Language of document : ECLI:EU:T:2018:788

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

15 novembre 2018(*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti del PKK nell’ambito della lotta contro il terrorismo – Congelamento dei capitali – Competenza del Consiglio – Possibile qualificazione di un’autorità di uno Stato terzo come autorità competente ai sensi della posizione comune 2001/931/PESC – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Riferimento ad atti terroristici – Sindacato giurisdizionale – Obbligo di motivazione – Eccezione di illegittimità»

Nella causa T‑316/14,

Kurdistan Workers’ Party (PKK), rappresentato da A. van Eik, T. Buruma e M. Wijngaarden, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente da F. Naert e G. Étienne, successivamente da M. Naert e H. Marcos Fraile, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente da C. Brodie e V. Kaye, successivamente da C. Brodie e S. Brandon, successivamente da C. Brodie, C. Crane e R. Fadoju, successivamente da C. Brodie, R. Fadoju e P. Nevill, e infine da R. Fadoju, in qualità di agenti,

e

Commissione europea, rappresentata inizialmente da F. Castillo de la Torre e D. Gauci, successivamente da D. Gauci, J. Norris‑Usher e T. Ramopoulos, e infine da J. Norris‑Usher, T. Ramopoulos e R. Tricot, in qualità di agenti,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta, inizialmente, all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 del Consiglio, del 10 febbraio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013 (GU 2014, L 40, pag. 9), nella parte che riguarda il ricorrente e, successivamente, all’annullamento degli altri atti conseguenti, nelle parti che lo riguardano,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata),

composto da S. Frimodt Nielsen, presidente, V. Kreuschitz, I.S. Forrester (relatore), N. Półtorak e E. Perillo, giudici,

cancelliere: K. Guzdek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 aprile 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie di ampio respiro per la lotta al terrorismo e in particolare al finanziamento dello stesso.

2        Il 27 dicembre 2001, affermando che era necessaria un’azione dell’Unione europea per attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93). In particolare, l’articolo 2 della posizione comune 2001/931 prevede il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche delle persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici e elencati nell’allegato di tale posizione comune.

3        Lo stesso giorno, per attuare a livello dell’Unione le misure descritte nella posizione comune 2001/931, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70), e la decisione 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento n. 2580/2001 (GU 2001, L 344, pag. 83). Il nome del ricorrente non compariva in detto elenco iniziale.

4        Il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 (GU 2002, L 116, pag. 75). L’allegato della posizione comune 2002/340 aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità cui si applicano le misure restrittive previste dalla posizione comune 2001/931 e vi inserisce, in particolare, il nome del Kurdistan Workers’ Party (PKK), il ricorrente, così identificato: «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK)».

5        Lo stesso giorno, il Consiglio ha altresì adottato la decisione 2002/334/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga la decisione 2001/927 (GU 2002, L 116, pag. 33). Questa decisione ha inserito il nome del PKK nell’elenco previsto all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, negli stessi termini impiegati nell’allegato della posizione comune 2002/340.

6        Tali strumenti sono stati regolarmente aggiornati, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 e dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001. Il nome del PKK è stato sempre mantenuto negli elenchi dei gruppi ed entità soggetti alle misure restrittive previste da detti strumenti e allegati a tali strumenti (in prosieguo: gli «elenchi controversi»). Dal 2 aprile 2004, il nome dell’entità iscritta negli elenchi controversi è il «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) (anche noto come “KADEK”, o come “KONGRA‑GEL”)».

7        In data 10 febbraio 2014 il Consiglio ha quindi adottato, in particolare, il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 714/2013 (GU 2014, L 40, pag. 9), mediante il quale sono state mantenute le misure restrittive applicate al ricorrente. L’esposizione dei motivi che accompagnava il regolamento n. 125/2004 si basava, in particolare, su un’ordinanza dello Home Secretary (Ministro dell’interno, Regno Unito; in prosieguo: il «Ministro dell’interno del Regno Unito»), del 29 marzo 2001, volta a proscrivere il PKK ai sensi dell’UK Terrorism Act 2000 (legge contro il terrorismo del 2000, Regno Unito) (in prosieguo: l’ «ordinanza del ministro dell’interno del Regno Unito»), quale integrata da un’ordinanza del 14 luglio 2006, entrata in vigore il 14 agosto 2006, la quale considerava che «KADEK» e «Kongra Gel Kurdistan» costituivano altre denominazioni del PKK (in prosieguo: l’«ordinanza del 14 luglio 2006»), su una decisione del governo degli Stati Uniti d’America che designava il PKK quale «organizzazione terroristica straniera» (foreign terrorist organisation) conformemente alla sezione 219 dell’US Immigration and Nationality Act (legge statunitense sull’immigrazione e la nazionalità), come modificata (in prosieguo: la «designazione quale FTO»), e sulla decisione del governo degli Stati Uniti d’America di designare il PKK quale «Specially Designated Global Terrorist» (entità implicata nel terrorismo globale specificamente designata) ai sensi dell’Executive Order n. 13224 (decreto presidenziale n. 13224) (in prosieguo: la «designazione quale SDGT»). Tale esposizione dei motivi, inoltre, indicava un elenco di numerosi episodi, verificatisi tra il novembre 2003 e l’ottobre 2011, qualificati come atti terroristici e attribuiti al PKK, nonché una serie di pronunce dei tribunali di sicurezza della Repubblica di Turchia. Il regolamento n. 125/2014 è stato l’oggetto iniziale del presente ricorso.

 Procedimento e sviluppi in corso di causa

8        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o maggio 2014, il ricorrente ha proposto il presente ricorso con cui ha chiesto l’annullamento del regolamento di esecuzione n. 125/2014, per la parte che lo riguarda, e una dichiarazione d’inapplicabilità, nei suoi confronti, del regolamento n. 2580/2001.

9        Nell’ambito della fase scritta del procedimento, con atto del 15 settembre 2014, il Consiglio ha depositato un controricorso, al quale ha allegato, in particolare, l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, l’ordinanza del 14 luglio 2006, la designazione quale FTO, la designazione quale SDGT, una serie di relazioni annuali dell’Office of the US Coordinator for counterterrorism of the US Department of State (Ufficio del coordinatore per l’antiterrorismo del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Stati Uniti d’America) e diversi articoli di stampa. Con atto del 31 marzo 2015, il Consiglio ha in seguito depositato una controreplica, cui ha allegato, in particolare, taluni estratti da una sentenza del 23 aprile 2013 della Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) e una sentenza del 21 maggio 2014 della Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia).

10      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 settembre 2014, la Commissione europea ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con ordinanza del 7 gennaio 2015, adottata ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 marzo 2015, la Commissione ha depositato la sua memoria d’intervento. Il ricorrente e il Consiglio hanno entrambi depositato le loro osservazioni nei termini impartiti.

11      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 giugno 2015, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con decisione del 12 agosto 2015, adottata ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura del Tribunale, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento, pur essendo i diritti del Regno Unito limitati a quelli dell’articolo 116, paragrafo 6, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991.

12      Con decisione del 16 maggio 2016, adottata ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha sospeso il procedimento sino alla pronuncia delle sentenze nelle cause A e a. (C‑158/14), Consiglio/LTTE (C‑599/14 P) e Consiglio/Hamas (C‑79/15 P). A seguito della pronuncia delle sentenze del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202), del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584), il procedimento è stato riassunto a pieno titolo.

13      Con decisione del 5 settembre 2017, adottata quale misura di organizzazione del procedimento, ai sensi dell’articolo 89, paragrafo 3, lettera c), del regolamento di procedura, il Tribunale (Terza Sezione) ha invitato le parti a presentare le loro osservazioni sulle sentenze del 14 marzo 2017, A e a., (C‑158/14, EU:C:2017:202), del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584).

