chiarezza per tutti? La risposta a mio parere è negativa. Sembra essere altrettanto anche per lo stesso sig. Sieckmann, il quale, nel suo intervento orale svolto nel corso della pubblica udienza, ha ammesso che gli odori non possono essere riprodotti graficamente. Per giungere a tale conclusione è sufficiente analizzare le alternative proposte dal Bundespatentgericht nella seconda questione.

40.
    La formula chimica non rappresenta l'odore di una sostanza, bensì la sostanza stessa. Sarebbero i componenti chimici e le precise proporzioni per ottenere un determinato prodotto ciò che resterebbe oggetto di registrazione, mai però il segno olfattivo. Inoltre, una rappresentazione del genere difetterebbe della necessaria chiarezza e precisione. Un numero molto ristretto di persone sarebbero capaci di interpretare un odore partendo dalla formula chimica rappresentativa del prodotto dal quale tale odore emana, e cioè dagli elementi che lo compongono e dalle quantità (52) da mescolare per ottenerlo (53). Si aggiunga a quanto detto che uno stesso prodotto può emettere segnali olfattivi diversi in funzione di fattori aleatori come la sua concentrazione, la temperatura ambiente o l'elemento a cui venga applicato (54).

41.
    Certo la descrizione di un segno o di un segnale attraverso il linguaggio scritto è una riproduzione grafica, ma, di per sé, non soddisfa i necessari requisiti di chiarezza e precisione (55). Per le ragioni sopra esposte, la descrizione di un disegno presenta minori difficoltà di quella di un passaggio musicale, di un colore o di un odore. La forma che accompagna il disegno permette un'oggettivazione delle sue caratteristiche, il che non avviene con i segni non figurativi. La descrizione di un odore comporta una maggiore soggettività (56) e, conseguentemente, una maggiore relatività, il che si pone in contrasto con la precisione e la chiarezza (57). Ritrovo la prova concreta di ciò che voglio affermare nella fattispecie che è all'origine del presente rinvio pregiudiziale. In essa il ricorrente chiede la tutela come marchio di un aroma «balsamico-fruttato con una leggera traccia di cannella». Cosa significa balsamico? Cosa si intende per carattere fruttato? Che intensità raggiunge la traccia di cannella? Con tale descrizione sarebbe impossibile conoscere il segno olfattivo che l'attore pretende monopolizzare. Anche se essa fosse più ampia, non sarebbe più precisa e non si potrebbe mai sapere, con certezza, in che cosa consiste l'odore in questione (58). Appare evidente che la descrizione di un odore non è una riproduzione grafica adeguata nel senso di cui all'art. 2 della prima direttiva (59).

42.
    Infine, il deposito nel registro di un campione del prodotto chimico da cui emana l'odore non è una «riproduzione grafica» del segno distintivo. E anche se si ammettesse l'esistenza di un titolare della sostanza che produce l'odore, alle difficoltà relative all'iscrizione, riguardanti la sua chiarezza e precisione, si aggiungerebbero quelle relative agli inconvenienti della sua pubblicazione e del trascorrere del tempo. Per effetto della volatilità dei suoi componenti, un odore cambia con il passare del tempo, fino anche a scomparire (60).

43.
    Se nessuno dei surrogati proposti nella seconda questione, considerati isolatamente, sono atti a soddisfare le esigenze proprie di una «riproducibilità grafica», che permetta di conoscere con chiarezza e precisione il segno o i segni che costituiscono il marchio, il loro insieme può creare incertezza ancora maggiore. La registrazione di una formula chimica, accompagnata da un campione e da una descrizione dell'odore che produce, aumenta il numero di messaggi con i quali conoscere il segno e, pertanto, il rischio di differenti interpretazioni, introducendo, se ancora possibile, maggiore incertezza (61).

44.
    Non pretendo assolutamente negare che i messaggi olfattivi possano essere rappresentati per iscritto. So dell'esistenza di diversi sistemi, messi a punto dalla scienza per «disegnare» gli odori (62), ma allo stato attuale di sviluppo, tutti presentano le difficoltà esposte e difettano della chiarezza e precisione necessarie nell'espressione visiva di un segno distintivo che si vuole far proprio come marchio.

