Language of document : ECLI:EU:C:2019:489

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

13 giugno 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2012/13/UE – Diritto all’informazione nei procedimenti penali – Articolo 6, paragrafo 4 – Diritto dell’interessato di essere informato dell’accusa elevata a suo carico – Informazione su ogni eventuale modifica alle informazioni fornite, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento – Modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione – Impossibilità per l’imputato di domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta prevista dal diritto nazionale – Differenza in caso di modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione»

Nella causa C‑646/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Brindisi (Italia), con ordinanza del 20 ottobre 2017, pervenuta in cancelleria il 17 novembre 2017, nel procedimento penale a carico di

Gianluca Moro

procedimento in cui le altre parti sono:

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi,

Francesco Legrottaglie,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.-C. Bonichot, presidente di sezione, C. Toader, A. Rosas, L. Bay Larsen e M. Safjan (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 novembre 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per F. Legrottaglie, da D. Vitale, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Palatiello, avvocato dello Stato;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós e G. Tornyai, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e A.M. de Ree, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga, R. Troosters e C. Zadra, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 febbraio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), e dell’articolo 6, paragrafi da 1 a 3, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (GU 2012, L 142, pag. 1), nonché dell’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale promosso a carico del sig. Gianluca Moro (in prosieguo: l’«imputato») per il reato di «ricettazione» di gioielli, ai sensi del diritto italiano, imputazione successivamente riqualificata, nel corso del dibattimento, in «furto» di detti gioielli.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Carta

3        L’articolo 48 della Carta, intitolato «Presunzione di innocenza e diritti della difesa» enuncia quanto segue:

«1.      Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

2.      Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

 Direttiva 2012/13

4        Ai sensi dei considerando 3, 4, 9, 10, 14, da 27 a 29, 40 e 41 della direttiva 2012/13:

«(3)      L’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale presuppone che gli Stati membri ripongano fiducia reciproca nei rispettivi sistemi di giustizia penale. La portata del reciproco riconoscimento è strettamente vincolata a numerosi parametri, inclusi i meccanismi di protezione dei diritti degli indagati o degli imputati e le norme minime comuni necessarie ad agevolare l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento.

(4)      Il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale può realizzarsi efficacemente soltanto in uno spirito di fiducia, nel quale non solo le autorità giudiziarie, ma tutti i soggetti coinvolti nel procedimento penale considerano le decisioni delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri equivalenti alle proprie, il che presuppone fiducia non solo nell’adeguatezza delle normative degli altri Stati membri, bensì anche nella corretta applicazione di tali normative.

(...)

(9)      A norma dell’articolo 82, paragrafo 2, [TFUE], è possibile stabilire norme minime applicabili negli Stati membri per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale. Detto articolo indica i “diritti della persona nella procedura penale” quale uno degli ambiti in cui è possibile stabilire norme minime.

(10)      Le norme minime comuni dovrebbero incrementare la fiducia nei sistemi di giustizia penale di tutti gli Stati membri, la quale a sua volta dovrebbe generare una più efficace cooperazione giudiziaria in un clima di fiducia reciproca. Tali norme minime comuni dovrebbero essere fissate nel settore dell’informazione nei procedimenti penali.

(...)

(14)      La presente direttiva (...) stabilisce norme minime comuni da applicare in materia di informazioni relative ai diritti e all’accusa da fornire alle persone indagate o imputate per un reato, al fine di rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri. La presente direttiva muove dai diritti enunciati nella Carta, in particolare gli articoli 6, 47 e 48, fondandosi sugli articoli 5 e 6 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)] come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella presente direttiva il termine “accusa” è utilizzato per descrivere lo stesso concetto del termine “accusa” utilizzato nell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.

(...)

(27)      Le persone accusate di aver commesso un reato dovrebbero ricevere tutte le informazioni sull’accusa necessarie per consentire loro di preparare la difesa e garantire l’equità del procedimento.

