Language of document : ECLI:EU:C:2014:34

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 23 gennaio 2014 (1)

Causa C‑591/12 P

Bimbo SA

contro

UAMI

«Impugnazione – Marchio comunitario – Procedura di opposizione – Domanda di marchio comunitario denominativo BIMBO DOUGHNUTS – Marchio denominativo anteriore DOGHNUTS – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009»





1.        Con l’impugnazione oggetto del presente giudizio, Bimbo SA (in prosieguo: la «ricorrente») chiede l’annullamento della sentenza del 10 ottobre 2012, Bimbo/UAMI – Panrico (BIMBO DOUGHNUTS) (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il Tribunale ha respinto il ricorso da essa introdotto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) del 7 ottobre 2010 (3), relativa a una procedura di opposizione tra Panrico, SA (in prosieguo: «Panrico») e la ricorrente (in prosieguo: la «decisione controversa»).

I –    Fatti all’origine dell’impugnazione

2.        I fatti all’origine del presente giudizio, come descritti nella sentenza impugnata, sono di seguito succintamente riportati.

3.        Il 25 maggio 2006 la ricorrente ha depositato presso l’UAMI una domanda di registrazione di marchio comunitario, in virtù del regolamento n. 40/94/CE e successive modifiche (4), avente ad oggetto il segno verbale BIMBO DOUGHNUTS. La registrazione era richiesta per prodotti rientranti nella classe 30 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondenti alla seguente descrizione «prodotti di pasticceria e panetteria, in particolare, bignè». La domanda è stata pubblicata sul Bollettino dei marchi comunitari il 16 ottobre 2006.

4.        Il 16 gennaio 2007 Panrico ha presentato opposizione alla registrazione del marchio oggetto della suddetta domanda sulla base dell’articolo 42 del regolamento n. 40/94. Tale opposizione si fondava sulla preesistenza di diversi marchi, nazionali e internazionali, sia verbali che figurativi, tra i quali, segnatamente, il marchio verbale spagnolo DOGHNUTS, registrato il 18 giugno 1994 per prodotti rientranti nella medesima classe 30 e corrispondenti alla seguente descrizione: «prodotti e preparazioni (…) di pasticceria (…); (…), bignè di forma rotonda (…)». I motivi invocati a supporto dell’opposizione erano fondati sull’articolo 8, paragrafi 1, lettera b), e 5, del regolamento n. 40/94.

5.        Il 25 maggio 2009, la divisione di opposizione dell’UAMI ha accolto l’opposizione. Con la decisione controversa la quarta commissione di ricorso dell’UAMI ha confermato l’analisi della divisione di opposizione.

II – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

6.        Con atto d’impugnazione depositato in cancelleria il 13 dicembre 2010, la ricorrente ha chiesto, in via principale, la riforma della decisione controversa e l’accoglimento della domanda di registrazione del marchio richiesto e, in via subordinata, l’annullamento di detta decisione. A sostegno del suo ricorso essa invocava due motivi, dei quali il secondo verteva su una violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Con la sentenza impugnata, dopo aver dichiarato irricevibile la domanda volta ad ottenere la riforma della decisione controversa e la registrazione del marchio richiesto ed aver respinto nel merito entrambi i motivi, il Tribunale ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente a sostenere le proprie spese e quelle incorse dall’UAMI. Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente contestava la valutazione del rischio di confusione effettuata dalla commissione di ricorso, il Tribunale ha, in primo luogo, confermato che il pubblico di riferimento ai fini di tale valutazione era costituito dal consumatore medio spagnolo e che i prodotti in causa erano identici. In secondo luogo, nell’ambito della comparazione tra i segni, il Tribunale ha respinto, da un lato, l’argomento della ricorrente secondo cui il termine «doughnuts», nel marchio richiesto, doveva ritenersi descrittivo e, quindi, privo di carattere distintivo per il pubblico spagnolo (punti da 57 a 74) e, dall’altro, l’allegazione secondo cui il termine «bimbo» rivestiva carattere dominante in tale marchio, in quanto corrispondente a un marchio che gode di rinomanza in Spagna (punti da 75 a 80). A tale proposito, il Tribunale ha precisato che, anche qualora fosse stato accertato il carattere rinomato del marchio BIMBO, e, quindi, il maggior rilievo all’interno di detto segno dell’elemento che lo riproduce, ciò non sarebbe stato sufficiente a consentire di limitare la valutazione della somiglianza tra i segni in conflitto a questo solo elemento, poiché il termine «doughnuts» non poteva comunque considerarsi come trascurabile nell’impressione d’insieme prodotta dal marchio richiesto. In terzo luogo, il Tribunale ha confermato la valutazione della commissione di ricorso circa l’esistenza di un grado di somiglianza visiva e fonetica medio tra i segni in raffronto e l’impossibilità di procedere a una comparazione dal punto di vista concettuale. Infine, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, il Tribunale ha risposto all’argomento della ricorrente circa il preteso carattere dominante dell’elemento «bimbo» nel marchio richiesto rinviando alla sentenza Medion della Corte (5) e precisando, al punto 96 della sentenza impugnata, che «un rischio di confusione può esistere nella mente del pubblico, in caso d’identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno contestato è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell’impresa del terzo e, dall’altro, del marchio registrato, dotato di un carattere distintivo normale, e quest’ultimo, senza creare da solo l’impressione d’insieme del segno composto, conservi in esso una posizione distintiva autonoma». Esso ha poi constatato che l’elemento «doughnuts» occupava una posizione distintiva autonoma all’interno del marchio richiesto, in quanto, da un lato, era «dotato di un carattere distintivo medio per la parte del pubblico di riferimento che non conosce la lingua inglese» e dall’altro, essendo privo di ogni significato per tale consumatore, non si fondeva, nel marchio richiesto, con l’elemento «bimbo» in un «insieme unitario» o in un’«unità logica» a sé stante, suscettibile d’identificare i prodotti in questione come «bignè prodotti dall’impresa Bimbo» (punto 97). Sulla base di tali considerazioni, e tenuto conto, in particolare, dell’identità dei prodotti in causa, del ridotto livello di attenzione del consumatore data la natura di questi ultimi nonché della somiglianza visiva e fonetica tra i segni in raffronto, il Tribunale ha concluso che la commissione di ricorso aveva correttamente ritenuto che sussistesse nella specie un rischio di confusione.

III – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

7.        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 dicembre 2012, la ricorrente ha proposto impugnazione contro la predetta sentenza. Essa conclude per l’annullamento della sentenza impugnata, l’accoglimento delle conclusioni presentate in primo grado relative all’annullamento della decisione controversa in quanto adottata in violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e la condanna dell’UAMI alle spese. L’UAMI e Panrico chiedono il rigetto dell’impugnazione e la condanna della ricorrente alle spese. I rappresentanti delle parti sono stati sentiti all’udienza del 7 novembre 2013.