45.
    Non è necessario escludere taluni segni espressamente dalla normativa sui marchi. Ve ne sono che si escludono da soli in quanto non conformi alle formalità richieste dal diritto sui marchi (63).

46.
    Concludendo, gli odori, nonostante possano avere un carattere distintivo, non possono essere «riprodotti graficamente» come richiede l'art. 2 della prima direttiva. Di conseguenza, secondo quanto stabilito da detta disposizione, essi non sono atti ad essere marchi né, di conseguenza, ad essere registrati come tali, conformemente a quanto disposto nell'art. 3, n. 1, lett. a), della stessa direttiva.

IV - Conclusioni

47.
    Alla luce delle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di giustizia di risolvere le questioni sottopostele dal Bundespatentgericht, nel senso che:

«1)    L'art. 2 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa, richiede che un segno, per poter essere un marchio, debba avere carattere distintivo e poter essere riprodotto graficamente, in modo completo, chiaro, preciso e comprensibile per la generalità dei fabbricanti e dei consumatori.

2)    Allo stato, gli odori non possono essere riprodotti graficamente nel modo indicato e, conformemente a quanto disposto nel menzionato articolo, non possono essere marchi».


1: -     Lingua originale: lo spagnolo.


2: -     GU 1989, L 40, pag. 1.


3: -     V. il primo, terzo, quarto e quinto ‘considerando’ della prima direttiva.


4: -     BGBl. 1994, I, pag. 3082.


5: -     Classe 35: pubblicità, gestione di attività commerciali, amministrazione commerciale e lavori di ufficio.

    Classe 41: educazione, formazione, attività di svago, attività sportive e culturali.

    Classe 42: ristorazione, soggiorni temporanei, cure mediche, igieniche e di bellezza, servizi veterinari e agricoli, servizi giuridici, ricerca scientifica e industriale, programmazione di computer e servizi che non rientrano in altre classi.


6: -     L'estere è un composto chimico risultante dalla sostituzione, in qualsiasi acido, organico o inorganico, di alcuni atomi di idrogeno con radicali alcolici.


7: -     BIPMZ Sonderheft, 1994, pagg. 156 e segg.


8: -     Di quale tipo di segno si tratti è quanto dovremo accertare nelle presenti conclusioni.


9: -     In modo analogo è formulato l'art. 4 del regolamento (CE) 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»). Sulla stessa linea si pongono le normative degli Stati membri. Si possono citare ad es.: a) la Germania: art. 3, n. 1, della legge sui marchi, già riportato; b) il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi: art. 1 della legge uniforme del Benelux 19 marzo 1962, sui marchi; c) la Spagna: art. 1 della legge 10 novembre 1988, n. 32, sui marchi; d) la Francia: art. 711-1 del Codice della proprietà intellettuale; e) l'Italia: art. 16 del Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 480; f) il Portogallo: art. 165, n. 1, del Codice della proprietà industriale, approvato con Decreto legge 24 gennaio 1995, n. 16; g) il Regno Unito: art. 1, n. 1, del Trade Marks Act 1994. Fuori dalle frontiere dell'Unione europea, il Lanham Act, che, dal 1946, negli Stati Uniti d'America, è il testo giuridico di base della disciplina federale relativa a tale forma di segni distintivi, definisce i marchi attribuendogli un compito analogo. In Australia, il Trade Marks Act 1995 stabilisce anch'esso che i marchi hanno il compito di distinguere i prodotti e i servizi di un impresario da quelli di un altro impresario (art. 17, paragrafo 3).


10: -     Nella sentenza 17 ottobre 1990, causa C-10/89, HAG GF (Racc. pag. I-3711), la Corte di giustizia ha segnalato che si tratta di «garantire al consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione questo prodotto da quelli aventi diversa origine» (punto 14). La Corte si è pronunciata in questo modo anche nella sentenza 4 ottobre 2001, causa C-517/99, Merz e Krell (Racc. pag. I-6959, punto 22).