14      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 settembre 2017, il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni sulle sentenze del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202), del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584). Da un lato, il ricorrente sostiene che la sentenza del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202), non regola in maniera definitiva le questioni di diritto sollevate nell’ambito dei suoi motivi primo e secondo. D’altro canto, a suo parere, dalle sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584), emergerebbe che un elenco di eventi qualificati come atti terroristici, come quello utilizzato nel caso di specie, non può essere considerato una decisione di un’autorità nazionale competente; che il Consiglio è tenuto a fornire, nelle esposizioni dei motivi relative a decisioni di autorità di Stati terzi, le indicazioni che consentano di concludere che esso ha verificato il rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente, verifica che esso avrebbe omesso nel caso di specie, e che il trascorrere di un considerevole periodo di tempo dall’adozione delle decisioni nazionali su cui è stata fondata l’iscrizione iniziale del nome del ricorrente negli elenchi controversi, può obbligare il Consiglio a produrre ulteriori argomentazioni per giustificare il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi di cui trattasi. Inoltre, il ricorrente produce una sentenza della Cour d’appel de Bruxelles (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) del 14 settembre 2017 (in prosieguo: la «sentenza della Corte d’appello di Bruxelles»), secondo la quale il ricorrente non potrebbe essere qualificato come organizzazione terroristica e gli atti addebitati ai Falchi della libertà del Kurdistan (TAK) non potrebbero essere attribuiti al PKK.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 ottobre 2017, il Consiglio e la Commissione hanno presentato le proprie osservazioni sulle sentenze del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202), del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584). Essi sostengono che il primo e il secondo motivo sollevati dal ricorrente devono essere respinti alla luce della sentenza del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202). Inoltre, la sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), confermerebbe la possibilità per il Consiglio di basarsi su decisioni di autorità di Stati terzi e su elementi che non costituiscono decisioni di autorità nazionali competenti per mantenere il nome del ricorrente negli elenchi controversi.

16      Con il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014, del 22 luglio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione n. 125/2014 (GU 2014, L 217, pag. 1), sono state mantenute le misure restrittive applicate al ricorrente, senza modifica dei motivi che giustificano il mantenimento del suo nome.

17      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 20 agosto 2014, il ricorrente ha chiesto di poter adattare le proprie conclusioni in modo che i suoi motivi e le sue conclusioni si applicassero, mutatis mutandis, al regolamento n. 790/2014 e all’esposizione dei motivi che l’accompagna. Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 15 settembre 2014, il Consiglio non ha sollevato obiezioni alla richiesta del ricorrente e ha richiamato, mutatis mutandis, il proprio controricorso.

18      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2015/513 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e che abroga il regolamento di esecuzione n. 790/2014 (GU 2015, L 82, pag. 1), e con la decisione (PESC) 2015/521 del Consiglio, della stessa data, che aggiorna e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione 2014/483/PESC (GU 2015, L 82, pag. 107), le misure restrittive applicate al ricorrente sono state mantenute.

19      Con lettera del 27 marzo 2015, notificata al ricorrente il 1o aprile 2015, il Consiglio ha inviato a quest’ultimo l’esposizione dei motivi del mantenimento del suo nome negli elenchi controversi. Nella sua lettera del 27 marzo 2015, il Consiglio ha dichiarato, in risposta agli argomenti dedotti dal ricorrente, che l’esistenza di gruppi curdi tra coloro che hanno combattuto il gruppo «Stato islamico» non influenzava la sua valutazione secondo cui il PKK soddisfaceva i criteri di designazione previsti dalla posizione comune 2001/931. Nell’esposizione dei motivi allegata a tale lettera, il Consiglio si è basato su tre serie di decisioni nazionali, vale a dire, in primo luogo, l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, come integrata dall’ordinanza del 14 luglio 2006; in secondo luogo, la designazione quale FTO e la designazione quale SDGT; e, in terzo luogo, una sentenza del 2 novembre 2011 del Tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) che condanna il centro culturale curdo Ahmet Kaya per associazione a delinquere finalizzata alla preparazione di un atto terroristico e finanziamento di attività terroristiche, confermata in appello dalla sentenza del 23 aprile 2013 della Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), e, a seguito di impugnazione, con sentenza del 21 maggio 2014, della Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni giudiziarie francesi»). Il Consiglio ha rilevato che ciascuna di tali decisioni nazionali costituiva una decisione di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, e che esse erano ancora in vigore. Esso indicava quindi di aver esaminato se vi fossero in suo possesso elementi che deponessero a favore della cancellazione del nome del PKK dagli elenchi controversi e di non averne trovato nessuno. Il Consiglio indicava inoltre di considerare che i motivi che avevano giustificato l’iscrizione del nome del PKK sugli elenchi controversi restavano validi e concludeva che il PKK doveva essere mantenuto negli elenchi controversi.

20      Inoltre, all’esposizione dei motivi era allegata una descrizione di ogni decisione nazionale che includeva una presentazione della definizione di terrorismo nel diritto nazionale, una descrizione delle procedure amministrative e giudiziarie nazionali applicabili, una sintesi del contesto procedurale e del seguito dato alla decisione nazionale in questione, una sintesi delle constatazioni fatte dalle autorità competenti nei confronti del ricorrente, una descrizione dei fatti sui quali si erano basate dette autorità competenti e la constatazione che tali fatti costituivano atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3 della posizione comune 2001/931. Tuttavia, tale esposizione dei motivi non conteneva più riferimenti alle decisioni dei tribunali di sicurezza della Repubblica di Turchia, né a un elenco di eventi qualificati come atti terroristici presuntivamente attribuiti al ricorrente, come quelli indicati nelle precedenti esposizioni dei motivi.

21      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 maggio 2015, il ricorrente ha chiesto di poter adattare le proprie conclusioni in modo che i suoi motivi e le sue conclusioni si applicassero, mutatis mutandis, al regolamento di esecuzione 2015/513, alla decisione 2015/521 e all’esposizione dei motivi che li accompagnava. Nella sua memoria di adattamento il ricorrente sostiene, in particolare, che il Consiglio non ha tenuto conto degli sviluppi relativi al coinvolgimento del PKK nella lotta contro il gruppo «Stato islamico». Per quanto riguarda l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, il ricorrente contesta la pertinenza del fatto che tale ordinanza sia stata confermata nel dicembre 2014 a seguito di un riesame, dal momento che la domanda di riesame non promanava da lui. Esso sostiene altresì che la descrizione, nell’esposizione dei motivi, di eventi che hanno avuto luogo nel 2014 e sui quali il Ministro dell’interno del Regno Unito si è basato, è troppo vaga per poter concludere che tali eventi costituissero atti terroristici imputabili al PKK. Il ricorrente contesta altresì la responsabilità di tali incidenti, che sarebbero stati provocati da un gruppo distinto dal PKK, e contesta la loro qualificazione come atti terroristici. Analogamente, per quanto riguarda la designazione quale FTO e la designazione quale SDGT, il ricorrente sostiene che la descrizione degli eventi ad esso attribuiti è anch’essa troppo vaga per consentire di concludere che si tratti di atti terroristici imputabili al PKK. Con riferimento alle decisioni giudiziarie francesi, il ricorrente sostiene che esse devono essere disattese poiché si riferirebbero a un’entità diversa dal PKK e si fonderebbero su elementi d’informazione non verificati.

22      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 12 giugno 2015, il Consiglio ha presentato le proprie osservazioni sulla domanda di adattamento delle conclusioni del ricorrente. Il Consiglio ha quindi messo in discussione, in particolare, il rispetto, da parte del ricorrente, dell’articolo 44, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 2 maggio 1991 e si è riferito, mutatis mutandis, al suo controricorso. Il Consiglio non ha tuttavia sollevato alcuna obiezione all’estensione materiale del ricorso chiesta dal ricorrente.

23      In seguito, il nome del ricorrente è stato mantenuto negli elenchi controversi in occasione di ogni revisione semestrale. Di conseguenza, il ricorrente ha chiesto di poter adattare le proprie conclusioni in modo tale che i suoi motivi e le sue conclusioni si riferissero, mutatis mutandis, ai nuovi atti adottati dal Consiglio.

24      Pertanto, con il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2015/513 (GU 2015, L 206, pag. 12), e con la decisione (PESC) 2015/1334 del Consiglio, della stessa data, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione (PESC) 2015/521 (GU 2015, L 206, pag. 61), le misure restrittive applicate al ricorrente sono state mantenute, senza modificare il motivo che giustifica il mantenimento nel suo nome.

25      Con memoria di adattamento depositata presso la cancelleria del Tribunale il 15 settembre 2015, a norma dell’articolo 86, paragrafi da 2 a 4, del regolamento di procedura, il richiedente ha adattato il ricorso, in modo che questo fosse diretto anche all’annullamento del regolamento 2015/1325 e della decisione 2015/1334, nei limiti in cui tali atti lo riguardano. Il Consiglio, nelle osservazioni da esso depositate presso la cancelleria del Tribunale l’8 ottobre 2015, ha preso atto di tale adattamento.

26      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 del Consiglio, del 21 dicembre 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga il regolamento di esecuzione 2015/1325 (GU 2015, L 334, pag. 1), sono state mantenute le misure restrittive applicate al ricorrente, senza modificare il motivo che giustifica il mantenimento del suo nome.

27      Con memoria di adattamento depositata presso la cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2016, il ricorrente ha adattato il ricorso, in modo che questo fosse diretto anche all’annullamento del regolamento n. 2015/2425, nei limiti in cui tale atto lo riguarda. Il Consiglio, nelle osservazioni da esso depositate presso la cancelleria del Tribunale il 15 marzo 2016, ha preso atto di tale adattamento.