IV – Sull’impugnazione

8.        A sostegno dell’impugnazione la ricorrente solleva un unico motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Tale motivo è suddiviso in due parti. La prima verte su un presunto errore di diritto che il Tribunale avrebbe commesso riconoscendo all’elemento «doughnuts» una posizione distintiva autonoma nel marchio richiesto nonché interpretando e applicando in maniera erronea la giurisprudenza della Corte e, in particolare, la citata sentenza Medion. Nella seconda parte, la ricorrente contesta al Tribunale di non aver tenuto conto, nella valutazione globale del rischio di confusione, di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie.

A –    Sulla prima parte del motivo unico d’impugnazione: errata attribuzione all’elemento «doughnuts» di una posizione distintiva autonoma all’interno del marchio richiesto

1.      Argomenti delle parti

9.        Ad opinione della ricorrente, il Tribunale ha erroneamente dedotto, in modo sostanzialmente automatico, la posizione distintiva autonoma dell’elemento «doughnuts» nel marchio richiesto dalla circostanza che tale elemento è dotato di un carattere distintivo medio ed è privo di qualsiasi significato per il consumatore medio spagnolo. Procedendo in tal modo, il Tribunale avrebbe confuso la «capacità distintiva» e l’«assenza di significato» di uno degli elementi di un marchio composto con la sua «posizione distintiva autonoma» all’interno dello stesso, conferendo a quanto affermato dalla Corte in via di mera eccezione nella citata sentenza Medion il carattere di regola generale. Secondo la ricorrente, l’esistenza di una tale «posizione distintiva autonoma» deve essere accertata caso per caso, avendo riguardo, come suggerisce la stessa utilizzazione del termine «posizione», alle caratteristiche degli altri elementi che compongono il marchio complesso e alla luce di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie. Ora, tale valutazione sarebbe assente nella sentenza impugnata. Al contrario, il ragionamento seguito dal Tribunale condurrebbe automaticamente ad escludere che un marchio composto da due elementi, uno dei quali costituito da un marchio rinomato e l’altro da un marchio dotato di carattere distintivo medio e privo di significato per il pubblico di riferimento possa formare un «insieme unitario» o «un’unità logica», il che conferirebbe, ancora automaticamente, al secondo elemento una «posizione distintiva autonoma». La ricorrente rileva peraltro che le nozioni di «insieme unitario» e di «unità logica», che figurano nella sentenza impugnata non sono state chiarite dal Tribunale e restano oscure. Nel caso in cui, facendo riferimento a tali nozioni, il Tribunale intendesse sottolineare l’assenza di collegamento tra gli elementi del marchio richiesto, la ricorrente osserva che la sola circostanza che uno o più elementi di un marchio complesso siano privi di collegamento rispetto agli altri elementi che lo compongono non implica necessariamente che detti elementi siano dotati di una posizione distintiva autonoma.

10.      Secondo l’UAMI e Panrico la parte del motivo unico d’impugnazione in esame deve essere respinta come infondata e, in parte, come manifestamente irricevibile, poiché volta a ottenere dalla Corte un nuovo esame dei fatti di causa.

2.      Analisi

11.      L’argomentazione della ricorrente, che non si contraddistingue per particolare chiarezza, mi sembra sollevare in sostanza due censure tra loro collegate. Da un lato, inferendo la posizione distintiva autonoma di un elemento all’interno di un marchio composto dalla sua capacità distintiva e dal fatto che esso, non fondendosi con gli altri elementi del marchio in un insieme concettualmente distinto, mantiene una propria autonomia, il Tribunale avrebbe erroneamente fatto ricorso a un automatismo invece di procedere a una valutazione d’insieme delle circostanze del caso di specie. Dall’altro, proprio in virtù dell’istituzione di un tale automatismo, il Tribunale avrebbe conferito alla citata sentenza Medion una portata generale che sarebbe contraddetta dal suo stesso tenore.

12.      Al fine di esaminare tali censure conviene anzitutto ricordare brevemente quanto affermato dalla Corte nella menzionata sentenza Medion, cui le parti del presente giudizio sembrano attribuire interpretazioni almeno in parte divergenti [sub a)]. Passerò successivamente a illustrare il modo in cui tale sentenza è stata interpretata e applicata nella giurisprudenza successiva della Corte e del Tribunale [sub b)], prima di tentare di definirne l’esatta portata [sub c)]. Procederò, infine, all’esame degli argomenti sollevati dalla ricorrente [sub d)].

a)      La sentenza Medion

13.      Nel rinvio pregiudiziale che ha dato origine alla sentenza Medion, l’Oberlandesgericht Düsseldorf chiedeva, in sostanza, alla Corte se l’articolo 5, paragrafo 1, seconda frase, lettera b), della direttiva 89/104/CEE (nel prosieguo: la «direttiva») (6), che ha il medesimo contenuto dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, dovesse essere interpretato nel senso che sussiste un rischio di confusione, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, tra un marchio denominativo anteriore, dotato di una normale capacità distintiva, e il segno composto posteriore (denominativo o denominativo e figurativo) di un terzo, in cui il marchio anteriore figura preceduto dal nome commerciale del terzo, qualora tale marchio, pur senza dominare l’impressione d’insieme del segno composto, conservi all’interno di quest’ultimo una posizione distintiva autonoma. Nel porre tale quesito, la giurisdizione di rinvio precisava che, in base alla giurisprudenza del Bundesgerichtshof, ispirata alla cosiddetta «Prägetheorie» (teoria dell’impressione prodotta), per valutare la somiglianza del segno contestato era necessario basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai due segni e verificare se la parte identica caratterizzasse il segno composto in misura tale da mettere significativamente in secondo piano gli altri elementi dal punto di vista della creazione dell’impressione complessiva. In base a tale teoria, un rischio di confusione non sarebbe stato ammissibile nel caso in cui l’elemento identico si fosse limitato a contribuire a creare l’impressione complessiva del segno, anche qualora conservasse nel segno composto una posizione distintiva autonoma. Il ricorrente nel procedimento principale, titolare del marchio anteriore LIFE, registrato per apparecchi elettronici per il tempo libero, cercava di ottenere che fosse vietata l’utilizzazione, da parte dell’impresa Thomson, del segno THOMSON LIFE in relazione ai medesimi prodotti. La giurisdizione di rinvio faceva presente che, essenzialmente a causa dell’esistenza, nel settore dei prodotti in oggetto, di una prassi denominativa tendente a mettere in primo piano il nome del produttore, l’elemento «thomson» contribuiva in modo essenziale all’impressione complessiva generata dal segno THOMSON LIFE, malgrado la capacità distintiva normale dell’elemento «life».