11: -     Sentenze citate, HAG GF, punto 13, e Merz e Krell, punto 21.


12: -     Paradossalmente, per assicurare la libera concorrenza sul mercato si configura un diritto che costituisce un'eccezione al principio generale della concorrenza, attribuendo al suo titolare la facoltà di appropriarsi in esclusiva di determinati segni e indicazioni. Per tale motivo, l'art. 36 del Trattato CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 30 CE) permette divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito all'interno del territorio comunitario, per motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale.


13: -     Che la prima direttiva prevede nell'art. 5.


14: -     V. i paragrafi 31 e 32 delle conclusioni da me presentate il 18 gennaio 2001 nella causa relativa alla sentenza Merz e Krell. Pertanto, il titolare di un marchio registrato è tutelato quando esiste identità o rischio di confusione tra il suo segno distintivo e quello utilizzato da un terzo, compreso il caso in cui esista possibilità di associazione tra tale segno e il suo marchio (v. artt. 4, n. 1, e 5, n. 1, della prima direttiva; nonché sentenze 29 settembre 1998, causa C-37/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 18, e 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punto 34).


15: -     V., per tutte, sentenze HAG GF, citata, punto 14, e 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW (Racc. pag. I-905, punto 52). Il rapporto tra l'«oggetto specifico» del diritto di marchio e la «funzione essenziale» di tale forma di proprietà industriale nella giurisprudenza della Corte di giustizia è stato analizzato da I. de Medrano Caballero in «El derecho comunitario de marcas: la noción de riesgo de confusión», Revista de Derecho Mercantil, n. 234, ottobre-dicembre 1999, pagg. 1522-1524.


16: -     E' la cosiddetta funzione essenziale del marchio (sentenze citate Canon, punto 28, e Merz e Krell, punto 22). L'avvocato generale Cosmas, nelle conclusioni presentate nella causa relativa alla sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779) ha affermato che la funzione essenziale del marchio «[...] consiste, da una parte, nell'individuare i prodotti di un'impresa e nel contraddistinguerli da quelli di altre imprese (carattere distintivo del marchio) e, dall'altra, nel collegarli ad una determinata impresa (garanzia di provenienza)» (paragrafo 27). Non si tratta di identificare un prodotto con un imprenditore in particolare, bensì di identificarlo come uno ulteriore tra quelli designati con lo stesso marchio, nonostante non si conosca la sua origine. L'obiettivo è che, chiunque sia il fabbricante, tutti i prodotti che portano uno stesso marchio provengano da esso. V., a tal proposito, C. Fernández Novoa, Fundamentos de derecho de marcas, editorial Montecorvo, Madrid, 1984, pagg. 46-49, e H. Baylos Corroza, Tratado de derecho industrial, edizioni Civitas, 2a ed., Madrid, 1993, pag. 817.


17: -     E' la funzione di indicazione della qualità, che incentiva gli imprenditori ad investire per migliorare i loro prodotti e i loro servizi. Se vogliono che le imprese siano «[...] in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o dei loro servizi [...]» (sentenza HAG GF, citata, punto 13). Nello stesso senso si è espressa la Corte di giustizia al punto 21 della sentenza Merz e Krell.


18: -     Funzione di cumulo della reputazione o dell'immagine.


19: -     La funzione pubblicitaria del marchio, che è la più controversa. Sulla funzione del marchio in relazione alle nuove modalità di tale forma di proprietà industriale vedansi M.L. Llobregat «Caracterización jurídica de las marcas olfativas como problema abierto», Revista de Derecho Mercantil, n. 227, Madrid, gennaio-marzo 1998, pagg. 54-56, e M.D. Rivero González, «Los problemas que presentan en el mercado las nuevas marcas cromáticas y olfativas», Revista de Derecho Mercantil, n. 238, Madrid, ottobre-dicembre 2000, pagg. 1657-1664.


