Language of document : ECLI:EU:T:2018:945

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

13 dicembre 2018 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti dell’Iran – Congelamento dei capitali – Inclusione e mantenimento del nome della parte ricorrente negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicano le misure restrittive – Danno materiale – Danno morale»

Nella causa T‑558/15,

Iran Insurance Company, con sede a Téhéran (Iran), rappresentata da D. Luff, avvocato,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione europea, rappresentata da F. Ronkes Agerbeek e R. Tricot, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e volta ad ottenere il risarcimento del presunto danno morale e materiale che la ricorrente avrebbe subito in seguito all’adozione della decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, che modifica la decisione 2010/413/PESC concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 281, pag. 81), del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento (CE) n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), della decisione 2011/783/PESC del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413/PESC concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2011, L 319, pag. 71), del regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011 del Consiglio, del 1o dicembre 2011, che attua il regolamento n. 961/2010 (GU 2011, L 319, pag. 11), e del regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 961/2010 (GU 2012, L 88, pag. 1), con i quali il nome della ricorrente è stato inserito e mantenuto negli elenchi delle persone e delle entità cui si applicano le misure restrittive,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

composto da I. Pelikánová (relatore), presidente, V. Valančius, P. Nihoul, J. Svenningsen e U. Öberg, giudici,

cancelliere: N. Schall, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        La presente causa rientra nell’ambito delle misure restrittive adottate per esercitare pressioni sulla Repubblica islamica dell’Iran affinché quest’ultima ponga fine alle attività nucleari che presentano un rischio di proliferazione e allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari (in prosieguo: la «proliferazione nucleare»).

2        La Iran Insurance Company, anche nota come Bimeh Iran, ricorrente, è una compagnia di assicurazione iraniana.

3        Il 9 giugno 2010 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1929 (2010), che ha ampliato la portata delle misure restrittive imposte dalle precedenti risoluzioni 1737 (2006), del 27 dicembre 2006, 1747 (2007), del 24 marzo 2007, e 1803 (2008), del 3 marzo 2008, e ha introdotto misure restrittive aggiuntive nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran.

4        Con la decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 195, pag. 39), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco di cui all’allegato II di detta decisione.

5        Di conseguenza, il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco che figura nell’allegato V del regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2007, L 103, pag. 1).

6        L’inserimento del nome della ricorrente nell’elenco di cui al precedente punto 5 ha avuto effetto dalla data di pubblicazione del regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 195, pag. 25) nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ossia il 27 luglio 2010. Esso ha comportato il congelamento dei capitali e delle risorse economiche della ricorrente (in prosieguo: il «congelamento dei capitali» o le «misure restrittive»).

7        L’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi di cui ai precedenti punti 4 e 5 si fondava sui seguenti motivi:

«[La ricorrente] ha assicurato l’acquisto di vari prodotti che possono essere utilizzati nei programmi sottoposti a sanzione in forza della risoluzione 1737 del [Consiglio di sicurezza]. Tra i prodotti acquistati assicurati vi era[no] pezzi di ricambio per elicotteri, materiale elettronico e computer destinati all’utilizzo in ambito di navigazione aerea e missilistica».

8        Con lettera del 9 settembre 2010, la ricorrente ha chiesto al Consiglio dell’Unione europea di sottoporre a riesame l’inserimento del suo nome negli elenchi in questione, alla luce delle informazioni che gli comunicava. Essa ha chiesto inoltre che le venissero comunicati gli elementi che giustificavano tale inserimento. Infine, ha chiesto di essere sentita.

9        Con decisione 2010/644/PESC, del 25 ottobre 2010, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2010, L 281, pag. 81), il Consiglio, dopo aver sottoposto a riesame la situazione della ricorrente, ha mantenuto il nome di quest’ultima nell’elenco di cui all’allegato II della decisione 2010/413, con effetto dal giorno stesso.

10      Al momento dell’adozione del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), il nome della ricorrente è stato inserito nell’elenco di cui all’allegato VIII di detto regolamento, con effetto dal 27 ottobre 2010.

11      Con lettera del 28 ottobre 2010, ricevuta dalla ricorrente il 23 novembre 2010, il Consiglio ha comunicato a quest’ultima che, a seguito di riesame della sua situazione alla luce delle osservazioni contenute nella lettera del 9 settembre 2010, essa doveva restare soggetta alle misure restrittive.

12      Con lettera del 28 dicembre 2010, la ricorrente contestava i fatti addebitati a suo carico dal Consiglio. Ai fini dell’esercizio dei suoi diritti della difesa, ha chiesto di avere accesso al fascicolo.

13      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 7 gennaio 2011, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto in particolare, in sostanza, all’annullamento degli elenchi di cui ai precedenti punti 4 e 5, nella parte in cui la riguardavano. Detto ricorso è stato registrato con il numero T‑12/11.

14      Con lettera del 22 febbraio 2011, il Consiglio ha fornito alla ricorrente gli estratti che la riguardavano, derivanti dalle proposte di inserimento comunicate dagli Stati membri, quali figuravano nelle note di trasmissione denominate con i riferimenti 13413/10 EXT 6 e 6726/11.

15      Con lettera del 29 luglio 2011, la ricorrente ha nuovamente contestato la veridicità dei fatti che le erano addebitati dal Consiglio.

16      Con la decisione 2011/783/PESC, del 1o dicembre 2011, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2011, L 319, pag. 71) e il regolamento di esecuzione (UE) n. 1245/2011, del 1o dicembre 2011, che attua il regolamento n. 961/2010 (GU 2011, L 319, pag. 11), il Consiglio, dopo aver sottoposto a riesame la situazione della ricorrente, ha mantenuto il nome di quest’ultima negli elenchi di cui all’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, e all’allegato VIII del regolamento n. 961/2010, con effetto, rispettivamente, dal 1o e dal 2 dicembre 2011.

17      Con lettera del 5 dicembre 2011, il Consiglio ha informato la ricorrente che doveva restare soggetta alle misure restrittive.

18      Con lettera del 13 gennaio 2012, la ricorrente ha ancora una volta chiesto l’accesso al fascicolo.

19      Con lettera del 21 febbraio 2012, il Consiglio ha trasmesso alla ricorrente i documenti relativi alla «decisione [...] del 1o dicembre 2011, di mantenere in vigore le misure restrittive nei [suoi confronti]».

20      La decisione 2012/35/PESC del Consiglio, del 23 gennaio 2012, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2012, L 19, pag. 22), è entrata in vigore il giorno della sua adozione. L’articolo 1, punto 7, ha modificato, a decorrere da tale data, l’articolo 20 della decisione 2010/413, introducendo, segnatamente, un nuovo criterio relativo al sostegno, in particolare finanziario, fornito al governo iraniano. Il medesimo criterio è stato introdotto all’articolo 23, paragrafo 2, lettera d), del regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 961/2010 (GU 2012, L 88, pag. 1).

21      Al momento dell’adozione del regolamento n. 267/2012, il nome della ricorrente è stato inserito, per gli stessi motivi già indicati al precedente punto 7, nell’elenco di cui all’allegato IX del citato regolamento (in prosieguo, considerato insieme agli elenchi di cui all’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, e di cui all’allegato VIII del regolamento n. 961/2010: gli «elenchi controversi»), con effetto dal 24 marzo 2012.

22      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2012, la ricorrente ha adeguato le sue conclusioni nella causa T‑12/11, affinché esse mirassero, in sostanza, all’annullamento di tutti gli elenchi controversi, nella parte in cui la riguardavano.

23      Con sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401), il Tribunale ha annullato, in particolare, gli elenchi controversi nella parte in cui riguardavano la ricorrente, sulla base del motivo che non erano suffragati da prove. Non essendo stata impugnata, la sentenza è diventata definitiva ed è passata in giudicato.

24      Con la decisione 2013/661/PESC, del 15 novembre 2013, che modifica la decisione 2010/413 (GU 2013, L 306, pag. 18), e il regolamento di esecuzione (UE) n. 1154/2013, del 15 novembre 2013, che attua il regolamento n. 267/2012 (GU 2013, L 306, pag. 3), il Consiglio ha mantenuto le misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente sulla base del nuovo criterio relativo al sostegno, in particolare finanziario, fornito al governo iraniano. Tali atti sono entrati in vigore il 16 novembre 2013, giorno della loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

25      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 gennaio 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto all’annullamento degli atti, del 15 novembre 2013, che mantenevano le misure restrittive adottate nei suoi confronti. Detto ricorso è stato registrato con il numero T‑63/14.

26      Con sentenza del 3 maggio 2016, Iran Insurance/Consiglio (T‑63/14, non pubblicata, EU:T:2016:264), il Tribunale ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente alle spese.

27      Con lettera del 25 luglio 2015, la ricorrente ha presentato al Consiglio una preventiva richiesta di risarcimento dei danni che asserisce di aver subito a causa delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, in applicazione del regolamento di esecuzione n. 668/2010 e della decisione 2010/413. Il Consiglio non ha risposto a tale lettera.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

28      Con atto introduttivo, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 settembre 2015, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. La causa è stata assegnata alla Prima Sezione del Tribunale, per ragioni di connessione.

29      Il 15 gennaio 2016 il Consiglio ha depositato il controricorso.

30      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 marzo 2016, la Commissione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento, a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

31      Il 14 aprile 2016 il Consiglio ha depositato le proprie osservazioni sulla domanda di intervento. La ricorrente non ha depositato osservazioni in merito a tale domanda entro il termine assegnato.

32      Il 13 maggio 2016 la ricorrente ha depositato la replica.

33      Con decisione del presidente dell’ex Prima Sezione del Tribunale, del 18 maggio 2016, adottata ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura del Tribunale, è stato ammesso l’intervento della Commissione nella presente causa.

34      L’8 luglio 2016 il Consiglio ha depositato la controreplica.

35      Il 19 luglio 2016 la Commissione ha depositato la sua memoria di intervento. Rispettivamente il 7 settembre e l’11 ottobre 2016, il Consiglio e la ricorrente hanno depositato le loro osservazioni su tale memoria.

36      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una misura di organizzazione del procedimento che consisteva nel sentire le parti su un’eventuale sospensione di quest’ultimo in attesa della decisione conclusiva del procedimento della Corte nella causa C‑45/15 P, Safa Nicu Sepahan/Consiglio. Le parti principali hanno presentato le loro osservazioni a tale riguardo entro i termini assegnati.

37      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

38      Alla luce delle osservazioni delle parti principali, il presidente della Prima Sezione del Tribunale, con decisione del 10 ottobre 2016, ha deciso di sospendere il procedimento nella presente causa.

39      A seguito della pronuncia della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una misura di organizzazione del procedimento che consisteva nel sentire le parti sulle conclusioni che le stesse traevano dalla citata sentenza per la presente causa. Le parti principali hanno presentato le loro osservazioni a tale riguardo entro i termini assegnati.

40      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 12 luglio 2017, la ricorrente ha chiesto lo svolgimento di un’udienza dibattimentale, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

41      Il 14 dicembre 2017, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura e su proposta della Prima Sezione, il Tribunale ha deciso di rinviare la presente causa dinanzi a un collegio giudicante ampliato.

42      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale del procedimento, di raccogliere le osservazioni delle parti principali su una possibile riunione della presente causa con la causa T‑559/15, Post Bank Iran/Consiglio, ai fini della fase orale del procedimento e di sottoporre alcuni quesiti alle parti. Le parti hanno ottemperato a tali richieste nei termini assegnati.

43      Con decisione del 9 febbraio 2018, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha deciso di riunire la presente causa con la causa T‑559/15, Post Bank Iran/Consiglio, ai fini della fase orale del procedimento.

