Language of document : ECLI:EU:T:2019:69

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

7 febbraio 2019 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea denominativo SWEMAC – Denominazione sociale o nome commerciale nazionale anteriore SWEMAC Medical Appliances AB – Impedimento alla registrazione relativo – Preclusione per tolleranza – Articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 60, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) 2017/1001] – Rischio di confusione – Articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 61, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001) – Articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 8, paragrafo 4, del regolamento 2017/1001) – Elementi di prova presentati per la prima volta dinanzi al Tribunale»

Nella causa T‑287/17,

Swemac Innovation AB, con sede a Linköping (Svezia), rappresentata da G. Nygren, avocat,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da J. Crespo Carrillo, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

SWEMAC Medical Appliances AB, con sede a Täby (Svezia), rappresentata da P. Jonsell, avvocato,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della quinta commissione di ricorso dell’EUIPO del 24 febbraio 2017 (procedimento R 3000/2014-5), relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Swemac Innovation e la SWEMAC Medical Appliances,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da S. Gervasoni, presidente, K. Kowalik-Bańczyk e C. Mac Eochaidh (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 maggio 2017,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 agosto 2017,

visto il controricorso dell’interveniente, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 ottobre 2017,

vista la decisione del 28 novembre 2017 di sospendere il procedimento,

vista la lettera della ricorrente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 2 marzo 2018,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire omettendo la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 2 ottobre 2007 la ricorrente, Swemac Innovation AB, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato, a sua volta sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio per il quale è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo SWEMAC.

3        I prodotti e i servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano segnatamente nelle classi 10 e 42 ai sensi dell’Accordo di Nizza, del 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 10: «Apparecchi e strumenti chirurgici e medici»;

–        classe 42: «Ricerca e sviluppo di apparecchi e strumenti chirurgici e medici».

4        La domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 9/2008, del 25 febbraio 2008, e il segno denominativo SWEMAC è stato registrato come marchio dell’Unione europea il 4 settembre 2008, con il numero 006326117, per i prodotti e i servizi menzionati al precedente punto 3.

5        Il 3 settembre 2013 l’interveniente, SWEMAC Medical Appliances AB, ha presentato una domanda di dichiarazione di nullità parziale del marchio contestato ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 60, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001], in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento (divenuto articolo 8, paragrafo 4, del regolamento 2017/1001), per tutti i prodotti e i servizi di cui al precedente punto 3.

6        A sostegno della sua domanda di dichiarazione di nullità l’interveniente ha invocato la denominazione sociale svedese SWEMAC Medical Appliances AB (in prosieguo: il «segno anteriore»), registrata, quale impresa, il 12 dicembre 1997 per le attività di «Progettazione, produzione e vendita di dispositivi principalmente medici e di strumenti correlati, nonché attività compatibili con tali prodotti», e, quale denominazione sociale, il 10 febbraio 1998. Essa ha affermato che sussisteva un rischio di confusione e ha prodotto elementi probatori al fine di dimostrare l’uso del segno anteriore nell’ambito della normale prassi commerciale.

7        Il 25 settembre 2014 la divisione di annullamento ha integralmente respinto la domanda di dichiarazione di nullità, atteso che l’interveniente non aveva fornito la prova del fatto che la portata dell’uso del segno anteriore in Svezia non fosse puramente locale al momento del deposito della domanda di dichiarazione di nullità e che, di conseguenza, una delle condizioni sancite dall’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 non risultava soddisfatta.

8        Il 24 novembre 2014 l’interveniente ha proposto un ricorso avverso la decisione della divisione di annullamento dinanzi all’EUIPO, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001). Nell’ambito di tale ricorso, essa ha prodotto ulteriori elementi di prova relativi all’uso del segno anteriore.

9        Con decisione del 24 febbraio 2017 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la quinta commissione di ricorso dell’EUIPO ha accolto il ricorso, ha annullato la decisione della divisione di annullamento e ha dichiarato la nullità del marchio controverso per i prodotti e i servizi indicati al precedente punto 3.

10      In primo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto che l’interveniente avesse dimostrato di soddisfare le condizioni richieste dall’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con la legislazione svedese.

11      In secondo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto che sussistesse un rischio di confusione. Al riguardo, essa ha sottolineato l’elevato grado di somiglianza tanto tra i prodotti e i servizi in questione, che sono identici o molto simili, quanto tra il segno anteriore e il marchio contestato, entrambi contenenti l’elemento distintivo e dominante «swemac».

12      In terzo luogo, la commissione di ricorso ha verificato se un’eventuale coesistenza dei segni in conflitto potesse ridurre il rischio di confusione accertato, e ha concluso che una tale coesistenza non era stata accertata, data l’assenza di prove dell’uso del marchio contestato e di una coesistenza che sarebbe fondata sull’insussistenza di un rischio di confusione.

13      In quarto luogo, la commissione di ricorso ha respinto l’argomento della ricorrente attinente alla preclusione per tolleranza ai sensi dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 61, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001).

 Conclusioni delle parti

14      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata e ripristinare la piena validità del marchio contestato, anche per i prodotti e i servizi in questione;

–        condannare l’interveniente a sopportare le sue spese dinanzi all’EUIPO e alla commissione di ricorso, pari a EUR 1.000;

–        condannare l’EUIPO e l’interveniente a sopportare le sue spese dinanzi al Tribunale.

15      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

16      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        confermare la decisione impugnata e dichiarare nullo il marchio contestato;

–        condannare la ricorrente alle spese da essa sostenute nel corso dei procedimenti dinanzi al Tribunale e dinanzi all’EUIPO.

 In diritto

 Sulla ricevibilità dei documenti presentati per la prima volta dinanzi al Tribunale

17      L’EUIPO contesta la ricevibilità degli allegati al ricorso A.2, A.3, A.9, A.10, A.11, A.12, A.13 e A.14. Infatti, tali elementi non sarebbero stati prodotti in alcuna fase del procedimento dinanzi all’EUIPO. Gli allegati in questione sono stati prodotti dalla ricorrente al fine di dimostrare che essa avrebbe acquisito «un diritto sul marchio contestato» prima del deposito della domanda di registrazione dello stesso (allegati A.2 e A.3), l’utilizzo ininterrotto del marchio contestato tra il 2009 e il 2016 per apparecchi e strumenti chirurgici e medici (allegato A.9), la ragione del ritardo nella registrazione della nuova denominazione sociale della sua controllata (allegato A.11), nonché la coesistenza dei segni in conflitto (allegati A.12, A.13 e A.14). Infine, l’allegato A.10 è stato prodotto a sostegno della posizione della ricorrente secondo cui non sussisterebbe alcun rischio di confusione.

18      Si deve osservare che, tenuto conto dell’oggetto del ricorso previsto dall’articolo 65 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 72 del regolamento 2017/1001), la funzione del Tribunale non è quella di riesaminare, nell’ambito di un siffatto ricorso, le circostanze fattuali alla luce dei documenti presentati per la prima volta dinanzi ad essa [v. sentenza del 9 febbraio 2017, International Gaming Projects/EUIPO – adp Gauselmann (TRIPLE EVOLUTION), T‑82/16, non pubblicata, EU:T:2017:66, punto 16 e giurisprudenza ivi citata].

