Language of document : ECLI:EU:T:2019:468


SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

2 luglio 2019 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran – Congelamento dei capitali – Restrizione in materia di ammissione nei territori degli Stati membri – Risarcimento del danno asseritamente subito a seguito dell’inserimento e del mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicano misure restrittive – Danno materiale – Danno morale»

Nella causa T‑406/15,

Fereydoun Mahmoudian, residente in Teheran (Iran), rappresentato da A. Bahrami e N. Korogiannakis, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da R. Liudvinaviciute‑Cordeiro e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Commissione europea, rappresentata inizialmente da A. Aresu e D. Gauci, successivamente da A. Aresu e R. Tricot, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta a ottenere il risarcimento del danno che il ricorrente avrebbe asseritamente subito a seguito dell’adozione della decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga la posizione comune 2007/140/PESC (GU 2010, L 195, pag. 39), del regolamento di esecuzione (UE) n. 668/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 423/2007 concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU 2010, L 195, pag. 25), della decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, recante modifica della decisione 2010/413 (GU 2010, L 281, pag. 81), e del regolamento (UE) n. 961/2010 del Consiglio, del 25 ottobre 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento (CE) n. 423/2007 (GU 2010, L 281, pag. 1), con i quali il nome del ricorrente era stato inserito e mantenuto negli elenchi delle persone e delle entità alle quali si applicavano le misure restrittive,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto da I. Pelikánová (relatore), presidente, V. Valančius e U. Öberg, giudici,

cancelliere: M. Marescaux, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 dicembre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        La causa in esame si inserisce nell’ambito delle misure restrittive adottate per indurre la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività nucleari che presentano un rischio di proliferazione e alla messa a punto di vettori per armi nucleari (in prosieguo: la «proliferazione nucleare»).

2        Il ricorrente, il sig. Fereydoun Mahmoudian, è azionista di maggioranza e presidente del consiglio d’amministrazione della Fulmen. Quest’ultima è una società iraniana, attiva in particolare nel settore delle apparecchiature elettriche.

3        L’Unione europea ha adottato la posizione comune 2007/140/PESC del Consiglio, del 27 febbraio 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 61, pag. 49), e il regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 103, pag. 1).

4        L’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della posizione comune 2007/140 prevedeva il congelamento di tutti i capitali e di tutte le risorse economiche di determinate categorie di persone e di entità. L’elenco di tali persone ed entità figurava nell’allegato II di detta posizione comune.

5        Per quanto riguardava le competenze della Comunità europea, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 prevedeva il congelamento dei capitali delle persone, entità o organismi riconosciuti dal Consiglio dell’Unione europea come partecipanti alla proliferazione nucleare ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della posizione comune 2007/140. L’elenco di tali persone, entità e organismi costituiva l’allegato V del regolamento n. 423/2007.

6        La posizione comune 2007/140 è stata abrogata dalla decisione 2010/413/PESC del Consiglio, del 26 luglio 2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran (GU L 195, pag. 39).

7        L’articolo 20, paragrafo 1, della decisione 2010/413 prevede il congelamento dei capitali di molteplici categorie di entità. Tale disposizione riguarda, in particolare, le «persone ed entità (…) che partecipano, sono direttamente associate o danno il loro sostegno [alla proliferazione nucleare], o [le] persone o entità che agiscono per loro conto o sotto la loro direzione, o [le] entità da esse possedute o controllate, anche attraverso mezzi illeciti, (…) di cui all’elenco nell’allegato II».

8        L’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 è stato sostituito da un nuovo elenco, adottato nella decisione 2010/644/PESC del Consiglio, del 25 ottobre 2010, che modifica la decisione 2010/413 (GU L 281, pag. 81).

9        Il 25 ottobre 2010 il Consiglio ha adottato il regolamento (UE) n. 961/2010, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento n. 423/2007 (GU L 281, pag. 1).

10      A partire dall’adozione della decisione 2010/413, il 26 luglio 2010, il nome del ricorrente è stato inserito dal Consiglio nell’elenco di persone, entità ed organismi che figurano nella tabella I dell’allegato II di detta decisione.

11      Di conseguenza, il nome del ricorrente è stato inserito nell’elenco di persone, entità ed organismi che figurano nella tabella I dell’allegato V del regolamento n. 423/2007, in forza del regolamento di esecuzione (UE) n. 688/2010 del Consiglio, del 26 luglio 2010, che attua l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 423/2007 (GU L 195, pag. 25). L’adozione del regolamento di esecuzione n. 668/2010 ha dato luogo al congelamento dei fondi e delle risorse economiche del ricorrente.

12      Nella decisione 2010/413, come nel regolamento di esecuzione n. 668/2010, il Consiglio ha addotto i seguenti motivi per quanto riguarda il ricorrente: «Direttore di Fulmen».

13      Con lettera del 26 agosto 2010, il ricorrente ha chiesto al Consiglio di riconsiderare il suo inserimento nell’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 e in quello dell’allegato V del regolamento n. 423/2007. Egli, inoltre, ha invitato il Consiglio a comunicargli gli elementi sui quali si era basato per l’adozione delle misure restrittive nei suoi confronti.

14      L’adozione della decisione 2010/644 non ha influito sull’inserimento del nome del ricorrente nell’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413.

15      Poiché il regolamento n. 423/2007 è stato abrogato dal regolamento n. 961/2010, il Consiglio ha inserito il nome del ricorrente al punto 14 della tabella A dell’allegato VIII di quest’ultimo regolamento. Di conseguenza, i fondi del ricorrente sono stati congelati in forza dell’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 961/2010.

16      Con lettera del 28 ottobre 2010 il Consiglio ha risposto alla lettera del ricorrente del 26 agosto 2010, dichiarando che, a seguito di riesame, esso respingeva la sua richiesta mirante all’eliminazione del suo nome dall’elenco dell’allegato II della decisione 2010/413 e da quello dell’allegato VIII del regolamento n. 961/2010. A tal riguardo, esso ha precisato che, dal momento che il fascicolo non presentava elementi nuovi che giustificassero un mutamento della sua posizione, il ricorrente doveva continuare ad essere soggetto alle misure restrittive previste dai suddetti testi. Il Consiglio ha inoltre rilevato che la sua decisione di mantenere il nome del ricorrente in tali elenchi non era basata su elementi diversi da quelli riportati nella motivazione di detti elenchi.

17      Con sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha annullato la decisione 2010/413, il regolamento di esecuzione n. 668/2010, la decisione 2010/644 e il regolamento n. 961/2010, nella parte in cui riguardavano la Fulmen e il ricorrente.

18      Per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’annullamento degli atti impugnati nell’ambito del ricorso che ha dato luogo alla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), al punto 106 di tale sentenza, il Tribunale, quanto al regolamento n. 961/2010, ha ricordato che, ai sensi dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in deroga all’articolo 280 TFUE le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine di impugnazione contemplato all’articolo 56, primo comma, di detto Statuto oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto. Nel caso di specie, il Tribunale ha dichiarato che il rischio di un danno grave e irreparabile all’efficacia delle misure restrittive imposte dal regolamento n. 961/2010 non sembrava sufficientemente elevato, tenuto conto del considerevole impatto di siffatte misure sui diritti e sulle libertà dei ricorrenti, da giustificare il mantenimento degli effetti di detto regolamento nei confronti di questi ultimi per un periodo superiore a quello previsto all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

19      Inoltre, al punto 107 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha mantenuto gli effetti della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, fino a quando l’annullamento del regolamento n. 961/2010 non avesse prodotto effetti.

20      Il 4 giugno 2012 il Consiglio ha proposto impugnazione dinanzi alla Corte avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142). Tale impugnazione è stata registrata con il numero di ruolo C‑280/12 P. A sostegno di detta impugnazione, il Consiglio ha fatto valere, in particolare, che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto in quanto aveva ritenuto che il Consiglio dovesse fornire elementi atti a provare che la Fulmen fosse intervenuta nel sito di Qom/Fordoo (Iran) e ciò malgrado la circostanza che gli elementi deducibili al riguardo provenissero da fonti riservate e che gli errori di diritto commessi dal Tribunale vertessero su due aspetti della comunicazione di tali elementi, il primo attinente alla comunicazione al Consiglio di elementi di prova da parte degli Stati membri e il secondo alla comunicazione di elementi riservati al giudice.

21      Con sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), la Corte ha respinto l’impugnazione in quanto infondata, confermando ciò che il Tribunale aveva dichiarato al punto 103 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), ossia che il Consiglio non aveva fornito la prova che la Fulmen fosse intervenuta nel sito di Qom/Fordoo.

22      Con il regolamento di esecuzione (UE) n. 1361/2013 del Consiglio, del 18 dicembre 2013, che attua il regolamento n. 267/2012 (GU 2013, L 343, pag. 7), il Consiglio, traendo le conseguenze dalla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), ha proceduto alla cancellazione del nome del ricorrente dagli elenchi delle persone ed entità, oggetto di misure restrittive, contenuti rispettivamente nell’allegato II della decisione 2010/413 e nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012, con effetto a decorrere dal 19 dicembre 2013. Da allora, il nome del ricorrente non è stato reinserito in un qualsivoglia elenco.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

23      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2015, il ricorrente ha proposto il presente ricorso. La causa è stata assegnata alla Prima Sezione del Tribunale.

24      Il 9 novembre 2015 il Consiglio ha depositato il controricorso.

25      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 9 novembre 2015, la Commissione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento, a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

26      Il 2 dicembre 2015 il ricorrente ha depositato le proprie osservazioni sulla domanda di intervento della Commissione. Il Consiglio non ha depositato osservazioni in merito a tale domanda entro il termine impartito.

27      Con decisione del presidente della Prima Sezione del Tribunale del 10 dicembre 2015, adottata ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura del Tribunale, la Commissione è stata autorizzata a intervenire nella presente controversia.

28      Il 12 gennaio 2016 il ricorrente ha depositato la replica.

29      Il 25 gennaio 2016 la Commissione ha depositato la memoria di intervento. Né il Consiglio né il ricorrente hanno presentato osservazioni su tale memoria.

30      Il 26 febbraio 2016 il Consiglio ha presentato la controreplica.

31      Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 29 marzo 2016, il ricorrente ha chiesto lo svolgimento di un’udienza dibattimentale, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

32      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una prima misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti su un’eventuale sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte conclusiva del giudizio nella causa C‑45/15 P, Safa Nicu Sepahan/Consiglio. Il Consiglio ha presentato le sue osservazioni al riguardo entro il termine impartito.

33      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la causa in esame.

34      Con decisione del 31 agosto 2016, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha deciso di sospendere il procedimento nella causa in esame.

35      A seguito della pronuncia della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha adottato una seconda misura di organizzazione del procedimento consistente nel sentire le parti sulle conseguenze che esse traevano dalla citata sentenza per la causa in esame (in prosieguo: la «seconda misura di organizzazione del procedimento»). Le parti principali e la Commissione hanno presentato le loro osservazioni al riguardo entro il termine impartito.

36      Con lettera 28 novembre 2018, la Commissione ha informato il Tribunale che, pur continuando a sostenere la posizione del Consiglio, essa non riteneva necessario partecipare all’udienza nella causa in esame.

37      Le parti principali hanno esposto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza dell’11 dicembre 2018.

38      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;

–        condannare il Consiglio a versargli un importo di EUR 2 227 000, a titolo di risarcimento del danno materiale da egli subito e un importo di EUR 600 000, a titolo di risarcimento del danno morale da egli subito a causa del medesimo inserimento;

–        condannare il Consiglio alle spese.

39      Il Consiglio e la Commissione chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.      Sulla competenza del Tribunale

40      Nella controreplica, basandosi sulla sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio (T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86), il Consiglio ribatte che, nei limiti in cui il ricorrente ha fondato la sua domanda risarcitoria sull’illegittimità dell’inserimento del suo nome nell’elenco contenuto nell’allegato II della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, il Tribunale non è competente a statuire sul presente ricorso, in quanto l’articolo 275, secondo comma, TFUE non attribuisce al Tribunale la competenza a statuire su una domanda di risarcimento fondata sull’illegittimità di un atto rientrante nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

41      In risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, il quale lo invitava a comunicare le sue osservazioni sul motivo di irricevibilità del Consiglio, il ricorrente ha precisato che, con il presente ricorso, intendeva chiedere il risarcimento del danno causato unicamente dai regolamenti adottati dal Consiglio, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Alla luce di detta risposta, si deve considerare che, in sostanza, il ricorrente ha modificato il secondo capo delle conclusioni dell’atto introduttivo, di modo che, in definitiva, egli chiede unicamente che il Tribunale condanni il Consiglio a versargli un importo di EUR 2 227 000 a titolo di risarcimento del danno materiale da egli subito a causa dell’inserimento illegittimo del suo nome negli elenchi allegati al regolamento di esecuzione n. 668/2010 e al regolamento n. 961/2010 (in prosieguo: gli «elenchi controversi») e un importo di EUR 600 000 a titolo di risarcimento del danno morale da egli subito a causa del medesimo inserimento.

42      In ogni caso, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 129 del regolamento di procedura, il Tribunale può statuire d’ufficio, in qualsiasi momento, sentite le parti, sui motivi di irricevibilità di ordine pubblico, tra i quali figura, secondo la giurisprudenza, la competenza del giudice dell’Unione a conoscere del ricorso (v., in tal senso, sentenze del 18 marzo 1980, Ferriera Valsabbia e a./Commissione, 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78, 264/78, 31/79, 39/79, 83/79 e 85/79, EU:C:1980:81, punto 7, e del 17 giugno 1998, Svenska Journalistförbundet/Consiglio,T‑174/95, EU:T:1998:127, punto 80).

43      A tale titolo, dalla giurisprudenza risulta che, se un ricorso per risarcimento danni diretto a ottenere la riparazione del danno asseritamente subito a seguito dell’adozione di un atto in materia di PESC esula dalla competenza del Tribunale (sentenza del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio, T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86, punti 30 e 31), per contro, il Tribunale si è sempre riconosciuto competente a conoscere di una domanda di risarcimento del danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 215 TFUE (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 2007, Sison/Consiglio, T‑47/03, non pubblicata, EU:T:2007:207, punti da 232 a 251, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punti da 45 a 149).

44      Lo stesso dicasi nel caso di una domanda di risarcimento di un danno asseritamente subito da una persona o da un’entità a causa di misure restrittive adottate nei suoi confronti, conformemente all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE.