28      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127 del Consiglio, del 12 luglio 2016, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2015/2425 (GU 2016, L 188, pag. 1), sono state mantenute le misure restrittive applicate al ricorrente, senza modificare il motivo che giustifica il mantenimento del suo nome.

29      Con memoria di adattamento depositata presso la cancelleria del Tribunale il 9 settembre 2016, il ricorrente ha adattato il ricorso, in modo che questo fosse diretto anche all’annullamento del regolamento 2016/1127, nei limiti in cui tale atto lo riguarda.

30      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 del Consiglio, del 27 gennaio 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2016/1127 (GU 2017, L 23, pag. 3), sono state mantenute le misure restrittive applicate al ricorrente, senza modificare il motivo che giustifica il mantenimento del suo nome.

31      Con memoria di adattamento depositata presso la cancelleria del Tribunale il 23 marzo 2017, il ricorrente ha adattato il ricorso, in modo che questo fosse diretto anche all’annullamento del regolamento n. 2017/150, nei limiti in cui tale atto lo riguarda. Il Consiglio, nelle osservazioni da esso depositate presso la cancelleria del Tribunale il 17 agosto 2017, ha preso atto di tale adattamento. Inoltre, esso ha richiamato le sentenze del 14 marzo 2017, A e a. (C‑158/14, EU:C:2017:202), del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas (C‑79/15 P, EU:C:2017:584), per sostenere che il ricorso avrebbe dovuto essere respinto.

32      Con il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2017/150 (GU 2017, L 204, pag. 3), e con la decisione (PESC) 2017/1426 del Consiglio, della stessa data, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione (PESC) 2017/154 (GU 2017, L 204, pag. 95), le misure restrittive applicate al ricorrente sono state mantenute, senza modificare il motivo che giustifica il mantenimento del suo nome.

33      Con memoria di adattamento depositata presso la cancelleria del Tribunale il 29 settembre 2017, il ricorrente ha adattato il ricorso, in modo che questo fosse diretto anche all’annullamento del regolamento 2017/1420 e della decisione 2017/1426, nei limiti in cui tali atti lo riguardano. Il Consiglio, nelle osservazioni da esso depositate presso la cancelleria del Tribunale il 27 ottobre 2017, ha preso atto di tale adattamento. Inoltre, per quanto riguarda la sentenza della Cour d’appel de Bruxelles (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) prodotta dal ricorrente, il Consiglio sostiene che essa non rimette in discussione la designazione del ricorrente come organizzazione terroristica. In primo luogo, la sentenza in questione riconoscerebbe che la non qualificazione del PKK come organizzazione terroristica è dovuta alle caratteristiche specifiche del diritto penale belga. In secondo luogo, la sentenza della Cour d’appel di Bruxelles sottolineerebbe che dalla fine del cessate il fuoco nel 2015, sono stati commessi atti di violenza nell’ambito del conflitto tra il ricorrente e le autorità turche. In terzo luogo, nella sua sentenza, la Cour d’appel de Bruxelles avrebbe considerato che non si poteva concludere con certezza, in base al fascicolo, che le azioni del TAK potessero essere attribuite al PKK, ma la sentenza menzionerebbe la decisione di un giudice tedesco che conclude in senso contrario.

34      Su proposta della Terza Sezione, il Tribunale ha deciso, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rimettere la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

35      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

36      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 16 aprile 2018. In quell’occasione, ricordando la propria posizione in merito all’importanza del diritto internazionale umanitario per l’interpretazione della nozione di atto di terrorismo, il ricorrente ha informato il Tribunale della sua decisione di abbandonare il suo primo motivo, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. In esito all’udienza, la fase orale è stata chiusa e la causa è passata in decisione.

 Conclusioni delle parti

37      A seguito degli adattamenti delle proprie conclusioni, il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare, nelle parti che lo riguardano, i regolamenti di esecuzione nn. 125/2014, 790/2014, 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420, le decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426, e le esposizioni dei motivi che li accompagnano (in prosieguo: gli «atti impugnati»);

–        condannare il Consiglio alle spese.

38      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dal Regno Unito, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 Nel merito

39      A sostegno delle proprie conclusioni di annullamento degli atti impugnati, il ricorrente invoca, in sostanza, otto motivi. Il primo motivo, cui il ricorrente ha rinunciato in udienza, verte sulla violazione del diritto internazionale in materia di conflitti armati. In particolare, il ricorrente rileva che la posizione comune 2001/931 è contraria al diritto umanitario internazionale, in quanto riguarda atti che, nel contesto di un conflitto armato che non presenta carattere internazionale, non costituirebbero crimini di guerra e sarebbero legittimi ai sensi della normativa sui conflitti armati. Il secondo motivo verte sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, in quanto il PKK è qualificato come gruppo terrorista. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, poiché gli atti impugnati non si baserebbero sulla decisione di un’autorità nazionale competente. Gli atti impugnati dovrebbero in particolare essere annullati in quanto sono in parte basati su decisioni di Stati terzi. Il quarto motivo verte sulla violazione dell’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in quanto gli atti impugnati sarebbero basati in parte su informazioni ottenute mediante tortura o maltrattamenti. Il quinto motivo verte su una violazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, nella misura in cui il Consiglio non avrebbe effettuato un adeguato riesame dell’iscrizione del nome del PKK negli elenchi controversi. Il sesto motivo riguarda la violazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Il settimo motivo attiene alla violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE. L’ottavo motivo attiene ad una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

40      Il Tribunale ritiene utile iniziare con l’esame del settimo motivo.

 Sul settimo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

41      Con il suo settimo motivo, il ricorrente sostiene, in sostanza, che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione omettendo di fornire le ragioni specifiche e concrete per le quali esso ha deciso, a seguito di riesame, di mantenere il nome del PKK negli elenchi in questione. In particolare, il ricorrente afferma che il Consiglio non ha spiegato come le decisioni nazionali su cui esso fondava il mantenimento del nome del PKK negli elenchi controversi costituissero decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931; che esso non ha indicato i motivi di tali decisioni; che esso non ha esaminato se gli episodi su cui si fondavano le autorità nazionali potessero essere qualificati come atti terroristici ai sensi della posizione comune 2001/931 e che esso non ha indicato i motivi per cui tali decisioni bastassero a giustificare il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del PKK. Inoltre, per quanto riguarda la designazione quale FTO e la designazione quale SDGT, il Consiglio non avrebbe esaminato se vi fossero effettive garanzie procedurali negli Stati Uniti.

42      Il Consiglio contesta tali argomenti e ritiene, in particolare, che l’esposizione dei motivi degli atti impugnati, letta in combinato disposto con questi ultimi, soddisfi il proprio obbligo di motivazione. In particolare, i motivi dell’inserimento iniziale del nome del ricorrente negli elenchi controversi resterebbero validi. Per quanto riguarda l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, il Consiglio fa valere la sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (T‑256/07, EU:T:2008:461), riguardante la stessa ordinanza, in cui il Tribunale ha ritenuto che il Consiglio avesse rispettato il suo obbligo di motivazione facendo riferimento a tale ordinanza e a un elenco di eventi qualificati come atti terroristici. Per quanto riguarda le designazioni quale FTO e quale SDGT, il Consiglio afferma, in particolare, che gli elementi contenuti nell’esposizione dei motivi erano sufficientemente precisi per consentire al richiedente di proporre ricorso dinanzi alle autorità nazionali competenti, e che le indicazioni fornite soddisfano i suoi obblighi di motivazione come definiti nelle sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e del 26 luglio 2017, Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584).

43      Al riguardo, va ricordato che l’obbligo di motivare un atto che arreca pregiudizio, come previsto all’articolo 296, secondo comma, TFUE e sancito nell’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali, costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa e ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consente di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo sindacato di legittimità su tale atto (v. sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 29 e giurisprudenza citata, e del 28 maggio 2013, Trabelsi e a./Consiglio, T‑187/11, EU:T:2013:273, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

44      La motivazione di un tale atto deve pertanto, in ogni caso, esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’ambito di tale atto (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

45      In tal senso, secondo una giurisprudenza consolidata, sia la motivazione di una decisione iniziale di congelamento dei capitali, sia la motivazione delle decisioni successive devono trattare non solo le condizioni legali di applicazione della posizione comune 2001/931 e del regolamento n. 2580/2001, ma altresì i motivi specifici e concreti per cui il Consiglio considera, nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, che l’interessato deve formare oggetto di una misura di congelamento dei capitali (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 52; del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 162, e del 25 marzo 2015, Central Bank of Iran/Consiglio, T‑563/12, EU:T:2015:187, punto 55).