19      Nel caso di specie, i documenti menzionati al precedente punto 17 sono stati presentati per la prima volta nell’ambito del ricorso dinanzi al Tribunale. Tali documenti devono pertanto essere respinti in quanto irricevibili, fatta eccezione per l’allegato A.10, senza che vi sia necessità di esaminare il loro valore probatorio.

20      L’allegato A.10 contiene una decisione del Marknadsdomstolen (Tribunale di commercio, Svezia). Il Tribunale constata che un paragrafo della citata decisione è tradotto al punto 28 del ricorso, conformemente all’articolo 46, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale. Occorre rammentare che né alle parti, né allo stesso Tribunale si può impedire di ispirarsi, nell’interpretazione del diritto dell’Unione europea, ad elementi derivati dalla giurisprudenza del giudice nazionale. Una siffatta possibilità di riferirsi a decisioni nazionali non è presa in considerazione dalla giurisprudenza secondo la quale il ricorso di cui il Tribunale viene investito mira al controllo della legittimità delle decisioni delle commissioni di ricorso alla luce degli elementi presentati dalle parti dinanzi a queste ultime, giacché non si tratta di contestare alle commissioni di ricorso di non aver tenuto conto degli elementi di fatto contenuti in una specifica decisione nazionale, ma si tratta di richiamare decisioni a sostegno di un motivo vertente sulla violazione, da parte delle commissioni di ricorso, di una disposizione del regolamento n. 207/2009 [v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2006, Vitakraft-Werke Wührmann/UAMI – Johnson’s Veterinary Products (VITACOAT), T‑277/04, EU:T:2006:202, punti 70 e 71].

21      Atteso che la ricorrente si richiama, al punto 28 del ricorso, ad un unico paragrafo della decisione del giudice nazionale menzionata al precedente punto 20, al fine di svolgere un ragionamento per analogia nella causa in esame, tale decisione non può essere considerata una prova propriamente detta [v., in tal senso, sentenze del 24 novembre 2005, ARTHUR ET FELICIE, T‑346/04, EU:T:2005:420, punto 20, e dell’8 dicembre 2005, Castellblanch/UAMI – Champagne Roederer (CRISTAL CASTELLBLANCH), T‑29/04, EU:T:2005:438, punto16]. Pertanto, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 20 e al presente punto, l’allegato A.10 è ricevibile.

 Nel merito

22      A sostegno del ricorso la ricorrente deduce due motivi, vertenti, in sostanza, in primo luogo, sulla violazione dell’articolo 53, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento nonché con la legislazione svedese in materia di marchi e, in secondo luogo, su una violazione dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento stesso.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con larticolo 8, paragrafo 4, dello stesso regolamento e con la legislazione svedese in materia di marchi

23      Nell’ambito del suo primo motivo la ricorrente afferma, in sostanza, che la condizione posta dall’articolo 8, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 207/2009, secondo cui «questo contrassegno dà al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo», non sarebbe soddisfatta e che, di conseguenza, la domanda di dichiarazione di nullità basata sull’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), di detto regolamento non poteva essere accolta. La commissione di ricorso avrebbe erroneamente affermato che sussisteva un rischio di confusione in ragione dei diritti anteriori della ricorrente, della coesistenza di lungo periodo tra il marchio contestato e il segno anteriore nonché della conoscenza, in capo all’interveniente, dell’utilizzo da parte della ricorrente di tali diritti anteriori, che essa qualifica in modo diverso nel ricorso come una denominazione sociale, un marchio non registrato, un marchio, un segno, un nome commerciale o un segno commerciale.

24      In primo luogo la ricorrente afferma che, sebbene l’interveniente abbia acquisito un diritto sul segno anteriore prima della registrazione del marchio contestato, la ricorrente avrebbe acquisito un diritto ancora più risalente sulla denominazione sociale Swemac Orthopaedics AB, che comprenderebbe l’elemento distintivo del marchio contestato, nonché su un marchio non registrato SWEMAC.

25      A tal riguardo, per un verso, essa precisa nel ricorso di aver acquisito la denominazione sociale Swemac Orthopaedics AB in forza di un contratto stipulato tra la sua società controllata al 100% e una società avente tale denominazione, sottoscritto l’11 febbraio 1998, ma i cui effetti avrebbero avuto inizio il 30 dicembre 1997. Mediante detto contratto, la sua controllata avrebbe acquisito l’azienda della società cedente e la denominazione sociale di quest’ultima. Pertanto, secondo la ricorrente, essa può rivendicare il diritto a tale denominazione sociale a partire dalla data in cui la società cedente l’aveva inizialmente registrata, ossia il 22 dicembre 1995. La ricorrente sostiene di aver utilizzato ininterrottamente la propria denominazione sociale almeno dalla data della prima registrazione della «sua denominazione sociale attuale» nel 1995 e che la denominazione swemac sarebbe stata utilizzata da essa e dal suo predecessore sin dal 1991.

26      Per altro verso la ricorrente rileva che, alla data di deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, il 2 ottobre 2007, essa utilizzava il «marchio contestato» nell’ambito delle sue attività commerciali almeno a partire dal dicembre 1998, epoca dell’acquisizione della denominazione sociale e dell’azienda, richiamata al precedente punto 25. Essa fa valere una catena ininterrotta di utilizzo e di diritti sul «marchio» risalente al 1995 e afferma che si sarebbe avvalsa del «suo marchio/denominazione sociale» sia senza registrazione (prima del deposito della domanda di marchio dell’Unione europea), sia dopo la registrazione, e ciò almeno a partire dal 2001, il che le avrebbe consentito di dimostrare, per i tredici anni che precedono la domanda di dichiarazione di nullità, «la sua coesistenza con il marchio sul mercato interessato e presso il pubblico di riferimento». Essa sostiene inoltre di aver già utilizzato il suo marchio SWEMAC almeno a partire dal 2004.

27      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che, anche qualora l’interveniente fosse stata titolare di un diritto anteriore, quod non, essa non avrebbe alcun diritto di vietare l’utilizzo del marchio contestato a norma degli articoli 7 e 8 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi del 2010, riguardanti i diritti acquisiti con l’uso, nonché dell’articolo 15 dello stesso capitolo della legge citata, in materia di passività.

28      A tale riguardo essa evidenzia il proprio diritto anteriore sulla denominazione sociale di cui ai precedenti punti 24 e 25 e su un marchio non registrato in Svezia, l’uso anteriore di lungo periodo di tale marchio non registrato e la lunga fase di passività di cui l’interveniente avrebbe dato prova in merito all’uso da parte della ricorrente del «suo marchio/segno commerciale». Essa afferma di svolgere la propria attività commerciale almeno a partire dal 1998 e che l’interveniente ed essa stessa avrebbero lavorato all’interno degli stessi locali dal 1998 al 2008. Dovrebbe quindi presumersi che l’interveniente fosse al corrente dell’uso «del marchio» da parte della ricorrente «sin dal primo giorno», segnatamente perché le due società sarebbero il risultato della scissione della società originaria Swemac Orthopaedics e operano in un settore commerciale simile in Svezia, ossia in un mercato relativamente limitato. Pertanto, nulla consentirebbe all’interveniente di invocare la propria ignoranza del fatto che la ricorrente utilizzava il «suo marchio/segno».

