Language of document : ECLI:EU:C:2007:92

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 13 febbraio 2007 1(1)

Causa C‑112/05

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica federale di Germania

«Ricorso per inadempimento − Libera circolazione dei capitali − Rappresentanza dei pubblici poteri nella società Volkswagenwerk GmbH − Condizioni»





I –    Introduzione

1.        Indiscutibilmente associata al miracolo economico tedesco, più che alla sua cupa origine nazionalsocialista, l’impresa Volkswagen rappresenta l’esempio più visibile del successo dell’economia sociale di mercato, modello di sviluppo introdotto nella Repubblica Federale di Germania dopo la seconda guerra mondiale dal ministro Ludwig Erhard (2), in ossequio ai principi della cosiddetta Scuola di Friburgo (3).

2.        Soprattutto grazie ai suoi noti meriti tecnici, alcuni dei prototipi fabbricati fanno parte del patrimonio culturale (4) del paese di origine e di tutti quelli nelle cui strade circolarono, creando uno dei simboli incancellabili degli anni cinquanta e sessanta in Europa e nell’oltreoceano (5). Per questo motivo si comprende bene che per molti cittadini tedeschi, pervasi dalla nostalgia di quell’epoca d’oro, il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione in relazione ad alcuni articoli della legge Volkswagen (6), più che denunciare una normativa nazionale, attacca un simbolo del sistema di vita tedesco, un vero e proprio mito moderno.

3.        A parte queste evocazioni malinconiche, la causa rientra fra quelle che attengono alla conformità con il Trattato CE di alcune normative degli Stati membri, nelle quali si riservavano facoltà esorbitanti al potere pubblico in imprese private, note correntemente come «azioni d’oro» («golden shares»). Rilevo però già che nella fattispecie in esame vi sono notevoli differenze, che hanno un’importanza fondamentale.

4.        In concreto, la Commissione censura: la limitazione dell’esercizio dei diritti di voto al 20% del capitale sociale quando un azionista supera detta percentuale; l’aumento fino a oltre l’80% della maggioranza necessaria per l’adozione degli accordi per i quali l’Aktiengesetz (7) (legge tedesca sulle società per azioni) richiede il 75%; così come il diritto del Bund (Stato federale) e del Land Bassa Sassonia di nominare due membri nel Consiglio di sorveglianza della società.

II – Ambito normativo

A –    Il diritto comunitario

5.        Abitualmente, le normative nazionali la cui validità è impugnata dalla Commissione sono esaminate dalla Corte di giustizia alla luce di due delle libertà fondamentali del Trattato CE, la libera circolazione dei capitali e il diritto di stabilimento. Quanto alla prima, l’art. 56, n. 1, CE recita:

«1.      Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

6.        A sua volta, per il diritto di stabilimento risulta pertinente l’art. 43, primo comma, CE avente il seguente tenore:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro».

7.        Occorre far riferimento, per l’importanza che riveste la sua valutazione, all’art. 295 CE:

«Il presente Trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri».

8.        La direttiva 88/361/CEE (8) contiene nel suo allegato I una nomenclatura per classificare i movimenti di capitali a cui fa riferimento l’art. 1. Vi figurano, in particolare, la «partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli» (investimenti diretti) (9), e l’«acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali trattati in borsa» (investimenti in titoli) (10).

B –    Il diritto tedesco

9.        Nell’ordinamento giuridico interessato dal ricorso per inadempimento in esame rilevano alcune disposizioni della legge sulle società per azioni e della summenzionata legge Volkswagen.

1.      La legge sulle società per azioni

10.      L’art. 134, modificato dalla legge sul controllo e sulla trasparenza delle imprese (Gesetz zur Kontrolle und Transparenz im Unternehmensbereich), stabilisce che il diritto di voto si esercita in funzione dell’importo nominale delle azioni o, nel caso delle azioni di quota («Stückaktien»), del loro numero. Essa aggiunge che, nelle società non quotate in borsa, gli statuti possono ridurre il diritto di voto degli azionisti che possiedono varie azioni, fissando un limite massimo assoluto o progressivo.

11.      L’art. 101, n. 2, richiede che sia previsto nello statuto il diritto di designare rappresentanti nel Consiglio di sorveglianza, e che tale diritto possa essere assegnato soltanto a determinati azionisti o a coloro che abbiano azioni nominative la cui vendita richiede l’autorizzazione della società. Esso limita anche tale diritto ad un terzo del numero di membri di detto organo societario attribuiti dalla legge o dallo statuto ai rappresentanti degli azionisti. Tuttavia, l’ultima frase dell’articolo fa espressamente salva la disciplina particolare di tale materia, contenuta nell’art. 4 della legge Volkswagen.

2.      La legge Volkswagen

12.      L’art. 1 trasforma la precedente società a responsabilità limitata, il cui unico titolare era lo Stato federale tedesco, in una società per azioni.

13.      Inoltre, l’art. 2 stabilisce principi sull’esercizio del diritto di voto, che il n. 1 limita ad un quinto del capitale sociale quando si è in possesso di oltre il 20%. Esso include quindi criteri per il computo delle azioni di ciascun titolare (nn. 2 e 3).

14.      Intitolato «Organizzazione della società», l’art. 4 regola vari aspetti e, al n. 1, concede la facoltà di nominare due membri del Consiglio di sorveglianza rispettivamente, alla Repubblica Federale di Germania e al Land Bassa Sassonia, purché azionisti della società.

15.      Il n. 2 dello stesso articolo subordina la costruzione e lo spostamento di stabilimenti all’approvazione di due terzi del Consiglio di sorveglianza.

16.      Il n. 3 aumenta ad oltre quattro quinti (80%) del capitale sociale il quorum per approvare le decisioni dell’assemblea generale, che, secondo la legge sulle società per azioni, richiedono un voto favorevole di almeno tre quarti (75%).

III – Fatti e procedimento precontenzionso

A –    Sfondo storico della legge Volkswagen

17.      Per comprendere meglio la legge nazionale controversa, occorre risalire alle origini della società, riferite dal governo tedesco abbastanza dettagliatamente nel controricorso, ma, soprattutto, nella sua risposta del 20 giugno 2003 alla lettera di diffida della Commissione 20 marzo dello stesso anno; tale istituzione non ha confutato i detti atti.

18.      Con l’arrivo al potere di Adolf Hitler nel gennaio del 1933, si avviò un piano di sviluppo dell’industria automobilistica, (11) e fu organizzato un concorso pubblico per la concessione della fabbricazione dell’«automobile del popolo» (Volks ‑ Wagen). Si intendeva costruire un veicolo semplice e accessibile per la maggioranza dei tedeschi, senza che esso gravasse eccessivamente sul loro patrimonio. L’incarico venne attribuito al leggendario ingegnere Ferdinand Porsche (12).

19.      Il progetto doveva essere avviato con grande rapidità e per la sua realizzazione vennero accordati due sussidi per un importo complessivo di Reichmarks (RM) 700 000, con la ricerca anche del sostegno finanziario della Reichverband der Deutschen Automobilindustrie (associazione tedesca dell’industria automobilistica), che avrebbe apportato RM 20 000 mensili durante i dieci mesi fissati per la realizzazione dei lavori; tuttavia, le difficoltà esposte da detta Associazione al cancelliere del Reich indussero Hitler ad affidare all’Arbeitsfront (Fronte del lavoro) la produzione della Volkswagen (13) mediante la costruzione della fabbrica più grande mai vista. Il finanziamento provenne da varie fonti: oltre agli apporti diretti dello Stato tedesco, il governo ricorse al risparmio pubblico, chiedendo ai cittadini che desideravano acquistare una automobile il deposito di RM 5 alla settimana in un conto destinato a sostenere l’impresa. In tal modo si raccolsero 286 milioni di marchi.