44      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 20 marzo 2018. Nelle sue risposte, la ricorrente ha rilevato, in particolare, l’illegittimità constatata nella sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401), che essa invocava a sostegno della propria domanda di risarcimento, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

45      Nel ricorso, la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        condannare il Consiglio a versarle, a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali subiti a causa dell’inserimento illegittimo del suo nome negli elenchi controversi, tra luglio 2010 e novembre 2013, conformemente alla decisione 2010/644, del regolamento n. 961/2010, della decisione 2011/783, del regolamento di esecuzione n. 1245/2011 e del regolamento n. 267/2012 (in prosieguo: gli «atti controversi»), somme di un importo pari a EUR 4 774 187,07, 84 767,66 sterline (GBP) (circa EUR 94 939) e 1 532 688 dollari statunitensi (USD) (circa EUR 1 318 111), e qualsiasi altro importo che potrà essere stabilito nel corso del procedimento;

–        condannare il Consiglio alle spese.

46      Nella replica e nelle osservazioni sulla memoria di intervento, la ricorrente ha modificato la sua domanda di risarcimento, poiché adesso chiede, a titolo di risarcimento dei danni morali e materiali subiti, somme di un importo pari a EUR 3 494 484,07, GBP 84 767,66 (circa EUR 94 939), 33 945 milioni di rial iraniani (IRR) (circa EUR 678 900) e USD 1 532 688 (circa EUR 1 318 111), e qualsiasi altro importo che potrà essere stabilito nel corso del procedimento.

47      Il Consiglio chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        respingere parzialmente il ricorso, per difetto di competenza a conoscerne e, quanto al resto, in quanto manifestamente irricevibile o, in ogni caso, manifestamente infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

48      La Commissione chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso in toto.

III. In diritto

A.      Sulla competenza del Tribunale

49      Nella controreplica, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che, poiché la ricorrente ha basato la sua domanda di risarcimento sull’illegittimità dell’inserimento del suo nome nell’elenco di cui all’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, il Tribunale non sia competente a statuire sul presente ricorso, poiché l’articolo 275, secondo comma, TFUE non gli attribuisce la competenza a pronunciarsi su una domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità di un atto che rientra nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

50      Nelle risposte scritte ai quesiti del Tribunale (punto 42 supra), la ricorrente sostiene che l’eccezione di irricevibilità del Consiglio è irricevibile, poiché tardiva, ed è infondata, poiché gli atti della PESC sono stati attuati, nel caso di specie, da regolamenti adottati a norma dell’articolo 215 TFUE.

51      A tal riguardo, si deve ricordare che un’eccezione di irricevibilità che è stata sollevata in sede di controreplica, mentre avrebbe potuto essere sollevata già nella fase del controricorso, deve essere considerata tardiva (v., in tal senso, sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 29). Orbene, tale eccezione di irricevibilità, che avrebbe potuto essere sollevata dal Consiglio nella fase del controricorso, è tardiva e, come tale, irricevibile.

52      Tuttavia, ai sensi dell’articolo 129 del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere d’ufficio, in qualsiasi momento, sentite le parti principali, di statuire sui motivi di irricevibilità di ordine pubblico, tra i quali figura, secondo la giurisprudenza, la competenza del giudice dell’Unione europea a conoscere del ricorso (v., in tal senso, sentenze del 18 marzo 1980, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78, 264/78, 31/79, 39/79, 83/79 e 85/79, EU:C:1980:81, punto 7, e del 17 giugno 1998, Svenska Journalistförbundet/Consiglio, T‑174/95, EU:T:1998:127, punto 80).

53      Orbene, dall’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesta frase, TUE e dall’articolo 275, primo comma, TFUE risulta che la Corte non è, in linea di principio, competente per quanto riguarda le disposizioni di diritto primario relative alla PESC e gli atti adottati sulla base di esse. Solo in via eccezionale, conformemente all’articolo 275, secondo comma, TFUE, i giudici dell’Unione hanno competenza in materia di PESC. Tale competenza riguarda, da un lato, il controllo del rispetto dell’articolo 40 TUE e, dall’altro, i ricorsi di annullamento proposti dai singoli conformemente alle condizioni stabilite dall’articolo 263, quarto comma, TFUE avverso misure restrittive adottate dal Consiglio nell’ambito della PESC. L’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuisce, invece, alla Corte alcuna competenza a conoscere dei ricorsi per risarcimento danni (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 30).

54      Ne consegue che un ricorso diretto a ottenere il risarcimento del presunto danno subito a seguito dell’adozione di un atto relativo alla PESC esula dalla competenza del Tribunale (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 31).

55      Il Tribunale si è invece sempre dichiarato competente a conoscere di una domanda di risarcimento del presunto danno subito da una persona o da un organismo a causa delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, a norma dell’articolo 215 TFUE (sentenze dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punti da 232 a 251, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 45 a 149, confermata in sede di impugnazione dalla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio C‑45/15 P, EU:C:2017:402).

56      Nel caso di specie, le misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente, rispettivamente con la decisione 2010/644 e con la decisione 2011/783, sono state attuate dagli atti controversi, adottati ai sensi dell’articolo 215 TFUE.

57      Ne consegue che, sebbene il Tribunale non sia competente a conoscere della domanda di risarcimento della ricorrente, nei limiti in cui tale domanda è diretta a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito a causa dell’adozione della decisione 2010/644 e della decisione 2011/783, esso è però competente a trattare tale medesima domanda, nei limiti in cui essa è diretta al risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito a causa dell’attuazione di queste stesse decisioni mediante gli atti controversi.

58      Pertanto, bisogna esaminare il presente ricorso solo nella parte in cui esso è diretto a ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente asserisce di aver subito a causa dell’attuazione, mediante gli atti controversi, delle misure restrittive adottate nei suoi confronti nella decisione 2010/644 e nella decisione 2011/783.

B.      Sulla ricevibilità del ricorso

59      Senza sollevare eccezioni con atto separato, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che il ricorso in esame sia manifestamente irricevibile, poiché, in sostanza, non contiene gli elementi di fatto essenziali al fine di accertare se tutte le condizioni per far sorgere la responsabilità dell’Unione siano soddisfatte nel caso di specie.

60      La Commissione aggiunge che, tenuto conto della data di introduzione del presente ricorso, ossia il 25 settembre 2015, quest’ultimo è stato depositato dopo la scadenza del termine di cinque anni previsto all’articolo 46 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, poiché è diretto a ottenere il risarcimento di danni che si sarebbero concretizzati prima del 25 ottobre 2010. Ai sensi della giurisprudenza, il presente ricorso dovrebbe dunque essere dichiarato parzialmente irricevibile. A parere della Commissione, la prescrizione parziale del ricorso può essere esaminata d’ufficio, in quanto questione di ordine pubblico.

61      Il Consiglio ritiene che, nel caso di specie, non sembri porsi la questione della prescrizione, poiché la ricorrente chiede il risarcimento solo per l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi dopo il 25 settembre 2010. Esso ha tuttavia fatto presente che, anche nel caso in cui si presentasse una situazione di prescrizione, questa potrebbe essere sollevata d’ufficio, in quanto questione di ordine pubblico.

62      La ricorrente sostiene che l’eccezione di irricevibilità vertente, in sostanza, sulla violazione del requisito di precisione di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura è irricevibile, poiché tardiva e in ogni caso infondata, dato che il ricorso era sufficientemente chiaro, preciso e motivato. Per quanto concerne l’eccezione di irricevibilità vertente, in sostanza, sulla prescrizione parziale dell’azione che è alla base del presente ricorso, la ricorrente fa valere che essa è irricevibile e non può essere esaminata d’ufficio dal Tribunale, poiché non si tratta di un’eccezione di irricevibilità di ordine pubblico. In ogni caso, tale eccezione di irricevibilità sarebbe infondata.

63      Per quanto concerne l’eccezione di irricevibilità vertente, in sostanza, sulla violazione del requisito di precisione di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, occorre ricordare che, ai sensi di tali disposizioni, ogni ricorso deve contenere l’oggetto della controversia e i motivi e gli argomenti dedotti. Tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di predisporre la propria difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza altre informazioni a sostegno. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche solo sommariamente, ma purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (v., per analogia, sentenza del 3 febbraio 2005, Chiquita Brands e a./Commissione, T‑19/01, EU:T:2005:31, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

64      Occorre ricordare anche che, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, «[i]n materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni». Secondo una costante giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione a norma dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illecito degli organi, è subordinata alla presenza di tre condizioni cumulative, ossia l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettiva esistenza del danno e la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento dedotto e il danno lamentato (v. sentenza del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 106 e giurisprudenza citata; sentenze dell’11 luglio 2007, Schneider Electric/Commissione, T‑351/03, EU:T:2007:212, punto 113, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 47).

65      Per soddisfare i requisiti di chiarezza e precisione di cui all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, così come interpretato dalla giurisprudenza, un ricorso diretto al risarcimento dei presunti danni causati da un’istituzione dell’Unione deve quindi contenere gli elementi che consentono di individuare il comportamento che il ricorrente addebita all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché la natura e l’entità di tale danno (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 febbraio 2005, Chiquita Brands e a./Commissione, T‑19/01, EU:T:2005:31, punto 65 e giurisprudenza citata).

66      Nel caso di specie, la ricorrente ha identificato, nel ricorso, il comportamento che contesta al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi, la cui illegittimità è stata accertata nella sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401). Ha, inoltre, descritto e quantificato il danno materiale e morale che asserisce di aver subito a causa di tali atti, vale a dire un danno morale, costituito dal pregiudizio alla sua buona reputazione e stimato ex æquo et bono in un importo pari a EUR 1 milione, e un danno materiale che corrisponde, in primo luogo, alla perdita di interessi che avrebbe potuto percepire se avesse fatto trasferire e fruttare, in Iran, i capitali versati sui suoi conti nell’Unione per importi pari a GBP 2 544,82 (circa EUR 2 850), USD 17 733,48 (circa EUR 15 250), e USD 421,05 (circa EUR 362), in secondo luogo, alla perdita di interessi che avrebbe potuto percepire se avesse fatto trasferire e fruttare, in Iran, le somme che tre compagnie di assicurazione o di riassicurazione le dovevano per importi pari a EUR 557 196,09, GBP 82 222,84 (circa EUR 92 089) e USD 1 532 266,95 (circa EUR 1 317 749) e, in terzo luogo, al mancato guadagno che avrebbe subito a causa della non sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri per un importo alla fine stimato in EUR 1 919 554,50 e della non sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto merci per un importo alla fine stimato in IRR 33 945 milioni (circa EUR 678 900). Infine, essa ha precisato che i danni morali e materiali così subiti in tal modo erano collegati all’adozione degli atti controversi.

67      La descrizione, nel ricorso, del comportamento che la ricorrente contesta al Consiglio, le ragioni per cui essa ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché la natura e l’entità di tale danno soddisfano i requisiti di precisione che risultano dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura.

68      Pertanto, occorre respingere, in quanto infondata, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio, vertente sulla violazione del requisito di precisione di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura.