29      La ricorrente osserva peraltro che, benché all’epoca non avesse chiesto la registrazione del proprio marchio, l’interveniente non avrebbe mai messo in discussione dinanzi all’EUIPO la coesistenza di lungo periodo tra i segni in questione, né il fatto che la ricorrente aveva operato attivamente sul mercato di cui trattasi e aveva utilizzato la sua denominazione sociale e il marchio non registrato SWEMAC, né avrebbe evocato alcun rischio di confusione sino alla data di deposito della sua domanda di dichiarazione di nullità.

30      In terzo luogo, ad avviso della ricorrente non sussisterebbe alcun rischio di confusione.

31      A tal riguardo, per un verso, essa pone in rilievo vari elementi. In primo luogo, il pubblico di riferimento sarebbe composto da chirurghi altamente competenti e da utilizzatori avveduti, i quali dimostrerebbero un’attenzione eccezionale nella scelta del fornitore. In secondo luogo, i prodotti e i servizi in questione sarebbero acquistati da ospedali e da strutture sanitarie. In terzo luogo, i prodotti in questione sarebbero costosi, nell’ordine di EUR 100 000 – 150 000, e sarebbero accompagnati da servizi di istruzione e formazione, forniti prima della vendita nonché prima della consegna e dell’utilizzo dei prodotti, nonché da servizi di monitoraggio e di manutenzione. In quarto luogo, i prodotti non sarebbero mai alienati in libera vendita o a terzi o a clienti privi di formazione, ma sarebbero acquistati a seguito di gare d’appalto nell’ambito di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.

32      Per altro verso, la ricorrente rammenta che una pacifica coesistenza anteriore può contribuire a ridurre il rischio di confusione. Essa afferma che altri due elementi dovrebbero del pari essere presi in considerazione e «consentire una coesistenza per il futuro». In primo luogo, gli acquirenti dei prodotti e dei servizi in questione sarebbero persone estremamente competenti, avvedute e specializzate, dotate di una conoscenza del mercato e delle società che vi operano. In secondo luogo, la ricorrente sarebbe da lungo tempo presente sul mercato, sarebbe ivi ben nota e avrebbe costituito relazioni di lungo periodo all’interno del mercato stesso. Essa ritiene di aver dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di aver già utilizzato il suo marchio SWEMAC almeno a partire dal 2004. Essa precisa che l’interveniente ed essa stessa sarebbero state a conoscenza della loro rispettiva esistenza e delle loro rispettive attività commerciali sin dal1998, il che dovrebbe dissipare ogni eventuale dubbio sulla questione se l’interveniente avesse dato il suo «consenso informato», o omesso qualsiasi azione sin dal 1998, e ciò benché fosse a conoscenza dell’esistenza e delle attività commerciali della ricorrente, ivi compreso l’utilizzo da parte di quest’ultima del termine «swemac» quale marchio o denominazione sociale.

33      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

–       Osservazioni preliminari

34      Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, un marchio dell’Unione europea è dichiarato nullo, su domanda presentata all’EUIPO, allorché esiste un diritto anteriore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento, e ricorrono le condizioni previste nello stesso paragrafo.

35      Conformemente a tali disposizioni, il titolare di un marchio non registrato o di un altro segno può domandare la nullità di un marchio dell’Unione europea se tale segno soddisfa cumulativamente le quattro condizioni seguenti: in primo luogo, detto segno deve essere utilizzato nella normale prassi commerciale; in secondo luogo, esso deve avere una portata che non sia puramente locale; in terzo luogo, il diritto a tale segno deve essere stato acquisito conformemente al diritto dello Stato membro in cui il segno era utilizzato prima della data di presentazione della domanda di marchio dell’Unione europea; in quarto luogo, il diritto a tale segno deve consentire al suo titolare di vietare l’uso di un marchio successivo. Così, quando un segno non soddisfa una di queste condizioni, la domanda di dichiarazione di nullità fondata sull’esistenza di un segno, diverso da un marchio, utilizzato nella normale prassi commerciale, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, non può essere accolta [v., in tal senso, sentenze del 24 marzo 2009, Moreira da Fonseca/UAMI – General Óptica (GENERAL OPTICA), da T‑318/06 a T‑321/06, EU:T:2009:77, punti 32 e 47, e del 21 settembre 2017, Repsol YPF/EUIPO – basic (BASIC), T‑609/15, EU:T:2017:640, punto 25].

36      Le prime due condizioni, ossia quelle relative all’uso e alla portata del segno fatto valere, dovendo quest’ultima non essere puramente locale, risultano dal testo stesso dell’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 e devono quindi essere interpretate alla luce del diritto dell’Unione. Pertanto il regolamento n. 207/2009 stabilisce standard uniformi, relativi all’utilizzo dei segni ed alla loro portata, coerenti con i principi che ispirano il sistema istituito dal predetto regolamento (sentenze del 24 marzo 2009, GENERAL OPTICA, da T‑318/06 a T‑321/06, EU:T:2009:77, punto 33, e del 21 settembre 2017, BASIC, T‑609/15, EU:T:2017:640, punto 26).

37      Per contro, dalla locuzione «se e in quanto, conformemente (…) alla legislazione dello Stato membro che disciplina detto segno» risulta che le altre due condizioni sancite successivamente all’articolo 8, paragrafo 4, lettere a) e b), del regolamento n. 207/2009 costituiscono condizioni fissate dal regolamento che, a differenza delle precedenti, sono da valutarsi alla luce dei criteri previsti dal diritto che disciplina il segno fatto valere. Tale rinvio al diritto che disciplina il segno fatto valere trova la sua giustificazione nel riconoscimento, previsto dal regolamento n. 207/2009, della possibilità che segni estranei al sistema di marchio dell’Unione europea siano fatti valere nei confronti di un marchio dell’Unione europea. Pertanto, solo il diritto che disciplina il segno fatto valere consente di stabilire se esso sia anteriore al marchio dell’Unione europea e se possa giustificare il divieto dell’uso di un marchio successivo (sentenze del 24 marzo 2009, GENERAL OPTICA, da T‑318/06 a T‑321/06, EU:T:2009:77, punto 34, e del 21 settembre 2017, BASIC, T‑609/15, EU:T:2017:640, punto 27).

38      Ai fini dell’applicazione della quarta condizione, sancita dall’articolo 8, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 207/2009, occorre tener conto, in particolare, della normativa nazionale fatta valere e delle decisioni giurisdizionali pronunciate nello Stato membro interessato. Su tale base, il titolare del segno anteriore deve dimostrare che il segno in questione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dello Stato membro invocato e che esso permetterebbe di vietare l’uso di un marchio successivo [sentenze del 29 marzo 2011, Anheuser-Busch/Budějovický Budvar, C‑96/09 P, EU:C:2011:189, punti 189 e 190; del 18 aprile 2013, Peek & Cloppenburg/UAMI – Peek & Cloppenburg (Peek & Cloppenburg), T‑507/11, non pubblicata, EU:T:2013:198, punto 21, e del 28 gennaio 2016, Gugler France/UAMI – Gugler (GUGLER), T‑674/13, non pubblicata, EU:T:2016:44, punto 37]. Egli ha l’onere di presentare all’EUIPO non soltanto gli elementi comprovanti il fatto che egli soddisfa le condizioni prescritte, ai sensi della normativa nazionale di cui chiede l’applicazione, per poter ottenere l’inibitoria dell’uso di un marchio dell’Unione europea in forza di un diritto anteriore, ma anche gli elementi che dimostrano il contenuto di tale normativa (v. sentenza del 5 aprile 2017, EUIPO/Szajner, C‑598/14, EU:C:2017:265, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