20.      Il 28 maggio 1937 il progetto Volkswagen venne sottratto quindi al controllo della riferita associazione e venne creata una società statale, vale a dire la Gesellschaft zur Vorbereitung des Deutschen Volkswagens m.b.H., con un capitale iniziale di RM 50 milioni depositato dall’Arbeitsfront, al cui servizio fu posto un aeroplano per cercare uno spazio adeguato in Germania dove istallare l’imponente fabbrica, sempre che questo sito si trovasse al centro del paese e disponesse di buone comunicazioni fluviali e stradali. Infine, il sito ideale fu trovato nella Bassa Sassonia, non lontano dal castello di Wolfsburg, proprietà familiare del conte von der Schulenburg sin dal secolo XIV, che fu espropriato. La fabbrica fu edificata quindi vicino alla località di Fallersleben sul percorso dell’autostrada che collega Hannover a Berlino, vicino al canale del Mittelland. Il 26 maggio 1938 venne collocata la prima pietra davanti ad oltre 70.000 persone, mentre si progettava la costruzione di una nuova città per alloggiare i futuri operai, vale a dire l’attuale Wolfsburg. Suscitando la sorpresa generale, il Führer in persona ribattezzò il veicolo, chiamandolo «KdF Wagen» (Kraft durch Freude Wagen), ovverossia «l’automobile della forza grazie alla gioia», per quanto lo studio Porsche avesse già registrato il marchio Volkswagen, anche internazionalmente (14).

21.      Nella presentazione ufficiale del veicolo vennero mostrati tre modelli diversi: un cabriolé, una decappottabile e una berlina. Il dittatore, circondato da militari che sfoggiavano vistose uniformi ed inequivocabili maniere di incrollabile adesione al suo regime politico, prese posto nel cabriolé guidato dal figlio di Ferdinand Porsche in persona, Ferry, che divenne immediatamente famoso. La dichiarazione del Führer suscitò il più acceso entusiasmo: il KdF Wagen sarebbe stato presto alla portata di tutti, ad un prezzo di soli RM 990.

22.      Inoltre, con il denaro ottenuto con la vendita dei beni requisiti e espropriati ai sindacati della Repubblica di Weimar, vietati sin dall’inizio del colpo di Stato nazionalsocialista, furono erette, per la maggior parte, le fabbriche di quella che sarebbe stata l’industria più grande d’Europa, nell’immaginazione dei politici che la patrocinavano (15).

23.      La fabbricazione massiccia di veicoli doveva cominciare il 15 ottobre 1939; Hitler invase però la Polonia il 1° settembre dello stesso anno e lo scoppio della guerra mondiale sconvolse i piani di tutti i soggetti coinvolti, in quanto la produzione si orientò a soddisfare le esigenze militari, specialmente quelle attinenti alla mobilità delle truppe e alla fornitura di munizioni, lasciando senza l’agognata utilitaria i circa 336.000 piccoli risparmiatori (16), presi da un sogno che svaniva con il fragore delle armi e dei cannoni (17).

24.      I bombardamenti alleati danneggiarono seriamente gli impianti dell’impresa, in quanto, in quattro incursioni aeree (18), furono scaricate oltre mille tonnellate di bombe ad alto potenziale esplosivo; pur danneggiata, la fabbrica riprese la sua attività nel maggio del 1945 (19), dopo che il governo militare della zona di occupazione britannica aveva collocato a capo della società il sig. Rudolf Brörmann, ingegnere ispettore capo, che aveva resistito tenacemente ai tentativi americani di smantellare questo sito industriale, sostituito (20) nel 1947 dal sig. Heinrich Nordhoff, membro del Consiglio di direzione della Opel. Inoltre, detto governo non riuscì neanche di vendere la società a qualche concorrente straniero, come la Ford o la Chrysler, di modo che, al ritiro del Regno Unito dalla zona in questione nel 1949, la Volkswagen divenne praticamente una res nullius.

25.      Tuttavia, nonostante tale mancanza di un proprietario noto, la gestione mostrò un dinamismo sorprendente che trasformò l’impresa in un’attività florida (21), risvegliando gli appetiti dei suoi lavoratori, senza dubbio giustificati dalla loro collaborazione diretta e immediata al successo imprenditoriale. Quando, alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, appariva imminente il rigetto da parte dei tribunali del ricorso dei risparmiatori della Volkswagen, i dipendenti rivendicarono la proprietà della società, tanto che, unitamente allo Stato federale, al Land Bassa Sassonia, ai sindacati e ai detti sfortunati risparmiatori, si contavano già cinque pretendenti alla proprietà del marchio.

26.      Le tensioni provocate dagli interessi contrapposti minacciavano di prolungarsi dinanzi alla giustizia tedesca, mettendo in pericolo la stabilità di un’impresa simbolo dell’ancor giovane Repubblica federale. Dopo lunghi anni di intense discussioni e di difficili negoziati, venne raggiunto un compromesso sotto la forma di un accordo di regolamentazione dei rapporti giuridici nella fabbrica Volkswagen GmbH, firmato il 12 novembre 1959 tra lo Stato federale e il Land Bassa Sassonia (22).

27.      Conformemente al detto accordo, venne disposto, in una prima fase, il trasferimento di tutte le partecipazioni sociali della società, all’epoca a responsabilità limitata, allo Stato federale (23); trasformata la società in una società per azioni in una seconda fase, il 60% delle azioni venne ripartito fra persone private e il rimanente, diviso in due pacchetti del 20%, venne conferito ai due soggetti di diritto pubblico interessati, lo Stato federale e il detto Land (24).

28.      L’accordo fra le summenzionate amministrazioni nazionale e regionale ha del pari tenuto in considerazione gli interessi dei lavoratori, creando la Fondazione Volkswagen per lo sviluppo della ricerca, dell’insegnamento, della scienza e della tecnologia.

29.      Lo statuto della società per azioni Volkswagen venne approvato il 6 luglio 1960 e incorporato nella legge Volkswagen con il resto dell’accordo; due delle clausole disponevano, rispettivamente, l’aumento della maggioranza qualificata per l’adozione di determinate decisioni sociali dal 75% ad oltre l’80% e la limitazione dell’esercizio dei diritti di voto al 20% del capitale.

B –    Il procedimento precontenzioso

30.      La Commissione, avendo ricevuto reclami sulla legge Volkswagen, ha inviato alla Germania, il 19 marzo 2003, una lettera di diffida alla quale lo Stato membro ha risposto il 20 giugno dello stesso anno.

31.      Dette spiegazioni non hanno convinto l’istituzione comunitaria, tanto che, il 1° aprile 2004, essa ha emesso un parere motivato, invitando la Repubblica federale di Germania ad adottare i provvedimenti adeguati per abrogare o modificare la legge controversa entro un termine di due mesi, a decorrere dall’invio di detto parere.

32.      Il governo tedesco ha formulato osservazioni in una lettera del 12 luglio 2004, confermando la sua tesi secondo cui la legge citata non viola l’art. 56 CE e non dev’essere modificata, e chiedendo quindi l’archiviazione del procedimento, ritenendo infondata la censura di inadempimento.

