Language of document : ECLI:EU:F:2013:56

SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA DELL’UNIONE EUROPEA (Prima Sezione)

7 maggio 2013 (*)

«Funzione pubblica – Funzionari – Pensione d’invalidità – Articolo 78, quinto comma, dello Statuto – Diniego di riconoscimento dell’origine professionale dell’invalidità»

Nella causa F‑86/11,

avente ad oggetto un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 270 TFUE, applicabile al Trattato CEEA ai sensi del suo articolo 106 bis,

Robert McCoy, ex funzionario del Comitato delle regioni dell’Unione europea, residente in Bruxelles (Belgio), rappresentato da L. Levi, avocat,

ricorrente,

contro

Comitato delle regioni dell’Unione europea, rappresentato da J. C. Cañoto Argüelles, in qualità di agente, assistito da B. Wägenbaur, avocat,

convenuto,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Prima Sezione),

composto da H. Kreppel, presidente, E. Perillo (relatore) e R. Barents, giudici,

cancelliere: J. Tomac, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 ottobre 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con atto introduttivo pervenuto alla cancelleria del Tribunale l’8 settembre 2011, il sig. McCoy ha proposto il presente ricorso diretto all’annullamento della decisione dell’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni dell’Unione europea, del 10 settembre 2010, nella parte in cui l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni ha negato il riconoscimento dell’origine professionale della malattia da cui deriva l’invalidità del ricorrente ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), nonché alla condanna del Comitato delle regioni al pagamento di una somma di EUR 10 000 a titolo di risarcimento del preteso danno morale subito dal ricorrente e al rimborso di tutte le spese connesse alla procedura di invalidità.

 Contesto normativo

2        L’articolo 53 dello Statuto prevede quanto segue:

«Il funzionario che a giudizio della commissione d’invalidità si trovi nelle condizioni previste dall’articolo 78 è collocato a riposo d’ufficio l’ultimo giorno del mese nel corso del quale viene adottata la decisione dell’autorità che ha il potere di nomina con cui si constata l’incapacità definitiva del funzionario di esercitare le proprie funzioni».

3        L’articolo 59, paragrafo 4, dello Statuto stabilisce:

«L’autorità che ha il potere di nomina può sottoporre alla commissione d’invalidità il caso di un funzionario i cui congedi di malattia superino complessivamente dodici mesi in un periodo di tre anni».

4        L’articolo 73 dello Statuto prevede quanto segue:

«1.      Alle condizioni fissate da una regolamentazione adottata di comune accordo dalle istituzioni [dell’Unione europea], previo parere del comitato dello statuto, il funzionario è coperto sin dal giorno della sua entrata in servizio contro i rischi di malattia professionale e i rischi d’infortunio. (…)

2.      Le prestazioni garantite sono le seguenti:

(…)

b)      in caso di invalidità permanente totale:

versamento all’interessato di un capitale pari a otto volte il suo stipendio base annuo calcolato in base agli stipendi mensili attribuitigli nei dodici mesi precedenti l’infortunio;

c)      in caso di invalidità permanente parziale:

versamento all’interessato di una parte dell’indennità prevista dalla lettera b), calcolata in base alla tabella stabilita dalla regolamentazione di cui al paragrafo 1.

Alle condizioni fissate da questa regolamentazione, ai versamenti di cui sopra può essere sostituita una rendita vitalizia.

Le prestazioni sopra enumerate sono cumulabili con quelle previste nel capitolo 3.

3.      Sono inoltre coperte, alle condizioni fissate dalla regolamentazione di cui al precedente paragrafo 1, le spese mediche, farmaceutiche, ospedaliere, chirurgiche, di protesi, radiografia, massaggio, ortopedia, clinica e trasporto, nonché tutte le spese analoghe rese necessarie dall’infortunio o dalla malattia professionale.

Tuttavia, tale rimborso sarà effettuato soltanto dopo esaurimento e a complemento dei rimborsi che il funzionario abbia ricevuto in applicazione delle disposizioni dell’articolo 72».

5        L’articolo 78 dello Statuto dispone quanto segue:

«Alle condizioni previste dagli articoli 13, 14, 15 e 16 dell’allegato VIII, il funzionario ha diritto ad un’indennità di invalidità allorché sia colpito da invalidità permanente riconosciuta come totale che lo ponga nell’impossibilità di esercitare funzioni corrispondenti a un impiego del suo gruppo di funzioni.

(…)

Il tasso dell’indennità di invalidità è fissato al 70% dell’ultimo stipendio base del funzionario. Tale indennità non può essere tuttavia inferiore al minimo vitale.

L’indennità di invalidità è assoggettata ai contributi al regime delle pensioni, calcolati sulla base della suddetta indennità.

Se l’invalidità è determinata da infortunio sopravvenuto nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle proprie funzioni, ovvero da malattia professionale o da atto di sacrificio personale compiuto nell’interesse pubblico o dal fatto di aver rischiato la propria vita per salvare quella altrui, l’indennità di invalidità non può essere inferiore al 120% del minimo vitale. Inoltre, in tal caso, il bilancio dell’istituzione o dell’organismo di cui all’articolo 1 ter [dello Statuto] prende in carico la totalità del contributo al regime delle pensioni».

6        L’articolo 7 dell’allegato II dello Statuto dispone quanto segue:

«La commissione d’invalidità è composta di tre medici designati:

–        il primo dall’istituzione da cui dipende il funzionario interessato,

–        il secondo dall’interessato,

–        il terzo d’intesa tra i due medici suddetti.

In caso di carenza del funzionario interessato, un medico è assegnato d’ufficio dal Presidente della Corte di giustizia [dell’Unione europea].

Ove, entro due mesi dalla designazione del secondo medico, non si raggiunga un accordo sulla designazione del terzo medico, quest’ultimo è scelto d’ufficio dal presidente della Corte di giustizia [dell’Unione europea], su iniziativa di una delle parti».

7        L’articolo 8 dell’allegato II dello Statuto dispone quanto segue:

«Le spese per i lavori della commissione d’invalidità sono a carico dell’istituzione cui appartiene l’interessato.

Qualora il medico designato dall’interessato risieda fuori della sede di servizio di quest’ultimo, il supplemento d’onorari conseguente a tale designazione, ad eccezione delle spese di viaggio in prima classe che sono rimborsate dall’istituzione, è a carico dell’interessato».

8        L’articolo 9 dell’allegato II dello Statuto dispone:

«Il funzionario può sottoporre alla commissione di invalidità qualsiasi referto o certificato del suo medico curante o dei medici che ha ritenuto opportuno consultare.

Le conclusioni della commissione sono trasmesse all’autorità che ha il potere di nomina e all’interessato.

I lavori della commissione sono segreti».

9        L’articolo 3, intitolato «Malattie professionali», della regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale di cui all’articolo 73, paragrafo 1, dello Statuto (in prosieguo: la «regolamentazione di copertura») dispone:

«1.      Per malattie professionali si intendono le malattie indicate nell’elenco delle malattie professionali allegato alla raccomandazione [2003/670/CE] della Commissione [europea] del 19 settembre 2003 [(GU L 238, pag. 28)] e nei suoi eventuali aggiornamenti, nella misura in cui il funzionario sia stato esposto, nella sua attività professionale presso [l’Unione europea], al rischio di contrarre le predette malattie.

2.      Si considera parimenti malattia professionale qualsiasi malattia o aggravamento di malattia pre-esistente, che non figuri nella lista di cui al paragrafo 1, quando sia sufficientemente provato che la malattia ha avuto origine nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle funzioni per conto [dell’Unione europea]».

10      L’articolo 16 della regolamentazione di copertura, intitolato «Denuncia di malattie professionali», prevede quanto segue:

«1.      L’assicurato che chiede l’applicazione della regolamentazione [di copertura] per causa di malattia professionale deve presentare all’amministrazione dell’istituzione di appartenenza, entro un ragionevole lasso di tempo a partire dall’inizio della malattia o dalla data della prima diagnosi medica, un’apposita denuncia. (…)

La denuncia deve specificare la natura della malattia ed essere accompagnata da certificati medici o da qualsiasi altro documento.

In caso di riconoscimento della malattia professionale, le prestazioni di cui all’articolo 73, paragrafo 2, dello Statuto, sono calcolate in base agli stipendi mensili corrisposti nei dodici mesi precedenti la data della prima diagnosi della malattia, o in sua assenza, la data della prima incapacità lavorativa connessa alla malattia o, in sua assenza, la data della denuncia.

Per gli assicurati non più in servizio attivo presso le istituzioni, le prestazioni sono calcolate sulla base dello stipendio nell’ultimo anno di servizio attivo. Tale stipendio è aggiornato alla data presa in considerazione al terzo comma.

2.      L’amministrazione procede a un’indagine al fine di raccogliere tutti gli elementi che consentano di determinare la natura della malattia, la sua origine professionale e le circostanze in cui essa si è manifestata.

(…)

Vista la relazione sull’indagine, il medico o i medici designati dalle istituzioni formulano le conclusioni previste dall’articolo 18».

11      L’articolo 18 della regolamentazione di copertura così recita:

«Le decisioni relative al riconoscimento dell’origine infortunistica di un avvenimento, sia esso un avvenimento qualificato come infortunio sul lavoro o come infortunio nell’ambito della vita privata, e le decisioni correlate relative al riconoscimento dell’origine professionale della malattia nonché alla determinazione del grado di invalidità permanente sono adottate dall’autorità che ha il potere di nomina con la procedura prevista dall’articolo 20:

–        in base alle conclusioni formulate dal medico o dai medici designati dalle istituzioni,

e

–        e, se l’assicurato lo richiede, previa consultazione della commissione medica di cui all’articolo 22».

12      L’articolo 22 della regolamentazione di copertura, relativo alla commissione medica, stabilisce, al suo paragrafo 3:

«La commissione medica esamina in modo collegiale tutti i documenti disponibili che possono esserle utili per le sue valutazioni e decide a maggioranza (…). Il terzo medico è incaricato delle funzioni di segreteria e della redazione della relazione. La commissione medica ha facoltà di chiedere esami complementari e di consultare esperti al fine di completare la pratica o di ottenere pareri utili a portare a termine il proprio compito.

La commissione medica può fornire pareri di natura medica unicamente in merito ai fatti che è chiamata ad esaminare o che le sono stati comunicati.

Se la commissione medica, il cui compito si limita all’aspetto puramente medico della pratica, ritiene di trovarsi in presenza di un contenzioso di tipo giuridico, si dichiara incompetente al riguardo.

Al termine dei lavori la commissione medica raccoglie le proprie conclusioni in una relazione indirizzata all’autorità che ha il potere di nomina.

In base a tale relazione l’autorità che ha il potere di nomina notifica all’assicurato o ai suoi aventi diritto la propria decisione unitamente alle conclusioni della commissione medica. L’assicurato o i suoi aventi diritto possono chiedere che la relazione completa della [c]ommissione sia trasmessa al loro medico di fiducia o che sia loro comunicata».

13      L’articolo 25 della regolamentazione di copertura, intitolato «Autonomia dall’articolo 73», prevede:

«L’accertamento di un’invalidità permanente, totale o parziale, ai sensi dell’articolo 73 dello statuto e della [regolamentazione di copertura], non pregiudica in alcun modo l’applicazione dell’articolo 78 dello statuto e viceversa».