(28)      Le informazioni fornite alle persone indagate o imputate relative al reato che sono sospettate o accusate di aver commesso dovrebbero essere fornite in modo tempestivo, al più tardi anteriormente al loro primo interrogatorio da parte della polizia o di altra autorità competente e senza pregiudicare lo svolgimento delle indagini in corso. Una descrizione dei fatti, compresi, se noti, l’ora e il luogo, relativi al reato che le persone sono sospettate o accusate di aver commesso e la possibile qualificazione giuridica del presunto reato dovrebbero essere fornite con sufficiente dettaglio tenendo conto della fase del procedimento penale in cui è fornita tale descrizione, al fine di salvaguardare l’equità del procedimento e di consentire un esercizio effettivo dei diritti della difesa.

(29)      Qualora, nel corso del procedimento penale, i particolari concernenti l’accusa cambino in modo tale da ripercuotersi in modo sostanziale sulla posizione delle persone indagate o imputate, ciò dovrebbe esser loro comunicato ove necessario per salvaguardare l’equità del procedimento e a tempo debito per consentire un esercizio effettivo dei diritti della difesa.

(...)

(40)      La presente direttiva stabilisce norme minime. Gli Stati membri possono ampliare i diritti previsti dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello di tutela più elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla presente direttiva. Il livello di tutela non dovrebbe mai essere inferiore alle disposizioni della CEDU, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

(41)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta. In particolare, la presente direttiva intende promuovere il diritto alla libertà, il diritto a un equo processo e i diritti della difesa e dovrebbe essere attuata di conseguenza».

5        L’articolo 1 della suddetta direttiva, rubricato «Oggetto», così recita:

«La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’informazione, delle persone indagate o imputate, sui diritti di cui godono nel procedimento penale e [sull’]accusa elevata a loro carico. Essa stabilisce altresì norme relative al diritto all’informazione delle persone soggette al mandato di arresto europeo sui loro diritti».

6        L’articolo 2 della direttiva in parola, intitolato «Ambito di applicazione», al paragrafo 1 così dispone:

«La presente direttiva si applica nei confronti delle persone che siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se l’indagato o l’imputato abbia commesso il reato inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena e l’esaurimento delle procedure d’impugnazione».

7        L’articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Diritto all’informazione sui diritti», stabilisce, al paragrafo 1, quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano tempestivamente fornite le informazioni concernenti almeno i seguenti diritti processuali, ai sensi del diritto nazionale, onde consentire l’esercizio effettivo di tali diritti:

a)      il diritto a un avvocato;

b)      le condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio;

c)      il diritto di essere informato dell’accusa, a norma dell’articolo 6;

d)      il diritto all’interpretazione e alla traduzione;

e)      il diritto al silenzio».

8        L’articolo 6 della direttiva 2012/13, rubricato «Diritto all’informazione sull’accusa», è del seguente tenore:

«1.      Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni sono fornite tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della difesa.

2.      Gli Stati membri assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute, siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale sono indagate o imputate.

3.      Gli Stati membri garantiscono che, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria, siano fornite informazioni dettagliate sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del reato, nonché la natura della partecipazione allo stesso dell’accusato.

4.      Gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate, siano tempestivamente informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma del presente articolo, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento».

 Diritto italiano

9        L’articolo 61 del codice penale, intitolato «Circostanze aggravanti comuni», enuncia, al comma 7, quanto segue:

«Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:

(...)

7)      l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità».

10      Ai sensi dell’articolo 624 del codice penale, rubricato «Furto»:

«Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da [EUR] 154 a [EUR] 516 (...)».

11      L’articolo 648 del codice penale, rubricato «Ricettazione», prevede quanto segue:

«Fuori dai casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s’intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da [EUR] 516 ad [EUR] 10 329 (...)».

12      L’articolo 444 del codice di procedura penale, nella versione applicabile alla data dei fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice di procedura penale»), rubricato «Applicazione della pena su richiesta», così dispone:

«1.      L’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria. (...)

2.      Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l’applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l’imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell’articolo 75, comma 3.

3.      La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta».

13      L’articolo 516 del codice di procedura penale, intitolato «Modifica dell’imputazione», così recita al comma 1:

«Se nel corso dell’istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene alla competenza di un giudice superiore, il pubblico ministero modifica l’imputazione e procede alla relativa contestazione».

