Language of document : ECLI:EU:C:2008:174

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 13 marzo 2008 1(1)

Causa C‑188/07

Commune de Mesquer

contro

Total France SA

e

Total International Ltd

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de Cassation (Francia)]

«Direttiva 75/442 relativa ai rifiuti – Nozione di rifiuto – Idrocarburi e olio pesante – Detentore di rifiuti – Principio “chi inquina paga” – Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi»





I –    Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale della Cour de Cassation nasce a seguito dell’avaria della nave cisterna Erika, avvenuta nel 1999 nei pressi della costa bretone. L’olio pesante fuoriuscito in tale occasione ha prodotto l’inquinamento, inter alia, del litorale del comune di Mesquer (in prosieguo: il «comune di Mesquer»), che chiede ora il risarcimento del danno da parte di alcune imprese del gruppo Total.

2.        Alla Corte vengono, pertanto, sottoposte questioni attinenti all’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti (2) (in prosieguo: la «direttiva quadro sui rifiuti»). Occorre, in primo luogo, chiarire se l’olio pesante debba essere considerato un rifiuto in quanto tale o se lo sia divenuto a seguito dell’incidente. Si chiede quindi se le imprese del gruppo Total debbano sostenere i costi dello smaltimento dell’inquinamento da idrocarburi, in quanto produttrici dell’olio pesante sversato e responsabili del suo trasporto nella nave.

3.        A tal riguardo, occorre considerare che la Francia è parte della Convenzione internazionale del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile per i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi (3), nella versione del protocollo del 1992 (4) (International Convention on Civil Liability for Oil Pollution Damage, in prosieguo: la «Convenzione CLC») e della Convenzione internazionale del 1971 sull’istituzione di un fondo per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento da idrocarburi, nella versione del protocollo del 1992 (5) (in prosieguo: la «Convenzione fondo»).

II – Contesto normativo

A –    Diritto internazionale applicabile in materia

4.        Ai fini del caso in esame rileva, a livello internazionale, in primo luogo la Convenzione CLC. Tale Convenzione è stata ratificata, tra gli altri, da 24 Stati membri, ma non dalla Comunità (6).

5.        L’art. 3 della Convenzione CLC reca disposizioni sulla responsabilità per danni dovuti a inquinamento marittimo da idrocarburi:

«1.      Ad eccezione di quanto previsto ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo, il proprietario di una nave al momento dell’incidente o, nel caso in cui l’incidente consista in una serie di circostanze, al momento della prima di esse, è responsabile di ogni danno dovuto a inquinamento provocato dalla nave a seguito nell’incidente.

2.      Il proprietario non è responsabile qualora provi che il danno da inquinamento:

a)      risulti da un atto di guerra, da ostilità, da una guerra civile, da una insurrezione, o da un fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed ineluttabile, o

b)      risulti interamente dal fatto che un terzo abbia deliberatamente agito o mancato di agire nell’intento di causare un danno, o

c)      risulti interamente dalla negligenza o da altra azione pregiudizievole di un governo od altra autorità responsabile della manutenzione di segnali luminosi o di altri mezzi di aiuto alla navigazione nell’esercizio di tale funzione.

3.      Se il proprietario riesce a provare che il danno da inquinamento risulta interamente o in parte, sia dal fatto che la persona che lo ha subito ha agito o mancato di agire nell’intento di causare un danno, sia dalla negligenza di tale persona, il proprietario può venire esonerato completamente o in parte dalla propria responsabilità verso la detta persona.

4.      Al proprietario può essere chiesto il risarcimento per danni dovuti a inquinamento solo in conformità con la presente convenzione. Fermo restando il paragrafo 5, il risarcimento per danni dovuti a inquinamento ai sensi della presente convenzione o di altro genere non può essere chiesto:

a)      al personale di servizio o agli agenti del proprietario, ovvero ai membri dell’equipaggio;

b)      al pilota o a qualsiasi altra persona che, senza essere membro dell’equipaggio, svolga servizi per la nave;

c)      a qualsiasi noleggiatore (in qualunque modo descritto, ivi compresi i noleggiatori di navi non equipaggiate), gestore o operatore della nave;

d)      a chiunque svolga operazioni di salvataggio con il consenso del proprietario o dietro istruzioni delle autorità pubbliche competenti;

e)      a chiunque adotti misure preventive;

f)      a tutto il personale di servizio o agli agenti delle persone di cui ai punti c), d) ed e),

tranne nel caso in cui il danno sia dovuto a loro atti o omissioni personali, commessi con l’intento di provocare tali danni, ovvero con negligenza e con la consapevolezza della probabilità di provocare tali danni.

5.      Nessuna disposizione della presente Convenzione può pregiudicare il diritto del proprietario di ricorrere contro terzi».

6.        Ai sensi dell’art. 5 della Convenzione CLC, la responsabilità del proprietario è comunque limitata se non è dimostrato che il danno dovuto a inquinamento è conseguenza di un suo atto ovvero omissione personale, commessi con l’intento di provocare tale danno, ovvero con negligenza e con la consapevolezza della probabilità di provocare danni.

7.        Ai sensi dell’art. 5, n. 1, all’epoca dei fatti tale soglia massima di responsabilità era compresa tra 3 e 59,7 milioni di unità di conto, in considerazione della dimensione della nave. In conformità all’art. 5, n. 9, un’unità di conto corrisponde al diritto speciale di prelievo definito dal Fondo monetario internazionale, ovvero alla data del 13 dicembre 1999, immediatamente successiva all’incidente, EUR 1 357 120 (7). Nel caso della Erika la responsabilità del proprietario era limitata a EUR 13 milioni (8).

8.        La Convenzione CLC è completata dalla Convenzione fondo. Tale Convenzione è stata ratificata, tra gli altri, da 23 Stati membri, ma non dalla Comunità (9).

9.        Il fondo per il risarcimento dei danni dovuti a inquinamento da idrocarburi istituito dalla Convenzione (in prosieguo anche: il «fondo») risarcisce, ai sensi dell’art. 2 della Convenzione fondo, i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi, nella misura in cui la protezione accordata dalla convenzione CLC sia inadeguata. All’epoca dei fatti la soglia massima di responsabilità del fondo ammontava a 135 milioni di unità di conto. Nel caso della Erika corrispondeva ad un importo di circa EUR 185 milioni (10).

10.      Ai sensi dell’art. 28, n. 4, possono partecipare alla Convenzione fondo soltanto gli Stati che hanno ratificato, accettato, approvato o aderito alla Convenzione CLC.

11.      L’art. 235, n. 3, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (11) (in prosieguo: la «Convenzione sul diritto del mare») promuove, inoltre, la cooperazione degli Stati con riguardo alla responsabilità per l’inquinamento dell’ambiente marino:

«Al fine di assicurare l’indennizzo rapido e adeguato per qualunque danno derivato dall’inquinamento dell’ambiente marino, gli Stati collaborano per assicurare l’applicazione del diritto internazionale esistente e l’ulteriore sviluppo del diritto internazionale relativamente all’accertamento e all’indennizzo dei danni e alla soluzione delle relative controversie nonché, quando è opportuno, all’elaborazione di criteri e procedure per il pagamento di adeguati indennizzi quali assicurazioni obbligatorie o fondi di indennizzo».

B –    Normativa comunitaria

1.      La direttiva quadro sui rifiuti

12.      L’art. 1 della direttiva quadro sui rifiuti reca, tra le altre, la definizione di rifiuto, produttore di rifiuti e detentore di rifiuti:

«Ai sensi della presente direttiva, si intende per:

a)       “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

(…)

b)       “produttore”: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti (“produttore iniziale”) e/o la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti;

c)      “detentore”: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene;

d)      (…)».

13.      L’allegato I definisce diverse categorie di rifiuti, tra le quali le due seguenti:

«Q4      Sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente in questione»

e

«Q15      Materie, sostanze o prodotti contaminati provenienti da attività di riattamento di terreni».

14.      L’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti individua i soggetti ai quali incombono i costi dello smaltimento dei rifiuti:

«Conformemente al principio “chi inquina paga”, il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto:

–        dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all’articolo 9 e/o

–        dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti».

2.       La direttiva 68/414/CEE relativa alle risorse strategiche soggette a obbligo di stoccaggio

15.      La direttiva del Consiglio 20 dicembre 1968, 68/414/CEE che stabilisce l’obbligo per gli Stati membri della CEE di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi (12), all’art. 1 impone agli Stati membri di mantenere in modo permanente un livello di scorte di prodotti petroliferi pari a 90 giorni del consumo interno. Ai sensi dell’art. 2, terzo trattino, tale obbligo comprende gli oli combustibili (fuel oil in altre versioni linguistiche).

3.      La decisione 2004/246/CE relativa alla Convenzione fondo

16.      Indicativi della posizione della Comunità nei confronti della Convenzione CLC sono il quarto ‘considerando’ e l’art. 4 della decisione del Consiglio 2 marzo 2004, 2004/246/CE che autorizza gli Stati membri a firmare o ratificare, nell’interesse della Comunità europea, il protocollo del 2003 alla convenzione internazionale del 1992 sull’istituzione di un fondo internazionale per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento da idrocarburi, o ad aderirvi e che autorizza Austria e Lussemburgo, nell’interesse della Comunità europea, ad aderire agli strumenti di riferimento (13).

17.      L’art. 1 della decisione autorizza gli Stati membri ad adottare un provvedimento complementare alla Convenzione fondo. In tale contesto, alcuni Stati membri sono autorizzati a prendere parte alla Convenzione fondo e alla Convenzione CLC:

«1.      Gli Stati membri sono autorizzati a firmare o ratificare, nell’interesse della Comunità europea, il protocollo del 2003 alla convenzione internazionale del 1992 sull’istituzione di un fondo internazionale per il risarcimento dei danni provocati da inquinamento da idrocarburi (il “protocollo per il fondo complementare”), o ad aderirvi, alle condizioni specificate nei seguenti articoli.

2.      Inoltre, la Repubblica ceca, l’Estonia, il Lussemburgo, l’Ungheria, l’Austria e la Slovacchia sono autorizzati ad aderire agli strumenti di riferimento.

3.      Il testo del protocollo per il fondo complementare figura all’allegato I alla presente decisione. Il testo degli “strumenti di riferimento” figura agli allegati II e III alla presente decisione.

4.      Ai fini della presente decisione, l’espressione “strumenti di riferimento” indica il protocollo del 1992 che modifica la convenzione internazionale del 1969 sulla responsabilità civile in caso di danni da inquinamento da idrocarburi e il protocollo del 1992 che modifica la convenzione internazionale del 1971 che istituisce un fondo per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento da idrocarburi.

5. Nella presente decisione, per “Stato membro” si intendono tutti gli Stati membri, eccettuata la Danimarca».

18.      L’art. 2 sollecita gli Stati membri ad aderire il prima possibile al protocollo relativo al fondo complementare, nonché, con riguardo agli Stati citati all’art. 1, n. 2, ad aderire a tale protocollo e agli strumenti di riferimento.

19.      Il quarto ‘considerando’ recita come segue:

«Conformemente al protocollo per il fondo complementare, solo gli Stati sovrani possono esserne parte; pertanto, la Comunità non può ratificare il protocollo o aderirvi né potrà farlo nel futuro immediato».