14.      Dopo aver precisato che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della «direttiva è destinato ad applicarsi solo se, a causa dell’identità o della somiglianza dei marchi e dei prodotti o servizi designati, sussista un rischio di confusione per il pubblico» e aver ricordato che costituisce un tale rischio, ai sensi di detta disposizione, il fatto che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate (7), la Corte richiamava la giurisprudenza secondo cui l’esistenza di un siffatto rischio deve essere oggetto di una valutazione globale fondata «per quanto attiene alla somiglianza visiva, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta [dagli stessi], in considerazione, in particolare, de[i] loro elementi distintivi e dominanti (…)» (8). Essa proseguiva ricordando che, per giurisprudenza costante, la percezione dei marchi operata dal consumatore medio dei prodotti o servizi di cui trattasi «svolge un ruolo determinante in tale valutazione» e che detto consumatore «percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi» (9). Essa precisava ancora che, nel verificare l’esistenza di un rischio di confusione, «la valutazione della somiglianza tra due marchi non significa prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio», occorrendo invece operare il confronto «esaminando i marchi di cui trattasi, considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti».

15.      Ciò premesso, al punto 30 della sentenza, la Corte affermava quanto segue:

«30.      Tuttavia, al di là del caso normale in cui il consumatore medio percepisce un marchio nella sua globalità, e nonostante che uno o più componenti di un marchio complesso possano risultare dominanti nell’impressione complessiva, non può in alcun modo escludersi che, in un caso particolare, un marchio anteriore, utilizzato da un terzo nell’ambito di un segno composto che comprende la denominazione dell’impresa del terzo stesso, conservi una posizione distintiva autonoma nel segno composto, pur senza costituirne l’elemento dominante».

16.      Secondo la Corte, in una simile ipotesi, il pubblico può essere indotto a ritenere che i prodotti o i servizi in questione provengano, quantomeno, da imprese economicamente collegate, situazione sufficiente a configurare un rischio di confusione (10). La Corte aggiungeva che subordinare l’accertamento dell’esistenza di un rischio siffatto alla condizione che, nell’impressione complessiva generata dal segno composto, risulti dominante l’elemento costituito dal marchio anteriore, priverebbe il titolare di quest’ultimo del diritto esclusivo conferito dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva ogniqualvolta un terzo utilizzi un segno composto costituito da tale marchio e dalla ditta o da un marchio del terzo che godono di rinomanza, poiché tali elementi sarebbero, nella maggior parte dei casi tali da dominare l’impressione complessiva prodotta dal segno (11).

b)      Le applicazioni successive della sentenza Medion

17.      Da un’analisi della giurisprudenza posteriore alla sentenza Medion emerge, anzitutto, che la prima parte dei motivi di tale pronuncia, vale a dire i punti da 27 a 29, il cui contenuto è brevemente ripreso al paragrafo 14 delle presenti conclusioni, è stata in modo pressoché costante citata al fine di illustrare la metodologia da seguire nel valutare l’esistenza di un rischio di confusione nel caso in cui uno o entrambi i marchi in conflitto sono costituiti da segni composti (12). Sotto tale profilo, detta sentenza è stata interpretata, da un lato, come una riaffermazione del principio secondo cui l’accertamento dell’esistenza di un rischio di confusione deve formare oggetto di una valutazione globale, fondata, per quanto attiene alla somiglianza tra i segni, sul criterio dell’impressione complessiva da questi prodotta, dall’altro, come una conferma di quanto già in precedenza affermato dal Tribunale e dalla Corte nelle cause Matratzen, vale a dire che la necessità di procedere a un raffronto tra i marchi in conflitto considerati ciascuno nel suo complesso «non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti» (13).

18.      Diverse sentenze, in particolare del Tribunale, hanno poi fatto riferimento alle precisazioni contenute ai punti da 30 a 37 della sentenza Medion, il cui contenuto è riassunto ai paragrafi 15 e 16 delle presenti conclusioni, e alla nozione di «posizione distintiva autonoma». Un primo dato che emerge dall’analisi di tali pronunce è la tendenza a estendere la portata di questa parte dei motivi della sentenza Medion al di là delle sole ipotesi in essa espressamente contemplate, relative, come si è visto, all’utilizzazione da parte di un terzo, in caso di identità dei prodotti, di un segno composto dalla riproduzione di un marchio anteriore dotato di carattere distintivo autonomo giustapposta alla denominazione dell’impresa del terzo o a un marchio di sua titolarità (14). Nonostante qualche pronuncia di senso opposto (15), ha, in effetti, prevalso, prima nella giurisprudenza del Tribunale (16), e successivamente anche in quella della Corte (17), un orientamento volto a dedurre per analogia dai suddetti punti della sentenza Medion una «regola» applicabile in tutti i casi in cui un marchio anteriore (18) figura quale elemento di un segno composto posteriore, e ciò anche qualora non vi sia riprodotto identicamente (19).

19.      Allo stesso modo, anche la nozione di «posizione distintiva autonoma» è stata interpretata estensivamente e applicata anche in circostanze diverse da quelle che caratterizzavano il procedimento principale nella causa Medion, ad esempio nel caso di marchio anteriore figurativo (20). Sebbene non sia rinvenibile nella giurisprudenza una definizione di tale nozione, essa è stata talvolta collegata alla «percettibilità» o «riconoscibilità» del marchio anteriore all’interno del marchio richiesto in cui il primo marchio, o un suo elemento (21), è riprodotto (22). In altri casi, invece, essa è stata riconosciuta applicabile a un elemento «autonomo, centrale e d’effetto» (23), ad un elemento dotato di «carattere distintivo proprio» (24) o di una «capacità d’attrazione sufficiente» (25) ovvero è stata dedotta dal suo carattere «non trascurabile» nell’impressione complessiva prodotta dal segno composto (26). Per quanto concerne il grado di distintività necessario a contraddistinguere una tale posizione, la giurisprudenza è particolarmente oscillante. In alcune sentenze si è escluso che la riproduzione del marchio anteriore in un segno composto posteriore potesse rivestire, all’interno di tale segno, una posizione distintiva autonoma qualora detto marchio (rectior l’elemento del segno posteriore che lo riproduce) fosse descrittivo (27) o dotato di carattere distintivo debole (28). In altre, invece, è stata accolta una conclusione di segno opposto (29). La giurisprudenza sembra invece costante nel ritenere che non si possa riconoscere una posizione distintiva autonoma all’elemento del segno posteriore che riproduce il marchio anteriore qualora esso componga, con gli altri elementi di detto segno, un’unità logica a sé stante, perdendo in tal modo la propria autonomia concettuale (30).

20.      Per quanto concerne le conseguenze che si ricollegano alla constatazione della posizione distintiva autonoma che il marchio anteriore conserva nel segno posteriore, diverse pronunce fanno discendere automaticamente da tale constatazione l’esistenza di una somiglianza visiva tra i segni in raffronto (31). Una maggiore prudenza emerge invece allo stadio della valutazione globale dell’esistenza di un rischio di confusione. A tale proposito, si è precisato che detto rischio non può dedursi dalla sola circostanza che il marchio anteriore riveste nel marchio posteriore una certa posizione distintiva sebbene non dominante (32), ma deve essere accertato sulla base di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie (33).