14      L’articolo 521 del codice di procedura penale, intitolato «Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza», stabilisce quanto segue:

«1.      Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.

2.      Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518 comma 2.

3.      Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518 comma 2».

15      L’articolo 552 del codice di procedura penale, intitolato «Decreto di citazione a giudizio», al suo comma 1 dispone quanto segue:

«Il decreto di citazione a giudizio contiene:

(...)

c)      l’enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge;

(...)».

16      L’articolo 555 del codice di procedura penale, intitolato «Udienza di comparizione a seguito di citazione diretta», al comma 2 prevede quanto segue:

«Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato o il pubblico ministero può presentare la richiesta prevista dall’articolo 444, comma 1; l’imputato, inoltre, può richiedere il giudizio abbreviato o presentare domanda di oblazione».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

17      L’11 marzo 2015 il sig. Francesco Legrottaglie ha presentato una denuncia presso il commissariato di polizia di Ostuni (Italia) contro l’imputato, lamentando che quest’ultimo avrebbe ricevuto da una persona di identità ignota vari gioielli in oro rubati alla famiglia Legrottaglie e li avrebbe consegnati a un negozio a Ostuni, al fine di trarne profitto.

18      Il 1° aprile 2016, con decreto emesso dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 552 del codice di procedura penale, l’imputato è stato citato a comparire dinanzi al Tribunale di Brindisi (Italia) per rispondere del reato di «ricettazione» previsto all’articolo 648 del codice penale.

19      Il 15 settembre 2016, nel corso di un’udienza tenutasi in assenza dell’imputato, il sig. Legrottaglie si è costituito parte civile.

20      Il 13 ottobre 2017, nel corso di un’udienza che si è svolta alla presenza dell’imputato, quest’ultimo ha reso dichiarazioni spontanee con le quali ha ammesso di essere l’autore del furto dei gioielli in questione.

21      In questa fase del procedimento, il giudice ha informato l’imputato della possibilità di riqualificare giuridicamente il fatto a lui contestato nel delitto di cui agli articoli 624 e 61, n. 7, del codice penale, ossia «furto» aggravato dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità.

22      L’avvocato dell’imputato è stato autorizzato da quest’ultimo a domandare l’applicazione di una pena su richiesta (detta «patteggiamento»), ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, in relazione al fatto-reato così come giuridicamente riqualificato. Tale istanza non è stata considerata ammissibile in quanto il termine previsto all’articolo 555, comma 2, del codice di procedura penale era scaduto.

23      Il giudice ha invitato il pubblico ministero a modificare l’imputazione, ai sensi dell’articolo 516 del codice di procedura penale, al fine di consentire all’imputato di beneficiare di una pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 di detto codice. Il pubblico ministero ha deciso di non provvedere a tale modifica e di rimettersi al giudice, nel caso di specie il Tribunale di Brindisi, per la corretta qualificazione giuridica dei fatti in questione.

24      Il giudice del rinvio rileva che la Corte costituzionale (Italia) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 516 del codice di procedura penale nella parte in cui tale articolo non prevede la facoltà dell’imputato di domandare al giudice del dibattimento l’applicazione di una pena su richiesta a norma dell’articolo 444 di detto codice, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione.

25      Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale relativa all’articolo 516 del codice di procedura penale risulterebbe quindi che, nel corso del dibattimento, l’imputato è autorizzato a domandare l’applicazione di una pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 di detto codice, con contestuale riapertura dei termini di presentazione della relativa istanza, nel caso di una modifica dei fatti sui cui si basa l’imputazione, modifica riconducibile o a un errore o emersa nell’ambito del normale svolgimento del procedimento, mentre una simile possibilità di domandare l’applicazione di una pena su richiesta è esclusa qualora la modifica verta unicamente sulla qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

26      Il giudice del rinvio si chiede se il diritto dell’Unione osti a che siano riconosciuti diritti della difesa differenti all’imputato a seconda che la modifica riguardi i fatti su cui si basa l’imputazione o la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

27      Invero, qualora la modifica dell’imputazione riguardi gli elementi di fatto, l’imputato beneficerebbe di un diritto della difesa pieno, comprendente la possibilità di domandare l’applicazione di una pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, mentre, quando tale modifica riguardi la qualificazione giuridica dei fatti, l’imputato si vedrebbe garantito solo il diritto di presentare argomenti difensivi.

