Language of document : ECLI:EU:C:2020:222

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 19 marzo 2020 (1)

Cause riunite C133/19, C136/19 e C137/19

B.M.M.,

B.S. (C133/19)

B.M.M.,

B.M. (C136/19)

B.M.O. (C137/19)

contro

État belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 4 – Nozione di “minorenne” – Diritto di esperire un rimedio giurisdizionale quando viene respinta una domanda di ricongiungimento familiare – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un ricorso effettivo – Cittadini di paesi terzi con meno di diciotto anni al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare – Raggiungimento della maggiore età nelle more del procedimento amministrativo – Raggiungimento della maggiore età nelle more del procedimento giurisdizionale – Data dirimente per la valutazione dello status di “minorenne” delle parti interessate – Atto di nascita contenente informazioni false o ingannevoli – Figlio di un soggiornante divenuto maggiorenne nelle more del procedimento avverso la decisione di rigetto»






I.      Introduzione

1.        Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966, la famiglia «è il nucleo naturale e fondamentale della società». Detto principio giuridico riflette semplicemente il truismo secondo cui praticamente tutte le società umane si basano sulla famiglia, sebbene le tipologie di vita familiare siano anche diverse e varie. Tuttavia, l’idea che, salvo eccezioni concepite per salvaguardare il loro benessere, i figli abbiano diritto alla cura e alla compagnia dei propri genitori è profondamente radicata nelle tradizioni giuridiche, culturali e morali di tutti gli Stati membri.

2.        Tutto ciò si riflette nel concetto di ricongiungimento familiare, che è di per sé un elemento fondamentale del moderno diritto umanitario internazionale. Nell’ambito del diritto dell’Unione europea, tale principio trova espressione nella direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (2), che consente dunque ai familiari – e, in particolare, ai minorenni – di stabilirsi nel paese ospitante e di ricongiungersi con un altro familiare al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato in tale Stato.

3.        In tale contesto si inserisce il rinvio pregiudiziale di cui trattasi, relativo all’interpretazione della direttiva 2003/86/CE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). In tali procedimenti ci si chiede in sostanza se i figli ancora minorenni alla data di presentazione della loro domanda di ricongiungimento familiare debbano continuare ad essere considerati a tal fine minorenni anche se in seguito essi raggiungono la maggiore età nelle more del successivo procedimento amministrativo relativo alla loro domanda o durante il conseguente procedimento giurisdizionale (C‑133/19 e C‑136/19).

4.        Le presenti domande derivano da procedimenti dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) tra B.M.M. e B.S (C‑133/19), B.M.M. e B.M. (C‑136/19) nonché B.M.O (C‑137/19) (in prosieguo: i «ricorrenti»), da un lato, e il Ministre de l’Asile et la Migration (Ministro per l’Asilo e l’Immigrazione, Belgio), dall’altro, in merito al rigetto della domanda di visto per ricongiungimento familiare presentata dai ricorrenti.

5.        Il procedimento dinanzi al giudice del rinvio nella causa C‑137/19 riguarda, in sostanza, l’interpretazione del termine «minorenne» di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 e se detto termine debba essere interpretato nel senso che, per essere qualificato come «minorenne» ai sensi della medesima direttiva, un cittadino di paesi terzi deve essere «minorenne» non soltanto al momento della presentazione della sua domanda di ingresso e di soggiorno in uno Stato membro, ma anche al momento in cui l’amministrazione di detto Stato membro adotta infine una decisione sulla sua domanda.

6.        I procedimenti pregiudiziali nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 riguardano la questione se l’articolo 47 della Carta e l’articolo 18 della direttiva 2003/86 debbano essere interpretati nel senso che ostano a che il ricorso di annullamento presentato avverso una decisione amministrativa che nega il diritto al ricongiungimento familiare di un figlio minore sia dichiarato irricevibile poiché il figlio è diventato maggiorenne nelle more del procedimento, per il motivo che il medesimo sarebbe privato della possibilità di impugnare tale decisione, il che comprometterebbe il suo diritto a un ricorso effettivo.