39      Il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU 1995, L 303, pag. 1) [sostituito dal regolamento delegato (UE) 2018/625 della Commissione, del 5 marzo 2018, che integra il regolamento (UE) 2017/1001 e che abroga il regolamento delegato (UE) 2017/1430 (GU 2018, L 104, pag. 1)], e, più in particolare, la regola 37, lettera b), ii), del regolamento n. 2868/95 (divenuta articolo 12, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2018/625] stabilisce che una domanda di dichiarazione di nullità di un marchio dell’Unione europea, depositata presso l’EUIPO ai sensi dell’articolo 56 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 63 del regolamento n. 2017/1001), contiene, nel caso di una domanda ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, riguardo ai motivi su cui si fonda la domanda, indicazioni da cui risulti il diritto sul quale è basata la domanda nonché, se del caso, indicazioni da cui risulti che il richiedente è legittimato a far valere il diritto anteriore quale motivo di nullità. Al fine di ottemperare alle prescrizioni di tale norma, non è sufficiente che una parte che invoca i diritti derivanti dall’articolo 8, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009 affermi semplicemente o indichi, in abstracto, talune condizioni di applicazione delle disposizioni nazionali, ma richiede, al contrario, che essa dimostri in concreto, nel caso di specie, che essa soddisfa dette condizioni di applicazione [v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2016, Universal Protein Supplements/EUIPO – H Young Holdings (animal), T‑727/14 e T‑728/14, non pubblicata, EU:T:2016:372, punti 26 e 38].

40      Tuttavia, si deve rilevare che il titolare del segno anteriore deve soltanto dimostrare che dispone del diritto di vietare l’utilizzo di un marchio successivo e non si può esigere da costui la dimostrazione del fatto che tale diritto è stato esercitato, nel senso che il titolare del segno anteriore sia stato effettivamente in grado di ottenere il divieto di tale utilizzo (sentenze del 29 marzo 2011, Anheuser-Busch/Budějovický Budvar, C‑96/09 P, EU:C:2011:189, punto 191; del 18 aprile 2013, Peek & Cloppenburg, T‑507/11, non pubblicata, EU:T:2013:198, punto 22, e del 28 gennaio 2016, GUGLER, T‑674/13, non pubblicata, EU:T:2016:44, punto 38).

41      Poiché la decisione degli organi competenti dell’EUIPO può avere l’effetto di privare il titolare del marchio di un diritto che gli è stato conferito, la portata di una decisione del genere comporta necessariamente che l’organo che la adotta non si limiti a un ruolo di mera convalida del diritto nazionale, quale esposto dal richiedente la dichiarazione di nullità (sentenze del 27 marzo 2014, UAMI/National Lottery Commission, C‑530/12 P, EU:C:2014:186, punto 43, e del 5 aprile 2017, EUIPO/Szajner, C‑598/14 P, EU:C:2017:265, punto36). Inoltre, per quanto concerne più specificamente gli obblighi cui è soggetto l’EUIPO, la Corte ha dichiarato che, qualora una domanda di nullità di un marchio dell’Unione europea fosse fondata su un diritto anteriore tutelato da una norma giuridica nazionale, spettava, in primo luogo, agli organi competenti dell’EUIPO valutare l’autorità e la portata degli elementi presentati dal richiedente per dimostrare il contenuto di tale norma (sentenze del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C‑263/09 P, EU:C:2011:452, punto 51, e del 27 marzo 2014, UAMI/National Lottery Commission, C‑530/12 P, EU:C:2014:186, punto 35).

42      Inoltre, a termini dell’articolo 65, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 72, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2017/1001), il Tribunale è competente ad esercitare un pieno controllo di legittimità sulla valutazione compiuta dall’EUIPO in merito agli elementi dedotti dal richiedente per dimostrare il contenuto della normativa nazionale di cui invochi la tutela (v. sentenza del 5 aprile 2017, EUIPO/Szajner, C‑598/14 P, EU:C:2017:265, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

43      Peraltro, la Corte ha stabilito che, poiché l’applicazione del diritto nazionale, nel contesto procedimentale in questione, poteva privare il titolare di un marchio dell’Unione europea del proprio diritto, era assolutamente necessario che il Tribunale non fosse privato della possibilità concreta di esercitare un controllo efficace, malgrado eventuali lacune nei documenti prodotti a comprova del diritto nazionale applicabile A tal fine, esso deve quindi poter verificare, oltre ai documenti prodotti, il contenuto, i presupposti di applicazione e la portata delle norme giuridiche invocate dal richiedente la dichiarazione di nullità. Di conseguenza, il controllo giurisdizionale esercitato dal Tribunale deve soddisfare le esigenze poste dal principio di tutela giurisdizionale effettiva (sentenze del 27 marzo 2014, UAMI/National Lottery Commission, C‑530/12 P, EU:C:2014:186, punto 44, e del 5 aprile 2017, EUIPO/Szajner, C‑598/14 P, EU:C:2017:265, punto 38).

44      È alla luce delle considerazioni sopra svolte che occorre esaminare la legittimità della decisione impugnata nella parte in cui la commissione di ricorso ha concluso che l’interveniente aveva dimostrato di soddisfare le condizioni richieste dall’articolo 8, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con la normativa svedese, e ha pertanto dichiarato la nullità del marchio controverso.

45      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 39 della decisione impugnata, che il diritto svedese proteggeva i marchi non registrati e altri segni determinati, utilizzati nella normale prassi commerciale in Svezia, nei confronti di segni identici o simili utilizzati per prodotti o servizi identici o simili nel caso in cui esistesse un rischio di confusione. Per un verso, l’articolo 8 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi dispone che il titolare di un nome commerciale o di un altro segno commerciale gode di diritti esclusivi sul nome commerciale o sul segno commerciale quale simbolo commerciale. Per altro verso, l’articolo 8, primo comma, punto 2, del capitolo 2 della detta legge prevede che la registrazione di un marchio possa essere rifiutata se esso è identico o simile a un simbolo commerciale anteriore che designa prodotti o servizi identici o simili, qualora vi sia un rischio di confusione, ivi incluso un rischio di associazione tra l’utilizzatore del marchio e il titolare del simbolo commerciale a seguito dell’utilizzo del marchio. Infine, l’articolo 9, punto 1, del capitolo 2 della medesima legge dispone che i motivi di diniego della registrazione di un marchio, citati al primo comma dell’articolo 8, punti da 1 a 3, si applicano anche a un nome commerciale utilizzato nella normale prassi commerciale.

46      Per la commissione di ricorso, sebbene l’articolo 9, punto 1, del capitolo 2 della legge svedese in materia di marchi abbia ad oggetto il diniego di registrazione di un marchio sulla base di un nome commerciale registrato, tale disposizione poteva del pari essere utilizzata per analogia per vietare l’uso di tale marchio. A tal proposito, essa ha fatto riferimento al punto 37 della sentenza del 21 ottobre 2014, Szajner/UAMI – Forge de Laguiole (LAGUIOLE) (T‑453/11, EU:T:2014:901).