 Fatti

14      Il ricorrente ha svolto, in seno al Comitato delle regioni, prima le funzioni di controllore finanziario, dal 1º gennaio 2000 al 31 dicembre 2002, poi di revisore dei conti interno, a partire dal 1º gennaio 2003.

15      Nell’ambito delle sue funzioni, il ricorrente ha rilevato irregolarità nella gestione di bilancio del Comitato delle regioni. Egli ne ha informato, in primo tempo, l’amministrazione e il segretario generale del Comitato delle regioni e, in un secondo tempo, la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo (in prosieguo: la «Cocobu»), dinanzi alla quale egli è intervenuto il 19 marzo 2003.

16      Avvertito da un membro del Parlamento e da un membro della Cocobu, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha indagato sulle irregolarità denunciate dal ricorrente e ha redatto una relazione d’indagine l’8 ottobre 2003 (in prosieguo: la «relazione dell’OLAF»). Nell’ambito della sua indagine, l’OLAF ha sentito il ricorrente.

17      Nella relazione dell’OLAF è stato accertato che varie irregolarità erano state commesse nella gestione di bilancio del Comitato delle regioni ed è stato raccomandato, in particolare, di decidere l’avvio di un’indagine disciplinare nei confronti di taluni dipendenti, in particolare del sig. X e della sig.ra Y. L’OLAF ha altresì rilevato che il sig. X aveva avvertito il ricorrente che, se egli non avesse cessato di agire come se fosse ancora il controllore finanziario del Comitato delle regioni, egli avrebbe chiesto l’avvio di un’indagine amministrativa nei suoi confronti e che il ricorrente aveva percepito un’ostilità crescente da parte dei suoi superiori gerarchici.

18      Nelle conclusioni della relazione dell’OLAF viene sottolineato che, in maniera generale, il Comitato delle regioni aveva tentato di «scoraggiare o di destabilizzare» il ricorrente nell’esercizio delle sue funzioni di controllore finanziario poi di revisore dei conti interno, e che il Comitato delle regioni sembrava ignorare l’articolo 2, paragrafo 3, della decisione n. 294/99 dell’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni del 17 novembre 1999, relativa alle condizioni e alle modalità delle indagini interne in materia di lotta contro la frode, la corruzione e ogni attività illegale pregiudizievole agli interessi della Comunità, ai sensi del quale «i funzionari e gli agenti del segretariato generale non devono in nessun caso subire un trattamento iniquo o discriminatorio a seguito di una comunicazione di cui al primo e al secondo comma».

19      Il 6 novembre 2003, il ricorrente ha inviato all’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni, nella sua qualità di autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN»), una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto precisando, in particolare, che a seguito dell’esercizio delle funzioni di controllo che gli erano proprie, egli formava oggetto di molestie psicologiche, di pressioni, di tentativi di intimidazione e di minacce di procedimenti disciplinari da parte dei suoi superiori gerarchici. Egli chiedeva, con tale domanda, l’adozione di «provvedimenti adeguati [che ponessero rapidamente] termine agli attacchi» di cui si riteneva vittima, nonché l’avvio di un’indagine amministrativa e il risarcimento del danno asseritamente subito.

20      Il 22 dicembre 2003, la Cocobu ha presentato la sua relazione sul discarico relativo all’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2001 la cui sezione VII riguarda appunto il Comitato delle regioni (in prosieguo: la «relazione della Cocobu»). Basandosi in particolare sulla relazione dell’OLAF, la Cocobu ha non soltanto «denunciato le ostruzioni ufficiali [di cui] (…) il controllore finanziario/revisore dei conti interno e il suo personale erano stati vittime da parte dell’amministrazione del Comitato [delle regioni]» ma ha altresì precisato che essa «conta[va] che le misure di riforma [decise dal Comitato delle regioni] [avrebbero permesso] di denunciare le frodi e le irregolarità senza il rischio di molestie psicologiche individuali o istituzionali come avvenuto nel passato».

21      Alla luce della relazione dell’OLAF e della relazione della Cocobu, il Parlamento, nell’ambito delle competenze attribuitegli dagli articoli 275 CE e 276 CE per dare il discarico sull’esecuzione del bilancio generale dell’Unione, ha adottato, il 29 gennaio 2004, una risoluzione «contenente le osservazioni che accompagnano la decisione sul discarico relativo all’esecuzione del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2001 – Sezione VII – Comitato delle regioni» (in prosieguo: la «risoluzione del Parlamento sul discarico»). In particolare, ai punti 14, 22 e 24 di detta risoluzione, il Parlamento ha «[denunciato], senza pregiudicare il risultato della procedura avviata dal revisore dei conti interno ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, le ostruzioni ufficiali delle quali [quest’ultimo] e i suoi dipendenti [erano] stati vittime», nonché le «molestie psicologiche individuali o istituzionali» di cui il ricorrente aveva formato oggetto e ha «[chiesto] che il revisore dei conti interno ricev[esse] scuse formali dal Comitato delle regioni».

22      Con lettere in data 17 febbraio e 9 marzo 2004, l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni ha respinto la domanda di assistenza del ricorrente in quanto i documenti forniti da quest’ultimo non avrebbero dimostrato la realtà degli asseriti fatti configuranti molestie psicologiche o intimidazione. Il ricorrente non ha presentato reclamo contro il rigetto della domanda di assistenza.

23      Con lettera del 26 aprile 2004, il segretario generale del Comitato delle regioni ha informato il ricorrente che l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni aveva deciso «di non avviare alcun procedimento disciplinare nei suoi [confronti]».

24      Il ricorrente, che soffriva di ansietà e di depressione e presentava sintomi di stress post-traumatici, è stato posto in congedo di malattia a partire dal 28 aprile 2004. Il congedo di malattia del ricorrente sarà prorogato sino al 31 dicembre 2006, poi dal 22 febbraio 2007 al 30 giugno 2007, data in cui il ricorrente sarà collocato a riposo d’ufficio per invalidità.

25      Il ricorrente sostiene di essersi recato, mentre era in congedo di malattia, al Comitato delle regioni in data 31 agosto 2005 per recuperarvi effetti personali, di essere svenuto a seguito della cattiva accoglienza ricevuta e di essere stato trasportato all’infermeria.

26      Avendo constatato che il ricorrente aveva accumulato, nel corso degli ultimi tre anni, congedi di malattia la cui durata superava dodici mesi, il 22 febbraio 2006, il segretario generale del Comitato delle regioni ha deciso di avviare, ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 4, dello Statuto, una procedura di collocamento in invalidità del ricorrente e ha chiesto a quest’ultimo di designare un medico ai fini della costituzione della commissione di invalidità.

27      La commissione di invalidità era inizialmente composta dal dottor T., designato dal Comitato delle regioni, dal dottor Ra., designato dal ricorrente, e dal dottor Gr., designato di comune accordo dai primi due medici. Nel gennaio 2007, il ricorrente avrebbe revocato il mandato da lui conferito al dottor Ra. Tenuto conto della carenza del ricorrente, il dottor Go. è stato incaricato d’ufficio dal presidente della Corte di giustizia dell’Unione europea per rappresentare il ricorrente. Successivamente, il dottor Gr. ha dato le dimissioni dalle sue funzioni di membro della commissione d’invalidità ed è stato sostituito dal dottor O., designato di comune accordo dal dottor T. e dal dottor Go.

28      Il ricorrente ha ripreso il lavoro il 1° gennaio 2007. Egli afferma di essere stato assegnato a nuove funzioni, e cioè quelle di consigliere del segretario generale del Comitato delle regioni. Il suo nuovo ufficio sarebbe stato isolato, i suoi compiti non definiti ed egli si sarebbe visto consegnare un rapporto informativo contenente valutazioni negative, riferentisi al periodo in cui egli era in congedo di malattia. Il ricorrente ha lavorato sino al 21 febbraio 2007, ossia circa sei settimane, poi è stato nuovamente posto in congedo di malattia.

29      Il 27 febbraio 2007, il ricorrente ha presentato al segretario generale del Comitato delle regioni, ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e dell’articolo 16 della regolamentazione di copertura, una domanda diretta al riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia. Il ricorrente segnalava inoltre al segretario generale del Comitato delle regioni che, poiché una commissione di invalidità era già stata designata per pronunciarsi sulla sua incapacità lavorativa ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, egli aveva chiesto a tale commissione di invalidità di prendere in considerazione non soltanto l’esame della sua incapacità ma anche il rapporto esistente, se del caso, tra quest’ultima e la sua attività lavorativa.

30      Con lettera del 10 aprile 2007, il segretario generale del Comitato delle regioni ha informato il ricorrente che la sua domanda ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto era stata trasmessa alla Commissione europea nella sua qualità di APN ad hoc per l’applicazione dell’articolo 73 dello Statuto e che la sua domanda intesa ad ottenere che la commissione di invalidità già costituita si pronunciasse anche sull’origine professionale della sua eventuale invalidità era stata debitamente trasmessa a quest’ultima.

31      In esito alla sua riunione del 23 maggio 2007, la commissione di invalidità, dopo aver esaminato il ricorrente in due occasioni, ha concluso che quest’ultimo era affetto da invalidità permanente considerata totale, che lo poneva nell’impossibilità di svolgere le sue funzioni (in prosieguo: le «conclusioni del 23 maggio 2007 sull’esistenza di un’invalidità»). Per contro, quanto all’origine dell’invalidità, la commissione di invalidità ha dichiarato di non disporre di elementi sufficienti per pronunciarsi sull’origine professionale dell’invalidità e di attendere che l’amministrazione le fornisse gli «elementi autentici» che le consentissero di pronunciarsi al riguardo.

32      Dal verbale della riunione della commissione di invalidità del 23 maggio 2007 (in prosieguo: il «verbale del 23 maggio 2007») risulta che, benché le conclusioni del 23 maggio 2007 sull’esistenza di un’invalidità siano state adottate all’unanimità, i medici erano invece in disaccordo quanto alla diagnosi, dato che il medico designato dal Comitato delle regioni, il dottor T., e il terzo medico, il dottor O., ritenevano che il ricorrente fosse affetto da disturbi paranoici, mentre il medico designato d’ufficio per rappresentare il ricorrente, il dottor Go., basandosi sulle relazioni del medico ospedaliero, il dottor V.A. e su quelle del dottor Ra. nonché sul test psicologico eseguito dal professor D.M., si opponeva a tale diagnosi.

33      Il verbale del 23 maggio 2007 precisa inoltre che la commissione di invalidità intendeva pronunciarsi sull’origine dell’invalidità «dopo aver ottenuto le risposte ai quesiti rivolti da ciascuno [dei suoi membri] all’[a]mministrazione» e che la commissione «[aveva] bisogno di aver altresì comunicazione dell’indagine del [s]ervizio della Commissione [e]uropea sollecitata dal [s]egratario [g]enerale del [Comitato delle regioni], su richiesta del [ricorrente]». In altri termini, si deve considerare, come è stato confermato all’udienza, che la commissione di invalidità attendeva l’esito e le risultanze della procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto prima di pronunciarsi, nell’ambito dell’articolo 78 dello Statuto, sull’origine professionale dell’invalidità del ricorrente.

34      Con decisione dell’11 giugno 2007, l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni ha collocato a riposo d’ufficio per invalidità il ricorrente, in applicazione dell’articolo 53 dello Statuto, a decorrere dal 30 giugno 2007.