69      Per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione, vertente sulla prescrizione parziale dell’azione che è alla base del presente ricorso, occorre rilevare che le conclusioni del Consiglio dirette al rigetto di tale ricorso non si basano affatto sull’invocazione di una tale prescrizione. Orbene, ai sensi dell’articolo 40, quarto comma, e dell’articolo 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 142, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le conclusioni di una domanda d’intervento possono avere come oggetto soltanto l’adesione, in tutto o in parte, alle conclusioni di una delle parti principali. Inoltre, l’interveniente accetta il procedimento nello stato in cui questo si trova all’atto del suo intervento, in conformità dell’articolo 142, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

70      Ne consegue che l’interveniente non è legittimato a sollevare autonomamente un’eccezione di irricevibilità e che il Tribunale non è pertanto tenuto a esaminare i motivi dedotti esclusivamente da esso e che non siano di ordine pubblico (v., in tal senso, sentenze del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione, C‑313/90, EU:C:1993:111, punto 22, e del 3 luglio 2007, Au Lys de France/Commissione, T‑458/04, non pubblicata, EU:T:2007:195, punto 32).

71      Inoltre, è già stato statuito che, poiché il ricorso per responsabilità extracontrattuale dell’Unione è disciplinato, a norma dell’articolo 340 TFUE, dai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri e poiché una comparazione degli ordinamenti giuridici degli Stati membri ha fatto emergere che, in linea generale e salvo poche eccezioni, il giudice non può sollevare d’ufficio il motivo vertente sulla prescrizione dell’azione, non è necessario esaminare d’ufficio una questione di prescrizione eventuale dell’azione di cui trattasi (sentenza del 30 maggio 1989, Roquette frères/Commissione, 20/88, EU:C:1989:221, punto 12; v. anche, in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2012, Evropaïki Dynamiki/Commissione, C‑469/11 P, EU:C:2012:705, punto 51).

72      Pertanto, occorre respingere, in quanto irricevibile, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.

C.      Sulla ricevibilità degli elementi di prova prodotti in allegato alla replica e sulla richiesta della ricorrente di essere autorizzata a produrre ulteriori prove durante il procedimento

73      Nella controreplica, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede il rigetto degli elementi di prova prodotti negli allegati da R.1 a R.15 della replica, poiché tardivi e, di conseguenza, irricevibili. A suo avviso, questi elementi avrebbero potuto e dovuto, in base alla giurisprudenza, essere prodotti nella fase del ricorso.

74      Nella replica, la ricorrente ha chiesto al Tribunale di autorizzarla, nell’ambito di una misura istruttoria, a produrre ulteriori elementi di prova nel corso del procedimento. Nelle sue risposte scritte ai quesiti del Tribunale (punto 42 supra), la ricorrente chiede il rigetto dell’eccezione di irricevibilità, poiché gli allegati da R.1 a R.15 della replica contengono ulteriori elementi di prova di fatti che sono già ben dimostrati nel ricorso e che sono necessari per confutare gli argomenti addotti dal Consiglio nel controricorso. Il Consiglio avrebbe perfettamente potuto esercitare i suoi diritti della difesa in relazione a siffatti elementi nella controreplica. Anche la Commissione avrebbe avuto la possibilità di verificare e valutare tali elementi.

75      Nel caso di specie, emerge dal ricorso che quest’ultimo ha ad oggetto una domanda diretta a ottenere il risarcimento del danno morale e materiale che la ricorrente lamenta di avere subito in seguito all’adozione, da parte del Consiglio, degli atti controversi. Si tratta, pertanto, di un ricorso con il quale la ricorrente mira a far accertare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

76      Ora, secondo una giurisprudenza ben consolidata, nell’ambito di un ricorso per responsabilità extracontrattuale, spetta al ricorrente fornire elementi di prova al giudice dell’Unione per dimostrare l’esistenza e l’entità del danno che afferma di avere subito [v. sentenza del 28 gennaio 2016, Zafeiropoulos/Cedefop, T‑537/12, non pubblicata, EU:T:2016:36, punto 91 e giurisprudenza citata; sentenza del 26 aprile 2016, Strack/Commissione, T‑221/08, EU:T:2016:242, punto 308 (non pubblicato)].

77      È vero che il giudice dell’Unione ha riconosciuto che, in taluni casi particolari, segnatamente quando è difficile quantificare il danno lamentato, non è indispensabile precisare nel ricorso la sua entità esatta né quantificare l’importo del risarcimento richiesto (v. sentenza del 28 febbraio 2013, Inalca e Cremonini/Commissione, C‑460/09 P, EU:C:2013:111, punto 104 e giurisprudenza citata).

78      Il ricorso è stato presentato nella presente causa il 25 settembre 2015. Ad eccezione di una delle voci di danno materiale, per la quale la ricorrente non è stata in grado di fornire una quantificazione precisa, essa ha quantificato, nella fase del ricorso, i danni morali e materiali che riteneva di aver subito, sulla base degli elementi allegati al suddetto ricorso. In fase di replica, la ricorrente ha modificato la quantificazione del danno per tener conto dell’obiezione del Consiglio secondo la quale essa avrebbe dovuto detrarre i costi di alcune voci di danno materiale e ha fornito una quantificazione definitiva della voce di danno materiale di cui aveva presentato fino a quel momento soltanto una quantificazione provvisoria.

79      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 76, lettera f), del regolamento di procedura, il quale è entrato in vigore il 1o luglio 2015 e che, pertanto, è applicabile al presente ricorso, ogni ricorso deve contenere, se del caso, le prove e le offerte di prova.

80      Inoltre, l’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura dispone che le prove e le offerte di prova sono presentate nell’ambito del primo scambio di memorie. Il paragrafo 2 del medesimo articolo aggiunge che le parti possono ancora produrre prove o offerte di prova a sostegno delle loro argomentazioni in sede di replica e di controreplica, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato. In quest’ultimo caso, a norma dell’articolo 85, paragrafo 4, del regolamento di procedura, il Tribunale decide in merito alla ricevibilità delle prove prodotte o delle offerte di prova dedotte, dopo che le altre parti sono state poste in condizione di presentare le loro osservazioni sulle stesse.

81      La norma di decadenza prevista all’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura non riguarda la prova contraria e l’ampliamento delle offerte di prova dedotte a seguito di una prova contraria della controparte [v. sentenza del 22 giugno 2017, Biogena Naturprodukte/EUIPO (ZUM wohl), T‑236/16, EU:T:2017:416, punto 17 e giurisprudenza ivi citata].

82      Risulta dalla giurisprudenza inerente all’applicazione della norma di decadenza, prevista dall’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura, che le parti devono giustificare il ritardo nella presentazione delle loro prove o offerte di prova nuove (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 54) e che il giudice dell’Unione ha il potere di verificare la fondatezza dei motivi del ritardo nella presentazione di tali prove o offerte di prova e, se del caso, il contenuto di queste ultime nonché, se la presentazione tardiva non è sufficientemente suffragata o fondata, il potere di escluderle (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 14 aprile 2005, Gaki-Kakouri/Corte di giustizia, C‑243/04 P, non pubblicata, EU:C:2005:238, punto 33, e del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 56).

83      È già stato dichiarato che la presentazione tardiva, da una delle parti del procedimento, di prove o offerte di prova poteva essere giustificata se tale parte non aveva potuto disporre anteriormente delle prove in questione o se le produzioni tardive della controparte avevano giustificato il completamento del fascicolo, al fine di garantire il rispetto del principio del contraddittorio (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 14 aprile 2005, Gaki-Kakouri/Corte di giustizia, C‑243/04 P, non pubblicata, EU:C:2005:238, punto 32, e del 18 settembre 2008, Angé Serrano e a./Parlamento, T‑47/05, EU:T:2008:384, punto 55).

84      Infine, secondo la giurisprudenza, il Tribunale è il solo giudice che può giudicare della necessità di integrare gli elementi di informazione di cui dispone, nelle cause di cui è investito, ordinando siffatte misure istruttorie, le quali non possono essere dirette a supplire alle carenze della parte ricorrente nella produzione delle prove (v. sentenza del 16 luglio 2009, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, C‑481/07 P, non pubblicata, EU:C:2009:461, punto 44 e giurisprudenza citata).

85      Risulta dal contesto normativo di cui ai precedenti punti da 79 a 84 che il Tribunale non ha il potere, nell’ambito di una misura istruttoria, di autorizzare in modo generale la ricorrente a produrre tutti gli elementi di prova che essa avrebbe potuto proporre dinanzi ad esso nel corso del procedimento, da lei richiesto, e che, pertanto, una simile domanda deve essere respinta.

86      Nel caso di specie, la ricorrente ha fornito un certo numero di prove a sostegno della domanda di risarcimento, negli allegati da R.1 a R.15 della replica, senza fornire una giustificazione precisa per il ritardo nella loro produzione. Ad eccezione dell’allegato R.14 della replica, tali prove non riguardavano la voce di danno per la quale la ricorrente aveva fornito una quantificazione definitiva solo in fase di replica.

87      Sebbene nelle sue risposte ai quesiti del Tribunale (v. punto 42 supra) la ricorrente abbia fatto valere che gli allegati da R.1 a R.15 della replica contenevano ulteriori elementi di prova di fatti che erano già stati ben dimostrati nel ricorso, tale motivazione deve essere respinta in quanto inconferente, dal momento che la mera circostanza di aver già dimostrato dei fatti non è in grado di giustificare la presentazione tardiva di nuovi elementi di prova.

88      Sebbene nelle sue risposte ai quesiti del Tribunale (v. punto 42 supra), la ricorrente abbia affermato che gli allegati da R.1 a R.15 della replica contenevano degli elementi di prova necessari per confutare le argomentazioni dedotte dal Consiglio nel controricorso, occorre rilevare che gli elementi di cui agli allegati da R.1 a R.12 e R.15 della replica sono stati prodotti al solo scopo di stabilire, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 76, la reale esistenza e l’entità dei danni morali e materiali lamentati, come quantificati nella domanda, e non per confutare gli elementi di prova che sarebbero stati prodotti dal Consiglio in allegato alla memoria. Il fatto che, in tale memoria, il Consiglio abbia affermato che la ricorrente non aveva dimostrato, in modo giuridicamente valido, la reale esistenza e l’entità del presunto danno subito non può essere considerato come prova contraria, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 81, e non permette di considerare gli elementi di cui agli allegati da R.1 a R.12 e R.15 della replica come un ampliamento delle offerte di prova fornito a seguito di una prova contraria né di ritenere che la produzione tardiva di tali elementi fosse, pertanto, giustificata dalla necessità di rispondere alle argomentazioni del Consiglio e garantire il rispetto del principio del contraddittorio.

89      Per contro, gli elementi di cui agli allegati R.13 e R.14 della replica, vale a dire una dichiarazione dell’istituto Sanjideh Ravesh Arya Audit and Financial Services (in prosieguo: l’«istituto SRA»), che aveva redatto una «relazione sulle conseguenze finanziarie dei danni derivanti dalle misure restrittive adottate dall’Unione europea», che è stata prodotta in allegato al ricorso (in prosieguo: la «relazione SRA»), e una lettera di tale istituto diretta a fornire chiarimenti sui metodi che aveva considerato per redigere la suddetta relazione, sono stati prodotti dalla ricorrente al fine di rispondere alle argomentazioni del Consiglio, nell’ambito della sua difesa, che mettevano in discussione l’indipendenza di tale istituto e i metodi o i dati utilizzati in tale relazione. Per questo motivo, tale produzione tardiva degli elementi di cui agli allegati R.13 e R.14 della replica è giustificata dalla necessità di rispondere alle argomentazioni del Consiglio e di garantire il rispetto del principio del contraddittorio.

90      Inoltre, l’allegato R.14 della replica era diretto a giustificare la quantificazione definitiva della voce di danno che la ricorrente aveva potuto calcolare solamente in maniera provvisoria nella fase di presentazione del ricorso.

91      Da tutte le suesposte considerazioni risulta che, tra gli elementi di prova prodotti in allegato alla replica, solo quelli inclusi negli allegati R.13 e R.14 sono ricevibili e devono essere presi in considerazione nella fase dell’esame del merito del ricorso.