47      La commissione di ricorso ha quindi verificato se in Svezia vi fosse un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, primo comma, punto 2, del capitolo 2 della legge svedese in materia di marchi, ed ha concluso affermando l’esistenza di un siffatto rischio. Essa ha poi verificato se, come sostenuto dalla ricorrente, per un verso, una coesistenza dei segni in conflitto nel caso di specie potesse ridurre il rischio di confusione e se, per altro verso, all’interveniente dovesse essere opposta la scadenza del termine di preclusione per tolleranza sancito dall’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009. Infine, la commissione di ricorso ha ritenuto di non poter concludere nel senso della coesistenza dei segni in conflitto e che la ricorrente non poteva avvalersi dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

48      Il Tribunale constata che, nel presente ricorso, la ricorrente non contesta le conclusioni della commissione di ricorso secondo le quali il segno anteriore è stato utilizzato nella normale prassi commerciale, la portata di tale segno non era puramente locale e il diritto al segno anteriore è stato acquisito prima della data di deposito della domanda di registrazione del marchio contestato. Essa non contesta neppure la conclusione cui è giunta la commissione di ricorso al punto 40 della decisione impugnata, secondo cui l’articolo 9, punto 1, del capitolo 2 della legge svedese in materia di marchi può essere utilizzato in via analogica per vietare l’uso di un marchio successivo sulla base di un nome commerciale registrato.

49      Ne consegue che il dibattito è incentrato, per un verso, sulla questione se, come asserisce la ricorrente, il fatto che essa possa far valere un diritto più risalente rispetto al segno anteriore significhi che l’interveniente non ha il diritto di vietare l’uso di un marchio dell’Unione europea posteriore, in modo tale che la condizione introdotta dall’articolo 8, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 207/2009 non sarebbe soddisfatta e, per altro verso, sull’esistenza di un rischio di confusione tra il segno anteriore e il marchio contestato.

–       Sul diritto anteriore

50      Se è pur vero che l’EUIPO, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità, è tenuto ad accertarsi dell’esistenza del diritto anteriore sul quale si fonda la domanda di nullità, nessuna disposizione del regolamento n. 207/2009 prevede che l’EUIPO proceda, da parte sua, ad un esame incidentale delle cause di nullità ovvero di decadenza atte a invalidare tale diritto (v. sentenza del 25 maggio 2005, TeleTech Holdings/UAMI – Teletech International (TELETECH GLOBAL VENTURES), T‑288/03, EU:T:2005:177, punto 29, e giurisprudenza ivi citata).

51      Inoltre, il regolamento n. 207/2009 non prevede che l’esistenza, sul medesimo territorio, di un marchio la cui data di priorità precede quella del marchio anteriore, sul quale si fonda la domanda di nullità e che è identico al marchio dell’Unione europea impugnato, possa convalidare quest’ultimo, ancorché esista una causa relativa di nullità con riguardo al detto marchio dell’Unione europea (sentenza del 25 maggio 2005, TELETECH GLOBAL VENTURES, T‑288/03, EU:T:2005:177, punto 29).

52      Deve inoltre rilevarsi che, qualora il titolare del marchio dell’Unione europea impugnato possieda un diritto anteriore tale da rendere invalido il marchio anteriore sul quale si fonda la domanda di nullità, spetta al medesimo rivolgersi, eventualmente, all’autorità o al giudice nazionale competente per ottenere, se lo desidera, l’annullamento del detto marchio (sentenza del 25 maggio 2005, TELETECH GLOBAL VENTURES,T‑288/03, EU:T:2005:177, punto 33).

53      Secondo la giurisprudenza elaborata nell’ambito di taluni procedimenti di opposizione, il fatto che il titolare di un marchio contestato sia il titolare di un marchio nazionale ancora più risalente rispetto al marchio anteriore è, di per sé, privo di pertinenza, in quanto la procedura di opposizione a livello dell’Unione non è concepita per risolvere controversie a livello nazionale [v., in tal senso, sentenze del 21 aprile 2005, PepsiCo/UAMI – Intersnack Knabber-Gebäck (RUFFLES), T‑269/02, EU:T:2005:138, punti 26 e 28, e del 12 dicembre 2014, Comptoir d’Épicure/UAMI – A-Rosa Akademie (da rosa), T‑405/13, non pubblicata, EU:T:2014:1072, punto 45].

54      Infatti, la validità di un marchio nazionale non può essere messa in discussione nell’ambito di un procedimento di registrazione di un marchio dell’Unione europea, ma solamente nell’ambito di un procedimento di nullità avviato nello Stato membro interessato [sentenza del 23 ottobre 2002, Matratzen Concord/UAMI – Hukla Germany (MATRATZEN), T‑6/01, EU:T:2002:261, punto 55]. Inoltre, benché spetti all’EUIPO, sulla base delle prove che è onere dell’opponente produrre, accertare l’esistenza del marchio nazionale invocato a sostegno dell’opposizione, ad esso non compete la soluzione di un conflitto tra tale marchio e un altro marchio sul piano nazionale, conflitto che ricade nella competenza delle autorità nazionali [sentenza del 21 aprile 2005, RUFFLES, T‑269/02, EU:T:2005:138, punto 26; v. altresì, in tal senso, sentenze del 25 maggio 2005, TELETECH GLOBAL VENTURES, T‑288/03, EU:T:2005:177, punto 29, e del 13 dicembre 2007, Xentral/UAMI – Pages jaunes (PAGESJAUNES.COM), T‑134/06, EU:T:2007:387, punto 36].

55      Di conseguenza, finché il marchio nazionale anteriore è effettivamente tutelato, l’esistenza di una registrazione nazionale anteriore o di un altro diritto anteriore a quest’ultimo non è pertinente nell’ambito dell’opposizione contro una domanda di marchio dell’Unione europea, anche se il marchio dell’Unione europea richiesto è identico a un marchio nazionale anteriore della ricorrente o a un altro diritto anteriore al marchio nazionale su cui si basa l’opposizione [v., in tal senso, sentenza del 1o marzo 2005, Fusco/UAMI – Fusco International (ENZO FUSCO), T‑185/03, EU:T:2005:73, punto 63].

56      Così, il Tribunale ha già avuto modo di dichiarare che, supponendo che i diritti su nomi di dominio anteriori possano essere assimilati a una registrazione nazionale anteriore, non compete in alcun caso al Tribunale pronunciarsi su un conflitto fra un marchio nazionale anteriore e taluni diritti sui nomi di dominio anteriori, giacché tale conflitto non rientra nella competenza del Tribunale (sentenza del 13 dicembre 2007, PAGESJAUNES.COM, T‑134/06, EU:C:2007:387, punto 37).

57      È opportuno applicare al caso di specie, per analogia, la giurisprudenza citata ai precedenti punti da 50 a 56. Infatti, nonostante gli obblighi cui è soggetto l’EUIPO, rammentati al precedente punto 41, e il ruolo del Tribunale, ricordato ai precedenti punti 42 e 43, è giocoforza constatare che né all’EUIPO, né al Tribunale spetta risolvere un conflitto tra il segno anteriore e un’altra denominazione sociale o marchio non registrato a livello nazionale nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità avverso un marchio dell’Unione europea.