45      Infatti, secondo la giurisprudenza, non vi è alcuna disposizione del Trattato FUE che preveda che la parte sesta del medesimo, relativa alle disposizioni istituzionali e finanziarie, non si applichi in materia di misure restrittive. Il ricorso all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE, a mente del quale «[a]llorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione o, in casi specifici debitamente motivati e nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del trattato sull’Unione europea, al Consiglio», non è dunque escluso, salvo il rispetto delle condizioni previste da tale disposizione (sentenza del 1o marzo 2016, National Iranian Oil Company/Consiglio, C‑440/14 P, EU:C:2016:128, punto 35).

46      Nel caso di specie, le misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente, con la decisione 2010/413, modificata successivamente dalla decisione 2010/644, sono state attuate dal regolamento di esecuzione n. 668/2010, adottato in conformità all’articolo 291, paragrafo 2, TFUE, e dal regolamento n. 961/2010, adottato in conformità all’articolo 215 TFUE.

47      Ne consegue che, se è vero che il Tribunale non è competente a conoscere della domanda di risarcimento del ricorrente, nei limiti in cui tale domanda è diretta a ottenere il risarcimento del danno che il ricorrente avrebbe subito a causa dell’adozione della decisione 2010/413, modificata successivamente dalla decisione 2010/644, esso è tuttavia competente a conoscere della medesima domanda nei limiti in cui essa verte sul risarcimento del danno che il ricorrente avrebbe subito a causa dell’attuazione della medesima decisione mediante il regolamento di esecuzione n. 668/2010 e il regolamento n. 961/2010 (in prosieguo: gli «atti controversi»).

48      Di conseguenza, si deve concludere che il Tribunale è competente ad esaminare il presente ricorso, come modificato in udienza, vale a dire nei limiti in cui esso è diretto al risarcimento del danno che il ricorrente asserisce di aver subito per il fatto che le misure restrittive adottate nei suoi confronti nella decisione 2010/413, successivamente modificata dalla decisione 2010/644, sono state attuate dagli atti controversi (in prosieguo: le «misure controverse»).

B.      Nel merito

49      Ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, «[i]n materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni». Secondo costante giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, a sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, per comportamento illecito delle istituzioni, è subordinato alla compresenza di un insieme di condizioni, ossia l’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, l’effettiva sussistenza del danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra l’asserito comportamento e il danno lamentato (v. sentenze del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 106 e giurisprudenza ivi citata; dell’11 luglio 2007, Schneider Electric/Commissione, T‑351/03, EU:T:2007:212, punto 113, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 47).

50      A sostegno del presente ricorso, il ricorrente fa valere che, nel caso di specie, le tre condizioni summenzionate sono soddisfatte.

51      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto del presente ricorso, in quanto infondato, sulla base del rilievo che il ricorrente non ha dimostrato, come gli incombeva, che nel caso di specie ricorrano tutte le condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

52      Secondo costante giurisprudenza, le condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, come già enumerate al precedente punto 49, sono cumulative (sentenza del 7 dicembre 2010, Fahas/Consiglio, T‑49/07, EU:T:2010:499, punti 92 e 93, e ordinanza del 17 febbraio 2012, Dagher/Consiglio, T‑218/11, non pubblicata, EU:T:2012:82, punto 34).  Ne consegue che, qualora una di queste condizioni non sia soddisfatta, il ricorso deve essere respinto nella sua integralità, senza che sia necessario esaminare le altre condizioni (sentenza del 26 ottobre 2011, Dufour/BCE, T‑436/09, EU:T:2011:634, punto 193).

53      Occorre pertanto verificare se, nel caso di specie, il ricorrente fornisca la prova, ad egli incombente, dell’illegittimità del comportamento che lo stesso contesta al Consiglio, ossia l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi, l’effettiva sussistenza dei danni materiale e morale che asserisce di aver subito e l’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e i danni dallo stesso lamentati.

1.      Sullasserita illegittimità

54      Il ricorrente sostiene che la condizione relativa all’illegittimità del comportamento di un’istituzione è soddisfatta, in quanto, in sostanza, l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi costituiscono una violazione sufficientemente qualificata, da parte del Consiglio, di norme giuridiche preordinate a conferire diritti ai singoli tali da far sorgere, secondo la giurisprudenza, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

55      A tal riguardo, in primo luogo, il ricorrente ricorda che dalla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), nonché dalla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), pronunciata su impugnazione del Consiglio e recante rigetto di tale impugnazione (v. supra, punto 21), risulta che gli atti controversi sono viziati da illegittimità.

56      Infatti, da un lato, egli ricorda che, nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha considerato che il Consiglio non disponeva del benché minimo elemento a suo carico al fine di suffragare l’inserimento del suo nome negli elenchi controversi e ritiene che tale circostanza costituisca una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. In risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento, egli precisa che, tenuto conto della somiglianza dei fatti generatori nella causa in esame e in quella che ha dato luogo alla sentenza della Corte del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), il complesso delle constatazioni relative alla gravità dell’illegittimità del comportamento del Consiglio in quest’ultima causa è applicabile, mutatis mutandis, alla causa in esame. Egli aggiunge che il Tribunale dovrebbe concludere che il mero annullamento degli atti controversi non è tale da costituire un risarcimento sufficiente del suo danno morale.

57      D’altro lato, il ricorrente considera che la decisione del Consiglio, nonostante il carattere palese dell’illegittimità accertata dal Tribunale nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), di proporre impugnazione avverso tale sentenza, costituisce uno sviamento di potere che ha avuto come conseguenza l’aggravamento del danno da egli subito.

58      In secondo luogo, il ricorrente sostiene che le misure controverse hanno avuto la conseguenza di violare l’esercizio della libertà d’impresa e il diritto di proprietà, di cui egli gode in forza degli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Detta violazione di tali diritti fondamentali aggraverebbe l’illecito commesso dal Consiglio, al punto da costituire un’infrazione qualificata.

59      Nella risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, non contesta più l’illegittimità derivante dall’adozione delle misure controverse e riconosce la pertinenza, nella causa in esame, delle conclusioni tratte dalla Corte nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), relative all’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, nei limiti in cui la designazione del ricorrente è avvenuta in circostanze simili a quelle della causa che ha dato luogo a tale sentenza. Per contro, il Consiglio contesta le affermazioni del ricorrente relative allo sviamento di potere e alla violazione degli articoli 16 e 17 della Carta e ritiene che la sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), non fornisca alcuna indicazione pertinente al riguardo.

60      Nel caso di specie, nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha constatato l’illegittimità degli atti controversi.

61      Tuttavia, occorre ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza del Tribunale, l’accertamento dell’illegittimità di un atto giuridico, per quanto censurabile, non è sufficiente per considerare soddisfatta la condizione per far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 50; v. anche, in tal senso, sentenze del 6 marzo 2003, Dole Fresh Fruit International/Consiglio e Commissione, T‑56/00, EU:T:2003:58, punti da 71 a 75, e del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 31). L’eventuale annullamento di uno o più atti del Consiglio da cui sia scaturito il danno invocato dal ricorrente, ancorché l’annullamento sia stato deciso da una sentenza del Tribunale pronunciata anteriormente alla proposizione dell’azione risarcitoria, non costituisce quindi la prova inconfutabile di una violazione sufficientemente qualificata da parte dell’istituzione medesima che consenta di dichiarare, ipso iure, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

62      La condizione relativa all’esistenza di un comportamento illegittimo delle istituzioni dell’Unione richiede la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (v. sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

63      Il requisito di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli è diretto, a prescindere dalla natura dell’atto illecito in questione, ad evitare che il rischio di dover risarcire i danni addotti dalle persone interessate ostacoli la capacità dell’istituzione interessata di esercitare pienamente le sue funzioni nell’interesse generale, sia nell’ambito della sua attività normativa o implicante scelte di politica economica sia nell’ambito della sua competenza amministrativa, senza per questo lasciare a carico dei singoli l’onere delle conseguenze di violazioni flagranti e inescusabili (v. sentenze del 23 novembre 2011, Sison/Consiglio, T‑341/07, EU:T:2011:687, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, e del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 51).

64      Alla luce della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti da 59 a 61, occorre esaminare se le norme giuridiche, la cui violazione è invocata nel caso di specie dal ricorrente, siano preordinate a conferire diritti ai singoli e se il Consiglio abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata di dette norme.

65      A sostegno della sua domanda di risarcimento, il ricorrente fa valere, in sostanza, due profili di illegittimità, ossia, in primo luogo, l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi, sebbene il Consiglio non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, illegittimità i cui effetti sarebbero stati aggravati da uno sviamento di potere commesso dal Consiglio, in quanto ha proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142) e, in secondo luogo, una violazione degli articoli 16 e 17 della Carta.

66      Anzitutto, per quanto riguarda il profilo di illegittimità relativo all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi da parte del Consiglio, sebbene quest’ultimo non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, occorre ricordare che, ai punti 68 e 69 della sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), il Tribunale ha dichiarato che un’amministrazione normalmente prudente e diligente sarebbe stata in grado di comprendere, al momento dell’adozione dell’atto impugnato nella causa in questione, che le spettava raccogliere informazioni o elementi di prova che giustificassero le misure restrittive nei confronti della ricorrente in detta causa, al fine di potere dimostrare, in caso di contestazione, la fondatezza di tali misure, producendo dinanzi al giudice dell’Unione dette informazioni o detti elementi di prova. Esso ne ha concluso che, non avendo agito in tal senso, il Consiglio si era reso responsabile di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, ai sensi della giurisprudenza citata ai precedenti punti 61 e 62. Al punto 40 della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), pronunciata in sede di impugnazione avverso la sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), e recante rigetto di detta impugnazione, la Corte ha dichiarato che, giustamente, il Tribunale aveva dichiarato, segnatamente ai punti 68 e 69 della sentenza impugnata, che la violazione, per un periodo di quasi tre anni, dell’obbligo incombente al Consiglio di fornire, in caso di contestazione, le informazioni o gli elementi di prova suffraganti le motivazioni addotte per l’adozione di misure restrittive nei confronti di una persona fisica o giuridica, costituiva una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli.

67      Nel caso di specie, come risulta dalla sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), e come confermato dalla Corte, nella sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), è giocoforza constatare che la violazione commessa dal Consiglio è non solo identica quanto al suo oggetto, ma anche più lunga, di circa sei mesi, rispetto a quella commessa dal Consiglio nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986).

68      Ne consegue che, da un lato, la norma giuridica, la cui violazione è fatta valere nel caso di specie, è una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli, tra i quali figura il ricorrente quale persona fisica cui si riferiscono gli atti controversi. D’altro lato, la violazione di detta norma costituisce una violazione sufficientemente qualificata, secondo la giurisprudenza richiamata al precedente punto 63.

69      Del resto, dalle osservazioni formulate dalle parti, a seguito della seconda misura di organizzazione del procedimento, riguardo alle conseguenze che esse traevano dalla sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), sulla causa in esame, risulta che esse stesse concordano ora sul fatto che l’attuale illegittimità costituisce una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

70      Per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale, in sostanza, quest’ultima violazione sarebbe tanto più qualificata in quanto sarebbe stata aggravata dal fatto che il Consiglio avrebbe commesso uno sviamento di potere proponendo un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), tale argomento non può essere accolto.

71      Infatti, secondo una giurisprudenza costante, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta essere stato adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenza del 29 novembre 2017, Montel/Parlamento, T‑634/16, non pubblicata, EU:T:2017:848, punto 161 e giurisprudenza ivi citata).

72      A tal riguardo, da un lato, occorre ricordare che il diritto di proporre un’impugnazione avverso le sentenze del Tribunale è sancito dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE e costituisce parte integrante dei mezzi di ricorso del sistema giurisdizionale dell’Unione. Ai sensi del medesimo articolo, un’impugnazione proposta dinanzi alla Corte deve limitarsi ai motivi di diritto. Peraltro, in forza dell’articolo 56, secondo comma, prima frase, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’impugnazione può essere proposta da qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente nelle sue conclusioni. Dalle disposizioni del diritto primario dell’Unione risulta che, nel rispetto dei limiti in esso previsti, ogni parte è libera non solo di proporre impugnazione avverso una sentenza del Tribunale, ma anche di dedurre qualsiasi motivo che ritenga utile per far valere e far accogliere la sua domanda. Pertanto, a quest’ultimo titolo, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, non si può contestare al Consiglio di aver proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), al fine, come precisato nel controricorso, di disporre di «una giurisprudenza consolidata relativa alle misure restrittive geografiche», in quanto siffatto argomento si riferisce manifestamente a un motivo di diritto, ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE.

73      D’altro lato, non si può accogliere l’affermazione del ricorrente secondo cui il Consiglio ha proposto un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), unicamente al fine di indurre la Repubblica islamica dell’Iran a cessare il suo programma nucleare, mantenendo così gli effetti prodotti dagli atti controversi nei confronti del ricorrente. Infatti, non solo tale affermazione non è corroborata da alcun elemento di prova o di informazione, ma, in ogni caso, è giocoforza constatare che il mantenimento di tali effetti è inerente alla decisione di proporre un’impugnazione, e ciò in forza dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Così, in forza di tale articolo, «[i]n deroga all’articolo 280 [TFUE], le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine contemplato nell’articolo 56, primo comma, del presente statuto, oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto».

74      Inoltre, occorre ricordare (v. supra, punto 18) che, per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’annullamento del regolamento n. 961/2010, al punto 106 della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), il Tribunale ha dichiarato che, nel caso di specie, il rischio di un danno grave e irreparabile all’efficacia delle misure restrittive imposte dal regolamento n. 961/2010 non sembrava sufficientemente elevato da giustificare il mantenimento degli effetti di detto regolamento nei confronti dei ricorrenti per un periodo superiore a quello previsto all’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Analogamente, al punto 107 della medesima sentenza (v. supra, punto 19), il Tribunale ha deciso di mantenere gli effetti della decisione 2010/413, come modificata dalla decisione 2010/644, fino a quando l’annullamento del regolamento n. 961/2010 non avesse prodotto effetti.

75      Dalle considerazioni che precedono risulta che il mantenimento degli effetti prodotti dagli atti controversi nei confronti del ricorrente, in seguito all’annullamento di questi ultimi con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), discende dall’applicazione delle disposizioni dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dalla valutazione sovrana del Tribunale, e non dal comportamento contestato dal ricorrente al Consiglio, in quanto ha proposto un’impugnazione avverso detta sentenza.

76      Pertanto, in mancanza di un qualsiasi elemento oggettivo, presentato dal ricorrente, che possa dimostrare che il Consiglio ha proposto l’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), allo scopo di nuocergli o di indurre la Repubblica islamica dell’Iran a cessare il suo programma nucleare, l’argomento vertente sullo sviamento di potere commesso dal Consiglio, che avrebbe aggravato la violazione della norma giuridica di cui trattasi nel caso di specie, deve essere respinto in quanto infondato.