46      Pertanto, a meno che motivi imperativi riguardanti la sicurezza dell’Unione o dei suoi Stati membri o la gestione delle loro relazioni internazionali ostino alla comunicazione di determinati elementi, il Consiglio è tenuto a portare a conoscenza di una persona o di un’entità interessata da misure restrittive i motivi specifici e concreti per i quali ritenga che dette misure dovessero essere adottate. Esso deve quindi menzionare gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende la motivazione giuridica delle misure di cui trattasi e le considerazioni che l’hanno indotto ad adottarla (sentenza del 9 luglio 2009, Melli Bank/Consiglio, T‑246/08 e T‑332/08, EU:T:2009:266, punto 144).

47      Peraltro, la motivazione dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione ed al contesto in cui esso è stato adottato. La necessità della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possono avere a ricevere spiegazioni (sentenza del 12 dicembre 2006, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, T‑228/02, EU:T:2006:384, punto 141; v., altresì, sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio, T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885, punto 159 e giurisprudenza citata). La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’adeguatezza della motivazione dev’essere valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia interessata. In particolare, un atto lesivo è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (sentenza del 16 novembre 2011, Bank Melli Iran/Consiglio, C‑548/09 P, EU:C:2011:735, punto 82).

48      L’obbligo di motivazione così formulato costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione al quale si può derogare solo per motivi imperativi. La motivazione, in linea di principio, deve quindi essere comunicata all’interessato contemporaneamente all’atto che gli arreca pregiudizio, e la sua mancanza non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga a conoscenza dei motivi dell’atto nel corso del procedimento dinanzi al giudice dell’Unione (sentenza del 7 dicembre 2011, HTTS/Consiglio, T‑562/10, EU:T:2011:716, punto 32).

49      Pertanto, nel caso di decisioni che mantengono misure restrittive nei confronti di una persona o di un’entità, il giudice dell’Unione deve verificare, in particolare, da un lato, il rispetto dell’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE e, di conseguenza, se i motivi invocati siano sufficientemente precisi e concreti, e, in secondo luogo, se tali motivi siano giustificati (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

50      In tale contesto, va precisato che la persona o entità interessata può, nell’ambito del ricorso proposto contro il mantenimento del suo nome nell’elenco controverso, contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti. In caso di contestazione, spetta al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti allegati e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

51      Si deve ricordare che l’articolo 1 della posizione comune 2001/931 stabilisce una distinzione tra, da una parte, l’iscrizione iniziale del nome di una persona o entità nell’elenco controverso, di cui al suo paragrafo 4, e, dall’altra, il mantenimento in detto elenco del nome di una persona o entità già iscritta in esso, cui si riferisce il suo paragrafo 6 (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 58).

52      Inoltre, secondo la giurisprudenza, nel corso dell’esame del mantenimento del nome di una persona o di un’entità nell’elenco controverso, ciò che rileva è se, dal momento dell’iscrizione del nome di tale persona o di tale entità nell’elenco in parola o a partire dal riesame precedente, la situazione di fatto sia tanto mutata da non consentire più di trarre la medesima conclusione riguardo al coinvolgimento della persona o dell’entità in questione in attività terroristiche (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 46). Da tale giurisprudenza emerge che, nell’ambito di un riesame ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il Consiglio può mantenere il nome della persona o dell’entità interessata nell’elenco controverso qualora concluda che il rischio del coinvolgimento della medesima in attività terroristiche, che ne aveva giustificato l’iscrizione iniziale nell’elenco di cui trattasi, persiste. Il mantenimento del nome di una persona o entità nell’elenco controverso costituisce pertanto, in sostanza, il prolungamento dell’iscrizione iniziale (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 51).

53      Al riguardo, se, considerati il tempo trascorso e l’evoluzione delle circostanze di specie, il mero fatto che la decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale resti in vigore non consente più di concludere che persista il rischio di coinvolgimento della persona o entità interessata in attività terroristiche, il Consiglio è tenuto a fondare il mantenimento del nome di tale persona o di tale entità in detto elenco su una valutazione aggiornata della situazione, tenendo conto di elementi di fatto più recenti, che attestino che il rischio in questione persiste (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 54).

54      È alla luce di tali principi che occorre esaminare l’adeguatezza della motivazione degli atti impugnati.

55      Nel caso di specie, si deve constatare che l’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 differisce, in termini di struttura e di contenuti, da quella relativa ai regolamenti 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420, nonché alle decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426. Alla luce di tali differenze, occorre esaminare separatamente tali due gruppi di atti impugnati.

 Con riferimento ai regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014

56      Va prima di tutto rilevato che i regolamenti di esecuzione n. 125/2014 e n. 790/2014 sono accompagnati da un’esposizione dei motivi identica, strutturata come segue.

57      In primo luogo, il Consiglio riassume il contesto dell’attività del PKK dalla sua creazione, nel 1978. In particolare, secondo il Consiglio, dal 1984 il PKK avrebbe commesso numerosi atti terroristici, e tali attacchi sarebbero proseguiti, nonostante i “cessate il fuoco” dichiarati unilateralmente dal PKK a partire dal 2009. Il Consiglio espone poi un elenco di 69 atti commessi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011, che attribuisce al PKK e qualifica come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

58      In secondo luogo, il Consiglio osserva che il PKK è destinatario dell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito adottata il 29 marzo 2001, recante proscrizione del PKK ai sensi della legge del Regno Unito del 2000 per la lotta al terrorismo, e qualifica tale ordinanza come decisione di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Egli rileva inoltre che tale ordinanza è stata riesaminata regolarmente da un comitato amministrativo e resta in vigore.

59      In terzo luogo, il Consiglio osserva che il PKK è stato designato quale FTO ai sensi della sezione 219 della legge americana sull’immigrazione e la nazionalità, e quale SDGT, ai sensi del decreto presidenziale n. 13224, dalle autorità statunitensi e qualifica tali denominazioni come decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Rileva inoltre che avverso tali designazioni può essere proposto ricorso giurisdizionale negli Stati Uniti, e che esse rimangono in vigore.

60      Infine, il Consiglio osserva che il PKK è stato destinatario di una serie di sentenze dei tribunali di sicurezza della Repubblica di Turchia.

61      Da quanto precede, risulta che il Consiglio ha basato il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi, da un lato, sul mantenimento in vigore delle decisioni qualificate come decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 e, dall’altra, sulla valutazione del Consiglio in merito a una serie di atti attribuiti al PKK e qualificati come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3 della posizione comune 2001/931.

62      È opportuno iniziare con l’esame dell’adeguatezza della motivazione per quanto riguarda la valutazione della natura delle decisioni su cui il Consiglio si è fondato, prima di verificare se il Consiglio abbia indicato in misura sufficiente i motivi specifici e concreti per cui ha ritenuto che il nome del ricorrente dovesse essere mantenuto negli elenchi controversi.

–       Sull’esistenza di decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931

63      A tal riguardo, in primo luogo, si deve constatare che il Consiglio riconosce espressamente, nel controricorso, che né l’elenco degli episodi qualificati come atti terroristici né le sentenze dei tribunali di sicurezza della Repubblica di Turchia costituiscono decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 (controricorso, punti 56 e 119).

64      In secondo luogo, rispetto alla designazione quale FTO e alla designazione quale SDGT, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, risulta dalla giurisprudenza che la nozione di «autorità competente» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, non è circoscritta alle autorità degli Stati membri ma può, in linea di principio, includere anche le autorità degli Stati terzi (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 22).

65      Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta altresì che il Consiglio è tenuto, prima di fondarsi sulla decisione di un’autorità di un paese terzo, a verificare se tale decisione sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 24). Il Consiglio è pertanto tenuto a fornire, nelle esposizioni dei motivi relative a decisioni di congelamento di capitali, indicazioni che consentano di concludere che esso ha verificato il rispetto di tali diritti (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 31). È sufficiente, a tal fine, che il Consiglio dia atto, succintamente, nelle motivazioni di una decisione di congelamento dei capitali, delle ragioni per le quali considera che la decisione del paese terzo sulla quale intende fondarsi sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 33).

