Language of document : ECLI:EU:C:2019:983

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 19 novembre 2019 (1)

Causa C653/19 (PPU)

Procedimento penale a carico di

DK

con l’intervento di

Spezializirana prokuratura

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva (UE) 2016/343 – Presunzione d’innocenza – Onere della prova – Decisione sulla colpevolezza – Controllo giurisdizionale sul mantenimento in custodia cautelare»






1.        I sistemi penali degli Stati membri sono caratterizzati, in larga misura, da una contraddizione difficilmente superabile. Infatti, mentre da un lato codificano il principio della presunzione d’innocenza, autentico fondamento dell’identità penale europea, dall’altro fanno ampio ricorso alla custodia cautelare(2). La questione cui la Corte è confrontata nel presente rinvio pregiudiziale è se e in quale misura la direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (3), sia riuscita, per quanto riguarda il regime giuridico della custodia cautelare, a rendere meno incompleto e squilibrato lo spazio di giustizia penale dell’Unione europea (4).

I.      Contesto normativo

A.      Direttiva 2016/343

2.        Dal considerando 16 della direttiva 2016/343 risulta che «[l]a presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata (…) Dovrebbero (…) restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l’indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l’autorità competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell’indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi».

3.        Il considerando 22 della direttiva 2016/343 afferma che «[l]’onere della prova della colpevolezza di indagati e imputati incombe alla pubblica accusa e qualsiasi dubbio dovrebbe valere in favore dell’indagato o imputato. La presunzione di innocenza risulterebbe violata qualora l’onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa, fatti salvi eventuali poteri di accertamento dei fatti esercitati d’ufficio dal giudice, la sua indipendenza nel valutare la colpevolezza dell’indagato o imputato e il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato o un imputato. Tali presunzioni dovrebbero essere confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presunzioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel rispetto dei diritti della difesa».

4.        L’articolo 1 di tale direttiva è redatto come segue:

«La presente direttiva stabilisce norme minime comuni concernenti:

a)      alcuni aspetti della presunzione di innocenza nei procedimenti penali;

b)      il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».

5.        L’articolo 2 della direttiva 2016/343 prevede che quest’ultima «si applica alle persone fisiche che sono indagate o imputate in un procedimento penale. Si applica a ogni fase del procedimento penale, dal momento in cui una persona sia indagata o imputata per aver commesso un reato o un presunto reato sino a quando non diventi definitiva la decisione che stabilisce se la persona abbia commesso il reato».

6.        L’articolo 6 della direttiva 2016/343, rubricato «Onere della prova», così dispone:

«1.      Gli Stati membri assicurano che l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incomba alla pubblica accusa, fatti salvi l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile.

2.      Gli Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta».

B.      Diritto bulgaro

7.        L’articolo 270 del Nakazatelen protsesualen kodeks (codice di procedura penale) è così formulato:

«1)      La domanda di commutazione della misura coercitiva può essere introdotta in qualsiasi momento nel corso del processo. Una nuova domanda relativa alla misura coercitiva può essere proposta dinanzi allo stesso giudice, qualora le circostanze siano mutate.

2)      Il tribunale si pronuncia con ordinanza in udienza pubblica».

II.    Procedimento principale e questione pregiudiziale

8.        DK era sulla scena di una sparatoria nella quale una persona è stata uccisa ed un’altra gravemente ferita. A seguito della sparatoria, DK è rimasto sul posto e si è consegnato alla polizia. Per tali fatti, egli è stato accusato di appartenenza a un gruppo criminale organizzato e di omicidio e collocato in custodia cautelare l’11 giugno 2016. Il pubblico ministero sostiene che DK è responsabile della morte della vittima. DK sostiene di aver agito per legittima difesa.

9.        La fase giudiziale del procedimento penale a carico di DK ha avuto inizio il 9 novembre 2017. Il 5 febbraio 2018 DK ha presentato la prima domanda di rimessione in libertà, che è stata respinta. DK ha presentato almeno altre sei domande in tal senso. Sono state tutte respinte, o dal giudice di primo grado o da quello di secondo grado. Tutte le predette domande sono state esaminate in base al requisito di legge dell’esistenza di nuove circostanze che rimettano in questione la legittimità della detenzione.

10.      Il giudice del rinvio fa notare che il pubblico ministero non ha presentato alcuna domanda di mantenimento in custodia cautelare. Quest’ultima si protrae finché la difesa non sia in grado di fornire la prova di un mutamento delle circostanze ai sensi dell’articolo 270 del codice di procedura penale bulgaro. Il giudice del rinvio potrà ordinare la rimessione in libertà solo se la difesa sarà stata in grado di provare in modo convincente che è sopravvenuto un mutamento delle circostanze. Secondo il giudice del rinvio, l’articolo 270 di tale codice sposterebbe l’onere della prova dall’accusa alla difesa, istituendo così una presunzione di legittimità della permanenza in detenzione, che incomberebbe alla difesa confutare. Esso dubita che tale approccio sia conforme al considerando 22 e all’articolo 6 della direttiva 2016/343. Il giudice del rinvio richiama altresì la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») del 27 agosto 2019 nella causa Magnitskiy e a. contro Russia (5), con la quale la Corte EDU avrebbe dichiarato che la presunzione in favore della scarcerazione è invertita quando il diritto interno consente che la custodia cautelare perduri in mancanza di circostanze nuove, e che ciò equivale a spostare l’onere della prova sulla difesa. La legislazione nazionale potrebbe quindi essere in contrasto anche con l’articolo 5, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

11.      Il giudice del rinvio rileva, inoltre, che il diritto nazionale non prevede la fissazione di una durata massima della custodia cautelare né alcun controllo periodico d’ufficio.