33.      Non concordando con il punto di vista tedesco, la Commissione ha adito la Corte di giustizia, chiedendo la declaratoria di inadempimento ex art. 226 CE, per violazione degli artt. 56 CE e 43 CE.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia e domande delle parti

34.      Il ricorso è stato registrato nella cancelleria della Corte di giustizia il 4 marzo 2005; con esso si chiede la declaratoria da cui risulti che gli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1 e 3, della legge Volkswagen violano gli artt. 56 CE e 43 CE, nonché la condanna dello Stato convenuto alle spese.

35.      Nel controricorso, depositato il 25 maggio 2005, si chiede che il ricorso sia dichiarato infondato e che le spese siano poste a carico della Commissione.

36.      Con ordinanza 7 settembre 2005, il presidente della Corte di giustizia ha autorizzato l’intervento della Repubblica di Finlandia che, tuttavia, ha rinunciato a detto intervento con una lettera ricevuta in cancelleria il 25 novembre seguente.

37.      Il 22 agosto 2005 è stata presentata la replica e il 16 novembre la controreplica.

38.      All’udienza, svoltasi il 12 dicembre 2006, hanno esposto oralmente i loro punti di vista i rappresentanti della Repubblica federale di Germania e della Commissione.

V –    Analisi dell’inadempimento

A –    Osservazioni preliminari

39.      Anzitutto, va osservato che la Commissione, pur avendo lamentato la violazione dell’art. 43 CE, limita il suo ricorso alla violazione della libera circolazione dei capitali (art. 56 CE), senza dubbio per analogia con il trattamento riservato dalla giurisprudenza alle cause relative alle azioni che conferiscono poteri speciali («golden shares»), il che non osta a che la Corte di giustizia si pronunci anche sulla violazione contestuale della libertà di stabilimento.

1.      Inquadramento della legge Volkswagen nella giurisprudenza sulle «golden shares»

40.      La Commissione si fonda, principalmente, sulla giurisprudenza relativa alle «golden shares» (25), basando la sua analisi sul fatto che è una misura statale che attribuisce diritti speciali allo Stato, nella fattispecie allo Stato federale e al Land Bassa Sassonia.

41.      Essa sottolinea, del pari, la natura pubblica dell’accordo stipulato da entrambi i soggetti per risolvere le tensioni relative alla proprietà che danneggiavano la compagnia, poiché si tratta di una legge promulgata per un’unica società.

42.      Il governo tedesco dissente da tale impostazione e osserva che le situazioni nelle quali la Corte di giustizia si è pronunciata non presentano analogie con quella dell’impresa Volkswagen, alludendo all’oggettività delle disposizioni controverse, almeno di quelle che si riferiscono alla limitazione dei diritti di voto e all’aumento della maggioranza richiesta nell’assemblea generale degli azionisti per alcune decisioni fondamentali, che non contengono alcun elemento discriminatorio, ripercuotendosi allo stesso modo su tutti gli investitori, pubblici o privati.

43.      Insiste, inoltre, il governo convenuto nel non considerare come «misura statale» la legge Volkswagen per il fatto che essa recepisce semplicemente l’accordo privato stipulato nel 1959 tra lo Stato federale e la Bassa Sassonia.

44.      Benché in realtà la causa in esame si situi al margine delle «golden shares», stricto sensu, poiché i diritti speciali non vengono attribuiti ai titoli in possesso degli enti pubblici, non si può nemmeno ammettere un’idea riduttiva di ciò che si debba intendere per tali diritti. In realtà, non rileva tanto il fatto che le prerogative esorbitanti si incorporano formalmente in alcune partecipazioni del capitale, ma piuttosto il fatto che esse vengono attribuite in un modo privilegiato, sino al punto da disincentivare l’investitore, in particolare lo straniero.

45.      Suscita del pari perplessità la pretesa del governo tedesco di non considerare misura statale una legge votata nel Parlamento nazionale, poiché non esiste alcuna manifestazione più tipica del comportamento dei pubblici poteri dell’esercizio delle loro competenze legislative. Non meno stupore causa il fatto di qualificare patto privato uno «Staatsvertrag» del diritto tedesco, quando la dottrina di questo paese all’unanimità lo include fra gli atti di diritto pubblico del proprio ordinamento giuridico (26).

46.      Respingo quindi gli argomenti addotti dal governo tedesco per distinguere, a priori, il caso che lo riguarda dalle altre cause sulle «golden shares» già risolte con sentenza, fatta salva l’analisi successiva in dettaglio delle censure di inadempimento mosse nei suoi confronti dalla Commissione.

2.      Pertinenza dell’art. 295 CE

47.      Curiosamente, il governo summenzionato non ha addotto in sua difesa il rispetto che richiede l’art. 295 CE, esaminato ampiamente nelle due conclusioni riunite che ho presentato nelle cause nelle quali sono state pronunciate le sentenze Commissione/Portogallo, Commissione/Francia e Commissione/Belgio (27), da un lato, così come Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito (28), dall’altro, tutte già citate.

48.      Confermo l’opinione secondo cui l’espressione «regime della proprietà» di cui all’art. 295 CE non fa riferimento all’ordinamento privato dei rapporti patrimoniali, bensì all’insieme ideale di norme di qualsiasi tipo, incluse quelle di diritto pubblico, idonee a conferire la titolarità di un’impresa, vale a dire, che autorizzano chi la possiede ad esercitare un’influenza decisiva sulla definizione e sull’esecuzione di tutti o di alcuni dei suoi obiettivi. Del pari, la necessaria interpretazione teleologica della disposizione esclude una distinzione fra imprese pubbliche e private, ai fini del Trattato, che si basi sulla mera composizione del suo azionariato; la detta distinzione dipende invece dalla possibilità che abbia lo Stato di imporre alcuni criteri di politica economica, diversi dalla mera ricerca del massimo profitto che caratterizza l’attività privata (29).

49.      Ribadisco quindi il mio punto di vista secondo cui il rispetto del Trattato per il regime della proprietà negli ordinamenti giuridici nazionali, sancito nell’art. 295 CE, deve estendersi a ogni misura che, mediante l’intervento nel settore pubblico, inteso in senso economico, consente allo Stato di contribuire alla configurazione dell’attività produttiva del paese (30).

50.      Per quanto conservi pieno valore la critica espressa nelle mie conclusioni nelle cause C‑463/00 e C‑98/01 quanto al fatto che le sentenze abbiano evitato, senza alcuna motivazione, di pronunciarsi sull’applicazione e sulla portata dell’art. 295 CE, poiché neanche quelle emesse successivamente lo hanno interpretato (31), riconosco che la causa in esame presenta divergenze sostanziali rispetto a quelle definite fino ad oggi dalla Corte di giustizia, circostanza che l’avvia verso un’altra soluzione.

51.      Le cause precedenti rientravano, in genere, nei processi di privatizzazione di imprese che operavano in ambiti considerati «strategici» e che erano stati liberalizzati gradualmente (idrocarburi, aeroporti, assicurazioni). Le misure controverse coincidevano per un aspetto, vale a dire quello del loro carattere di mezzi d’intervento dei pubblici poteri in alcune attività di interesse vitale per l’economia nazionale, al fine di istituire una strategia di politica economica (32).