7.        Prima di esaminare la questione in parola è tuttavia necessario, anzitutto, illustrare le disposizioni giuridiche pertinenti.

A.      Diritto dell’Unione

8.        L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea così dispone:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia».

1.      Direttiva 2003/86

9.        I considerando 2, 4, 6 e 13 della direttiva 2003/86 prevedono quanto segue:

«(2)      Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(…)

(4)      Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.

(…)

(6)      Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

(…)

(13)      Occorre stabilire un sistema di regole procedurali che disciplinino l’esame della domanda di ricongiungimento familiare, nonché l’ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia; tali procedure devono essere efficaci e gestibili rispetto al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque al fine di offrire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto».

10.      L’articolo 4 della direttiva in parola così recita:

«1.      In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

(a)      il coniuge del soggiornante;

(b)      i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati secondo una decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro interessato o una decisione automaticamente applicabile in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro o che deve essere riconosciuta conformemente a degli obblighi internazionali;

(c)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso;

(d)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso.

(…)

6.      In deroga alla disposizione precedente gli Stati membri possono richiedere che le domande riguardanti il ricongiungimento familiare di figli minori debbano essere presentate prima del compimento del quindicesimo anno di età, secondo quanto previsto dalla loro legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva. Ove dette richieste vengano presentate oltre il quindicesimo anno di età, gli Stati membri che decidono di applicare la presente deroga autorizzano l’ingresso e il soggiorno di siffatti figli per motivi diversi dal ricongiungimento familiare».

11.      L’articolo 5 di detta direttiva è così formulato:

«1.      Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

2.      La domanda è corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste dagli articoli 4 e 6 e, nel caso siano applicabili, dagli articoli 7 e 8, e di copie autenticate dei documenti di viaggio del membro o dei familiari.

Ove opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie.

(…)

4.      Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.

In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al primo comma può essere prorogato.

La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

5.      Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».

12.      L’articolo 16, paragrafo 1, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri possono respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare o, se del caso, ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno di un familiare in uno dei casi seguenti:

(a)      qualora le condizioni fissate dalla presente direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte.

(…)».

13.      L’articolo 18 della direttiva 2003/86 così dispone:

«Gli Stati membri assicurano che il soggiornante e/o i suoi familiari abbiano diritto a proporre impugnativa in caso di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, di mancato rinnovo o di ritiro del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento.

Le modalità da seguire e la competenza a esercitare il diritto di cui al primo comma sono stabilite dagli Stati membri interessati».

2.      Diritto nazionale

14.      L’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 è stato recepito nel diritto belga dall’articolo 10, paragrafo 1, comma 1, punto 4, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès du territoire; le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (3) (legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, sul soggiorno, sullo stabilimento e sull’allontanamento degli stranieri; in prosieguo: la «legge del 15 dicembre») che, nella sua versione applicabile al caso di specie (4), dispone quanto segue:

«Articolo 10, paragrafo 1. Fatte salve le disposizioni degli articoli 9 e 12, sono ammessi d’ufficio a soggiornare nel Regno per più di tre mesi:

(…)

4°      i seguenti familiari di uno straniero ammesso o autorizzato, da almeno dodici mesi, a soggiornare nel Regno per un periodo illimitato, o autorizzato, da almeno dodici mesi, a stabilirvisi:

–        il coniuge straniero o lo straniero con il quale è stata stipulata un’unione registrata equiparata, in Belgio, al matrimonio, che viene a convivere con lo straniero, a condizione che entrambi abbiano superato l’età di ventun anni. Questa età minima è tuttavia ridotta a diciotto anni allorché, a seconda dei casi, il vincolo coniugale o tale unione registrata esisteva già prima dell’arrivo nel Regno dello straniero che viene raggiunto;

–        i loro figli, che convivono con gli stessi prima di aver raggiunto l’età di diciotto anni e non sono coniugati;

–        i figli dello straniero che viene raggiunto, del suo coniuge o partner registrato di cui al primo trattino, che convivono con gli stessi prima di aver raggiunto l’età di diciotto anni e non sono coniugati, purché lo straniero raggiunto, il suo coniuge o partner registrato sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento e, in caso di affidamento congiunto, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il relativo consenso».