66      Orbene, è giocoforza constatare che nell’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 non è rinvenibile alcun elemento che consenta di ritenere che il Consiglio abbia effettivamente verificato se le designazioni quale FTO e SDGT fossero state adottate nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Pertanto, il Consiglio non può limitarsi, come nel caso di specie, a stabilire in astratto, senza fornire ulteriori dettagli sullo svolgimento dei procedimenti di cui trattasi, che la designazione quale FTO è soggetta a rimedi giurisdizionali ai sensi della normativa statunitense, mentre la designazione come SDGT è soggetta a mezzi di di ricorso giudiziari e amministrativi, ai sensi della stessa normativa. Le motivazioni dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 non consentono, quindi, di stabilire se il Consiglio abbia adempiuto all’obbligo di verifica che gli incombeva a tal riguardo.

67      Inoltre, neppure l’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione n. 125/2014 e n. 790/2014 contiene indicazioni dei motivi per cui il Consiglio ha ritenuto che le designazioni quale FTO e SDGT costituissero decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Inoltre, l’esposizione dei motivi non spiega perché le designazioni come FTO e SDGT possano essere considerate come «apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o condanna per tali fatti» ai sensi della posizione comune 2001/931. L’esposizione dei motivi non contiene nemmeno un minimo riferimento alla circostanza che il Consiglio abbia effettivamente esaminato se i fatti specifici sui quali si sono basate le autorità statunitensi rientrassero nella definizione di atto terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931. La motivazione dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 non consente, quindi, di stabilire se il Consiglio abbia adempiuto all’obbligo di verifica che gli incombeva a tal riguardo.

68      In terzo luogo, per quanto riguarda l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, si deve constatare che il Consiglio non spiega in alcun modo perché abbia considerato che tale ordinanza costituisse la decisione di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. In particolare, l’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 non contiene alcuna descrizione dei motivi alla base dell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, né indica in alcun modo che il Consiglio abbia effettivamente esaminato se gli specifici fatti su cui il Ministro degli interni del Regno Unito si è basato rientrassero nella definizione di atto terroristico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931. A tale riguardo, la sentenza del 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (T‑256/07, EU:T:2008:461), citata dal Consiglio nel controricorso, non è pertinente nel caso di specie, poiché in tale causa la ricorrente non aveva contestato la qualificazione dell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito come decisione di un’autorità nazionale competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

–       Sui motivi specifici e concreti del mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi

69      In ogni caso, pur considerando che il Consiglio avesse soddisfatto il suo obbligo di motivazione per quanto riguarda l’esistenza di almeno una decisione di un’autorità nazionale competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, si deve ricordare che sebbene, considerati il tempo trascorso e l’evoluzione delle circostanze di specie, il mero fatto che la decisione nazionale costituente il fondamento dell’iscrizione iniziale resti in vigore non consenta più di concludere che persiste il rischio di coinvolgimento della persona o entità interessata in attività terroristiche, il Consiglio è tenuto a fondare il mantenimento del nome di tale persona o di tale entità in detto elenco su una valutazione aggiornata della situazione, alla luce di elementi fattuali più recenti, che attestino che il rischio in questione persiste (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

70      Nel caso di specie, si deve considerare che è trascorso un considerevole periodo di tempo tra l’adozione delle decisioni su cui è stata fondata la prima iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi e l’adozione dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014, come anche tra la prima iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi e l’adozione di tali atti. Infatti, l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito è del 2001, la designazione del PKK quale FTO risale al 1997, la designazione del PKK quale SDGT è del 2001, l’iniziale iscrizione del nome del PKK negli elenchi controversi risale al 2002, mentre i regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 sono stati adottati nel 2014. Orbene, un tale lasso di tempo, di oltre dieci anni, costituisce di per sé un fattore giustificativo della considerazione che le valutazioni contenute nell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, e le designazioni quale FTO e SDGT, non erano più sufficienti per valutare la sussistenza del rischio di coinvolgimento del ricorrente in attività terroristiche al momento dell’adozione di tali misure.

71      Inoltre, come indicato dal Consiglio nell’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014, il ricorrente ha unilateralmente annunciato una serie di “cessate il fuoco” dal 2009. Inoltre, anche se l’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 nulla dice al riguardo, il ricorrente sottolinea a giusto titolo che tra il PKK e il governo turco hanno avuto luogo negoziati di pace nel 2012 e nel 2013. In particolare, il 21 marzo 2013 il sig. Abdullah Öcalan ha lanciato un appello per la pace. In un comunicato stampa del 21 marzo 2013, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, e il membro della Commissione incaricato per l’allargamento e la politica europea di vicinato, Štefan Füle, hanno reso una dichiarazione comune in cui accolgono con favore l’invito del sig. Öcalan al PKK a deporre le armi e a ritirarsi al di là delle frontiere turche, incoraggiando tutte le parti a operare incessantemente per portare la pace e la prosperità a tutti i cittadini della Turchia, fornendo pieno sostegno al processo di pace.

72      Il Consiglio era, pertanto, tenuto a fondare il mantenimento del nome del PKK negli elenchi controversi su elementi più recenti, che dimostrassero che il rischio di coinvolgimento del ricorrente nelle attività terroristiche permaneva. Pertanto, si deve concludere che l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito e le designazioni come FTO e SDGT, sebbene ancora in vigore, non costituivano, di per sé, un fondamento sufficiente per i regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014, nella parte in cui riguardano il ricorrente.

73      Vero è che, nell’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014, il Consiglio si fonda anche, da un lato, sul fatto che gruppi associati al PKK avevano perpetrato attentati terroristici nonostante i “cessate il fuoco” unilaterali menzionati al punto 71 supra e, dall’altro, su un elenco di 69 episodi, qualificati come atti terroristici attribuiti al PKK, successivi all’adozione dell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito e alle designazioni quale FTO e SDGT. Dal fascicolo non si evince che tali atti risultino da decisioni di autorità competenti di Stati membri.

74      Al riguardo, da una parte, dalla giurisprudenza risulta che, sebbene l’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 richieda al Consiglio di effettuare, almeno una volta per semestre, un «riesame» per assicurarsi che il «mantenimento» nell’elenco in questione del nome di una persona o entità ivi già iscritta, sulla base di una decisione nazionale presa da un’autorità competente, sia ancora giustificato, esso tuttavia non richiede che ogni nuovo elemento del quale si avvalga il Consiglio per giustificare il mantenimento del nome della persona o entità interessata nell’elenco controverso sia stato oggetto di una decisione nazionale adottata da un’autorità competente successivamente a quella che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio /LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 62).

75      D’altra parte, risulta altresì dalla giurisprudenza che la persona o entità interessata può, nell’ambito del ricorso proposto contro il mantenimento del suo nome nell’elenco controverso, contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti. In caso di contestazione, spetta al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti allegati e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

76      Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, nulla avrebbe quindi impedito al Consiglio di basarsi su informazioni non tratte da decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, per attribuire al richiedente determinati episodi e qualificarli come atti di terrorismo al fine di giustificare il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi.

77      Tuttavia, nella misura in cui il ricorrente contesta, nell’ambito del presente ricorso, l’effettiva esistenza di taluni di questi episodi, l’imputabilità al PKK di altri o le circostanze in cui sarebbero stati commessi, incombe al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti addebitati e al Tribunale verificare l’esattezza materiale degli stessi ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 75 supra.

78      Tuttavia, la limitatezza delle informazioni contenute nell’esposizione dei motivi non consente al Tribunale di esercitare il suo controllo giurisdizionale nei confronti degli atti contestati dal ricorrente. In realtà, come osserva il ricorrente, si deve constatare che l’esposizione dei motivi dei regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 non contiene alcuna indicazione circa gli elementi su cui il Consiglio si è basato per concludere che i fatti in questione sono stati accertati, sono imputabili al ricorrente e soddisfano tutti i criteri stabiliti all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

79      Per quanto riguarda gli atti la cui reale esistenza e imputabilità non sono contestate dal ricorrente, occorre constatare che essi sono precedenti ai negoziati di pace menzionati al punto 71 supra e, dunque, non consentono di rimediare al difetto di motivazione rilevato supra, al punto 72.

–       Conclusione

80      Alla luce di quanto precede, si deve concludere che il Consiglio non ha sufficientemente giustificato, nell’esposizione dei motivi che accompagna i regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014, la sua valutazione circa l’esistenza di una o più decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4 della posizione comune 2001/931 e non ha nemmeno fornito sufficienti ragioni specifiche e concrete per il mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi. Di conseguenza, si deve concludere che i regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e n. 790/2014 sono viziati da un difetto di motivazione.

 Sui regolamenti di esecuzione 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420, e sulle decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426

81      In via preliminare, occorre osservare che i regolamenti di esecuzione 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420 e le decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426 sono accompagnati da un’esposizione dei motivi identica, strutturata come segue.