52.      La legge Volkswagen, come emerge dall’esposizione storica della sua gestazione, non rientra in tale contesto.

53.      Da un lato, non si tratta di un settore tradizionalmente rientrante nei settori chiave dell’economia di un paese, indipendentemente dal suo peso specifico nel prodotto interno lordo, poiché l’industria automobilistica era abbastanza sviluppata nella Germania del periodo interbellico, senza che il suo sviluppo fosse dovuto ad interventi statali.

54.      D’altro lato, la ragione primordiale della legge controversa risiedeva nel risolvere le tensioni insorte circa la proprietà della società, il che, in via di principio, le avrebbe valso la qualificazione di normativa dell’ordinamento giuridico privato ai sensi dell’art. 295 CE, come è sostenuto da alcuni – sebbene io dissenta. Tuttavia, le disposizioni denunciate dalla Commissione nel ricorso per inadempimento in esame non riguardano l’assetto della proprietà, né in generale, né con riferimento alla società Volkswagen isolatamente.

55.      Indubbiamente, i tre articoli della legge tedesca oggetto della causa in esame aiutano chi già la possiede a conservare la proprietà, mediante tecniche giuridico societarie tipiche di difesa del Consiglio di direzione di un’impresa contro offerte pubbliche di acquisto ostili (33).

56.      In base a quanto sopra esposto, ritengo che l’art. 295 CE non legittimi la legge Volkswagen, tanto con riferimento all’interpretazione che sempre ho auspicato, quanto con riguardo ai criteri ermeneutici che limitano tale disposizione alla protezione dell’autonomia degli Stati membri per disciplinare i rapporti patrimoniali privati.

B –    Sulle restrizioni alla libera circolazione dei capitali

1.      Precisazione preliminare

57.      La ricorrente chiede che venga dichiarato che la Repubblica Federale di Germania ha violato la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali, anche se basa la sua argomentazione esclusivamente sulla violazione di quest’ultima, il che appare logico in base alla giurisprudenza in materia di «golden shares», essenzialmente basata sull’art. 56 CE, e solo in subordine sull’art. 43 CE.

58.      Non ho cambiato la mia opinione secondo cui il settore naturale e idoneo per analizzare le varie restrizioni che discendono da ciò che occorre chiamare, molto imprecisamente, le «golden shares», è quello della libertà di stabilimento, poiché lo Stato membro in questione aspira abitualmente a controllare, utilizzando poteri di intervento nella configurazione della struttura dell’azionariato, la formazione della volontà sociale degli enti privatizzati (intervenendo nella composizione dell’azionariato o negli atti di amministrazione concreti), aspetto che conserva poche concomitanze con la libera circolazione dei capitali (34).

59.      Tuttavia, tali poteri possono incidere sul diritto alla libertà di stabilimento, rendendolo meno interessante, tanto direttamente, quando essi riguardano l’accesso al capitale sociale, quanto indirettamente, riducendo la loro attrattiva mediante restrizioni aventi ad oggetto la capacità di disposizione o di gestione degli organi sociali (35). Contrariamente a quanto è stato dichiarato dalla Corte di giustizia (36), insisto sul fatto che l’ostacolo alla libera circolazione dei capitali che ne consegue presenta natura sussidiaria e non necessaria. Ho già segnalato che tale affermazione è certa per quanto riguarda le misure che hanno un’influenza sulla composizione dell’azionariato, ma lo è ancora di più per quelle che limitano l’adozione di decisioni societarie (modifica dell’oggetto sociale, cessione di attivi), quali le decisioni impugnate nel caso di specie, il cui rapporto con la libera circolazione di capitali diventa ipotetico o molto tenue (37).

60.      In ogni caso, è inutile approfondire ulteriormente la qualificazione giuridica errata dell’asserito caso di infrazione, che non comporta conseguenze notevoli, poiché la Corte di giustizia valuta allo stesso modo le due libertà fondamentali. Propongo di adottare quindi la metodologia della Corte al fine di stabilire se gli inadempimenti invocati si siano verificati, una volta esclusa la tutela dell’art. 295 CE per la legge Volkswagen.

61.      Orbene, come ho già osservato, la Corte di giustizia si è basata più volte sull’art. 56, n. 1, CE, che vieta le restrizioni ai movimenti di capitali fra gli Stati membri (38).

62.      In mancanza di una definizione della nozione di «movimenti di capitali» nel Trattato CE, la giurisprudenza ha riconosciuto un valore indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva 88/361/CEE (39), in base alla quale gli investimenti diretti, vale a dire l’acquisizione di una partecipazione in una società mediante il possesso di azioni che conferisca la possibilità di intervenire nella sua gestione e nel suo controllo, e gli investimenti indiretti, quali l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali con l’intenzione di effettuare un investimento finanziario senza però l’intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa (denominati anche investimenti «di portafoglio») costituiscono movimenti di capitali (40).

63.      La Corte di giustizia ha esaminato questi due tipi di operazioni e ha qualificato come «restrizioni» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE le misure nazionali che impediscono o ostacolano l’acquisto di azioni delle società interessate o che disincentivano gli operatori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di tali società (41).

64.      Alla luce di questi principi occorre esaminare le disposizioni controverse della legge Volkswagen al fine di stabilire se esse comportino ostacoli alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56, n 1, CE. In caso di soluzione affermativa, si dovranno esaminare le eventuali giustificazioni (42).

2.      Analisi della normativa controversa

a)      Il diritto dello Stato federale e del Land di nominare due membri del Consiglio di sorveglianza dell’impresa

i)      Presentazione

65.      Secondo la Commissione, l’art. 4, n. 1, della legge Volkswagen, concedendo alla Repubblica federale di Germania e al Land Bassa Sassonia, rispettivamente, purché siano azionisti, la facoltà di designare due membri del Consiglio di sorveglianza, costituisce una deroga alla norma di cui all’art. 101, n. 2, della legge sulle società per azioni, che esige che tale prerogativa sia prevista nello statuto e limitata ad un terzo del numero di membri di tale organo societario attribuiti dalla legge o dallo statuto ai rappresentanti degli azionisti, il che, nel caso della Volkswagen, corrisponderebbe a tre membri.

66.      La Commissione rileva che la configurazione di tale privilegio nella legge Volkswagen restringe la probabilità che altri azionisti partecipino alla gestione e al controllo della società, il che implica una violazione della libera circolazione dei capitali conformemente alla giurisprudenza (43). A suo avviso, sono irrilevanti il fatto che lo Stato federale abbia ceduto tutte le sue azioni e che, di conseguenza, esso non eserciti il suo potere di nomina e il fatto che il numero di rappresentanti del Land della Bassa Sassonia sia proporzionato o persino inferiore alla sua parte del capitale sociale, poiché essi non impediscono che poteri speciali, che riducono l’attrattiva degli investimenti nella Volkswagen, siano attribuiti allo Stato.

67.      Il governo tedesco considera che, a causa della sua qualità di organo di controllo, il Consiglio di sorveglianza (44) è privo di potere decisionale effettivo, salvo le poche occasioni nelle quali la legge e lo statuto prevedono il suo intervento. Esso aggiunge che il numero di seggi in detto organo conserva un equo rapporto con il contributo al capitale, in quanto la rappresentanza del Land Bassa Sassonia è inferiore alla percentuale delle azioni in suo possesso. Infine, il governo tedesco sostiene che le ipotesi confuse della Commissione in ordine alla disincentivazione degli investimenti non hanno alcun nesso con la realtà.

ii)    Esame del motivo

68.      Correttamente inteso, il diritto di designare membri del Consiglio di sorveglianza, statuariamente riservato a taluni azionisti dall’art. 101, nn. 1 e 2, della legge tedesca sulle società per azioni, svolge una duplice funzione: quella di agevolare la rappresentanza, in detto organo, dei grandi azionisti della società che intendano partecipare alla sua gestione e quella di riservare alcuni posti agli azionisti di minoranza, limitando la rappresentanza di questo tipo di mandatari ad un terzo del totale corrispondente al capitale (45).