D.      Nel merito

92      A sostegno del presente ricorso, la ricorrente fa valere che le tre condizioni per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, richiamate al precedente punto 64, sono soddisfatte nel caso di specie.

93      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede, in subordine, il rigetto del ricorso in quanto infondato, poiché la ricorrente non fornisce la prova, suo onere, del fatto che tutte le condizioni per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione siano soddisfatte nel caso di specie.

94      Secondo giurisprudenza costante, le condizioni per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, già elencate nel precedente punto 64, sono cumulative (sentenza del 7 dicembre 2010, Fahas/Consiglio, T‑49/07, EU:T:2010:499, punti 92 e 93, e ordinanza del 17 febbraio 2012, Dagher/Consiglio, T‑218/11, non pubblicata, EU:T:2012:82, punto 34). Ne consegue che, quando una di queste condizioni non è soddisfatta, il ricorso dev’essere interamente respinto (sentenza del 26 ottobre 2011, Dufour/BCE, T‑436/09, EU:T:2011:634, punto 193).

95      Si deve pertanto verificare se, nel caso di specie, la ricorrente fornisca la prova, suo onere, dell’illegittimità del comportamento che contesta al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi, la reale esistenza del danno materiale e morale che asserisce di aver subito e la sussistenza di un nesso di causalità tra la suddetta adozione e i danni lamentati.

1.      Sull’asserita illegittimità

96      La ricorrente sostiene che la condizione relativa all’illegittimità del comportamento di un’istituzione è soddisfatta, poiché l’adozione degli atti controversi costituisce una violazione sufficientemente qualificata, da parte del Consiglio, di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, e tale, secondo la giurisprudenza, da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

97      A tal riguardo, la ricorrente afferma che l’inserimento e il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi, in applicazione degli atti controversi, sono manifestamente illegittimi, come statuito dal Tribunale nella sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401). Inoltre, le disposizioni legislative che sarebbero state violate nel caso di specie tenderebbero, in particolare, a tutelare gli interessi individuali delle persone e delle entità interessate, alle quali conferiscono diritti (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 57 e 58).

98      Secondo la ricorrente, il fatto che il Consiglio inserisca o mantenga il nome di una persona negli elenchi quando esso non dispone di informazioni o elementi di prova che dimostrino, in modo adeguato, la fondatezza delle misure restrittive costituisce una violazione sufficientemente qualificata di tali disposizioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 59, 63 e 68). Nel caso di specie, il Consiglio avrebbe adottato gli atti controversi per effetto dei quali, tra luglio 2010 e novembre 2013, sarebbero state adottate misure restrittive nei confronti della ricorrente, senza la minima prova del comportamento addebitato.

99      Infine, la ricorrente ritiene che il Consiglio non possa affermare che le disposizioni da esso violate erano vaghe, ambigue o poco chiare, poiché, al momento dell’adozione degli atti controversi, era evidente che il Consiglio era tenuto a fornire elementi di prova a sostegno delle misure restrittive da esso adottate.

100    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, non contesta l’illegittimità degli atti controversi, ma ritiene che essa non possa far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, poiché non costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli. Una tale violazione avrebbe potuto essere accertata solamente se si fosse dimostrato, conformemente alla giurisprudenza, che il Consiglio aveva gravemente e manifestamente violato i limiti imposti al suo potere discrezionale, il che non è avvenuto nel caso di specie.

101    Nella sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401), il Tribunale ha constatato l’illegittimità degli atti controversi.

102    Nondimeno, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata del Tribunale, l’accertamento dell’illegittimità di un atto giuridico, per quanto essa sia censurabile, non è sufficiente per considerare soddisfatta la condizione per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni (v., in tal senso, sentenze del 6 marzo 2003, Dole Fresh Fruit International/Consiglio e Commissione, T‑56/00, EU:T:2003:58, punti da 72 a 75; del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 31, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 50).

103    La condizione relativa all’esistenza di un comportamento illegittimo delle istituzioni dell’Unione richiede la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

104    Il requisito di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli è diretta, indipendentemente dalla natura dell’atto illecito in questione, a evitare che il rischio di dover risarcire i danni lamentati dalle persone interessate ostacoli la capacità dell’istituzione interessata di esercitare pienamente le sue funzioni nell’interesse generale, tanto nell’ambito della sua attività normativa o implicante scelte di politica economica quanto nell’ambito della propria competenza amministrativa, senza per questo lasciare a carico dei singoli l’onere delle conseguenze di violazioni flagranti e inescusabili (v. sentenza del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 34 e giurisprudenza citata; sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 51).

105    Dopo aver individuato le norme di diritto di cui si adduce la violazione, nel caso di specie, da parte della ricorrente, occorre esaminare, in primo luogo, se tali disposizioni siano preordinate a conferire diritti ai singoli e, in secondo luogo, se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata di tali norme.

a)      Sulle norme di diritto di cui si adduce la violazione

106    All’udienza, in risposta ai quesiti orali del Tribunale, la ricorrente ha precisato, per quanto riguarda le norme di diritto la cui violazione era stata accertata nella sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401), che essa si riferiva solo all’affermazione, di cui ai punti 129 e 130 di tale sentenza, secondo cui, sebbene trattassero della fornitura, da parte della ricorrente stessa, di servizi assicurativi nell’ambito dell’acquisto di pezzi di ricambio per elicotteri, di materiale elettronico e computer destinati all’utilizzo in ambito di navigazione aerea e missilistica, gli atti controversi non erano fondati, poiché non erano suffragati da elementi di prova, e violavano, in sostanza, l’articolo 20, paragrafo 1, b), della decisione 2010/413, l’articolo 16, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 961/2010 e dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 267/2012.

b)      Sulla questione se le norme di diritto di cui si adduce la violazione siano preordinate a conferire diritti ai singoli

107    Dalla giurisprudenza si evince che le disposizioni che enunciano, in termini tassativi, le condizioni nelle quali possono essere adottate misure restrittive mirano essenzialmente a tutelare gli interessi individuali delle persone e delle entità eventualmente interessate da tali misure, limitando i casi in cui tali misure possono essere legittimamente applicate (v., per analogia, sentenze del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 51 e giurisprudenza citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 57).

108    Queste stesse disposizioni garantiscono in tal modo la tutela degli interessi individuali delle persone e delle entità eventualmente interessate da misure restrittive e sono, pertanto, da considerarsi come norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli. Qualora non ricorrano le condizioni sostanziali in questione, la persona o l’entità interessata ha infatti il diritto di non vedersi applicare le misure restrittive. Un tale diritto implica necessariamente che la persona o l’entità cui siano applicate misure restrittive a condizioni non previste dalle disposizioni in questione possa chiedere il risarcimento delle conseguenze pregiudizievoli delle misure stesse, quando la loro applicazione si riveli fondata su una violazione sufficientemente qualificata delle norme sostanziali applicate dal Consiglio (v., per analogia, sentenze del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 52 e giurisprudenza citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 58).

109    Ne consegue che la normativa di cui si adduce la violazione, nel caso di specie, da parte della ricorrente corrisponde a norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli tra i quali figura la ricorrente, come persona interessata dagli atti controversi.

c)      Sulla questione se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata delle norme di diritto di cui si adduce la violazione

110    La Corte ha già avuto l’occasione di precisare che la violazione di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli può essere considerata come sufficientemente qualificata quando essa implica una violazione manifesta e grave, da parte dell’istituzione interessata, dei limiti imposti al suo potere discrezionale, tenendo presente che gli elementi da prendere in considerazione al riguardo sono, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata e l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva all’autorità dell’Unione (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 30 e giurisprudenza citata).

111    Secondo la giurisprudenza, quando tale autorità dispone solo di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (v. sentenza dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punto 235 e giurisprudenza citata).

112    Risulta infine dalla giurisprudenza che una violazione del diritto dell’Unione è, in ogni caso, manifestamente qualificata qualora si sia protratta nonostante la pronuncia di una sentenza dichiarativa dell’inadempimento addebitato oppure di una sentenza pregiudiziale o l’esistenza di una giurisprudenza consolidata del giudice dell’Unione in materia, dalle quali risulti il carattere illegittimo del comportamento in questione (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 31 e giurisprudenza citata).

113    Nel momento in cui il Consiglio ha adottato gli atti controversi, vale a dire tra il 25 ottobre 2010 e il 23 marzo 2012, dalla giurisprudenza risultava già chiaramente e precisamente che, in caso di contestazione, il Consiglio doveva fornire le informazioni e gli elementi di prova attestanti che le condizioni per l’applicazione del criterio del «sostegno» alla proliferazione nucleare, di cui all’articolo 20, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2010/413, all’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 961/2010 e all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 267/2012 erano soddisfatte. La Corte è già stata chiamata a stabilire, sulla base di una giurisprudenza precedente l’adozione degli atti controversi, che l’obbligo per il Consiglio di fornire, in caso di contestazione, informazioni o elementi di prova che suffraghino le misure restrittive adottate nei confronti di una persona o di un’entità discende da una giurisprudenza consolidata della Corte (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punti da 35 a 40 e giurisprudenza citata).

114    Inoltre e poiché l’obbligo del Consiglio di verificare e dimostrare la fondatezza delle misure restrittive adottate nei confronti di una persona o di un’entità prima dell’adozione di tali misure è dettato dal rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle entità interessate e, in particolare, del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, esso non dispone, di conseguenza, di alcun margine di discrezionalità al riguardo (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punto 52; v. anche, in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 59 a 61). Così, nel caso di specie, il Consiglio non disponeva di alcun margine di discrezionalità nell’ambito dell’adempimento di tale obbligo.

115    Pertanto, omettendo di rispettare il suo obbligo di motivare gli atti controversi, il Consiglio ha commesso, nel caso di specie, una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, vale a dire alla ricorrente.

116    Di conseguenza, la condizione relativa all’illegittimità del comportamento contestato al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi, è soddisfatta riguardo alle norme di diritto invocate dalla ricorrente, la cui violazione è constatata ai punti 129 e 130 della sentenza del 6 settembre 2013, Iran Insurance/Consiglio (T‑12/11, non pubblicata, EU:T:2013:401).

2.      Sul danno lamentato e sull’esistenza di un nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e il danno

117    La ricorrente sostiene di aver dimostrato il carattere reale e certo dei danni morali e materiali subiti a causa degli atti controversi.

118    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che la condizione relativa all’esistenza di un danno non sia soddisfatta nel caso di specie. Gli atti controversi non sarebbero stati delle sanzioni penali inflitte alla ricorrente e non avrebbero avuto l’obiettivo di causarle un danno. Essi sarebbero stati solamente diretti a scoraggiare la proliferazione nucleare.

119    Per quanto riguarda il requisito della reale esistenza del danno, secondo la giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze del 27 gennaio 1982, De Franceschi/Consiglio e Commissione, 51/81, EU:C:1982:20, punto 9; del 13 novembre 1984, Birra Wührer e a./Consiglio e Commissione, 256/80, 257/80, 265/80, 267/80, 5/81, 51/81 e 282/82, EU:C:1984:341, punto 9, e del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, EU:T:1996:5, punto 54), la responsabilità extracontrattuale dell’Unione sorge soltanto se il ricorrente ha effettivamente subito un danno reale e certo. Spetta alla parte ricorrente dimostrare che tale condizione è soddisfatta (v. sentenza del 9 novembre 2006, Agraz e a./Commissione, C‑243/05 P, EU:C:2006:708, punto 27 e giurisprudenza ivi citata) e, più in particolare, a fornire prove concludenti in ordine all’esistenza e all’entità del danno (v. sentenza del 16 settembre 1997, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione, C‑362/95 P, EU:C:1997:401, punto 31 e giurisprudenza citata).