35      Nel gennaio 2008, nell’ambito della procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, l’Ufficio di gestione e di liquidazione dei diritti individuali della Commissione (PMO) ha ritenuto che non occorresse procedere ad un’indagine amministrativa, «dato che i documenti del fascicolo contenevano sufficienti elementi amministrativi per permettere al medico [del PMO] di effettuare il suo esame».

36      Con decisione del 9 gennaio 2009, il PMO ha riconosciuto l’origine professionale della malattia del ricorrente ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, e ciò sulla base dei referti medici redatti o chiesti dal medico del PMO, il dottor J., e cioè una relazione, dell’8 maggio 2008, e conclusioni di quest’ultimo del 20 novembre 2008, e una relazione del dottor Ra. del 18 settembre 2008. Inoltre, la relazione del medico del PMO dell’8 maggio 2008 prendeva in considerazione altre sei relazioni mediche redatte dal dottor V.A. e da altri medici ospedalieri prodotte dal ricorrente, nonché diversi documenti non a carattere medico, tra cui la risoluzione del Parlamento sul discarico. La relazione del dottor Ra. del 18 settembre 2008 prendeva in considerazione inoltre un bollettino psicologico redatto dal professor D.M., in data 3 settembre 2008.

37      Nella sua relazione dell’8 maggio 2008, il medico del PMO ritiene, alla luce degli elementi del fascicolo, che l’OLAF abbia constatato, da un lato, l’esistenza di malversazioni in seno al Comitato delle regioni e di tentativi di mettere in disparte il ricorrente, impedendogli così di eseguire in maniera adeguata il suo lavoro di controllore finanziario e, dall’altro, l’esistenza di grossi conflitti interpersonali tra il ricorrente e i suoi superiori gerarchici. In conclusione, secondo il medico del PMO, fatto salvo il parere psichiatrico chiesto al dottor Ra., si dovrebbe ritenere, in particolare, che «la comparsa progressiva di una sindrome (…) [fosse] connessa ai comportamenti professionali riprovevoli di taluni funzionari del Comitato delle [r]egioni».

38      Nelle conclusioni del 20 novembre 2008, il medico del PMO conclude che il ricorrente «non è più in grado di esercitare una qualsiasi attività lavorativa in seno alle Comunità europee, tanto più che il suo stato clinico psichico è connesso alle molestie psicologiche subite sul posto di lavoro e al [“]burn-out[”] che ne è derivato» e che «i disturbi psicoaffettivi [che egli presenta] sono in rapporto causale diretto e certo con l[a sua] attività lavorativa».

39      Sin dall’8 dicembre 2008, il PMO ha informato la commissione di invalidità della sua decisione di riconoscere l’origine professionale della malattia del ricorrente ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto. Risulta dal fascicolo che la relazione e le conclusioni del medico del PMO, rispettivamente in data 8 maggio e 20 novembre 2008, nonché la relazione del dottor Ra. del 18 settembre 2008, sono state trasmesse anch’esse alla commissione di invalidità.

40      Con lettera del 13 febbraio 2009, il dottor Go., membro della commissione di invalidità designato d’ufficio per conto del ricorrente, ha chiesto presso il dottor T., medico designato dal Comitato delle regioni, la ripresa dei lavori della commissione di invalidità.

41      Il 20 aprile 2009, il terzo medico, il dottor O., designato di comune accordo dai dottori T. e Go., ha trasmesso al dottor T. una serie di quesiti che desiderava veder posti al Comitato delle regioni, quesiti concernenti in particolare il contenuto della relazione dell’OLAF e l’esistenza di una risoluzione del Parlamento europeo che richiedeva che il Comitato delle regioni presentasse le sue scuse al ricorrente. Tali quesiti sono stati trasmessi dal dottor T. al segretario generale del Comitato delle regioni.

42      Il Comitato delle regioni ha risposto ai quesiti posti dalla commissione di invalidità facendo riferimento alla relazione dell’OLAF e ad una relazione d’indagine amministrativa eseguita dal Comitato delle regioni a seguito della relazione dell’OLAF (in prosieguo: la «relazione d’indagine amministrativa»). Esso ha parimenti confermato che il Parlamento aveva effettivamente chiesto, nella sua risoluzione sul discarico, che il Comitato delle regioni presentasse scuse formali al ricorrente.

43      Il 2 marzo 2010, il PMO ha deciso, in applicazione dell’articolo 73 dello Statuto, di fissare al 10% il tasso d’invalidità del ricorrente causato dalla malattia, riconosciuta come di origine professionale. Tale decisione è stata adottata sulla base di diversi referti clinici integrativi richiesti dal PMO: una relazione di perizia psicologica redatta il 12 agosto 2009 dal dottor D., un bollettino neuropsicologico redatto il 17 ottobre 2009 dal dottor Me., una «relazione di indagine psichiatrica» redatta il 3 novembre 2009 dal dottor Re. e conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010, da cui parimenti risulta l’esistenza di disturbi di reazione ad un conflitto di natura professionale. A seguito della relazione redatta dal dottor Re. il 3 novembre 2009, il medico del PMO ha descritto la malattia professionale del ricorrente come consistente in «disturbi ansiodepressivi rientranti nell’ambito di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche» e ha valutato al 10% il conseguente tasso di invalidità. Il complesso di tali conclusioni e referti clinici è stato comunicato alla commissione di invalidità.

44      Con lettera del 1° giugno 2010 inviata al segretario generale del Comitato delle regioni, il dottor T., medico designato dal Comitato delle regioni, ha affermato che la commissione di invalidità si era riunita il giorno stesso e aveva chiesto comunicazione della relazione dell’OLAF e della relazione d’indagine amministrativa, precisando che la commissione avrebbe ripreso i propri lavori una volta presa conoscenza di tali documenti.

45      I tre membri della commissione di invalidità si sono nuovamente riuniti il 2 luglio 2010. La commissione di invalidità ha concluso, a maggioranza – solo i dottori T. e O. hanno firmato tali conclusioni – che l’invalidità del ricorrente non risultava da una malattia professionale (in prosieguo: le «conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità»). Il dottor Go., medico designato d’ufficio per conto del ricorrente, ha firmato conclusioni separate, anch’esse in data 2 luglio 2010, concludendo che l’invalidità del ricorrente risultava da una malattia professionale.

46      Nel corso di una riunione del 10 settembre 2010, l’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni, nella sua qualità di APN, ha «ratificato [le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità] secondo [le quali l’]invalidità [del ricorrente] non risulta[va] da una malattia professionale ai sensi dell’articolo 78, [quinto comma], dello Statuto». Tale decisione (in prosieguo: la «decisione del 10 settembre 2010» o la «decisione impugnata») è stata comunicata al ricorrente con lettera del 12 ottobre 2010, ricevuta il 22 ottobre 2010.

47      In una relazione medica di sintesi relativa alla questione dell’origine della malattia da cui deriva l’invalidità del ricorrente, trasmessa dal dottor T. al dottor Go. con lettera del 16 settembre 2010 (in prosieguo: la «relazione della commissione di invalidità»), i dottori T. e O. hanno precisato che, nel corso della riunione del 1° giugno 2010, la commissione di invalidità aveva preso conoscenza delle risposte ai quesiti posti al Comitato delle regioni e delle conclusioni espresse dal medico del PMO, il 20 novembre 2008 e l’11 febbraio 2010, e che «[l]’esame [di detti] documenti [aveva dimostrato] che l’accettazione [da parte del PMO] dell’origine professionale [era] fondata unicamente sulle parole del paziente». Inoltre, nella relazione della commissione di invalidità si afferma che «nell’esame psicologico[, mediante] test che rendono oggettivi i sintomi, le scale cliniche si [rivelavano] tutte largamente superiori alla norma[; che ] ciò evidenzia un eccesso sospetto di mancanza di sincerità», precisandosi che «[g]li antecedenti psicopatologici [del ricorrente] sono comparsi ben prima che egli occupasse il posto di revisore dei conti interno». Si asserisce altresì, nella relazione della commissione di invalidità che, in occasione della revisione del 2 luglio 2010, la commissione di invalidità ha esaminato la relazione dell’OLAF e ha concluso che essa non conteneva «alcuna descrizione di minacce, di att[i] intimidatori o di molestie psicologiche nei confronti [del ricorrente]». Infine, secondo la relazione della commissione di invalidità, «nel corso dell’indagine amministrativa interna condotta [dal Comitato delle regioni, il ricorrente] non ha fornito alcun esempio dei fatti di cui sarebbe stato (…) vittima».

48      L’ultimo paragrafo della relazione della commissione di invalidità precisa infine che «[m]entre il [dottor Go.] si dice convinto che l’invalidità sia di origine professionale, i [dottori T. e O.], malgrado i loro sforzi nella ricerca della verità, non trovano elementi, salvo quanto possa emergere in una successiva discussione, per esprimersi nello stesso senso».

49      Il dottor Go., incaricato d’ufficio a rappresentare il ricorrente in seno alla commissione di invalidità, aveva dal canto suo già considerato, in una relazione del 13 settembre 2010 (in prosieguo: la «relazione del dottor Go.»), trasmessa ai dottori T. e O. nel corso del mese di ottobre seguente, che l’invalidità del ricorrente era di origine professionale. In particolare, in tale relazione, il dottor Go. ha ricordato che «l’articolo 78 [dello Statuto] è una copertura c.d. previdenziale d[el] funzionario, [il quale] non deve dimostrare la responsabilità del suo datore di lavoro per poterne beneficiare» e ha citato in particolare estratti della relazione dell’OLAF e della risoluzione del Parlamento sul discarico nonché numerose relazioni cliniche figuranti nel fascicolo, ritenendo che, anche se tali relazioni cliniche «non hanno [un] valore vincolante», esse hanno «indiscutibilmente [un valore] indicativo». Orbene, tutti questi pareri medici, che occorreva seguire, precisavano, secondo il dottor Go., che i problemi di salute del ricorrente erano stati causati dalle molestie psicologiche e dalle pressioni subite in un contesto professionale.

50      Con lettera del 21 gennaio 2011, il ricorrente ha presentato, sul fondamento dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, un reclamo diretto contro la decisione del 10 settembre 2010. Con il suo reclamo, il ricorrente ha altresì chiesto, sul fondamento dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, il versamento di EUR 10 000 a titolo di risarcimento del danno morale e il rimborso di tutte le spese connesse alla procedura di invalidità.

51      Con decisione del 20 maggio 2011, ricevuta dal ricorrente il 1° giugno 2011, l’APN ha respinto il reclamo (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»).

 Procedimento e conclusioni delle parti

52      Con lettera del 26 luglio 2012, la cancelleria del Tribunale ha reso noto al ricorrente che il Tribunale intendeva attribuirgli l’anonimato d’ufficio. Il ricorrente ha risposto, il 16 agosto 2012, che egli non desiderava beneficiare dell’anonimato.

53      Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione del 10 settembre 2010 nella parte in cui l’APN ha negato il riconoscimento, ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto, dell’origine professionale della malattia da cui deriva la sua invalidità;

–        per quanto necessario, annullare la decisione di rigetto del reclamo;

–        condannare il Comitato delle regioni al pagamento di una somma di EUR 10 000 a titolo di risarcimento del danno morale;

–        condannare il Comitato delle regioni al rimborso di tutte le sue spese connesse alla procedura di invalidità a partire dall’avvio della stessa, ivi comprese quelle connesse al reclamo;

–        condannare il Comitato delle Regioni alle spese.