58      Ne consegue che la questione del diritto anteriore è da esaminarsi in relazione alla registrazione del marchio dell’Unione europea impugnato, e non in relazione ai presunti diritti anteriori che il titolare del marchio dell’Unione europea impugnato, ossia, nel caso di specie, la ricorrente, potrebbe avere nei confronti dell’interveniente, come giustamente rilevato dall’EUIPO e dall’interveniente nei loro controricorsi. Pertanto, il solo diritto anteriore da prendersi in considerazione ai fini della soluzione della presente controversia è il segno anteriore.

59      Tale conclusione non può essere smentita dagli argomenti dedotti dalla ricorrente sulla base degli articoli 7, 8 e 15 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi.

60      Il Tribunale rileva infatti che l’articolo 7, intitolato «I diritti esclusivi derivanti da instaurazione sul mercato», del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi dispone, al primo comma, che i diritti esclusivi su un simbolo commerciale possono essere acquisiti, senza registrazione, mediante instaurazione sul mercato. Il secondo comma di tale articolo dispone che un simbolo commerciale si considera instaurato sul mercato ove esso sia conosciuto nel paese da una parte significativa del pubblico di riferimento quale indicazione per i prodotti o i servizi offerti con questo simbolo. L’articolo 15, dal titolo «Conseguenze della passività (simboli commerciali instaurati sul mercato)», del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi prevede, da parte sua, che i diritti su un simbolo commerciale instaurato sul mercato coesistono con i diritti anteriori su un simbolo commerciale identico o simile ai sensi dell’articolo 10, qualora il titolare dei diritti anteriori non abbia adottato, entro un termine ragionevole, misure volte a prevenire l’utilizzo del simbolo commerciale posteriore.

61      Orbene, ancorché la ricorrente sostenga di potersi avvalere di una catena ininterrotta di utilizzo e di diritti sul «marchio» e su una denominazione sociale che incorpora un elemento «swemac» risalenti ad epoche diverse precedenti alla registrazione del segno anteriore (1991, 1995, dicembre 1998, 2001, 2004), essa non ha fornito alcun elemento di prova in tal senso. Come rilevato dalla commissione di ricorso ai punti 62 e 64 della decisione impugnata, e come rilevato, in sostanza, dall’EUIPO e dall’interveniente, la ricorrente non ha prodotto, dinanzi agli organi dell’EUIPO, alcun elemento tale da dimostrare l’uso del marchio contestato o di un altro segno contenente l’elemento «swemac». I documenti da essa prodotti per la prima volta dinanzi al Tribunale non possono essere presi in considerazione, come chiarito supra al punto 19. Pertanto, la ricorrente non ha in alcun modo dimostrato, in concreto, di soddisfare le condizioni di applicazione delle disposizioni del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi, che essa invocava. Più in particolare, essa non ha in alcun modo dimostrato che il suo presunto diritto anteriore rientri nell’ambito di applicazione degli articoli 7 e 15 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi, vale a dire che esso si era instaurato sul mercato o che era conosciuto da una parte significativa del pubblico di riferimento quale indicazione per i prodotti o servizi rilevanti, e ciò prima o dopo la registrazione del segno anteriore.

62      Il Tribunale rileva inoltre che la ricorrente non ha fornito alcuna precisazione in ordine all’interazione tra le disposizioni da essa invocate e quelle applicate dalla commissione di ricorso. Oltretutto, non è stata fornita alcuna precisazione in merito alla sua affermazione secondo la quale essa può rivendicare il diritto alla denominazione sociale Swemac Orthopaedics AB dalla data in cui la società cedente l’aveva inizialmente registrata, vale a dire il 22 dicembre 1995. Infine, anche a voler supporre che la ricorrente e l’interveniente siano entrambe derivate dalla società Swemac Orthopaedics, la ricorrente non ha neppure spiegato in che limiti il diritto svedese le attribuirebbe un’anzianità di diritto sull’elemento «swemac».

63      Devono essere pertanto respinti gli argomenti della ricorrente intesi a far valere, in sostanza, che dagli articoli 7, 8 e 15 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi deriverebbe l’inesistenza del diritto dell’interveniente a vietare l’uso del marchio contestato.

64      Peraltro, la ricorrente non ha messo in discussione la constatazione effettuata dalla commissione di ricorso al punto 40 della decisione impugnata, secondo cui l’articolo 9, punto 1, del capitolo 2 della legge svedese in materia di marchi poteva essere utilizzato, per analogia, per vietare l’uso di un marchio successivo sulla base di un nome commerciale registrato.

65      In ogni caso, la ricorrente non ha spiegato in che modo gli articoli 7, 8 e 15 del capitolo 1 della legge svedese in materia di marchi consentirebbero di smentire la conclusione implicita intermedia della commissione di ricorso, espressa ai punti 40 e 41 della decisione impugnata, secondo cui il segno anteriore permetterebbe, in caso di sussistenza di un rischio di confusione, di vietare la registrazione e, per analogia, l’uso di un marchio più recente.

66      Ne consegue che la conclusione implicita intermedia della commissione di ricorso, espressa ai punti 40 e 41 della decisione impugnata, secondo cui il diritto svedese tutelerebbe il segno anteriore nei confronti dei segni identici o simili utilizzati per prodotti o servizi identici o simili in caso di sussistenza di un rischio di confusione, deve essere avallata.

–       Sul rischio di confusione

67      Il Tribunale rileva che la ricorrente non contesta la metodologia adottata dalla commissione di ricorso, in base alla quale essa ha esaminato se sussistesse in Svezia un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, primo comma, punto 2, del capitolo 2 della legge svedese in materia di marchi. Essa non contesta neppure le conclusioni della stessa commissione, secondo cui il pubblico di riferimento è costituito da professionisti del settore sanitario, il cui livello di attenzione sarebbe elevato, tenuto conto segnatamente della natura dei prodotti e dei servizi in questione e del fatto che essi sono costosi. Essa non contesta neppure, come evidenziato dall’interveniente, il fatto che il marchio contestato e il segno anteriore presenterebbero un elevato grado di somiglianza, né che i prodotti e i servizi in questione sono identici o molto simili. Tale metodologia e tali conclusioni, peraltro non contestate, devono essere avallate.

68      Per contro, la ricorrente sostiene che una coesistenza dei marchi, la sua presenza di lunga data sul mercato e il fatto che il pubblico di riferimento sia composto di persone altamente competenti, avvedute e specializzate, nonché il fatto che i prodotti e servizi in questione vengano acquistati nell’ambito di gare di appalto pubbliche ridurrebbero il rischio di confusione.

69      Per giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento, tenendo conto di tutti i fattori che caratterizzano il caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

70      Benché sia pacifico che i prodotti e i servizi indicati al precedente punto 3 sono commercializzati a seguito di gare di appalto nell’ambito di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, una siffatta circostanza non può escludere qualsivoglia rischio di confusione. Infatti, l’uso del marchio contestato non si limita alle situazioni in cui i prodotti in questione sono commercializzati, ma può riguardare anche altre situazioni in cui il pubblico di riferimento cita tali prodotti e servizi verbalmente o per iscritto, ad esempio in occasione del loro utilizzo o nel corso di discussioni relative a tale utilizzo e vertenti, in particolare, sui vantaggi e sugli inconvenienti dei suddetti prodotti e servizi [v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2014, Koscher + Würtz/UAMI – Kirchner & Wilhelm (KW SURGICAL INSTRUMENTS), T‑445/12, EU:T:2014:829, punto 80].