20.      L’art. 4 invita pertanto gli Stati membri ad adoperarsi al fine di consentire un’adesione della Comunità:

«Gli Stati membri si adoperano con tempestività affinché il protocollo per il fondo complementare e gli strumenti di riferimento siano modificati per consentire alla Comunità di divenirne parte contraente».

21.      Come emerge dal secondo e dal terzo ‘considerando’, tale decisione del Consiglio si è resa necessaria dal momento che le disposizioni del protocollo per il fondo complementare incidono sul regolamento del Consiglio 22 dicembre 2000, 44/2001/CE concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (14) e ricadono, pertanto, nella competenza esclusiva della Comunità.

III – Fatti, causa principale e domanda di pronuncia pregiudiziale

22.      La società italiana di produzione di energia elettrica ENEL ha stipulato con la Total international Ltd. un contratto di fornitura di olio pesante diretto in Italia. L’olio pesante era destinato alla produzione di energia elettrica mediante combustione in una centrale.

23.      L’olio pesante è un prodotto derivato dalla raffinazione del petrolio greggio. Le parti più leggere del petrolio greggio, che a basse temperature si trasformano in aggregato gassoso, vengono rielaborate per la produzione di benzina o olio combustibile. L’olio pesante, per contro, a temperature normali si presenta in uno stato viscoso e deve essere riscaldato per acquistare fluidità.

24.      Ai fini dell’esecuzione del contratto con l’ENEL, la società Total Raffinage Distribution, divenuta Total France, ha venduto un certo quantitativo di olio pesante alla società Total International Ltd, la quale ha noleggiato la nave Erika al fine di trasportarlo al porto di Milazzo, in Sicilia. In data 11 e 12 dicembre 1999 questa nave è naufragata, il che ha causato lo sversamento parziale del carico e l’inquinamento delle coste francesi del litorale atlantico, tra le quali quelle del comune di Mesquer.

25.      Con propria ordinanza il comune ha dapprima intimato alle società Total di provvedere allo smaltimento dei rifiuti fuoriusciti dalla nave. Tuttavia, esso ha dovuto parimenti sostenere spese per operazioni di pulitura e bonifica del territorio comunale. Il comune ha convenuto in giudizio le società Total France e Total international Ltd. (in prosieguo: la «Total») per ottenere la condanna al risarcimento di tali spese.

26.      Il procedimento è attualmente pendente dinanzi alla Cour de Cassation, che sottopone alla Corte le seguenti questioni per una pronuncia pregiudiziale:

1.      Se l’olio pesante, prodotto derivato da un processo di raffinazione, rispondente alle specifiche dell’utilizzatore, destinato dal produttore a essere venduto come combustibile e menzionato nella direttiva 20 dicembre 1968, 68/414/CEE, relativa alle risorse strategiche soggette a obbligo di stoccaggio, modificata dalla direttiva 14 dicembre 1998, 98/93/CE, possa essere considerato un rifiuto ai sensi dell’art. 1 della direttiva 15 luglio 1975, 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 18 marzo 1991, 91/156/CEE, e codificata dalla direttiva 2006/12/CE.

2.      Se un carico di olio pesante, trasportato da una nave e accidentalmente sversato in mare, costituisca, di per sé o miscelato ad acqua e sedimenti, un rifiuto ai sensi della [categoria] Q 4 dell’allegato I della direttiva 2006/12.

3.      In caso di soluzione negativa della prima questione e di soluzione affermativa della seconda, se il produttore dell’olio pesante (Total Raffinage) e/o il venditore e spedizioniere (Total International Ltd) possano essere considerati, ai sensi dell’art. 1, lett. b) e c), della direttiva 2006/12 e ai fini dell’applicazione dell’art. 15 della medesima direttiva, come il produttore e/o il detentore del rifiuto, anche qualora il prodotto, al momento dell’incidente che l’ha trasformato in rifiuto, fosse trasportato da terzi.

27.      Durante il procedimento dinanzi alla Corte, il Tribunal de grande instance di Parigi in data 16 gennaio 2008 ha condannato diversi soggetti, tra i quali alcune società del gruppo Total, al pagamento di una pena pecuniaria per l’avaria della Erika. In conformità a tale pronuncia, tali soggetti devono corrispondere a numerose parti civili del procedimento un risarcimento del danno pari complessivamente a circa EUR 192 milioni. Nel calcolo di tale importo è stato considerato quanto versato dal fondo di risarcimento per danni dovuti a inquinamento da idrocarburi (15). Il comune di Mesquer ha diritto a EUR 500 000 di risarcimento del danno arrecato alla propria reputazione (16). Per contro, il Tribunal ha respinto, in quanto non circostanziata, una richiesta di EUR 67 181,78 per il risarcimento di danni non coperti dal fondo (17). La responsabilità della società interessata Total S.A. discenderebbe dal suo ruolo nella scelta e nel controllo della Erika per il trasporto dell’olio pesante (18). Secondo quanto riferito in comunicati stampa, avverso tale decisione avrebbe, inter alia, proposto ricorso anche la Total.

28.      Il comune di Mesquer, la Total, il Regno del Belgio, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno Unito e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte ai sensi dell’art. 23 dello statuto della Corte. Ad esclusione del Belgio e dell’Italia, tali soggetti hanno altresì preso parte alla trattazione orale del 22 gennaio 2008.

IV – Valutazione in diritto

29.      Occorre dapprima rilevare che ad eventi verificatisi nel 1999 non trova applicazione la versione codificata della direttiva quadro sui rifiuti, menzionata altresì nella domanda di pronuncia pregiudiziale, bensì la versione vigente all’epoca dei fatti (19).

A –    Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

30.      La Total ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale abbia natura ipotetica, dal momento che il comune di Mesquer sarebbe già stato interamente risarcito e che pertanto nella causa principale esso non avrebbe alcun interesse ad agire. Inoltre, accettando il risarcimento, il comune di Mesquer avrebbe rinunciato ad ogni altro diritto connesso a tale danno.

31.      Mediante tale rilievo la Total si richiama al principio secondo cui in ipotesi eccezionali spetta alla Corte esaminare le condizioni in presenza delle quali è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (20). Da una giurisprudenza costante risulta che il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (21). Salvo che in tali ipotesi, la Corte è, in linea di principio, tenuta a statuire sulle questioni pregiudiziali che vertono sull’interpretazione del diritto comunitario  (22).

32.      Diversamente, ad esempio, da questioni di diritto comunitario dalle quali può discendere la natura interamente o parzialmente ipotetica di una domanda di pronuncia pregiudiziale, la questione dell’esistenza nella causa principale di un interesse ad agire deve essere esaminata, in via di principio, soltanto dal giudice nazionale. Nell’ambito del procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte, pertanto, i rilievi mossi contro l’esito di un tale esame devono essere soggetti a requisiti particolarmente rigorosi.

33.      Alla luce di tali elementi, le argomentazioni della Total non mettono in discussione la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale. Il comune di Mesquer non si limita a invocare prestazioni presumibilmente già ottenute, bensì chiede che venga altresì dichiarato che la Total è obbligata, in linea di principio, al risarcimento del danno. Tale accertamento comprenderebbe anche danni che possono insorgere in un momento successivo.

34.      Soltanto un giudice nazionale può stabilire quale efficacia produca la rinuncia ad ulteriori diritti, affermata dalla Total. Poiché l’asserita rinuncia doveva essere nota al giudice del rinvio, occorre assumere che essa non fosse impeditiva del ricorso.

35.      Dubbi in ordine alla ricevibilità del ricorso nazionale potrebbero altresì discendere dalla circostanza che è intervenuta una pronuncia del Tribunal de grande instance relativa a diritti del comune di Mesquer nei confronti di altre società del gruppo Total a seguito dell’avaria. La questione se la pendenza di un altro procedimento costituisca un impedimento processuale ai fini dell’attuale procedimento non può, tuttavia, essere risolta dalla Corte, ma solo dal giudice nazionale competente.

36.      Non può, pertanto, ritenersi che la causa principale o la domanda di pronuncia pregiudiziale abbiano natura ipotetica. La domanda di pronuncia pregiudiziale è, conseguentemente, ricevibile.

B –    Sulla prima questione – Natura di rifiuto dell’olio pesante

37.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se l’olio pesante, prodotto derivato da un processo di raffinazione, rispondente alle specifiche dell’utilizzatore, destinato dal produttore a essere venduto come combustibile e menzionato nella direttiva relativa alle risorse strategiche soggette a obbligo di stoccaggio (23), possa essere considerato un rifiuto ai sensi dell’art. 1 della direttiva quadro sui rifiuti.

38.      Occorre in primo luogo sottolineare che l’argomento addotto dal comune di Mesquer, in base al quale l’olio pesante costituirebbe una sostanza di qualità diversa – inferiore – rispetto a quella finora considerata, trattandosi infatti di un residuo di un processo di produzione altamente tossico e caratterizzato da valori di viscosità diversi dalla norma, non può qui di seguito trovare accoglimento. L’accertamento dei fatti in un rinvio pregiudiziale non è competenza della Corte (24). È probabile che persino lo stesso giudice del rinvio, la Cour de Cassation, in quanto giudice di legittimità non possa compiere ulteriori accertamenti nel merito. Poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale ha ad oggetto olio pesante che risponde alle specifiche dell’acquirente, occorre basare l’esame successivo su tale assunto.

39.      Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva quadro sui rifiuti, la nozione di rifiuto comprende qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I della direttiva quadro e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

40.      L’allegato menzionato e l’elenco europeo di rifiuti specificano ed illustrano tale definizione, redigendo elenchi di sostanze ed oggetti che possono essere qualificati come rifiuti. Tuttavia, dal momento che l’allegato, in particolare, contempla alla categoria Q16 «Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopraelencate», l’allegato e l’elenco hanno carattere soltanto indicativo (25).

41.      Determinante, piuttosto, è se il detentore si disfi di un oggetto o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsene (26). A tal riguardo, la nozione di «rifiuto» ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti non deve essere interpretata restrittivamente (27).

42.      La prima questione è, pertanto, diretta ad accertare se il detentore si sia disfatto dell’olio pesante o avesse deciso o avesse l’obbligo di disfarsene, quando l’olio si trovava ancora nella nave. Il trasporto di una sostanza all’interno di una nave non costituisce, in quanto tale, parte di un’operazione volta a disfarsi di tale sostanza, né ne rappresenta un indizio. Pertanto, occorre escludere che il detentore si sia disfatto dell’olio.

43.      Un obbligo di disfarsi (28) di una data sostanza potrebbe sussistere quando non sia possibile alcun uso legittimo della sostanza in questione. Nel caso dell’olio pesante, tale ipotesi è configurabile quando i requisiti della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/32/CE relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e che modifica la direttiva 93/12/CEE (29), non possano essere soddisfatti. Tuttavia, all’epoca dei fatti, nel dicembre 1999, simili disposizioni di diritto comunitario non erano in vigore e tale ipotesi sembra peraltro escludere, dal momento che – come si assume nella domanda di pronuncia pregiudiziale – l’olio pesante rispondeva alle specifiche dell’acquirente.

44.      Pertanto, occorre esaminare se il detentore avesse deciso di disfarsi dell’olio pesante. La direttiva quadro sui rifiuti non offre alcun criterio per individuare la volontà del detentore di disfarsi di una sostanza o di un determinato oggetto. Tuttavia la Corte, più volte interrogata sulla qualificazione di rifiuto da attribuire o meno a diverse sostanze, ha fornito alcune indicazioni che consentono di individuare la volontà del detentore (30). Essa va però accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l’efficacia (31).