20: -     C.H. Fezer, ¿Cuándo se convierte un signo en marca?, relazione presentata nel Simposio sul marchio comunitario, tenutosi ad Alicante nel novembre del 1999, sostiene che il marchio è un segno di comunicazione nel mercato; agisce come un codice di segnali che pone in contatto gli imprenditori e i consumatori nel mercato (citato da M.D. Rivero González, nel lavoro al quale abbiamo fatto riferimento).


21: -     Sui marchi come portatori di informazioni, v. S. Maniatis, «Scents as Trademarks: Propertisation of Scents and Olfactory Poverty», in Law and The Senses (Sensational Jurisprudence), edizione L. Bently e L. Flynn, Pluto-Press, Londra-Chicago, 1996, pagg. 217-235.


22: -     V. A. Polasso, «La Comunicación inteligente», in Humaniora, pagina web della Facoltà d'arte dell'Università di Göteborg (www.hum.gu.se), pagg. 61 e segg.


23: -     V. Marcas sonoras y olfativas, nella scheda informativa redatta da Henson & Co. Patentes y Marcas (http://publicaciones.derecho.org/henson/5._Noviembre_de_1999/2). In tale ricerca si mette in rilievo come «in svariate situazioni della vita quotidiana ci troviamo con le spalle al televisore e, senza necessità di girare la testa, siamo in grado di identificare il prodotto che stanno annunciando attraverso la musica o la sintonia che lo accompagna».


24: -     Tale idea è stata espressa in modo molto elegante da J.W. von Goethe nella prefazione alla sua Teoria dei colori: «i colori sono azioni della luce, azioni e passioni [...] Colori e luce stanno anzi in rapporto strettissimo, ma dobbiamo rappresentarci l'una e gli altri come appartenenti all'intera natura: poiché è proprio essa che, tramite loro, si svela per intero in particolar modo al senso della vista. La natura intera si scopre anche a un altro senso. Si chiudano gli occhi, si presti attento ascolto e, dal più leggero soffio fino al più selvaggio rumore, dal più elementare suono fino al più complesso accordo, dal più veemente e appassionato grido fino alle più miti parole della ragione, sarà sempre la natura a parlare, a rivelare la propria presenza, la propria forza, la propria vita e le proprie confessioni, cosicché un cieco, a cui l'infinitamente visibile fosse negato, in ciò che è udibile potrà cogliere un infinitamente vivente. Così la natura parla agli altri sensi, sensi conosciuti, misconosciuti, ignoti; così parla a se stessa e a noi attraverso mille manifestazioni» (abbiamo utilizzato l'edizione il Saggiatore 1981).


25: -     M.A. Perot-Morel, «Les difficultés relatives aux marques de forme et à quelques types particuliers de marques dans le cadre communautaire», Rivista di diritto industriale, anno XLV (1996), prima parte, pagg. 247-261, in particolare pag. 257. Tale autore, tuttavia, precisa poi la sua affermazione riguardo ai sensi del gusto e del tatto, sostenendo che i segni gustativi e tattili non possono essere percepiti dal pubblico indipendentemente dall'oggetto che rappresentano: il gusto di un prodotto può essere inteso solo degustandolo e la morbidezza di un tessuto può essere rilevata unicamente toccandolo (pag. 260). Inoltre, in questi casi il segno non potrebbe mai essere un marchio mancando di capacità distintiva: il gusto di una mela descrive tale frutto. Un sapore potrebbe essere un marchio solo se non avesse nulla a che vedere con il sapore di un determinato prodotto; per es., il sapore di mela per distinguere una linea di cosmetici. Ma in tal caso per cogliere il segno distintivo sarebbe necessario provare una mela, nel qual caso il segno sarebbe tale frutto, oppure provare un prodotto cosmetico al sapore di mela, nel qual caso il segno distintivo non sarebbe più l'odore, bensì il prodotto in sé. Con il senso del tatto succede lo stesso, la qual cosa ci permette di affermare che possono costituire marchi solo quei segni e segnali che, come quelli visivi, sonori e olfattivi, si muovono nello spazio e possono essere colti indipendentemente dall'oggetto del quale sono una caratteristica. Sulle difficoltà di identificazione di un prodotto per il suo odore, prima di ottenerlo, v. l’Opera di S. Maniatis citato, pagg. 222 e 223.