82      Nell’esposizione dei motivi il Consiglio indica, in primo luogo, di essersi basato sull’esistenza di decisioni che qualifica come decisioni di un’autorità competente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, vale a dire: l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, come integrata dall’ordinanza del 14 luglio 2006; la designazione quale FTO e quale SDGT, e le decisioni giudiziarie francesi. A tale riguardo, il Consiglio afferma di aver esaminato gli elementi di fatto su cui tali decisioni si sono basate e di aver considerato che essi rientravano certamente nelle nozioni di «atti terroristici» e di «gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della posizione comune 2001/931 (esposizione dei motivi, punti da 1 a 7).

83      In seguito, il Consiglio prende atto che le suddette decisioni di autorità competenti restano in vigore. Il Consiglio indica quindi di aver esaminato se vi fossero in suo possesso elementi che deponessero a favore della cancellazione del nome del PKK dagli elenchi controversi e di non averne trovato nessuno. Esso ritiene inoltre che i motivi dell’inscrizione del nome del PKK negli elenchi controversi restino validi (esposizione dei motivi, punti da 8 a 10).

84      Sulla base di quanto precede, il Consiglio conclude che il nome del PKK dev’essere mantenuto negli elenchi controversi (esposizione dei motivi, punto 11).

85      Inoltre, all’esposizione dei motivi era allegata una descrizione dettagliata di ciascuna delle decisioni di autorità competenti citate al punto 82 supra, che includeva una presentazione della definizione di terrorismo nel diritto nazionale, una descrizione delle procedure amministrative e giudiziarie nazionali applicabili, una sintesi del contesto procedurale e del seguito dato alla decisione nazionale in questione, una sintesi delle conclusioni cui erano pervenute le autorità competenti nei confronti del ricorrente, una descrizione dei fatti sui quali si erano basate dette autorità competenti e la constatazione che tali fatti costituivano atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

86      Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda l’allegato A dell’esposizione dei motivi dell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, il Consiglio vi afferma, tra l’altro, che tale ordinanza è stata adottata nel 2001 poiché il Ministro dell’interno del Regno Unito, a quell’epoca, aveva motivo di ritenere che il PKK avesse commesso atti terroristici e preso parte ad essi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della posizione comune 2001/931 (punti 3, 4 e 16). A tale riguardo, il Consiglio indica che gli atti terroristici in questione comprendevano attacchi terroristici attribuiti al PKK a partire dal 1984 e che il PKK aveva condotto una campagna terroristica diretta a colpire gli interessi e gli investimenti occidentali all’inizio degli anni 1990, con l’obiettivo di aumentare le pressioni sul governo turco. Esso rileva che, sebbene il PKK sembrasse aver abbandonato tale campagna tra il 1995 e il 1999, tale entità aveva continuato a minacciare le località turistiche turche. Il Consiglio rileva che esso considera tali fatti quali diretti ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti i) e ii), della posizione comune 2001/931 e integranti gli atti di violenza di cui all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere a), c), d), f), g) e i) della posizione comune 2001/931 (punto 16).

87      Il Consiglio rileva altresì che, il 3 dicembre 2014, il Ministro dell’interno del Regno Unito ha deciso di respingere la richiesta di revoca della proscrizione del PKK e di mantenere la proscrizione. In proposito, il Consiglio osserva che, sulla base delle prove disponibili, il Ministro dell’interno del Regno Unito aveva motivo di ritenere che il PKK continuasse a essere coinvolto in atti terroristici dal momento che aveva commesso atti terroristici e preso parte ad essi, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della posizione comune 2001/931. Il Consiglio rileva quindi che il Ministro dell’interno del Regno Unito si è basato, in particolare, sul fatto che il PKK ha perpetrato tre distinti attentati nel maggio 2014, uno dei quali ha avuto luogo il 13 maggio 2014, provocando il ferimento di due soldati presso il cantiere di un avamposto militare a Tunceli (Turchia), nonché sul fatto che nell’agosto 2014 il PKK ha attaccato una centrale elettrica e ha sequestrato tre ingegneri cinesi (punto 17). Il Consiglio afferma inoltre che, nell’ottobre 2014, il PKK aveva avvertito che, se la Repubblica di Turchia non fosse intervenuta contro il gruppo «Stato islamico» il fragile processo di pace in cui era coinvolto sarebbe fallito (punto 18).

88      Infine, il Consiglio conclude che gli elementi descritti ai precedenti punti 86 e 87 corrispondono ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti i) e ii), della posizione comune 2001/931 e agli atti terroristici elencati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere a), c), d), da f) a i), della posizione comune 2001/931 (punto 19).

89      In secondo luogo, per quanto riguarda l’allegato B all’esposizione dei motivi, relativo alle decisioni giudiziarie francesi, il Consiglio in esso indica, in particolare, che il Tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi) ha condannato, con sentenza del 2 novembre 2011, l’associazione CCK Ahmet Kaya, per partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla preparazione di un atto terroristico e per finanziamento di attività terrorista. Orbene, il Consiglio rileva, da un lato, che tale condanna è stata confermata in appello dalla Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) nella sua sentenza del 23 aprile 2013, e, a seguito di impugnazione, dalla Cour de Cassation (Corte di cassazione) nella sua sentenza del 21 maggio 2014 e, dall’altro, che queste tre giurisdizioni hanno dichiarato, nelle loro rispettive sentenze, che l’associazione CCK Ahmet Kaya era la «vetrina legale» del PKK in Francia (punti da 11 a 14, 20 e 21). Inoltre, il Consiglio osserva che il Tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi) e la Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) hanno considerato che il PKK poteva essere qualificato come «organizzazione terroristica». A tale riguardo, il Consiglio prende atto del fatto che la Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) si è basata, in particolare, su una serie di attentati compiuti in Turchia nel 2005 e nel 2006 e imputati direttamente al PKK o al TAK, il quale era da considerare come il braccio armato del PKK, e su una serie di attacchi incendiari e con bombe Molotov in Francia e in Germania nel 2007 (punti da 15 a 19). Il Consiglio conclude che gli atti terroristici attribuiti al PKK dai giudici francesi rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto i), dell’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto ii), e dell’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere a) e b), della posizione comune 2001/931 (punto 22).

90      In terzo luogo, per quanto riguarda l’allegato C all’esposizione dei motivi relativo alle designazioni quale FTO e SDGT, il Consiglio vi afferma, in particolare, che la designazione quale FTO è stata adottata l’8 ottobre 1997 e che la designazione quale SDGT è stata adottata il 31 ottobre 2001 (punti 3 e 4).

91      Esso ricorda poi che le designazioni quale FTO sono riesaminate d’ufficio dopo cinque anni dallo United States Secretary of State (Segretario di Stato statunitense, Stati Uniti d’America), se non sono state nel frattempo oggetto di una domanda di decadenza. L’entità in questione può inoltre essa stessa chiedere, ogni due anni, che la sua designazione sia revocata fornendo prova di una concreta modifica delle circostanze su cui la sua designazione quale FTO si basava. Il Segretario di Stato statunitense e lo United States Congress (Congresso degli Stati Uniti, Stati Uniti d’America) possono altresì revocare d’ufficio una designazione quale FTO. Inoltre, l’entità interessata può presentare ricorso contro la sua designazione quale FTO presso la Circuit Court of Appeals for the District of Columbia (Corte d’appello federale del distretto di Columbia, Stati Uniti). Per quanto riguarda le designazioni come SDGT, il Consiglio osserva che esse non sono soggette ad alcun riesame periodico, ma possono essere impugnate dinanzi alle corti e ai tribunali federali (punti da 8 a 11). Inoltre, il Consiglio rileva che le designazioni del ricorrente quale FTO e SDGT non sono state impugnate dinanzi alle corti e ai tribunali statunitensi e non sono oggetto di procedimenti giudiziari in corso (punti 11 e 12). Rispetto alle procedure di riesame e alla descrizione dei mezzi di ricorso disponibili, il Consiglio ritiene che la legislazione statunitense applicabile garantisca la protezione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (punto 13).

92      Il Consiglio rileva altresì che le autorità statunitensi si sono basate, in particolare, sulla perpetrazione di attentati commessi dal PKK, per adottare le designazioni di quest’ultimo quale FTO e SDGT. Al riguardo, esso afferma che la relazione annuale 2013 sul terrorismo redatta dal Dipartimento di Stato (Ministero degli affari esteri) degli Stati Uniti contiene i motivi specifici in base ai quali la designazione del PKK quale FTO è stata decisa e mantenuta, vale a dire l’attentato a un convoglio militare turco il 22 agosto 2012, in cui sono stati uccisi cinque soldati e altri sette sono rimasti feriti; il rapimento di tre uomini politici turchi nell’estate del 2012; un attentato dinamitardo commesso, il 4 novembre 2012, presso il luogo di festeggiamento di un matrimonio, in cui due bambini sono rimasti uccisi, 26 persone sono state ferite e diversi edifici commerciali sono stati danneggiati, e conflitti armati avvenuti il 18 novembre 2012, che hanno provocato la morte di cinque soldati e il ferimento di uno. Il Consiglio conclude che tali atti corrispondono ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti i), ii) o iii), della posizione comune 2001/931 e agli atti terroristici elencati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere da a) a c) e f), della posizione comune 2001/931 (punti da 14 a 17).