120    Più nello specifico, ogni domanda di risarcimento danni, che si tratti di danno materiale o morale, a titolo simbolico o per ottenere un vero e proprio risarcimento, deve precisare la natura del danno lamentato riguardo al comportamento addebitato e, anche solo in modo approssimativo, valutare tale danno nel suo complesso (v. sentenza del 26 febbraio 2015, Sabbagh/Consiglio, T‑652/11, non pubblicata, EU:T:2015:112, punto 65 e giurisprudenza citata).

121    Per quanto riguarda la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti, tale danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, vale a dire tale comportamento deve costituire la causa determinante del danno, mentre non sussiste un obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, di una situazione illecita (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, EU:C:1979:223, punto 21; v. anche sentenza del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, EU:T:2006:121, punto 130 e giurisprudenza citata). Incombe al ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti (v. sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punto 101 e giurisprudenza citata).

122    Occorre pertanto esaminare se, nel caso di specie, la ricorrente abbia dimostrato il carattere reale e certo dei danni morali e materiali che essa avrebbe subito in seguito all’adozione degli atti controversi e l’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e tali danni.

a)      Sul presunto danno morale subito

123    La ricorrente sostiene che gli atti controversi, poiché hanno leso la sua reputazione, le hanno causato un danno morale rilevante, che essa stima ex aequo et bono in un importo pari a EUR 1 milione, come già indicato nella sua lettera al Consiglio del 25 luglio 2015. Essa sostiene, a tal riguardo, che, in una situazione analoga, il giudice dell’Unione ha già accertato e risarcito il danno morale subito da una società corrispondente a una lesione causata alla sua reputazione (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti 80 e 83).

124    Contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio sulla base di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), vale a dire la sentenza della Corte EDU del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD 002395410), la ricorrente ritiene che le società abbiano una dimensione morale e possano subire danni morali, ad esempio a seguito di una lesione alla loro reputazione e alla loro capacità di svolgere le proprie attività commerciali. Il riferimento fatto dal Consiglio a tale sentenza della Corte EDU sarebbe inappropriato, poiché prenderebbe in considerazione la tutela della reputazione solamente riguardo alle restrizioni che possono essere imposte alla libertà di espressione. Mantenere una buona reputazione sarebbe un elemento particolarmente importante nel mercato delle assicurazioni, nel quale la stessa agisce, poiché tale mercato è basato su relazioni di fiducia tra gli operatori. La ricorrente fa valere che, prima dell’adozione degli atti controversi, essa godeva di una buona reputazione a livello internazionale, come lo dimostrerebbe il fatto di aver svolto attività assicurative a tale livello, di aver concluso contratti con le compagnie di assicurazione internazionali o di riassicurazione rinomate, di aver ottenuto certificati di qualità di fama internazionale e che le competenze specifiche dei suoi membri sarebbero state riconosciute al medesimo livello, come dimostrato dal fatto che essi avrebbero partecipato a conferenze di lavoro e a riunioni scientifiche internazionali. Gli atti controversi, i quali avrebbero collegato il suo nome a una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionali e determinato la cessazione involontaria delle sue attività nell’Unione, avrebbero rovinato la sua reputazione. Secondo la ricorrente, dopo la loro adozione, essa non ha più potuto stipulare contratti con compagnie internazionali, né partecipare a riunioni scientifiche e consultive, alle attività di un’associazione professionale o alle riunioni organizzate a livello internazionale, né essere valutata da agenzie di rating internazionali. In ogni caso, nel settore commerciale, dal momento in cui un operatore cessa involontariamente la sua attività, le lesioni alla sua reputazione e credibilità sarebbero evidenti e inevitabili. Dopo la revoca delle misure restrittive adottate nei suoi confronti, nel 2016, la sua iscrizione a seminari professionali sarebbe rimasta difficile, se non impossibile. Per ripristinare la propria reputazione, le sarebbe necessario condurre una campagna pubblicitaria mondiale, il cui costo stimato ammonterebbe a USD 45 milioni (circa EUR 38,7 milioni). Poiché essa non avrebbe ancora valutato con precisione i costi connessi al ripristino della sua reputazione, il Tribunale potrebbe individuare, nell’ambito di una misura istruttoria, un esperto indipendente per procedere a tale valutazione. Infine, la ricorrente sostiene che non è necessario dimostrare di aver sostenuto delle spese, in particolare di pubblicità, per ripristinare la propria reputazione. Le sarebbe sufficiente far valere l’esistenza di una lesione alla sua reputazione, il cui ripristino comporterebbe notevoli spese.

125    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che sia necessario, in ogni caso, respingere in quanto infondata la domanda di risarcimento del presunto danno morale subito. A tal riguardo, esso sostiene che, negli atti controversi, la ricorrente non sarebbe stata stigmatizzata come un’organizzazione costituente, in quanto tale, una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali e che essa, del resto, non fornisce alcun elemento di prova in tal senso. La ricorrente sarebbe stata soltanto identificata come una persona implicata, a causa delle sue attività, nell’acquisto di diversi prodotti che potevano essere utilizzati nei programmi oggetto delle misure di cui alla risoluzione 1737 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il che avrebbe giustificato l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi. La ricorrente non fornirebbe alcun elemento a dimostrazione di aver subito un danno morale a seguito dell’adozione di tali atti, come richiesto dalla giurisprudenza (ordinanza del 17 febbraio 2012, Dagher/Consiglio, T‑218/11, non pubblicata, EU:T:2012:82, punto 46). Niente proverebbe che essa abbia goduto di un’ottima reputazione a livello internazionale, subito un mancato guadagno a causa della lesione alla sua reputazione e sostenuto delle spese per campagne pubblicitarie o altro per ripristinare tale reputazione. L’articolo di stampa prodotto in allegato al ricorso, relativo al costo stimato di una campagna pubblicitaria mondiale, sarebbe privo di pertinenza, poiché si tratterebbe di una società senza collegamenti con la ricorrente, operante in un settore di attività e in un continente diversi da quelli nell’ambito dei quali essa agisce e privo di nesso con le misure restrittive adottate dall’Unione. Le affermazioni della ricorrente presenti nella replica non dimostrerebbero l’esistenza di una lesione alla sua reputazione e, pertanto, di un danno morale che vi sarebbe collegato. In ogni caso, come statuito dalla Corte EDU al § 22 della sentenza del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD 002395410), vi è una distinzione tra la lesione alla reputazione commerciale di un’impresa e quella alla reputazione di una persona riguardo alla sua posizione sociale, poiché la prima è priva di dimensione morale. Il Tribunale stesso ha fatto riferimento a tale giurisprudenza in una causa riguardante misure restrittive (sentenza del 12 febbraio 2015, Akhras/Consiglio, T‑579/11, non pubblicata, EU:T:2015:97, punto 152). La ricorrente tenterebbe di eludere il suo obbligo di provare l’esistenza del danno lamentato e di quantificarlo, chiedendo al Tribunale di nominare un esperto nell’ambito di una misura istruttoria. Qualora il Tribunale ritenesse che sia sorta la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, esso dovrebbe tener conto, conformemente alla giurisprudenza, del fatto che l’annullamento degli atti controversi ha costituito un risarcimento adeguato per il danno morale subito dalla ricorrente. In ogni caso, l’importo di EUR 1 milione richiesto dalla ricorrente a titolo di risarcimento del presunto danno morale subito sarebbe eccessivo, alla luce della giurisprudenza, e privo di fondamento.

126    La Commissione aggiunge che il tipo di danno morale lamentato dalla ricorrente, ossia le spese di una compagna pubblicitaria diretta a ripristinare la sua immagine, non è distinguibile dal danno materiale, di cui deve provare il carattere reale e certo.

127    A titolo del risarcimento del danno che essa qualifica come «morale», la ricorrente fa riferimento a una lesione alla sua reputazione, a causa dell’associazione del suo nome a una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionali, la cui esistenza è comprovata dal fatto che l’adozione degli atti controversi ha influenzato il comportamento dei terzi nei suoi confronti e la cui entità può essere misurata con riferimento al costo dell’investimento pubblicitario che servirebbe per ripristinare la sua reputazione.

128    Il danno di cui la ricorrente chiede quindi il risarcimento, a titolo di danno morale, è di natura immateriale e corrisponde a una lesione alla sua immagine o reputazione.

129    Orbene, dalla giurisprudenza resa in base all’articolo 268 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 340, secondo comma, TFUE, risulta che il danno morale può, in linea di principio, essere riparato con riferimento a una persona giuridica (v., in tal senso, sentenze del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 37, e del 15 ottobre 2008, Camar/Commissione, T‑457/04 e T‑223/05, non pubblicata, EU:T:2008:439, punto 56 e giurisprudenza citata) e che tale danno può consistere in una lesione all’immagine o alla reputazione di tale persona (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 1999, New Europe Consulting e Brown/Commissione, T‑231/97, EU:T:1999:146, punti 53 e 69; dell’8 novembre 2011, Idromacchine e a./Commissione, T‑88/09, EU:T:2011:641, punti da 70 a 76, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 80 a 85).

130    Sebbene il Consiglio intenda fondarsi sulla giurisprudenza della Corte EDU, bisogna ricordare che essa non esclude, considerata la propria giurisprudenza e alla luce di tale prassi, che possa sussistere, anche per una società commerciale, un danno diverso da quello patrimoniale che richieda una riparazione pecuniaria, dipendendo tale riparazione dalle circostanze di ciascuna fattispecie (Corte EDU, 6 aprile 2000, Comingersoll S.A. c. Portogallo, CE:ECHR:2000:0406JUD 003538297, §§ 32 e 35). Tale danno può implicare, per la predetta società, fattori più o meno «obiettivi» e «soggettivi», tra i quali figura la reputazione dell’impresa, le cui conseguenze non si prestano ad un calcolo esatto (Corte EDU, 6 aprile 2000, Comingersoll S.A. c. Portogallo, CE:ECHR:2000:0406JUD 003538297, § 35). Come risulta dalla sentenza della Corte EDU del 2 febbraio 2016, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete e Index.hu Zrt c. Ungheria (CE:ECHR:2016:0202JUD 002294713, § 84), tale giurisprudenza della Corte EDU non è stata rimessa in discussione dalla sentenza della Corte EDU del 19 luglio 2011, Uj c. Ungheria (CE:ECHR:2011:0719JUD 002395410), citata dal Consiglio, la quale ha solamente precisato che tale danno era, per una società commerciale, di natura commerciale piuttosto che morale.

131    Pertanto, occorre respingere sia le argomentazioni della Commissione secondo cui il presunto danno morale subito dalla ricorrente si confonderebbe con il danno materiale che essa deduce sia le argomentazioni del Consiglio secondo cui la ricorrente, in quanto società commerciale, non potrebbe essere risarcita di un danno morale corrispondente a una lesione alla sua reputazione.

132    Per quanto riguarda l’esistenza del presunto danno morale subito, si deve rammentare che, in particolare relativamente a un danno del genere, sebbene la presentazione di prove o offerte di prova non sia necessariamente considerata quale presupposto per il riconoscimento di un siffatto danno, incombe quantomeno alla parte ricorrente dimostrare che il comportamento contestato all’istituzione interessata fosse idoneo a procurarle il danno stesso (v. sentenza del 16 ottobre 2014, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑297/12, non pubblicata, EU:T:2014:888, punto 31 e giurisprudenza citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 39).