26: -     M.D. Rivero Gonzáles afferma nell'opera già citata (pag. 1646) che gli studi di marketing dimostrano che la percezione da parte del consumatore, con altri organi diversi dalla vista, di stimoli nella differenziazione dei prodotti può essere di grande utilità per la comunicazione che si ricerca con il marchio.


27: -     V. le considerazioni fatte al proposito nella nota 25.


28: -     V. O. Laligant, «Des ouvres aux marches du droit d'auteur: les ouvres de l'esprit perceptibles par l'odorat, le goût et le toucher», Revue de recherche juridique, Droit prospectif, 1992, n. 1, pagg. 107 e 108, citato da J.-P. Clavier, Les catégories de la propiété intellectuelle à l’épreuve des créations génétiques, editore l'Harmattan, 1998, pag. 248.


29: -    «Credo che sogniamo per non smettere di vedere» dice ne Le affinità elettive (citato da J. Arnaldo nello studio introduttivo alla versione spagnola de La teoria dei colori, Consejo General de la Arquitectura de España y Celeste Ediciones). Non c'è nulla di più personale dei sogni.


30: -     Neppure lo è la sua interpretazione.


31: -     Si cita come esempio il fatto che, dinanzi ad un catalogo di colori utilizzato dalle case commerciali di pittura, la scelta di un determinato colore (rosa, verde o azzurro) tra le diverse tonalità (venti o trenta in carte ridotte) risulta essere un vero e proprio problema. L'occhio umano può distinguere, senza rischio di confusione, tra tre o quattro tonalità di uno stesso colore. Un consumatore medio non è in grado di distinguere tonalità di colore vicine o simili (v. M.D. Rivero González, op. cit., pag. 1673).


32: -     Si tenga conto, per esempio, che le carte di colori che si utilizzano nel mercato possono presentare fino a 1 750 tonalità in mescole (v. M.D. Rivero González, op. cit., nota a pié di pagina 78, pag. 1675).


33: -     In «Saggi sulla pittura» (Aesthetica Edizioni Palermo), D. Diderot diceva che «il disegno è ciò che da la forma agli esseri; il colore è ciò che da ad essi la vita». La relazione tra il colore e la forma è stata spiegata nel 1975, in modo molto grafico, da Ch Metz nel suo lavoro, Lo percebido y lo nombrado (ottenibile su internet all'indirizzo www.otrocampo.com). Diceva Metz che, in un'esposizione di vestiti se due articoli sono di identica fattura e si distinguono per il colore, si ritiene che si tratti dello stesso capo in due «tonalità», quindi la cultura fa da base alla costanza dell'oggetto (della forma) e la lingua l'afferma: solo l'attributo è cambiato. Se i due articoli sono di colore identico e di fattura diversa, nessuno penserà né dirà che il negozio offre «la stessa tonalità in due vestiti», si dirà piuttosto che i due vestiti «sono della stessa tonalità». Il colore è il predicato: sono due oggetti distinti che hanno colore identico.


34: -     In realtà, colori e odori presentano eguali difficoltà ai fini della loro ammissione come marchi d'impresa; ciò emerge dal citato studio realizzato da M.D. Rivero González.


35: -     P. Süskind, Il profumo, storia di un assassino, editore Longanesi & C. 2a ed. 1985, racconta la storia di un uomo del XVIII secolo francese, in possesso di uno straordinario senso dell'olfatto, che provoca numerose morti attorno a sé con i suoi profumi, fino ad essere divorato in una raccapricciante scena di cannibalismo. Alla pag. 87 scrive che «il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi».


36: -     Pag. 1677.


37: -     Nel numero di Le Monde di sabato 7 luglio 2001, apparve una notizia (pag. 16) dal titolo «Fouiller la mémoire pour accroître l'effet des publicités», nella quale si riporta che ricercatori in scienze conoscitive e in neurofisiologia si mettono al servizio degli esperti in pubblicità per migliorare la memorizzazione dei messaggi commerciali.