54      Il Comitato delle regioni conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

1.     Sull’oggetto del ricorso

55      Secondo una giurisprudenza costante, una domanda di annullamento formalmente diretta contro la decisione di rigetto di un reclamo ha l’effetto, nel caso in cui tale decisione sia priva di contenuto autonomo, di investire il Tribunale dell’atto contro il quale il reclamo è stato presentato (v., in questo senso, sentenza della Corte del 17 gennaio 1989, Vainker/Parlamento, 293/87, punto 8).

56      Nella fattispecie, la decisione di rigetto del reclamo conferma la decisione impugnata precisandone la motivazione a sostegno. In un caso del genere, è appunto la legittimità dell’atto iniziale arrecante pregiudizio che dev’essere esaminata prendendo in considerazione la motivazione figurante nella decisione di rigetto del reclamo, motivazione che si presuppone coincida con tale atto (sentenza del Tribunale del 18 aprile 2012, Buxton/Parlamento, F‑50/11, punto 21, e giurisprudenza ivi citata).

57      Di conseguenza, la domanda di annullamento della decisione di rigetto del reclamo è priva di contenuto autonomo e il ricorso dev’essere considerato diretto contro la decisione impugnata la cui motivazione è precisata dalla decisione di rigetto del reclamo (v., in questo senso, sentenza del Tribunale di primo grado del 10 giugno 2004, Eveillard/Commissione, T‑258/01, punti 31 e 32).

2.     Sulla domanda di annullamento

58      A sostegno della sua domanda di annullamento, il ricorrente deduce tre motivi:

–        il primo, relativo all’inosservanza della procedura e alla violazione della collegialità;

–        il secondo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, all’errore manifesto di valutazione, alla violazione dell’articolo 78, quinto comma, della Statuto e del mandato della commissione di invalidità nonché della nozione di malattia professionale:

–        il terzo, relativo alla violazione del dovere di sollecitudine, ad uno sviamento di potere e all’irregolarità della procedura.

 Sul primo motivo, relativo all’inosservanza della procedura e alla violazione della collegialità

 Argomenti delle parti

59      Il ricorrente sostiene che l’APN si sarebbe pronunciata, il 10 settembre 2010, sulla base delle conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, le quali non sarebbero state definitive e sarebbero state irregolari, in quanto redatte anteriormente alla relazione della commissione di invalidità, da una parte, e a quella del dottor Go., dall’altra. Le relazioni di cui trattasi sarebbero stare redatte, firmate, poi rispettivamente comunicate il 16 settembre 2010 e nel corso del mese di ottobre 2010, ossia dopo l’adozione della decisione impugnata, il 10 settembre 2010. Ne risulterebbe un pregiudizio alla collegialità dei lavori della commissione di invalidità.

60      Il Comitato delle regioni ritiene che la commissione di invalidità abbia compiuto i propri lavori in maniera collegiale, dato che ciascuno dei suoi membri ha avuto l’occasione di far valere utilmente il suo punto di vista. Peraltro, il ricorrente non contesterebbe la realtà degli scambi fra i tre medici in occasione delle riunioni della commissione di invalidità avvenute il 1° giugno e il 2 luglio 2010. Nessuna norma giuridica osterebbe, del resto, a che i medici redigano le loro relazioni, se del caso, dopo aver presentato le loro conclusioni all’APN.

 Giudizio del Tribunale

61      Risulta da una giurisprudenza costante che la commissione di invalidità deve compiere i propri lavori in maniera collegiale, mentre ciascuno dei suoi membri dev’essere posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista (v., in questo senso, sentenze del Tribunale di primo grado del 22 novembre 1990, V./Parlamento, T‑54/89, punto 34, e del 27 febbraio 2003, Camacho‑Fernandes/Commissione, T‑20/00, punti 45 e segg.).

62      Nella fattispecie, risulta dai documenti del fascicolo che i tre membri della commissione di invalidità, i dottori T., Go. e O., si sono riuniti il 1° giugno e il 2 luglio 2010 e che essi hanno discusso e scambiato i rispettivi pareri sull’origine dell’invalidità del ricorrente. Il dottor Go., rappresentante del ricorrente, ha del resto confermato, nella sua relazione, di aver potuto esprimere il proprio parere nell’ambito delle riunioni della commissione di invalidità, precisando che egli «mant[eneva] fermamente la sua opinione positiva».

63      Pertanto, i membri della commissione di invalidità, dopo aver avuto accesso a tutta la documentazione medica e non medica del fascicolo del ricorrente e, in particolare, alla relazione dell’OLAF e alla risoluzione sul discarico del Parlamento, hanno potuto far valere utilmente il loro punto di vista quanto all’origine dell’invalidità del ricorrente e, pertanto, la commissione di invalidità ha compiuto i propri lavori in maniera collegiale.

64      D’altro canto, tale constatazione non è rimessa in discussione per il semplice fatto che la relazione della commissione di invalidità e la relazione del dottor Go. siano state redatte e scambiate dopo che la commissione di invalidità ha adottato le sue conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità. Infatti, i medici di una commissione di invalidità possono perfettamente giungere a determinate conclusioni a seguito delle loro discussioni collegiali orali e redigere la loro relazione, se del caso, successivamente, poiché quest’ultima non è un requisito essenziale per la validità delle deliberazioni di una siffatta commissione (v., per analogia, sentenze della Corte del 10 dicembre 1987, Jänsch/Commissione, 277/84, e del 19 giugno 1992, V./Parlamento, C‑18/91 P, punto 20).

65      Inoltre, risulta dall’articolo 9 dell’allegato II dello Statuto che devono essere trasmesse all’APN e al funzionario interessato le conclusioni della commissione di invalidità. Per contro, i lavori della commissione di invalidità sono segreti, in ragione della loro natura, del loro contenuto e delle loro implicazioni di origine medica, e non possono essere comunicati né all’APN né al funzionario interessato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale di primo grado del 3 giugno 1997, H/Commissione, T‑196/95, punto 95, sentenza del Tribunale del 6 novembre 2012, Marcuccio/Commissione, F‑41/06 RENV, punto 151, che forma oggetto di impugnazione pendente dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, causa T‑20/13 P). Orbene, la relazione medica di sintesi che la commissione di invalidità redige a sostegno delle sue conclusioni fa parte dei «lavori» di quest’ultima e non è dunque comunicata né all’APN né direttamente al funzionario interessato. Tale relazione medica figura nel fascicolo clinico del funzionario interessato, al quale quest’ultimo ha accesso conformemente all’articolo 26 bis dello Statuto.

66      Pertanto, occorre distinguere le conclusioni della commissione di invalidità, che debbono necessariamente essere comunicate all’APN prima che quest’ultima adotti una decisione, dalle analisi e dalle considerazioni mediche, contenute, se del caso, nella relazione o nelle relazioni mediche di sintesi della commissione di invalidità o di taluni dei suoi membri, che figurano nel fascicolo clinico del funzionario interessato ma che non sono comunicate all’APN.

67      Da quanto precede risulta che la commissione di invalidità, riunita nel contesto di una procedura diretta al riconoscimento, ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto, dell’origine professionale dell’invalidità da cui sarebbe affetto l’interessato, non è tenuta a redigere, all’attenzione dell’APN e prima dell’adozione della decisione amministrativa di quest’ultima, una relazione medica di sintesi che menzioni i suoi lavori, e l’APN non può, in ogni caso, aver accesso a detta relazione che è soggetta infatti alla segretezza dei lavori della commissione di invalidità.

68      Nella fattispecie, in esito alla seconda riunione, tenutasi a Bruxelles (Belgio) il 2 luglio 2010 in presenza dei tre membri della commissione di invalidità, solo i dottori T. e O. hanno firmato, lo stesso giorno, le conclusioni sull’origine dell’invalidità nelle quali viene precisato che l’invalidità del ricorrente non derivava da una malattia professionale. Il dottor Go., rappresentante del ricorrente, che non condivideva tali conclusioni, ha di conseguenza, lo stesso 2 luglio 2010, firmato conclusioni separate (v. punto 45 della presente sentenza). È pacifico che le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità sono state trasmesse all’APN, che le ha ratificate con la decisione del 10 settembre 2010. il fatto che, in seguito, la relazione della commissione di invalidità, da una parte, e quella del dottor Go., dall’altra, siano state redatte e comunicate, rispettivamente, la prima al dottor Go. e la seconda agli altri due membri della commissione di invalidità successivamente all’adozione della decisione del 10 settembre 2010 non vizia di irregolarità quest’ultima per inosservanza del principio di collegialità. Così come si è concluso al punto 63 della presente sentenza, i membri della commissione di invalidità hanno avuto l’occasione di far valere il rispettivo punto di vista durante tutto il corso della procedura in seno alla commissione di invalidità e in ogni caso in occasione dell’ultima riunione di quest’ultima, il 2 luglio 2010, in esito alla quale i dottori T. e O., dal canto loro, hanno adottato, con due voti su tre, le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, le sole che dovessero essere comunicate all’APN.

69      Si deve pertanto respingere il primo motivo in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, all’errore manifesto di valutazione, alla violazione dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto, alla violazione del mandato della commissione di invalidità nonché alla violazione della nozione di malattia professionale

70      Il secondo motivo contiene, in sostanza, quattro parti distinte. Nell’ambito della prima parte del motivo, il ricorrente fa valere una violazione dell’obbligo di motivazione. Nella seconda, egli contesta alla commissione medica il fatto di aver manifestamente tenuto in non cale gli elementi del fascicolo amministrativo e clinico. Nella terza, egli fa valere una violazione del mandato della commissione di invalidità. Nella quarta, egli contesta alla commissione di invalidità il fatto di non aver rispettato la nozione di malattia professionale.

 Sulla prima parte del secondo motivo, relativa alla violazione dell’obbligo di motivazione

–       Argomenti delle parti

71      Il ricorrente sostiene che spetta alla commissione di invalidità, nell’ambito del potere discrezionale di cui essa dispone in materia medica, motivare il suo parere in maniera tale che possa essere verificato che esiste un nesso comprensibile tra i suoi accertamenti clinici e le sue conclusioni. Tale obbligo di motivazione sarebbe particolarmente importante qualora esistano divergenze tra il parere della commissione di invalidità e talune relazioni mediche anteriori.

72      Nella fattispecie, la commissione di invalidità avrebbe dovuto spiegare per quali motivi essa intendesse scostarsi dalle considerazioni cliniche dei periti medici che erano stati consultati, su richiesta del PMO, nell’ambito della procedura avviata da quest’ultimo ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e ciò tanto più in quanto essa ha atteso l’esito di tale procedura prima di pronunciarsi appunto sull’origine dell’invalidità del ricorrente.

73      Secondo il ricorrente, la relazione della commissione di invalidità non conterrebbe alcuna motivazione né spiegazione delle ragioni che hanno indotto la citata commissione a scostarsi, a fortiori senza procedere ad alcun vero e proprio esame clinico del suo caso, dalla decisione del PMO del 9 gennaio 2009, che riconosceva l’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto né da tutte le altre relazioni mediche che mostrerebbero l’esistenza di una situazione di unanimità sul piano medico quanto all’origine professionale dell’invalidità del ricorrente.