28      In tali circostanze, il Tribunale di Brindisi ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 2, § 1, l’articolo 3, § 1 lettera c), l’articolo 6, §§ 1, 2 e 3, della direttiva [2012/13], nonché l’art. 48 della [Carta], debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni processuali penali di uno Stato membro in base alle quali le garanzie difensive conseguenti alla modifica dell’imputazione vengano assicurate in termini, qualitativamente e quantitativamente, diversi a seconda che la modifica riguardi gli aspetti fattuali dell’accusa, ovvero la qualificazione giuridica della stessa, in particolare consentendo soltanto nel primo caso all’imputato di chiedere il rito alternativo premiale dell’applicazione della pena (c.d. patteggiamento)».

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla ricevibilità

29      Il governo italiano eccepisce l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, facendo valere che la direttiva 2012/13 è stata adottata sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, il quale riguarda unicamente le materie penali aventi dimensione transnazionale. Pertanto, l’ambito di applicazione della direttiva 2012/13 dovrebbe essere circoscritto ai soli reati che presentano tale dimensione.

30      Orbene, nella fattispecie, il procedimento principale riguarderebbe un reato commesso da un cittadino italiano in territorio italiano e in danno di un altro cittadino italiano. Tale reato sarebbe quindi privo di dimensione transnazionale e la direttiva 2012/13 non sarebbe applicabile a un procedimento come quello principale.

31      Non sarebbe applicabile neppure l’articolo 48 della Carta, in quanto, a norma dell’articolo 51, paragrafo 1, della stessa, quando una situazione giuridica non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono, di per sé sole, fondare tale competenza.

32      In proposito, si deve ricordare che, a termini dell’articolo 82, paragrafo 2, primo comma, TFUE, «[l]addove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri».

33      Per quanto riguarda la formulazione della direttiva 2012/13, né il suo articolo 1, che definisce l’oggetto di tale direttiva, né l’articolo 2 della medesima, relativo al suo ambito di applicazione, limitano l’applicazione della stessa direttiva alle situazioni che abbiano dimensione transnazionale.

34      Quanto agli obiettivi della direttiva 2012/13, dai suoi considerando 10 e 14 emerge che essa mira, mediante l’emanazione di norme minime comuni che disciplinano il diritto all’informazione nei procedimenti penali, a rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nei loro rispettivi sistemi di giustizia penale. Come indicato in sostanza da tale medesimo considerando 14 nonché dal considerando 41 di tale direttiva, quest’ultima muove a tal fine dai diritti enunciati segnatamente dagli articoli 47 e 48 della Carta e intende promuovere tali diritti (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 88).

35      Nello stesso senso, i considerando 3 e 4 della direttiva 2012/13 si basano sull’idea secondo cui il principio del riconoscimento reciproco implica che le decisioni delle autorità giudiziarie, anche in una situazione puramente interna, siano fondate su norme minime comuni. In tale contesto, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, in una situazione specifica in cui apparirà necessaria la cooperazione transfrontaliera, le autorità di polizia e giudiziarie di uno Stato membro potranno allora considerare equivalenti alle loro decisioni le decisioni delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri.

36      Di conseguenza, la direttiva 2012/13 partecipa alla creazione di un’armonizzazione minima dei procedimenti penali nell’Unione europea, e l’applicazione, in uno Stato membro, delle norme previste da tale direttiva è indipendente dall’esistenza di una situazione transnazionale nell’ambito di una controversia insorta in tale Stato membro.

37      Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Nel merito

 Osservazioni preliminari

38      Il sig. Legrottaglie nonché i governi italiano, ungherese, dei Paesi Bassi e polacco sostengono, in via principale, che l’oggetto della questione sottoposta alla Corte nella presente causa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2012/13 e che, di conseguenza, la Corte non può esaminare tale questione.