15.      L’articolo 10, paragrafo 3, di detta legge è così formulato:

«Il Ministro o un suo delegato può decidere di respingere la domanda di permesso di soggiorno per più di tre mesi, (…) sia nel caso in cui lo straniero (…) abbia utilizzato informazioni false o ingannevoli, ovvero documenti falsi o falsificati sia nel caso in cui abbia fatto ricorso a frode o ad altri mezzi illeciti aventi carattere determinante, per ottenere tale permesso di soggiorno (…)».

16.      L’articolo 12 bis di detta legge recepisce nell’ordinamento giuridico belga l’articolo 5 della direttiva 2003/86. Nella versione applicabile al caso di specie, l’articolo di cui trattasi così dispone:

«1.      Lo straniero che dichiara di rientrare in uno dei casi di cui all’articolo 10 deve presentare la sua domanda al rappresentante diplomatico o consolare belga competente per il suo luogo di residenza o di soggiorno all’estero.

(…)

2.      (…) La data di presentazione della domanda è quella in cui sono prodotti tutti i documenti, ai sensi dell’articolo 30 della legge del 16 luglio 2004 recante il codice di diritto internazionale privato o degli accordi internazionali relativi a questa materia.

La decisione relativa all’ammissione al soggiorno è adottata e notificata al più presto e non oltre nove mesi dopo la data di presentazione della domanda, come stabilito al paragrafo 2. (…)

In casi eccezionali connessi alla complessità dell’esame della domanda, (…) il Ministro o un suo delegato può prorogare per due volte tale termine per un periodo di tre mesi, con decisione motivata.

Se dopo la decorrenza del termine di nove mesi successivo alla data di presentazione della domanda, eventualmente prorogato ai sensi del comma 5, non è stata adottata alcuna decisione il permesso di soggiorno deve essere concesso.

(…)

(7)      Nell’esame della domanda, si deve tenere nella dovuta considerazione l’interesse superiore del minore».

17.      L’articolo 39/56 della legge del 15 dicembre così recita:

«i ricorsi di cui all’articolo 39/2 possono essere presentati dinanzi al Conseil dallo straniero che dimostri un pregiudizio o un interesse».

II.    Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

18.      I ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato domanda di visto per ricongiungimento familiare presso l’ambasciata del Belgio a Conakry (Guinea) il 20 marzo 2012, in quanto figli minorenni di un cittadino di paesi terzi che in Belgio beneficia dello status di rifugiato. Dette domande sono state respinte con decisione del 2 luglio 2012.

19.      Il 9 dicembre 2013 i ricorrenti hanno presentato una seconda domanda presso l’ambasciata del Belgio a Dakar (Senegal). All’epoca, essi avevano compiuto rispettivamente quattordici, quindici e diciassette anni.

20.      Il 25 marzo 2014 il Ministro ha respinto le domande in parola in quanto, nelle cause C‑133/19 e C‑137/19, i ricorrenti avevano dichiarato nelle loro domande di visto quali rispettive date di nascita, basate sugli atti di nascita, il 16 marzo 1999 e il 20 gennaio 1996, mentre il padre, nella sua domanda di asilo in Belgio, aveva affermato che gli stessi erano nati rispettivamente il 16 marzo 1997 e il 20 gennaio 1994. Nella causa C‑136/19, la ricorrente aveva dichiarato di essere figlia del soggiornante, mentre nella sua domanda di asilo il soggiornante non aveva mai menzionato la sua esistenza.

21.      Al momento in cui sono state adottate le decisioni di rigetto delle domande, i ricorrenti nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 erano ancora minorenni, mentre la ricorrente nella causa C‑137/19 era, nel frattempo, diventata maggiorenne.

22.      I ricorrenti hanno proposto ricorso avverso dette seconde decisioni dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio) in tre procedimenti di sospensione avviati il 25 aprile 2014.