74      La menzione, figurante nella relazione della commissione di invalidità, secondo la quale «l’accettazione dell’origine professionale [nell’ambito del riconoscimento della malattia professionale ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto] [sarebbe] fondata unicamente sulle parole del paziente» non potrebbe bastare a motivare le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, che escludevano l’origine professionale dell’invalidità del ricorrente. In definitiva, il parere emesso dalla commissione di invalidità secondo il quale l’invalidità del ricorrente non deriva da una malattia professionale sarebbe incomprensibile.

75      Il Comitato delle regioni sostiene che non è necessario che la relazione di una commissione di invalidità sia, sotto il profilo formale, un modello di redazione. Basta che essa presenti un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici e le conclusioni alle quali giunge la commissione di invalidità.

76      Il riconoscimento di un’invalidità permanente anche totale ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto non pregiudicherebbe in nessun modo l’applicazione dell’articolo 78 dello Statuto e, di conseguenza, non può parlarsi di una qualsiasi contraddizione tra le conclusioni adottate nell’ambito della procedura dell’articolo 73 dello Statuto e quelle adottate nell’ambito dell’articolo 78 dello Statuto.

77      Infine, secondo il Comitato delle regioni, la commissione di invalidità avrebbe comunque spiegato per quale motivo essa si era scostata dalla decisione del PMO, del 2 gennaio 2009, che riconosceva l’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto affermando che le cause dell’invalidità si trovavano al di fuori delle condizioni lavorative del ricorrente. Il Comitato delle regioni fa riferimento ad estratti di diverse relazioni mediche e alla relazione della commissione di invalidità, la quale farebbe riferimento alla struttura della personalità del ricorrente precisando che «nell’esame psicologico[, mediante] test che rendono oggettivi i sintomi, le scale cliniche si rivelano tutte largamente superiori alla norma[; che] ciò evidenzia un eccesso sospetto di mancanza di sincerità». Le valutazioni contenute in questi diversi estratti spiegherebbero il nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici e le conclusioni della commissione di invalidità.

–       Giudizio del Tribunale

78      In via preliminare, si deve ricordare che lo scopo perseguito dalle disposizioni dello Statuto relative alla commissione di invalidità è quello di affidare a periti medici la valutazione definitiva di tutte le questioni di ordine sanitario, che nessuna APN, a causa della sua composizione amministrativa interna, potrebbe operare. In tale contesto, il sindacato giurisdizionale non può estendersi alle valutazioni mediche in senso proprio, che vanno considerate definitive qualora esse siano state operate in condizioni regolari. Per contro, il sindacato giurisdizionale può essere esercitato sulla regolarità della costituzione e del funzionamento della commissione di invalidità nonché su quella dei pareri che quest’ultima emette. Sotto tale aspetto, il Tribunale è competente a verificare se il parere presenti una motivazione che consenta di valutare le considerazioni sulle quali sono fondate le conclusioni che esso contiene e se esso abbia stabilito un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici in esso contenuti e le conclusioni alle quali perviene la commissione d’invalidità interessata (sentenze del Tribunale di primo grado del 27 febbraio 1992, Plug/Commissione, T‑165/89, punto 75, e del 23 novembre 2004, O/Commissione, T‑376/02, punto 29, e giurisprudenza ivi citata).

79      Sulla base di questa giurisprudenza costante, occorre innanzitutto constatare, in relazione al caso di specie, che le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, ratificate dall’APN nella decisione del 10 settembre 2010, si limitano ad affermare che l’invalidità del ricorrente «non risulta da una malattia professionale» senza fornire una qualsiasi spiegazione a giustificazione di tale affermazione.

80      Tuttavia, secondo la giurisprudenza, qualora l’amministrazione abbia fornito, nella sua risposta al reclamo, per giustificare la sua decisione, una spiegazione esplicita relativa al singolo caso, si presume che tale motivazione coincida con la decisione di diniego e deve quindi essere considerata come un elemento di informazione pertinente per valutare la legittimità di tale decisione (sentenza del Tribunale di primo grado del 9 dicembre 2009, Commissione/Birkhoff, T‑377/08 P, punti 55 e 56, e giurisprudenza ivi citata).

81      Orbene, nel caso di specie, l’APN precisa, nella decisione di rigetto del reclamo, in primo luogo, che essa «è tenuta a rispettare gli accertamenti di ordine medico (…) a meno che [non possano] essere rilevati vizi di forma o un nesso non comprensibile tra le conclusioni della commissione e i dati clinici che hanno portato a tali conclusioni». In secondo luogo, l’APN ritiene che «il carattere sufficiente della motivazione debba essere valutato in relazione alle circostanze del caso di specie e quindi alla luce non solo della sua formulazione letterale ma del contesto di fatto e di diritto nel quale si inserisce l’adozione dell’atto, del contenuto dell’atto e della natura della motivazione fatta valere». In terzo luogo, l’APN considera che «la questione di stabilire se l’origine della malattia [da cui risulta l’invalidità] si trovi in un fatto anziché in un altro è una questione scientifica e non amministrativa o giuridica».

82      Fatte queste premesse, nella decisione di rigetto del reclamo, l’APN precisa di aver chiesto al dottor T. di voler «confermare che le conclusioni della commissione di invalidità [fossero effettivamente] corroborate da dati clinici e amministrativi [facenti] parte [del] fascicolo clinico». Per questo fatto, l’APN considerava, sempre ai termini della decisione di rigetto del reclamo, «di essersi accertata (…) che la commissione di invalidità [aveva] effettivamente avuto cura di spiegare nella sua relazione le ragioni per le quali essa ha ritenuto, dal punto di vista medico, che non fosse ipotizzabile il riconoscimento dell’origine professionale, anche parziale, dell’invalidità del [ricorrente] ai sensi dell’articolo 78, [paragrafo] 5, dello Statuto». La decisione di rigetto del reclamo precisa inoltre che il dottor T. ha risposto all’APN, in data non precisata, che «le conclusioni della commissione di invalidità [secondo le quali l’invalidità] non risulta[va] da una malattia professionale [erano] suffragate [da] dati clinici e amministrativi [facenti] parte del fascicolo clinico dell’interessato, e cioè: uno studio clinico del caso e degli antecedenti medici [del ricorrente]; conclusioni cliniche personali dei medici; lo studio delle relazioni mediche, dei risultati delle perizie e dei test specialistici; l’analisi dei documenti amministrativi ufficiali».

83      Tuttavia, malgrado la risposta fornita all’APN dal dottor T., risposta che, come si è appena ricordato, è menzionata nella decisione di rigetto del reclamo, si deve necessariamente constatare che tutti i dati clinici e, salvo una eccezione, tutti i documenti amministrativi menzionati dal dottor T. suffragano, con il loro contenuto, la conclusione inversa secondo la quale la malattia da cui risulta l’invalidità del ricorrente ha un’origine professionale.

84      A questo proposito, le constatazioni di fatto che consentono di fondare una siffatta conclusione sono tre.

85      Innanzitutto, occorre ricordare che, qualora la commissione di invalidità sia investita di questioni di ordine medico complesse riferentisi al nesso di causalità esistente tra il disturbo da cui è affetto l’interessato e l’esercizio della sua attività lavorativa presso un’istituzione, sta ad essa, in particolare, indicare gli elementi del fascicolo sui quali essa si basa e precisare, in caso di divergenze significative, le ragioni per le quali essa si scosta da talune relazione mediche, anteriori e pertinenti, più favorevoli all’interessato (sentenza del Tribunale di primo grado del 15 dicembre 1999, Latino/Commissione, T‑300/97, punti 77 e 78; sentenza del Tribunale dell’11 maggio 2011, J/Commissione, F‑53/09, punto 92, e giurisprudenza ivi citata).

86      D’altro canto, anche se una commissione di invalidità, adita in applicazione dell’articolo 78 dello Statuto, può giungere a conclusioni diverse da quelle adottate dalla commissione medica adita ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto (sentenza J/Commissione, cit., punti da 56 a 61), nondimeno, qualora, come nel caso di specie, la commissione di invalidità investita del caso dell’interessato abbia inteso attendere il risultato della procedura condotta ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, essa è tenuta ad esporre le ragioni che l’hanno indotta a scostarsi dalle valutazioni contenute nelle relazioni mediche che hanno consentito il riconoscimento dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e a specificare le dette ragioni, in maniera chiara e comprensibile (v., in questo senso, sentenza del Tribunale del 14 settembre 2010, AE/Commissione, F‑79/09, punti 66, 67 e 72), vuoi nelle sue conclusioni comunicate all’APN, vuoi nella sua relazione medica di sintesi redatta eventualmente in seguito.

87      Nella fattispecie – ed è la prima delle tre constatazioni di fatto che consentono di affermare che i dati clinici e i documenti amministrativi menzionati dal dottor T. suffragano la conclusione che la malattia da cui risulta l’invalidità del ricorrente è di origine professionale – risulta dal fascicolo sottoposto al Tribunale che le relazioni mediche esaminate nel contesto della procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e di cui la commissione di invalidità disponeva quando ha adottato le sue conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, ossia almeno dieci relazioni mediche (e cioè le relazioni ospedaliere del 16 gennaio 2006, la relazione del professor D.M. del 16 ottobre 2006, la relazione del dottor Ra. del 26 ottobre 2006, la relazione del medico del PMO dell’8 maggio 2008, la relazione del dottor Ra. del 18 settembre 2008, le conclusioni del medico del PMO del 20 novembre 2008, la relazione del dottor D. del 12 agosto 2009, la relazione del dottor Me. del 17 ottobre 2009, la relazione del dottor Re. del 3 novembre 2009 e le conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010) hanno messo in rilievo, per citare solo alcuni passaggi a mo’ d’esempio, che il ricorrente aveva formato oggetto di una messa al bando intenzionale e organizzata, di trattamenti malevoli, di un conflitto professionale che ha provocato un «burn-out», di condizioni di lavoro psichicamente logoranti, di frustrazioni e di un grave conflitto di ordine amministrativo equivalente a molestie psicologiche.

88      Orbene, riguardo alle constatazioni contenute nelle relazioni mediche menzionate al punto precedente, si deve rilevare che la commissione di invalidità, nella sua relazione, ha affermato, da una parte, che le conclusioni del medico del PMO del 20 novembre 2008 e dell’11 febbraio 2010 «fondav[ano] l’accettazione dell’origine professionale della malattia» ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto solo sulle «parole del paziente», e, dall’altra, che «nell’esame psicologico[, mediante] test che rendono oggettivi i sintomi, le scale cliniche si rivelano tutte largamente superiori alla norma[; che] ciò evidenzia un eccesso sospetto di mancanza di sincerità».

89      Tuttavia, l’affermazione secondo la quale il riconoscimento dell’origine professionale della malattia del ricorrente da parte del PMO era fondata sulle «parole del ricorrente» non consente, anche ove la si supponesse fondata, di comprendere perché la commissione di invalidità si sia scostata dalle dieci relazioni mediche anteriori, né soprattutto su quali elementi essa si sia basata per affermare, a differenza delle relazioni mediche e amministrative a sua disposizione, che l’invalidità del ricorrente non era di origine professionale (v., in questo senso, sentenze del Tribunale di primo grado del 15 dicembre 1999, Nardone/Commissione, T‑27/98, punti da 95 a 98, e del 27 giugno 2000, Plug/Commissione, T‑47/97, punti 117 e 118).

90      Inoltre, l’affermazione secondo la quale «nell’esame psicologico[, mediante] test che rendono oggettivi i sintomi del paziente, le scale cliniche si rivelano tutte largamente superiori alla norma» e che «ciò evidenzia un eccesso sospetto di mancanza di sincerità», appare ambigua e difficilmente comprensibile.