45.      A fondamento della propria tesi, secondo la quale l’olio pesante sarebbe un rifiuto, il comune di Mesquer afferma che esso costituirebbe un residuo di produzione. Un residuo di produzione è un prodotto che non è stato voluto in quanto tale al fine di un utilizzo ulteriore (32). Se il detentore non può riutilizzare tale prodotto a condizioni economicamente vantaggiose senza prima sottoporlo a trasformazione, esso costituisce un onere del quale il detentore ha deciso di disfarsi e, quindi, in via di principio, un rifiuto (33).

46.      Non sono tuttavia convinta, similmente agli altri soggetti che hanno preso parte al procedimento, che l’olio pesante – perlomeno sulla base delle circostanze dell’attuale fattispecie – sia effettivamente un residuo di produzione. Si tratta piuttosto di un prodotto. Invero, secondo i dati forniti dal Regno Unito, nell’ambito del processo di raffinazione dell’olio greggio l’olio pesante si produce inevitabilmente; tuttavia, ciò si verifica anche per la maggior parte delle restanti frazioni prodotte dalla raffinazione del petrolio.

47.      Tale conclusione trova conferma nel documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili nelle raffinerie di oli minerali e di gas (34). La Commissione ha elaborato tale documento in collaborazione con esperti degli Stati membri sulla base della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (35). Secondo tale documento, le raffinerie rielaborano materie prime naturali come l’olio greggio o il gas trasformandole in prodotti di mercato, in particolare in carburanti per il settore dei trasporti, in combustibili per la produzione di calore ed energia nell’industria e nelle abitazioni private, in materie prime per l’industria chimica, in prodotti speciali quali oli lubrificanti, paraffine, cera o bitume, nonché in energia sotto forma di vapore o elettricità quale sottoprodotto della raffinazione.

48.      Il documento di riferimento menzionato non qualifica, quindi, l’olio pesante come tipico rifiuto da raffineria (36). Parimenti, esso non menziona la riduzione della produzione di olio pesante tra gli obiettivi delle migliori tecniche disponibili ai sensi della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento.

49.      La qualificazione dell’olio pesante come prodotto è tanto più necessaria se – come si verifica nel caso presente in base a quanto affermato dalla questione pregiudiziale – esso è stato prodotto in conformità alle specifiche dell’acquirente. Infatti, in tal modo esso rappresenta il risultato di una scelta tecnica, quindi un prodotto voluto al fine di un utilizzo ulteriore (37). Al riguardo, i requisiti per l’accertamento di tale scelta tecnica non vanno estesi eccessivamente, dal momento che molti processi di produzione comportano la contemporanea generazione di prodotti, ognuno dei quali, pur non essendo ugualmente vantaggioso per il produttore, è tuttavia ricercato nell’ambito di un processo di produzione più integrato ed efficiente possibile.

50.      In considerazione della natura di un combustibile, non è parimenti possibile considerare la prevista combustione come un’operazione volta a disfarsi del combustibile, dalla quale discenderebbe l’intendimento di disfarsene (38). Si tratta piuttosto dello stesso tipo di uso di quello di altre sostanze che vengono pacificamente considerate prodotti (39).

51.      Pertanto, un combustibile come l’olio pesante non costituisce, in via di principio, un residuo di produzione della raffinazione, bensì un prodotto voluto.

52.      Tale conclusione trova infine conferma nella circostanza che l’olio pesante, in conformità a quanto affermato dalla questione pregiudiziale, rientra nella direttiva 68/414 relativa alle risorse strategiche soggette a obbligo di stoccaggio. La presunzione della volontà di disfarsi dell’olio pesante diviene meno probabile se gli Stati membri sono obbligati a conservarne adeguate riserve (40). Tale obbligo di stoccaggio delle riserve induce piuttosto a ritenere che il consumo dell’olio pesante prodotto costituisca un dato certo, conclusione che parimenti depone in senso contrario alla qualifica di rifiuto (41).

53.      Contrariamente a quanto sostenuto dal comune di Mesquer, non ostano a tale valutazione neanche i particolari rischi per l’ambiente derivanti dall’olio pesante e dal suo utilizzo. La Corte ha affermato che tali rischi possono sì indicare l’esistenza di una volontà di disfarsi di una sostanza, ma che ciò riveste un ruolo secondario rispetto ad altri elementi (42). Molti prodotti hanno proprietà – o se non altro un utilizzo – potenzialmente dannosi per l’ambiente. Tuttavia, tali rischi non implicano l’applicazione della normativa sui rifiuti, bensì impongono che tali prodotti e/o il loro utilizzo siano disciplinati da disposizioni specifiche.

54.      Per contro, quando un potenziale combustibile venga prodotto nell’ambito di un processo di produzione essenzialmente destinato a prodotti di diversa natura, occorrerà piuttosto qualificarlo come residuo di produzione. Per tale motivo, la Corte ha ritenuto che i cosiddetti LUWA-Bottoms, ricavati da un (non meglio specificato) «flusso di idrocarburi», costituissero un residuo di produzione nella generazione di ossido di propilene e alcol butilico terziario (43).

55.      L’olio pesante prodotto dalla raffinazione potrebbe, per contro, essere considerato un residuo di produzione soltanto se, in base a circostanze particolari, come ad esempio la scarsità della domanda o provvedimenti regolatori, esso fosse da considerarsi un onere del quale il detentore abbia deciso o addirittura abbia l’obbligo di disfarsi. In un caso di questo tipo, che non sembra applicabile alla fattispecie presente, la natura di rifiuto andrebbe esclusa solo se il riutilizzo fosse non soltanto eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione (44).

56.      Tale eccezione è stata applicata al recupero di detriti per lavori di riporto all’interno della stessa cava mineraria. In questo caso l’eccezione è giustificata, in particolare allo scopo di operare una distinzione da quei rifiuti provenienti dalla cava, il cui recupero in altri settori è eventuale, ma non certo (45).

57.      L’eccezione non sarebbe da interpretare, tuttavia, in via tassativa, in particolare relativamente al requisito della continuità del processo di produzione. Nel caso presente è lecito dubitare di una continuità, dal momento che l’olio pesante è stato trasportato per un tragitto considerevole prima del suo recupero. Tuttavia, se il recupero di un residuo di produzione, senza ulteriore trasformazione, è certo ed economicamente vantaggioso per il produttore, occorre parimenti escludere che tale residuo costituisca un onere del quale egli abbia deciso di disfarsi (46).

58.      Riassumendo, occorre pertanto risolvere la prima questione nel senso che l’olio pesante, prodotto derivato da un processo di raffinazione, rispondente alle specifiche dell’utilizzatore, destinato dal produttore a essere venduto come combustibile e menzionato nella direttiva 68/414 relativa alle risorse strategiche soggette a obbligo di stoccaggio, non può essere considerato, di per sé, un rifiuto ai sensi dell’art. 1 della direttiva quadro sui rifiuti.

C –    Sulla seconda questione – Natura di rifiuto dell’olio pesante sversato

59.      Con la seconda questione la Cour de Cassation chiede se un carico di olio pesante, trasportato da una nave e accidentalmente sversato in mare, costituisca, di per sé o miscelato ad acqua e sedimenti, un rifiuto ai sensi della rubrica Q 4 dell’allegato I della direttiva quadro sui rifiuti.

60.      Il Belgio e la Total sono, tuttavia, dell’avviso che l’applicazione della direttiva quadro sui rifiuti sarebbe esclusa dalla Convenzione CLC. Ai sensi dell’art. 3, n. 4, di tale Convenzione, il risarcimento per danni dovuti ad inquinamento potrebbe essere chiesto al proprietario e ad altri soggetti solo in conformità alla Convenzione.

61.      Tuttavia, ai fini della seconda questione, la Convenzione CLC è irrilevante già per la circostanza che essa non disciplina la questione se idrocarburi sversati in occasione di incidenti in mare debbano essere considerati rifiuti. L’esame della Convenzione deve essere piuttosto compiuto in un momento successivo, nell’ambito della terza questione, dal momento che essa attiene alla responsabilità in base alla normativa sui rifiuti e conseguentemente anche alla responsabilità finanziaria.

62.      La Total insiste sulla tesi secondo cui la questione se l’olio pesante si sia trasformato in rifiuto mediante lo sversamento sarebbe manifestamente irrilevante ai fini della causa principale. Quest’ultima verterebbe soltanto sull’olio pesante che ha inquinato il litorale del comune di Mesquer. Per tale motivo, non occorrerebbe risolvere tale parte della questione.

63.      Tale tesi contrasta, tuttavia, con quanto affermato dalla Total relativamente alla seconda parte della questione. A tal riguardo, la Total ritiene che il miscuglio di olio pesante, acqua e sedimenti che ha inquinato il litorale debba essere considerato quale rifiuto soltanto in presenza di un obbligo a disfarsi dell’olio pesante. Tale tipo di obbligo – riferito esclusivamente all’olio pesante in quanto tale – può sorgere, tuttavia, solo se esso sia divenuto un rifiuto già prima di essersi mescolato.

64.      Pertanto, secondo gli stessi argomenti prodotti dalla Total la prima parte della questione risulta senz’altro rilevante e deve essere risolta.

65.      La Total sostiene peraltro un’impostazione da me già sostenuta in forma analoga, ovvero che la sostanza sversata debba essere esaminata insieme alla sostanza inquinata (47). Occorrerebbe quindi accertare se ci si sia disfatti del miscuglio, o si intenda o si abbia l’obbligo di disfarsene. Quanto meno con riguardo all’olio portato a riva deve assumersi una volontà di disfarsene. Tale approccio può essere utile in determinate circostanze, in particolare quando risulti impossibile determinare con chiarezza l’origine delle componenti del miscuglio.

66.      L’analisi del miscuglio non è, tuttavia, di alcuna utilità quando – come nella specie con riguardo alla terza questione – occorra accertare la responsabilità per la produzione di rifiuti. Tale responsabilità, infatti, è di norma legata al destino di singole componenti, nell’attuale controversia all’olio pesante, mentre la qualificazione come rifiuto delle componenti restanti è conseguenza dell’inquinamento prodotto dall’olio pesante. Occorre, pertanto, esaminare se l’olio pesante si sia trasformato in rifiuto.

67.      L’allegato I della direttiva 75/442, intitolato «Categorie di rifiuti», menziona, al punto Q4, le «[s]ostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente in questione». Ciò costituisce un indizio dell’inclusione di tali sostanze e materie nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuto. Tuttavia, la detta circostanza non consente, di per sé, di qualificare come rifiuti gli idrocarburi che siano stati accidentalmente sversati e che siano all’origine di un inquinamento (48). Infatti, come già accertato nell’ambito della prima questione, in conformità all’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva quadro sui rifiuti, sono compresi nella nozione di rifiuto soltanto le sostanze o gli oggetti di cui il detentore si disfi ovvero abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi (49).

68.      Lo sversamento di olio pesante in occasione di un incidente di una nave non è indizio – in assenza di particolari elementi – né di una volontà, né di un obbligo di disfarsene. Occorre, tuttavia, esaminare se il detentore mediante lo sversamento si sia disfatto dell’olio pesante.