23.      Con tre decisioni del 31 gennaio 2018, il Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha respinto in quanto irricevibili per mancanza di interesse i ricorsi dei ricorrenti. Detto giudice ha sostenuto che l’interesse di un richiedente deve sussistere nel momento in cui viene proposta l’azione e deve persistere fino a quando non venga pronunciata una sentenza. Tale giudice ha dichiarato che il resistente, in caso di annullamento delle decisioni in questione e di obbligo di riesaminare la domanda, potrebbe unicamente concludere per l’irricevibilità della domanda di visto in quanto, avendo tutti i richiedenti superato l’età di diciotto anni, essi non soddisferebbero più i requisiti previsti dalle disposizioni in materia di ricongiungimenti familiari di minori. In detto contesto, tuttavia, occorre rilevare che vi è stato un intervallo di quasi quattro anni tra il rigetto della seconda domanda e la successiva decisione del Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) che ha ritenuto irricevibile il procedimento in quanto i figli erano nel frattempo diventati maggiorenni.

24.      Avverso dette decisioni i ricorrenti hanno presentato ricorso dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato), sostenendo anzitutto che l’interpretazione operata dal Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) ha violato il principio di effettività del diritto dell’Unione, atteso che ha impedito loro di beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 4 della direttiva 2003/86. In secondo luogo, è stato affermato che una siffatta interpretazione violerebbe altresì il loro diritto a un ricorso effettivo, privandoli della possibilità di ricorrere contro le decisioni amministrative che hanno negato loro il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare, decisioni adottate, nonché impugnate, quando i ricorrenti erano ancora minorenni.

25.      Nella sua decisione del 31 gennaio 2019, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) rileva che la Corte ha recentemente statuito, nella sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248), che il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.

26.      Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, detta sentenza può essere distinta dai casi di cui al procedimento principale in quanto questi ultimi non riguardano un minore a cui è stato riconosciuto lo status di «rifugiato». Inoltre, nel caso di specie, contrariamente ai fatti che sono alla base di tale sentenza, il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare non dipende dalla «maggiore o minore celerità nel trattamento della domanda» (5), in quanto le decisioni del 25 marzo 2014 sono state adottate entro i termini appositamente previsti dall’articolo 12 bis, § 2, della legge del 15 dicembre.

27.      Ciò premesso, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte un rinvio pregiudiziale in ciascuno dei procedimenti dinanzi ad esso pendenti.

28.      Nelle cause C‑133/19 e C‑136/19, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha presentato le seguenti questioni pregiudiziali:

«(1)      Se, per garantire l’effettività del diritto dell’Unione europea e non rendere impossibile beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare che, secondo la [seconda] ricorrente, le è conferito dall’articolo 4 della direttiva 2003/86/CE del Consiglio (...) debba essere interpretata nel senso che comporta che il figlio del soggiornante può beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare quando diventa maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale avverso la decisione di diniego di tale diritto, adottata quando era ancora minorenne.

(2)      Se l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’articolo 18 della direttiva 2003/86 (...) debbano essere interpretati nel senso che ostano a che il ricorso di annullamento presentato avverso il diniego del diritto al ricongiungimento familiare di un figlio minore sia dichiarato irricevibile per il motivo che il figlio è diventato maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale, poiché egli sarebbe privato della possibilità di ottenere una pronuncia sul suo ricorso avverso tale decisione, e sarebbe compromesso il suo diritto a un ricorso effettivo».

29.      Nella causa C‑137/19 il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha presentato la seguente questione:

«Se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, eventualmente in combinato disposto con l’articolo 16, paragrafo 1, della medesima direttiva,, debba essere interpretato nel senso che i cittadini di paesi terzi, per essere qualificati come “figli minorenni” ai sensi di tale disposizione, debbano essere “minorenni” non soltanto all’atto della presentazione della domanda di ammissione al soggiorno, ma anche al momento in cui l’amministrazione decide, in fine, in merito alla domanda stessa».

30.      Il 30 gennaio 2020 si è tenuta dinanzi alla Corte un’udienza in cui erano rappresentati i ricorrenti, il governo belga e la Commissione europea.