21.      Infine, rilevo un’incertezza nella giurisprudenza quanto all’importanza da attribuire alla presenza, in un marchio, dell’indicazione del nome del fabbricante. Se, nella stessa sentenza Medion e in ulteriori pronunce, si è ritenuto che una tale indicazione, data la sua funzione di identificazione dell’origine del prodotto, non potesse essere considerata come un elemento trascurabile (34) ed anzi, le è stato riconosciuto un carattere anche potenzialmente dominante (35), in altre sentenze, essa è stata ritenuta, proprio a causa di detta funzione, quale elemento d’importanza secondaria (36).

c)      La portata della sentenza Medion

22.      Il breve esame della giurisprudenza che precede mette in luce una certa difficoltà nel delineare l’effettiva portata della sentenza Medion e nel dare contenuto alla nozione di «posizione distintiva autonoma» che figura al citato punto 30 di tale sentenza. Se la terminologia utilizzata dalla Corte in tale punto lascia effettivamente pensare che quest’ultima abbia inteso introdurre un’eccezione ai principi ben consolidati nella giurisprudenza dell’Unione in tema di valutazione del rischio di confusione, tale interpretazione non mi sembra tuttavia soddisfacente. Una differenziazione dei criteri applicabili alla valutazione della somiglianza tra i marchi, che implichi, per una categoria isolata di marchi composti, una deroga alle regole sulla percezione del marchio da parte del pubblico, non trova, a mio avviso, alcuna giustificazione plausibile. In particolare, non può costituire una tale giustificazione l’esigenza, cui la Corte sembra dare rilievo ai punti da 33 a 35 della sentenza Medion, di tutelare il marchio anteriore contro eventuali usurpazioni da parte di terzi. In effetti, tale esigenza, per quanto legittima, è estranea al giudizio di confondibilità e, come già aveva rilevato l’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni nella causa che ha dato origine alla sentenza in parola, deve trovare soddisfazione in base a norme diverse da quelle che presiedono a tale giudizio (37).

23.      Occorre dunque a mio avviso tentare una diversa ricostruzione della sentenza Medion. A tal fine è anzitutto essenziale ricordare che la pronuncia in parola è stata resa nel quadro di un rinvio pregiudiziale, in cui ogni accertamento di fatto resta di pertinenza esclusiva del giudice di rinvio. In tale contesto, la Corte non ha preso posizione sull’esistenza di un rischio di confusione nel caso di specie (raffronto tra i marchi THOMSON LIFE e LIFE), ma si è limitata a rispondere al quesito postole, precisando, sulla base delle indicazioni fornite dalla giurisdizione nazionale, i criteri alla luce dei quali effettuare il giudizio di confondibilità. In tal modo contestualizzata, la pronuncia in parola si limita in sostanza ad affermare che non può escludersi a priori l’esistenza di un rischio di confusione tra un marchio anteriore utilizzato da un terzo nell’ambito di un segno composto e tale segno qualora il marchio anteriore, pur senza costituire l’elemento dominante del segno composto vi conservi una posizione tale che il pubblico di riferimento è condotto ad attribuire «altresì al titolare di tale marchio l’origine dei prodotti o dei servizi contrassegnati dal segno composto» (38).

24.      Più in generale, e al di là delle circostanze del caso sottoposto alla Corte, tale affermazione implica che qualora l’elemento di un segno composto, identico o simile a un marchio anteriore, concorra in modo significativo a creare l’immagine di tale marchio che il pubblico pertinente conserva in memoria senza dominarla e nonostante l’eventuale prevalenza di un’altra componente del segno, detto elemento deve essere preso in considerazione nel valutare la somiglianza fra il segno composto e il marchio anteriore ed entra quindi in linea di conto nel giudizio di confondibilità. In tal senso, lungi dall’introdurre una deroga ai principi che presiedono a tale giudizio, la sentenza in parola ha piuttosto, a mio avviso, inteso attenuare il rigore di taluni precedenti, in particolare le pronunce rese nelle cause Matratzen Concord/UAMI, che potevano essere interpretate come una rigida applicazione della Prägetheorie (39). Tale lettura della sentenza Medion risulta confermata dalla sentenza UAMI/Shaker (40), in cui la Corte, con l’obiettivo, esplicitato nelle conclusioni dell’avvocato generale Kokott cui la sentenza rinvia, di ricomporre l’apparente incoerenza tra dette pronunce e la sentenza Medion ha precisato che, se non è escluso che l’impressione complessiva generata da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti, «è solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza [fra due marchi] sulla sola base dell’elemento dominante» (41). Tale precisazione è stata costantemente ripresa nella giurisprudenza posteriore (42).

25.      A questo punto si rendono necessarie due precisazioni. In primo luogo, affermare che, nel valutare la somiglianza tra due marchi di cui uno composto da più elementi tra i quali figura riprodotto, in modo identico o simile, l’unico elemento di cui si compone l’altro marchio, si deve tener conto dell’elemento comune, ove non marginale nell’impressione complessiva prodotta dal marchio composto, anche qualora non domini tale impressione, non implica che si possa derogare ai criteri di percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento, cui la giurisprudenza ha conferito il carattere di veri e propri parametri giuridici. Il primo fra tali parametri, consacrato da una giurisprudenza oramai consolidata, su cui si fonda la stessa sentenza Medion, è quello secondo cui il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (43). Da tale regola consegue che l’analisi delle componenti di un marchio e del loro peso relativo all’interno dello stesso è comunque funzionale all’individuazione, in via di sintesi, dell’impressione complessiva che esso produce, suscettibile di essere memorizzata dal consumatore e di orientare le sue successive scelte di acquisto. Tale operazione di sintesi è imprescindibile anche nel caso di marchi composti da più elementi distintivi che concorrono senza determinare, ciascuno preso isolatamente, l’impressione complessiva generata dal marchio. Essa si rende altresì necessaria nelle circostanze descritte nella sentenza Medion, vale a dire nel caso in cui un marchio anteriore sia accostato nel segno di un terzo alla ditta di quest’ultimo (44). Più in generale, ciò che conta dunque non è tanto la posizione che occupa nel segno posteriore l’elemento di quest’ultimo che riproduce il marchio anteriore quanto piuttosto l’idoneità di tale elemento ad essere autonomamente percepito e memorizzato dal pubblico nel contesto di detto segno.