133    Inoltre, sebbene, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte abbia statuito che l’annullamento di misure restrittive illegittime può costituire una forma di riparazione del danno morale subito, ciò tuttavia non comporta che tale forma di riparazione sia necessariamente sufficiente, in ogni caso, a garantire la riparazione integrale di tale danno, ma qualsiasi decisione al riguardo deve essere presa sulla base di una valutazione delle circostanze del caso (sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 49).

134    Nel caso di specie, i soli elementi di prova ricevibili presentati dalla ricorrente non permettono, tuttavia, di affermare che il riconoscimento dell’illegittimità del comportamento addebitato al Consiglio e l’annullamento degli atti controversi non sarebbero stati sufficienti, come tali, a risarcire il presunto danno morale subito a causa della lesione arrecata dagli atti controversi alla sua reputazione.

135    Di conseguenza, e senza che sia necessario esaminare la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità, occorre respingere la domanda di risarcimento del danno morale presentata dalla ricorrente.

b)      Sul presunto danno materiale subito

136    La ricorrente sostiene di aver subito un danno materiale a causa dell’adozione degli atti controversi. A tal riguardo, essa chiede, nel ricorso, che il Consiglio sia condannato a versarle indennizzi di un importo pari a EUR 3 774 187,07, GBP 84 767,66 (circa EUR 94 939) e USD 1 532 688 (circa EUR 1 318 111). Nella replica, la ricorrente ha modificato le sue domande chiedendo indennizzi di un importo rispettivamente pari a EUR 2 494 484,07, GBP 84 767,66 (circa EUR 94 939), IRR 33 945 milioni (circa EUR 678 900) e USD 1 532 688 (circa EUR 1 318 111).

137    La ricorrente distingue poi, nel danno materiale che essa lamenta, tre voci.

138    La prima voce del presunto danno materiale subito consiste nella perdita degli interessi che la ricorrente avrebbe potuto percepire se avesse fatto trasferire e fruttare, in Iran, i capitali versati sui suoi conti nell’Unione. Il periodo da prendere in considerazione, a tal proposito, si estenderebbe da luglio 2010, durante il quale sono state adottate le prime misure restrittive nei suoi confronti, fino a novembre 2013, durante il quale gli atti controversi avrebbero cessato di produrre i loro effetti. Per tale voce, la ricorrente richiede, nel ricorso, somme di un importo pari a EUR 17 733,48, GBP 2 544,82 (circa EUR 2 850) e USD 421,05 (circa EUR 362).

139    La seconda voce del presunto danno materiale subito consiste nella perdita degli interessi che la ricorrente avrebbe potuto percepire se avesse fatto trasferire e fruttare, in Iran, le somme che tre compagnie di assicurazione o di riassicurazione avrebbero dovuto versarle sui suoi conti nell’Unione. Il periodo da prendere in considerazione, a tal proposito, si estenderebbe dalla data di esigibilità dei crediti in questione fino a novembre 2013, quando gli atti controversi avrebbero cessato di produrre i loro effetti. Per tale voce, la ricorrente richiede, nel ricorso, somme di un importo pari a EUR 557 196,09, GBP 82 222,84 (circa EUR 92 089) e USD 1 532 266,95 (circa EUR 1 317 749).

140    La terza voce del presunto danno materiale subito corrisponde al mancato guadagno che la ricorrente afferma di aver subito a causa della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri o merci. Il periodo da prendere in considerazione, a tal proposito, si estenderebbe da luglio 2010, durante il quale sono state adottate le prime misure restrittive nei suoi confronti, fino a novembre 2013, durante il quale gli atti controversi avrebbero cessato di produrre i loro effetti. Per questa voce, la ricorrente chiede, nel ricorso, una somma di un importo pari a EUR 3 199 257,50, a titolo della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri, e afferma che l’importo del risarcimento per la mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di merci sarà stabilito in una fase successiva della procedura. Nella replica, la ricorrente chiede una somma di un importo pari a EUR 1 919 554,50, a titolo della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri, e un importo pari a IRR 33 945 milioni (circa EUR 678 900), a titolo della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto merci.

141    Al fine di stabilire l’esistenza di tutte le voci del presunto danno materiale subito, la ricorrente si basa sulla relazione SRA. In una dichiarazione allegata alla replica, l’istituto SRA conferma di aver rispettato i principi di indipendenza e imparzialità, verificato gli elementi di prova e i documenti pertinenti e tenuto colloqui con gli amministratori e le autorità competenti. Secondo la ricorrente, è inevitabile, ai fini della dimostrazione di un mancato guadagno, basarsi su presunzioni ragionevoli.

142    Per quanto riguarda la prima voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente afferma che gli importi versati sui suoi conti dell’Unione risultano sufficientemente provati dai documenti prodotti in allegato al ricorso. La relazione SRA avrebbe proceduto a una stima prudente del rendimento possibile degli importi in questione, in Iran, applicando a questi ultimi il tasso d’interesse del 6% che è stato certificato dall’istituto SRA.

143    Nella replica e nelle osservazioni sulla memoria di intervento, la ricorrente insiste sul fatto che, a causa dell’adozione degli atti controversi, è stata privata della possibilità di disporre dei capitali che erano stati congelati nei suoi conti nell’Unione e, in particolare, di reinvestirli in modo dinamico e proficuo in Iran. L’istituto SRA avrebbe basato la propria stima sulla prassi, che sarebbe stata la sua, di utilizzare la valuta estera a sua disposizione per stipulare contratti di riassicurazione denominati in quelle stesse valute. Inoltre, in Iran, sarebbe normale che i contratti di assicurazione o le rendicontazioni siano denominati in valuta estera.

144    Per quanto riguarda la seconda voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente afferma che le somme che le tre compagnie di assicurazione o di riassicurazione avrebbero dovuto versare sui suoi conti nell’Unione risultano nei documenti presentati in allegato al ricorso. Questi sarebbero stati verificati dall’istituto SRA prima di essere inclusi nella relazione SRA. Gli interessi persi su tali somme sarebbero stati calcolati secondo un metodo che sarebbe illustrato nella suddetta relazione. Nella replica e nelle osservazioni sulla memoria di intervento, essa insiste sul fatto che, a causa dell’adozione degli atti controversi, sia stata privata della possibilità di disporre delle valute straniere che le erano dovute dalle tre compagnie di assicurazione o di riassicurazione e, in particolare, di reinvestirle in modo dinamico e redditizio in Iran.

145    Per quanto riguarda la terza voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente sostiene che l’esistenza di eventuali profitti persi a causa dell’adozione degli atti controversi è dimostrata dal fatto che essa stipulava contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri all’interno dell’Unione prima di tale adozione, come indicato dalla relazione SRA e come dimostrato dalla nota di credito trasmessa a una compagnia di assicurazioni, prodotta in allegato al ricorso. La perdita di tali contratti, nell’Unione, sarebbe legata ai suddetti atti e non alla legislazione statunitense, che era applicabile solo sul territorio degli Stati Uniti. Detta relazione presenterebbe una stima del numero e del valore dei contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri non stipulati, sulla base del numero e del valore dei contratti già firmati. L’istituto SRA attesterebbe, in un documento allegato alla replica, di aver fondato tale stima su «dati di polizze assicurative stipulate nel corso dei due anni precedenti all’adozione delle misure restrittive, sulla base delle relazioni finanziarie sottoposte ad audit della [ricorrente] in cooperazione con [la suddetta compagnia di assicurazione]». Nella replica, essa applica, in conformità con le istruzioni del suddetto istituto, una detrazione del 40%, corrispondente all’ammontare dei suoi costi, sull’importo del risarcimento inizialmente richiesto nel ricorso, a titolo della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazioni per i passeggeri. Per quanto concerne la mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di merci, l’importo del danno sarebbe stato valutato, da tale istituto, applicando direttamente la detrazione del 40% corrispondente al livello dei suoi costi.

146    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta, in ogni caso, che la ricorrente abbia dimostrato l’esistenza delle tre voci del presunto danno materiale subito.

147    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, mette in discussione il valore probatorio della relazione del SRA, poiché essa non è suffragata da documenti dettagliati e certificati da un esperto indipendente e esterno alla ricorrente, come previsto dalla giurisprudenza. Inoltre, tale relazione sarebbe redatta in lingua farsi e accompagnata solamente da una traduzione libera della ricorrente. La dichiarazione dell’istituto SRA prodotta dalla ricorrente al fine di dimostrare l’affidabilità di una tale relazione non sarebbe sufficiente a soddisfare i requisiti probatori. La ricorrente non avrebbe fornito gli elementi di prova sui quali il suddetto istituto si sarebbe basato per redigere la sua relazione. Essa non può validamente sostenere che tali elementi siano riservati, poiché le disposizioni iraniane in materia dell’obbligo di riservatezza non prevarrebbero sulla giurisprudenza del giudice dell’Unione, che imporrebbe di fornire la prova del danno lamentato e del nesso causale tra quest’ultimo e l’asserita illegittimità.

148    Per quanto attiene alla prima voce del presunto danno materiale subito, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, fa valere che la relazione SRA si basa su una semplice presunzione di danno, senza dimostrare in che modo esso si sarebbe effettivamente prodotto. Tale relazione non conterrebbe alcuna spiegazione o documentazione precisa e non sarebbe, quindi, sufficiente a dimostrare l’esistenza di tale voce. Sarebbe impossibile sapere se detta relazione abbia preso in considerazione il fatto che sui conti della ricorrente nell’Unione si siano potuti accumulare degli interessi. Gli atti controversi non avrebbero ostacolato il pagamento di tali interessi, bensì soltanto la loro eventuale riscossione. In linea di principio, la ricorrente non avrebbe pertanto subito alcun danno in conseguenza della perdita degli interessi da corrispondere sui suoi conti nell’Unione. Essa non dimostrerebbe che, se fosse stata in grado di reinvestire in Iran gli importi congelati sui propri conti dell’Unione, avrebbe potuto beneficiare di un tasso d’interesse medio del 6%, vale a dire un tasso d’interesse del 19% maturato nell’arco di tre anni. Essa non avrebbe tenuto conto del fatto che, qualora tali importi fossero stati convertiti in moneta nazionale, avrebbero perso il loro valore a causa di un calo del 57% del valore del rial iraniano rispetto all’euro tra luglio 2010 e novembre 2013. La ricorrente non fornirebbe nemmeno la prova del fatto che avrebbe potuto beneficiare di un tasso d’interesse medio del 6% su conti denominati in euro.

149    Per quanto concerne la seconda voce del presunto danno materiale subito, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta che la ricorrente abbia dimostrato che essa avrebbe potuto ottenere l’asserito compenso sulle somme che avrebbero dovuto esserle versate dalle tre compagnie di assicurazione o di riassicurazione. Esso si basa sugli stessi argomenti di quelli dedotti in merito agli importi congelati sui conti della ricorrente nell’Unione (punto 148 supra). Il Consiglio osserva che i documenti prodotti dalla ricorrente non conterrebbero alcuna prova delle presunte somme dovutele dalle tre compagnie interessate.