III. Analisi

31.      Vale forse la pena precisare sin dall’inizio che nulla, nelle presenti conclusioni, dovrebbe essere interpretato come una riflessione sulla fondatezza delle domande individuali. È evidente che il Ministro non era persuaso del fatto che i dettagli relativi alle rispettive date di nascita dei ricorrenti nelle cause C‑133/19 e C‑137/19 fossero corretti o che la ricorrente nella causa C‑136/19 fosse effettivamente la figlia del soggiornante. La valutazione di tali elementi fattuali compete esclusivamente alle autorità nazionali e agli organi giurisdizionali nazionali.

32.      La situazione giuridica che si pone nel caso di specie solleva una questione distinta, vale a dire se i ricorrenti abbiano il diritto di essere trattati come minorenni ai fini della direttiva 2003/86 benché siano in seguito diventati maggiorenni quando l’amministrazione si è pronunciata sulla loro domanda di ricongiungimento familiare (C‑137/19) o nelle more del procedimento giurisdizionale di impugnazione della decisione con cui il Ministro ha respinto la loro domanda di ricongiungimento (C‑133/19 e C‑136/19).

33.      Si potrebbe altresì osservare che la deroga contemplata dall’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2003/86, in base a cui gli Stati membri «possono richiedere che le domande riguardanti il ricongiungimento familiare di figli minori debbano essere presentate prima del compimento del quindicesimo anno di età, secondo quanto previsto dalla loro legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva», non parrebbe applicarsi al Regno del Belgio, sebbene spetti in ultima analisi al giudice nazionale verificare tale circostanza.

34.      Nel valutare la questione in parola, può essere utile iniziare esaminando la sentenza della Corte nella causa A e S (6), cui il giudice nazionale ha fatto riferimento nell’ambito della sua decisione di rinvio. Nella causa A e S i ricorrenti erano due cittadini eritrei, i quali avevano proposto ricorso avverso il rifiuto delle autorità dei Paesi Bassi di accordare loro (e ai loro tre figli minorenni) un’autorizzazione di soggiorno temporanea a fini di ricongiungimento familiare con la loro figlia minorenne. Quest’ultima era arrivata nei Paesi Bassi come minore non accompagnato. Nel febbraio 2014 la medesima aveva presentato domanda di asilo e nel giugno 2014 aveva raggiunto la maggiore età. Nell’ottobre 2014 il Segretario di Stato le aveva concesso un permesso di soggiorno a titolo di asilo valido per cinque anni, a decorrere dalla data della prima presentazione della stessa.

35.      Nel dicembre 2014 venne presentata una domanda di ricongiungimento familiare per i genitori della stessa nonché per i suoi tre fratelli minorenni, ma detta domanda venne alla fine respinta con la motivazione che, alla data di presentazione della stessa, la figlia era già maggiorenne. A seguito di un rinvio pregiudiziale da parte degli organi giurisdizionali dei Paesi Bassi, la Corte ha in ultima analisi sostanzialmente dichiarato che la direttiva 2003/86 deve essere interpretata nel senso che deve comunque essere qualificato come «minore», ai sensi delle disposizioni sul ricongiungimento di detta direttiva, un cittadino di paesi terzi che era minorenne al momento della presentazione della sua prima domanda di asilo e che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge successivamente la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.

36.      Può forse essere utile osservare che tra i motivi addotti dalla Corte per giungere a detta conclusione rientrava quanto segue:

«D’altronde, anziché incitare le autorità nazionali a trattare in via prioritaria le domande di protezione internazionale presentate da minori non accompagnati al fine di tener conto della loro particolare vulnerabilità, possibilità adesso espressamente prevista dall’articolo 31, paragrafo 7, lettera b), della direttiva 2013/32, una simile interpretazione potrebbe avere l’effetto contrario, contrastando con l’obiettivo perseguito sia da tale direttiva sia dalle direttive 2003/86 e 2011/95 di garantire che, conformemente all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, l’interesse superiore del minore sia effettivamente considerato preminente dagli Stati membri al momento dell’applicazione di tali direttive.