26.      In secondo luogo, quale che sia la posizione che il marchio anteriore occupa nell’impressione complessiva prodotta dal segno posteriore è comunque necessario procedere all’accertamento del rischio di confusione non in astratto, ma alla luce dell’insieme dei fattori pertinenti del caso di specie, tra i quali, in particolare, oltre alla somiglianza visiva, fonetica e concettuale tra i segni in conflitto, la natura dei prodotti e dei servizi in oggetto, i metodi di commercializzazione, l’attenzione più o meno elevata del pubblico di riferimento nonché le abitudini di detto pubblico nel settore interessato (45). Ne consegue che non si può dedurre automaticamente dalla circostanza che il marchio anteriore conserva, nel marchio composto posteriore, una posizione distintiva autonoma l’esistenza di un rischio di confusione tra i segni di cui trattasi (46). In particolare, l’esigenza di tutela del marchio anteriore non consente di prescindere dall’accertamento di tale rischio, come peraltro emerge, a mio avviso, chiaramente anche dagli stessi punti 31e 36 della sentenza Medion.

27.      È sulla base dei principi sopra esposti che procederò a esaminare le censure sollevate dalla ricorrente nella prima parte del suo motivo unico d’impugnazione.

d)      Analisi delle censure

28.      La ricorrente afferma in primo luogo che il Tribunale è giunto alla conclusione che l’elemento «doughnuts» occupa, nel segno di cui si chiede la registrazione, una posizione distintiva autonoma ai sensi della sentenza Medion senza procedere ad una valutazione d’insieme delle circostanze del caso di specie. In proposito rilevo, in via preliminare, che i punti 96 e 97 della sentenza impugnata sui quali verte la censura in esame costituiscono una risposta all’argomento della ricorrente secondo cui l’elemento «bimbo» ha carattere dominante nel marchio richiesto. In tale contesto, il rinvio alla sentenza Medion, contenuto in tali punti, deve essere considerato come un richiamo del principio, affermato in tale sentenza, secondo cui l’accertamento dell’esistenza di un rischio di confusione non può essere subordinato alla condizione che, nell’impressione complessiva generata dal segno composto, risulti dominante quella parte dello stesso che è costituita dal marchio anteriore (47). In altri termini, il Tribunale ha inteso chiarire che, anche qualora si dovesse ritenere che l’elemento «bimbo» ha il carattere dominante che gli attribuisce la ricorrente, ciò non sarebbe sufficiente a escluderne la rilevanza nel giudizio di confondibilità dell’elemento «doughnuts». Ad analoga conclusione, il Tribunale è giunto anche al punto 81 della sentenza impugnata, in cui ha precisato che quest’ultimo elemento deve essere preso in considerazione nella comparazione fra i segni di cui trattasi in quanto non trascurabile nell’impressione complessiva generata dal marchio richiesto.

29.      Ciò premesso, non ritengo che il Tribunale abbia commesso un errore nel collegare, al punto 97 della sentenza impugnata, l’esistenza di una posizione distintiva autonoma dell’elemento «doughnuts» nel marchio richiesto al suo grado di distintività e alla circostanza che esso non si fonde con l’altro elemento di tale marchio in un insieme concettualmente distinto. In effetti, da un lato, tale punto va letto alla luce delle constatazioni già effettuate dal Tribunale circa la capacità dell’elemento «doughnuts» di richiamare l’attenzione del pubblico e di essere dunque da questo autonomamente percepito, nonché la sua idoneità a concorrere a creare l’impressione complessiva generata dal marchio (in particolare punti da 79 a 81, 85, 86 e 92). Dall’altro, come si vedrà meglio esaminando la seconda parte del motivo unico d’impugnazione, il Tribunale non ha dedotto automaticamente dalla constatazione della posizione distintiva e autonoma del suddetto elemento l’esistenza di un rischio di confusione.

30.      Quanto alla seconda censura, secondo cui il Tribunale avrebbe indebitamente esteso la portata della citata sentenza Medion, essa muove da un’interpretazione di tale sentenza diversa da quella proposta nelle presenti conclusioni ed è quindi, a mio avviso, fondata su una premessa erronea in diritto.

31.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere come infondata la prima parte del motivo unico d’impugnazione.

B –    Sulla seconda parte del motivo unico d’impugnazione: mancata considerazione di tutti i fattori pertinenti ai fini della valutazione del rischio di confusione

1.      Argomenti delle parti

32.      In primo luogo, la ricorrente fa valere che il Tribunale ha fondato la propria conclusione circa l’esistenza di un rischio di confusione sulla base della sola constatazione della – presunta – posizione distintiva autonoma dell’elemento «doughnuts», senza prendere in considerazione altri fattori rilevanti e, segnatamente, la circostanza che l’elemento «bimbo» non è solo una denominazione sociale ma anche un marchio rinomato in Spagna per i prodotti per i quali è stata richiesta la registrazione, il fatto che tale elemento figura all’inizio del marchio richiesto, il carattere distintivo non elevato del marchio anteriore e la circostanza che il marchio anteriore non è riprodotto identicamente nel marchio richiesto. In particolare, ad opinione della ricorrente, la rinomanza come marchio del primo elemento del marchio richiesto avrebbe dovuto condurre a escludere la confondibilità tra i segni in raffronto, analogamente a quanto affermato dalla Corte nella citata sentenza Becker/Harman International Industries.

33.      In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la sentenza impugnata è viziata da un difetto di motivazione nella misura in cui il Tribunale non avrebbe spiegato per quale ragione il pubblico di riferimento sarebbe indotto ad ignorare il primo elemento del marchio complesso, che identifica una ben nota origine commerciale dei prodotti in questione, e ad attribuire la provenienza di questi ultimi al titolare del marchio anteriore o ad imprese collegate economicamente.

34.      In terzo luogo, la ricorrente sottolinea che il contesto in cui la Corte ha reso la sentenza Medion è diverso da quello del caso di specie, in cui, a differenza che nel settore dei prodotti dell’elettronica, sarebbe inusuale la creazione di legami economici tra imprese concorrenti.

35.      L’UAMI e Panrico ritengono che gli argomenti della ricorrente siano in parte irricevibili e in parte manifestamente infondati.

2.      Analisi

36.      Pur condividendo la premessa da cui muove la ricorrente, vale a dire che la sentenza Medion non autorizza né a derogare al criterio dell’impressione complessiva generata dal marchio composto né a prescindere da una valutazione globale del rischio di confusione, ritengo tuttavia infondate le censure che essa avanza in questa parte del suo motivo unico d’impugnazione.

37.      Da una lettura complessiva – e non selettiva come quella proposta dalla ricorrente – della sentenza impugnata emerge infatti che il Tribunale non ha dedotto l’esistenza di un rischio di confusione dalla sola constatazione che l’elemento «doughnuts» occupa, nel marchio richiesto, una posizione distintiva autonoma, ma si è fondato, a tal fine, su una molteplicità di fattori nel quadro di una valutazione globale, conformemente alla giurisprudenza da esso stesso citata al punto 51 della sentenza.