71      Nel caso di specie, come rilevato al precedente punto 67, è pacifico che i prodotti e i servizi contraddistinti dai segni in conflitto sono identici o molto simili. Inoltre, è pacifico che il marchio contestato e il segno anteriore presentano un elevato grado di somiglianza. Pertanto, e come sostiene l’interveniente, non è possibile escludere l’esistenza di un rischio di confusione, e ciò anche tenendo conto del livello elevato di attenzione del pubblico di riferimento [v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2012, Retractable Technologies/UAMI – Abbott Laboratories (RT), T‑371/09, non pubblicata, EU:T:2012:244, punto 43].

72      Infine, il paragrafo della decisione del Marknadsdomstolen (Tribunale di commercio), riportato all’allegato A.10, invocato dalla ricorrente, non è tale da inficiare la conclusione di cui al precedente punto 71, né la decisione impugnata. In tale paragrafo, quest’ultimo rileva che «si è riscontrato che i prodotti in questione [erano] commercializzati esclusivamente nell’ambito di appalti pubblici» e che «[i]n un siffatto contesto d’acquisto, risulta[va] che non vi poteva essere confusione circa l’origine commerciale». È vero che, ai fini dell’applicazione della quarta condizione enunciata dall’articolo 8, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 207/2009, si deve tener conto delle decisioni giurisdizionali pronunciate nello Stato membro interessato, come rammentato al precedente punto 38. Tuttavia, per un verso, va rilevato che tale paragrafo è presentato senza alcuna precisazione quanto al suo contesto fattuale e processuale. Il Tribunale non è pertanto in grado di valutare se le indicazioni da trarsi dal paragrafo stesso si estendano al contesto fattuale e procedurale del caso di specie. D’altro canto, si deve osservare che tale paragrafo non può mettere in discussione le constatazioni fattuali svolte dalla commissione di ricorso, né può dimostrare la conoscenza che avrebbe il pubblico di riferimento del marchio contestato. Infine, esso non può dimostrare una qualsivoglia coesistenza dei segni in conflitto, né che il pubblico svedese non confonda l’origine commerciale dei prodotti e dei servizi contraddistinti da tali segni quando vi si trova di fronte.

73      Di conseguenza, non risulta dimostrato che la commissione di ricorso sia incorsa in errore ritenendo, al punto 58 della decisione impugnata, che sussisteva un rischio di confusione in merito all’origine commerciale dei prodotti e dei servizi in questione.

74      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente fondato sulla presunta coesistenza dei segni in conflitto in Svezia, si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza, pur non essendo escluso che la coesistenza di marchi anteriori sul mercato possa eventualmente ridurre il rischio di confusione tra due marchi in conflitto, ciò non toglie che una siffatta eventualità può essere presa in considerazione solo qualora, nel corso del procedimento dinanzi all’EUIPO, il titolare del marchio dell’Unione europea contestato abbia debitamente dimostrato che detta coesistenza si fondava sull’insussistenza di un rischio di confusione, nella mente del pubblico di riferimento, tra il marchio anteriore che egli fa valere e il marchio anteriore su cui è basata la domanda di dichiarazione di nullità e purché i marchi anteriori di cui trattasi e i marchi in conflitto siano identici [v., in tal senso, sentenze del 3 settembre 2009, Aceites del Sur-Coosur/Koipe, C‑498/07 P, EU:C:2009:503, punto 82; dell’11 maggio 2005, Grupo Sada/UAMI – Sadia (GRUPO SADA), T‑31/03, EU:T:2005:169, punto 86, e del 10 aprile 2013, Höganäs/UAMI – Haynes (ASTALOY), T‑505/10, non pubblicata, EU:T:2013:160, punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. Inoltre, nei limiti in cui dalla giurisprudenza risulta che la coesistenza di due marchi deve essere sufficientemente lunga per poter influire sulla percezione del pubblico pertinente, la durata della coesistenza costituisce altresì un elemento essenziale [v. sentenza del 30 giugno 2015, La Rioja Alta/UAMI – Aldi Einkauf (VIÑA ALBERDI), T‑489/13, EU:T:2015:446, punto 80, e giurisprudenza ivi citata].

75      Orbene, nel caso di specie, come rilevato al precedente punto 61, la ricorrente non ha prodotto dinanzi agli organi dell’EUIPO alcun elemento tale da provare l’uso del marchio contestato o di un segno contenente l’elemento «swemac». I documenti prodotti dalla ricorrente per la prima volta dinanzi al Tribunale al fine di dimostrare la propria presenza sul mercato e l’uso di un marchio, di una denominazione sociale, o di un’insegna contenenti l’elemento «swemac» non possono essere presi in considerazione, come precisato supra, al punto 19. La ricorrente non ha neppure allegato elementi di prova attestanti la conoscenza del marchio contestato o di un segno contenente l’elemento «swemac» da parte del pubblico di riferimento, quali sondaggi d’opinione, dichiarazioni di associazioni di consumatori o altro, quando invece aveva la facoltà di procedere a tale dimostrazione adducendo un insieme di indizi in tal senso [v., in tal senso, sentenze del 30 giugno 2015, VIÑA ALBERDI, T‑489/13, EU:T:2015:446, punto 80, e del 13 luglio 2017, AIA/EUIPO – Casa Montorsi (MONTORSI F. & F.), T‑389/16, EU:T:2017:492, punto 71; v. altresì, in tal senso e per analogia, sentenza del 25 maggio 2005, TELETECH GLOBAL VENTURES, T‑288/03, EU:T:2005:177, punto 100].

76      La commissione di ricorso ha quindi correttamente constatato, ai punti 62 e 64 della decisione impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato una qualsivoglia coesistenza dei segni in conflitto, né che il pubblico svedese non confondesse tali segni quando vi si trovava di fronte.

77      Pertanto, si deve respingere l’argomento della ricorrente vertente su una presunta coesistenza dei segni in conflitto, in quanto infondato.

78      Ne consegue che il primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento e con la normativa svedese in materia di marchi, dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 54, paragrafo 2,del regolamento n. 207/2009, in combinato disposto con larticolo 8, paragrafo 4, del medesimo regolamento

79      Con il suo secondo motivo, la ricorrente asserisce che la commissione di ricorso è incorsa in errore nel valutare la preclusione per tolleranza, atteso che questa dovrebbe essere calcolata non con riferimento alla data della registrazione del marchio contestato, bensì con riferimento al «consenso informato implicito» dell’interveniente in merito all’utilizzo, da parte della ricorrente, del «suo marchio» o del «suo segno» sul mercato.

80      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

81      Anzitutto, come rilevato al precedente punto 58, i soli diritti da prendere in considerazione ai fini della soluzione della controversia sono il segno anteriore e il marchio contestato. Atteso che il marchio contestato è un marchio dell’Unione europea, la disposizione applicabile relativa ad un’eventuale preclusione per tolleranza è, pertanto, l’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

82      Ai sensi dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, il titolare di un marchio nazionale anteriore di cui all’articolo 8, paragrafo 2, o di un altro segno anteriore di cui all’articolo 8, paragrafo 4, che, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso di un marchio dell’Unione europea posteriore nello Stato membro in cui il marchio anteriore ovvero l’altro segno anteriore è tutelato, essendo al corrente di tale uso, sulla base del marchio o dell’altro segno anteriore non può più domandare la nullità del marchio posteriore con riferimento ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio posteriore è stato utilizzato, a meno che il deposito del marchio dell’Unione europea posteriore non sia stato effettuato in malafede.