69.      La riserva che prevede detta disposizione all’art. 4, n. 1, della legge Volkswagen manifesta il carattere esorbitante dei poteri di cui sono investiti gli enti territoriali considerati.

70.      Così, in primo luogo, è stato rilevato che uno dei motivi che hanno condotto a redigere il detto art. 101 era per l’appunto la volontà di aprire le società incaricate di fornire servizi di interesse generale all’influenza dei poteri pubblici, senza che quest’ultimi debbano procurarsi il capitale necessario (46). Questo aspetto, lungi dal giustificare la legge Volkswagen, conferma la sua natura straordinaria, poiché lasciando inalterata la sua disciplina si accentua il carattere eccezionale di alcune norme che sono a favore di una sola impresa.

71.      In secondo luogo, si intravede altresì che la normativa controversa si discosta da quella ordinaria sotto il profilo formale, poiché il potere di nominare membri del Consiglio di sorveglianza è attribuito ex lege (47), e non per statuto, e del pari sotto il profilo sostanziale, poiché l’art. 4, n. 1, riserva quattro seggi sui dieci corrispondenti al capitale a due enti pubblici, il che rappresenta più del massimo di un terzo dei seggi previsto dall’art. 101, n. 2, della legge sulle società per azioni.

72.      In sostanza, tale prerogativa esclusiva dello Stato federale e del Land, contro lo spirito della normativa di diritto comune, oltre ad essere del tutto svincolata dall’importanza delle loro partecipazioni rispettive, restringe le possibilità per gli altri investitori di fruire di vantaggi simili, rompendo così la simmetria tra la forza del capitale e le possibilità di direzione in una società (48). Persino un imprenditore che raggiungesse il potere sufficiente per modificare lo statuto ed abrogare tali clausole si scontrerebbe con l’ostacolo della modifica della legge, per la quale occorre l’intervento del Parlamento nazionale.

73.      Per tale motivo, benché l’art. 4, n. 1, della legge Volkswagen sia considerato come una lex specialis, è indubbio che esso dissuade coloro che intendono acquistare una quantità notevole di azioni della società, poiché in seno al Consiglio di sorveglianza essi si troverebbero di fronte a quattro rappresentanti dei pubblici poteri, in possesso di un numero marginale di azioni.

74.      Non rileva ai fini dell’esame dell’inadempimento la questione se gli enti pubblici di cui sopra si avvalgano dei loro privilegi, poiché è sufficiente il fatto che non siano stati aboliti nell’ordinamento giuridico tedesco il diritto esorbitante dello Stato federale e del Land della Bassa Sassonia di nominare rappresentanti nel Consiglio di sorveglianza della Volkswagen e il diritto di intervenire quando essi lo ritengono opportuno.

75.      Di conseguenza, l’art. 4, n. 1, della legge Volkswagen viola l’art. 56 CE, fatte salve eventuali giustificazioni che, essendo identiche per le altre disposizioni controverse, saranno esaminate in modo coordinato dopo l’esame delle altre censure.

b)      Sulla minoranza di blocco e sulla limitazione dei diritti di voto

i)      Presentazione

76.      Negli atti processuali i detti due motivi di inadempimento sono stati esaminati separatamente e sono stati esaminati congiuntamente soltanto nell’ambito dell’esame dell’effetto combinato delle tre disposizioni controverse. Tuttavia, per le ragioni che saranno esposte successivamente, appare utile includerli nello stesso esame.

77.      Nella sua indagine separata la Commissione rileva che l’art. 2, n. 1, della legge Volkswagen, limitando il diritto di voto ad un quinto del capitale, pone un’eccezione al principio «un’azione, un voto» («one share, one vote»), senza che i titolari delle partecipazioni possano pronunciarsi. Essa aggiunge che, anche accettando la tesi del carattere generale di tale tecnica di limitazione dei diritti di voto nelle società, occorrerebbe percepire la differenza che vi è fra proporre tale possibilità di limitazione, come prevede l’ordinamento giuridico tedesco per le società non quotate in borsa, e imporla ad un’impresa per legge, come si verifica per la Volkswagen.

78.      La Commissione prosegue la sua analisi con l’art. 4, n. 3, che aumenta ad oltre i quattro quinti (80%) del capitale sociale la maggioranza richiesta per adottare talune decisioni dell’assemblea generale, mentre la legge sulle società per azioni richiede una maggioranza di tre quarti (75%), consentendo così al Land Bassa Sassonia di opporsi a tali decisioni e di bloccarle con una minoranza sufficiente al riguardo, di cui il Land dispone sin dall’inizio. Essa rivela del pari che tale maggioranza non emana dall’autonoma volontà degli azionisti, ma è stata decretata dal legislatore a beneficio esclusivo degli investitori pubblici.

79.      Dal canto suo, il governo tedesco esamina la questione della restrizione stabilita dall’art. 2, n. 1, negando una correlazione fra la partecipazione al capitale e il diritto di voto, confermando l’origine contrattuale della clausola e invocando la libertà del legislatore per le disposizioni di diritto societario diverse da quelle di diritto comune per alcune imprese.

80.      Quanto all’art. 4, n. 3, il governo tedesco fa riferimento alla mancanza di un limite nella legge tedesca sulle società per azioni e spiega le percentuale di azioni in possesso del Land della Bassa Sassonia con gli acquisti successivi effettuati sul mercato, al pari di qualsiasi investitore privato.

81.      Tuttavia, come ho già osservato, preferisco sostenere un’analisi congiunta dalle dette due disposizioni, poiché non sono queste disposizioni considerate isolatamente, ma le loro conseguenze, che richiedono un esame dettagliato.

82.      La Commissione si limita a sostenere che, poiché le tre norme violano, ciascuna di per sé, il Trattato, le loro conseguenze congiunte rafforzano solo tale violazione.

83.      Per contro, il governo tedesco, invocando un precedente giurisprudenziale (49), ribatte che non si può individuare alcuna violazione del Trattato che risulti da dette norme, considerate separatamente o congiuntamente.

ii)    Esame dei motivi

84.      La storia della legge Volkswagen mostra che si è creata una struttura giuridica altamente sofisticata per congelare una situazione determinata in un momento molto preciso (50). È difficile interpretare diversamente l’aumento ad oltre l’80% del quorum necessario per approvare talune decisioni dell’assemblea generale, quando il diritto comune richiede soltanto il 75%. Inoltre, la limitazione dell’esercizio del diritto di voto al 20% coincide con la percentuale di azioni ripartite fra i due investitori istituzionali, vale a dire lo Stato federale e il Land Bassa Sassonia, quando la legge fu promulgata.

85.      In pratica, chi desideri acquistare un numero sufficiente di azioni della detta impresa per accedere ai suoi organi di gestione si renderà facilmente conto degli ostacoli per modificare una disposizione statutaria, oltre alla necessità di ricorrere al legislatore per modificare la legge nel senso voluto.