69.      A tal proposito, nella sentenza Van de Walle la Corte ha tratto un parallelo con la giurisprudenza relativa ai residui di produzione. Tale contesto aveva ad oggetto idrocarburi derivanti dagli impianti di stoccaggio di una stazione di servizio che si erano infiltrati nel terreno circostante.

70.      La Corte ha sottolineato che un prodotto non voluto in quanto tale ai fini di un utilizzo ulteriore e che il detentore non possa riutilizzare a condizioni economicamente vantaggiose senza prima sottoporlo a trasformazione deve considerarsi come un onere del quale il detentore si disfa (50).

71.      Sarebbe evidente, prosegue la Corte, che idrocarburi accidentalmente sversati e all’origine di un inquinamento del terreno e delle acque sotterranee (parimenti) non costituiscono un prodotto riutilizzabile senza trasformazione. Infatti, la loro commercializzazione è assai aleatoria e, anche ove fosse ipotizzabile, presuppone operazioni preliminari che non sono economicamente vantaggiose per il loro detentore. Pertanto, tali idrocarburi costituiscono sostanze che quest’ultimo non aveva l’intenzione di produrre e delle quali egli si disfa, quand’anche involontariamente, nel corso di operazioni di distribuzione ad esse attinenti (51).

72.      Come affermato altresì da Francia, Italia, Regno Unito e Commissione, lo stesso ragionamento si applica all’olio pesante sversato in occasione dell’incidente di una nave e mescolato ad acqua e sedimenti. La possibilità di un suo riutilizzo è quanto meno aleatoria, se non addirittura totalmente esclusa. Pertanto, il detentore dell’olio pesante se ne è disfatto – quand’anche involontariamente – durante il trasporto.

73.      Nella sentenza Van de Walle la Corte ha, inoltre, stabilito che la medesima qualificazione come rifiuto vale per il suolo contaminato a seguito di uno sversamento accidentale di idrocarburi. Infatti, in tal caso gli idrocarburi non sono separabili dal terreno che hanno inquinato e possono essere recuperati o smaltiti soltanto ove tale terreno venga anch’esso sottoposto alle necessarie operazioni di decontaminazione (52).

74.      Anche tali considerazioni possono trovare applicazione alla fattispecie in esame. L’olio pesante può essere trattato in conformità alla normativa sui rifiuti soltanto se anche l’acqua e i sedimenti mescolati con l’olio sono sottoposti al trattamento necessario, sia che esso sia destinato alla separazione dei diversi elementi, sia che esso miri ad uno smaltimento o recupero complessivo.

75.      La sentenza Van de Walle e a. è stata oggetto di censure da parte della dottrina, sovente a causa delle sue ripercussioni pratiche (53). Oltre ad argomenti già trattati nell’ambito della sentenza o quanto meno delle conclusioni o piuttosto privi di pertinenza, è stata giustamente censurata la mancata menzione del sesto ‘considerando’ della direttiva quadro sui rifiuti (54), secondo il quale «una regolamentazione efficace e coerente dello smaltimento dei rifiuti (…) dovrebbe applicarsi ai beni mobili di cui il detentore si disfi o sia tenuto a disfarsi a norma delle disposizioni nazionali in vigore (…)».

76.      Tale ‘considerando’ non prevede, tuttavia, l’esclusione tassativa dei beni immobili dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti. Esso tutt’al più permette di dedurre che la direttiva non è volta in via di principio a disciplinare beni immobili. Tuttavia, escludere l’applicabilità della normativa sui rifiuti quando beni mobili divengano immobili mescolandosi al terreno risulterebbe in contrasto con la finalità di una regolamentazione efficace e coerente dello smaltimento dei rifiuti affermata nel detto ‘considerando’. Occorre piuttosto impedire che in questo modo un rifiuto sia sottratto all’ambito di applicazione della corrispondente normativa (55).

77.      Tuttavia, è attualmente all’attenzione del Consiglio e del Parlamento una proposta che riscrive la direttiva quadro sui rifiuti, che prevede, tra l’altro, che essa non trova applicazione al terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno (56).

78.      In considerazione di tale procedimento legislativo in corso, sarebbe opportuno che la Corte non anticipasse il legislatore, mettendo in discussione la propria giurisprudenza in merito a tale aspetto.

79.      Occorre inoltre rilevare che l’art. 2, n. 1, lett. b), numero iv, della direttiva quadro sui rifiuti, non esclude i residui di oli dall’ambito d’applicazione della direttiva. In conformità a tale disposizione, sono escluse dall’ambito di applicazione della detta direttiva, qualora già contemplate da altra normativa, le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido. I residui di oli non sono acque di scarico perché essi non derivano dall’uso o dall’impiego di acqua. Quando essi siano (ancora) liquidi, si tratta piuttosto di rifiuti allo stato liquido.

80.      Occorre, pertanto, risolvere la seconda questione nel senso che deve essere considerato un rifiuto ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti l’olio pesante accidentalmente sversato e miscelato con acqua e sedimenti.

D –    Sulla terza questione – Responsabilità finanziaria per l’olio pesante sversato

81.      Con la terza questione la Cour de Cassation chiede se la Total, in qualità di produttore dell’olio pesante e/o venditore ovvero spedizioniere del medesimo possa essere considerata, ai sensi dell’art. 1, lett. b) e c), della direttiva quadro sui rifiuti e ai fini dell’applicazione dell’art. 15 della medesima direttiva, come il produttore e/o il detentore del rifiuto, anche qualora il prodotto, al momento dell’incidente che l’ha trasformato in rifiuto, fosse trasportato da terzi.

82.      L’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti stabilisce quale soggetto debba sostenere i costi dello smaltimento dei rifiuti. Il riferimento a tale disposizione indica che la terza questione è volta a chiarire se le società del gruppo Total debbano sostenere i costi dello smaltimento dell’olio pesante sversato.

1.      Sul rapporto tra la direttiva quadro sui rifiuti e la Convenzione CLC

83.      Ad avviso della Total e del Belgio, l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti non potrebbe trovare applicazione, in quanto la responsabilità finanziaria per i danni dovuti a inquinamento marittimo da idrocarburi sarebbe disciplinata in via tassativa dalla Convenzione CLC e dalla Convenzione fondo. La responsabilità per danni dovuti a inquinamento da idrocarburi verrebbe «canalizzata» sul proprietario della nave, mentre a favore di altri soggetti, nel caso di specie di un noleggiatore come la Total international Ltd., sarebbe prevista un’esclusione di responsabilità. In aggiunta alla responsabilità limitata del proprietario della nave, la Convenzione fondo prevede che i danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi siano coperti da un fondo internazionale sino ad una soglia massima ivi definita. Nella fattispecie presente tale disciplina prevarrebbe sull’applicazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

84.      Le due Convenzioni sono state sì ratificate dalla quasi totalità degli Stati membri, ma non dalla Comunità. Pertanto, esse non costituiscono parte del diritto comunitario e non sono quindi vincolanti per la Comunità, diversamente da quanto affermato dalla Total nell’ambito della trattazione orale (57). Nel corso della fase orale, la Commissione ha giustamente altresì rilevato che le due Convenzioni non sono vincolanti per la Comunità quale diritto consuetudinario internazionale (58). Conseguentemente, alla Corte non è ammesso interpretare tali Convenzioni nell’ambito di un procedimento pregiudiziale (59). Tuttavia, essa può valutare in quale misura tali Convenzioni, pur essendo prive di efficacia vincolante nei confronti della Comunità, possano ostare ad un’applicazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

Sulla decisione 2004/246

85.      La Total fa riferimento alla decisione 2004/246 che autorizza gli Stati membri a firmare o ratificare, nell’interesse della Comunità europea, il protocollo del 2003 alla convenzione internazionale del 1992 sull’istituzione di un fondo internazionale per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento da idrocarburi, o ad aderirvi e che autorizza Austria e Lussemburgo, nell’interesse della Comunità europea, ad aderire agli strumenti di riferimento.

86.      Tale decisione può essere interpretata nel senso che la Comunità ha consentito agli Stati membri di derogare al diritto comunitario quando fosse necessario ai fini dell’adesione al protocollo al fondo complementare. Ai sensi dell’art. 1, n. 4, della decisione 2004/246, le norme della Convenzione CLC rientrerebbero tra le deroghe ammesse.

87.      Per la parte in cui la Convenzione CLC deroga alla direttiva quadro sui rifiuti, sarebbe stato probabilmente necessario basare la decisione 2004/246 sulla competenza in materia di ambiente sancita all’art. 175 del Trattato. Tuttavia, sino a quando la decisione non sarà abrogata o annullata, molti elementi inducono a ritenere che perlomeno gli interessati possono confidare sull’applicabilità di una delle Convenzioni dello Stato membro interessato autorizzate dalla Comunità.

88.      Tuttavia, la decisione 2004/246 è stata adottata soltanto diversi anni dopo il naufragio della Erika. Per contro, l’obbligo di sostenere i costi dello smaltimento dei residui di olio è sorto, in via di principio, in un momento successivo all’avaria. La decisione 2004/246 non fornisce alcuna indicazione in merito ad un’abrogazione retroattiva di tale obbligo. Poiché la responsabilità finanziaria non costituisce una pena, parimenti non è possibile ammettere che il principio dell’applicazione della pena più mite (60) osterebbe all’applicazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

89.      Determinante, pertanto, è la situazione in diritto all’epoca in cui è sorto l’obbligo conformemente alla normativa sui rifiuti. Di conseguenza, la decisione 2004/246 risulta priva di rilievo ai fini della presente controversia.

La direttiva 2004/35/CE

90.      La Total e il Belgio invocano, quale ulteriore argomento contro l’applicazione della direttiva quadro sui rifiuti, la direttiva 2004/35 sulla responsabilità ambientale (61). L’art. 4, n. 2, di detta direttiva, escluderebbe dal proprio ambito di applicazione il danno ambientale o una minaccia imminente di tale danno a seguito di un incidente per il quale la responsabilità o l’indennizzo rientrano nell’ambito d’applicazione della Convenzione CLC, se essa è in vigore nello Stato membro interessato.

91.      Molti elementi inducono a ritenere che la direttiva 2004/35 dia attuazione all’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti e che, pertanto, la deroga da essa prevista a favore della Convenzione CLC abbia probabilmente effetto anche sull’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. Tuttavia, nella fattispecie all’esame non si chiede alla Corte di pronunciarsi su tale questione. La direttiva 2004/35 è stata adottata successivamente ai fatti attualmente in questione e il termine per il suo recepimento era fissato al 30 aprile 2007. Essa non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi prima di tale data.

Sull’art. 235 della Convenzione sul diritto del mare

92.      Nel corso della trattazione orale la Total ha fatto altresì riferimento all’art. 235, n. 3, della Convenzione sul diritto del mare. Esso prevede che, al fine di assicurare l’indennizzo rapido e adeguato per qualunque danno derivato dall’inquinamento dell’ambiente marino, gli Stati collaborino per assicurare l’applicazione e l’ulteriore sviluppo del diritto internazionale.

93.      La Convenzione sul diritto del mare è parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario ed è vincolante per la Comunità (62). Tuttavia, come la Francia ha eccepito alla Total a piena ragione, dall’art. 235, n. 3, della Convenzione sul diritto del mare non discende alcun vincolo nei confronti di determinate Convenzioni internazionali sulla responsabilità per danni dovuti ad inquinamento. Esso prevede esclusivamente un impegno a collaborare.