91      Se si dovesse dedurne che, secondo gli autori della relazione della commissione di invalidità, il ricorrente avrebbe mentito o esagerato i suoi sintomi e sarebbe quindi riuscito ad eludere la vigilanza di parecchi esperti e a falsare i risultati di parecchi test psicologici, in tal caso occorrerebbe constatare che una siffatta affermazione continua a non spiegare però perché la commissione di invalidità sia giunta alla conclusione che l’invalidità non poteva essere di origine professionale, neppure parzialmente (v., in questo senso, sentenze del 27 febbraio 1992, Plug/Commissione, cit., punto 81, e O/Commissione, cit., punti 70 e 73; sentenza J/Commissione, cit., punto 93). In ogni caso, se tale fosse il senso della frase, essa sarebbe in contraddizione con il verbale del 23 maggio 2007, secondo il quale «gli aspetti dettagliati [della personalità del ricorrente] si rivelano all’[esame psicologico mediante test che rendono oggettivi i sintomi; le] scale di validità dimostrano la sua collaborazione sincera[; le] scale sintomatiche, tutte elevate, sono particolarmente probanti nel campo della psicosi».

92      Se si dovesse, invece, dedurre da tale affermazione che, secondo la commissione di invalidità, i risultati del test psicologico praticato sul ricorrente non sarebbero affidabili, occorrerebbe allora rilevare che, in presenza di dieci relazioni mediche anteriori e di parecchi documenti ufficiali concordanti, del resto espressamente richiesti dalla commissione di invalidità prima di potersi pronunciare sull’origine professionale dell’invalidità del ricorrente, spettava alla commissione di invalidità accertarsi di disporre di tutti i dati necessari ai fini dell’espletamento del suo compito e, in particolare, chiedere che un nuovo test psicologico fosse effettuato (v., in questo senso, sentenze Latino/Commissione, cit., punto 70). Orbene, la commissione di invalidità non ha chiesto alcun test psicologico integrativo.

93      L’affermazione della commissione di invalidità secondo la quale «ciò evidenzia un eccesso sospetto di mancanza di sincerità» rimane pertanto ambigua, difficilmente comprensibile e contraddittoria e, pertanto, non consente al Tribunale di verificare l’esistenza di un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici della commissione di invalidità e le sue conclusioni, né di valutare le considerazioni sulle quali tali conclusioni sono fondate.

94      Per quanto riguarda d’altro canto la considerazione, figurante nella relazione della commissione di invalidità, secondo la quale «[g]li antecedenti psicopatologici [del ricorrente] sono comparsi ben prima che egli ricoprisse la funzione di revisore dei conti interno», si deve necessariamente constatare – e questa è la seconda delle tre constatazioni di fatto che consentono di affermare che i dati clinici e i documenti amministrativi menzionati dal dottor T. nella sua risposta all’APN suffragano la conclusione che la malattia da cui risulta l’invalidità del ricorrente è di origine professionale – che una considerazione del genere è stata espressa senza essere seguita da alcuna analisi né conclusione e che, in ogni caso, essa non è sufficiente per spiegare per quali motivi i numerosi esami medici e i fatti figuranti nelle relazioni mediche e amministrative non potessero suffragare, in tutto o in parte, l’origine professionale dell’invalidità del ricorrente.

95      Inoltre, se tale frase dovesse essere intesa nel senso che il ricorrente era già affetto da una malattia prima di assumere le sue funzioni di revisore dei conti interno, questa sola constatazione non basterebbe per non tener conto, nell’esame dell’origine dell’invalidità del ricorrente, dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto, dato che la malattia professionale può consistere nell’aggravamento di una malattia preesistente la cui origine risieda altrove (sentenza O/Commissione, cit., punti 67 e 68).

96      Per quanto riguarda, infine, la terza delle constatazioni di fatto, la commissione di invalidità cita un estratto della risoluzione del Parlamento sul discarico che denunciava appunto le «molestie psicologiche individuali e istituzionali» nei confronti del ricorrente, ma non lo sottopone ad alcun esame e non ne trae alcuna conseguenza. Orbene, in un caso, come quello in esame, in cui viene asserita l’esistenza di un conflitto professionale tra il ricorrente e la sua gerarchia nonché di un ambiente di lavoro ostile a quest’ultimo, non soltanto nelle dieci relazioni mediche ma anche nei tre documenti ufficiali provenienti da istituzioni o da organi di controllo esterni, come la risoluzione sul discarico del Parlamento, la relazione della Cocobu e la relazione dell’OLAF – quando invece è generalmente difficile produrre elementi di prova scritti per dimostrare l’esistenza di trattamenti malevoli da parte di superiori gerarchici – la commissione di invalidità era tenuta a motivare con chiarezza e precisione la sua decisione di non tener conto degli elementi di cui sopra, il che non è avvenuto nel caso di specie.

97      In definitiva, risulta da quanto precede che, da un lato, la commissione di invalidità non ha dato spiegazioni sufficienti, sul piano giuridico, quanto alle ragioni che l’hanno indotta a scostarsi dalle relazioni mediche anteriori che attestano chiaramente l’origine professionale della malattia del ricorrente e, dall’altro, che essa non ha neppure sufficientemente spiegato per quali motivi l’origine dell’invalidità del ricorrente non potesse essere professionale, anche solo in parte. A questo proposito, la commissione di invalidità non ha in particolare fornito alcuna spiegazione al fatto che essa non ha preso in considerazione la risoluzione del Parlamento sul discarico, la quale menziona tuttavia chiaramente un grave conflitto professionale e «molestie psicologiche» nei confronti del ricorrente.

98      Pertanto, non avendo dimostrato un nesso comprensibile tra gli accertamenti clinici della commissione di invalidità e le conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità, la relazione della commissione di invalidità contiene al riguardo una motivazione insufficiente che inficia le conclusioni summenzionate trasmesse all’APN nonché la decisione impugnata. Va pertanto accolta la prima parte del secondo motivo.

 Sulla seconda parte del secondo motivo, relativa all’errore manifesto di valutazione

–       Argomenti delle parti

99      Il ricorrente ritiene che la valutazione figurante nella relazione della commissione di invalidità, secondo la quale «l’accettazione dell’origine professionale [nel contesto del riconoscimento della malattia professionale ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto] è fondata unicamente sulle parole del paziente», sia manifestamente erronea. Le conclusioni del medico del PMO si baserebbero al contrario su relazioni mediche e documenti ufficiali.

100    Inoltre, le asserzioni della commissione di invalidità secondo le quali il ricorrente non sarebbe «stato in grado di spiegare chiaramente all’OLAF a quale tipo di pressioni egli avesse l’impressione di essere stato sottoposto» sarebbero manifestamente errate. Analogamente, le affermazioni della commissione di invalidità secondo le quali «dopo aver letto la relazione dell’OLAF (…) i membri della [c]ommissione di invalidità [hanno constatato] che tale relazione non contiene[va] alcuna descrizione di minacce, di att[i] intimidatori o [di] molestie psicologiche ne confronti [del ricorrente]» e che «nel corso dell’indagine amministrativa interna (…), [il ricorrente] non ha fornito alcun esempio dei fatti di cui sarebbe stato vittima, malgrado le insistenze espresse degli inquirenti» terrebbero manifestamente in non cale gli elementi del fascicolo amministrativo e clinico. La relazione dell’OLAF non si limiterebbe a riportare le dichiarazioni del ricorrente, ma accerterebbe gli atti configuranti molestie psicologiche e di intimidazione nei suoi confronti. La risoluzione del Parlamento europeo sul discarico, che è un atto che produce effetti giuridici vincolanti, richiedeva che il Comitato delle regioni presentasse delle scuse al ricorrente e lo tutelasse contro gli atti configuranti molestie psicologiche. Il Parlamento avrebbe infatti proceduto ad una propria indagine, grazie alle attività della Cocobu, e avrebbe istruito il fascicolo. Il ricorrente sottolinea che una siffatta risoluzione costituisce quanto meno uno degli elementi che dimostrano le condizioni lavorative anomale e fortemente conflittuali alle quali egli sarebbe stato soggetto.

101    Il Comitato delle regioni fa valere che la relazione dell’OLAF non aveva per oggetto l’accertamento dell’esistenza di fatti configuranti molestie psicologiche nei confronti del ricorrente, ma un’indagine su eventuali irregolarità finanziarie a danno del bilancio dell’Unione. Le citazioni estratte dalla relazione dell’OLAF e fatte valere dal ricorrente non dimostrerebbero l’esistenza di atti intimidatori e di molestie nei suoi confronti. Si tratterebbe di critiche di carattere generale del comportamento del Comitato delle regioni nei confronti dell’esercizio della funzione di controllore finanziario e della mancanza di sostegno da parte del Comitato delle regioni nei confronti del ricorrente.

102    Il Comitato delle regioni sostiene che la risoluzione del Parlamento europeo sul discarico non avrebbe carattere vincolante e non potrebbe fornire chiarimenti concreti, precisi e concordanti quanto al nesso tra la malattia professionale e l’invalidità. Il Comitato delle regioni ammette però che la risoluzione del Parlamento sul discarico contiene critiche esplicite quanto al mancato rispetto del ruolo istituzionale del controllore finanziario.

–       Giudizio del Tribunale

103    Si deve innanzitutto ricordare che, tenuto conto del sindacato giurisdizionale limitato che il Tribunale è tenuto ad esercitare quando si tratta di valutazioni mediche in senso proprio, una censura fondata sull’errore manifesto di valutazione da cui sarebbe viziato il parere della commissione di invalidità non può essere accolta (sentenza del Tribunale del 14 settembre 2011, Hecq/Commissione, F‑47/10, punto 45, e giurisprudenza ivi citata).

104    Ricordata tale regola, risulta dalla relazione della commissione di invalidità che, dopo aver «preso conoscenza [delle conclusioni del dottor J., medico] del PMO del 20 [novembre] 2008 e (…) dell’11 [febbraio] 2010 che si pronunciava [ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto] per la presenza di una malattia professionale con un’invalidità permanente del 10%», la commissione di invalidità ha ritenuto che «[l]’esame [di detti] documenti dimostra che l’accettazione dell’origine professionale è fondata unicamente sulle parole del paziente», con le quali «i fatti sono presentati in maniera soggettiva e vantaggiosa per [la sua] immagine».

105    Orbene, la considerazione secondo la quale l’accettazione, da parte del PMO, dell’origine professionale delle malattie sarebbe «fondata unicamente sulle parole del paziente» non è, ai sensi della giurisprudenza, una valutazione medica in senso proprio e può pertanto essere assoggettata al sindacato giurisdizionale quanto alla sua portata sul piano amministrativo (v., in questo senso, sentenza Hecq/Commissione, cit., punti 96, 99 e 112).

106    A questo proposito, è indiscutibile che le conclusioni del medico del PMO del 20 novembre 2008 e dell’11 febbraio 2010 non fondano l’accettazione dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto unicamente sulle parole del ricorrente. Tali conclusioni fondano invece il riconoscimento dell’origine professionale della malattia, da una parte, su tutta una serie di relazioni mediche e, dall’altra, su documenti ufficiali figuranti nel fascicolo del ricorrente.