39      In proposito, occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. La Corte ha, infatti, il compito di interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte da detti giudici (sentenza del 19 dicembre 2018, AREX CZ, C‑414/17, EU:C:2018:1027, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

40      Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, spetta alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice del rinvio e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del suddetto diritto che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto del procedimento principale (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2018, AREX CZ, C‑414/17, EU:C:2018:1027, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

41      Nella sua questione, il giudice del rinvio menziona l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 6, paragrafi da 1 a 3, della direttiva 2012/13 nonché l’articolo 48 della Carta.

42      A tale riguardo, occorre rilevare che l’articolo 1 della direttiva 2012/13 prevede che quest’ultima stabilisce norme relative al diritto all’informazione delle persone indagate o imputate sui diritti di cui godono nel procedimento penale e sull’accusa elevata a loro carico.

43      Come emerge dal combinato disposto degli articoli 3 e 6 della direttiva 2012/13, il diritto di cui all’articolo 1 di quest’ultima riguarda quantomeno due diritti distinti. Da un lato, gli indagati o gli imputati devono, conformemente all’articolo 3 di tale direttiva, essere come minimo informati di determinati diritti procedurali, di cui tale disposizione stila un elenco comprendente il diritto all’assistenza di un avvocato, le condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio, il diritto di essere informato dell’accusa, il diritto all’interpretazione e alla traduzione nonché il diritto al silenzio. Dall’altro, detta direttiva definisce, all’articolo 6, talune norme relative al diritto all’informazione sull’accusa (sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci, C‑216/14, EU:C:2015:686, punti da 54 a 56).

44      Nel caso di specie, la controversia principale verte sulla possibilità, in caso di modifica della qualificazione giuridica dei fatti su cui si basa l’imputazione, di domandare l’applicazione di una pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, nel corso del dibattimento, con contestuale riapertura dei termini di presentazione della relativa istanza.

45      Pertanto, un problema giuridico del genere dev’essere esaminato alla luce dell’articolo 6 della direttiva 2012/13, relativo al diritto all’informazione sull’accusa.

46      A tale riguardo, non occorre analizzare il suddetto problema giuridico alla luce dell’articolo 6, paragrafi da 1 a 3, di tale direttiva. Infatti, alla luce della formulazione di tali disposizioni, è pacifico, in primo luogo, che all’imputato sono state fornite informazioni sul reato che lo stesso è accusato di aver commesso, in secondo luogo, che egli non è stato arrestato e non è detenuto e, in terzo luogo, che le informazioni sull’accusa che ha ricevuto, in particolare sulla qualificazione giuridica di quest’ultima, gli sono state fornite prima che il merito dell’accusa fosse sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria.

47      Per contro, occorre rilevare che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 risulta essere una disposizione pertinente per quanto riguarda una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale.

48      A termini di tale disposizione, gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate siano tempestivamente informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma dell’articolo 6 di tale direttiva, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento.

49      Occorre quindi, nell’ambito del procedimento principale, determinare la portata del diritto all’informazione dell’imputato alla luce di questa stessa disposizione nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

50      Ciò considerato, si deve intendere la questione come diretta a stabilire, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 e l’articolo 48 della Carta debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’imputato può domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta nel caso di una modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione, e non nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

 Sulla direttiva 2012/13

51      Secondo la giurisprudenza della Corte, la direttiva 2012/13 non disciplina le modalità con cui l’informazione sull’accusa, prevista dal suo articolo 6, deve essere comunicata all’imputato. Tuttavia, tali modalità non possono arrecare pregiudizio all’obiettivo perseguito, in particolare, dallo stesso articolo 6, che consiste, come emerge altresì dal considerando 27 di detta direttiva, nel consentire alle persone indagate o imputate per aver commesso un reato di predisporre la propria difesa e nel garantire l’equità del procedimento (sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci, C‑216/14, EU:C:2015:686, punti 62 e 63).