93      Da quanto precede risulta che il Consiglio si è basato, per mantenere il nome del ricorrente negli elenchi controversi, da un lato sul mantenimento in vigore di decisioni qualificate come decisioni di autorità competenti ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 e, dall’altro, sulle valutazioni del Consiglio stesso riguardo all’assenza di elementi a favore del ritiro del nome del PKK dagli elenchi controversi e alla persistente pertinenza dei motivi che hanno giustificato l’iscrizione del nome del PKK negli elenchi controversi.

94      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare, in primo luogo, l’adeguatezza della motivazione per quanto riguarda le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio ha ritenuto che il nome del ricorrente dovesse essere mantenuto negli elenchi in questione.

95      Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che, se, considerati il tempo trascorso e l’evoluzione delle circostanze di specie, il mero fatto che la decisione nazionale posta a fondamento dell’iscrizione iniziale rimanga in vigore non consente più di concludere che persista il rischio di coinvolgimento della persona o entità interessata in attività terroristiche, il Consiglio è tenuto a fondare il mantenimento del nome di tale persona o di tale entità in detto elenco su una valutazione aggiornata della situazione, alla luce di elementi fattuali più recenti, che attestino che tale rischio persiste (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

96      Nel caso di specie, si deve considerare che è trascorso un considerevole periodo di tempo tra l’adozione delle decisioni su cui è stata fondata la prima iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi e l’adozione degli atti impugnati menzionati al punto 81 supra, come anche tra la prima iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi e l’adozione di tali atti. Infatti, l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito è stata emanata nel 2001. La designazione del PKK quale FTO risale al 1997 e la designazione del PKK quale SDGT risale al 2001. Infine, l’iniziale inserimento del nome del PKK negli elenchi controversi è avvenuto nel 2002. Tuttavia, gli atti impugnati elencati al punto 81, supra, sono stati adottati tra il 26 marzo 2015 e il 4 agosto 2017.

97      Orbene, un tale lasso di tempo, di oltre dieci anni, costituisce di per sé un fattore che giustifica la considerazione che le valutazioni contenute nell’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito, e le designazioni quale FTO e SDGT, non erano più sufficienti per valutare la sussistenza del rischio di coinvolgimento del ricorrente in attività terroristiche al momento dell’adozione degli atti impugnati. Il Consiglio era, pertanto, tenuto a fondare il mantenimento del nome del PKK negli elenchi controversi su elementi più recenti, che dimostrassero che il rischio di coinvolgimento del ricorrente nelle attività terroristiche permaneva. Pertanto, si deve concludere che l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito e le designazioni come FTO e SDGT, anche se ancora in vigore, non costituivano, di per sé, un fondamento sufficiente degli atti impugnati indicati al punto 81 supra, nella parte in cui riguardano il ricorrente.

98      Certamente, si deve constatare che nell’esposizione dei motivi degli atti impugnati elencati al punto 81 supra, il Consiglio fa riferimento ad altri elementi più recenti. Esso menziona, infatti, l’adozione delle decisioni giudiziarie francesi. Il Consiglio indica inoltre un certo numero di episodi attribuiti al PKK e sui quali le autorità competenti si sono basate per adottare o mantenere l’ordinanza del Segretario di Stato del Regno Unito, le designazioni quale FTO e SDGT e le decisioni giudiziarie francesi. Il Consiglio qualifica tali episodi come atti di terrorismo. Inoltre, il Consiglio dichiara anche di non aver identificato alcun elemento a favore del ritiro del nome del ricorrente dagli elenchi controversi.

99      Tuttavia, occorre constatare che il Consiglio non ha indicato i motivi per cui ha ritenuto tali elementi sufficienti a dimostrare la persistenza del rischio di coinvolgimento del ricorrente in attività terroristiche.

100    In primo luogo, per quanto riguarda le decisioni giudiziarie francesi, si deve constatare che queste ultime, pur essendo state adottate tra il 2 novembre 2011 e il 21 maggio 2014, si basano su elementi fattuali molto più risalenti, i più recenti dei quali hanno avuto luogo all’incirca da otto a dieci anni prima dell’adozione degli atti impugnati indicati al punto 81 supra. Orbene, un tale lasso di tempo costituisce di per sé un fattore giustificativo della considerazione che le valutazioni contenute nelle decisioni giudiziarie francesi non erano più sufficienti per valutare la sussistenza del rischio di coinvolgimento del ricorrente in attività terroristiche al momento dell’adozione dei suddetti atti impugnati.

101    Inoltre, il ricorrente non era parte nei procedimenti giudiziari che si sono conclusi con le sentenze del Tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi), della Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) e della Cour de cassation (Corte di cassazione) francese. Vero è che il Consiglio rileva, ai punti 13, 14 e 21 dell’allegato B all’esposizione dei motivi, che l’associazione CCK Ahmet Kaya costituiva, secondo dette pronunce giudiziarie, «la vetrina legale» del PKK in Francia. Tuttavia, una tale formulazione è ambigua, in particolare con riferimento alla condanna dell’associazione CCK Ahmet Kaya, accusata del finanziamento di attività terroristiche per il suo ruolo di sostegno al PKK. Infatti, nel dichiarare che l’associazione CCK Ahmet Kaya «ha volutamente apportato, tramite i suoi organi o rappresentanti, nel caso di specie attraverso i leader de facto di cui sopra, che hanno agito per suo conto, un sostegno logistico e finanziario concreto a un’organizzazione qualificata come terroristica», la Corte di cassazione francese conferma indirettamente che l’associazione CCK Ahmet Kaya e il PKK devono essere considerate come due entità distinte. Di conseguenza, il Consiglio non spiega in modo sufficiente i motivi per cui ha ritenuto che dette decisioni giudiziarie francesi fossero decisioni di un’autorità competente «nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931.

102    Pertanto, si deve concludere che le decisioni giudiziarie francesi, pur restando in vigore, non costituiscono, di per sé, sufficiente fondamento degli atti impugnati elencati al punto 81 supra, nella parte in cui riguardano il ricorrente, né possono rimediare al vizio di motivazione rilevato al punto 97 supra.

103    In secondo luogo, per quanto riguarda i fatti su cui il Ministro degli interni del Regno Unito si è basato nella sua decisione, del 3 dicembre 2014, di respingere la richiesta di revoca della proscrizione del PKK, si deve constatare che, nella sua memoria di adattamento del 26 maggio 2015, il ricorrente contesta espressamente l’imputabilità di tali eventi al PKK e l’adeguatezza delle informazioni fornite per concludere che detti eventi corrispondessero ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti da i) a iii), della posizione comune 2001/931 e agli atti di violenza di cui all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere da a) a k), della posizione comune 2001/931.

104    Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza che la persona o l’entità interessata può, nell’ambito del ricorso proposto contro il mantenimento del suo nome nell’elenco controverso, contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti. In caso di contestazione, spetta al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti allegati e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

105    Nel caso di specie, si deve rilevare che l’esposizione dei motivi degli atti impugnati elencati al punto 81 supra non contiene alcun elemento che consenta di ritenere che il Consiglio abbia effettivamente esaminato e cercato di accertare i fatti addebitati. Il Consiglio non ha inoltre fornito, nel corso del procedimento, elementi di prova della fondatezza di detti addebiti. Alla luce della giurisprudenza citata al punto 104 supra, il Consiglio non può limitarsi, come nel caso di specie, a ripetere i motivi di una decisione di un’autorità competente senza esaminarne esso stesso la fondatezza. La motivazione degli atti impugnati elencati al punto 81 supra non permette, quindi, né di stabilire se il Consiglio abbia adempiuto all’obbligo di verifica che gli incombeva a tal riguardo, né al Tribunale di esercitare il suo controllo quanto all’esattezza materiale dei fatti allegati.

106    Pertanto, si deve concludere che il fatto che l’ordinanza del Ministro dell’interno del Regno Unito sia stata confermata, nel dicembre 2014, sulla base di attentati che sarebbero stati commessi dal PKK nel maggio e nell’agosto 2014, non consente di rimediare al difetto di motivazione rilevato al punto 97 supra.