107    Così, innanzitutto, le conclusioni del medico del PMO del 20 novembre 2008, che riconoscono l’esistenza di una malattia professionale, sono state adottate sulla base di una relazione dello stesso medico in data 8 maggio 2008 e di un parere psichiatrico redatto, su una richiesta, dal dottor Ra. il 18 settembre 2008 e inteso appunto a «rendere oggettivo (…) lo stato psicologico» del ricorrente e a «confermare se lo stato attuale [fosse] effettivamente in rapporto causale con le attività lavorative». Inoltre, nella sua relazione dell’8 maggio 2008, il medico del PMO prende in considerazione altre sei relazioni mediche figuranti nel fascicolo del ricorrente. Quanto alle conclusioni del medico del PMO dell’11 febbraio 2010, esse si basano su una relazione di perizia psicologica stilata il 12 agosto 2009 dal dottor D., su un bollettino neuropsicologico realizzato il 17 ottobre 2009 dal dottor Me. e su una relazione psichiatrica redatta il 3 novembre 2009 dal dottor Re., documenti in cui si constata l’esistenza di disturbi di reazione ad un conflitto di ordine professionale.

108    A quest’ultimo proposito, nella sua relazione dell’8 maggio 2008, il medico del PMO fa altresì riferimento alla risoluzione del Parlamento sul discarico, di cui egli cita numerosi estratti, vertente appunto sul grave conflitto professionale e sul comportamento del Comitato delle regioni nei confronti del ricorrente. Allo stesso modo, nella relazione di perizia psicologica del 12 agosto 2009, il dottor D. precisa in particolare di aver preso conoscenza, per redigere la sua relazione, di estratti della risoluzione del Parlamento sul discarico e della relazione dell’OLAF.

109    Orbene, benché la procedura avviata ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e avente ad oggetto la determinazione dell’origine professionale della malattia del ricorrente sia giuridicamente distinta dalla procedura avviata ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto per determinare l’origine professionale dell’invalidità di quest’ultimo, nondimeno i fatti all’origine delle due procedure sono gli stessi o, comunque, quelli riguardanti l’origine della malattia fanno necessariamente parte dei fatti all’origine dell’eventuale invalidità.

110    Pertanto, l’affermazione secondo la quale l’accettazione dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto sarebbe fondata, di fatto, «unicamente sulle parole del paziente», affermazione sulla quale si basa la relazione della commissione di invalidità, è viziata da un errore manifesto di valutazione.

111    D’altro canto, rispetto alla documentazione di origine non medica che figura nel fascicolo del ricorrente, ossia la relazione dell’OLAF, la risoluzione del Parlamento sul discarico nonché la relazione della Cocobu, solo la relazione d’indagine amministrativa non menziona rapporti conflittuali tra il ricorrente e i suoi superiori gerarchici né fatti che consentano di dimostrare che il ricorrente sia stato vittima di trattamenti malevoli, se non di molestie psicologiche. Orbene, l’indagine amministrativa, di cui la commissione di invalidità cita la relazione nella sua propria relazione, aveva lo scopo di verificare, a seguito della raccomandazione in questo senso dell’OLAF, se ricorressero le condizioni per avviare un procedimento disciplinare contro diversi dipendenti del Comitato delle regioni, in primo luogo contro l’ex segretario generale. La finalità di una siffatta indagine non era pertanto quella di verificare se il ricorrente fosse stato vittima di molestie psicologiche, ai sensi dello Statuto.

112    Pertanto, occorre rilevare che, per escludere la relazione dell’OLAF, la commissione di invalidità afferma che «[n]e risulta, alla sua lettura, che [il ricorrente] non è stato in grado di spiegare chiaramente all’OLAF a quale tipo di pressioni egli avesse l’impressione di essere stato sottoposto». Orbene, tale affermazione figura, a parte un’aggiunta, nella relazione di indagine amministrativa, nella quale si dice che «[il ricorrente] non è stato in grado di spiegare chiaramente a quale tipo di pressioni egli sia stato eventualmente sottoposto», e non nella relazione dell’OLAF. Infatti, tale affermazione si riferisce al colloquio avuto dal nuovo segretario generale del Comitato delle regioni con il ricorrente, il 28 gennaio 2004, nell’ambito dell’indagine amministrativa. Il ricorrente ha del resto rifiutato di firmare il verbale di tale colloquio, considerando quest’ultimo come nullo e non avvenuto, e ha fatto osservare che, al riguardo, le conclusioni della relazione d’indagine amministrativa riguardanti i fatti non erano conformi a quelle della relazione dell’OLAF.

113    Pertanto, la commissione di invalidità non poteva, senza viziare la sua relazione per errore manifesto di valutazione, affermare che «[il ricorrente] non [era] stato in grado di spiegare chiaramente all’OLAF a quale tipo di pressione egli fosse stato sottoposto» e che «nel corso dell’indagine amministrativa interna [il ricorrente] non [aveva] fornito alcun esempio dei fatti di cui sarebbe stato vittima, malgrado le insistenze espresse degli inquirenti», mentre è pacifico che, nella sua relazione, l’OLAF ha constatato che il Comitato delle regioni aveva tentato di scoraggiare o di destabilizzare il ricorrente e che il Parlamento, nella sua risoluzione sul discarico, è giunto sino a chiedere che il Comitato delle regioni presentasse delle scuse al ricorrente a seguito, appunto, del suo comportamento nei confronti di quest’ultimo.

114    Pertanto la relazione della commissione di invalidità, per quanto riguarda la presa in considerazione della risoluzione del Parlamento sul discarico e della relazione dell’OLAF, documento da essa stessa sollecitato presso l’APN prima di prendere una posizione definitiva sull’origine dell’invalidità del ricorrente, è viziata da errore manifesto di valutazione.

115    Tenuto conto di tutto quanto precede, si deve pertanto accogliere anche la seconda parte del secondo motivo.

 Sulla terza parte del secondo motivo, relativa al mancato rispetto del mandato della commissione di invalidità

–       Argomenti delle parti

116    Il ricorrente sostiene che la commissione di invalidità avrebbe dovuto esaminare il complesso delle sue condizioni di lavoro, ivi comprese quelle che avevano potuto dar luogo ad atti di molestia nel senso medico del termine, senza quindi essere necessariamente tenuta a constatare, in termini giuridici e alle condizioni previste dall’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello Statuto, l’esistenza di molestie psicologiche.

117    Il ricorrente precisa altresì che, poiché i lavori della commissione di invalidità sono di natura medica, spetta a tale commissione pronunciarsi sull’esistenza di un rapporto diretto tra l’esercizio delle funzioni e lo stato di salute di un funzionario. I periti medici disporrebbero di un potere di valutazione esclusivo che non potrebbe essere limitato dai risultati di un’indagine amministrativa rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto. Una relazione d’indagine amministrativa costituirebbe uno degli elementi che i medici potrebbero prendere in considerazione nell’esercizio del loro potere discrezionale, senza che la loro competenza sia per questo vincolata.

118    Il Comitato delle regioni ricorda che, non essendo stata contestata la decisione di rigetto della domanda di assistenza presentata ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto, la citata decisione di rigetto è divenuta definitiva. Il Comitato delle regioni sostiene dunque che il ricorrente non potrebbe far valere una qualificazione come molestia nell’ambito di un procedimento di riconoscimento dell’origine professionale dell’invalidità ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto, mentre mai una situazione di molestia sarebbe stata riconosciuta sul piano giuridico.

–       Giudizio del Tribunale

119    Nella misura in cui la terza parte del secondo motivo possa essere intesa come relativa al fatto che la commissione di invalidità non avrebbe rispettato i termini del suo mandato quanto all’esame dell’origine dell’invalidità del ricorrente, occorre in primo luogo ricordare che spettava alla commissione di invalidità, nell’ambito del suo mandato, operare valutazioni di carattere medico, e non valutazioni di ordine giuridico, sulla questione dell’origine professionale dell’invalidità. Spettava dunque alla commissione di invalidità verificare se, dal punto di vista medico, l’invalidità del ricorrente risultasse o meno da una malattia professionale la cui origine si trovasse nelle condizioni lavorative del ricorrente (sentenza della Corte del 21 gennaio 1987, Rienzi/Commissione, 76/84, punti 9 e 12). In quest’ottica, si deve allora constatare che la commissione di invalidità ha eseguito – nel senso rigoroso del termine – il compito affidatole in quanto, nelle conclusioni del 2 luglio 2010 sull’origine dell’invalidità essa ha affermato, sia pure senza ulteriori precisazioni, che l’invalidità del ricorrente «non risulta[va] da una malattia professionale» (v. punto 45 della presente sentenza).

120    D’altro canto, nessun elemento del fascicolo dimostra che la commissione di invalidità abbia operato valutazioni di natura giuridica su fatti o circostanze legati all’origine dell’invalidità del ricorrente.

121    Pertanto, si deve respingere la terza parte del secondo motivo.

 Sulla quarta parte del secondo motivo, relativa al mancato rispetto della nozione di malattia professionale e alla violazione dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto

–       Argomenti delle parti

122    Il ricorrente sostiene che, benché le procedure e gli obiettivi degli articoli 73 e 78 dello Statuto siano diversi e benché i periti medici possano giungere a conclusioni diverse in quanto si tratta di procedure autonome, in particolare per quanto riguarda la questione dell’origine professionale della malattia, nondimeno la «malattia professionale» è definita nella stessa maniera nel contesto delle due disposizioni. Ne deriverebbe che la commissione di invalidità era vincolata da tale definizione.

123    Il Comitato delle regioni precisa di non contestare il fatto che, secondo la giurisprudenza, la definizione della nozione di «malattia professionale» è la stessa ai fini della procedura dell’articolo 73 dello Statuto e di quella dell’articolo 78 dello Statuto. Il ricorrente non dimostrerebbe tuttavia che la parte convenuta non abbia rispettato tale identità di definizione. Inoltre, secondo il Comitato delle regioni, poiché le due procedure sono diverse, esse potrebbero dar luogo a decisioni distinte, indipendenti l’una dall’altra.

–       Giudizio del Tribunale

124    Si deve ricordare, da una parte, che la nozione di «malattia professionale», utilizzata negli articoli 73 e 78 dello Statuto, è quella dell’articolo 3 della regolamentazione di copertura e, dall’altra, che tale nozione non può avere un contenuto diverso a seconda che si tratti di applicare l’articolo 73 dello Statuto o l’articolo 78 dello Statuto, anche se tali disposizioni riguardano ciascuna un regime che ha le sue proprie particolarità. Ciò non significa tuttavia che la commissione medica prevista dalla regolamentazione di copertura sia vincolata dalle valutazioni della commissione di invalidità costituita ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto e viceversa. Le due procedure possono legittimamente sfociare in risultanze mediche divergenti nei confronti della medesima fattispecie, ed in particolare per quanto riguarda la questione dell’origine professionale della malattia da cui è affetto lo stesso funzionario (sentenza J/Commissione, cit., punti da 54 a 56).

125    Di conseguenza, la mera messa in rilievo di una divergenza tra le conclusioni adottate ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e quelle della commissione di invalidità non basta a dimostrare una violazione della nozione di malattia professionale (sentenza J/Commissione, cit., punto 61).

126    Poiché il ricorrente ha sostanzialmente fatto valere, a sostegno della censura relativa al mancato rispetto della nozione di malattia professionale, solo la divergenza tra le conclusioni adottate ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto e quelle della commissione di invalidità, si deve respingere la quarta parte del secondo motivo.