12.      È in tali circostanze che lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione pervenuta presso la cancelleria della Corte il 4 settembre 2019, confermata il 27 settembre 2019, di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se una normativa nazionale che, nell’ambito della fase del giudizio del procedimento penale, condiziona l’accoglimento della domanda della difesa volta alla revoca della detenzione dell’imputato al verificarsi di un mutamento delle circostanze, sia conforme all’articolo 6 e al considerando 22 della Direttiva 2016/343, nonché agli articoli 6 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la “Carta”]».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

13.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta alla Corte il 4 settembre 2019. A causa dei dubbi sullo stato del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio, la Corte ha inviato a quest’ultimo una richiesta di informazioni, alla quale esso ha risposto il 13 settembre 2019. Il 25 settembre 2019 il giudice del rinvio ha informato la Corte che la decisione di scarcerazione di DK era stata annullata dal giudice di secondo grado. Il 27 settembre 2019 il giudice del rinvio ha tenuto un’udienza straordinaria nel corso della quale DK ha presentato una nuova domanda di rimessione in libertà. È in tale contesto che la Corte, con decisione del 1o ottobre 2019, ha deciso di trattare il rinvio pregiudiziale con procedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del proprio regolamento di procedura.

14.      DK e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Solo la Commissione è stata sentita all’udienza svoltasi dinanzi alla Corte il 7 novembre 2019.

IV.    Analisi

A.      Riflessioni preliminari

15.      Il giudice del rinvio, in sostanza, interroga la Corte sulla compatibilità con l’articolo 6 della direttiva 2016/343 e, eventualmente, con la Carta, di una normativa penale nazionale secondo la quale una decisione di custodia cautelare può essere revocata, durante la fase giudiziale del procedimento penale, solo in presenza di «nuove circostanze». La lettura della questione pregiudiziale deve tuttavia essere integrata con gli altri motivi dell’ordinanza di rinvio, da cui risulta con più precisione che la detta questione è posta in connessione con quella dell’onere della prova. In altri termini, si chiede se sia compatibile con l’articolo 6 della direttiva 2016/343 una normativa secondo la quale l’imputato, se intende far cessare la sua custodia cautelare, deve fornire la prova dell’esistenza di nuove circostanze.

16.      La semplicità della questione sottoposta alla Corte non rende giustizia alle questioni fondamentali per lo spazio penale europeo da essa sollevate.

17.      Infatti, tale questione si colloca in un contesto particolare. Il giudice del rinvio descrive in termini abbastanza preoccupanti lo stato del diritto nazionale applicabile in materia di custodia cautelare. In particolare, la custodia cautelare non è soggetta a un limite temporale una volta che il procedimento penale è entrato nella fase del giudizio. È vero che l’articolo 270 del codice di procedura penale bulgaro prevede che l’imputato possa chiedere la revoca della sua custodia cautelare in qualsiasi momento, ma sembra che la liberazione effettiva o la commutazione della misura coercitiva sia, in concreto, particolarmente difficile da ottenere (6).

18.      Non posso quindi fare a meno di esprimere le mie preoccupazioni dinanzi a questa situazione. Tali preoccupazioni sono di due ordini: anzitutto, di carattere particolare, rispetto alla situazione personale di DK; inoltre, di carattere generale, rispetto alla reale situazione dello spazio penale europeo che emerge dal caso in esame.

19.      In primo luogo, DK è un imputato: orbene, un imputato è una persona che non può essere ancora considerata colpevole e che potenzialmente è anzi innocente. Può l’idea che la sua detenzione sia illimitata nel tempo farci sentire completamente a nostro agio? Non vi è forse un abuso del linguaggio quando si continua a parlare di custodia cautelare quale misura detentiva provvisoria? Pertanto, anche se non spetta certamente a me riconsiderare la scelta degli Stati membri di optare per regimi che fanno ampio ricorso alla custodia cautelare (7), mi sembra che qualsiasi analisi relativa a tale questione debba tenere presente che coloro i quali attendono, in condizioni generalmente alquanto tristi, che sia decisa la loro sorte nel procedimento penale sono potenzialmente persone non colpevoli.

20.      In secondo luogo, le mie preoccupazioni sono giustificate dallo stato quasi inesistente di armonizzazione europea in questo settore, come cercherò di dimostrare in seguito. Questa causa ci impone di constatare i limiti del diritto dell’Unione. Su una questione tanto fondamentale come quella della durata della custodia cautelare e delle condizioni alle quali un provvedimento di custodia cautelare può essere impugnato dinanzi a un giudice, non può che essere doloroso constatare che il diritto dell’Unione ha scarsa incidenza. Non possiamo giustificare tutto sull’altare della mancanza di competenza dell’Unione ad agire in questa materia.

21.      Naturalmente, in materia penale, ciò che non è garantito dall’Unione può essere garantito dalla Corte EDU. Si potrebbe allora considerare la presente causa come un’opportunità per la Corte di esercitare il suo ruolo di regolatore delle competenze (8). È evidente che ciò che non è disciplinato dal diritto dell’Unione non necessariamente si pone al di fuori di tale diritto. Tornerò su questo punto in seguito, ma la Corte EDU ha sviluppato principi importanti che circoscrivono il margine di discrezionalità degli Stati parti della CEDU per quanto riguarda le decisioni relative alla custodia cautelare. Ma per quanto tempo ancora DK dovrà restare in custodia cautelare prima di ottenere una sentenza dalla Corte di Strasburgo? Può ottenerla autonomamente lui stesso, quando i suoi avvocati, forse per ragioni economiche, non hanno partecipato all’udienza dinanzi alla Corte?

22.      Al di là della questione del rapporto tra gli ordinamenti, è urgente che il legislatore dell’Unione affronti la questione di un’armonizzazione, anche minima, dell’istituto della custodia cautelare perché, nel lungo termine, è lo spazio penale europeo ad essere minacciato. Infatti, può sussistere una cooperazione giudiziaria in materia penale solo se la fiducia reciproca tra Stati membri si rafforza e tale fiducia non potrà instaurarsi serenamente se gli Stati membri applicano standard tanto in contrasto fra loro, in particolare in materia di custodia cautelare la quale, lo ricordo, costituisce un’eccezione, che deve essere limitata il più possibile, all’architrave della nostra civiltà giuridica, che è il diritto alla libertà.