Sull’art. 307 CE

94.      Infine, anche dall’art. 307, n. 1, CE non discende la prevalenza delle disposizioni della Convenzione CLC sull’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. La Convenzione CLC è stata stipulata con la partecipazione francese soltanto a seguito dell’istituzione della Comunità il 1° gennaio 1958 ed è stata ratificata dalla Francia. Per tale motivo, in conformità al tenore letterale dell’art. 307, n. 1, CE, esso non risulta applicabile.

95.      Un’applicazione per analogia dell’art. 307, n. 1, CE non porta a conclusioni differenti. Tale applicazione è ipotizzabile quando un obbligo internazionale di uno Stato membro entra in conflitto con un provvedimento di diritto secondario adottato successivamente. La Francia risulta aver depositato la propria dichiarazione di ratifica della Convenzione CLC nella versione del 1969 in data 11 marzo 1975 (63), mentre la versione originale della direttiva quadro sui rifiuti è stata adottata dal Consiglio soltanto in data 15 luglio 1975.

96.      La possibilità di un’applicazione in via analogica dell’art. 307, n. 1, CE alla fattispecie presente non va, ad ogni modo, approfondita in questa sede. Nel caso all’esame, infatti, la Convenzione CLC nella versione originale non poteva ostare all’applicazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. Un possibile conflitto tra la versione della Convenzione CLC del 1992, applicabile all’epoca dei fatti, e l’art. 15 potrebbe sussistere soltanto qualora la Convenzione preveda un’ampia esclusione di responsabilità a favore del noleggiatore di una nave, mentre tale soggetto, ai sensi dell’art. 15, è probabilmente tenuto a sostenere i costi dello smaltimento dei residui di olio. Tale esclusione di responsabilità, tuttavia, non era ancora contemplata dalla Convenzione CLC del 1969. Essa rappresenta un obbligo internazionale della Francia sorto in un momento successivo all’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

97.      È pur vero che l’attuale art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti discende da una modifica della direttiva del 1991; ciò nondimeno la versione originale della direttiva quadro sui rifiuti prevedeva già un art. 11, dal tenore letterale identico a quello dell’art. 15.

98.      Una diversa valutazione potrebbe riguardare la limitazione di responsabilità del proprietario della nave, dal momento che tale limitazione era già prevista dall’art. 5 della versione originale della Convenzione CLC. A tal proposito, potrebbe porsi la questione se l’adozione della direttiva quadro sui rifiuti, immediatamente successiva alla ratifica della Convenzione CLC, osti all’applicazione in via analogica dell’art. 307, n. 1, CE. Tuttavia, non occorre in questa sede approfondire tale questione, dal momento che l’attuale controversia non attiene alla responsabilità del proprietario della nave, bensì a quella del proprietario del carico.

Sull’interpretazione conforme

99.      In base agli aspetti esaminati sino ad ora, la Convenzione CLC e la Convenzione fondo non escludono, pertanto, l’applicazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. Tuttavia, dagli argomenti presentati emerge una volontà politica diffusa che la responsabilità per i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi venga disciplinata in conformità alla Convenzione CLC e alla Convenzione fondo.

100. Tale consenso trova conferma, da un lato, nella circostanza che le due Convenzioni sono state ratificate da quasi tutti gli Stati membri e, dall’altro lato, nella menzione da parte della Total di numerosi atti non vincolanti della Comunità, che parimenti affermano che i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi sono disciplinati dalle Convenzioni. Al riguardo si tratta del primo programma d’azione in materia ambientale (64), della proposta della Commissione di direttiva del Consiglio relativa alla responsabilità civile per i danni causati dai rifiuti (65), della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio in materia di sicurezza marittima del trasporto di idrocarburi (66), nonché della risposta della Commissione a due interrogazioni parlamentari (67).

101. Inoltre, una deroga del diritto comunitario a tali Convenzioni implicherebbe per la Francia e probabilmente per altri Stati membri l’insorgenza di un conflitto tra i suoi obblighi discendenti dal diritto comunitario e quelli discendenti dal diritto internazionale. L’obbligo di lealtà tra la Comunità e gli Stati membri (lealtà comunitaria) impone, per quanto possibile, di evitare tali conflitti.

102. Infine, dall’obbligo di collaborazione della Comunità di cui all’art. 235, n. 3, della Convenzione sul diritto del mare discende che la Comunità deve quanto meno tenere in particolare considerazione gli sforzi degli Stati. Ciò si pone peraltro in linea con l’obiettivo della politica ambientale della Comunità di cui all’art. 174, n. 1, quarto trattino, del Trattato, di promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente.

103. L’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti deve, pertanto, essere interpretato per quanto possibile nel senso di evitare conflitti con la Convenzione CLC e la Convenzione fondo (68).

2.      Sull’interpretazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti

104. Occorre ora esaminare se le due società del gruppo Total siano chiamate a rispondere, in qualità di produttore dell’olio pesante e/o venditore o spedizioniere della nave, dei costi per lo smaltimento dell’olio pesante sversato ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

Sui soggetti menzionati nell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti

105. L’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti disciplina la responsabilità finanziaria per lo smaltimento di rifiuti. Ai sensi del primo trattino, conformemente al principio «chi inquina paga», essa ricade sul detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all’articolo 9. Il secondo trattino prevede l’ulteriore menzione dei precedenti detentori o del produttore del prodotto causa dei rifiuti.

106. Al riguardo, la Corte nella sentenza Van de Walle e a. ha stabilito che tale disposizione accolla l’onere finanziario per lo smaltimento di rifiuti, in conformità del principio «chi inquina paga», ai soggetti che sono all’origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti oppure fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti (69).

107. È possibile, pertanto, configurare una responsabilità finanziaria della Total France in qualità di produttore dell’olio pesante, ovvero come produttore del prodotto che ha generato i rifiuti.

108. Per contro, per la Total international Ltd. ciò risulta possibile soltanto se essa era detentrice, o quanto meno precedente detentrice, dei residui di olio.

109. Ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva quadro sui rifiuti, la nozione di detentore comprende il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene. Secondo la sentenza Van de Walle, la direttiva quadro sui rifiuti offre quindi una definizione in senso ampio di detentore, in quanto non precisa se gli obblighi di recupero o smaltimento dei rifiuti incombano di norma al produttore dei medesimi ovvero al loro possessore, nel qual caso è irrilevante che si tratti del proprietario o del detentore (70).

110. Non è possibile escludere che la Total international Ltd. durante il trasporto abbia indirettamente disposto, attraverso la società di trasporti e l’equipaggio, del potere di fatto sull’olio pesante. Tuttavia, in conseguenza dell’avaria essa ha perso l’eventuale detenzione nel momento in cui l’olio pesante si è trasformato in rifiuto. In tal modo, la Total international Ltd. non è mai stata detentrice dei residui di olio.

111. Pertanto, una responsabilità finanziaria della Total international Ltd. può configurarsi soltanto se tale società debba essere considerata la produttrice dei residui di olio e quindi, ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva quadro sui rifiuti, parimenti detentrice di tali rifiuti.

112. L’art. 1, lett. b), della direttiva quadro sui rifiuti definisce come produttore la persona la cui attività ha prodotto rifiuti («produttore iniziale») e/o la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti.

113. Come sostiene anche la Commissione, l’applicabilità di tale definizione alla Total international Ltd. dipende dalla questione se essa abbia esercitato un’influenza tale sulla produzione dei residui di olio, per cui tale evento debba considerarsi effetto della sua attività. Occorre assumere tale ipotesi quando l’avaria è imputabile ad una violazione degli obblighi contrattuali, ovvero a diversi comportamenti della Total international Ltd. idonei a far sorgere la sua responsabilità (71). La decisione se la Total international Ltd. sia la produttrice dei residui di olio spetta al giudice di merito competente.

114. La sentenza penale del 16 gennaio 2008, in precedenza menzionata, consente di esprimere l’ulteriore rilievo che anche la Total France può essere considerata, in base a equivalenti rilievi di fatto e secondo gli stessi criteri, produttrice e detentrice del rifiuto. Il Tribunal de grande instance ha, infatti, stabilito che la responsabilità del disastro della Erika sarebbe da imputare non alla Total international Ltd., bensì ad un’altra società Total, la Total S.A., dal momento che tale società era responsabile della scelta della nave e che in tale ruolo essa non avrebbe prestato l’adeguata diligenza (72). Spetta ai giudici nazionali competenti valutare se la produzione dei rifiuti possa essere imputata anche alla Total France.

115. Pertanto, è possibile configurare una responsabilità finanziaria per lo smaltimento dei residui di olio a carico della Total France in quanto produttrice dell’olio pesante, ma anche nell’ipotesi in cui essa sia produttrice dei residui di olio. La Total international Ltd. può essere chiamata a rispondere dei costi dello smaltimento solo se essa è produttrice dei residui di olio.

Sulla scelta del responsabile finanziario ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti in conformità al principio «chi inquina paga»

116. Si pone quindi la questione se sia sufficiente che la Total France ed eventualmente la Total international Ltd. rientrino tra i soggetti menzionati dall’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti perché su di esse ricada l’obbligo di sostenere i costi dello smaltimento dei residui di olio.

117. Effettivamente, la Commissione sembra assumere che tutti i soggetti citati nell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti possano essere chiamati a sostenere i costi dello smaltimento dei rifiuti. Per contro, nel corso della trattazione orale il Regno Unito ha sostenuto che l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti non recherebbe la regolamentazione della responsabilità, in particolare perché esso non disciplinerebbe la scelta dei responsabili finanziari.

118. Tuttavia, la Corte ha interpretato diversamente l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. La sentenza Van de Walle aveva ad oggetto idrocarburi fuoriusciti da una stazione di servizio, che avevano prodotto l’inquinamento del terreno circostante. In via di principio, la responsabilità di tale evento ricade sul gestore della stazione di servizio che ha acquistato gli idrocarburi per le proprie necessità aziendali e pertanto ne era detentore ed è il soggetto che li aveva in deposito, per esigenze della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/443 (73). Soltanto se il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi fossero eccezionalmente imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, quest’ultima sarebbe responsabile. Per effetto della sua attività, infatti, la compagnia petrolifera avrebbe prodotto rifiuti ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442 ed essa potrebbe dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti (74).

119. Secondo la Corte, pertanto, i costi devono essere sostenuti dal soggetto che ha prodotto i rifiuti (75). I soggetti menzionati nell’art. 15 identificano invece soltanto l’insieme dei possibili responsabili finanziari, all’interno del quale, in conformità al principio «chi inquina paga», deve essere scelto il soggetto che deve sostenere i costi.

120. Detta interpretazione del principio «chi inquina paga» quale principio per la ripartizione dei costi è conforme ad altre versioni linguistiche che – a differenza della versione tedesca – non utilizzano il concetto di causalità, ma affermano che chi inquina paga (Polluter pays, pollueur-payeur). Conseguentemente, la Corte ha interpretato il principio «chi inquina paga» come espressione del principio di proporzionalità che obbliga gli Stati membri – e il legislatore comunitario – a non accollare a nessuno oneri che alla luce delle circostanze non sono necessari (76). Nel caso di specie si trattava della questione se nel settore agricolo si potesse imporre una riduzione delle immissioni di nitrati maggiore rispetto alla quota ad esso spettante sul volume complessivo. Applicato alla normativa ambientale, ciò consente innanzitutto di concludere che non è possibile sostenere i costi dello smaltimento di rifiuti prodotti da altri.