150    Per quanto concerne la terza voce del presunto danno materiale subito, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, fa valere che, quando il danno lamentato consiste nella perdita della possibilità di svolgere attività commerciali di natura speculativa, come avviene nel caso di specie, lo standard probatorio richiesto è particolarmente elevato, secondo la giurisprudenza. La ricorrente non avrebbe adempiuto tale onere probatorio. Per quanto riguarda la mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri, essa si limiterebbe a desumere il mancato guadagno che avrebbe subito tra luglio 2010 e novembre 2013, alla fine stimato in EUR 1 919 554,50, del fatturato medio annuo di EUR 969 471,97, che essa avrebbe realizzato su questo tipo di contratti nel corso dei due anni precedenti. Essa non avrebbe tuttavia fornito i contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri che sarebbero stati stipulati nel 2008 e nel 2009. La nota di credito inviata a una compagnia di assicurazione in Germania, prodotta dalla ricorrente, non dimostrerebbe né la conclusione di un contratto con tale compagnia a concorrenza degli importi che essa richiede e nemmeno il fatto di avere con essa una relazione contrattuale di lunga durata. In ogni caso, la ricorrente ometterebbe di considerare che il suo mancato guadagno potrebbe corrispondere solo al profitto realizzato sul fatturato e non al fatturato stesso. In assenza di informazioni riguardanti le spese della ricorrente, in particolare quelle relative al contratto che essa sostiene di aver stipulato con una compagnia di assicurazione, o in mancanza del fatto di poter verificare l’attendibilità delle informazioni fornite a tal proposito, in particolare quando essa afferma che il livello dei suoi costi sia pari al 40%, non sarebbe possibile determinare l’importo esatto del mancato guadagno che essa asserisce di aver subito. Per quanto riguarda la mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di merci, la ricorrente si limiterebbe a dedurre il mancato guadagno che avrebbe subito da una nota priva di valore probatorio, in quanto redatta dalla stessa ricorrente, e imprecisa, poiché non fornirebbe alcuna indicazione né sulla natura dei presunti contratti di assicurazione interessati né sul mancato guadagno relativo a questi contratti.

151    In via preliminare, occorre rilevare che la ricorrente ha fondati motivi per far valere, nell’ambito del presente ricorso, solo il danno materiale che si riferisce al periodo durante il quale i suoi capitali sono stati congelati per effetto degli atti controversi, vale a dire il periodo dal 27 ottobre 2010 al 15 novembre 2013 (in prosieguo: il «periodo rilevante»).

152    Poiché una gran parte delle richieste della ricorrente riguardanti il danno materiale si basa sulle valutazioni contenute nella relazione del SRA, il cui valore probatorio è contestato dal Consiglio, sostenuto dalla Commissione, occorre esaminare, anzitutto, l’efficacia probatoria di tale relazione.

1)      Sul valore probatorio della relazione SRA che valuta il presunto danno materiale subito

153    In assenza di una normativa dell’Unione sulla nozione di prova, il giudice dell’Unione ha sancito un principio di libera amministrazione o di libertà dei mezzi di prova, che va inteso come facoltà di avvalersi, per provare un certo fatto, di mezzi di prova di qualsiasi natura; a titolo di esempio: prova testimoniale, prova documentale, confessione ecc. (v., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2000, Met-Trans e Sagpol, C‑310/98 e C‑406/98, EU:C:2000:154, punto 29; dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 113 e 114). Di conseguenza, il giudice dell’Unione ha consacrato un principio di libertà di valutazione della prova, secondo il quale la determinazione della credibilità o, in altri termini, del valore probatorio di un elemento di prova è rimessa all’intimo convincimento del giudice (sentenza dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 111 e 112).

154    Per valutare il valore probatorio di un documento, bisogna tener conto di diversi elementi, come l’origine del documento, le circostanze in cui è stato elaborato, il destinatario, il contenuto e chiedersi se, in base a tali elementi, l’informazione che esso contiene appaia ragionevole e affidabile (sentenze del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, T‑30/95 a T‑32/95, T‑34/95 a T‑39/95, T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, T‑50/95 a T‑65/95, T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 1838, e del 7 novembre 2002, Vela e Tecnagrind/Commissione, T‑141/99, T‑142/99, T‑150/99 e T‑151/99, EU:T:2002:270, punto 223).

155    In tale contesto, il giudice dell’Unione ha già valutato che un’analisi, fornita da un ricorrente, non poteva essere considerata una prova neutra e imparziale, perché era stata richiesta e finanziata dal ricorrente stesso e sviluppata in base ai dati da quest’ultimo messi a disposizione, senza che l’esattezza o la pertinenza di tali dati fossero state oggetto di una verifica indipendente (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2011, Siemens/Commissione, T‑110/07, EU:T:2011:68, punto 137).

156    Il giudice dell’Unione ha altresì avuto modo di precisare che la relazione di un esperto può essere considerata probatoria solo per il suo contenuto obiettivo e che una semplice affermazione non suffragata, presente in un documento del genere, non è, di per sé, determinante (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2004, Valmont/Commissione, T‑274/01, EU:T:2004:266, punto 71).

157    È alla luce dei principi ricordati ai precedenti punti da 153 a 156 che occorre valutare, nel caso di specie, il valore probatorio della relazione SRA.

158    A tal riguardo, si deve rilevare che la relazione SRA è stata redatta, originariamente, in lingua farsi e che la traduzione fornita dalla ricorrente, nella lingua processuale, è una traduzione libera. Sotto tale profilo, il Tribunale non ha la certezza che la traduzione di tale relazione fornita dalla ricorrente nella lingua processuale sia fedele all’originale. Inoltre, tale relazione è stata redatta da un soggetto che ha sede in Iran, l’istituto SRA, presentato come commercialista ufficiale. A tal riguardo, però, non è stata inserita nel fascicolo nessuna prova. Dalla traduzione della stessa relazione nella lingua processuale risulta che «l’audit [che essa contiene è stato] effettuato al solo scopo di assistere [la ricorrente] nella valutazione dell’importo del danno che essa ha subito» a causa degli atti controversi. La relazione in questione è stata, quindi, redatta su richiesta della ricorrente e da essa finanziata al fine di dimostrare, nell’ambito della presente controversia, la reale esistenza e l’entità dell’asserito danno materiale. Per di più, come risulta dalla traduzione della relazione in questione nella lingua processuale, essa si basa essenzialmente su documenti o dati trasmessi dalla ricorrente. Va rilevato, tuttavia, che i documenti forniti dalla ricorrente non sono allegati alla relazione e non sono stati prodotti nell’ambito del presente procedimento, con la conseguenza che il Tribunale non può prenderne conoscenza. Infine, la traduzione della relazione in questione nella lingua processuale segnala che i dati in cifre forniti dalla ricorrente sono stati considerati in assenza di «qualsiasi prova della loro inesattezza».

159    Sebbene risulti dalla traduzione libera, nella lingua processuale, della dichiarazione dell’istituto SRA, che quest’ultimo sarebbe un commercialista giurato, soggetto al rispetto dei principi di indipendenza e imparzialità e che avrebbe «verificato le prove e i documenti» trasmessi dalla ricorrente, così come indicato anche nella relazione SRA, si deve rilevare che tale dichiarazione proviene da un dichiarante che attesta per se stesso e non è suffragata da alcun elemento esterno che ne corrobori il contenuto.

160    Dato il contesto in cui è stata redatta la relazione SRA e in conformità ai principi rammentati ai precedenti punti da 153 a 156, il valore probatorio di tale relazione deve essere molto relativizzato. Tale relazione non può essere considerata sufficiente a dimostrare ciò che vi è contenuto, in particolare per quanto riguarda la reale esistenza e l’entità del danno lamentato. Tutt’al più, si potrebbe affermare che essa valga come prova prima facie, che dovrebbe essere confermata da altri elementi di prova.

2)      Sulla prima voce del presunto danno materiale subito

161    Sebbene, ai fini di provare la prima voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente si basi sul punto 1 della relazione SRA, si deve ricordare che, come già rilevato al precedente punto 160, tale relazione non può essere considerata sufficiente a dimostrare quanto vi è contenuto e deve essere corroborata da altri elementi di prova.

162    I soli elementi di prova ammissibili forniti dalla ricorrente sono alcune lettere di una prima banca del 6 e 23 agosto 2010, di una seconda banca del 23 agosto 2010 e 25 aprile 2014 e di una terza banca del 28 luglio 2010 e del 22 aprile 2014, le quali indicano importi totali pari a EUR 89 563,02, GBP 12 853,84 (circa EUR 14 396) e USD 2 126,51 (circa EUR 1 828) depositati dalla ricorrente su conti nell’Unione e che sarebbero stati oggetto di misure di congelamento dei capitali adottate nei suoi confronti a partire dal 26 luglio 2010. Tali lettere sembrano essere servite per basare gli importi riportati nella tabella che figura al punto 1 della relazione SRA. Esse attestano altresì che alcune richieste di trasferimento di capitali, che la ricorrente ha inviato alle suddette banche nell’estate del 2010, sono state respinte da queste ultime a causa delle misure di congelamento dei capitali adottate nei suoi confronti dal 26 luglio 2010.

163    Il Consiglio non ha contestato gli importi riportati nelle lettere menzionate al precedente punto 161, ma osserva, in sostanza, che la ricorrente non ha sufficientemente dimostrato né che tali importi non avessero prodotto alcun interesse durante il periodo rilevante, né che essi, se fossero stati trasferiti in Iran, le avrebbero fatto maturare un interesse annuo pari al 6% durante il periodo di riferimento. La Commissione ha anche osservato, al punto 11, lettera i), della memoria di intervento, che «gli allegati da A.12 a A.14 [del ricorso] offri[va]no un’immagine istantanea incerta e incompleta delle diverse operazioni e dei saldi dei conti».

164    A tale proposito, va osservato che le informazioni contenute nelle lettere citate al precedente punto 161 sono semplici dichiarazioni delle banche in questione. Sebbene tali dichiarazioni siano di banche che sono state anch’esse oggetto di misure restrittive, ciò non significa che non hanno alcun valore probatorio, dato il loro carattere preciso, circostanziato e ragionevole. Tali dichiarazioni, infatti, si riferiscono a numeri di conti bancari e a importi precisi e relativamente modesti alla data del 6 agosto 2010, per quanto riguarda la prima banca di cui al precedente punto 162, del 20 marzo 2013, per quanto riguarda la seconda banca di cui al precedente punto 162, e del 20 marzo 2014, per quanto riguarda la terza banca di cui al precedente punto 162. Inoltre, l’argomento della Commissione vertente sull’incertezza degli importi interessati deve essere in una certa misura relativizzato alla luce del fatto che i capitali della ricorrente sono rimasti ininterrottamente congelati tra il 27 luglio 2010 e il 18 ottobre 2015, data in cui il nome della ricorrente è stato rimosso dagli elenchi controversi, e del fatto che, a eccezione dell’accumulo di interessi, né terzi né la ricorrente hanno dovuto effettuare trasferimenti su tali conti dopo l’adozione delle prime misure restrittive nei confronti della ricorrente. In più, tutte le richieste di trasferimento di capitali presentate dalla ricorrente alla seconda e alla terza delle banche di cui sopra confermano che gli importi equivalenti a quelli indicati nel marzo 2013 o nel marzo 2014 figuravano già sui conti della ricorrente nell’estate del 2010.

165    Alla luce di quanto appena osservato, per costituire una prova sufficiente della prima voce del presunto danno materiale subito, le dichiarazioni presenti nella relazione SRA e le lettere menzionate al precedente punto 161 avrebbero dovuto essere corroborate da altri elementi di prova.

166    Infatti, solo elementi di prova come estratti conto o conti bancari risalenti al periodo in questione avrebbero consentito al Tribunale di assicurarsi che i capitali depositati sui conti di cui trattasi non erano stati modificati nel corso del periodo rilevante e che non avevano prodotto alcun interesse nel corso dello stesso periodo. Nelle lettere della prima e della terza banca di cui al precedente punto 162 non figura alcuna informazione sul tasso di interesse. Inoltre, sebbene la lettera del 25 aprile 2014 della seconda banca, di cui al precedente punto 162, indichi che non è stato versato alcun interesse sui conti alla data del 20 marzo 2014, o che sono stati versati solo interessi irrilevanti, essa non precisa il momento a partire dal quale tali interessi sono stati calcolati. Orbene, i fondi contenuti nei conti della ricorrente nell’Unione durante il periodo rilevante e le informazioni su eventuali interessi prodotti da tali fondi nel corso dello stesso periodo erano informazioni essenziali per valutare la prima voce del presunto danno materiale subito.