77      Per quanto riguarda il secondo profilo di illegittimità, relativo alla violazione degli articoli 16 e 17 della Carta, va rilevato che il ricorrente si limita a ricordare le condizioni necessarie per costituire un pregiudizio all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta e a far valere che le misure controverse imposte nei suoi confronti hanno avuto per oggetto e per effetto conseguenti restrizioni sul suo diritto di proprietà e sulla sua libertà di esercitare un’attività economica, come riconosciuti dagli articoli 16 e 17 della Carta.

78      Orbene, anche se, secondo una giurisprudenza costante, il diritto di proprietà è garantito dall’articolo 17 della Carta, esso non fruisce, nel diritto dell’Unione, di una tutela assoluta, ma va considerato in relazione alla sua funzione nella società. Di conseguenza, possono essere apportate restrizioni all’esercizio di tale diritto, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione e non costituiscano, alla luce dello scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto così garantito (v. sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punto 97 e giurisprudenza ivi citata). Tale giurisprudenza può essere applicata, per analogia, alla libertà d’impresa, garantita dall’articolo 16 della Carta.

79      Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che l’adozione degli atti controversi nei confronti del ricorrente, in quanto prevedevano il congelamento dei suoi capitali, dei suoi proventi finanziari e di altre sue risorse economiche, perseguiva l’obiettivo di impedire la proliferazione nucleare e di indurre quindi la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività in questione. Tale obiettivo si inseriva nel contesto più ampio degli sforzi legati al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed era, di conseguenza, legittimo e adeguato (v. in tal senso e per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punti 100 e 101 e giurisprudenza ivi citata).

80      In secondo luogo, le misure controverse risultavano altresì necessarie in quanto misure alternative e meno vincolanti, quali un sistema di previa autorizzazione o un obbligo di giustificazione a posteriori dell’uso dei fondi versati, non consentivano di raggiungere altrettanto efficacemente lo scopo perseguito, ossia di impedire la proliferazione nucleare e di indurre quindi la Repubblica islamica dell’Iran a porre fine alle attività in questione, tenuto conto, in particolare, della possibilità di eludere le restrizioni imposte (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Makhlouf/Consiglio, T‑383/11, EU:T:2013:431, punto101 e giurisprudenza ivi citata).

81      Pertanto, il ricorrente non ha dimostrato che gli atti controversi abbiano violato i diritti di cui egli beneficia in base agli articoli 16 e 17 della Carta.

82      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve concludere che solo il primo profilo di illegittimità, relativo all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi da parte del Consiglio, sebbene quest’ultimo non disponesse di alcun elemento di prova per suffragarli, costituisce un illecito che può far sorgere la responsabilità dell’Unione, secondo la giurisprudenza richiamata al precedente punto 63.

2.      Sul danno lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità tra lillegittimità del comportamento contestato e tale danno

83      Il ricorrente ritiene di aver dimostrato il carattere reale e certo dei danni morale e materiale da egli subiti a causa degli atti controversi e il nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e il danno lamentato. Tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie, egli considera che la sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), non rimette in discussione la fondatezza della sua domanda di risarcimento.

84      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti esposti dal ricorrente. Esso ritiene che le conclusioni della Corte nella sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), relative alle condizioni di risarcimento del danno materiale e morale, siano pertinenti e a favore dei suoi argomenti nella causa in esame.

85      Occorre esaminare se il ricorrente abbia fornito la prova del danno lamentato e del nesso di causalità tra l’illegittimità del comportamento contestato e tale danno.

86      Per quanto riguarda il requisito dell’effettiva sussistenza del danno, secondo la giurisprudenza la responsabilità extracontrattuale dell’Unione sorge soltanto se il ricorrente ha effettivamente subito un danno reale e certo (v., in tal senso, sentenze del 27 gennaio 1982, De Franceschi/Consiglio e Commissione, 51/81, EU:C:1982:20, punto 9, e del 16 gennaio 1996, Candiotte/Consiglio, T‑108/94, EU:T:1996:5, punto 54). Spetta alla parte ricorrente dimostrare che tale condizione è soddisfatta (v. sentenza del 9 novembre 2006, Agraz e a./Commissione, C‑243/05 P, EU:C:2006:708, punto 27 e giurisprudenza ivi citata) e, più in particolare, fornire prove concludenti in ordine all’esistenza e all’entità del danno (v. sentenza del 16 settembre 1997, Blackspur DIY e a./Consiglio e Commissione, C‑362/95 P, EU:C:1997:401, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

87      Più nello specifico, ogni domanda di risarcimento danni, che si tratti di danno materiale o morale, a titolo simbolico o per ottenere un vero e proprio risarcimento, deve precisare la natura del danno lamentato riguardo al comportamento addebitato e, anche solo in modo approssimativo, valutare tale danno nel suo complesso (v. sentenza del 26 febbraio 2015, Sabbagh/Consiglio, T‑652/11, non pubblicata, EU:T:2015:112, punto 65 e giurisprudenza citata).

88      Per quanto riguarda la condizione relativa all’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti, tale danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato, vale a dire tale comportamento deve costituire la causa determinante del danno, mentre non sussiste un obbligo di risarcire qualsiasi conseguenza dannosa, anche lontana, di una situazione illecita (v. sentenza del 10 maggio 2006, Galileo International Technology e a./Commissione, T‑279/03, EU:T:2006:121, punto 130 e giurisprudenza ivi citata, e anche, in tal senso, sentenza del 4 ottobre 1979, Dumortier e a./Consiglio, 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, EU:C:1979:223, punto 21). Incombe al ricorrente fornire la prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno asseriti (v. sentenza del 30 settembre 1998, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, T‑149/96, EU:T:1998:228, punto 101 e giurisprudenza citata).

89      È alla luce della giurisprudenza sopra richiamata che occorre esaminare se, nel caso di specie, il ricorrente abbia dimostrato il carattere reale e certo dei danni morale e materiale che egli avrebbe subito in seguito all’adozione degli atti controversi e al mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi e l’esistenza di un nesso di causalità tra detta adozione e tali danni.

a)      Sul danno materiale lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità

90      Il ricorrente sostiene di essere stato particolarmente colpito dalle misure controverse adottate nei suoi confronti, dato che, al momento dell’adozione degli atti controversi, il centro dei suoi interessi si trovava in Francia, all’interno dell’Unione, in quanto aveva acquisito la cittadinanza francese e risiedeva in Francia, dove aveva aperto alcuni conti bancari. Egli sostiene di aver subito quattro tipi di danni materiali, vale a dire, in primo luogo, la minusvalenza legata alla mancanza di gestione dinamica dei suoi attivi finanziari, in secondo luogo, la perdita dei profitti che gli avrebbe procurato la gestione dei suoi beni immobili, in terzo luogo, le perdite subite in società europee e, in quarto luogo, le spese legali sostenute per ottenere un parziale sblocco dei suoi capitali, e successivamente per liberare i conti bancari sequestrati. Per questi diversi danni materiali, egli chiede che il Consiglio sia condannato a versargli risarcimenti per un importo complessivo di EUR 2 227 000.

91      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, conclude per il rigetto della domanda di risarcimento del danno materiale lamentato.

1)      Sulla minusvalenza legata alla mancanza di gestione dinamica degli attivi finanziari del ricorrente

92      Per quanto riguarda la minusvalenza legata alla mancanza di gestione dinamica dei suoi attivi finanziari, nel ricorso, il ricorrente afferma che egli disponeva, nel suo portafoglio di attivi, di circa EUR 15 milioni, di cui grande parte investita in azioni di società europee quotate in borsa, in azioni di altre società, in depositi a termine in diverse valute e in obbligazioni di società e di Stati, tra cui talune obbligazioni dello Stato greco. Peraltro, egli ritiene che, nei limiti in cui i gestori di fondi sono remunerati in media in misura del 2% dei fondi di gestione, l’attuale danno, di cui egli chiede il risarcimento, ammonta al 2% annuo dell’importo dei suoi fondi che egli stima in EUR 11 milioni, senza tenere conto dei suoi attivi iscritti su conti bancari aperti in Belgio, ossia per un importo complessivo di EUR 660 000 su una base di tre anni.

93      Nella replica, anzitutto, il ricorrente precisa che un portafoglio «dinamico», che viene definito in base alla sua composizione, è caratterizzato da un’assunzione di rischio superiore all’assunzione di rischio del detentore di un portafoglio «equilibrato», a fronte di prestazioni più elevate a lungo termine. L’obiettivo stesso dell’articolo 1 del regolamento n. 423/2007 sarebbe proprio quello di impedire a qualsiasi persona sottoposta a misure restrittive di gestire adeguatamente un portafoglio «dinamico». Pertanto, l’applicazione di misure restrittive costituirebbe il fatto generatore di un danno finanziario che dovrebbe essere automaticamente risarcito qualora dette misure siano dichiarate successivamente illegittime.

94      Orbene, il ricorrente afferma che il suo portafoglio presso la banca BNP Paribas richiedeva una gestione «dinamica». Come esempio di gestione dinamica, egli acclude in allegato alla replica un estratto conto titoli BNP Paribas. Egli aggiunge che l’eccezione di cui all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 267/2012 del Consiglio, del 23 marzo 2012, concernente misure restrittive nei confronti dell’Iran e che abroga il regolamento (UE) n. 961/2010 (GU L 88, pag. 1), non si applicherebbe a conti aventi tali caratteristiche, ma a conti quali il conto a vista di cui disponeva presso la banca Belfius, che non richiedeva una gestione dinamica, il che spiegherebbe il fatto che non lo abbia incluso tra i portafogli per i quali egli chiede il risarcimento del danno asseritamente subito. Pertanto, nel periodo compreso tra il luglio 2010 e l’inizio del 2014, la mancata gestione dei conti del ricorrente aperti presso la banca BNP Paribas gli avrebbe impedito di vendere posizioni a forte rischio, quali le obbligazioni dello Stato greco, di mettere a frutto le fluttuazioni del mercato, di realizzare gli arbitrati indispensabili per una gestione dinamica al fine di adeguare i suoi investimenti e di collocare le sue liquidità, generate dal rimborso dei prodotti a termine e dal pagamento dei dividendi e degli interessi.

95      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

96      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 76 del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere, tra l’altro, le conclusioni del ricorrente e, se del caso, le prove e le offerte di prova. L’articolo 85 del regolamento di procedura richiede che tale prova sia presentata nell’ambito del primo scambio di memorie. Inoltre, una prova supplementare può essere prodotta in fase di replica solo se il ritardo è giustificato.

97      Orbene, nel caso di specie, per quanto riguarda il danno derivante dalla minusvalenza conseguente alla mancanza di gestione dinamica dei suoi attivi finanziari, nel ricorso, il ricorrente tenta di dimostrare il danno che avrebbe subito in maniera assai laconica se non addirittura confusa. Infatti, per quanto riguarda il danno asseritamente subito, nel ricorso, il ricorrente si limita a descrivere in generale il tipo di investimenti che avrebbe effettuato e la composizione del suo portafoglio di attivi, che egli stima, in un primo tempo, al punto 66 del ricorso, in EUR 15 milioni.

98      Da un lato, nel ricorso, egli non individua in alcun momento gli istituti bancari cui avrebbe affidato la gestione dei suoi attivi, né tantomeno l’importo di questi ultimi. Tutt’al più, vi fa un rinvio complessivo, facendo riferimento, in una nota a piè di pagina inserita al punto 66 del ricorso, a due allegati al ricorso, intitolati rispettivamente «Estratti conto e corrispondenza degli istituti bancari» e «Corrispondenza delle banche», senza indicare, in modo preciso, a quali elementi o passaggi di detti allegati egli fa riferimento.

99      Orbene, va ricordato che, secondo una giurisprudenza consolidata, pur se il contenuto del ricorso può essere suffragato e completato, su punti specifici, mediante il rinvio a estratti della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che devono figurare nel ricorso. Inoltre, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato, atteso che gli allegati assolvono una funzione meramente probatoria e strumentale (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2005, Honeywell/Commissione, T‑209/01, EU:T:2005:455, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

100    D’altro lato, al punto 67 del ricorso, il ricorrente valuta, in definitiva, senza fornire giustificazioni, il suo portafoglio di attivi in EUR 11 milioni e, su tale base, applica un tasso del 2%, che egli dichiara, senza fornire alcuna prova, corrispondente alla remunerazione media dei gestori di fondi e, successivamente, stima il suo danno in EUR 660 000 su un periodo di tre anni.

101    Un’argomentazione così laconica e confusa nel ricorso appare troppo imprecisa per stabilire l’entità dell’attuale danno e, quindi, per consentire al Tribunale di comprendere, alla luce delle disposizioni del regolamento di procedura sopra richiamate, la portata delle pretese del ricorrente. Pertanto, tale argomentazione deve essere respinta in quanto irricevibile.

102    Ad abundantiam, anche supponendo che, nonostante tali circostanze, nel caso di specie, il Tribunale possa effettuare ricerche di elementi di prova negli allegati del ricorso menzionati al precedente punto 96, si dovrebbe in tal caso constatare che tali allegati non consentono di stabilire con certezza l’entità dell’attuale danno.

103    Infatti, per quanto riguarda l’allegato intitolato «Estratti conto e corrispondenza degli istituti bancari», esso contiene vari documenti non individuati singolarmente dal ricorrente. Il Tribunale osserva tuttavia che sembra trattarsi di documenti che potrebbero essere individuati come segue:

–        un estratto conto della banca Dexia datato 30 luglio 2010 (pagine da 23 a 25 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso), da cui non risulta in alcun modo il nome del ricorrente quale titolare del conto di cui trattasi;

–        un’attestazione del saldo al 28 giugno 2010 di un conto del ricorrente presso la Banca Belfius, datata 23 luglio 2015, accompagnata da un estratto di detto conto per il periodo compreso tra il 1o giugno 2010 e il 9 ottobre 2010 (pagine da 26 a 29 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso), attestazione ed estratto conto che risultano, in definitiva, privi di pertinenza, in quanto, nella replica, il ricorrente dichiara espressamente di non tenerne conto nella presente domanda di risarcimento;

–        gli estratti di due conti del ricorrente aperti presso la banca Société Générale (pagine 30 e 31 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso);

–        un estratto di un conto di risparmio salariale del ricorrente presso gli istituti Amundi e Inter Expansion (pagine 32 e 33 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso);

–        un documento intitolato «Portfolio Management Report» proveniente dalla banca BNP Paribas Wealth Management, da cui non risulta in alcun modo il nome del ricorrente quale titolare del conto di cui trattasi (pagine da 34 a 38 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso);

–        una tabella che individua i conti aperti presso sei istituti nonché la loro valutazione e la loro natura, senza alcuna precisazione circa l’identità del loro titolare.