23.      Tuttavia, a prescindere dalle mie preoccupazioni e dal mio rammarico per lo stato attuale del diritto dell’Unione, posso solo concludere, all’esito di un’analisi rigorosamente giuridica, che la situazione di DK non trova una soluzione nella direttiva 2016/343.

B.      Sulla questione pregiudiziale

24.      È posta la questione se l’articolo 6 della direttiva 2016/343 imponga agli Stati membri di prevedere che l’onere della prova incomba alla pubblica accusa quando la difesa chiede la cessazione della custodia cautelare, ove la stessa prosegua quando il procedimento penale è entrato nella fase giudiziale. Per rispondere a tale domanda, dimostrerò in primo luogo che la direttiva 2016/343 non impone alcuna regola sulle condizioni in presenza delle quali si può contestare una decisione di mantenimento in custodia cautelare. Tale conclusione intermedia sarà, in secondo luogo, verificata alla luce della giurisprudenza della Corte sulla direttiva 2016/343 e delle decisioni sulla custodia cautelare. In terzo luogo, concluderò l’analisi con un rassegna dei precetti della Corte EDU.

1.      Interpretazione letterale, sistematica, storica e teleologica della direttiva 2016/343

25.      Anzitutto, rilevo che il nesso tra la situazione di cui al procedimento principale e l’articolo 6 della direttiva 2016/343 non è del tutto evidente.

26.      Vero è che la direttiva 2016/343 prevede che quest’ultima si applica «alle persone fisiche che sono indagate o imputate in un procedimento penale» (9). È pacifico che DK rientra nel campo d’applicazione soggettivo della direttiva 2016/343.

27.      Peraltro, tale direttiva si applica «a ogni fase del procedimento penale», vale a dire dal momento in cui una persona sia indagata o imputata per aver commesso un reato sino a quando non diventi definitiva la decisione che stabilisce se la persona abbia commesso il reato (10). Il periodo durante il quale l’imputato è collocato in custodia cautelare si inserisce pienamente nel contesto di tale procedimento, di modo che la situazione di cui al procedimento principale rientra, in linea di principio, nel campo d’applicazione della direttiva 2016/343 (11). È peraltro evidente che ciascun articolo di tale direttiva non si applica necessariamente a tutte le fasi del procedimento penale (12).

28.      Si chiede se l’articolo 6 della direttiva 2016/343 sia nondimeno inteso a disciplinare la questione dell’onere della prova nei procedimenti diretti a contestare la prosecuzione della custodia cautelare. Non ne sono convinto.

29.      A tal riguardo, va osservato che tale articolo si inserisce in un capo più ampio dedicato alla presunzione di innocenza. Infatti, la direttiva 2016/343 impone agli Stati membri di assicurare che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza (13). In particolare, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie non devono presentare la persona come colpevole (14). Si intende tuttavia che ciò «lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità» (15). A proposito del modo in cui le dichiarazioni pubbliche e le decisioni preliminari di natura procedurale devono tutelare la presunzione di innocenza, il testo dell’articolo 4 della direttiva 2016/343 può essere chiarito utilmente dalla lettura del considerando 16 di quest’ultima, da cui risulta che non si può censurare un’imputazione che presenti l’interessato come potenzialmente colpevole. Si afferma che il rispetto della presunzione d’innocenza «[lascia] altresì [...] impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, [...], quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l’indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l’autorità competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell’indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi» (16). Se qui si fa pertanto riferimento ai provvedimenti di custodia cautelare, è solo in connessione con la questione delle dichiarazioni delle autorità pubbliche e giudiziarie, alle quali la direttiva vieta dunque di presentare l’indagato o l’imputato come colpevole.

30.      Per quanto riguarda l’onere della prova in senso stretto, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 – sul quale verte precisamente la questione pregiudiziale – impone agli Stati membri di assicurare che l’onere di provare la colpevolezza degli indagati e imputati incomba alla pubblica accusa. Ciò «fatti salvi l’eventuale obbligo per il giudice o il tribunale competente di ricercare le prove sia a carico sia a discarico e il diritto della difesa di produrre prove in conformità del diritto nazionale applicabile» (17). Il dubbio deve essere valutato in favore dell’indagato o imputato, «anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta» (18). Il considerando 22 della direttiva 2016/343 vuole esplicitare l’intenzione del legislatore. Ne risulta che si tratta dell’onere della prova della colpevolezza di indagati e imputati e che tale onere deve incombere alla pubblica accusa. Sembra che il legislatore dell’Unione abbia ammesso la possibilità di ricorrere a presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato o un imputato, ma queste non devono ledere il principio della presunzione di innocenza e devono essere «confinate entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa, e i mezzi impiegati dovrebbero essere ragionevolmente proporzionati allo scopo legittimo perseguito. Le presunzioni dovrebbero essere confutabili e, in ogni caso, si dovrebbe farvi ricorso solo nel rispetto dei diritti della difesa» (19).

31.      Pertanto, mentre l’articolo 4 della direttiva 2016/343 fa espresso riferimento a decisioni preliminari di natura procedurale, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare (20), va osservato che l’articolo 6 di tale direttiva non contiene tale riferimento. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il considerando 22 della direttiva in parola. Ciò si spiega, a mio parere, con il fatto che il legislatore dell’Unione si colloca qui in un diverso stadio del procedimento penale, vale dire quello dell’accertamento della colpevolezza (21). Orbene, l’articolo 4 della direttiva 2016/343 ha, per quanto riguarda le decisioni riguardanti la custodia cautelare, l’unico scopo di far sì che queste ultime non presentino gli imputati come colpevoli. Poiché la decisione riguardante la custodia cautelare non è una decisione sulla colpevolezza di dette persone, come prescrive peraltro espressamente la direttiva (22), una siffatta decisione non rientra, a mio avviso, nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 della direttiva 2016/343.