83      Poi, si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza, per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza in caso di uso di un marchio posteriore identico al marchio anteriore o talmente simile da creare confusione, devono essere soddisfatte quattro condizioni. In primo luogo, il marchio posteriore deve essere registrato; in secondo luogo, il suo deposito da parte del titolare deve essere avvenuto in buona fede; in terzo luogo, esso deve essere utilizzato nello Stato membro in cui il marchio anteriore è tutelato, e infine, in quarto luogo, il titolare del marchio anteriore deve essere al corrente dell’uso di tale marchio dopo la sua registrazione [v. sentenza del 20 aprile 2016, Tronios Group International/EUIPO – Sky (SkyTec), T‑77/15, EU:T:2016:226, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].

84      Da tale giurisprudenza risulta che la finalità dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 è di privare i titolari dei marchi anteriori che hanno tollerato l’uso di un marchio dell’Unione europea posteriore per cinque anni consecutivi, essendo al corrente di tale uso, della possibilità di proporre azioni di nullità e di opposizione nei confronti di detto marchio. Tale disposizione mira, quindi, a contemperare gli interessi del titolare di un marchio a salvaguardare la funzione essenziale di quest’ultimo con gli interessi di altri operatori economici alla disponibilità di segni idonei a identificare i loro prodotti e servizi. Tale finalità implica che, per salvaguardare tale funzione essenziale, il titolare di un marchio anteriore dev’essere in condizione di opporsi all’uso di un marchio posteriore identico o simile al suo. Infatti, è solo dal momento in cui il titolare del marchio anteriore è a conoscenza dell’uso del marchio dell’Unione europea posteriore che egli ha la possibilità di non tollerarlo e, dunque, di opporvisi o di domandare la nullità del marchio posteriore e che, quindi, il termine di preclusione per tolleranza inizia a decorrere (v. sentenza del 20 aprile 2016, SkyTec, T‑77/05, EU:T:2016:226, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

85      Pertanto, è a partire dal momento in cui il titolare del marchio anteriore ha avuto conoscenza dell’uso del marchio dell’Unione europea posteriore, dopo la sua registrazione, che il termine di preclusione per tolleranza inizia a decorrere (v. sentenza del 20 aprile 2016, SkyTec, T‑77/05, EU:T:2016:226, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

86      La giurisprudenza citata ai precedenti punti 83 e 85 dev’essere applicata, per analogia, al caso di specie, che attiene ad un segno nazionale anteriore diverso da un marchio.

87      Il Tribunale rileva che, nel caso di specie, è pacifico che il marchio contestato è stato registrato il 4 settembre 2008 e che la domanda di dichiarazione di nullità è stata presentata il 3 settembre 2013, ossia meno di cinque anni dopo la registrazione.

88      Ne consegue, come sostenuto dall’EUIPO e dall’interveniente, per un verso, che l’uso del marchio contestato poteva intervenire solo a partire dalla data di registrazione di detto marchio. Per altro verso, l’eventuale termine di prescrizione conseguente alla tolleranza avrebbe potuto iniziare a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interveniente, titolare del segno anteriore, avrebbe avuto conoscenza dell’uso del marchio dell’Unione europea posteriore, vale a dire il marchio contestato, dopo la sua registrazione. Il termine di prescrizione non poteva quindi iniziare a decorrere a partire da un eventuale uso di un marchio non registrato o della denominazione sociale della ricorrente.

89      Pertanto, la commissione di ricorso ha giustamente concluso, al punto 71 della decisione impugnata, che la ricorrente non poteva invocare la preclusione per tolleranza prevista dall’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009.

90      Infine, e in ogni caso, si deve rilevare, come precisato in sostanza dalla commissione di ricorso ai punti 72 e 73 della decisione impugnata, e come fatto valere dall’interveniente, che, secondo la giurisprudenza, il titolare del marchio posteriore deve fornire la prova dell’esistenza di una conoscenza effettiva dell’uso di detto marchio da parte del titolare del marchio anteriore, senza la quale quest’ultimo non sarebbe in grado di opporsi all’uso del marchio posteriore (sentenza del 20 aprile 2016, SkyTec, T‑77/15, EU:T:2016:226, punto 33; v. altresì, in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punti 46 e 47, e conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:46, paragrafo 82).

91      Si deve inoltre rilevare che il motivo di preclusione per tolleranza è applicabile qualora il titolare del marchio anteriore «ne abbia coscientemente tollerato l’uso per un lungo periodo», ossia «deliberatamente» o «con cognizione di causa» (sentenza del 20 aprile 2016, SkyTec, T‑77/15, EU:T:2016:226, punto 33; v. altresì, in tal senso e per analogia,, sentenza del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:605, punti 46 e 47, e conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Budějovický Budvar, C‑482/09, EU:C:2011:46, paragrafo 82).

92      Orbene, nel caso di specie, come constatato supra al punto 61, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso ai punti 62 e 73 della decisione impugnata e come sostenuto dall’EUIPO e dall’interveniente, la ricorrente non ha dimostrato l’uso del marchio contestato in Svezia, né che l’interveniente avesse conoscenza di tale presunto uso.

93      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso non ha violato l’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 dichiarando, ai punti 71 e 73 della decisione impugnata, che la ricorrente non poteva avvalersi di tale disposizione.

94      Il secondo motivo deve pertanto essere respinto in quanto infondato.

95      Atteso che nessu      no dei motivi dedotti dalla ricorrente è fondato, il ricorso dev’essere respinto integralmente.

 Sulle spese

96      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

97      Nel caso di specie, l’EUIPO e l’interveniente hanno chiesto la condanna della ricorrente alle spese del presente procedimento. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese sostenute dall’EUIPO e dall’interveniente nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, conformemente alle conclusioni di questi ultimi.

98      L’interveniente ha inoltre chiesto la condanna della ricorrente alle spese da essa sostenute nel corso del procedimento amministrativo dinanzi all’EUIPO. Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le spese indispensabili sostenute dalle parti ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Ciò non vale tuttavia per le spese sostenute nel procedimento dinanzi alla divisione di annullamento. Conseguentemente, la domanda dell’interveniente, intesa ad ottenere che la ricorrente, rimasta soccombente, sia condannata alle spese del procedimento amministrativo dinanzi all’EUIPO, può essere accolta solo limitatamente alle spese indispensabili sostenute dall’interveniente per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso [v., in tal senso, sentenze del 10 febbraio 2015, Boehringer Ingelheim International/UAMI – Lehning entreprise (ANGIPAX), T‑368/13, non pubblicata, EU:T:2015:81, punto 98 e giurisprudenza ivi citata, e del 30 marzo 2017, Apax Partners UK/EUIPO – Apax Partners Midmarket (APAX PARTNERS), T‑209/16, non pubblicata, EU:T:2017:240, punto 49].

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Swemac Innovation AB è condannata alle spese, ivi comprese le spese indispensabili sostenute dalla SWEMAC Medical Appliances AB per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dellUfficio dellUnione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).

GervasoniKowalik-BańczykMac Eochaidh

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 febbraio 2019.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.