38.      Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, nel comparare i marchi in causa, il Tribunale ha tenuto conto sia del carattere asseritamente rinomato del marchio BIMBO, sia del fatto che quest’ultimo costituisce il primo dei due elementi di cui si compone il marchio richiesto. Sotto il primo profilo, pur non escludendo che la circostanza che l’elemento di un segno composto sia costituito da un marchio rinomato possa rilevare nella valutazione del peso relativo delle diverse componenti di tale segno, esso ha tuttavia precisato che ciò non implica automaticamente che il raffronto tra i marchi in conflitto debba limitarsi a prendere in considerazione questo solo elemento, se risulta che le altre componenti del segno non sono trascurabili nell’impressione complessiva da questo generata (48). Sotto il secondo profilo, ai punti 80, 83 e 84 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che, sebbene collocato, nel marchio richiesto, dopo l’elemento «bimbo», l’elemento «doughnuts» fosse idoneo ad attirare l’attenzione del pubblico spagnolo a causa della sua maggiore lunghezza e del carattere inabituale, in spagnolo, della successione delle consonanti «ghn» e dovesse pertanto essere preso in considerazione nel valutare la somiglianza visiva tra i segni in conflitto. Nel merito, tali valutazioni di carattere fattuale non sono sindacabili dalla Corte in sede d’impugnazione.

39.      Il Tribunale ha altresì preso in considerazione, contrariamente a quanto fa valere la ricorrente, la circostanza che il marchio anteriore non fosse riprodotto identicamente nel marchio richiesto, sottolineando, al punto 82, che la sola differenza concerneva una lettera, collocata in terza posizione all’interno di un termine relativamente lungo. Esso ha rilevato che tale differenza non modificava significativamente né la lunghezza né, dal punto di vista fonetico, la pronuncia del termine in questione.

40.      Quanto all’allegazione secondo cui l’elemento «bimbo» non è solo una denominazione sociale ma anche un marchio rinomato in Spagna per i prodotti in causa, rilevo che la ricorrente non ne trae alcuna specifica conseguenza sul piano giuridico. Ove essa intenda in tal modo differenziare il caso di specie da quello oggetto del procedimento principale nella causa Medion, osservo che, nell’economia della sentenza resa in tale causa, il fatto che il marchio anteriore sia utilizzato nel segno composto di un terzo in combinazione con la sua denominazione sociale ovvero con un marchio di sua titolarità non sembra avere alcun rilievo. In effetti, da un lato, al punto 36 di detta sentenza, la Corte ha messo sullo stesso piano le due ipotesi e, dall’altro, emergeva da quanto precisato dal giudice di rinvio che, nel mercato dei prodotti in causa, era invalso l’uso di incorporare la ditta nel marchio, con la conseguenza che quest’ultima perdeva la sua connotazione tipica di segno che contraddistingue l’impresa per assumere quella di elemento di identificazione del prodotto (49).

41.      Nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, il Tribunale ha tenuto conto del grado di somiglianza visiva e fonetica tra i segni in raffronto, individuato come medio, dell’identità dei prodotti (punto 91), del carattere distintivo medio del marchio anteriore (punto 92) (punti da 95 a 97), della natura dei prodotti in questione e del livello piuttosto basso di attenzione del pubblico al momento dell’acquisto (punto 99). Rinviando all’insieme di tali fattori e, in particolare alla somiglianza visiva e fonetica media tra i segni e all’identità tra i prodotti, esso ha infine concluso all’esistenza di un rischio di confusione.

42.      In tali circostanze non ritengo si possa imputare al Tribunale di aver automaticamente inferito la confondibilità tra i segni in conflitto dalla constatazione della posizione distintiva autonoma dell’elemento «doughnuts» nel marchio richiesto, né di non aver proceduto ad una valutazione globale del rischio di confusione.

43.      Va del pari respinta la censura volta a far valere un difetto di motivazione della sentenza impugnata. I motivi per cui il Tribunale ha respinto l’argomento della ricorrente circa il carattere decisivo dell’asserita dominanza, nel marchio richiesto, del termine «bimbo» risultano, oltre che dai punti da 95 a 97 della sentenza impugnata, anche dai punti da 76 a 81 della stessa.

44.      Infine, l’argomento della ricorrente secondo cui la sentenza Medion non sarebbe trasponibile al caso di specie data la diversità degli usi commerciali nel settore degli apparecchi elettronici d’intrattenimento e in quello della pasticceria è, a mio avviso, infondato in fatto. In effetti, contrariamente a quanto sembra affermare la ricorrente, non risulta, dalla lettura della sentenza e delle conclusioni, che la frequenza di legami economici tra le imprese operanti nel mercato di riferimento facesse parte del contesto fattuale della causa principale quale descritto dalla giurisdizione di rinvio. Come si è già avuto modo di sottolineare sopra, al paragrafo 40 delle presenti conclusioni, tale giurisdizione aveva invece rilevato che, nel settore commerciale interessato, gli usi in materia di denominazione attribuivano maggior risalto al nome del produttore che, altrimenti, sarebbe passato in secondo piano nell’impressione generale prodotta da un marchio composto, dato che il pubblico tende di norma ad identificare la designazione del prodotto in una diversa componente del segno (50). L’esistenza di siffatti usi commerciali, che, ove documentati, devono senz’altro essere presi in considerazione quale fattore pertinente nella valutazione globale del rischio di confusione, non è stata dalla ricorrente né dimostrata né avanzata riguardo al mercato dei prodotti di cui trattasi.

45.      Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere come infondata anche la seconda parte del motivo unico d’impugnazione.

V –    Conclusioni

46.      Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di respingere il ricorso e condannare la ricorrente alle spese.


1 – Lingua originale: l’italiano.


2 – T‑569/10.


3 – R 838/2009‑4.


4 – Regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1). A partire dal 13 aprile 2009 il regolamento n. 40/94 è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1).


5 – Sentenza del 6 ottobre 2005 (C‑120/04, Racc. pag. I‑8551).


6 – Prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU L 40 dell’11 febbraio 1989, pag. 1).


7 – Punti da 25 a 27.


8 – Punti 27 e 28.


9 – La Corte citava, segnatamente, le sentenze dell’11 novembre 1997, SABEL (C‑251/95, Racc. pag. I‑6191), del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer (C‑342/97, Racc. pag. I‑3819) e l’ordinanza del 28 aprile 2004, Matratzen Concord/UAMI (C‑3/03 P, Racc. pag. I‑3657).


10 – Punti 31 e 36.


11 – Punti da 32 a 34.