52      A tale riguardo, l’esigenza che l’imputato, o il suo avvocato, possa partecipare utilmente al dibattimento nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi, così da far valere la sua posizione in modo effettivo, non esclude che le informazioni relative all’accusa trasmesse alla difesa possano essere oggetto di modifiche ulteriori, segnatamente per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti contestati, né che nuovi elementi di prova possano essere inseriti nel fascicolo nel corso della discussione. Siffatte modifiche e siffatti elementi devono tuttavia essere comunicati all’imputato o al suo avvocato in un momento in cui questi ultimi abbiano ancora la possibilità di reagire in modo effettivo, prima della deliberazione. Tale possibilità è del resto contemplata dall’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, il quale prevede che ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma di tale articolo che si verifichi durante il procedimento penale deve essere comunicata tempestivamente alla persona indagata o imputata, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 95).

53      In ogni caso, indipendentemente dal momento in cui le informazioni dettagliate sull’accusa sono fornite, all’imputato e al suo difensore deve essere concesso, segnatamente, nel rispetto del principio del contraddittorio e di parità delle armi, un lasso di tempo sufficiente per prendere conoscenza di tali informazioni, ed essi devono essere posti in grado di predisporre efficacemente la propria difesa, presentare le loro eventuali osservazioni e, se del caso, formulare qualsiasi richiesta, in particolare, istruttoria, che avrebbero diritto di presentare ai sensi del diritto nazionale. Tale necessità impone che la causa sia, se del caso, sospesa e che sia disposto il rinvio di quest’ultima a una data successiva (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 96).

54      Peraltro, a termini del considerando 40 della direttiva 2012/13, quest’ultima stabilisce norme minime e gli Stati membri possono ampliare i diritti previsti da tale direttiva al fine di assicurare un livello di tutela più elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla presente direttiva, livello di tutela che non dovrebbe mai essere inferiore alle disposizioni della CEDU, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

55      A tale riguardo, secondo la giurisprudenza di tale Corte, in materia penale, la precisa e completa informazione delle accuse nei confronti dell’accusato e, quindi, la qualificazione giuridica del fatto che un giudice potrà ritenere a suo carico, sono una condizione essenziale per l’equità del processo. Il diritto di essere informati della natura e della causa di accusa deve essere considerato alla luce del diritto dell’accusato di preparare la sua difesa (Corte EDU, 25 marzo 1999, Pélissier e Sassi c. Francia, CE:ECHR:1999:0325JUD002544494, §§ 52 e 54). Se i giudici hanno, quando tale diritto è riconosciuto dalla legge, la possibilità di riqualificare i fatti di cui siano regolarmente investiti, essi devono garantire che gli accusati abbiano avuto la possibilità di esercitare i loro diritti di difesa sul punto in modo concreto ed efficace, venendo informati in tempo utile non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a loro carico e sui quali si fonda l’accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti, e questo in maniera dettagliata (Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, CE:ECHR:2007:1211JUD002557504, § 34, e Corte EDU, 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia, CE:ECHR:2018:0222JUD006517309, § 65).

56      Come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti da 51 a 53 e 55 della presente sentenza, l’informazione su ogni eventuale modifica relativa all’accusa, quale prevista all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, deve ricomprendere, in particolare, la modifica della qualificazione giuridica dei fatti che sono oggetto dell’imputazione, affinché l’imputato possa esercitare i suoi diritti della difesa in modo concreto ed effettivo.

57      Dall’ordinanza di rinvio risulta che la normativa nazionale discussa nel procedimento principale opera una distinzione a seconda che la modifica riguardi i fatti su cui si basa l’imputazione o la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione. Solo nel caso di modifica riguardante i fatti l’imputato è autorizzato a domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta, con contestuale riapertura dei termini di presentazione della relativa istanza.

58      Nel caso di specie, secondo il giudice del rinvio, la circostanza che l’imputato abbia riconosciuto di essere l’autore di un furto di gioielli, circostanza che ha portato alla riqualificazione del reato di «ricettazione» in «furto», ai sensi del diritto nazionale, configura una modifica della qualificazione giuridica dei fatti su cui si basa l’imputazione.

59      Come emerge dall’ordinanza di rinvio e indicato al punto 21 della presente sentenza, l’imputato è stato informato, nel corso del dibattimento, di tale modifica della qualificazione giuridica dei fatti.

60      Il giudice del rinvio chiede se la direttiva 2012/13 imponga che, al fine di garantire l’equità del procedimento penale, l’imputato possa domandare l’applicazione di una pena su richiesta in un simile caso di modifica della qualificazione giuridica dei fatti.