121. Se un prodotto si trasforma in rifiuto, in via di principio l’ultimo detentore è il produttore del rifiuto, dal momento che egli si disfa del prodotto stesso. Come sostenuto dalla Total, una responsabilità finanziaria del fabbricante del prodotto – nei termini in cui è prevista ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti – appare, pertanto, contraria al principio «chi inquina paga».

122. Ciò nondimeno, talune normative sulla gestione dei rifiuti dispongono che i costi dello smaltimento siano posti, in via di principio, a carico del produttore del prodotto che si è trasformato in rifiuto. A tale riguardo, la Commissione fa riferimento alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 settembre 2006, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e che abroga la direttiva 91/157/CEE(77), il cui art. 8 prevede che i produttori di pile e accumulatori devono sostenere i costi del loro smaltimento come rifiuto (78). Ai sensi dell’art. 15 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (79), gli Stati membri possono altresì accollare al produttore di un imballaggio i costi dello smaltimento conforme alla normativa ambientale (80).

123. Tali normative traggono il proprio fondamento dal fatto che l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti, in particolare il principio «chi inquina paga» ivi richiamato, non recano una disciplina chiara e tassativa della responsabilità finanziaria. Piuttosto, il principio «chi inquina paga» può e deve essere tradotto in disposizioni concrete. Tale compito spetta in via prioritaria al legislatore.

124. I giudici devono applicare tali disposizioni concrete, all’occorrenza interpretarle e, in determinate circostanze, verificare che esse si pongano entro i limiti del principio «chi inquina paga». Tale principio rappresenta il parametro per ogni normativa nazionale di attuazione dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti, ma esso vincola altresì il legislatore comunitario, poiché esso è sancito nell’art. 174, n. 2, del Trattato quale fondamento della politica in materia di ambiente.

125. Alla luce della necessità di procedere alla ponderazione di taluni obiettivi e principi enunciati all’art. 174, nonché della complessità dell’attuazione dei criteri stessi, il controllo giurisdizionale deve tuttavia necessariamente limitarsi a verificare se nell’adozione di una disciplina sia stato commesso un errore di valutazione manifesto quanto alle condizioni di applicabilità dell’art. 174 CE  (81).

126. Alla luce di tali considerazioni, una decisione del legislatore comunitario o nazionale che accolli al fabbricante di un prodotto che abbia generato rifiuti i costi dello smaltimento dei rifiuti medesimi non può, in via di principio, essere censurata. Per la maggior parte dei prodotti, infatti, già lo stesso produttore deve ritenere che, se usati in modo conforme a destinazione, essi si trasformeranno prima o poi in rifiuti. In tal modo, il produttore dà origine, mediante la produzione di beni economici, alla creazione di rifiuti ed è, pertanto, anche chiamato a risponderne in base al principio «chi inquina paga».

127. La responsabilità finanziaria del produttore presenta determinati vantaggi. Se l’obbligo dello smaltimento ricade sul produttore, questi sarà incentivato a configurare il prodotto in maniera tale da poter essere smaltito al minor costo possibile. In tal modo si dà attuazione all’obiettivo sancito nell’art. 174, n. 1, terzo trattino, CE dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e al principio di cui all’art. 174, n. 2, CE, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente. Allo stesso tempo il produttore può comprendere nel prezzo i costi dello smaltimento, ripercuotendoli in tal modo sull’ultimo detentore, quale effettivo produttore del rifiuto. Tale disciplina sulla responsabilità finanziaria dissuade, infine, l’ultimo detentore dal disfarsi illegalmente del prodotto per risparmiare sui costi dello smaltimento.

128. L’esistenza di norme specifiche sulla responsabilità del produttore induce, tuttavia, anche a ritenere che sia necessaria una disciplina esplicita per poter accollare al produttore del prodotto i costi dello smaltimento. In particolare, gli effetti positivi sopra descritti possono verificarsi soltanto se il produttore e l’ultimo detentore siano a conoscenza della disciplina sulla responsabilità finanziaria.

129. Peraltro, le considerazioni sulla responsabilità finanziaria in caso di uso dei prodotti conforme a destinazione non sono pienamente applicabili ai rifiuti prodotti in occasione di eventi eccezionali. Il caso all’esame ne è un esempio: in caso di uso conforme a destinazione, quindi in caso di combustione dell’olio pesante, si sarebbero prodotti effluenti gassosi nell’atmosfera che, ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva quadro sui rifiuti, non rientrano nell’ambito di applicazione della normativa ambientale, e probabilmente in più ridotta misura anche rifiuti solidi. Lo smaltimento di tali rifiuti sarebbe potuto avvenire a costi relativamente contenuti, essendo generati in una centrale elettrica già strutturata per gestire tali rifiuti. Per contro, a seguito dello sversamento dell’olio pesante e del suo mescolamento all’acqua e ai sedimenti si è prodotto un quantitativo di rifiuti molto maggiore, alla cui raccolta e smaltimento è possibile provvedere soltanto con grosse difficoltà.

130. Il rischio della produzione di rifiuti di questo tipo non può, pertanto, ricadere in ogni caso sul produttore dell’olio pesante in base al principio «chi inquina paga», bensì solo quando esso sia in grado di influenzare la produzione eccezionale di rifiuti.

131. In tal modo si comprende la sentenza Van de Walle: il rischio di una produzione accidentale di rifiuti ricade sul soggetto che è in grado di prevenire l’incidente. Solo eccezionalmente la responsabilità può ricadere su altri soggetti, quando ad essi sia imputabile un personale contributo nella generazione dell’evento.

Sull’applicazione al caso di specie

132. Se si dovesse valutare la responsabilità finanziaria delle società Total soltanto in base all’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti, alla luce delle suesposte considerazioni discenderebbe che su di esse, in qualità di produttore dell’olio pesante e/o venditore o spedizioniere, ricadano i costi dello smaltimento dei residui di olio a seguito dell’incidente della nave, se ad esse sia imputabile di aver personalmente contribuito a causare lo sversamento dell’olio pesante.

133. Una disposizione della direttiva quale l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (82). Pertanto, le norme dell’art. 15 possono trovare applicazione alle società Total soltanto se trovano riscontro nel diritto francese.

134. Il diritto francese potrebbe ostare ad una responsabilità delle società Total. L’art. 3, n. 4, lett. c), della Convenzione CLC, in vigore in Francia, esclude infatti, in linea di principio, qualsivoglia diritto al risarcimento del danno nei confronti di un noleggiatore, tranne nel caso in cui il danno sia dovuto a suoi atti o omissioni personali, commessi con l’intento di provocare tali danni, ovvero con negligenza e con la consapevolezza della probabilità di provocare tali danni. La decisione sull’applicabilità di tale esclusione di responsabilità alle società Total spetta ai giudici competenti  (83).

135. Tuttavia, l’esclusione di responsabilità non appare incompatibile con l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti neanche nell’ipotesi in cui i beneficiari dell’esclusione abbiano contribuito a causare l’evento. Essa rappresenta piuttosto un uso legittimo del margine di discrezionalità nell’ambito del potere di attuazione conferito agli Stati membri dal principio «chi inquina paga».

136. La Convenzione CLC e la Convenzione fondo precisano i criteri per l’attribuzione della responsabilità finanziaria in caso di inquinamento marittimo da idrocarburi. La canalizzazione della responsabilità finanziaria sul proprietario della nave operata dalla Convenzione CLC è conforme al principio «chi inquina paga». Di norma, in caso di incidente è il proprietario della nave a rispondere della trasformazione in rifiuto del carico della sua nave, poiché egli è responsabile della gestione e dello stato della nave usata dal medesimo nonché da terzi. Per fattispecie determinate nelle quali il danno sia imputabile a terzi, l’art. 3, n. 2 e 3, esenta il proprietario della nave dalla responsabilità. Tale forma di responsabilità corrisponde alla responsabilità che la Corte ha riconosciuto a carico del gestore di una stazione di servizio per idrocarburi sversati dagli impianti di stoccaggio nel terreno circostante (84).

137. L’impossibilità, discendente dalla canalizzazione della responsabilità, di agire contro altri soggetti ai sensi dell’art. 3, n. 4, della Convenzione CLC, in particolare ai sensi della lett. c), contro il noleggiatore, è compatibile con il principio «chi inquina paga». Da un lato, tali soggetti possono essere chiamati direttamente a rispondere in caso di responsabilità aggravata, ossia quando i danni da inquinamento siano dovuti ad atti o omissioni personali, commessi con l’intento di provocare tali danni, ovvero con negligenza e con la consapevolezza della probabilità di provocare tali danni. Dall’altro lato, ai sensi dell’art. 3, n. 5, della Convenzione CLC, il proprietario ha diritto a rivalersi su tali soggetti. In questo modo si garantisce che anche tali soggetti rispondano in base al principio «chi inquina paga» dei costi che hanno contribuito a causare. In particolare, la sussistenza di una responsabilità di tal tipo dovrebbe essere verificata qualora risultasse che le società Total siano parzialmente o integralmente responsabili dell’incidente della nave, come è stato accertato dal Tribunal de grande instance (85) e come assumono anche la Commissione e la Francia.

138. Ai sensi dell’art. 5 della Convenzione CLC, la responsabilità del proprietario della nave è, tuttavia, limitata se non è dimostrato che il danno dovuto a inquinamento è conseguenza di un suo atto o omissione personali, commessi con l’intento di provocare tale danno, ovvero con negligenza e con la consapevolezza della probabilità di provocare tali danni. Ove si applichi tale limitazione di responsabilità, ai sensi dell’art. 5, n. 4, il proprietario della nave dovrà fare fronte alle singole richieste risarcitorie soltanto pro rata, quindi parzialmente. Ciò appare in contrasto, prima facie, con il principio «chi inquina paga».

139. Tuttavia, la responsabilità limitata del proprietario della nave viene integrata, in conformità alla Convenzione fondo, dalla responsabilità del fondo per il risarcimento dei danni dovuti a inquinamento da idrocarburi. Il fondo è finanziato, ai sensi dell’art. 12 della relativa Convenzione, dai soggetti destinatari tramite trasporto marittimo di grossi quantitativi di olio greggio o di olio pesante. La domanda di idrocarburi che proviene da tali imprese provoca il trasporto di idrocarburi alla base del rischio di incidenti marittimi. Anche tali soggetti, pertanto, possono essere chiamati a rispondere secondo il principio «chi inquina paga» dei costi dello smaltimento di rifiuti di oli prodotti accidentalmente. Ai sensi dell’art. 4, n. 2, della Convenzione fondo, la responsabilità del fondo è esclusa in caso di danni derivanti da atti di guerra e può essere limitata in caso di corresponsabilità del danneggiato, ai sensi del n. 3 dello stesso articolo. Inoltre, in conformità all’art. 9 della Convenzione fondo, anche per i costi assunti dal fondo esiste la possibilità di rivalersi su altri soggetti responsabili. Nel caso di specie, il fondo ha conseguentemente agito in via cautelativa contro diversi soggetti, tra i quali in particolare le società Total attualmente interessate (86).