107    In terzo luogo, per quanto riguarda i fatti su cui le autorità statunitensi si sono basate per adottare o mantenere le designazioni quale FTO e SDGT, si deve constatare che, nella sua memoria di adattamento del 26 maggio 2015, il ricorrente contesta espressamente l’adeguatezza delle informazioni fornite per concludere che detti fatti corrispondessero ai fini enunciati all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punti da i) a iii), della posizione comune 2001/931 e agli atti di violenza di cui all’articolo 1, paragrafo 3, primo comma, punto iii), lettere da a) a k), della posizione comune 2001/931.

108    Si deve altresì rilevare che l’esposizione dei motivi degli atti impugnati elencati al punto 81 supra non contiene alcun elemento che consenta di ritenere che il Consiglio abbia effettivamente esaminato e cercato di accertare i fatti addebitati. Il Consiglio non ha inoltre fornito, nel corso del procedimento, elementi di prova della fondatezza di detti addebiti. Al contrario, il Consiglio non è in grado di precisare con certezza i motivi specifici e concreti su cui le designazioni quale FTO e SDGT sono fondate. In particolare, per quanto riguarda le relazioni annuali in materia di terrorismo adottate dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il Consiglio ammette espressamente nella controreplica che «sebbene tali relazioni possano effettivamente tener conto di informazioni sulla cui base gli Stati Uniti designano una FTO o decidono di mantenere tale designazione», «questo non è necessariamente il caso» (controreplica, punto 115).

109    Orbene, alla luce della giurisprudenza citata al punto 104 supra, il Consiglio non può limitarsi, come nel caso di specie, a ripetere i motivi di una decisione di un’autorità competente senza esaminarne esso stesso la fondatezza. Ciò a maggior ragione se la decisione di cui trattasi non è adottata da un’autorità competente di uno Stato membro. La motivazione degli atti impugnati elencati al punto 81 supra non permette, quindi, né di stabilire se il Consiglio abbia adempiuto all’obbligo di verifica che gli incombeva a tal riguardo, né al Tribunale di esercitare il suo controllo quanto all’esattezza materiale dei fatti allegati.

110    In quarto luogo, per quanto riguarda l’assenza di elementi che depongano a favore della cancellazione del nome della ricorrente dagli elenchi controversi, si deve constatare che il ricorrente ha presentato al Consiglio alcuni elementi che, a suo parere, potevano deporre nel senso di una cancellazione del nome del PKK dagli elenchi controversi, in particolare nella sua lettera del 6 marzo 2015 in risposta alla lettera del Consiglio che informava il ricorrente della sua intenzione di mantenere il suo nome negli elenchi in questione.

111    Secondo la giurisprudenza, quando la persona coinvolta formula osservazioni in merito all’esposizione dei motivi, l’autorità competente dell’Unione è tenuta a esaminare, con cura e imparzialità, la fondatezza dei motivi sollevati, alla luce di queste osservazioni e degli eventuali elementi a discarico di cui sono corredate (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑548/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 114).

112    Senza arrivare a imporre di rispondere in dettaglio alle osservazioni presentate dalla persona coinvolta, l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE implica in tutte le circostanze che l’istituzione di cui trattasi identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui si ritiene che alla persona interessata debbano essere applicate misure restrittive (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 116).

113    Orbene, si deve rilevare che l’esposizione dei motivi degli atti impugnati elencati al punto 81 supra non contiene alcun elemento che consenta di ritenere che il Consiglio abbia effettivamente esaminato gli elementi forniti dal ricorrente. È vero che l’esposizione dei motivi degli atti impugnati contiene una dichiarazione secondo cui il Consiglio ha esaminato se vi fossero elementi in suo possesso che deponessero a favore della cancellazione del nome del PKK dagli elenchi controversi senza trovarne nessuno (punto 9). Anche se tale formulazione generica può eventualmente essere sufficiente in assenza di osservazioni da parte delle persone, dei gruppi e delle entità interessate dalle misure di congelamento dei capitali, non è questo il caso quando, come nel caso di specie, il ricorrente produce elementi di prova che, a suo avviso, sono idonei a giustificare la cancellazione del proprio nome dagli elenchi controversi, indipendentemente dalla fondatezza di tali elementi. In tal caso, il Consiglio ha il dovere di rispondere, anche sommariamente, nell’esposizione dei motivi.

114    Tale vizio di motivazione non può essere sanato dalla menzione, nella lettera del Consiglio del 27 marzo 2015, citata al punto 19 supra, che la circostanza che vi fossero gruppi curdi tra coloro che combattevano il gruppo «Stato islamico» non modificava la valutazione del Consiglio secondo la quale il PKK rispondeva ai criteri di designazione previsti dalla posizione comune 2001/931. Infatti, si deve rilevare, in primo luogo, che tale lettera è successiva all’adozione del regolamento 2015/513 e alla decisione 2015/521, e, in secondo luogo, che il Consiglio non specifica gli elementi concreti che l’hanno portato a concludere che il rischio di coinvolgimento in attività terroristiche sussistesse.

115    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che il Consiglio non ha sufficientemente indicato, nell’esposizione dei motivi che accompagna gli atti impugnati elencati al punto 81 di cui sopra, i motivi specifici e concreti del mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi. Si deve pertanto concludere che i regolamenti di esecuzione 2015/513, 2015/1325, 2015/2425, 2016/1127, 2017/150 e 2017/1420 e le decisioni 2015/521, 2015/1334 e 2017/1426 sono viziati da insufficienza di motivazione.

 Conclusione

116    In tali circostanze, si deve considerare che il Consiglio ha violato l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 296 TFUE. Ne consegue che il settimo motivo deve essere accolto e che tale constatazione giustifica, di per sé, l’annullamento degli atti impugnati nella parte in cui riguardano il ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 7 dicembre 2011, HTTS/Consiglio, T‑562/10, EU:T:2011:716, punto 40).

117    Alla luce di quanto precede, gli atti impugnati devono essere annullati, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti e motivi dedotti a sostegno del presente ricorso. Per quanto riguarda la domanda del ricorrente volta ad ottenere che il Tribunale dichiari il regolamento n. 2580/2001 inapplicabile nei suoi confronti, essa deve essere respinta a seguito dell’abbandono del primo motivo, sul quale tale domanda era fondata.

 Sugli effetti nel tempo dell’annullamento degli atti impugnati

118    Occorre constatare che gli atti impugnati sono stati modificati dal regolamento di esecuzione (UE) 2018/468 del Consiglio, del 21 marzo 2018, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001, e che abroga il regolamento di esecuzione 2017/1420 (GU 2018, L 79, pag. 7), e dalla decisione (PESC) 2018/475 del Consiglio, della stessa data, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931, e che abroga la decisione 2017/1426 (GU 2018, L 79, pag. 26), che hanno sostituito gli elenchi controversi con efficacia dal 23 marzo 2018 e hanno prorogato l’applicazione delle misure restrittive nei confronti del ricorrente.

119    Pertanto, attualmente, il ricorrente è sottoposto a una nuova misura restrittiva. Ne consegue che l’annullamento degli atti impugnati, nella parte in cui riguardano il ricorrente, non comporta la cancellazione del suo nome dagli elenchi in questione.

120    Di conseguenza, non è necessario conservare gli effetti degli atti impugnati, per quanto concerne il ricorrente.

 Sulle spese

121    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere quindi condannato alle spese, conformemente alle conclusioni del ricorrente.

122    Inoltre, conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese. Ne consegue che la Commissione e il Regno Unito sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 del Consiglio, del 10 febbraio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013, è annullato nella parte che riguarda il Kurdistan Workers’ Party (PKK).

2)      Il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014 del Consiglio, del 22 luglio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

3)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2015/513 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

4)      La decisione (PESC) 2015/521 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che aggiorna e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2014/483/PESC, è annullata nella parte che riguarda il PKK.

5)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/513, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

6)      La decisione (PESC) 2015/1334 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2015/521, è annullata nella parte che riguarda il PKK.

7)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 del Consiglio, del 21 dicembre 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

8)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127 del Consiglio, del 12 luglio 2016, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

9)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 del Consiglio, del 27 gennaio 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

10)    Il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione 2017/150, è annullato nella parte che riguarda il PKK.

11)    La decisione (PESC) 2017/1426 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/154, è annullata nella parte che riguarda il PKK.

12)    Inoltre, la domanda volta ad ottenere che sia dichiarato inapplicabile, nei confronti del PKK, il regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo, è respinta.

13)    Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal PKK.

14)    La Commissione europea e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.



Frimodt Nielsen

Kreuschitz

Forrester

Półtorak

 

Perillo

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 novembre 2018.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.