32.      Una siffatta interpretazione non mi sembra inficiata dal tenore letterale del paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva 2016/343, il quale prevede che ogni dubbio deve essere valutato in favore dell’imputato. Infatti, poiché la decisione sulla custodia cautelare interviene prima di quella sulla colpevolezza – vale a dire in un momento del procedimento penale in cui non può essere stata acquisita alcuna convinzione circa la colpevolezza e quindi ancora necessariamente contrassegnato dal dubbio –, se si dovesse ritenere che l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 si applichi anche alle decisioni di custodia cautelare, le ipotesi di applicazione della misura della custodia cautelare si ridurrebbero, come ha fatto correttamente notare la Commissione, a ben poca cosa (23).

33.      Un’interpretazione restrittiva dell’articolo 6 della direttiva 2016/343 nel senso che esso non è inteso a disciplinare la questione della ripartizione dell’onere della prova per l’adozione di decisioni sulla custodia cautelare mi sembra sostenuta anche da un’analisi storica di tale direttiva. Il punto 16 della motivazione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (24) indica che, secondo la Commissione, poiché l’Unione aveva già adottato altre iniziative in materia di custodia cautelare, quest’ultima «non rientra[va] nella presente proposta di direttiva». L’ambito di applicazione ancora oggi limitato di queste ulteriori iniziative legislative (25) non può giustificare un’interpretazione della direttiva 2016/343 che vada oltre quanto essa autorizzi. Osservo inoltre, a tal proposito, che la proposta del Parlamento di includere un riferimento esplicito alla custodia cautelare nel solo testo dell’articolo 4 non è stata accolta (26).

34.      Come ho già ricordato in precedenza, la finalità della direttiva 2016/343 è quella di rafforzare alcuni aspetti della presunzione d’innocenza al fine di rafforzare la fiducia reciproca degli Stati membri nei rispettivi sistemi di giustizia penale e il riconoscimento reciproco delle sentenze e di altre decisioni giudiziarie (27). Peraltro, la direttiva 2016/343 ha posto delle regole minime, conformemente alla sua base giuridica (28), in quanto riguarda solo alcuni aspetti  della presunzione d’innocenza nei procedimenti penali (29).

35.      La giurisprudenza della Corte ha finora posto particolare enfasi su questa armonizzazione minima al fine di limitare il campo di applicazione della direttiva 2016/343 per quanto riguarda i regimi nazionali di custodia cautelare.

2.      La direttiva 2016/343 e le pronunce relative alla custodia cautelare nella giurisprudenza della Corte

36.      Nella sua prima sentenza Milev (30), la Corte è stata invitata a pronunciarsi sulla compatibilità con gli articoli 3 e 6 della direttiva 2016/343 di un parere reso dalla Corte suprema bulgara che conferiva ai giudici nazionali competenti a giudicare su un ricorso proposto contro una decisione di custodia cautelare la facoltà di decidere se, durante la fase dibattimentale del procedimento penale, il mantenimento di un imputato in custodia cautelare dovesse essere sottoposto a un controllo giurisdizionale relativo alla questione se vi siano motivi plausibili che consentono di supporre che egli aveva commesso il reato contestatogli. Poiché la questione era stata sollevata quando la direttiva 2016/343 era entrata in vigore, ma il relativo termine di trasposizione non era ancora scaduto, la Corte si è limitata a ricordare gli obblighi a carico degli Stati membri durante questo particolare periodo (31), prima di constatare che, dato che il parere in questione lasciava ai giudici interessati la libertà di applicare le disposizioni della CEDU, come interpretate dalla Corte EDU, o quelle del diritto processuale penale nazionale, tale parere non era tale da compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di trasposizione, la realizzazione degli obiettivi della direttiva 2016/343. In tale causa, la risposta della Corte si è quindi concentrata sulla questione dell’obbligo di non compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva 2016/343 durante il periodo di trasposizione della stessa, mentre non è stata esaminata la questione – sottostante, ma diversa (32) – relativa alla compatibilità del parere della Corte suprema e, più in generale, della normativa bulgara, con la direttiva 2016/343.

37.      Nella sua seconda sentenza Milev (33), si chiedeva alla Corte di stabilire se gli articoli 3, 4 e 10 della direttiva 2016/343, letti alla luce dei considerando 16 e 48 di detta direttiva nonché degli articoli 47 e 48 della Carta, dovessero essere interpretati nel senso che, allorché un giudice nazionale verifica la sussistenza di motivi plausibili, ai sensi della normativa nazionale, per ritenere che una persona abbia commesso un reato, ai quali è subordinato il mantenimento di quest’ultima in stato di detenzione, tale giudice possa limitarsi a rilevare che, prima facie, detta persona abbia potuto commettere tale reato o se il suddetto giudice debba verificare la sussistenza di una forte probabilità che la persona di cui trattasi abbia commesso detto reato. Il giudice del rinvio chiedeva inoltre alla Corte di precisare se le succitate disposizioni di diritto dell’Unione fatte valere autorizzassero un giudice nazionale che statuisce su una domanda di modifica di una misura di custodia cautelare a motivare la propria decisione senza operare alcun raffronto tra gli elementi di prova a carico e a discarico o se detto giudice dovesse procedere ad un esame più approfondito di tali elementi e fornire una risposta chiara agli argomenti presentati dalla persona detenuta (34).