Peraltro, detta interpretazione renderebbe del tutto imprevedibile per un minore non accompagnato che ha presentato una domanda di protezione internazionale la possibilità di beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori, il che potrebbe pregiudicare la certezza del diritto» (7).

37.      La Corte ha poi aggiunto che:

«considerare la data di presentazione della domanda di protezione internazionale come data di riferimento per valutare l’età di un rifugiato ai fini dell’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 consente di garantire un trattamento identico e prevedibile a tutti i richiedenti che si trovano cronologicamente nella stessa situazione, assicurando che il buon esito della domanda di ricongiungimento familiare dipenda principalmente da circostanze imputabili al richiedente e non all’amministrazione, quali la durata di trattamento della domanda di protezione internazionale o della domanda di ricongiungimento familiare (…)» (8).

38.      La Corte aveva già osservato in detta sentenza che il regime della direttiva in materia di minori non conferiva «alcun margine di manovra agli Stati membri» e che «dall’assenza di qualsiasi rinvio al diritto nazionale a tale riguardo risulta (...) che la determinazione di tale momento non può essere rimessa alla discrezionalità di ciascuno Stato membro» (9).

39.      A mio avviso, l’intero ragionamento in parola è più o meno direttamente applicabile anche alla presente causa. È vero, naturalmente, che, come ha osservato il Conseil d’État (Consiglio di Stato) nella decisione che ha dato luogo al rinvio, vi sono alcune importanti differenze fattuali tra il caso di specie e il caso di cui alla causa A e S. In particolare, diversamente dalla figlia minore in quest’ultima causa, a nessuno dei figli di cui alla presente causa è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Per quanto mi riguarda, tuttavia, non credo che dette differenze siano decisive in relazione ai casi in esame. Ritengo invece che i principi alla base della sentenza A e S abbiano grande rilevanza ai fini della risoluzione delle questioni interpretative oggetto del presente procedimento. Tale conclusione si fonda sui seguenti motivi.

40.      In primo luogo, proprio come nella causa A e S, qualsiasi interpretazione della direttiva 2003/86 che si concentri sulla data di presentazione della relativa domanda come data di riferimento assicura che il buon esito della domanda di ricongiungimento familiare dipenda da circostanze, secondo le parole della Corte, «imputabili al richiedente» (10). In altri termini, se il criterio per stabilire se il richiedente è minorenne ai fini del ricongiungimento familiare si fonda sulla sua età alla data di presentazione della relativa domanda, tale interpretazione della direttiva 2003/86 garantisce dunque che l’esito di qualsiasi domanda di ricongiungimento non dipenda né dall’alea della data in cui l’autorità amministrativa ha deciso sul ricorso né, a tal fine, da eventuali ritardi successivi inerenti al sistema giudiziario o, eventualmente, al sistema amministrativo.

41.      Sono consapevole del fatto che, come evidenziato ancora una volta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato), il Ministro si è di fatto pronunciato sulla domanda di ricongiungimento familiare il 25 marzo 2014 entro il termine indicato dal diritto belga. Tuttavia non è questo il punto. I ricorrenti avevano naturalmente il diritto, ai sensi del diritto belga, di impugnare la decisione del Ministro dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri). Essi non potevano sapere quanto tempo ci sarebbe voluto perché detto giudice trattasse e decidesse la causa, ma i diritti che sono loro riconosciuti dalla legge non dovrebbero dipendere dalla casualità del momento esatto in cui ciò possa verificarsi. Se, ad esempio, il Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) avesse adottato la propria decisione nel febbraio 2017, vale a dire circa tre anni dopo la prima decisione, uno dei ricorrenti sarebbe stato ancora minorenne. Difficilmente si può ritenere che il diritto di detto ricorrente al ricongiungimento legale possa realizzarsi proprio nel momento in cui accade che un organo giurisdizionale (o, a seconda dei casi, un organo amministrativo) emetta la propria decisione, sempre che, naturalmente, il medesimo ricorrente fosse minorenne alla data di presentazione della relativa domanda di ricongiungimento familiare.