104    Pertanto, oltre al fatto che taluni documenti summenzionati non consentono di identificare il nome del titolare del conto di cui trattasi, nessun elemento dell’allegato in questione consente di comprendere in modo reale e certo quale sia il danno asseritamente subito dal ricorrente.

105    Il carattere confuso degli argomenti del ricorrente risulta accentuato alla lettura delle precisazioni che egli fornisce nella replica, poiché, secondo tali precisazioni, si dovrebbe in tal caso tenere conto solo degli attivi affidati alla banca BNP Paribas. Orbene, detti attivi, anche supponendo che siano detenuti dal ricorrente, ammonterebbero, secondo il documento intitolato «Portfolio Management Report», riportato alle pagine da 34 a 38 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso, a EUR 7 746 855, ossia un importo assai inferiore all’importo di EUR 11 000 000 sul quale il ricorrente basa infine il calcolo del danno che sostiene di aver subito.

106    Per quanto riguarda l’allegato intitolato «Corrispondenza delle banche», esso contiene tre lettere di tre istituti bancari o di gestione di attivi, lettere che accennano unicamente al fatto che tali istituti traggono le conseguenze dagli atti controversi, vale a dire il congelamento dei beni del ricorrente e il loro intento di rispettare la normativa in vigore. Per quanto riguarda la lettera della banca BNP Paribas Wealth Management dell’11 febbraio 2011, il suo autore aggiunge di trovarsi nell’impossibilità di passare, come avrebbe auspicato il ricorrente, ad una gestione «di tipo conservatore», e quindi più sicura, dei suoi beni (pagina 157 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso). È giocoforza constatare che tali documenti non consentono di stabilire l’entità del danno lamentato dal ricorrente. Dalle considerazioni ad abundantiam che precedono risulta che la sua domanda di risarcimento del danno derivante dalla minusvalenza conseguente alla mancanza di gestione dinamica degli attivi finanziari dovrebbe essere, in ogni caso, respinta in quanto infondata.

107    Alla luce della conclusione tratta al precedente punto 101 e senza che occorra esaminare se il ricorrente abbia fornito la prova del nesso di causalità, la domanda di risarcimento del danno derivante dalla minusvalenza conseguente alla mancanza di gestione dinamica degli attivi finanziari deve essere respinta in quanto irricevibile.

2)      Sulla perdita dei profitti a titolo di gestione dei beni immobili

108    Per quanto riguarda le perdite dei profitti che gli procurerebbe la gestione dei suoi beni immobili, il ricorrente rileva che la gestione dei due appartamenti, di cui è proprietario, in Francia e in Belgio, è divenuta impossibile in seguito all’adozione degli atti controversi, poiché si trovava nell’impossibilità di percepire canoni di locazione, di pagare lavori e polizze di assicurazione.

109    Nella replica, il ricorrente precisa che l’articolo 29, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 267/2012, che consente di continuare a percepire canoni sui contratti di locazione in corso, non era applicabile nel caso dell’appartamento situato in Francia, il quale non era in locazione alla data in cui il nome del ricorrente è stato inserito per la prima volta in elenchi di persone e di entità alle quali si applicano misure restrittive, a causa di piccoli lavori che dovevano esservi effettuati. Basandosi su un contratto firmato il 18 ottobre 2014, dopo la revoca delle misure controverse adottate nei suoi confronti, il ricorrente sostiene che il valore locativo dell’appartamento in questione ammonta a EUR 2 500 mensili, cosicché il mancato guadagno corrispondente alla mancata locazione può essere stimato in un importo pari a EUR 102 500.

110    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

111    In via principale, come è stato ricordato al precedente punto 96, il ricorso deve contenere, tra l’altro, le conclusioni del ricorrente e, se del caso, le prove e le offerte di prova. Inoltre, una prova supplementare può essere prodotta in fase di replica solo se il ritardo è giustificato.

112    Orbene, nel caso di specie, è giocoforza constatare che, al punto 68 del ricorso, il solo punto di quest’ultimo relativo al danno derivante dall’impossibilità di gestire i suoi beni immobili, il ricorrente si limita ad affermare che detto danno deriva dall’«impossibilità di percepire canoni, di pagare lavori e assicurazioni ecc.» e non produce in senso stretto alcun documento o elemento che possa suffragare tale affermazione, provare i suoi titoli di proprietà e fornire la prova del danno e del nesso di causalità. È vero che, per quanto riguarda unicamente l’appartamento di cui sarebbe proprietario in Francia, nella replica, il ricorrente ha prodotto un allegato C.2 contenente tre documenti, ossia un contratto di locazione firmato il 18 ottobre 2014, un avviso di accertamento fiscale 2013 «imposte sulle abitazioni vuote», redatto il 29 ottobre 2013, e una lettera del 20 ottobre 2014 inviata all’ufficio delle imposte. Tuttavia, sebbene questi tre documenti siano stati redatti prima della proposizione del presente ricorso, il ricorrente non giustifica in alcun modo la loro produzione tardiva, in fase di replica. Pertanto, l’allegato C.2 alla replica deve essere respinto in quanto irricevibile. Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda di risarcimento della voce di danno summenzionata deve essere quindi respinta in quanto irricevibile.

113    Ad abundantiam, anche supponendo che, nel caso di specie, detta domanda e l’allegato C.2 siano dichiarati ricevibili, sarebbe giocoforza constatare che il ricorrente non fornisce alcuna prova circa il carattere reale e certo del danno lamentato, per il danno di cui trattasi. Infatti, occorre constatare, in particolare, che il ricorrente non produce né la prova dei suoi titoli di proprietà relativi ai due appartamenti di cui sostiene di essere proprietario, né quella che tali beni immobili erano destinati a essere dati in locazione al momento dell’adozione degli atti controversi.

114    Peraltro, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, gli atti controversi non gli impedivano affatto di continuare a risiedere, se così fosse stato in precedenza, in un appartamento di cui era proprietario; tanto più che, come dallo stesso ricordato al punto 65 del ricorso, al momento dell’adozione degli atti controversi, egli aveva la cittadinanza francese e risiedeva in Francia.

115    Dalle considerazioni ad abundantiam che precedono risulta che il ricorrente non fornisce la prova del danno lamentato in relazione ai due appartamenti di cui sarebbe proprietario in Francia e in Belgio, cosicché la sua domanda di risarcimento a titolo del danno derivante dalla perdita di redditi da locazione dovrebbe essere, in ogni caso, respinta in quanto infondata.

116    Alla luce della conclusione tratta al precedente punto 112 e senza che occorra esaminare se il ricorrente abbia fornito la prova del nesso di causalità, la domanda di risarcimento della voce di danno derivante dall’impossibilità per il ricorrente di gestire i suoi beni immobili deve essere respinta in quanto irricevibile.

3)      Sulle perdite subite in società europee

117    Per quanto riguarda le perdite subite in società europee, il ricorrente precisa che, al momento dell’adozione degli atti controversi, egli deteneva il 26% delle quote nella società francese Codefa Connectique S.A.S. (in prosieguo: la «Codefa») ed era azionista delle società tedesche Decom Technology GmbH (in prosieguo: la «Decom») e Senteg GmbH, attraverso la società belga Soreltek S.A. Detti atti avrebbero comportato ostacoli insormontabili per tali società e, pertanto, un deprezzamento del loro valore. Al fine di dimostrare l’esistenza del danno materiale subito dalla Codefa e dalla Decom, egli produce una relazione, datata 21 luglio 2015, redatta da una società di revisione contabile iscritta all’ordine dei revisori contabili della regione Paris Île‑de‑France (Francia), acclusa nell’allegato A.14 al ricorso (in prosieguo: la «perizia contabile»).

118    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

i)      Sulle perdite subite nella Senteg e nella Decom

119    Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite subite nella Senteg e nella Decom, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che tale domanda sia irricevibile. Infatti, il ricorrente non deterrebbe alcuna partecipazione in tali società. Per quanto riguarda la Soreltek, che deterrebbe l’80% delle quote della Decom e il 20% delle quote della Senteg e di cui il ricorrente sostiene di essere l’unico beneficiario economico, dal suo statuto o dagli altri elementi del fascicolo non risulterebbe che essa sia detenuta, direttamente o indirettamente, dal ricorrente, in quanto sarebbe stata posseduta al 99% dalla società lussemburghese Wirkkraft S.A. e all’1% da una società terza. Anche se il ricorrente fosse il beneficiario economico della Wirkkraft, il suo interesse ad agire sarebbe troppo indiretto rispetto alla Senteg o alla Decom.

120    Nella replica, il ricorrente sostiene di possedere i titoli al portatore della Wirkkraft, che è disposto a produrre ove necessario, di garantire l’intero finanziamento di tale società e di essere l’unico beneficiario economico della Wirkkraft e della Soreltek.

121    In primo luogo, per quanto riguarda la Soreltek, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 99, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato. Orbene, nel caso di specie, al punto 76 del ricorso, il ricorrente si limita ad affermare di «[essere] stato individuato come [il] beneficiario economico unico» della Soreltek. A sostegno di tale affermazione, egli si limita a rinviare, senza alcuna precisazione, a quattro documenti acclusi nell’allegato A.13 del ricorso.

122    In ogni caso, anche supponendo che, nel caso di specie, il Tribunale possa ricercare e individuare gli elementi a sostegno di tale affermazione del ricorrente, sarebbe giocoforza constatare che nessuno dei citati documenti acclusi nell’allegato A.13 del ricorso lo consentirebbe.

123    Infatti, sotto un primo profilo, lo statuto della Soreltek, come registrato nel Moniteur belge (v. pagine da 269 a 271 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso) non fa alcun riferimento alla cosiddetta qualità di beneficiario economico unico del ricorrente in tale società. Tutt’al più ne risulta che 209 delle 210 quote della Soreltek, ossia un po’ più del 99% di tali quote, sono detenute dalla Wirkkraft e la restante quota dalla società Transnational Consulting Group. Peraltro, non risulta neppure che il ricorrente eserciti le funzioni né di amministratore né di amministratore delegato della Soreltek (v. pagina 271 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso)

124    Sotto un secondo profilo, le due lettere inviate dalla banca Dexia alla Soreltek, datate 11 agosto 2010 e 8 settembre 2010 (pagine 272 e 273 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso), mirano a informare detta società del fatto che, su richiesta del procureur du Roi de Bruxelles (procuratore del Re di Bruxelles, Belgio), due dei suoi conti sono stati bloccati e poi liquidati. In nessun caso viene menzionato un qualsiasi status di beneficiario economico unico del ricorrente rispetto a tale società.

125    Sotto un terzo profilo, la lettera dell’11 febbraio 2014 (riprodotta in due punti in duplice copia alle pagine 274 e 275 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso), inviata da uno studio legale all’ufficio del procureur du Roi de Bruxelles (procuratore del Re di Bruxelles), menziona solo la qualità dei firmatari in quanto «avvocati del ricorrente e della sua società, la SA Soreltek» e la domanda di restituzione dei conti bancari dei loro clienti. Nessun elemento di tale lettera consente di corroborare il presunto status di beneficiario economico unico del ricorrente rispetto alla Soreltek.

126    Sotto un quarto profilo, la lettera del procureur du Roi de Bruxelles (procuratore del Re di Bruxelles) del 6 dicembre 2013 (pagina 276 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso) informa l’avvocato del ricorrente che egli ha «ordinato in tale data lo svincolo dei beni sequestrati in tale fascicolo a carico del sig. Mahmoudian e [della] SA Soreltek» e trasmette copia di una domanda inviata dalla «banca ING all’O.C.S.C. riguardante il dossier titoli del sig. Mahmoudian (Titoli Befimmo SCA‑SICAFI)». In nessun caso si menziona un qualsiasi status di beneficiario economico unico del ricorrente rispetto alla Soreltek.

127    Peraltro, occorre rilevare che, al punto 93 della replica, il ricorrente si è limitato a ribadire che era il beneficiario economico della Soreltek e a dedurne che tale società faceva parte dei suoi attivi.

128    In secondo luogo, per quanto riguarda la Wirkkraft, è giocoforza constatare che, nel ricorso, il ricorrente non produce alcun elemento che possa avvalorare la sua affermazione, al punto 92 della replica, secondo cui egli sarebbe il beneficiario economico e detentore di titoli al portatore di tale società. Tutt’al più, nella replica, si dichiara «disposto» a produrre l’originale di detti titoli e, d’altro canto, afferma che «[i]l finanziamento della (…) Wirkkraft è interamente garantito dal ricorrente che ne è il “beneficiario economico” come risulta dalla dichiarazione prodotta nell’[a]llegato C.6».

129    Orbene, da un lato, alla luce del disposto degli articoli 76 e 85 del regolamento di procedura, spettava al ricorrente produrre, sin dalla fase del ricorso, gli elementi di prova attestanti la sua qualifica, come egli asserisce, di detentore di titoli ai portatori della Wirkkraft. In nessun caso, egli tenta di spiegare per quale ragione, anche in fase di replica, non ha prodotto siffatta prova supplementare.

130    D’altro lato, per quanto riguarda la dichiarazione prodotta nell’allegato C.6 alla replica, si deve rilevare che, pur essendo datata 9 dicembre 2013, ossia poco meno di due anni prima della proposizione del presente ricorso, il ricorrente non giustifica in alcun modo il fatto che essa sia prodotta in fase di replica. Pertanto, l’allegato C.6 alla replica, che risulta contenere solo una mera dichiarazione sull’onore firmata dal ricorrente e in alcun modo suffragata, deve essere respinto in quanto irricevibile.

131    Dalle suesposte considerazioni risulta che il ricorrente non ha dimostrato che sarebbe, come egli stesso afferma, il «beneficiario economico» e il detentore dei titoli al portatore della Wirkkraft.

132    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve ritenere che, in ogni caso, non avendo fornito il benché minimo elemento di prova a sostegno delle sue affermazioni, il ricorrente ha fatto valere, per presentare la sua domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite subite nella Senteg e nella Decom, un danno di cui non ha provato l’effettività, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 86.

133    Di conseguenza, occorre respingere quest’ultima domanda in quanto irricevibile e, in ogni caso, in quanto infondata.

ii)    Sulle perdite connesse alla Codefa

134    Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite connesse alla Codefa, al fine di dimostrare il danno materiale che egli sostiene di aver subito per quanto riguarda la Codefa, il ricorrente si basa, da un lato, sulla perizia contabile e, dall’altro, su diverse copie di documenti riguardanti la Codefa, acclusi nell’allegato A.5 del ricorso.