140. Anche la responsabilità del fondo è limitata. Ciò può comportare che parte dei costi dello smaltimento di rifiuti provenienti da danni dovuti a inquinamento marittimo da idrocarburi non sia sostenuta né dal proprietario della nave, né dal fondo. Tali costi residui vanno a carico o dello Stato, quindi della collettività dei contribuenti, o di determinati soggetti, che possono parimenti essere chiamati a sostenere i costi in base alla normativa nazionale.

141. L’addebitamento a singoli soggetti dei costi dello smaltimento di rifiuti che essi non hanno prodotto sarebbe incompatibile con il principio «chi inquina paga» (87). A fronte di tale richiesta da parte delle autorità statali gli interessati potrebbero, pertanto, opporre l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti.

142. L’addebitamento alla collettività dei costi residui dello smaltimento risulta, per contro, compatibile con il principio «chi inquina paga» ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti. La collettività accetta quanto meno i relativi rischi, dal momento che gli Stati permettono i trasporti marittimi di idrocarburi che comportano il rischio di incidenti. Al tempo stesso, mediante gli obblighi dettati dalla Marpol 73/78 (88), gli Stati assicurano standard minimi di sicurezza marittima. La collettività trae vantaggio da tali trasporti poiché essi garantiscono l’approvvigionamento di una fonte di energia molto richiesta. Senza la domanda di prodotti derivati da idrocarburi non ci sarebbe, infatti, alcun trasporto. Per tale motivo è giustificato che venga posto a carico della collettività un contributo nella generazione dell’inquinamento da idrocarburi e parte del rischio.

143. La Convenzione CLC e la Convenzione fondo evidenziano come gli Stati contraenti, ad inclusione della quasi totalità degli Stati membri, giudichino adeguata la limitazione di responsabilità e accettano il rischio di dover sostenere costi ulteriori. Se i danni da idrocarburi superano la soglia della responsabilità del proprietario della nave e del fondo, infatti, tali costi non possono essere coperti con risorse di soggetti privati. Altrettanto improbabili appaiono soluzioni assicurative di più ampia portata.

144. A tali considerazioni occorre aggiungere che la responsabilità del proprietario della nave e l’integrazione del fondo prescindono dall’esistenza di colpa. Pertanto, esiste una probabilità relativamente alta che i danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi siano integralmente o quanto meno parzialmente coperti.

145. Ciò vale, a fortiori, dopo che nel 2005 è entrato in vigore il protocollo complementare alla Convenzione fondo (89), che istituisce un fondo complementare per il risarcimento di danni, parimenti finanziato dagli importatori di idrocarburi e che eleva sensibilmente la soglia di responsabilità.

146. Conseguentemente, è compatibile con l’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti e con il principio «chi inquina paga» ivi sancito, da un lato, che la responsabilità per inquinamento marittimo da idrocarburi in accordo con la Convenzione CLC e la Convenzione fondo sia canalizzata sul proprietario della nave e sul fondo per il risarcimento dei danni dovuti a inquinamento da idrocarburi, dall’altro lato, che tale responsabilità venga limitata nel quantum. Tale conclusione corrisponde all’obbligo di evitare, nell’interpretazione del diritto comunitario, nella misura del possibile, contraddizioni con la Convenzione CLC (90).

147. Occorre, pertanto, risolvere la terza questione nel senso che il produttore dell’olio pesante e/o il venditore o spedizioniere possono essere chiamati a rispondere ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti dei costi dello smaltimento di residui di olio prodotti a seguito dell’incidente di una nave, se ad essi è imputabile di aver personalmente contribuito a causare lo sversamento dell’olio pesante. È, tuttavia, altresì compatibile con tale disposizione la limitazione della responsabilità del produttore dell’olio pesante e/o del venditore o noleggiatore in conformità alla Convenzione CLC e alla Convenzione fondo.

V –    Conclusioni

148. Propongo, pertanto, alla Corte di risolvere la domanda di pronuncia pregiudiziale nei seguenti termini:

1.      L’olio pesante, prodotto derivato da un processo di raffinazione, rispondente alle specifiche dell’utilizzatore, destinato dal produttore a essere venduto come combustibile e menzionato nella direttiva del Consiglio 20 dicembre 1968, 68/414/CEE, che stabilisce l’obbligo per gli Stati Membri della CEE di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi, non può essere considerato, di per sé, un rifiuto ai sensi dell’art. 1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti.

2.      L’olio pesante accidentalmente sversato e mescolato con acqua e sedimenti deve essere considerato un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.

3.      Il produttore dell’olio pesante e/o il venditore o spedizioniere possono essere chiamati a rispondere ai sensi dell’art. 15 della direttiva 75/442 dei costi dello smaltimento di residui di olio prodotti a seguito dell’incidente di una nave, qualora ad essi sia imputabile di aver personalmente contribuito a causare lo sversamento dell’olio pesante. È, tuttavia, altresì compatibile con tale disposizione la limitazione della responsabilità del produttore dell’olio pesante e/o del venditore o noleggiatore in conformità alla Convenzione internazionale del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile per i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi, nella versione del protocollo del 1992, e alla Convenzione internazionale del 1971 sull’istituzione di un fondo internazionale per il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento da idrocarburi, nella versione del protocollo del 1992.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2  – GU L 194, pag. 39, ai fini della presente controversia da ultimo modificata dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32). Attualmente codificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9).


3 – La versione tedesca è reperibile nella Gazzetta Ufficiale tedesca, BGBl. 1975 II pag. 305.


4 – Il protocollo è pubblicato in GU 2004 L 78, pag. 32. Una versione completa della Convenzione è disponibile, ad esempio, all’indirizzo http://www.iopcfunds.org/npdf/Conventions%20English.pdf.


5 – Il protocollo è pubblicato in GU 2004 L 78, pag. 40. Una versione completa della Convenzione è disponibile, ad esempio, all’indirizzo http://www.iopcfunds.org/npdf/Conventions%20English.pdf.


6 – Secondo il sito http://www.imo.org/includes/blastData.asp/doc_id=693/status.xls, visitato in data 5 marzo 2008, sono parti della Convenzione Belgio, Bulgaria, Danimarca, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito, ma non la Repubblica ceca, Austria e Slovacchia.


7 – Conformemente ai dati forniti dal Fondo monetario internazionale: http://www.imf.org/external/np/fin/data/rms_mth.aspx?SelectDate=1999-12-31&reportType=CVSDR. Un diritto speciale di prelievo corrisponde ad un paniere di monete composto da EUR 0,41, 18,4 Yen, 0,0903 sterline britanniche e 0,632 dollari americani.


8 – Nota 92FUND/EXC.28/4 del direttore del fondo per il risarcimento dei danni dovuti a inquinamento da idrocarburi del 15 febbraio 2005, disponibile all’indirizzo http://www.iopcfund-docs.org/ds/pdf/92exc28-4_e.pdf, pag. 2. V. anche la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alla seconda serie di provvedimenti comunitari in tema di sicurezza marittima in seguito al naufragio della petroliera Erika, COM(2000) 802 def., pag. 59.


9 – Secondo il sito http://www.imo.org/includes/blastData.asp/doc_id=693/status.xls, visitato in data 5 marzo 2008, sono parti della Convenzione Belgio, Bulgaria, Danimarca, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito, ma non la Repubblica ceca, Austria, Romania e Slovacchia.


10 – Nota 92FUND/EXC.28/4 (citata alla nota 8, pag. 2).


11  – Terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Official Documents, Vol. XVII, 1984, Doc. A/Conf.62/122, pagg. 157‑231.


12 – GU L 308, pag. 4, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1998, 98/93/CE (GU L 358, pag. 100).


13 – GU L 78, pag. 99, come modificata dalla decisione del Consiglio 24 settembre 2004, 2004/664/CE che adatta la decisione 2004/246/CE a seguito dell’adesione della Repubblica ceca, dell’Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell’Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia (GU L 303, pag. 28).


14 – GU 2001 L 12, pag. 1.


15 – Sentenza del Tribunal de grande instance de Paris 16 gennaio 2008 (9934895010, pag. 236), citata in conformità all’indirizzo http://www.fortunes-de-mer.com/documents%20pdf/jurisprudence/Arrets/7%20TC%20Paris%2016012008%20Erika.pdf.


16 – Sentenza del Tribunal de grande instance de Paris 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pagg. 245 e 274).


17 – Sentenza del Tribunal de grande instance de Paris 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pag. 245).


18 – Sentenza del Tribunal de grande instance de Paris 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pag. 228).


19 – V. sentenza 10 maggio 2007, causa C‑252/05, Thames Water Utilities (Racc. pag. I‑3883).


20 – Sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C‑295/04 a C‑298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I‑6619, punto 27).


21 – V., tra le altre, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 61) e 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA (Racc. pag. I‑403, punto 24).


22 – V. sentenze citate alla nota 21 Bosman (punto 59), nonché IATA e ELFAA (punto 24).


23 – La Cour de Cassation fa riferimento alla direttiva 68/414, come modificata dalla direttiva 98/93.


24 – Sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I‑5257, punto 42) e 12 gennaio 2006, causa C–246/04, Turn- und Sportunion Waldburg (Racc. pag. I‑589, punto 21).


25  – V., con riguardo a tali considerazioni, sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon Kansanterveystyön Kuntayhtymän hallitus (Racc. pag. I‑3533, punto 22) e sentenze 18 dicembre 2007, Commissione/Italia (causa C‑194/05, Racc. pag. I‑11661, punto 34, causa C‑195/05, Racc. pag. I‑11699, punto 32 e causa C‑263/05, Racc. pag. I‑11745, punto 32).


26 – Sentenza 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I‑7411, punto 26), 1° marzo 2007, causa C‑176/05, KVZ retec (Racc. pag. I‑1721, punto 51) e Commissione/Italia (citata alla nota 25).


27 – V. sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C‑418/97 e C‑419/97, ARCO Chemie Nederland e a. (Racc. pag. I‑4475, punti 37‑40), Palin Granit (citata alla nota 25, punto 23), 7 settembre 2004, causa C‑1/03, Van de Walle e a. (Racc. pag. I‑7613, punto 45), KVZ (citata alla nota 26, punto 61) e Commissione/Italia (causa C‑194/05, citata alla nota 25, punto 33, causa C‑195/05, citata alla nota 25, punto 35 e causa C‑263/05, citata alla nota 25, punto 33).


28 – V., al riguardo, sentenza KVZ (citata alla nota 26, punto 53 segg.).


29 – GU L 121, pag. 13, da ultimo modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 2005, 2005/33/CE (GU L 191, pag. 59).


30 – Sentenza Palin Granit (citata alla nota 25, punto 25). V. anche le mie conclusioni 7 settembre 2006, causa C‑176/05, KVZ retec (Racc. pag. I‑1721, paragrafo 73).


31 – Sentenza ARCO Chemie Nederland e a. (citata alla nota 27, punto 73).


32 – Sentenze ARCO Chemie Nederland e a. (citata alla nota 27, punto 84) e Commissione/Italia (causa C‑194/05, citata alla nota 25, punto 34, causa C‑195/05, citata alla nota 25, punto 36 e causa C‑263/05, citata alla nota 25, punto 34).