42.      Si può altresì notare al riguardo che l’articolo 18 della direttiva 2003/86 garantisce espressamente il diritto del soggiornante e dei suoi familiari «a proporre impugnativa in caso di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare (…)». Si può supporre che, secondo le intenzioni del legislatore europeo, tale diritto dovesse essere effettivo e, in particolare, che tale procedimento non dovesse essere dichiarato irricevibile per il solo fatto che i figli in parola fossero successivamente diventati maggiorenni nel corso del procedimento.

43.      Come già affermato dalla Corte nella sentenza A e S, inoltre, qualsiasi altra interpretazione della direttiva potrebbe contribuire a creare una situazione in cui gli organi giurisdizionali nazionali non sono incitati a trattare le domande presentate da minori vulnerabili con la priorità richiesta da siffatti ricorsi e potrebbero dunque agire in modo tale da mettere a repentaglio i diritti al ricongiungimento familiare conferiti dalla legge agli stessi richiedenti minorenni (11). Una siffatta situazione sarebbe in contrasto con una delle finalità dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, ossia che l’interesse superiore del minore dev’essere in pratica considerato preminente per gli Stati membri nell’applicazione della direttiva 2003/86. A tal proposito vorrei altresì rilevare che all’udienza tenutasi il 30 gennaio 2020 il rappresentante dei ricorrenti ha dichiarato, senza opposizione, in risposta ad un quesito posto da un membro della Corte, che il Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri) li aveva informati del fatto che il loro caso non era considerato prioritario.

44.      Tale conclusione generale è ulteriormente corroborata dall’esame dei principi che stanno alla base del diritto ad un ricorso effettivo, previsto dall’articolo 47 della Carta. Come sia la Corte (12) sia la sua consorella, la Corte europea dei diritti dell’uomo (13) hanno sottolineato in relazione rispettivamente all’articolo 47 della Carta e agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il diritto ad un ricorso effettivo implica che i ricorsi nazionali debbano essere effettivi e reali e non meramente illusori e teorici. Ne consegue quindi che tali ricorsi devono essere coerenti e non devono condurre a conseguenze arbitrarie o indifendibili.

45.      Tuttavia, questa sarebbe la situazione che si verificherebbe se il riconoscimento del diritto dei richiedenti a ricorrere contro la decisione del Ministro che nega loro il permesso di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare dipendesse dal loro status personale – vale a dire, dalla circostanza che essi fossero ancora minorenni o fossero diventati nel frattempo maggiorenni – alla data dell’udienza del ricorso dinanzi al Conseil des Contentieux des Étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri). Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri)

IV.    Conclusione

46.      Per le suddette ragioni, ritengo che le questioni sottoposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) possano adeguatamente essere risolte con un’unica risposta:

L’articolo 4 e l’articolo 18 della direttiva 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che un cittadino di paesi terzi che ha un’età inferiore ai diciotto anni al momento della sua domanda di ricongiungimento familiare in uno Stato membro ma che, nelle more del procedimento amministrativo di riesame della sua domanda o del conseguente procedimento giurisdizionale avverso il diniego della concessione del ricongiungimento familiare, raggiunge la maggiore età, deve essere comunque qualificato come «minore», ai fini dell’articolo 4 della direttiva 2003/86.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      GU 2003, L 251, pag. 12.


3      Moniteur belge del 31 décembre 1980, pag. 14584.


4      Modificato dalla loi du 15 septembre 2006 (legge del 15 settembre 2006).


5      V. sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 55).


6      Sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248).


7      In particolare, punti 58 e 59 della sentenza.


8      In particolare, punto 60 della sentenza.


9      In particolare, punto 45 della sentenza.


10      V. sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 60).


11      V., in tal senso, sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 58).


12      Sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 57).


13      V., ad esempio, sentenza del 5 aprile 2018, Zubac/Croazia (CE:ECLI:ECHR:2018:0405JUD004016012, § 77 e §§ da 97 a 99) e sentenza del 10 settembre 2010, MacFarlane/Irlanda (CE:ECLI:ECHR:2010:0910JUD003133306, § 112).