38.      Dopo aver ricordato il testo degli articoli 2, 3, 4 e 10 della direttiva 2016/343, la Corte ha precisato che l’obiettivo di tale direttiva «è, come risulta dall’articolo 1 e dal considerando 9 della stessa, stabilire norme minime comuni applicabili nei procedimenti penali relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza» (35). Tali norme minime perseguono la finalità di rafforzare la fiducia degli Stati membri nei reciproci sistemi di giustizia penale e, quindi, di facilitare il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie (36). A causa del carattere minimo, messo in particolare evidenza in tale sentenza, la Corte ha dichiarato che la direttiva 2016/343 «non può essere interpretata come uno strumento completo ed esaustivo avente lo scopo di stabilire la totalità dei requisiti per l’adozione di una decisione di custodia cautelare» (37). La Corte ha poi statuito che l’articolo 3 e l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2016/343 «non ostano all’adozione di decisioni preliminari di natura procedurale, come una decisione di mantenere una misura di custodia cautelare adottata da un’autorità giudiziaria, fondate sul sospetto o su indizi di reità, purché tali decisioni non presentino la persona detenuta come colpevole» (38). Inoltre, la Corte ha dichiarato che «nella misura in cui (…) il giudice del rinvio chiede quali siano le condizioni in cui una decisione di custodia cautelare possa essere adottata e si interroga, in particolare, sul grado di convincimento che esso debba nutrire circa l’autore del reato, sulle modalità dell’esame dei diversi elementi di prova e sulla portata della motivazione che è tenuto a fornire in risposta agli argomenti addotti dinanzi ad esso, tali questioni non sono disciplinate dalla direttiva in discorso, ma ricadono esclusivamente nel diritto nazionale» (39). In termini ancor più chiari, la direttiva 2016/343 «non disciplina le condizioni in cui possono essere adottate le decisioni di custodia cautelare» (40).

39.      Ancor più di recente, la Corte ha emesso un’ordinanza ai sensi dell’articolo 99 del proprio regolamento di procedura (41). In sostanza, alla Corte si domandava se l’articolo 4 della direttiva 2016/343, in combinato disposto con il considerando 16 della stessa, dovesse essere interpretato nel senso che i requisiti derivanti dalla presunzione di innocenza esigono che, qualora il giudice esamini i motivi plausibili che consentono di sospettare che l’imputato abbia commesso il reato contestatogli, detto giudice proceda, al fine di pronunciarsi sulla legittimità di una decisione di custodia cautelare, a un bilanciamento degli elementi di prova a carico e a discarico presentatigli e motivi la propria decisione non soltanto dando conto degli elementi considerati, ma anche pronunciandosi sulle obiezioni del difensore dell’interessato (42). Dopo aver rilevato che la causa sembrava inserirsi «nel contesto più ampio [(43)] della nozione di “motivi plausibili di sospettare”, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c) della CEDU» (44), la Corte, dopo aver richiamato il testo delle disposizioni della direttiva 2016/343 utili alla soluzione del rinvio pregiudiziale, ha voluto rafforzare la propria dimostrazione facendo riferimento anche all’articolo 6 di tale direttiva, per dedurre che «se, a seguito di un esame degli elementi di prova a carico e a discarico, un giudice nazionale giunge alla conclusione che esistono motivi plausibili che consentono di sospettare che una persona abbia commesso gli atti di cui è accusata e adotti una decisione preliminare in tal senso, ciò non può equivalere a presentare l’indagato o l’imputato come colpevole di tali fatti, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2016/343» (45). Contestualmente, la Corte ha ricordato il precedente Milev sul carattere minimo dell’obiettivo di armonizzazione perseguito dalla direttiva 2016/343, la quale non può essere interpretata come «uno strumento completo ed esaustivo» avente lo scopo di «stabilire la totalità dei requisiti per l’adozione di una decisione di custodia cautelare, che si tratti delle modalità di esame dei vari elementi di prova o della portata della motivazione di una simile decisione» (46). La Corte ha quindi dichiarato che «gli articoli 4 e 6 della direttiva 2016/343 (…) non ostano a che, qualora il giudice competente esamini i motivi plausibili che consentono di sospettare che l’indagato o l’imputato abbia commesso il reato contestatogli, detto giudice proceda, al fine di pronunciarsi sulla legittimità di una decisione di custodia cautelare, a un bilanciamento degli elementi di prova a carico e a discarico presentatigli e motivi la propria decisione non soltanto dando conto degli elementi considerati, ma anche pronunciandosi sulle obiezioni del difensore [dell’indagato], purché tale decisione non presenti la persona sottoposta a custodia cautelare come colpevole» (47). Orbene, dall’affermazione secondo la quale l’articolo 6 della direttiva 2016/343 «non osta» si può comprendere che, nel solco di ciò che la Corte ha dichiarato in precedenza, esso semplicemente non si applica (48). Solo in questo modo la lettura del dispositivo dell’ordinanza acquista senso compiuto(49).

3.      Le decisioni sulla custodia cautelare nella giurisprudenza della Corte EDU

40.      La direttiva 2016/343 costituisce l’attuazione della presunzione d’innocenza e del diritto a un giudice imparziale consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, ai quali fa espresso riferimento (50). La presunzione d’innocenza mira a garantire che un soggetto non sarà dichiarato colpevole, né sarà trattato come tale, prima che la sua colpevolezza sia stata accertata da un giudice (51). La direttiva 2016/343 contiene inoltre una clausola di divieto di regressione ai sensi della quale «nessuna disposizione della [detta] direttiva può essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla Carta, dalla CEDU, (…) o dal diritto di qualsiasi Stato membro che assicurino un livello di protezione più elevato» (52).

41.      Gli articoli 47 e 48 della Carta sanciscono rispettivamente il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale, nonché, come ho appena detto, la presunzione di innocenza e i diritti della difesa. In particolare, dalla spiegazione all’articolo 48 risulta che quest’ultimo è identico all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della CEDU e, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, ha lo stesso significato e portata del diritto conferito dalla CEDU.

42.      Orbene, la giurisprudenza della Corte EDU citata dal giudice del rinvio si pronuncia sulla compatibilità della situazione di cui trattasi non con l’articolo 6 della CEDU, bensì con l’articolo 5, paragrafo 3, di quest’ultima (53).