33 – Sentenze Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 46) e – pervenendo a conclusioni opposte – Commissione/Italia (causa C‑194/05, citata alla nota 25, punto 37 segg., causa C‑195/05, citata alla nota 25, punto 39 segg. e causa C‑263/05, citata alla nota 25, punto 37 segg.).


34 – Aggiornato a febbraio 2003, http://ec.europa.eu/comm/environment/ippc/brefs/ref_bref_0203.pdf, pag. 1.


35 – Direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE (GU L 257, pag. 26).


36 – Citato alla nota 34, pag. 379. Quali rifiuti tipici sono menzionati fanghi, catalizzatori usati, filtri di argilla e ceneri derivanti dalla combustione, nonché, quali esempi di ulteriori frazioni di rifiuto, prodotti di reazione derivanti dalla desolforazione dei fumi, ceneri leggere, ceneri pesanti, carbone attivo esaurito, polveri di gas di combustione, sali inorganici come il solfato di ammonio, nonché calcare derivante dal pretrattamento dell’acqua, terreno inquinato da idrocarburi, bitume, residui, rifiuti acidi e alcalini esauriti, nonché prodotti chimici.


37 – V. ordinanza 15 gennaio 2004, causa C‑235/02, Saetti e Frediani (Racc. pag. I‑1005, punto 45).


38 – Sentenze ARCO Chemie Nederland e a. (citata alla nota 27, punti 44 segg., v. tuttavia, in senso contrario, punto 85), Palin Granit (citata alla nota 25, punto 27) e 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli (Racc. pag. I‑10853, punto 37).


39 – V. ordinanza Saetti e Frediani (citata alla nota 37, punto 45).


40 – Per contro, la classificazione a fini fiscali dell’olio pesante non permette di dedurre, contrariamente all’impostazione della Total, l’esistenza di una volontà di disfarsene.


41 – V. ordinanza Saetti e Frediani (citata alla nota 37, punto 45).


42 – Sentenza ARCO Chemie Nederland e a. (citata alla nota 27, punti 66 segg.).


43 – Sentenza ARCO Chemie Nederland e a. (citata alla nota 27, punti 84 segg.).


44 – Sentenze Palin Granit (citata alla nota 25, punto 36) e Commissione/Italia (causa C‑194/05, citata alla nota 25, punti 37 segg., causa C‑195/05, citata alla nota 25, punto 39 segg. e causa C‑263/05, citata alla nota 25, punti 37 segg.).


45 – Sentenza 11 settembre 2003, causa C‑114/01, Avesta Polarit Chrome (Racc. pag. I‑8725, punti 36 segg.).


46 – V. sentenze 8 settembre 2005, Commissione/Spagna (causa C‑416/02, Racc. pag. I‑7487, punti 87 segg. e causa C‑121/03, Racc. pag. I‑7569, punti 58 segg.).


47 – V. le mie conclusioni 29 gennaio 2004, causa C‑1/03, Van de Walle e a. (Racc. pag. I‑7613, paragrafo 24).


48 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 43).


49 – V. supra, parr. 39 segg.


50 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 46).


51 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 47), confermata dalla sentenza Thames Water Utilities (citata alla nota 19, punto 28).


52 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 52).


53 – V., a titolo esemplificativo, Ludger-Anselm Versteyl, Altlast = Abfall – Vom Ende des «beweglichen» Abfallbegriffs, Neue Zeitschrift für Verwaltungsrecht 2004, pag. 1297; Lucas Bergkamp, A new court-made environmental liability regime for Europe, [2004] 4 Environmental Liability, pag. 171; Philippe Billet, Le déchet, qualification incertaine des sols pollués, Revue juridique de l'environnement, 2005, pag. 309; Frank Petersen e Melanie Lorenz, Das «Van de Walle»-Urteil des EuGH - Sanierung von Altlasten nach Abfallrecht?, Neue Zeitschrift für Verwaltungsrecht 2005, pag. 257; Christoph Riese e Nora Karsten, Ist unausgekofferter kontaminierter Boden Abfall?, Zeitschrift für Umweltrecht 2005, pag. 75; Heike Jochum, Neues zum europäischen Bodenschutz- und Abfallrecht – Sind die bodenschutzrechtlichen Bestimmungen der Umwelthaftungsrichtlinie und die Abfallrichtlinie nach dem «Spatenprinzip» zu trennen?, Neue Zeitschrift für Verwaltungsrecht 2005, pag. 140; Nikolaus Schultz, Ein Jahr nach «Van de Walle» – viel Lärm um nichts?, Zeitschrift für europäisches Umwelt- und Planungsrecht 2005, pag. 230; Lothar Knopp, EuGH erweitert Abfallbegriff für Altlasten – erhebliche Kostenrisiken nicht ausgeschlossen, Betriebs-Berater, fascicolo 51/52 2004, I.; Daniel Lawrence, European Court lays waste to contaminated land, Construction law, January/February 2005, pag. 26; Stephan Müller, Zählen verseuchte Grundstücke neuerdings zum Abfall?, Frankfurter Allgemeine Zeitung 1° dicembre 2004, pag. 25.


54 – V. Billet (citato alla nota 53, pag. 318 segg.), Riese/Karsten (citati alla nota 53, pag. 77), Petersen/Lorenz (citati alla nota 53, pag. 258) e Schultz (citato alla nota 53, pag. 231), nonché le osservazioni per il resto ampiamente conformi di Anno Oexle, Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht 2004, pag. 627 (pag. 628), e Jens Hamer, Bodenschutz und Umwelthaftungsrecht made in Luxembourg, European Law Reporter, 2004, pag. 477 (pag. 482).


55 – V. anche Hamer (citato alla nota 54, pag. 482).


56 – Art. 2, n. 1, lett. b), della posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, documento del Consiglio 11406/07 del 20 novembre 2007, accolto dalla Commissione, COM(2007) 863 del 9 gennaio 2008. Una limitazione analoga, per quanto parziale, era già prevista nell’art. 2, n. 1, lett. f), della proposta della Commissione, COM(2005) 667 del 21 dicembre 2005 (GU 2006 C 70, pag. 6). Per contro, il Parlamento europeo ha respinto tale limitazione in prima lettura in data 13 febbraio 2007, discostandosi apparentemente dalla relazione della commissione competente, GU C 287 E, pag. 136 (pag. 141).


57 – V. le mie conclusioni 20 novembre 2007, causa C‑308/06, Intertanko e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 37 segg. con ulteriori riferimenti) relative alla Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (in prosieguo: la «Marpol 73/78»).


58 – Sull’effetto vincolante del diritto consuetudinario internazionale, v. sentenze 24 novembre 1992, causa C‑286/90, Poulsen e Diva Navigation (Racc. pag. I‑6019, punti 9 segg.) e 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, punto 45).


59 – V. sentenze 2 agosto 1993, causa C‑158/91, Levy (Racc. pag. I‑4287, punto 21), 14 luglio 1994, causa C‑379/92, Peralta (Racc. pag. I‑3453, punti 16 segg.) e 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro-Com (Racc. pag. I‑81, punto 58).


60 – V., al riguardo, sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565, punti 66 segg.).


61 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU L 143, pag. 56).


62 – Sentenza 30 maggio 2006, causa C‑459/03, Commissione/Irlanda (stabilimento MOX) (Racc. pag. I‑4635, punto 82); v. nel dettaglio le mie conclusioni Intertanko (citate alla nota 57, paragrafi 46 segg.).


63 – Secondo http://www.comitemaritime.org/ratific/imo/imoidx.html. Il decreto 75-553 del 26 giugno 1975, Journal officiel 1975, pag. 6716 del 3 luglio 1975, comunica la pubblicazione, richiama gli estremi di una delega alla ratifica del 1971 e stabilisce l’entrata in vigore della Convenzione al 19 giugno 1975.


64 – GU 1973 C 112, pag. 1.


65 – GU 1989 C 251, pag. 3.


66 – COM (2000) 142 fin., pag. 6.


67 – Risposte della sig.ra Wallström a nome della Commissione alle interrogazioni scritte E-0842/00 del deputato Chris Davis, ad oggetto «Disastro “Erika” e responsabilità ambientale», GU 2001 C 53 E, pag. 30, e E-1752/03 della deputata Eija-Riitta Korhola, ad oggetto «L’uso dell’analisi degli effetti e dell’assicurazione per responsabilità civili per prevenire i danni causati dalle maree nere», GU 2004 C 51 E, pag. 137.


68 – V. anche le mie conclusioni Intertanko (citate alla nota 57, paragrafo 78).


69 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 58).


70 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 55).


71 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 60).


72 – Sentenza del Tribunal de grande instance de Paris 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pag. 228). Tuttavia, la nota 92FUND/EXC.34/6/Add.1 del direttore del fondo di risarcimento per i danni dovuti a inquinamento da idrocarburi del 20 settembre 2006, http://www.iopcfund-docs.org/ds/pdf/92exc34-6eadd1.pdf, pag. 8, stabilisce, sulla base delle indagini allora disponibili, che era impossibile per la Total ravvisare i difetti della nave.


73 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 59).


74 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 60).


75 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 58).


76 – Sentenza 29 aprile 1999, causa C‑293/97, Standley e a. (Racc. pag. I‑2603, punto 52).


77 – GU L 266, pag. 1.


78 – Disposizioni simili sono previste dall’art. 5, n. 4, della direttiva 18 settembre 2000, 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso (GU L 269, pag. 34) e dall’art. 8 della direttiva 27 gennaio 2003, 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (GU L 37, pag. 24).


79 – GU L 365, pag. 10.


80 – Ordinanza 16 febbraio 2006, causa C‑26/05, Plato Plastik Robert Frank (Racc. 2006 pag. I‑24, punto 34).


81 – Sentenze 14 luglio 1998, causa C‑284/95, Hi-Tech (Racc. pag. I‑4301, punto 37) e 15 dicembre 2005, causa C‑86/03, Grecia/Commissione (Racc. pag. I‑10979, punto 88), entrambe relative al legislatore comunitario.


82 – V., tra le altre, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48), 5 ottobre 2004, cause riunite C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punto 108) e 7 giugno 2007, causa C‑80/06, Carp (Racc. pag. I‑4473, punto 20).


83 – La sentenza del Tribunal de grande instance de Paris del 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pag. 235) ha escluso tale applicabilità alla Total S.A..


84 – Sentenza Van de Walle e a. (citata alla nota 27, punto 59).


85 – Sentenza 16 gennaio 2008 (citata alla nota 15, pag. 228).


86 – Nota 92FUND/EXC.33/5 del direttore del fondo per il risarcimento dei danno dovuti a inquinamento da idrocarburi del 4 maggio 2006, disponibile all’indirizzo http://www.iopcfund-docs.org/ds/pdf/92exc33-5_e.pdf, pag. 5 e segg.


87 – V. supra, par. 120.


88 – Convenzione internazionale del 1973 sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato da navi, nel testo del protocollo del 1978 (Recueil des traités des Nations Unies/UN Treaty Series, Vol. 1341 Nr. 22484).


89 – Pubblicato in GU 2004 L 78, pag. 24. Secondo l’indirizzo http://www.iopcfund.org/92members.htm#suppfund, accanto a quattro altri Stati, Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito hanno ratificato il protocollo e il 30 marzo 2008 aderirà l’Ungheria.


90 – V. supra, parr. 99 e segg.