135    In primo luogo, occorre valutare il valore probatorio della perizia contabile.

136    A tale titolo, in mancanza di una normativa dell’Unione sulla nozione di prova, il giudice dell’Unione ha sancito un principio di libera amministrazione o di libertà dei mezzi di prova, che va inteso come facoltà di avvalersi, per provare un certo fatto, di mezzi di prova di qualsiasi natura, quali prove testimoniali, prove documentali, confessioni ecc. (v., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2000, Met‑Trans e Sagpol, C‑310/98 e C‑406/98, EU:C:2000:154, punto 29, dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 113 e 114). Correlativamente, il giudice dell’Unione ha sancito un principio di libera valutazione della prova, secondo il quale la determinazione della credibilità o, in altri termini, del valore probatorio di un elemento di prova è rimessa all’intimo convincimento del giudice (sentenza dell’8 luglio 2004, Dalmine/Commissione, T‑50/00, EU:T:2004:220, punto 72, e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Archer Daniels Midland/Commissione, C‑511/06 P, EU:C:2008:604, paragrafi 111 e 112).

137    Per valutare il valore probatorio di un documento, bisogna tener conto di diversi elementi, come l’origine del documento, le circostanze in cui è stato elaborato, il destinatario, il contenuto e chiedersi se, in base a tali elementi, l’informazione che esso contiene appaia ragionevole e affidabile (sentenze del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 1838, e del 7 novembre 2002, Vela e Tecnagrind/Commissione, T‑141/99, T‑142/99, T‑150/99 e T‑151/99, EU:T:2002:270, punto 223).

138    In tale contesto, il giudice dell’Unione ha già valutato che un’analisi, fornita da un ricorrente, non poteva essere considerata una prova neutra e imparziale, perché era stata richiesta e finanziata dal ricorrente stesso e sviluppata sul fondamento dei dati messi a disposizione da quest’ultimo, senza che l’esattezza o la pertinenza di tali dati fossero state oggetto di una verifica indipendente (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2011, Siemens/Commissione, T‑110/07, EU:T:2011:68, punto 137).

139    Il giudice dell’Unione ha anche avuto modo di precisare che la relazione di un esperto poteva essere considerata probatoria solo per il suo contenuto obiettivo e che una semplice affermazione non suffragata, presente in un documento del genere, non era, di per sé, determinante (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2004, Valmont/Commissione, T‑274/01, EU:T:2004:266, punto 71).

140    È alla luce dei principi richiamati ai precedenti punti da 136 a 139 che occorre valutare, nel caso di specie, il valore probatorio della perizia contabile.

141    A tal riguardo, occorre osservare che la perizia contabile è stata redatta da una società di revisione contabile iscritta all’ordine dei revisori contabili della regione Paris Île‑de‑France. Dalla lettera contenuta nelle pagine 2 e 3 di detta perizia, inviata al ricorrente e datata 21 luglio 2015, risulta che, conformemente alle condizioni fissate nel corso di una riunione del 18 giugno 2015, l’obiettivo dell’incarico affidato dal ricorrente a tale società era quello di valutare i danni a lui causati dalle misure controverse, per quanto riguarda la sua partecipazione nel capitale della Codefa e della Decom. Per l’espletamento di detto incarico, in tale lettera viene precisato, in particolare, che: «[tale] perizia è stata redatta in base ai documenti che il sig. Fereydoun Mahmoudian ci ha fornito». Dalla formulazione della suddetta lettera risulta che la perizia contabile è stata redatta su richiesta del ricorrente al fine di attestare, nell’ambito della presente controversia, l’effettiva sussistenza e l’entità del danno materiale lamentato e che tale perizia si basa essenzialmente su documenti forniti dal ricorrente. Occorre sottolineare che detti documenti, cui si fa talvolta rinvio attraverso le note a piè di pagina, non sono allegati alla perizia contabile.

142    Dato il contesto in cui è stata redatta la perizia contabile e in conformità ai principi richiamati ai precedenti punti da 136 a 139, il valore probatorio di tale perizia deve essere relativizzato. Tale perizia non può essere considerata sufficiente a dimostrare ciò che vi è contenuto, in particolare per quanto riguarda l’effettiva sussistenza e l’entità del danno lamentato. Tutt’al più, si può affermare che essa vale come prova prima facie, a condizione di essere confermata da altri elementi di prova.

143    In secondo luogo, per quanto riguarda le copie di documenti riguardanti la Codefa, acclusi nell’allegato A.5 del ricorso, ma anche la perizia contabile alla quale il ricorrente rinvia complessivamente al punto 71 del ricorso, anzitutto, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 99, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi e gli argomenti sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere basato. Ciò vale a maggior ragione quando un allegato è simile a un fascicolo che raccoglie vari documenti riguardanti un soggetto o una persona, documenti che sono riprodotti su un numero voluminoso di pagine. In un caso del genere, in mancanza di un rinvio preciso, ad opera della parte che li comunica, agli elementi e ai passaggi di detti allegati che essa intende mettere in evidenza per provare la fondatezza dei suoi argomenti, alla luce della giurisprudenza citata, tali allegati vedono il loro valore probatorio e strumentale fortemente ridotto.

144    Così avviene manifestamente, nel caso di specie, per quanto riguarda l’allegato A.5 del ricorso, che consiste, come indicato dal ricorrente, in «[c]opie di documenti riguardanti la società CODEFA», riprodotti alle pagine da 41 a 154 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso, ossia un totale di 114 pagine. In mancanza di un rinvio preciso, nel ricorso, agli elementi contenuti in queste 114 pagine dell’allegato A.5, si deve ritenere che il ricorrente non abbia dimostrato la fondatezza dei suoi argomenti di cui trattasi nel caso di specie.

145    Per quanto riguarda il rinvio complessivo, al punto 71 del ricorso, alla perizia contabile per dimostrare l’esistenza del danno subito dal ricorrente, in particolare a titolo delle sue partecipazioni nella Codefa, ancora una volta, si deve ritenere che, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura e della giurisprudenza richiamata al precedente punto 99, siffatto rinvio generico a detta perizia, riportata nelle pagine da 277 a 290 del fascicolo contenente gli allegati al ricorso, non possa supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto, che devono figurare nel ricorso.

146    In terzo luogo, per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite connesse alla Codefa, il ricorrente fa valere che, in seguito all’adozione degli atti controversi nei confronti del ricorrente e della Fulmen, la Codefa ha incontrato difficoltà, cosicché egli non avrebbe potuto ottenere il rimborso dei prestiti che le aveva concesso, per un importo di EUR 220 000, né recuperare il suo investimento, a titolo di acquisto di azioni, in tale società nel 2009. A causa di tali difficoltà, il ricorrente sostiene che, nell’ottobre 2010, la banca Société Générale ha chiuso il conto della Codefa e ha annullato un’autorizzazione di scoperto di cui essa beneficiava. Inoltre, essa non avrebbe potuto aprire un conto in un altro istituto bancario. Infine, a causa delle sanzioni che colpivano il ricorrente e la Fulmen, essa non avrebbe potuto beneficiare dell’aiuto dello Stato francese concesso alle imprese in difficoltà, sebbene potesse esservi ammessa. In mancanza di un contributo finanziario che potesse essere fornito da un azionista, tali difficoltà finanziarie avrebbero portato alla sua liquidazione nel 2012.

147    Sotto un primo profilo, per quanto riguarda i due prestiti di importo complessivo pari a EUR 220 000 asseritamente concessi dal ricorrente alla Codefa, in via principale, si deve constatare che, nella nota a piè di pagina inserita al punto 72 del ricorso, il ricorrente rinvia unicamente e senza alcuna precisazione all’allegato A.5 del ricorso. Pertanto, il ricorrente non ha fornito la prova dell’esistenza di questi due prestiti, cosicché, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura, tale argomento deve essere respinto in quanto irricevibile.

148    Ad abundantiam, anche supponendo che siffatto rinvio sia ritenuto, nel caso di specie, sufficiente, di modo che il Tribunale sarebbe autorizzato a verificare nell’allegato A.5 del ricorso se un documento dimostri l’esistenza dei prestiti in questione, occorrerebbe quantomeno considerare i due documenti riprodotti rispettivamente alle pagine 43 e 44, da un lato, e alle pagine 45 e 46, dall’altro, del fascicolo contenente gli allegati al ricorso. Tali due documenti consistono in due contratti di mutuo conclusi tra la Codefa, in qualità di mutuatario, e il ricorrente, in qualità di mutuante, per un importo rispettivo di EUR 70 000 e di EUR 150 000, ossia, un importo complessivo di EUR 220 000, che risulta corrispondere a quello fatto valere dal ricorrente. Tuttavia, si deve rilevare che, come riconosciuto dallo stesso ricorrente in udienza, questi due contratti, redatti in lingua inglese, non sono né siglati né firmati. In tali circostanze, anche supponendo che gli argomenti fondati su questi due documenti fossero ricevibili, il loro valore probatorio rispettivo sarebbe fortemente limitato, dal momento che essi non consentono di dimostrare con certezza l’esistenza del credito sul quale il ricorrente si fonda per chiedere il risarcimento del danno in questione. Tale conclusione non può essere controbilanciata dal fatto che, come ha segnalato in udienza il ricorrente, dal dettaglio del bilancio passivo della Codefa (bilancio di esercizio al 30 giugno 2011), riportato alle pagine 80 e 81 del fascicolo contenente gli allegati del ricorso, risulta che sotto la rubrica «Scoperti e linee di credito bancario», la linea 455002 «MAHMOUDIAN Féreidoun» indica un importo di debito pari a EUR 220 000 netti al 30 giugno 2011. Infatti, poiché la Codefa è stata liquidata più di sei mesi dopo la stesura di tale bilancio di esercizio, non è possibile acquisire la certezza che i prestiti concessi dal ricorrente alla Codefa non siano stati, nel frattempo, in parte o addirittura integralmente rimborsati. Pertanto, anche supponendo che il Tribunale possa tenere conto di tale documento contenuto nell’allegato A.5 del ricorso, al quale il ricorrente non ha fatto precisamente riferimento nel ricorso, in ogni caso, siffatta menzione non consentirebbe di dimostrare l’effettività del danno lamentato.

149    Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda la decisione della banca Société Générale di chiudere i conti della Codefa e di annullare un’autorizzazione di scoperto di cui essa beneficiava, in via principale, si deve constatare che, nella nota a piè di pagina inserita al punto 73 del ricorso, il ricorrente rinvia unicamente e senza ulteriori precisazioni, all’«[a]llegato A.5, v. lettera della Société Générale del 2.9.2010». Come si è già rilevato al precedente punto 144, siffatto rinvio è insufficiente trattandosi di un allegato contenente una pluralità di documenti riprodotti su un totale di 114 pagine. Pertanto, il ricorrente non ha fornito la prova dell’esistenza di tali decisioni, adottate dalla banca Société Générale, cosicché, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura, tale argomento deve essere respinto in quanto irricevibile.

150    Ad abundantiam, anche supponendo che si possa ritenere, nel caso di specie, che siffatto rinvio sia sufficiente, di modo che il Tribunale dovrebbe verificare nell’allegato A.5 del ricorso quale documento costituisca la «lettera della Société Générale del 2.9.2010», sarebbe lecito constatare che detto documento è riprodotto sulla prima pagina dell’allegato A.5, vale a dire alla pagina 41 del fascicolo contente gli allegati al ricorso. Orbene, è giocoforza rilevare che, come riconosciuto dallo stesso ricorrente in udienza, dal tenore di tale lettera della banca Société Générale non risulta affatto che la chiusura del conto della Codefa, nonché l’annullamento dell’autorizzazione di scoperto di EUR 80 000 di cui essa beneficiava, derivino dall’adozione degli atti controversi.

151    Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda il rifiuto asseritamente opposto da un altro istituto bancario all’apertura di un conto bancario a nome della Codefa a causa degli atti controversi adottati nei confronti del ricorrente, è giocoforza constatare che tale affermazione, contenuta nel ricorso, non è suffragata da alcun elemento di prova. Pertanto, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura, tale argomento deve essere respinto in quanto irricevibile.

152    Sotto un quarto profilo, per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale la Codefa non avrebbe potuto beneficiare dell’aiuto concesso abitualmente alle imprese in difficoltà, sebbene potesse esservi ammessa, è giocoforza constatare nuovamente che tale affermazione, contenuta nel ricorso, non è suffragata da alcun elemento di prova. Pertanto, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura, tale argomento deve essere respinto in quanto irricevibile.

153    Sotto un quinto profilo, per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale il ricorrente, a causa della liquidazione della Codefa, non avrebbe potuto «recuperare direttamente o indirettamente il suo investimento [a titolo] di acquisto di azioni nel 2009», è giocoforza constatare che tale argomento, contenuto nel ricorso, non è suffragato da alcun elemento di prova. In particolare, il ricorrente non precisa né l’importo complessivo che avrebbe investito per acquisire azioni nella Codefa, né il numero di quote, né il loro valore nominale. Pertanto, alla luce del disposto dell’articolo 76 del regolamento di procedura, tale argomento deve essere respinto in quanto irricevibile.

154    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, poiché gli argomenti esposti a sostegno della domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite connesse alla Codefa, sono in parte irricevibili e in parte infondati, il ricorrente non ha suffragato la suddetta domanda. Pertanto, si deve concludere che essa deve essere respinta in quanto infondata.

155    Pertanto, alla luce delle conclusioni tratte nei precedenti punti 133 e 154, la domanda di risarcimento del danno derivante dalle perdite subite dal ricorrente in società europee deve essere respinta in quanto in parte irricevibile e in parte infondata.

4)      Sulle spese legali sostenute per ottenere un parziale sblocco dei capitali del ricorrente, e successivamente per liberare i conti bancari sequestrati

156    Per quanto riguarda le spese legali sostenute per ottenere un parziale sblocco dei suoi capitali e successivamente per liberare i conti bancari sequestrati, il ricorrente fa valere che non gli è stata trasmessa alcuna informazione sulla procedura da seguire per disporre dei fondi necessari per la copertura delle sue spese personali. Di conseguenza, per ottenere lo sblocco di EUR 1 000 mensili, egli ha fatto ricorso a uno studio legale, in Francia, che gli ha inviato una nota spese di EUR 8 875. Analogamente, egli ha conferito mandato ad uno studio legale in Belgio, dapprima per intervenire presso le autorità belghe e, successivamente, dopo la sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775), per svolgere le pratiche necessarie al fine di liberare i conti bancari sequestrati, il che ha giustificato una nota spese di EUR 8 838. In totale, le spese legali in questione avrebbero quindi raggiunto un importo pari a EUR 17 713.