43.      Nella sua sentenza Magnitskiy e a. contro Russia (54), la Corte EDU ha ricordato i principi ormai consolidati da essa precedentemente elaborati al fine di valutare la conformità con la convenzione del mantenimento in custodia cautelare.

44.      Infatti, sebbene la custodia cautelare possa essere ammissibile in base ai motivi di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU, il terzo paragrafo di tale articolo stabilisce «una serie di garanzie procedurali» e prevede in particolare che «la durata della custodia cautelare debba essere ragionevole: non può dunque essere illimitata» (55). La persistenza di ragionevoli motivi per sospettare che la persona arrestata abbia commesso un reato è un prerequisito necessario per la legittimità del mantenimento in detenzione (56), ma, dopo un «certo periodo di tempo», non è più sufficiente. La Corte EDU deve allora stabilire, in primo luogo, se gli altri motivi addotti dalle autorità giudiziarie continuino a legittimare la privazione della libertà e, in secondo luogo, laddove tali motivi risultino essere pertinenti e sufficienti, se le autorità nazionali hanno, nello svolgimento della procedura, operato con particolare rapidità (57). Le autorità devono dimostrare in modo convincente che ciascun periodo di detenzione, per quanto breve, era giustificato (58). Quando decidono se una persona deve essere liberata o incarcerata, devono accertare che non vi siano altre modalità per garantire la sua comparizione (59). La Corte EDU ha dichiarato che una tale giustificazione sussiste in caso di rischio di fuga, di pressione sui testimoni, di alterazione delle prove, di collusione, di recidiva, di turbamento dell’ordine pubblico o se è necessario proteggere la persona oggetto della misura di privazione della libertà (60). Essa ha altresì dichiarato che «la presunzione è sempre in favore della liberazione (…) Fino alla sua condanna, l’imputato dev’essere ritenuto innocente e [l’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU] ha essenzialmente l’obiettivo di imporre la scarcerazione provvisoria a partire dal momento in cui il mantenimento in detenzione non è più ragionevole. (…) La legittimità del mantenimento in detenzione di un imputato deve essere valutata caso per caso sulla base delle particolarità della causa. La prosecuzione della detenzione in un determinato caso si giustifica solo se degli indizi concreti rivelino una reale esigenza di interesse pubblico che prevale, nonostante la presunzione d’innocenza, sul principio del rispetto della libertà individuale» (61). A tal fine, le autorità giudiziarie devono, «tenendo debitamente conto della presunzione di innocenza, esaminare tutte le circostanze tali da fare emergere o escludere l’esistenza di tale esigenza di interesse pubblico che giustifichi una deroga alla regola fissata all’articolo 5 [della CEDU]. È essenzialmente alla luce dei motivi esposti in tali decisioni e sulla base di fatti accertati e indicati dall’interessato nei suoi scritti che la Corte deve accertare se vi sia stata o meno una violazione dell’articolo 5, paragrafo 3[, CEDU]» (62).

45.      Nella sentenza Magnitskiy e a. contro Russia (63), la Corte EDU ha considerato in particolare il fatto che le autorità nazionali avevano invertito la presunzione a favore della liberazione asserendo che, in mancanza di nuove circostanze, la custodia cautelare doveva essere mantenuta. La Corte EDU ha ricordato che l’articolo 5 della CEDU sancisce il carattere eccezionale delle violazioni al diritto alla libertà, le quali sono ammissibili sono in casi elencati tassativamente e definiti rigorosamente (64). Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte EDU si evince che lo spostamento dell’onere della prova dall’accusa alla difesa presta sicuramente il fianco alla critica da parte di quest’ultima, ma non costituisce però un motivo autonomo, sufficiente e automatico per concludere che vi sia stata una violazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, violazione che viene sempre riscontrata dopo un’analisi in concreto di tutte le circostanze di ogni singolo caso (65).

46.      L’affermazione relativa alla questione della prova nella giurisprudenza della Corte EDU si fa molto più precisa quando si tratta di esaminare una situazione alla luce dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU (66), dal momento che la Corte EDU ha inoltre dichiarato che, in materia penale, il problema dell’acquisizione delle prove deve essere preso in considerazione alla luce di tale disposizione (67).

47.      Risulta, al contrario, dalla giurisprudenza della Corte EDU relativa all’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, che detta Corte esaminerà, al di là della definizione a priori dell’onere della prova in materia di procedure intese a contestare decisioni sulla custodia cautelare, se tutti gli argomenti a favore e contro l’esistenza di un interesse pubblico idoneo a giustificare una violazione della regola stabilita dall’articolo 5 della CEDU – vale a dire la libertà – siano stati esaminati dall’autorità incaricata del controllo di tali decisioni, esame che deve figurare nella decisione di detta autorità (68). La Corte EDU non ha neppure escluso che si possa fare ricorso a una presunzione in relazione al rispetto dei requisiti giuridici di mantenimento in custodia cautelare, a condizione, tuttavia, che le autorità dimostrino in modo convincente l’esistenza di fatti concreti che prevalgano sulla regola dell’articolo 5 della CEDU, perché questi ultimi possano costituire motivi sufficienti per legittimare il proseguimento della privazione della libertà (69).

4.      Conclusione dellanalisi

48.      Da quanto precede consegue pertanto che la direttiva 2016/343 non ha inteso attuare il diritto alla libertà, come sancito dall’articolo 6 della Carta e dall’articolo 5 della CEDU, ma solo armonizzare alcuni aspetti della presunzione d’innocenza (70). L’articolo 6 della direttiva 2016/343 riguarda dunque la tematica dell’onere della prova ai fini dell’accertamento della colpevolezza dell’imputato. Poiché la questione della determinazione dell’onere della prova al fine dell’impugnazione di una decisione di mantenimento in custodia cautelare è una questione differente, essa non è disciplinata dall’articolo 6 della direttiva 2016/343.