38: -     Ch Baudelaire lo esprime con bellezza nella sua poesia Le parfum, contenuta in Spleen et Idéal, all'interno de «Les fleurs du mal», Ed Gallimard (La Pléiade) Paris, 1971, pag. 39.

    Lecteur, as-tu quelquefois respiré

    Avec ivresse et lente gourmandise

    Ce grain d'encens qui remplit une église,

    Ou d'un sachet le musc invéteré?

    Charme profond, magique dont nous grise

    Dans le présent le passé restauré

    Ainsi l'amant sur un corps adoré

    Du souvenir cueille la fleur exquise.

    Dans ses cheveux élastiques et lourds

    Vivant sachet, encensoir de l'alcôve,

    Une senteur montait, sauvage et fauve,

    Et des habits, mousseline ou velours,

    Tout imprégnés de sa jeunesse pure,

    Se dégageait un parfum de fourrure.


39: -     Il fenomeno della memoria involontaria provocato da determinate percezioni sensoriali evocative di un tempo anteriore costituisce l'elemento propulsivo del processo creativo di M. Proust in À la recherche du temps perdu. Indipendentemente dal noto episodio della maddalena inzuppata in una infusione di tè, che giustifica e fa nascere il romanzo (S. Doubrousky, La place de la madeleine, Écriture et fantasme chez Proust, Edizioni Mercure de France, París, 1974, pagg. 7 e segg.), vi sono altri atti di percezione immediata e fortuita, tra i quali lo scrittore irlandese Samuel Beckett, premio Nobel per la letteratura nel 1969, sottolinea l'odore di luogo chiuso in una delle toilette pubbliche dei Campi Elisei (S. Beckett, Proust, edizioni Grove Press; trad. it. Proust, SugarCo, Milano 19942, pag. 38), nonostante vi siano svariate altre impressioni olfattive che compaiono in tutta l'opera proustiana, come l'odore di una strada, quello delle foglie degli alberi, la fragranza di un fiore oppure il puzzo di una stanza chiusa (J.-P. Richard, Proust et le monde sensible, edizioni du Seuil, París, 1974, pagg. 133 e 134). In concreto, l'odore di luogo chiuso che proveniva dalle vecchie e umide pareti dell'entrata dei lavabo, dalla quale il narratore aspetta che Françoise esca, lo riempie di «un piacere consistente, nel quale io potevo appoggiarmi, delizioso, tranquillo e pieno di verità duratura, certa e inspiegabile» (M. Proust, À la recherche du temps perdu, À l'ombre de jeunes filles en fleurs, Edizioni Gallimard, La Pléiade, París, 1987, tomo I, pag. 483).


40: -     Più recentemente, il 26 giugno 2001, è stato registrato un marchio consistente nel profumo di ciliegia, per distinguere lubrificanti sintetici per veicoli da competizione o destinati allo spettacolo. Sono pendenti altre quattordici decisioni di registrazione di marchi olfattivi.


41: -     V. l'opera di M.L. Llobregat, citato, pag. 110 e segg.; v. anche E. Gippini Fournier, «Las marcas olfativas en los Estados Unidos», Actas de Derecho Industrial, volume XIV, 1991-1992, edizione congiunta dell'«Instituto de Derecho Industrial de la Universidad de Santiago de Compostela» e di Marcial Pons, Ediciones jurídicas, S.A., Madrid, 1993, pagg. 157-167. Nella decisione che autorizza tale marchio, il Trademark Trial and Appeal Board precisava che non può essere utilizzato come precedente per la registrazione di odori che rappresentano prodotti i quali di per sé sono olfattivi (acqua di colonia, prodotti per la pulizia). I marchi di tale natura sarebbero ammissibili solo per prodotti che, normalmente, non sono associati ad un odore.


42: -     V. J.T. McCarthy, «Les grandes tendances de la législation sur les marques et sur la concurrence déloyale aux Etats-Unis d'Amérique dans les années 1970», La Propiété industrielle, Revue mensuelle de l'Organisation Mondiale de la Propiété Intellectuelle, n. 10, ottobre 1980, pagg. 225 e 226. Il secondary meaning non è sconosciuto nel diritto comunitario sui marchi. L'art. 3, n. 3, della prima direttiva permette la registrazione come marchio di segni che, pur mancando inizialmente di carattere distintivo, lo acquistano con l'uso (in senso analogo è formulato l'art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94).