86.      L’interessato si troverebbe innanzitutto di fronte a seri dilemmi al momento di raccogliere oltre un quinto del capitale poiché, al disopra di detto limite, egli resterebbe senza possibilità di voto (51). Tuttavia, anche se si riuscisse a mobilitare tutto il piccolo azionariato, la minoranza di blocco dello Stato federale e del Land renderebbe illusorio qualsiasi tentativo di modifica con oltre quattro quinti del capitale sociale nell’assemblea degli azionisti.

87.      In sostanza, l’obiettivo perseguito è quello di mantenere lo statu quo per quanto riguarda i grandi azionisti ab initio, vale a dire lo Stato federale e il Land della Bassa Sassonia, il che rafforza il primo motivo di inadempimento relativo alla rappresentanza dei detti soggetti nel Consiglio di sorveglianza.

88.      Tuttavia non possono essere ignorate le qualità dell’autore della misura sopra descritta. Occorre del pari sottolineare che tutti detti ostacoli alla penetrazione di grandi azionisti sono imposti dagli stessi enti pubblici, grazie ad una legge federale, in seguito all’accordo del 1959 (lo «Staatsvertrag»).

89.      La normativa nazionale, senza essere discriminatoria, congela una situazione oggettivamente favorevole agli enti pubblici summenzionati, poiché rafforza la posizione dello Stato federale e del Land, impedendo qualsiasi interferenza nella gestione. In tali conseguenze protezionistiche consiste l’effetto dissuasivo della legge Volkswagen che, secondo la giurisprudenza della Corte, viola la libera circolazione dei capitali. Perdono così rilevanza le affermazioni del governo tedesco sulla fluidità della circolazione delle azioni della Volkswagen, che alludono ad investimenti di portafoglio e non agli investimenti realizzati al fine di partecipare alla gestione dell’impresa.

90.      Le difficoltà incontrate dagli investitori estranei all’accordo iniziale risultano evidenti e perdureranno, almeno potenzialmente, finché sussisteranno le disposizioni controverse. La situazione, di fatto incompatibile con il diritto comunitario, non si risolverebbe con la vendita delle partecipazioni del Land, attualmente unico investitore pubblico, poiché la normativa stessa che legittima tale situazione contribuisce a perpetuare il potere dell’ente regionale tedesco, come è stato dimostrato nel corso degli ultimi quarant’anni.

91.      La tattica adottata riveste quindi un significato speciale rivelando l’identità pubblica dei suoi autori, poiché essa dimostra il carattere di «misura nazionale» della legge Volkswagen ai sensi della giurisprudenza della Corte che statuisce alla luce dell’art. 56 CE, ma essa non autorizza a trarre altre conseguenze o, in particolare, a dedurre che, in mancanza di detta normativa, le disposizioni dello statuto aventi lo stesso contenuto delle norme controverse nella fattispecie vedrebbero inficiata la loro validità.

92.      Di conseguenza, tale carattere di misura statale, che può disincentivare gli investitori dall’accumulare il capitale necessario per partecipare alla gestione dell’impresa implicherebbe la violazione, da parte degli artt. 2, n. 1, e 4, n. 3, della legge Volkswagen, della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56, n. 1, CE.

3.      Le eventuali giustificazioni della violazione

a)      Presentazione

93.      Avendo il governo tedesco addotto in subordine vari argomenti basati sulla difesa dell’interesse pubblico, occorre accordar loro una certa attenzione, esaminandoli alla luce dell’art. 58 CE e della giurisprudenza.

94.      Così, la Corte ha ammesso più volte la limitazione nazionale apportata alla libera circolazione di capitali, per le ragioni esposte all’art. 58 CE o per altri motivi imperativi di interesse generale (52), fintanto che non esista un’armonizzazione comunitaria diretta a salvaguardare detti interessi (53), spettando agli Stati membri decidere del livello di tutela di tali legittimi interessi e della maniera di raggiungerlo. Tuttavia, tale facoltà è loro riconosciuta soltanto nei limiti stabiliti dal Trattato e, in particolare, rispettando il principio di proporzionalità (54).

95.      Nella fattispecie, il governo tedesco chiede che siano presi in considerazione il contesto storico particolare nel quale è stata elaborata la legge controversa e gli obiettivi di politica sociale, regionale, economica e industriale che la ispirano.

96.      La Commissione, dopo aver respinto la pertinenza delle considerazioni di carattere storico addotte dalla convenuta, nega che la legge impugnata risponda a tutti i detti obiettivi.

b)      Esame degli argomenti

97.      La critica delle disposizioni controverse della legge Volkswagen non offusca il successo dell’impresa, meraviglioso se si ricordano le condizioni nelle quali si è formato, in fabbriche quasi distrutte dopo i bombardamenti. L’efficacia, la precisione, la flessibilità (55) e il dinamismo da essa mostrate costituiscono un esempio di tenacia e di volontà di riuscire degne di elogio. Tuttavia, i cambiamenti verificatisi in Europa, in seguito al consolidamento del processo di integrazione iniziato con i Trattati di Roma, richiedono un adattamento delle società ai tempi nuovi.

98.      Anzitutto, confesso un certo stupore constatando che viene invocato l’interesse della collettività per proteggere una norma elaborata a beneficio esclusivo di un solo soggetto, in linea con la tesi di una parte della dottrina in base alla quale, nelle grandi imprese, l’aspetto pubblico delle attività delle stesse è particolarmente importante e, in mancanza di qualsiasi controllo del diritto delle società, si deve elaborare un sistema di garanzie legali per garantire la soddisfazione dell’interesse pubblico in questione, del tutto indipendente dalla forma giuridica che esse rivestono (56).

99.      Per quanto riguarda i motivi di giustificazione invocati, occorre rilevare quanto segue: in primo luogo, gli eventi menzionati dal governo tedesco provano che vi erano motivi urgenti per risolvere le tensioni relative alla proprietà di una società come la Volkswagen, ma essi non legittimano le tre disposizioni controverse che, come ho già rilevato, sono irrilevanti quanto al regime di proprietà delle azioni in senso stretto.

100. In secondo luogo, il fatto di invocare gli interessi dei lavoratori è del tutto fuori luogo, poiché lo stesso governo tedesco ha esposto, da un lato, che il suo desiderio di controllare la società si è formato quando è stata creata la fondazione Volkswagen, e, di conseguenza, la legge non ha incidenze, neanche indirettamente, sulle aspirazioni di detti lavoratori; d’altro lato, la partecipazione dei lavoratori all’amministrazione dell’impresa mediante la cogestione, anche se avesse avuto bisogno di un intervento legislativo, non richiedeva il congelamento della posizione rafforzata degli enti pubblici mediante la legge controversa.

101. In terzo luogo, è difficile comprendere perché la tutela delle minoranze si debba basare sulla inamovibilità dei grandi azionisti. Le norme controverse non apportano alcuna garanzia supplementare.

102. Infine, occorre prescindere dagli obiettivi di politica industriale, economica e regionale (57), poiché essi non sono compatibili con una norma concepita per un’unica società. Il governo tedesco confonde gli interessi generali con quelli del Land Bassa Sassonia e con quelli propri quanto al buon andamento dell’impresa, legittimi e comprensibili date le dimensioni della società, con fabbriche ripartite in tutto il paese e con un gran numero di dipendenti. In ogni caso, non discende neppure dalla legge Volkswagen, né se ne è fornita la prova, che gli articoli controversi consentano per l’appunto di raggiungere meglio tali obiettivi.