157    In fase di replica, il ricorrente sottolinea che, data la sua età e la sua situazione personale, l’aiuto di un consulente specializzato era necessario per far valere efficacemente i propri diritti presso banche e autorità pubbliche; il fatto che sia stato necessario un anno per ottenere lo sblocco delle somme necessarie alle sue spese essenziali dimostrerebbe che tale battaglia era complicata e difficile; inoltre, dai documenti del fascicolo risulterebbe che il blocco dei suoi conti in Belgio era direttamente connesso agli atti controversi.

158    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

159    In sostanza, per il danno derivante dalle spese legali che avrebbe sostenuto per ottenere, in Francia e in Belgio, un parziale sblocco dei suoi capitali, durante il periodo controverso, e successivamente per liberare i suoi conti bancari sequestrati, il ricorrente chiede il rimborso degli onorari degli avvocati che avrebbe pagato a tal fine. A tale titolo, egli produce, in allegato al ricorso, da un lato, gli scambi di corrispondenza tra lo studio legale con sede in Francia e la direzione generale del Tesoro (Francia) e gli scambi di corrispondenza tra lo studio legale con sede in Belgio e la procura di Bruxelles e, dall’altro, due note spese redatte, rispettivamente, dagli studi legali di cui trattasi. Si deve considerare che, per «periodo controverso», il ricorrente intende il periodo compreso tra il primo inserimento del suo nome il 26 luglio 2010 (v. supra, punto 10) e la cancellazione di detto nominativo dagli elenchi controversi il 19 dicembre 2013 (v. supra, punto 22) (in prosieguo: il «periodo controverso»).

160    A tal proposito, per quanto riguarda la prova dell’effettività del danno, che spetta al ricorrente fornire, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 86, senza che occorra pronunciarsi sulla questione se, nell’ambito delle procedure nazionali di cui trattasi nel caso di specie, il ricorrente fosse tenuto a farsi assistere da un avvocato, è giocoforza constatare che egli si limita a produrre due note di spese, emesse dai suoi avvocati, che gli sono state inviate personalmente, per un importo complessivo di EUR 17 713. Per contro, egli non produce alcuna prova del fatto che tali due note spese non solo siano state effettivamente pagate, ma soprattutto, poiché ne chiede il rimborso a titolo del presente danno, che siano state pagate con fondi propri.

161    In tali circostanze, si deve concludere che il ricorrente non ha manifestamente fornito prove concludenti sia dell’esistenza che dell’entità del danno lamentato, quanto alle spese legali che ha deciso di sostenere a titolo di servizi di assistenza dinanzi alle autorità nazionali francesi e belghe. Pertanto, egli ha manifestamente omesso di provare che il danno, derivante dalle spese legali che avrebbe sostenuto in Francia e in Belgio e di cui chiede il risarcimento, fosse reale e certo. La domanda di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente in Francia e in Belgio deve essere quindi respinta (v., in tal senso, ordinanza del 7 febbraio 2018, AEIM e Kazenas/Commissione, T‑436/16, non pubblicata, EU:T:2018:78, punti 46 e 47).

162    Alla luce delle conclusioni tratte ai precedenti punti 107, 116, 155 e 161, la domanda di risarcimento del danno materiale asseritamente subito deve essere respinta in quanto parzialmente irricevibile e, in ogni caso infondata, e in quanto parzialmente infondata.

b)      Sul danno morale lamentato e sullesistenza di un nesso di causalità

163    Il ricorrente sostiene che l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi gli ha causato due tipi di danni morali, ossia, da un lato, il pregiudizio arrecato alla sua onorabilità e alla sua reputazione, per il quale egli reclama un importo di EUR 100 000, e, dall’altro, la sofferenza che ne deriva riguardo sia alle difficoltà causate alla sua vita quotidiana sia al pregiudizio arrecato alla sua salute, per i quali egli reclama un importo di EUR 500 000.

164    Nella sua risposta al quesito posto nell’ambito della seconda misura di organizzazione del procedimento sulle conseguenze della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), sulla causa in esame, egli ritiene che, tenuto conto delle circostanze aggravanti considerate, in particolare, dello sviamento di potere commesso dal Consiglio, il risarcimento integrale del danno morale richieda un importo superiore a quello stabilito nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza.

165    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che la domanda di risarcimento del danno morale lamentato debba essere respinta.

1)      Sul pregiudizio all’onorabilità e alla reputazione

166    Il ricorrente sostiene che il pregiudizio arrecato alla sua onorabilità e alla sua reputazione, dovuto all’adozione e alla pubblicazione degli atti controversi, gli avrebbe causato un danno morale distinto dal danno materiale derivante dall’incidenza sulle sue relazioni personali con terzi.

167    Peraltro, l’annullamento a posteriori degli atti controversi non consentirebbe di risarcire integralmente il danno morale che egli avrebbe subito a causa del pregiudizio così arrecato alla sua onorabilità e alla sua reputazione, il quale è stato prolungato e accentuato dal fatto che il Consiglio ha esaurito tutti i mezzi di ricorso disponibili. Solo nell’ambito del procedimento di impugnazione il Consiglio ha asserito, per la prima volta, l’esistenza di elementi riservati che giustificavano l’adozione degli atti controversi, esistenza che non è mai stata dimostrata. Nonostante le sue rimostranze fondate, il Consiglio avrebbe deciso, senza alcun elemento di prova e senza procedere ad alcuna verifica, di mantenere l’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi per quasi tre anni e mezzo, tra il 26 luglio 2010 e il 19 dicembre 2013.

168    L’inserimento del suo nome negli elenchi controversi sarebbe stato oggetto di una determinata pubblicità, in particolare grazie all’utilizzo dei mass‑media da parte del Consiglio, e ciò tanto nel mondo degli affari iraniano quanto in Europa, il che avrebbe maggiormente rovinato la sua reputazione.

169    In risposta agli argomenti del Consiglio, il ricorrente obietta che, nella sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), il Tribunale ha riconosciuto che un danno morale poteva derivare, a determinate condizioni, da misure restrittive, senza distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche; le trasmissioni della BBC e il reportage del canale televisivo francese TF1 diffuso il 6 luglio 2014, ai quali egli rinvia, dimostrano la portata della copertura mediatica del suo caso e indicano l’esatta entità del danno morale che egli ha subito essendo stato stigmatizzato dal Consiglio, in Francia, in particolare, e in Occidente, in generale.

170    Quanto al pregiudizio arrecato all’onorabilità e alla reputazione del ricorrente, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

171    Sotto un primo profilo, esso sostiene che, per quanto riguarda il risarcimento del danno morale, il pregiudizio arrecato alla reputazione di una persona fisica deve essere distinto da quello arrecato ad una società che svolge un’attività commerciale. Pertanto, il caso di specie dovrebbe essere in particolare accostato a quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), e non a quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986). Pertanto, l’annullamento degli atti controversi adottati nei confronti del ricorrente, che è una persona fisica, costituirebbe una forma adeguata di riparazione del pregiudizio arrecato alla sua reputazione.

172    Sotto un secondo profilo, il ricorrente non fornirebbe alcuna prova tangibile di un pregiudizio alla sua reputazione personale o alla sua onorabilità o, in altri termini, del carattere reale e certo del danno lamentato dal medesimo.

173    In primo luogo, occorre anzitutto esaminare l’argomento del Consiglio secondo il quale il pregiudizio arrecato alla reputazione di una persona fisica dovrebbe essere distinto, per quanto riguarda il risarcimento di un danno morale, dal pregiudizio arrecato alla reputazione di una società che svolge un’attività commerciale. Pertanto, il caso di specie sarebbe simile, in particolare, a quelli delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), e del 18 febbraio 2016, Jannatian/Consiglio (T‑328/14, non pubblicata, EU:T:2016:86), e non a quello della causa che ha dato luogo alla sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), in quanto l’annullamento degli atti controversi adottati nei confronti del ricorrente, che è una persona fisica, costituirebbe una forma adeguata di riparazione del pregiudizio arrecato alla sua reputazione. A differenza di una società commerciale, il cui danno alla reputazione comporterebbe conseguenze finanziarie e potrebbe essere quantificato sul piano monetario, sarebbe difficile applicare lo stesso principio a una persona fisica.

174    Tale argomento del Consiglio, che presuppone che la Corte abbia sancito, a titolo di responsabilità extracontrattuale dell’Unione in materia di risarcimento del danno morale derivante da un pregiudizio alla reputazione, una distinzione tra una persona fisica e una persona giuridica non può essere accolto. Infatti, da un lato, occorre constatare che, al punto 72 della sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte ha unicamente constatato che il riconoscimento dell’illegittimità dell’atto di cui trattasi in tale causa, la cui natura e oggetto erano simili a quelli degli atti controversi, poteva riabilitare il ricorrente in tale causa, persona fisica, o costituire una forma di riparazione del danno morale da lui subito in conseguenza di tale illegittimità, e giustificare quindi la persistenza del suo interesse ad agire. Dal punto summenzionato della sentenza risulta che la Corte ha semplicemente considerato, in tale causa, che il riconoscimento dell’illegittimità dell’atto in questione poteva giustificare la persistenza dell’interesse ad agire del ricorrente, sebbene il suo nome fosse stato rimosso dall’elenco controverso nella suddetta causa.

175    Pertanto, contrariamente a quanto afferma, in sostanza, il Consiglio, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte non ha preso posizione sulla questione se tale constatazione fosse sufficiente a riabilitare integralmente il ricorrente in tale causa o a costituire una forma di riparazione integrale del danno morale da lui subito. Del resto, è giocoforza rilevare che, al punto 49 della sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (C‑45/15 P, EU:C:2017:402), la Corte ha dichiarato che, se è pur vero che, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), essa ha statuito che l’annullamento di misure restrittive illegittime poteva costituire una forma di riparazione del danno immateriale subito, ciò non comportava che tale forma di riparazione fosse necessariamente sufficiente, in ogni caso, a garantire la riparazione integrale di tale danno.

176    Analogamente, occorre constatare che, sempre al punto 72 della sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte non ha neppure limitato gli effetti della constatazione ivi contenuta alle sole persone fisiche. A tal riguardo, occorre del resto ricordare che, al punto 70 della medesima sentenza, la Corte ha in particolare rilevato che le misure restrittive in questione avevano conseguenze negative importanti e un’incidenza significativa sui diritti e sulle libertà delle persone interessate da dette misure. Orbene, tali misure erano state adottate ai sensi del regolamento (CE) n. 881/20002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 del Consiglio che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU 2002, L 139, pag. 9). Pertanto, detto regolamento poteva riguardare sia persone fisiche sia entità giuridiche.

177    Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio sostiene erroneamente, in sostanza, che il pregiudizio arrecato alla reputazione di una persona fisica dovrebbe essere distinto, per quanto riguarda il risarcimento del danno, dal pregiudizio arrecato alla reputazione di una società che svolge un’attività commerciale.

178    In secondo luogo, per quanto riguarda ora la domanda di risarcimento del danno morale lamentato dal ricorrente per il pregiudizio arrecato alla sua onorabilità e alla sua reputazione, occorre rilevare che le misure controverse hanno conseguenze negative importanti e un’incidenza significativa sui diritti e sulle libertà delle persone interessate (v., in tal senso, sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punto 70). A tale riguardo, quando una persona costituisce l’oggetto di misure restrittive in ragione dell’appoggio che si afferma abbia fornito alla proliferazione nucleare, essa viene pubblicamente associata ad un comportamento considerato come una minaccia grave alla pace ed alla sicurezza internazionali, con la conseguenza di suscitare disdegno e diffidenza nei suoi confronti, compromettendo in tal modo la sua reputazione ed arrecandole, pertanto, un danno non patrimoniale (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 80).

179    Da un lato, il disdegno e la diffidenza suscitati da misure restrittive come le misure controverse riguardano la sua volontà di essere implicata in attività considerate riprovevoli dalla comunità internazionale. Pertanto, la persona interessata viene quindi coinvolta oltre la sfera dei suoi abituali interessi economici e finanziari (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 82).

180    D’altro lato, il pregiudizio alla reputazione della persona in questione è tanto più grave in quanto risulta non tanto dall’espressione di una opinione personale, quanto da una presa di posizione ufficiale da parte di una istituzione dell’Unione, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e accompagnata da conseguenze giuridiche obbligatorie (sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 83).

181    Alla luce di quanto precede, si deve ritenere che, nel caso di specie, l’adozione degli atti controversi ed il mantenimento dell’iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi controversi abbiano arrecato a quest’ultimo un danno non patrimoniale, distinto dal danno materiale dovuto al pregiudizio dei suoi interessi economici e finanziari. Si deve pertanto riconoscere al ricorrente il diritto ad essere risarcito di tale danno (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 85).

182    Per quanto riguarda l’effettiva sussistenza del presunto danno morale subito, si deve rammentare che, per quanto riguarda più in particolare un danno del genere, sebbene la presentazione di prove o di offerte di prova non sia necessariamente considerata quale presupposto per il riconoscimento di un siffatto danno, incombe quantomeno alla parte ricorrente dimostrare che il comportamento contestato all’istituzione interessata fosse tale da procurarle il danno stesso (v. sentenza del 16 ottobre 2014, Evropaïki Dynamiki/Commissione, T‑297/12, non pubblicata, EU:T:2014:888, punto 31 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 28 gennaio 1999, BAI/Commissione, T‑230/95, EU:T:1999:11, punto 39).

183    Inoltre, sebbene, nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), la Corte abbia statuito che l’annullamento di misure restrittive illegittime può costituire una forma di riparazione del danno morale subito, ciò tuttavia non comporta che tale forma di riparazione sia necessariamente sufficiente, in ogni caso, a garantire la riparazione integrale di tale danno, ma qualsiasi decisione al riguardo deve essere presa sulla base di una valutazione delle circostanze del caso (sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punto 49).

184    Nel caso di specie, è vero che l’annullamento degli atti controversi con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), in cui si constata che l’associazione del ricorrente con la proliferazione nucleare è ingiustificata e, pertanto, illegittima, è tale da costituire una forma di risarcimento del danno morale che quest’ultimo ha subito e di cui chiede il risarcimento nella causa in esame. Tuttavia, nelle circostanze del caso di specie, tale annullamento non può costituire un risarcimento integrale di detto danno.

185    Infatti, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 178, l’adozione degli atti controversi e, a tale titolo, l’affermazione del coinvolgimento del ricorrente nella proliferazione nucleare, ha avuto come conseguenza di suscitare disdegno e diffidenza nei suoi confronti, compromettendo in tal modo la sua reputazione e, pertanto, i suoi rapporti sociali e familiari (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 88).

186    Orbene, tali effetti, che sono durati per quasi tre anni e mezzo e sono all’origine del danno morale subito dal ricorrente, non possono essere controbilanciati integralmente dall’accertamento, nel caso di specie, a posteriori, dell’illegittimità degli atti controversi, e ciò per i seguenti motivi.