12 – V., inter alia, sentenze del 21 febbraio 2013, Seven for all mankind/Seven (C‑655/11 P, punti 71 e 72), del 2 settembre 2010, Calvin Klein Trademark Trust/UAMI (C‑254/09 P, Racc. pag. I‑7989, punti da 43 a 45), del 16 luglio 2009, American Clothing Associates/UAMI e UAMI/American Clothing Associates (C‑202/08 P e C‑208/08 P, Racc. pag. I‑6933, punto 61), del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker (C‑334/05 P, Racc. pag. I‑4529, punti 33, 35 e 41); ordinanze del 20 ottobre 2011, DTL/UAMI (C‑67/11 P, Racc. pag. I‑156, punti da 39 a 41), del 15 gennaio 2010, Messer Group/Air Products and Chemicals (C‑579/08 P, Racc. pag. I‑2, punto 71) e del 20 gennaio 2009, Sebirán/UAMI e El Coto De Rioja (C‑210/08 P, Racc. pag. I‑6, punto 35). Per quanto concerne il Tribunale, v., tra le altre, sentenze del 16 maggio 2007, Merant/UAMI – Focus Magazin verlag (FOCUS) (T‑491/04, non pubblicata nella Raccolta, punti 43 e 44).


13 – Sentenza del Tribunale del 23 ottobre 2002, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN) (T‑6/01, Racc. pag. II‑4335, punto 34), ordinanza Matratzen Concord/UAMI (cit., punto 32), sentenza Medion (cit., punto 29). In tal senso v. in particolare, sentenze del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI (C‑193/06 P, Racc. pag. I‑114, punto 42) e UAMI/Shaker (cit. punto 41).


14 – Come ho già avuto modo di sottolineare al paragrafo 16 delle presenti conclusioni, al punto 34 della sentenza Medion, la Corte fa espresso riferimento oltre all’ipotesi in cui al marchio anteriore sia aggiunta, nel segno complesso posteriore, la ditta del terzo, l’ipotesi in cui l’elemento aggiuntivo sia costituito da un marchio (rinomato) di titolarità dello stesso.


15 – V. sentenze del Tribunale del 29 settembre 2011, Procter & Gamble Manufacturing Cologne/UAMI – Natura Cosméticos (NATURAVIVA) (T‑107/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 43) e del 13 settembre 2010, Procter & Gamble/UAMI – Prestige Cosmetics (P&G PRESTIGE BEAUTE) (T‑366/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 82).


16 – V., in tal senso, sentenze del 25 marzo 2009, L’Oréal/UAMI – Spa Monopole (SPA THERAPY) (T‑109/07, Racc. pag. II‑675, punto 19), del 7 marzo 2013, FairWild Foundation/UAMI – Wild (FAIRWILD) (T‑247/11, punto 49), dell’8 maggio 2012, Panzeri/UAMI – Royal Trophy (Royal Veste e premia lo sport) (T‑348/10, punto 33), del 25 marzo 2010, Nestlé/UAMI – Master Beverage Industries (Golden Eagle) (da T‑5/08 a T‑7/08, Racc. pag. II‑1177, punto 60), del 18 maggio 2011, Glenton España/UAMI – Polo/Lauren (POLO SANTA MARIA) (T‑376/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 34), del 24 maggio 2012, Grupo Osborne/UAMI – Industria Licorera Quezalteca (TORO XL) (T‑169/10, punto 27), del 17 maggio 2013, Rocket Dog Brands/UAMI – Julius-K9 (JULIUS K9) (T‑231/12, punto 30), del 2 dicembre 2008, Harman International Industries/UAMI – Becker (Barbara Becker) (T‑212/07, Racc. pag. II‑3431, punti 37 e 41) e del 20 gennaio 2010, Nokia/UAMI – Medion (LIFE BLOG) (T‑460/07, Racc. pag. II‑89, punto 73).


17 – V. ordinanze del 22 gennaio 2010, ecoblue/UAMI e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C‑23/09 P, Racc. pag. I‑7, punto 45) e del 15 febbraio 2011 (C‑353/09 P, Racc. pag. I‑12, punto 34). In tal senso, pur interpretando i punti 30 e ss. della sentenza Medion come un’eccezione al principio secondo cui il consumatore percepisce un marchio nella sua globalità, sembra aver concluso anche l’avvocato generale Cruz Villalon nella causa Becker/Harman International Industries, punti 53, 55 e 56 (sentenza 24 giugno 2010, C‑51/09 P, Racc. pag. I‑5805); v. anche, implicitamente, i punti da 34 a 39 della sentenza appena cit.


18 – Riprodotto nella sua integralità, v. sentenze del Tribunale del 17 maggio 2013, Rocket Dog Brands/UAMI – Julius-K9 (JULIUS K9) (T‑231/12, punto 31) e Focus Magazin Verlag/UAMI – Editorial Planeta (FOCUS Radio) (cit., punto 40). In senso implicitamente contrario, v. tuttavia sentenza del 16 settembre 2009, Offshore Legends/UAMI – Acteon (OFFSHORE LEGENDS in bianco e nero e OFFSHORE LEGENDS in blu, verde e nero) (T‑305/07 e T‑306/07, non pubblicata nella Raccolta, punto 86).


19 – V. sentenze Panzeri/UAMI (cit., punto 33), Nestlé/UAMI – Master Beverage Industries (Golden Eagle) (cit., punto 60), Glenton España/UAMI – Polo/Lauren (POLO SANTA MARIA) (cit. punto 34); Grupo Osborne/UAMI – Industria Licorera Quezalteca (TORO XL) (cit., punto 27). V. tuttavia, in senso contrario, sentenza del 14 luglio 2011, Winzer Pharma/UAMI – Alcon (OFTAL CUSI) (T‑160/09, non pubblicata nella Raccolta).


20 – V. sentenza del Tribunale Glenton España/UAMI – Polo/Lauren (POLO SANTA MARIA) (cit., punto 54). In tal senso v. anche la sentenza del 23 settembre 2009, Phildar/UAMI – Comercial Jacinto Parera (FILDOR) (T‑99/06, punto 43), in cui il Tribunale ha confermato la correttezza dell’utilizzazione di tale nozione, da parte della commissione di ricorso, al fine di valutare il rilievo dell’elemento figurativo nell’impressione complessiva prodotta dal marchio anteriore.


21 – V. sentenza del Tribunale del 13 aprile 2011, United States Polo Association/UAMI – Textiles CMG (U.S. POLO ASSN.) (T‑228/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 38), confermata dalla sentenza del 6 settembre 2012, United States Polo Association/UAMI (C‑327/11 P, in cui la Corte precisa, ai punti 51 e 52, che il Tribunale non aveva nella specie fatto applicazione della sentenza Medion).


22 – V., ad esempio, sentenze del Tribunale Harman International Industries/UAMI – Becker (Barbara Becker) (cit., punto 37) e FairWild Foundation/UAMI – Wild (FAIRWILD) (cit., punto 50).


23 – V. sentenza del Tribunale Glenton España/UAMI – Polo/Lauren (POLO SANTA MARIA) (cit., punto 54).


24 – V. ordinanza Perfetti Van Melle/UAMI (cit. punto 37).