103. Il governo tedesco tenta di giustificare le restrizioni alla libera circolazione dei capitali risultanti dagli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1 e 3, della legge Volkswagen con un’argomentazione troppo vaga e lontana dalla realtà, che non corrisponde a motivi imperativi di interesse generale, e che per ciò solo dev’essere respinta.

C –    Sulla violazione dell’art. 43 CE

104. La Commissione non ha formulato alcuna censura specifica sull’incompatibilità della legge Volkswagen con l’art. 43 CE, senza dubbio per attenersi al criterio della giurisprudenza, che ha esaminato tali argomenti a fronte della libera circolazione dei capitali.

105. Così, varie sentenze considerano che le restrizioni alla libertà di stabilimento fatte valere con tali argomenti sono la conseguenza diretta degli ostacoli alla libera circolazione dei capitali, cui sono indissolubilmente collegate; di conseguenza, una volta dimostrata la violazione dell’art. 56, n. 1, CE, non appare opportuno procedere ad un’altra analisi alla luce della libertà di stabilimento (58).

VI – Sulle spese

106. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica federale di Germania è rimasta soccombente e la Commissione ne ha chiesto la condanna alle spese, la prima dev’essere condannata alle spese.

VII – Conclusione

107. Alla luce delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di giustizia di dichiarare quanto segue:

1)         La Repubblica federale di Germania, avendo mantenuto in vigore gli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1 e 3, della legge 21 luglio 1960, di privatizzazione delle partecipazioni sociali della Volkswagen GmbH, è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 56, n. 1, CE.

2)         La Repubblica federale di Germania è condannata alle spese.


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Occupò questo posto tra il 1949 e il 1963, anno in cui succedette a Konrad Adenauer come cancelliere.


3 – Gruppo di professori costituitosi intorno a Walter Eucken, Franz Böhm, Hans Grossmann‑Doerth e Leonhard Miksch, i quali, come reazione al nazismo, insistettero nell'idea di libertà di fronte al totalitarismo, non solo in economia ma anche in altre sfere della vita; Hildebrand, D., The Role of Economic Analysis in the EC Competition Rules, Kluwer, 1998, L'Aia, pagg. 184‑187.


4 – Così, la Volkswagen è apparsa in numerose mostre della Pop Art ed è stata protagonista di un film di Walt Disney, The love bug, prodotto nel 1968 con la regia di Robert Stevenson, intitolato in Spagna Ahí va ese bólido, in Francia Un amour de coccinelle e in Germania Ein toller Käfer, dove ottenne un successo straordinario giungendo a cinque milioni di spettatori nei primi otto mesi di distribuzione; da allora si è sviluppata una saga cine‑televisiva culminata nell'ultima versione del 2005 Herbie: fully loaded, con la regia di Angela Robinson.


5 – Già nel 1958 apparve una storia della Volkswagen in inglese per il mercato americano: Nitske, W. R., The amazing Porsche and Volkswagen story, Comet Press Books, New York.


6 – Legge 21 luglio 1960 sulla privatizzazione delle partecipazioni sociali della Volkswagen GmbH (BGBl. I, pag. 585, e BGBl. III, 641‑1‑1), modificata il 6 settembre 1965 (BGBl. I, 461) e il 31 luglio 1970 (BGBl. I, pag. 1149).


7 – Del 6 settembre 1965, BGBl. I, pag. 1089.


8 – Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l'attuazione dell'articolo 67 del trattato (GU L 178, pag. 5).


9 – Punto I.2 del citato allegato.


10 – Punto III.A.1 dello stesso allegato.


11 – Adolf Hitler annunciò questo proposito nel discorso inaugurativo del salone dell'automobile del 1934 a Berlino.


12 – Ferdinand Porsche, figlio di un lattoniere, nacque a Maffersdorf-an der-Neisse (attualmente Vratislavice nad Nisou, Repubblica Ceca) il 3 settembre 1875. All’epoca questa città della Boemia apparteneva all'Impero austro‑ungarico, ma, dopo la prima guerra mondiale, cambiò la carta politica in Europa e Porsche divenne cittadino cecoslovacco. «Il più grande costruttore tedesco di automobili», secondo le parole di Hitler, non poteva conservare questa cittadinanza e, negli anni '40, tutto venne sistemato con il console della Cecoslovacchia a Stoccarda affinché, dopo aver rinunciato alle sue origini, Porsche acquistasse la cittadinanza tedesca; Parvulesco, C., Coccinelle. Triomphe de la voiture populaire, Ed. ETAI, Boulogne‑Billancourt, 2006, pag. 18.


13 – Parvulesco, C., op. cit., pagg. 17 e 18.


14 – Parvulesco, C., op. cit., pag. 26.


15 – Dati disponibili in http://es.wikipedia.org/wiki/Volkswagen.


16 – Cifra presentata dal governo tedesco.


17 – Parvulesco, C., op. cit., pag. 27.


18 – Gli attacchi avvennero nell'aprile, giugno ed agosto del 1944.


19 – A tale data erano state costruite dagli alleati 110 Kübelwagen (antecedente militare della Volkswagen chiamata «maggiolino») con pezzi in eccesso.


20 – Secondo Momsen, H., «Das Volkswagenwerk und die “Stunde Null”: Kontinuität und Diskontinuität», nel sito http://www.dhm.de/ausstellungen/aufbau_west_ost, fu deposto in seguito ai risultati della campagna intrapresa per cancellare qualsiasi orma nazista dalle fabbriche Volkswagen.


21 – Nel 1955 uscì dalla fabbrica il milionesimo esemplare di maggiolino e nel 1972 erano già stati venduti più di quindici milioni di unità di questo modello. In quell'epoca un autore americano cercò di approfittare della forte attrazione popolare dell'automobile tedesca, includendo il suo nome nel titolo di un romanzo: Woods, E., Yellow Volkswagen, Greywood Publishing Ltd., Toronto, 1971.


22 – Vertrag über die Regelung der Rechtsverhältnisse bei der Volkswagenwerk Gesellschaft mit beschränkter Haftung und über die Einrichtung einer Stiftung Volkswagenwerk.


23 – Mediante la legge di regolamentazione dei rapporti giuridici della società Volkswagenwerk GmbH (Gesetz über die Regelung der Rechtsverhältnisse der Volkswagenwerk GmbH; BGBl. I, pag. 301).


24 – Mediante la citata legge Volkswagen.


25 – Sentenze 23 maggio 2000, causa C‑58/99, Comissione/Italia (Racc. pag. I‑3811); 4 giugno 2002, causa C‑367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑4731), causa C‑483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑4781); causa C‑503/99, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4809); 13 maggio 2003, causa C‑463/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑4581), e causa  C‑98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑4641). Successivamente sono state emesse le sentenze 2 giugno 2005, causa C‑174/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑4933), e 28 settembre 2006, cause riunite C‑282/04 e C‑283/04, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑9141).


26 – Maurer, H., Allgemeines Verwaltungsrecht, Ed. C.H. Beck, 12ª  ed. rivista e ampliata, Monaco di Baviera, 1999, pagg 352 e segg.


27 – Presentate il 3 luglio 2001.


28 – Presentate il 6 febbraio 2003.


29 – Sentenza 6 luglio 1982, cause riunite 188/80‑190/80, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione (Racc. pag. 2545, punto 21).