187    Sotto un primo profilo, l’adozione di misure restrittive nei confronti di una persona tende ad attirare maggiore attenzione ed a suscitare un numero maggiore di reazioni, soprattutto fuori dall’Unione, rispetto al loro successivo annullamento (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 88).

188    Sotto un secondo profilo, quanto affermato dal Consiglio nei confronti del ricorrente è particolarmente grave, in quanto associa quest’ultimo alla proliferazione nucleare, vale a dire a una attività che costituisce, secondo il Consiglio, un pericolo per la pace e la sicurezza internazionali (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 89).

189    Sotto un terzo profilo, come si evince dal precedente punto 21, tale affermazione non è supportata da alcun elemento di informazione o di prova pertinente (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 90).

190    Sotto un quarto profilo, e in ogni caso, mentre l’inserimento del nome del ricorrente, che è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, avrebbe potuto essere revocato dal Consiglio in qualsiasi momento, o quantomeno modificato o completato, al fine di porre rimedio a eventuali illegittimità che avrebbero potuto viziarlo, esso è stato mantenuto per quasi tre anni e mezzo, nonostante le rimostranze del ricorrente, in particolare in merito alla mancanza di prove per quanto riguarda l’affermazione fatta valere nei suoi confronti. A tal riguardo, il fascicolo non contiene elementi tali da suggerire che il Consiglio abbia verificato, in qualsiasi momento o a qualunque titolo, di propria iniziativa o in risposta alle rimostranze del ricorrente, la fondatezza di detta affermazione, al fine di limitarne le conseguenze pregiudizievoli per il ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, T‑384/11, EU:T:2014:986, punto 91).

191    Siffatta verifica sarebbe stata in ogni caso particolarmente giustificata, nel caso di specie, dopo la pronuncia della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), alla luce della gravità dell’illegittimità da essa constatata, in base a una giurisprudenza consolidata. Infatti, sebbene tale sentenza abbia potuto costituire, sia pure parzialmente, un risarcimento del danno morale subito dal ricorrente, essa non può aver prodotto in alcun caso un qualsiasi effetto in tal senso per quanto riguarda il periodo successivo alla sua pronuncia, periodo di circa un anno e nove mesi durante il quale l’iscrizione del nome del ricorrente è stata mantenuta come tale.

192    Senza rimettere affatto in discussione il diritto dell’istituzione interessata di proporre un’impugnazione avverso la decisione del Tribunale conclusiva del giudizio né il rinvio degli effetti di siffatta decisione, come risulta dal disposto dell’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, si deve ritenere che, in un’Unione di diritto, considerata la gravità del comportamento illegittimo constatato dal Tribunale, spetti all’istituzione interessata procedere, ancorché in parallelo alla presentazione di un’impugnazione, a una verifica delle valutazioni che sono state sanzionate dal Tribunale. Siffatto requisito non è inteso a imporre all’istituzione interessata di eseguire sin d’ora la sentenza del Tribunale, ma, come risulta dal punto 91 della sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), di verificare se, alla luce delle conclusioni tratte dal Tribunale, gli atti contestati non possano, o addirittura non debbano, essere revocati, sostituiti o modificati, al fine di limitarne le conseguenze pregiudizievoli.

193    Infatti, il danno morale così causato, attraverso il mantenimento dell’iscrizione del nome del ricorrente successivamente alla pronuncia della sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), come espressamente denunciato dal ricorrente nel ricorso, si distingue da quello verificatosi precedentemente alla pronuncia di tale sentenza. Così, in detta sentenza, il Tribunale ha formalmente concluso, come sosteneva il ricorrente, per l’illegittimità dell’inserimento del suo nome, alla luce di una giurisprudenza consolidata, a causa della mancanza di elementi di prova a sostegno dell’affermazione ad esso relativa.

194    Nel caso di specie, il Consiglio avrebbe quindi potuto esaminare, in particolare alla luce delle valutazioni e delle conclusioni formulate dal Tribunale nella sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), se fosse giustificato il mantenimento dell’iscrizione del nome del ricorrente come tale, ossia senza alcun elemento di prova a sostegno dell’affermazione ad esso relativa, senza rischiare di aggravare ulteriormente il danno che egli aveva già subito, alla data della pronuncia di detta sentenza.

195    Tale conclusione non può essere modificata con riferimento alla sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian (C‑280/12 P, EU:C:2013:775). Infatti, in detta sentenza, poiché la Corte ha unicamente esaminato e respinto l’impugnazione proposta dal Consiglio avverso la sentenza di annullamento del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), essa non ha potuto statuire sul risarcimento del danno morale causato dal mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi controversi dopo la pronuncia di quest’ultima sentenza.

196    Alla luce delle suesposte considerazioni e, in ogni caso, di quelle esposte ai precedenti punti da 190 a 195, si deve concludere che l’annullamento dell’inserimento del nome del ricorrente con la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), non ha costituito un risarcimento integrale del danno morale subito dal ricorrente.

197    In terzo luogo, occorre esaminare se, come sostiene il ricorrente, taluni fattori aggiuntivi possano aver contribuito ad aggravare il danno morale da egli subito e se, pertanto, debbano essere presi in considerazione per la valutazione del risarcimento del danno da egli subito.

198    Anzitutto, per quanto riguarda il presunto prolungamento e aggravamento del danno morale subito dal ricorrente, per il fatto che il Consiglio avrebbe, da un lato, esaurito i mezzi di ricorso a sua disposizione in forza del Trattato FUE, in particolare proponendo un’impugnazione avverso la sentenza del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio (T‑439/10 e T‑440/10, EU:T:2012:142), e, dall’altro, dedotto, per la prima volta dinanzi alla Corte, taluni motivi o argomenti a sostegno di detta impugnazione, anche menzionando, senza averli tuttavia comunicati, elementi riservati che avrebbero suffragato gli atti controversi, tale argomento non può essere accolto. Infatti, allo stesso modo e per le stesse ragioni dichiarate ai precedenti punti da 70 a 76 secondo cui tali circostanze non possono costituire un fattore aggravante dell’illecito commesso dal Consiglio, esse non possono neppure, in linea di principio, essere all’origine di un qualsiasi danno morale che possa far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

199    Inoltre, per quanto riguarda la diffusione del reportage della trasmissione «Sept à huit», da parte del canale televisivo francese TF1, lungi dal menzionare, come sostenuto dal ricorrente, per il suo contenuto, un danno morale aggravato che egli avrebbe subito, tale trasmissione, disponibile online su Internet, era in realtà esclusivamente dedicata agli effetti degli atti controversi sulla Fulmen e non sul ricorrente. In ogni caso, anche ritenendo che tale trasmissione si riferisse altresì agli interessi del ricorrente, ne risulta che essa ha potuto partecipare al ripristino della reputazione di quest’ultimo. Infatti, essa garantisce in particolare la pubblicità dell’annullamento degli atti controversi da parte del giudice dell’Unione. Tuttavia, alla luce dell’affermazione particolarmente grave formulata dal Consiglio nei confronti del ricorrente, la diffusione di tale trasmissione, contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, non può essere considerata idonea a controbilanciare gli effetti negativi delle misure controverse sulla reputazione della ricorrente.

200    Infine, per quanto riguarda la diffusione, da parte della BBC, di una foto del ricorrente e, il 24 maggio 2011, di una trasmissione in cui, secondo il ricorrente, la portavoce del Consiglio sarebbe intervenuta e avrebbe dichiarato, a proposito di diversi individui che erano stati oggetto di sanzioni del Consiglio, che «alla fine, è stato provato che tutte le decisioni adottate dall’Unione europea erano giuste», oltre al fatto che il ricorrente non fornisce nel ricorso alcuna indicazione che consenta al Tribunale di constatare l’esistenza e il contenuto di tali trasmissioni, si deve ritenere che le trasmissioni in questione e le dichiarazioni fatte, secondo il Consiglio, dalla portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e non dal Consiglio, non possono aver aggravato il danno causato al ricorrente dagli atti controversi. Infatti, benché tali dichiarazioni siano state fatte quando il Tribunale era investito di un ricorso diretto ad ottenere l’annullamento degli atti controversi, tali discorsi, come riportati dal ricorrente nel ricorso, si limiterebbero a riflettere il convincimento del loro autore, agente di un’istituzione dell’Unione, riguardo alla legittimità delle decisioni che tale istituzione ha adottato nei confronti di un «certo numero di individui sanzionati dal Consiglio». Pertanto, oltre al fatto che ogni parte di una causa pendente dinanzi a un giudice dell’Unione è libera di esprimere il proprio convincimento per quanto riguarda il suo buon diritto, occorre constatare che, in ogni caso, le dichiarazioni che sarebbero state rese in tal modo non riguardavano in modo individuale il ricorrente.

201    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la domanda di risarcimento del danno morale derivante dal pregiudizio arrecato all’onorabilità e alla reputazione del ricorrente deve essere accolta. A tale titolo, il Tribunale, stimando tale danno ex æquo et bono, ritiene che l’assegnazione di un importo pari a EUR 50 000 costituisca un congruo risarcimento.

2)      Sul danno connesso alle difficoltà della vita quotidiana e al pregiudizio arrecato alla salute

202    Per quanto riguarda il danno derivante dalla sofferenza patita a causa delle difficoltà della vita quotidiana e del pregiudizio arrecato alla salute, il ricorrente stima tale danno in EUR 500 000.

203    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ritiene che i documenti forniti dal ricorrente non siano sufficienti a giustificare il risarcimento di un danno morale di EUR 500 000.

i)      Sul danno derivante dalla sofferenza patita a causa delle difficoltà della vita quotidiana

204    Il ricorrente fa valere che, in seguito all’adozione degli atti controversi, poiché i suoi capitali detenuti in seno all’Unione sono stati congelati, esso si è trovato in una situazione finanziaria e personale assai difficile, privato della possibilità, non solo di mantenere il suo tenore di vita, ma anche di provvedere ai propri bisogni elementari se non addirittura a quelli dei suoi congiunti, quali, in particolare, il pagamento di spese sanitarie, la sostituzione del telefono cellulare, il pagamento dell’assicurazione sulla casa. Egli afferma che solo a partire dal gennaio 2012, ossia 18 mesi dopo l’adozione dei primi atti controversi, gli sarebbe stato attribuito un importo mensile di EUR 1 000 al fine di provvedere ai suoi bisogni quotidiani. Così, per più di un anno avrebbe dovuto vivere grazie a prestiti concessi da persone appartenenti al suo ambiente.

205    Quanto alle proprie spese, egli ricorda che doveva presentare all’autorità competente una domanda motivata per ottenere l’importo necessario. Poiché l’autorizzazione al pagamento delle imposte, delle assicurazioni e degli oneri è stata concessa solo il 25 marzo 2011, ne sarebbero derivati ritardi di pagamento rilevanti, penalità e numerosi problemi amministrativi. Egli aggiunge che ogni pagamento richiedeva la presentazione della fattura e l’autorizzazione speciale della banca o dell’autorità amministrativa competente o il ricorso ad un pagamento in contanti, il che era fonte per lui di grandi fastidi e di un’angoscia supplementare nel quotidiano. Non aveva il diritto di viaggiare in paesi europei diversi dalla Francia, né di far scalo in un aeroporto dell’Unione situato in un territorio diverso da quello francese in occasione di viaggi al di fuori dell’Unione. Tutte le persone del suo ambiente familiare, sociale e professionale, fino al locatario del suo appartamento in Belgio, sarebbero state interrogate da servizi di sicurezza degli Stati membri. La nipote si sarebbe vista rifiutare la domanda di naturalizzazione francese, col pretesto che aveva un legame con il ricorrente e che aveva effettuato un tirocinio di due mesi presso la Fulmen, il che avrebbe fatto sorgere in lui un senso di colpevolezza. Il fatto di doversi indebitare nei confronti dei familiari, per un importo superiore a EUR 20 000, al fine di provvedere ai propri bisogni elementari, l’avrebbe umiliato ed avrebbe vissuto nell’angoscia per il futuro, in caso di peggioramento del suo stato di salute. Avrebbe provato inoltre un forte senso di ingiustizia di fronte alla sua situazione. Il reportage televisivo della trasmissione «Sept à huit», diffuso sul canale televisivo francese TF1 il 6 luglio 2014, dimostrerebbe la portata dell’impatto delle misure restrittive sulla sua situazione personale.

206    Nella replica, il ricorrente respinge categoricamente l’insinuazione del Consiglio secondo la quale egli non doveva far altro che lasciare la Francia per andare a stabilirsi in Iran.

207    Per quanto riguarda la sofferenza patita dal ricorrente a causa delle difficoltà della vita quotidiana, il Consiglio dichiara di non contestare il fatto che le misure controverse abbiano inciso sulla sua vita quotidiana. Tuttavia, esso precisa, nella controreplica, di non riconoscere espressamente l’esistenza di un danno morale risarcibile subito dal ricorrente. Esso, infatti, fa valere che le spese cui il ricorrente fa riferimento, vale a dire le spese sanitarie e di assicurazione o le imposte, sono disciplinate dal disposto dell’articolo 26 del regolamento n. 267/2012, che prevede lo sblocco dei fondi necessari per soddisfare le esigenze essenziali della persona oggetto di una misura di congelamento dei capitali. Il Consiglio non potrebbe essere ritenuto responsabile della lentezza o del malfunzionamento del sistema istituito dagli Stati membri, ai sensi di tale disposizione. Non potrebbe essere neppure ritenuto responsabile degli interrogatori alle persone dell’ambiente familiare, sociale e professionale del ricorrente nonché del suo locatario, che sono stati disposti dai servizi di sicurezza o di polizia degli Stati membri. Per quanto riguarda il rifiuto di naturalizzazione francese per la nipote del ricorrente, la normativa dell’Unione in materia di misure restrittive non conterrebbe alcuna disposizione che abbia per oggetto o per effetto di impedire la naturalizzazione dei familiari delle persone interessate da tali misure. In ogni caso, da un lato, non si tratterebbe di un danno personale subito dal ricorrente e, dall’altro, il rifiuto di naturalizzazione invocato sarebbe basato sul fatto che la nipote del ricorrente aveva effettuato un tirocinio all’interno della Fulmen e non sul legame familiare con il ricorrente.

208    Per quanto riguarda l’impossibilità per il ricorrente di mantenere il suo tenore di vita, si tratterebbe di una circostanza difficile da qualificare come danno reale e certo e la cui effettiva portata sarebbe, in ogni caso, contestabile. Tenuto conto della natura del danno lamentato, nelle circostanze del caso di specie, non occorrerebbe concedere un risarcimento. La vita del ricorrente non sarebbe stata talmente sconvolta come dallo stesso affermato, in quanto avrebbe sempre conservato la cittadinanza iraniana nonché la sua residenza e legami economici in Iran, dove poteva continuare a godere del suo tenore di vita abituale, quand’anche quest’ultimo fosse stato pregiudicato in Europa.