25 – Sentenza del Tribunale Grupo Osborne/UAMI – Industria Licorera Quezalteca (TORO XL) (cit., punto 42).


26 – V., ad esempio, sentenze Nestlé/UAMI – Master Beverage Industries (Golden Eagle) (cit., punti da 60 a 63) e Offshore Legends/UAMI – Acteon (OFFSHORE LEGENDS in bianco e nero e OFFSHORE LEGENDS in blu, verde e nero) (cit., punti da 82 a 86).


27 – V., ad esempio, sentenze del Tribunale 27 novembre 2007, Gateway/UAMI – Fujitsu Siemens Computers (ACTIVY Media Gateway) (T‑434/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 49), confermata da C‑57/08, e del 17 febbraio 2011, Formula One Licensing/UAMI – Global Sports Media (F1 – LIVE) (T‑10/09, Racc. pag. II‑427, punto 51), annullata dalla Corte per quanto concerne la constatazione del carattere descrittivo dell’elemento corrispondente al marchio anteriore, v. sentenza del 24 maggio 2012, Formula One Licensing/UAMI (C‑196/11 P).


28 – V., ad esempio, sentenza del Tribunale Grupo Osborne/UAMI – Industria Licorera Quezalteca (TORO XL) (cit., punto 42).


29 – V., ad esempio, sentenze del Tribunale del 21 marzo 2012, Volkswagen/UAMI – Suzuki Motor (SWIFT GTi) (T‑63/09, punto 111), Offshore Legends/UAMI – Acteon (OFFSHORE LEGENDS in bianco e nero e OFFSHORE LEGENDS in blu, verde e nero) (cit., punto 82) e implicitamente, ordinanza del 27 aprile 2006, L’Oréal/UAMI (C‑235/05 P, Racc. pag. I‑57, punto 32).


30 – V., ad esempio, sentenze del Tribunale Procter & Gamble Manufacturing Cologne/UAMI – Natura Cosméticos (NATURAVIVA) (cit., punto 43), Grupo Osborne/UAMI – Industria Licorera Quezalteca (TORO XL) (cit., punto 40), del19 maggio 2010, Ravensburger/UAMI – Educa Borras (EDUCA Memory game) (T‑243/08, non pubblicata nella Raccolta, punti da 33 a 42), confermata dall’ordinanza del 14 marzo 2011, Ravensburger/UAMI (C‑370/10 P, Racc. pag. I‑27), e del 1° luglio 2009, Perfetti Van Melle/UAMI – Cloetta Fazer (CENTER SHOCK) (T‑16/08, non pubblicata nella Raccolta, a contrario, punti da 44 a 48), confermata dall’ordinanza Perfetti Van Melle/UAMI (cit. punto 37).


31 – Sentenze del Tribunale Panzeri/UAMI – Royal Trophy (Royal Veste e premia lo sport) (cit., punto 33), Nestlé/UAMI – Master Beverage Industries (Golden Eagle) (cit., punto 60) e Glenton España/UAMI – Polo/Lauren (POLO SANTA MARIA) (cit., punto 34).


32 – Sentenze del Tribunale Volkswagen/UAMI – Suzuki Motor (SWIFT GTi) (cit., punto 109), Gateway/UAMI – Fujitsu Siemens Computers (ACTIVY Media Gateway) (cit., punto 49), del 9 settembre 2011, BVR/UAMI – Austria Leasing (Austria Leasing Gesellschaft m.b.H. Mitglied der Raiffeisen-Bankengruppe Österreich) (T‑197/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 61) e DRV/UAMI – Austria Leasing (Austria Leasing Gesellschaft m.b.H. Mitglied der Raiffeisen-Bankengruppe Österreich) (T‑199/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 61).


33 –      Sentenze del Tribunale del 17 febbraio 2011, Annco/UAMI – Freche et fils (ANN TAYLOR LOFT) (T‑385/09, Racc. pag. II‑455, punti 49−50) e Volkswagen/UAMI – Suzuki Motor (SWIFT GTi) (cit., punto 113).


34 – Sentenza del Tribunale del 7 dicembre 2012, A. Loacker/UAMI – Editrice Quadratum (QUADRATUM) (T‑42/09, punti 34 e 35).


35 – V. sentenza Medion (cit., punto 34).


36 – V. sentenza del Tribunale del 30 novembre 2006, Camper/UAMI – JC (BROTHERS by CAMPER) (T‑43/05, non pubblicata nella Raccolta, punti 65 e segg.).


37 – Ad esempio nel contesto delle disposizioni nazionali in materia di concorrenza sleale, v. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs, paragrafo 40.


38 – Sentenza Medion (cit., punto 36).


39 – Al punto 33 della citata sentenza Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), richiamata dall’avvocato generale Jacobs nelle sue conclusioni nella causa Medion, il Tribunale ha affermato che «un marchio complesso può essere considerato simile ad un altro marchio, identico o simile ad una delle componenti del marchio complesso, solo se quest’ultima costituisce l’elemento dominante nell’impressione complessiva prodotta dal marchio complesso», precisando tuttavia immediatamente dopo che «tale approccio non significa prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio», dovendosi invece «operare il confronto esaminando i marchi di cui trattasi, considerati ciascuno nel suo complesso», ma tiene conto del fatto che «l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso [può], in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti» (punto 34).


40 – Citata alla nota 12.


41 – V. punto 42. Tale principio era già implicito nella definizione della nozione di «elemento dominante» data al punto 34 della precitata sentenza Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN) del Tribunale.


42 –      V., ad esempio, sentenze Calvin Klein Trademark Trust/UAMI (cit. punti 56 e 57), Nestlé/UAMI (cit., punti da 41 a 43) e DTL/UAMI (cit., punto 41).


43 – V. sentenze SABEL (cit., punto 23), Lloyd Schuhfabrik Meyer (cit., punto 25) e Medion (cit., punto 28).


44 – V. ordinanze del 29 giugno 2011, adp Gauselmann/UAMI (C‑532/10 P, Racc. pag. I‑94, punto 43) e del 23 novembre 2010, Enercon/UAMI (C‑204/10 P, Racc. pag. I‑156, punti da 23 a 26).


45 – V. sentenza SABEL (cit., punto 22) e sentenza del Tribunale Annco/UAMI – Freche et fils (ANN TAYLOR LOFT) (cit., punto 50).


46 –      V., in questo senso, sentenze del Tribunale Annco/UAMI – Freche et fils (ANN TAYLOR LOFT) (cit., punto 49), L’Oréal/UAMI – Spa Monopole (SPA THERAPY) (cit., punto 29) e Volkswagen/UAMI – Suzuki Motor (SWIFT GTi) (cit., punto 113), v. anche Becker/Harman International Industries (cit., punto 40).


47 – V. sentenza Medion (cit., punto 32).


48 – Punti 77 e 78.


49 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs (cit., paragrafi 9 e 10).


50 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs (cit. paragrafi da 8 a 10).