V.      Conclusione

49.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria) nei seguenti termini:

L’articolo 6 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, non disciplina l’onere della prova per quanto riguarda le decisioni di mantenimento in custodia cautelare.


1      Lingua originale: il francese.


2      V., per un’analisi comparativa, A.M. van Kalmthout, M.M. Knapen e C. Morgenstern (a cura di), Pre-trial Detention in the European Union, Wolf Legal Publishers, 2009, pag. 994.


3      GU 2016, L 65, pag. 1.


4      Per riprendere l’espressione utilizzata dal Parlamento europeo al punto 5 della sua risoluzione del 27 febbraio 2014, recante raccomandazioni alla Commissione sul riesame del mandato d’arresto europeo [P7_TA (2014) 0174].


5      CE:ECHR:2019:0827JUD003263109.


6      Peraltro, come sottolineato dalla Commissione all’udienza, il testo dell’articolo 270 del codice di procedura penale bulgaro di per sé non definisce i rispettivi ruoli della difesa e dell’accusa, né il livello delle prove richieste, né le circostanze che potrebbero essere considerate «nuove» ai sensi di questa disposizione, il che, a mio avviso, potrebbe lasciare un certo margine di discrezionalità al giudice nazionale nell’applicazione di questa disposizione, a meno che altri elementi del diritto nazionale che non sono stati esposti nel fascicolo di causa lo impediscano.


7      E ciò a maggior ragione in quanto riconosco senza difficoltà che tale scelta è evidentemente dettata anche da considerazioni connesse alla tutela della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico.


8      Se mi è consentito tale prestito dal professore emerito Vedel.


9      Articolo 2 della direttiva 2016/343.


10      V. articolo 2 della direttiva 2016/343.


11      V., in senso analogo, sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 40).


12      V., in particolare, gli articoli 8 e 9 della direttiva 2016/343, che sanciscono, rispettivamente, il diritto di presenziare al processo e il diritto a un nuovo processo.


13      V. articolo 3 della direttiva 2016/343.


14      V. articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2016/343.


15      Articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2016/343. Il corsivo è mio.


16      Considerando 16 della direttiva 2016/343. Il corsivo è mio.


17      Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2016/343.


18      Articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2016/343.


19      Considerando 22 della direttiva 2016/343. Il testo estremamente articolato di questo considerando contrasta con la formulazione più sintetica dell’articolo 6 della direttiva 2016/343, che non contiene alcun riferimento alle presunzioni menzionate nel preambolo.


20      Come ci insegna il considerando 16 della direttiva 2016/343.


21      Il tenore letterale dei considerando 36 e 37 sembra confermare che, nell’intenzione del legislatore, «una decisione sulla colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato» è, in linea di principio, quella emessa alla fine del procedimento.


22      Pertanto, l’ambito di applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2016/343 si distingue naturalmente in modo netto da quello dell’articolo 6 di tale direttiva. L’articolo 4 della direttiva 2016/343 si applica alle dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche nonché alle decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza, ma comprese le decisioni preliminari di natura procedurale, fra cui le decisioni sulla custodia cautelare. Per contro, l’articolo 6 di detta direttiva è destinato ad applicarsi, a mio avviso, solo alle decisioni nel merito sulla colpevolezza. Per un’altra esposizione di tale distinzione, v. sentenza del 5 settembre 2019 AH e a. (Presunzione d’innocenza) (C‑377/18, EU:C:2019:670, punti 34 e 35).


23      Si tratterebbe essenzialmente di casi di flagranza di reato o di confessioni inconfutabili, se esistono. Orbene, per la CEDU la mera esistenza di «motivi plausibili di sospettare che [qualcuno] abbia commesso un reato» – e non di certezze – è una delle condizioni di applicazione dell’eccezione al diritto alla libertà e alla sicurezza: si veda l’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), della CEDU.


24      COM(2013) 821 final.


25      Parimenti, per quanto a me noto, non è stato dato alcun seguito concreto al libro verde del 14 giugno 2011 «Rafforzare la fiducia reciproca nello spazio giudiziario europeo – Libro verde sull’applicazione della normativa dell’UE sulla giustizia penale nel settore della detenzione» [COM(2011) 327 def.]. La Commissione faceva altresì riferimento, al punto 16 della motivazione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali [COM(2013)821 final], alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare (GU 2009, L 294, pag. 20). La finalità di tale decisione quadro è, come suggerisce il titolo, promuovere il reciproco riconoscimento delle misure alternative alla detenzione cautelare: essa non intende pertanto regolamentare la detenzione cautelare in sé. Essa riconosce, inoltre, che il diritto di ricorso, durante il procedimento penale, a misure non detentive alternative alla reclusione è «materia (…) disciplinata dalla legislazione e dalle procedure dello Stato in cui ha luogo il procedimento» (articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/829).


26      V. la modifica 41 della relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (doc. A8-0133/2015).


27      V. considerando 2 e 4 della direttiva 2016/343.


28      Vale a dire l’articolo 82 TFUE, il cui secondo comma prevede l’adozione di norme minime laddove necessario «per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale». Tali regole minime tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e non impediscono di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela.


29      V. considerando 4 e 9 e articolo 1 della direttiva 2016/343.


30       Sentenza del 27 ottobre 2016 (C‑439/16 PPU, EU:C:2016:818).


31      V. sentenza del 27 ottobre 2016, Milev (C‑439/16 PPU, EU:C:2016:818, punti da 29 a 32).


32      Secondo i termini utilizzati al paragrafo 35 delle conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Milev (C‑439/16 PPU, EU:C:2016:760).


33      Sentenza del 19 settembre 2018 (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732).


34      V. sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 38).


35      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 45).


36      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 46).


37      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 47).


38      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 49).


39      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 48). Il corsivo è mio.


40      Sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732, punto 49).


41      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110).


42      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 49).


43      In relazione alla sentenza del 19 settembre 2018, Milev (C‑310/18 PPU, EU:C:2018:732).


44      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 52).