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione del dovere di sollecitudine, all’esistenza di uno sviamento di potere e all’irregolarità della procedura

 Argomenti delle parti

127    Il ricorrente sostiene che la procedura che ha condotto all’adozione della decisione impugnata sarebbe irregolare a seguito, in primo luogo, del mancato rispetto di un termine ragionevole tra l’adozione, da parte della commissione di invalidità, delle conclusioni del 23 maggio 2007 sull’esistenza di un’invalidità e l’adozione da parte dell’APN, il 10 settembre 2010, della decisione impugnata. La commissione di invalidità non avrebbe avuto alcun motivo per attendere la decisione relativa alla percentuale di invalidità ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, adottata dal PMO il 2 marzo 2010, mentre la decisione relativa all’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto era stata adottata dal PMO il 9 gennaio 2009.

128    In secondo luogo, la procedura seguita dalla commissione di invalidità sarebbe irregolare a seguito degli interventi del dottor T. nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto, interventi diretti ad impedire che l’origine professionale della malattia del ricorrente fosse riconosciuta. Un siffatto comportamento dimostrerebbe un partito preso e una mancanza di imparzialità da parte del dottor T. nell’ambito dei lavori della commissione di invalidità.

129    In terzo luogo, il terzo medico, il dottor O., avrebbe rivolto al dottor T. quesiti, all’attenzione del Comitato delle regioni, vertenti su aspetti del fascicolo del ricorrente che questi avrebbe voluto suffragare con documenti sin dal loro primo incontro e dei quali il dottor O. aveva rifiutato di prendere conoscenza. I quesiti posti sarebbero stati inoltre orientati.

130    Il ricorrente sostiene infine di non aver beneficiato di alcuna sollecitudine da parte dell’APN. Pur essendo stata messa al corrente delle irregolarità della procedura svoltasi dinanzi alla commissione di invalidità, quali descritte ai punti da 127 a 129 della presente sentenza, l’APN non sarebbe intervenuta e avrebbe addirittura contribuito a tali irregolarità.

131    Per queste stesse ragioni, l’APN avrebbe commesso uno sviamento di potere.

132    Il Comitato delle regioni, dal canto suo, ritiene che il ricorrente abbia sostanzialmente contribuito alla durata della procedura la quale, in ogni caso, non sarebbe irragionevole. La commissione di invalidità poteva legittimamente attendere la conclusione della procedura avviata sulla base dell’articolo 73 dello Statuto e diretta a determinare la percentuale di invalidità, la quale è stata fissata nel marzo 2010. D’altro canto, un eventuale ritardo eccessivo non potrebbe incidere sul contenuto del parere della commissione di invalidità.

133    Il Comitato delle regioni considera, inoltre, che la procedura di riconoscimento di una malattia professionale ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto non rientra nell’ambito della presente controversia e che nulla dimostra che il dottor T. abbia commesso irregolarità nel contesto dei lavori della commissione di invalidità.

134    Infine, il dottor O. si sarebbe limitato ad utilizzare il diritto di qualsiasi membro della commissione di invalidità di chiedere informazioni integrative.

 Giudizio del Tribunale

135    Occorre in primo luogo ricordare che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nella conduzione delle procedure amministrative costituisce un principio generale del diritto dell’Unione di cui il giudice garantisce il rispetto e che è ribadito come una componente del diritto ad una buona amministrazione dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (sentenze del Tribunale di primo grado dell’11 aprile 2006, Angeletti/Commissione, T‑394/03, punto 162, e del Tribunale dell’Unione europea del 6 dicembre 2012, Füller-Tomlinson/Parlamento, T‑390/10 P, punto 115).

136    Tuttavia, la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole, anche supponendo che sia provata, non giustificherebbe l’annullamento della decisione impugnata per irregolarità della procedura. Infatti, un eventuale lasso di tempo eccessivo per la trattazione della domanda presentata dal ricorrente ai fini del riconoscimento dell’origine professionale della malattia ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto non può avere influenza, in linea di principio, sul contenuto stesso del parere della commissione di invalidità né su quello della decisione finale adottata dall’APN. Infatti, un ritardo del genere, salvo situazioni eccezionali, non potrebbe modificare la valutazione, da parte della commissione di invalidità, dell’origine professionale dell’invalidità ai sensi dell’articolo 78 dello Statuto (sentenza J/Commissione, cit., punti da 113 a 116, e giurisprudenza ivi citata). Se è vero che la durata di una procedura di ordine medico può avere un’incidenza sulla valutazione della gravità e delle conseguenze di una patologia e rendere più difficoltoso l’esame dell’eziologia di quest’ultima (sentenza AE/Commissione, cit., punto 102), nella fattispecie non è dimostrato e neppure asserito che la durata eccessiva della procedura abbia inciso sugli elementi di fondo alla luce dei quali la commissione di invalidità ha emesso le sue conclusioni. Il decorso di tempo eccessivo, anche supponendo che esso sia accertato, non può dunque pregiudicare la legittimità delle conclusioni della commissione di invalidità né, di conseguenza, quella della decisione impugnata.

137    Di conseguenza, la censura relativa al mancato rispetto del termine ragionevole, dedotta solo a sostegno della domanda di annullamento, dev’essere respinta.

138    In secondo luogo, nessun elemento del fascicolo dimostra che gli interventi del dottor T. siano stati intesi ad impedire che l’origine professionale della malattia del ricorrente fosse riconosciuta ai sensi dell’articolo 73 dello Statuto.

139    In terzo luogo, se è vero che risulta dai documenti agli atti che, in occasione del suo primo incontro con il ricorrente, il dottor O. non ha voluto prendere conoscenza di taluni documenti ufficiali che il ricorrente intendeva sottoporre alla commissione di invalidità, in particolare la relazione dell’OLAF e la risoluzione del Parlamento sul discarico, tale circostanza da sola non è tale da inficiare la procedura per irregolarità. Basta rilevare che risulta dalla relazione della commissione di invalidità che quest’ultima ha alla fine preso conoscenza della relazione dell’OLAF e della risoluzione del Parlamento sul discarico. Quanto ai quesiti posti dal dottor O. al Comitato delle regioni, nulla dimostra che essi siano stati orientati.

140    In ultimo luogo, occorre constatare che le censure fondate, da un lato, sulla violazione del dovere di sollecitudine e, dall’altro, sull’esistenza di uno sviamento di potere, si basano sugli stessi argomenti che sono stati respinti nell’ambito dell’esame della prima censura del presente motivo nonché nell’ambito dell’esame del primo motivo e devono, pertanto, essere respinti in quanto infondati.

141    Di conseguenza, il terzo motivo, relativo alla violazione del dovere di sollecitudine, all’esistenza di uno sviamento di potere e all’irregolarità della procedura, dev’essere respinto in quanto infondato.

142    Risulta da quanto precede che la prima e la seconda parte del secondo motivo sono state accolte. Pertanto la decisione impugnata dev’essere annullata.

3.     Sulla domanda diretta al risarcimento del danno morale

 Argomenti delle parti

143    Il ricorrente sostiene che le illegittimità asserite costituiscono illeciti da parte del Comitato delle regioni e che, alla luce delle circostanze eccezionali del caso di specie, il danno che ne risulta non potrebbe essere riparato dall’annullamento della decisione impugnata. La carriera del ricorrente sarebbe stata infatti bruscamente interrotta a seguito delle condizioni di lavoro imposte dal Comitato delle regioni e quest’ultimo si sarebbe nondimeno ostinato a negare il riconoscimento dell’origine professionale dell’invalidità. La relazione della commissione di invalidità non sarebbe imparziale e il dottor T., membro designato dal Comitato delle regioni in seno alla commissione di invalidità, si sarebbe mal comportato.

144    Il Comitato delle regioni ricorda che il rigetto della domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto non è stato contestato entro i termini ed è quindi divenuto definitivo. D’altro canto, la commissione di invalidità non avrebbe dimostrato parzialità e i suoi lavori si sarebbero svolti regolarmente.

 Giudizio del Tribunale

145    Secondo una giurisprudenza costante, l’annullamento di un atto viziato da illegittimità può costituire di per sé un risarcimento adeguato e, in linea di principio, sufficiente di qualsiasi danno morale che tale atto possa aver causato, a meno che il ricorrente non dimostri di aver subìto un danno morale distinguibile dall’illecito su cui si fonda l’annullamento e non risarcibile integralmente mediante l’annullamento stesso (sentenza del Tribunale del 14 luglio 2011, Petrilli/Commissione, F‑98/07, punto 28, e giurisprudenza ivi citata).

146    Poiché il ricorrente non dimostra, nella fattispecie, di aver subito un danno morale distinguibile degli illeciti che fondano l’annullamento e non risarcibile integralmente mediante l’annullamento stesso, la sua domanda risarcitoria dev’essere respinta.

4.     Sulla domanda intesa ad ottenere il rimborso delle spese connesse alla procedura di invalidità ed al reclamo

 Argomenti delle parti

147    Il ricorrente chiede il rimborso delle spese connesse alla procedura di invalidità, ivi comprese quelle connesse al reclamo, non prese a carico ai sensi dello Statuto. Si tratterebbe di spese di cancelleria e per fotocopie, delle spese telefoniche, di spedizioni postali e di telecopie, nonché delle spese di viaggio ai fini del ricovero ospedaliero in Inghilterra. Il ricorrente valuta tali spese in un importo di EUR 5 000.

148    Il Comitato delle regioni ritiene che tali spese non siano rimborsabili.

 Giudizio del Tribunale

149    Si deve rilevare che il carattere effettivo delle spese asserite non è stato accertato e che non è stato sostenuto né a fortiori dimostrato che spese del genere risultino dell’illecito che inficia la decisione impugnata.

150    Supponendo, per le esigenze del ragionamento, che con questo capo della domanda il ricorrente intenda contestare la decisione dell’APN figurante nella decisione di rigetto del reclamo di negare il rimborso delle spese relative alla procedura di invalidità e al reclamo, occorre rilevare che una siffatta decisione di diniego non ha formato oggetto di reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto.

151    Ne consegue che il presente capo della domanda dev’essere respinto.

 Sulle spese

152    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del regolamento di procedura, fatte salve le altre disposizioni del capo VIII del titolo secondo di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza del paragrafo 2 dello stesso articolo, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sia condannata solo parzialmente alle spese o addirittura che non debba essere condannata a tale titolo.

153    Risulta dalla motivazione in precedenza esposta che il Comitato delle regioni è sostanzialmente la parte soccombente. Inoltre, il ricorrente, nelle sue conclusioni, ha espressamente chiesto che il Comitato delle regioni sia condannato alle spese. Atteso che le circostanze del caso di specie non giustificano l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il Comitato delle regioni dovrà sopportare le proprie spese ed è condannato a sopportare le spese sostenute dal ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione dell’ufficio di presidenza del Comitato delle regioni dell’Unione europea, del 10 settembre 2010, recante diniego di riconoscimento dell’origine professionale della malattia da cui deriva l’invalidità del sig. McCoy ai sensi dell’articolo 78, quinto comma, dello Statuto è annullata.

2)      Per il resto, il ricorso è respinto.

3)      Il Comitato delle regioni dell’Unione europea sopporterà le proprie spese ed è condannato a sopportare le spese sostenute dal sig. McCoy.

Kreppel

Perillo

Barents

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 maggio 2013.

Il cancelliere

 

       Il presidente

W. Hakenberg

 

       H. Kreppel


* Lingua processuale: il francese.