43: -     Decisione della Seconda Commissione di ricorso 11 febbraio 1999, causa R 156/1998-2, domanda n. 428.870.


44: -     Nell'Oami News, n. 3, 1999, pag. 4, troviamo un trafiletto nel quale si afferma che, nonostante l'autorizzazione del marchio n. 428.870, «profumo dell'erba appena tagliata», rimane in vigore, come condizione per autorizzare un deposito, la prassi dell'ufficio, consistente nel richiedere una rappresentazione grafica (bidimensionale) di tutti i marchi non verbali.


45: -     Sui marchi olfattivi in Gran Bretagna, v. punti 33 e segg. delle osservazioni scritte presentate dal governo britannico.


46: -     Punto 37.


47: -     Il Bullettin Officiel de la Propiété Industrielle francese ha pubblicato la domanda di registrazione di cinque marchi olfattivi, ma nessuno è stato ancora registrato.


48: -     V. sentenza della Cour d'appel de Paris 3 luglio 1975, Rochas, nonché sentenza del Tribunal de Commerce de Paris, 24 settembre 1999, Thierry Mugler Parfums.


49: -     Il deposito (n. 925.979) è stato effettuato dalla società francese Lancôme Parfums et Beauté & Cie. Il Bureau Benelux des marques ha autorizzato anche il profumo dell'erba appena tagliata per identificare palline da tennis.


50: -     Lo stesso dispone l'art. 8, n. 1, della legge tedesca nel vietare la registrazione come marchio di quei segni distintivi che «non possano essere oggetto di rappresentazione grafica». Si tratta di una condizione presente anche nell'art. 711-1 del Codice francese della proprietà intellettuale, nell'art. 165.1 del codice portoghese della proprietà industriale e nell'art. 16 della legge italiana sui marchi d'impresa. Le omonime norme danesi, finlandesi e svedesi si pongono sulla stessa linea. Il diritto greco richiede un'analoga condizione (art. 1, n. 1, della legge 2239/1994). Il Trade Marks Act 1994 [art. 1 (1)], nel Regno Unito, e il Trade Marks Act 1996 (sezione 6), in Irlanda, richiedono la rappresentazione grafica affinché un segno possa essere registrato come marchio. Infine, in Spagna, la legge vigente non prevede tale condizione; tuttavia, il progetto di legge sui marchi attualmente in esame al Parlamento, definisce il marchio nell'art. 4, n. 1, come «qualsiasi segno suscettibile di rappresentazione grafica [...]» [Boletín Oficial de las Cortes Generales, Senado, serie II, progetto di legge n. 31 (a) del 4 luglio 2001, pag. 6]. Nell'ordinamento giuridico degli Stati Uniti la possibilità di rappresentazione grafica non è, tuttavia, una condizione del concetto di marchio, ciò che forse spiega la maggior diffusione nel suo sistema di tale forma di segni distintivi.


51: -     Nelle sue osservazioni scritte, il governo britannico afferma giustamente che non sarebbe ammissibile la rappresentazione che richieda sforzi esagerati per determinare il segno riprodotto nel registro [punto 32 c)].


52: -     Chi sarebbe capace di cogliere un aroma «balsamico-fruttato con una leggera traccia di cannella» partendo dalla formula C6 H5-CH = CHCOOCH3?


53: -     Il governo del Regno Unito precisa nelle sue osservazioni scritte che svariati odori non sono provocati da una sola sostanza chimica pura, bensì da una mescolanza di esse. L'obbligo di identificare la natura del segno partendo da un certo numero di formule chimiche complesse costituirebbe un indebito onere per coloro che consultano il registro (punto 41).