45      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 57).


46      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 59).


47      Ordinanza del 12 febbraio 2019, RH (C‑8/19 PPU, EU:C:2019:110, punto 60). Il corsivo è mio.


48      Il fatto che la Corte abbia pronunciato tale ordinanza sulla base dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura e che abbia ricordato la sua sentenza Milev [19 settembre 2018 (C 310/18 PPU, EU:C:2018:732)], che sollevava una questione analoga, nel testo di detta ordinanza, depone a favore di siffatta interpretazione.


49      A prima vista, può sembrare singolare integrare l’interpretazione fornita dell’articolo 4 della direttiva 2016/343 – che si riferisce solo alle decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza – con un riferimento all’articolo 6 della stessa direttiva, che ha ad oggetto le decisioni volte a stabilire la colpevolezza di indagati o imputati.


50      V. considerando 1 della direttiva 2016/343.


51      V. sentenza del 16 luglio 2009, Rubach (C‑344/08, EU:C:2009:482, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


52      Articolo 13 della direttiva 2016/343.


53      Ai sensi del quale «[o]gni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell’interessato all’udienza». L’articolo 5 della CEDU corrisponde all’articolo 6 della Carta [v. spiegazioni all’articolo 6 della Carta. Per una valutazione da parte della Corte delle questioni relative alla custodia cautelare sotto la prospettiva dell’articolo 6 della Carta, v. sentenza del 16 luglio 2015, Lanigan (C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punti 54 e seguenti)].


54      Corte EDU, 27 agosto 2019 (CE:ECHR:2019:0827JUD003263109).


55      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 86). Peraltro, la Corte EDU non ha definito alcuna durata massima della custodia cautelare: si veda la relazione elaborata da Pedro Agramunt per la Commissione sulle questioni giuridiche e sui diritti dell’uomo dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dal titolo «L’abus de la détention provisoire dans les États parties à la [CEDH]» («L’abuso della custodia cautelare negli Stati parte della [CEDU]») (doc. 13863 del 7 settembre 2015, punto 22). V. anche Corte EDU, 3 ottobre 2006, McKay c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:1003JUD000054303, punto 45), in cui la Corte EDU giustifica l’assenza di un limite fisso alla durata massima della custodia cautelare dando rilevanza, al momento del suo controllo, alle particolarità di ciascun caso di specie.


56      V., in particolare, Corte EDU, 17 marzo 2016, Rasul Jafarov c. Azerbaigian (CE:ECHR:2016:0317JUD006998114, punto 119 e giurisprudenza ivi citata).


57      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 87).


58      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 87).


59      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 87).


60      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 88).


61      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punti 89 e 90).


62      Corte EDU, 5 luglio 2016, Buzadji c. Repubblica di Moldova (CE:ECHR:2016:0705JUD002375507, punto 91).


63      Corte EDU, 27 agosto 2019 (CE:ECHR:2019:0827JUD003263109).


64      Corte EDU, 27 agosto 2019, Magnitskiy e a. c. Russia (CE:ECHR:2019:0827JUD003263109, punto 222).


65      V., in particolare, Corte EDU, 24 marzo 2016, Zherebin c. Russia (CE:ECHR:2016:0324JUD005144509, punti 51, 60 e 62).


66      La Corte EDU non è infatti scesa a compromessi quando ha dichiarato che «il principio della presunzione di innocenza è violato dal momento in cui l’onere della prova viene trasferito dall’accusa alla difesa» [Corte EDU, 31 marzo 2009, Natunen c. Finlandia, (ECLI:CE:ECHR:2009:0331JUD002102204, punto 53)], respingendo definitivamente la tesi secondo cui un siffatto trasferimento non comporterebbe di per sé una violazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU.


67      V. Corte EDU, 6 dicembre 1988, Barberà, Messegé e Jabardo c. Spagna (CE:ECHR:1988:1206JUD001059083, punto 76).


68      V. Corte EDU, 26 luglio 2001, Ilijkov c. Bulgaria (CE:ECHR:2001:0726JUD003397796 punti 86 e 87) e Corte EDU, 19 marzo 2014, Pastukhov e Yelagin c. Russia (CE:ECHR:2013:1219JUD005529907, punto 40).      Nella sua sentenza del 10 marzo 2009, Bykov c. Russia (CE:ECHR:2009:0310JUD000437802, punti 64 e 65), la Corte EDU, dopo aver ricordato la sua posizione di principio quanto all’inversione dell’onere della prova al fine di dimostrare la necessità della liberazione, ha concluso per la violazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU a causa del rigetto di dieci domande di scarcerazione per uno stesso indagato, laddove ciascuna delle dieci decisioni di rigetto si limitava a elencare i motivi giuridici per il mantenimento in custodia senza che questi fossero suffragati da ragioni pertinenti e sufficienti e senza tener conto dell’evoluzione della situazione (v. punti 64 e 65).


69      Per una presunzione giudicata compatibile con l’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, v. Corte EDU, 24 agosto 1998, Contrada c. Italia (CE:ECHR:1998:0824JUD002714395, punto 58); v., per il caso contrario, Corte EDU, 26 luglio 2001, Ilijkov c. Bulgaria (CE:ECHR:2001:0726JUD003397796 punti 84 ss.). In quest’ultima sentenza, la Corte EDU insiste sulla lacunosità della motivazione della decisione (v., in particolare, il punto 86 della detta sentenza).


70      La sintesi della valutazione d’impatto sottolinea che fine ultimo della direttiva 2016/343 è assicurare il diritto a un equo processo e che il processo non può dirsi equo se la presunzione d’innocenza non viene rispettata [v. punto 1 della sintesi della valutazione d’impatto che accompagna il documento «Proposta di misure sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali», doc. SWD(2013) 479 final del 27 novembre 2013]. La questione del diritto alla libertà sembra quindi estranea alla direttiva 2016/343.