209    Il ricorrente non sarebbe legittimato a chiedere il risarcimento di un presunto danno derivante da una restrizione in materia di ammissione, nella specie un negato imbarco in un aeroporto situato al di fuori della Francia, in quanto, contrariamente alle misure di congelamento dei capitali, le restrizioni in materia di ammissione non sono attuate mediante l’adozione di un regolamento in base all’articolo 215 TFUE.

210    Per quanto riguarda il danno derivante dalla sofferenza patita a causa delle difficoltà della vita quotidiana, occorre distinguere tre categorie di danni lamentati dal ricorrente.

211    In primo luogo, per quanto riguarda il divieto di viaggiare in paesi europei diversi dalla Francia e di far scalo in un aeroporto situato in un territorio diverso da quello francese in occasione di viaggi al di fuori dell’Unione, cosicché il ricorrente sarebbe stato oggetto, in particolare, di una decisione di negato imbarco il 17 luglio 2011, è giocoforza ricordare che, come sostenuto dal Consiglio, siffatte misure si basano sul disposto dell’articolo 19 della decisione 2010/413 che sostituisce il disposto dell’articolo 4 della posizione comune 2007/140. Orbene, come è stato concluso ai precedenti punti 47 e 48, il Tribunale non è competente a conoscere della domanda di risarcimento del ricorrente, nei limiti in cui egli mira a ottenere il risarcimento del danno che avrebbe subito a causa dell’adozione della decisione 2010/413. Pertanto, il ricorrente non è legittimato a chiedere il risarcimento di tale danno.

212    In secondo luogo, il ricorrente muove erroneamente contro il Consiglio una censura vertente, in sostanza, sulla lentezza di cui avrebbero dato prova le autorità nazionali nel trattamento delle domande del ricorrente dirette ad ottenere un importo mensile per provvedere a tutte le esigenze essenziali della vita quotidiana.

213    Infatti, conformemente al disposto dell’articolo 19 del regolamento n. 961/2010, ossia uno degli atti controversi, era previsto che, in deroga all’articolo 16 del regolamento n. 961/2010, le autorità competenti degli Stati membri, così designate sui siti Internet elencati nell’allegato V di detto regolamento, potessero, a determinate condizioni, autorizzare lo sblocco o la messa a disposizione di taluni fondi o risorse economiche congelati, in particolare, in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, lettera a), punto i), di detto regolamento, «necessari per soddisfare i bisogni fondamentali delle persone elencate negli allegati VII o VIII e dei loro familiari dipendenti, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o garanzie ipotecarie, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e utenza di servizi pubblici».

214    Pertanto, il ricorrente ritiene erroneamente il Consiglio responsabile dei danni che avrebbe potuto causargli la lentezza nel trattamento delle sue domande, presentate alle autorità competenti degli Stati membri, di sblocco o di messa a disposizione dei capitali o delle risorse economiche congelati per provvedere ai propri bisogni essenziali nella vita quotidiana, vale a dire, quindi, in particolare, il pagamento di spese sanitarie, anche di un suo familiare, posto che il ricorrente non precisa se detto familiare fosse a suo carico, di un’assicurazione sulla casa, delle imposte, degli oneri, di una linea telefonica o addirittura di un nuovo telefono. Tali danni, ammesso che siano dimostrati, possono essere imputati solo alle autorità competenti degli Stati membri, come designate dal regolamento n. 961/2010.

215    In terzo luogo, per quanto riguarda il danno derivante, in sostanza, dallo stress e dal sentimento di angoscia, di umiliazione e di colpevolezza, in particolare nei confronti dei congiunti, che gli atti controversi avrebbero causato al ricorrente, privandolo di qualsiasi mezzo per mantenere il precedente tenore di vita, occorre anzitutto precisare che tale danno si distingue dal pregiudizio arrecato all’onorabilità e alla reputazione del ricorrente, esaminato in precedenza e per il quale il Tribunale ha deciso, al precedente punto 201, di risarcirlo per un importo pari a EUR 50 000. Infatti, come risulta dal punto 82 della sentenza del 25 novembre 2014, Safa Nicu Sepahan/Consiglio (T‑384/11, EU:T:2014:986), quest’ultimo danno deriva, in particolare, dal disdegno e dalla diffidenza suscitati da misure restrittive come le misure controverse, che riguardano la volontà della persona designata di essere implicata in attività considerate riprovevoli dalla comunità internazionale.

216    Orbene, nel caso di specie, per quanto riguarda il danno morale lamentato, che si riferisce a un pregiudizio arrecato dagli atti controversi alla vita sociale e familiare del ricorrente, occorre constatare che esso non deriva dal disdegno o dalla diffidenza dovuti alla presunta volontà del ricorrente «di essere implicat[o] in attività considerate riprovevoli dalla comunità internazionale», ma, in quanto persona fisica, dal degrado, in sostanza, della sua immagine familiare o sociale, a causa della sua improvvisa incapacità, dovuta al congelamento dei suoi beni finanziari ed economici, di mantenere il tenore di vita precedente.

217    Orbene, da tutti gli elementi del fascicolo che si riferiscono specificamente al livello di vita sociale e familiare del ricorrente risulta che quest’ultimo ha fornito la prova del carattere reale e certo del danno attualmente asserito ed esaminato. Peraltro, dagli stessi elementi risulta che tale danno deriva necessariamente e direttamente dagli atti controversi. Del resto, se è vero che il Consiglio non riconosce l’esistenza di un danno morale a tal riguardo, tanto dalle sue memorie quanto dalle dichiarazioni espresse in udienza risulta che esso non contesta il fatto che le misure controverse abbiano inciso sulla vita quotidiana del ricorrente.

218    Alla luce di quanto precede, si deve ritenere che l’adozione degli atti controversi e il mantenimento dell’iscrizione del suo nome negli elenchi controversi che lo riguardano abbiano causato al ricorrente un danno morale risarcibile, distinto non solo dal danno materiale dovuto al pregiudizio dei suoi interessi economici e finanziari, ma anche dal danno morale derivante dal pregiudizio alla sua onorabilità e alla sua reputazione.

219    Per quanto riguarda l’importo del risarcimento che deve essere concesso al ricorrente, a titolo di detto danno morale, nelle circostanze del caso di specie, se è vero che l’annullamento dell’inserimento del nome del ricorrente dovrebbe avergli consentito, in linea di principio, di recuperare la piena facoltà di far uso liberamente dei suoi beni e delle sue risorse economiche, che erano stati congelati, per contro, egli non può avere in alcun modo risarcito il danno attualmente esaminato e che ha prodotto i suoi effetti durante il periodo controverso. Infatti, come già dichiarato dalla Corte, il congelamento dei capitali in quanto tale, per la sua ampia portata, sconvolge la vita sia professionale che familiare delle persone interessate (v. sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punto 70 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, si deve ritenere che l’annullamento degli atti controversi non sia idoneo, di per sé, a costituire un risarcimento integrale di detto danno e neppure a ridurre l’importo del risarcimento concesso.

220    Con riferimento al tipo e alla gravità del danno morale in tal modo subito dal ricorrente e tenuto conto dell’impossibilità di calcolare, sulla base di elementi numerici e quantificabili, tale tipo di danno morale, occorre valutarlo ex æquo et bono. A tal riguardo, a titolo di adeguato risarcimento, occorre prendere in considerazione un assegno corrispondente a EUR 500 per ogni mese durante il quale il nome del ricorrente è stato iscritto negli elenchi controversi. Pertanto, dal momento che il ricorrente è stato iscritto nei suddetti elenchi dal luglio 2010 al dicembre 2013, ossia per 42 mesi, un assegno di importo pari a EUR 21 000 costituisce un congruo risarcimento del danno derivante dalla sofferenza patita a causa delle difficoltà della vita quotidiana, ossia, in sostanza, del pregiudizio arrecato al livello di vita sociale e familiare del ricorrente.

ii)    Sul danno derivante dal pregiudizio alla salute

221    Per quanto riguarda il danno derivante dal pregiudizio arrecato alla sua salute, il ricorrente sostiene che, in seguito all’adozione degli atti controversi, ha dovuto sottoporsi a una terapia antidepressiva e, a tale titolo, produce, nell’allegato A.11 del ricorso, un certificato medico.

222    Nell’allegato C.8 della replica, il ricorrente allega, «ove necessario», un nuovo certificato medico.

223    Per quanto riguarda il pregiudizio arrecato alla salute del ricorrente, il Consiglio sostiene che un eventuale risarcimento dovrebbe basarsi su elementi di prova tangibili. Orbene, nel caso di specie, il ricorrente non avrebbe presentato alcuna perizia medica, ma si sarebbe limitato a produrre un primo certificato medico, che menziona un danno alla sua salute che non sarebbe né permanente né irreversibile, nonché, nella replica, un secondo certificato medico, particolarmente sommario e che non consente di valutare i postumi sulla salute del ricorrente, che gli atti controversi avrebbero potuto comportare.

224    Per quanto riguarda il danno derivante dal pregiudizio arrecato alla sua salute, il ricorrente afferma di essersi sottoposto a una terapia antidepressiva e, al riguardo, produce nell’allegato A.11 del ricorso, un certificato medico, datato 14 dicembre 2010, redatto da uno psichiatra ospedaliero parigino. Da tale certificato risulta che detto medico attesta che il ricorrente presentava all’epoca una «sindrome ansiosa e depressiva importante», la quale ha richiesto un’assistenza farmacologica e psichiatrica assai regolare. Secondo lo stesso medico, a fine luglio 2010, si sarebbe verificato un notevole peggioramento dello stato di salute del ricorrente.

225    È vero che tale certificato medico prodotto dal ricorrente può, di per sé, corroborare la sua affermazione secondo la quale aveva dovuto sottoporsi a una terapia antidepressiva a seguito dell’adozione degli atti controversi. Tuttavia, risulta implicitamente dall’ultimo capoverso di detto certificato che esso è stato redatto unicamente in base alle informazioni comunicate dal ricorrente. Dal certificato medico di cui trattasi non risulta che la diagnosi del medico sia basata su un controllo medico del ricorrente che lo stesso medico avrebbe effettuato in passato o su referti ed esami medici che sarebbero stati redatti da uno o più medici che avessero precedentemente seguito il ricorrente. Del resto, occorre rilevare che, come attesta detto medico, egli ha assistito il ricorrente solo a partire dal settembre 2010, vale a dire due mesi dopo l’adozione degli atti controversi. In tali circostanze, al fine di fornire la prova del peggioramento del suo stato di salute che sarebbe avvenuto nel momento in cui sono stati adottati gli atti controversi, sarebbe stato quantomeno necessario che il ricorrente avesse trasmesso a detto medico documenti che potessero consentirgli di valutare il suo stato di salute generale o psichiatrica prima dell’adozione di detti atti. Orbene, nessun elemento del fascicolo consente di constatare che siffatta comunicazione fosse stata così effettuata. Peraltro, è giocoforza constatare che il ricorrente non produce alcun documento attestante che gli sarebbe stata prescritta una terapia antidepressiva successivamente alla data di redazione del certificato medico.

226    Per quanto riguarda il certificato medico prodotto in fase di replica, nell’allegato C.8 a quest’ultima, occorre rilevare che tale certificato è datato 12 gennaio 2016 ed è stato redatto da un medico psichiatra. Per quanto riguarda la ricevibilità di siffatto documento, è vero che si può solo constatare che il ricorrente non giustifica in alcun modo, se non con la formula usuale «ove necessario», la produzione di questo nuovo certificato in fase di replica. Tuttavia, per quanto riguarda il danno derivante da un pregiudizio arrecato alla salute, sarebbe stato senz’altro possibile o addirittura sufficiente che, nel caso di specie, il ricorrente precisasse che intendeva comunicare l’evoluzione del suo stato di salute a partire dal primo certificato medico redatto nel 2010. In ogni caso, anche considerando tale documento del fascicolo ricevibile, la lettura di detto certificato non fa emergere una particolare evoluzione dello stato di salute del ricorrente; tutt’al più vi è attestato che il ricorrente presenta una sindrome ansiosa e depressiva che richiede il mantenimento di una terapia.

227    Pertanto, anche se i certificati medici prodotti dal ricorrente consentono di constatare che egli era a conoscenza di taluni problemi di salute nel 2010 e nel 2016, essi non contengono elementi che indichino che tali disturbi siano connessi agli atti controversi. Pertanto, essi non sono idonei a dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità e la domanda di risarcimento del danno derivante dal pregiudizio arrecato alla salute del ricorrente deve pertanto essere respinta (v., per analogia, sentenza del 12 settembre 2007, Combescot/Commissione, T‑250/04, EU:T:2007:262, punto 100).

228    Dalle suesposte considerazioni risulta che il ricorrente non fornisce la prova né del carattere reale e certo del danno derivante dal pregiudizio arrecato alla sua salute né del nesso di causalità. Pertanto, la domanda di risarcimento di tale danno deve essere respinta in quanto infondata.

229    Alla luce delle conclusioni tratte nei precedenti punti 201, 220 e 228, si deve accogliere parzialmente la domanda di risarcimento del danno morale lamentato dal ricorrente. Il Tribunale considera che, nell’ambito della valutazione ex æquo et bono del danno morale subito dal ricorrente, l’assegnazione di un importo di EUR 71 000 costituisce un congruo risarcimento.

230    In conclusione, si deve accogliere il presente ricorso per risarcimento danni e, a tale titolo, concedere al ricorrente un risarcimento di EUR 71 000 per il danno morale da egli subito. Per contro, la sua domanda di risarcimento del danno materiale è respinta.

IV.    Sulle spese

231    A norma dell’articolo 134, paragrafo 2, del regolamento di procedura, qualora vi siano più parti soccombenti, il Tribunale decide sulla ripartizione delle spese.

232    Nel caso di specie, il Consiglio è risultato parzialmente soccombente per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno morale subito dal ricorrente, mentre quest’ultimo è rimasto soccombente nella sua domanda di risarcimento del danno materiale. In tali circostanze, si deve statuire che ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

233    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. La Commissione, pertanto, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a versare al sig. Fereydoun Mahmoudian un risarcimento pari a EUR 71 000 per il danno morale subito.

2)      Per il resto, il ricorso è respinto.

3)      Il sig. Fereydoun Mahmoudian, il Consiglio e la Commissione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.


Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 luglio 2019.

Firme


Indice



*      Lingua processuale: il francese.