30 – Conclusioni nelle cause C‑367/98, Commissione/Portogallo; C‑483/99, Commissione/Francia, e C‑503/99, Commissione/Belgio, summenzionate, paragrafi 54 e 55; v. anche le conclusioni nelle cause C‑463/00, Commissione/Spagna, e C‑98/01, Commissione/Regno Unito, già menzionate, paragrafi 56 e 57.


31 – Sentenze Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito, cit.; Commissione/Italia, e Commissione/Paesi Bassi, del pari citate.


32 – Conclusioni nelle cause C‑367/98, C‑483/99 e C‑503/99, paragrafo 62.


33 – Sul limite dei diritti di voto Kübler, F., Gesellschaftsrecht, 5ª ed. rivista e ampliata, Ed. C.F. Müller, Heidelberg, 1998, pag. 199. Del pari Krause, H., «Von “goldenen Aktien”, dem VW-Gesetz und der Übernahmerichtlinie», Neue Juristische Wochenschrift, n. 38/2000, pag. 2749.


34 – Conclusioni nella causa nella quale sono state pronunciate le sentenze Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito, cit., paragrafo 36.


35 – Velasco San Pedro, L. A. e Sánchez Felipe, J. M., «La libertad de establecimiento de las sociedades en la UE. El Estado de la cuestión después de la SE», Revista de derecho de sociedades, n. 19, anno 2002‑2, pag. 31.


36 – Sentenze Commissione/Portogallo e Commissione/Francia, già cit., punto 56. Del pari sentenza Commissione/Paesi Bassi, punto 43.


37 – Conclusioni della causa per le quali sono state pronunciate le sentenze Commissione/Spagna e Commissione/Regno Unito, già cit., punto 36.


38 – Ad esempio, le citate sentenze Commissione/Francia, punti 35 e 40, e Commissione/Regno Unito, punti 38 e 43.


39 – Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato (articolo abrogato del Trattato di Amsterdam) (GU L 178, pag. 5).


40 – Sentenze 16 marzo 1999, causa C‑222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I‑1661, punto 21); Commissione/Francia, punti 36 e 37, e Commissione/Regno Unito, punti 39 e 40.


41 – Sentenze Commissione/Francia, punto. 41; nella causa C‑174/04, Commissione/Italia, cit., punti 30 e 31, e 19 gennaio 2006, causa C‑265/04, Bouanich (Racc. pag. I‑923, punti 34 e 35).


42 – Ad esempio, le citate sentenze, Commissione/Belgio, punti 42‑55, e Commissione/Paesi Bassi, punti 32‑40.


43 – Sentenze Commissione/Regno Unito, cit., punto 44, Commissione/Belgio, cit., punti 39‑41, e Commissione/Portogallo, punti 44‑46. In quest'ultima sentenza la Corte ha interpretato il silenzio del Governo portoghese come una condiscendenza, un riconoscimento tacito dell'inadempimento, ed ha proceduto all'esame delle eventuali giustificazioni. Ho già criticato tale modo di procedere nelle mie citate conclusioni nelle cause C‑367/98, C‑483/99 e C‑503/99, paragrafo 76, invitando la Corte ad effettuare d'ufficio l'esame dell'inadempimento, poiché dubito che l'interesse comunitario che è alla base di tale tipo di ricorsi sia compatibile con il principio della libera disposizione dell'azione.


44 – Disciplinato dagli artt. 95‑116 della legge tedesca sulle società per azioni.


45 – Kübler, F., op. cit., pag. 190.


46 – Ibidem.


47 – Se tale clausola fosse stata introdotta nello statuto della società Volkswagen, ma non nella legge Volkswagen, l'adozione dell'Aktiengesetz del 1965 avrebbe comportato la nullità di tale clausola. La precisazione relativa al mantenimento in vigore dell'art. 4, n. 1, ha così consentito di risolvere il problema dell'incompatibilità con l'art. 101 della legge sulle società per azioni.


48 – Sander, F., «Volkswagen vor dem EuGH − der Schutzbereich der Kapitalverkehrsfreiheit am Scheideweg», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht (EuZW), n. 4/2005, pag. 109.


49 – Sentenza 14 aprile 2005, causa C‑6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe, Racc. pag. I‑2753, punto 55.


50 – Un indizio del trattamento preferenziale che la legge concede alla Volkswagen risulta dall'abolizione nel 1998 della limitazione dei diritti di voto nelle società quotate in borsa, a seguito dell'approvazione in Germania della summenzionata Legge sul controllo e sulla trasparenza delle imprese, che perseguiva chiaramente l'obiettivo di ristabilire la proporzionalità fra il capitale e l'esercizio del diritto di voto, come osserva Fernández Pérez, N., La protección jurídica del accionista inversor, Ed. Aranzadi, Navarra, 2000, pag. 224. I punti della motivazione di detta legge del 1998 partivano dal principio che gli ostacoli al diritto di voto disincentivano il mercato dei capitali; Ruge, R., «Goldene Aktien und EG-Recht», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht (EuZW), n. 14/2002, pag. 424.


51 – Sołtysiński, S., «The rise and fall of the golden share concept in privatised companies», in Demaret, P./Govaere, I./Hanf, D. (coordinatori), 30 Years of European Legal Studies at the College of Europe, Bruges, 2005, pag. 329, menziona l'idea molto diffusa secondo la quale le limitazioni dell'esercizio del diritto di voto creano barriere alla libera circolazione dei capitali maggiori di quelle risultanti dalle «golden shares», che sono in declino.


52 – Citate sentenze 7 settembre 2004, causa C‑319/02, Manninen (Racc. pag. I‑7477, punto 29), e Commissione/Paesi Bassi, punto 32.


53 – Sentenza 15 giugno 2006, causa C‑255/04, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑5251, punto 43), e la giurisprudenza citata.


54 – Citate sentenze, Commissione/Belgio, punto 45, e Commissione/Paesi Bassi, punto 33.


55 – La polivalenza del «maggiolino» è fuor di ogni dubbio; a parte la sua adattabilità che consente di convertirlo in veicolo militare, esso è stato anche modificato per disegnare prototipi di furgoncini commerciali, di autocaravan e persino di autoambulanze e di veicoli per pompieri. Esso ha ispirato la creatività di altri ingegneri quali Karmann, Hebmüller o Rometsch, che hanno immaginato audaci varianti del modello originale che hanno riscosso un grande prestigio (Seume, K. y Shall, B., Volkswagen Beetle – Coachbuilts and cabriolets 1940‑1960, Bay View Books Ltd., Devon, 1993, pag. 70 e segg.). Un'altra prova della flessibilità della Volkswagen è fornita dal modello che, su ordinazione personale, fu costruito per l'imperatore d'Abissinia, Hailé Selassie I (che regnò in Etiopia tra il 1930 e il 1974), con sedili tappezzati in pelle di leopardo (loc. cit., pag. 10).


56 – Reich, N., Mercado y derecho (Teoría y práxis del derecho económico en la República Federal Alemana), versione spagnola di Antoni Font, Ed. Ariel, Barcellona, 1985, pag. 284.


57 – La sentenza 6 giugno 2000, causa C‑35/98, Verkooijen (Racc. pag. I‑4071, punto 48), li ha ritenuti non pertinenti.


58 – Citate sentenze Commissione/Spagna, punto 86, e Commissione/Paesi Bassi, punto 43.