61      A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, gli obblighi definiti dalla direttiva 2012/13 costituiscono un’espressione del modo in cui l’equità del procedimento penale dev’essere garantita, con riferimento all’informazione delle persone indagate o imputate per la commissione di un reato.

62      Orbene, come previsto dal considerando 14 e dall’articolo 1 di tale direttiva, essa mira a stabilire norme minime da applicare in materia d’informazione delle persone indagate o imputate (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 82).

63      Peraltro, dalla giurisprudenza citata ai punti da 51 a 53 e 55 della presente sentenza non risulta che il diritto all’informazione dell’indagato o dell’imputato quanto alla modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’accusa implichi l’obbligo di riconoscere all’imputato il diritto di domandare l’applicazione di una pena su richiesta nel corso del dibattimento.

64      Inoltre, nel caso di specie, il giudice del rinvio rileva che, nel caso di una simile modifica della qualificazione giuridica dei fatti, la normativa nazionale garantisce all’imputato il diritto di presentare argomenti difensivi.

65      Di conseguenza, in una controversia come quella di cui al procedimento principale, il diritto dell’imputato di essere tempestivamente informato di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite, ove ciò sia necessario per garantire l’equità del procedimento, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, non impone allo Stato membro interessato l’obbligo di concedere a detto imputato il diritto di domandare, dopo l’apertura del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta in caso di modifica della qualificazione giuridica dei fatti che costituiscono oggetto dell’imputazione.

 Sulla Carta

66      In via preliminare, occorre ricordare che l’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 17).

67      Da costante giurisprudenza della Corte risulta infatti, sostanzialmente, che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, e non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per contro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 19, e ordinanza del 23 novembre 2017, Cunha Martins, C‑131/17, non pubblicata, EU:C:2017:902, punto 10).

68      Poiché il procedimento principale verte sulla portata del diritto dell’imputato all’informazione sull’accusa elevata a suo carico e, in particolare, sulle modifiche al reato che egli è accusato di aver commesso, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, si deve constatare che tale situazione giuridica rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

69      Ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.

70      A tal riguardo, come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti da 51 a 53 e 55 della presente sentenza, il rispetto dei diritti della difesa, ai sensi di tale disposizione della Carta, richiede che, nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti che sono oggetto dell’accusa, l’imputato ne sia informato in un momento in cui dispone ancora dell’opportunità di reagire in modo effettivo, prima della deliberazione, affinché egli sia posto in grado di predisporre in modo efficace la propria difesa.

71      Nel caso di specie, risulta dall’ordinanza di rinvio che, come indicato ai punti 21 e 27 della presente sentenza, a seguito delle sue spontanee dichiarazioni nel corso del dibattimento, l’imputato è stato informato della modifica della qualificazione giuridica dei fatti contestatigli e che egli ha avuto il diritto di presentare argomenti difensivi.

72      Per contro, i diritti della difesa previsti all’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, nell’ambito del diritto all’informazione dell’imputato, non impongono che quest’ultimo possa domandare l’applicazione, dopo l’apertura del dibattimento, della pena su richiesta in caso di modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione o di modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

73      A tal riguardo, la mera circostanza che il diritto nazionale non conceda gli stessi diritti all’imputato per quanto riguarda la possibilità di domandare l’applicazione di una pena su richiesta, a seconda che la modifica riguardi i fatti su cui si basa l’imputazione oppure la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione, non può costituire, di per sé, una violazione dei diritti della difesa, ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, sotto il profilo del diritto degli indagati o degli imputati di essere informati dell’accusa elevata a loro carico.

74      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 e l’articolo 48 della Carta devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’imputato può domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta nel caso di una modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione, e non nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

 Sulle spese

75      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.


Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, e l’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’imputato può domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta nel caso di una modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione, e non nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.

Bonichot

Toader

Rosas

Bay Larsen

 

Safjan

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 giugno 2019.

Il cancelliere

 

Il presidente della Prima Sezione

A. Calot Escobar

 

J.-C. Bonichot


*      Lingua processuale: l’italiano.