54: -     H.E. Meister «Markenfähigkeit und per se-Ausnahmen im Gemeinschaftsmarkenrecht» in WRP - Wettbewerb in Recht und Praxis, n. 9/2000, pag. 967 e segg., spiega come l'«erba appena tagliata» non ha lo stesso odore nella sua città natale e ad Alicante.


55: -     Salvo si tratti di un marchio esclusivamente denominativo. Per es. il marchio denominativo «tapitoli» è di per sé distintivo, sempre che, chiaramente, non esistano già altri nomi identici o analoghi per prodotti identici o simili (v. artt. 4, n. 1, e 5, n. 1, della prima direttiva).

    Nel numero citato dell'Oami News si informa che l'Ufficio non accetta che una descrizione possa costituire un valido sostituto della rappresentazione grafica.


56: -     Il governo austriaco ce ne da dimostrazione nelle sue osservazioni scritte con un esempio chiarificatore: Neppure due enologi descrivono allo stesso modo l'aroma di uno stesso vino (punto 4, paragrafo 2). Un caso per tutti: l'aroma del vino Château Talbot (denominazione di origine: Bordeaux, Saint-Julien), annata 1992, viene descritto come un «aroma esotico e estrovertito di ciliegia nera confettata, di tartufo e liquirizia, marcato da odori vegetali e erbacei, ha corpo ed è morbido, succoso e succulento» [son nez exotique et extraverti de cerise noire confiturée, de truffe et de réglisse, marqué par senteurs végetales et herbacées, il est moyennement corsé et souple, juteux et succulent] (R. Parker, Les vins de Bordeaux, edizioni Solar, París 1999, pag. 317) ed anche come «vinaccia di caffè con una punta animale e una bella struttura, ricca e con una buona concentrazione» [un bouquet aux âromes de marc de café avec une pointe animale et une belle structure, riche et d'une bonne concentration] (Le guide Hachette des vins, 1996, ed. J. Arcache e C. Montalbetti, París 1995, pag. 327).


57: -    H.E. Meister dice, citando K. Lorenz, che parte delle difficoltà per oggettivare gli odori derivano dalle limitazioni del linguaggio, il quale si è formato in un periodo in cui l'unica esperienza conosciuta era l'ontogenesi. Questa è la causa per la quale descriviamo gli odori con riferimento ad altri oggetti («odore a cannella»).


58: -     Nel lavoro citato, S. Maniatis trascrive la descrizione che è stata fatta dell'odore del profumo «N° 5» di Chanel allo scopo di registrarlo: «L'aroma di un profumo aldeidico-florale, con fragranze di aldeidi, bergamotto, limone e nèroli; un elegante cuore floreale di gelsomino, rosa, mughetto, iris e ylang-ylang; e un sensuale sfondo femminile di sàndalo, cedro, vaniglia, ambra, zibetto e muschio. Tale aroma è conosciuto anche col nome di N° 5».


59: -     Se si ammettesse come marchio la descrizione di un odore, perché non quella di un sentimento? Per esempio l'angoscia, la paura, la speranza o il benessere.


60: -     La volatilità è la caratteristica fisica indispensabile affinché una sostanza abbia un odore. I profumi hanno un odore perché sono volatili. La volatilità dei suoi componenti non è uniforme. I ricettori sensoriali percepiscono in primo luogo le sensazioni odorose prodotte dalle note più volatili («note di uscita»). Le «note di cuore», o note medie, costituiscono la parte centrale del profumo. Le più tenaci e meno volatili sono le «note di fondo», che danno persistenza e carattere al profumo.


61: -     Non sarebbe strano che una persona interessata a conoscere la registrazione del marchio e che odorasse il campione depositato ne concludesse che l'aroma percepito non corrisponde con quello descritto, senza poter, d'altra parte, dire nulla riguardo alla formula chimica che appare registrata, la quale gli risulterebbe misteriosa.


62: -     Valutazione sensoriale, cromatografia gas-liquido (GC) e cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC), descritti da M.L. Llobregat alle pagine 102-105 del suo lavoro già citato.


63: -     M. Mathély, «Le droit français des signes distinctifs», Librairie du Journal des Notaires et des Avocats, París, 1984, pag. 42.