167    È importante notare che si sarebbero dovuti produrre elementi di prova ammissibili per dimostrare che i capitali contenuti nei conti della ricorrente nell’Unione durante il periodo di riferimento, se avessero potuto essere trasferiti in Iran, avrebbero maturato un interesse annuo del 6%. Le lettere menzionate al precedente punto 161 non contengono alcuna informazione al riguardo. Il fatto che la relazione SRA applichi un tale tasso, presentato come il «tasso di interesse medio annuale per i conti in valuta estera» nella seconda tabella riprodotta al punto 1 di detta relazione, non è sufficiente, tenuto conto del fatto che tale relazione non è essa stessa sufficiente a provare ciò che contiene.

168    Pertanto, la ricorrente non ha soddisfatto l’onere della prova che le incombeva con riferimento alla prima voce del presunto danno materiale subito corrispondente alla perdita degli interessi che avrebbe potuto percepire se avesse trasferito e fatto fruttare, in Iran, i capitali depositati sui conti nell’Unione.

169    Date tali circostanze, occorre respingere la domanda della ricorrente diretta al risarcimento del presunto danno materiale subito per quanto concerne la prima voce di tale danno.

3)      Sulla seconda voce del presunto danno materiale subito

170    Nei limiti in cui, ai fini di provare la seconda voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente si basa sul punto 2 della relazione SRA, si deve ricordare che tale relazione non può essere considerata sufficiente a dimostrare quanto vi è contenuto e deve essere corroborata da altri elementi di prova.

171    Gli unici elementi di prova ammissibili che la ricorrente ha fornito al riguardo sono: un estratto conto di una prima compagnia di assicurazione e di riassicurazione, il quale indica un saldo totale dovuto alla ricorrente di EUR 1 053 268,62 al 1o aprile 2014; una nota di addebito di un importo pari a EUR 189 547,60 emessa dalla ricorrente nei confronti della suddetta compagnia il 20 aprile 2009; un estratto conto, in lingua farsi, di una seconda compagnia di assicurazione e riassicurazione; una nota di addebito di un importo pari a EUR 265 444,21 emessa dalla ricorrente nei confronti di quest’ultima compagnia il 5 dicembre 2009; un estratto conto di una terza compagnia di assicurazione e riassicurazione contente un saldo dovuto alla ricorrente di EUR 1 344 859,30 al 30 settembre 2014; una lettera e alcuni messaggi elettronici inviati da quest’ultima compagnia alla ricorrente in data 25 novembre 2010, 2 e 8 ottobre 2012, che segnalavano l’impossibilità o la difficoltà di effettuare i pagamenti a favore della ricorrente a causa delle sanzioni adottate nei suoi confronti.

172    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta che le note di addebito e gli estratti conto prodotti dalla ricorrente siano sufficienti a dimostrare gli importi dei capitali dovutile dalle tre compagnie di assicurazione e riassicurazione in questione e il cui pagamento sarebbe stato congelato per effetto degli atti controversi. Inoltre, esso ritiene che la ricorrente non abbia sufficientemente dimostrato che tali capitali, se avessero potuto essere trasferiti in Iran, le avrebbero fatto maturare un interesse annuo pari al 6% durante il periodo rilevante.

173    A tal riguardo, si deve rilevare che l’estratto conto della seconda compagnia di assicurazione e riassicurazione di cui al precedente punto 171 non è un elemento di prova che può essere preso in considerazione dal Tribunale, poiché è redatto in lingua farsi e poiché non ne è stata fornita alcuna traduzione nella lingua processuale, vale a dire l’inglese. In particolare, poiché i numeri utilizzati in tale documento sono numeri farsi, non è possibile prenderne conoscenza e confrontarli con quelli indicati nelle memorie della ricorrente. Occorre pertanto negare qualsiasi valore probatorio a tale documento.

174    Gli estratti conto della prima e della terza compagnia di assicurazione e di riassicurazione di cui al precedente punto 171 sono stati redatti, rispettivamente, il 1o aprile e il 30 settembre 2014, e nessuna indicazione ivi contenuta garantisce che essi riguardano solo i crediti o i debiti tra ciascuna delle tre compagnie di assicurazione e riassicurazione e la ricorrente che sarebbero sorti durante il periodo rilevante, ossia dal 27 ottobre 2010 al 15 novembre 2013. Si deve pertanto constatare che questi documenti non forniscono prove sufficienti delle somme dovute alla ricorrente da parte delle suddette compagnie di assicurazione e di riassicurazione e il cui pagamento sarebbe stato congelato per effetto degli atti controversi.

175    Le note di addebito emesse dalla ricorrente nei confronti della prima e della seconda compagnia di assicurazione e riassicurazione di cui al precedente punto 171 datano, rispettivamente, 20 aprile e 5 dicembre 2009 e si riferiscono logicamente a crediti sorti prima del periodo rilevante, durante il quale gli atti controversi hanno prodotto i loro effetti. Tali documenti non sono pertanto idonei a provare i capitali dovuti alla ricorrente da parte delle compagnie di assicurazione e di riassicurazione, il cui pagamento sarebbe stato congelato per effetto degli atti controversi.

176    Infine, la lettera e i messaggi elettronici, inviati dalla terza compagnia di assicurazione e di riassicurazione di cui al precedente punto 171 alla ricorrente, non menzionano alcun importo dovuto a quest’ultima da detta compagnia. Pertanto, questi documenti non sono idonei a provare i capitali dovuti alla ricorrente da parte di questa compagnia di assicurazione e di riassicurazione, il cui pagamento sarebbe stato congelato per effetto degli atti controversi.

177    In ogni caso, nessuno dei documenti menzionati ai precedenti punti da 173 a 176 contiene informazioni riguardanti la possibilità che avrebbe avuto la ricorrente di percepire un tasso d’interesse annuo del 6% su tali fondi, se fossero stati trasferiti in Iran. Orbene, com’è già stato rilevato al precedente punto 167, taluni elementi di prova integrativi e ammissibili al riguardo non sono presenti nel fascicolo.

178    Pertanto, la ricorrente non ha soddisfatto l’onere della prova che le incombeva con riferimento alla seconda voce del presunto danno materiale subito, corrispondente alla perdita degli interessi che avrebbe potuto percepire se avesse trasferito e fatto fruttare, in Iran, i capitali che le avrebbero dovuto versare tre compagnie di assicurazione e riassicurazione.

179    Date tali circostanze, occorre respingere la domanda della ricorrente diretta al risarcimento del presunto danno materiale subito per quanto concerne la seconda voce di tale danno.

4)      Sulla terza voce del presunto danno materiale subito

180    Nei limiti in cui, ai fini di provare la terza voce del presunto danno materiale subito, la ricorrente si basa sul punto 3 della relazione SRA, si deve ricordare che tale relazione non può essere considerata sufficiente a dimostrare quanto vi è contenuto e deve essere corroborata da altri elementi di prova.

181    Gli unici elementi di prova ammissibili forniti dalla ricorrente a tal riguardo sono una nota di credito di un importo pari a EUR 76 187,65 emessa nei confronti di una compagnia di assicurazione in data 24 aprile 2010 e una lettera interna del 14 aprile 2014, in lingua farsi, proveniente dal direttore dei servizi legali e contrattuali, accompagnata da una traduzione libera nella lingua processuale.

182    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene, in sostanza, che i documenti prodotti dalla ricorrente non dimostrino l’esistenza di un rapporto contrattuale stabile e duraturo a concorrenza degli importi da essa rivendicati.

183    A tal riguardo, va osservato che la nota di credito emessa dalla ricorrente nei confronti di una compagnia di assicurazione risale al 20 aprile 2010 e si riferisce all’esecuzione di un programma di assicurazione di viaggio nel corso di un periodo anteriore a quello rilevante, durante il quale gli atti controversi hanno prodotto i loro effetti. Detto documento non fornisce alcuna indicazione del fatto che il programma per l’assicurazione di viaggio cui si riferisce, dopo il periodo di esecuzione menzionato, venisse proseguito o rinnovato, in particolare nel corso di tutto il periodo rilevante. Tale documento non è quindi idoneo a dimostrare un mancato guadagno subito dalla ricorrente a causa della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri e di merci che sarebbe stato collegato alle misure restrittive adottate nei confronti della ricorrente negli atti controversi.

184    Inoltre, alla lettera del 14 aprile 2014 proveniente dal direttore dei servizi legali e contrattuali della ricorrente può essere riconosciuto, di per sé, solo un modesto valore probatorio, poiché essa è stata oggetto solamente di una traduzione libera ed è stata redatta dalla parte stessa che la invoca a sostegno delle proprie conclusioni. In ogni caso, risulta dalla traduzione libera di tale lettera che, «sulla base di una breve indagine, i danni subiti dalla compagnia (premi) risultanti dalle misure restrittive adottate dall’Unione europea per diversi mesi ammonta a [IRR] 56 601 043 645 [circa EUR 1 132 020)]». Una simile dichiarazione è troppo vaga e imprecisa per consentire di constatare che, nel corso del periodo rilevante, la ricorrente ha effettivamente subito un mancato guadagno, a causa della mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri e di merci, connesso all’adozione degli atti controversi, a concorrenza degli importi indicati nelle sue memorie.

185    Pertanto, la ricorrente non ha sufficientemente soddisfatto l’onere della prova che le incombeva con riferimento alla terza voce del presunto danno materiale subito, corrispondente al mancato guadagno che essa avrebbe subito dalla mancata sottoscrizione di contratti di assicurazione per il trasporto di passeggeri e di merci.

186    Date tali circostanze, occorre respingere la domanda della ricorrente diretta a ottenere il risarcimento del presunto danno materiale subito per quanto concerne la terza voce di tale danno.

187    Di conseguenza, e senza che sia necessario esaminare la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità, occorre respingere integralmente la domanda di risarcimento del danno materiale formulata dalla ricorrente.

188    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre respingere il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

189    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, essendo rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda formulata in tal senso dal Consiglio.

190    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, primo comma, del medesimo regolamento, le istituzioni intervenute nella causa si fanno carico delle proprie spese. Pertanto, la Commissione si farà carico delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Iran Insurance Company si farà carico, oltre alle proprie, delle spese sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Commissione si farà carico delle proprie spese.

Pelikánová

Valančius

Nihoul

Svenningsen

 

      Öberg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2018.

Firme


Indice


I. Fatti

II. Procedimento e conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sulla competenza del Tribunale

B. Sulla ricevibilità del ricorso

C. Sulla ricevibilità degli elementi di prova prodotti in allegato alla replica e sulla richiesta della ricorrente di essere autorizzata a produrre ulteriori prove durante il procedimento

D. Nel merito

1. Sull’asserita illegittimità

a) Sulle norme di diritto di cui si adduce la violazione

b) Sulla questione se le norme di diritto di cui si adduce la violazione siano preordinate a conferire diritti ai singoli

c) Sulla questione se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata delle norme di diritto di cui si adduce la violazione

2. Sul danno lamentato e sull’esistenza di un nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e il danno

a) Sul presunto danno morale subito

b) Sul presunto danno materiale subito

1) Sul valore probatorio della relazione SRA che valuta il presunto danno materiale subito

2) Sulla prima voce del presunto danno materiale subito

3) Sulla seconda voce del presunto danno materiale subito

4) Sulla terza voce del presunto danno materiale subito

Sulle spese



*      Lingua processuale: l’inglese.