Language of document : ECLI:EU:T:2018:181

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

12 aprile 2018 (*)

«Clausola compromissoria – Personale delle missioni internazionali dell’Unione europea – Controversie riguardanti i contratti di lavoro – Procedure d’indagine interna – Protezione delle vittime in caso di denuncia di una situazione di molestie – Responsabilità contrattuale»

Nella causa T‑763/16,

PY, rappresentato da S. Rodrigues e A. Tymen, avvocati,

ricorrente,

contro

EUCAP Sahel Niger, rappresentata da E. Raoult e M. Vicente Hernandez, avvocati,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 272 TFUE e diretta ad ottenere la condanna dell’EUCAP Sahel Niger a risarcire il ricorrente per il danno che quest’ultimo avrebbe subito a causa di un inadempimento contrattuale da parte di EUCAP Sahel Niger,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da D. Gratsias, presidente, A. Dittrich e P.G. Xuereb (relatore), giudici,

cancelliere: G. Predonzani, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 ottobre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        EUCAP Sahel Niger (in prosieguo: la «Missione») è una missione di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), istituita con decisione 2012/392/PESC del Consiglio, del 16 luglio 2012, relativa alla missione dell’Unione europea in ambito PSDC in Niger (EUCAP Sahel Niger) (GU 2012, L 187, pag. 48), modificata da ultimo dalla decisione (PESC) 2017/1253 del Consiglio, dell’11 luglio 2017 (GU 2017, L 179, pag. 15).

2        Ai sensi dell’articolo 2 della decisione 2012/392, come modificata dalla decisione (PESC) 2016/1172 del Consiglio, del 18 luglio 2016 (GU 2016, L 193, pag. 106), nell’ambito dell’attuazione della strategia dell’Unione europea per la sicurezza e lo sviluppo nel Sahel, la Missione mira a consentire alle autorità nigerine di definire e attuare la propria strategia nazionale in materia di sicurezza. La Missione mira altresì a contribuire allo sviluppo di un approccio integrato, pluridisciplinare, coerente, sostenibile e basato sui diritti umani tra i vari operatori della sicurezza nigerini nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. La Missione assiste inoltre le autorità centrali e locali nonché le forze di sicurezza nigerine nell’elaborazione di politiche, tecniche e procedure per meglio controllare e contrastare la migrazione irregolare.

3        Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della decisione 2012/392, la Missione assume personale internazionale e locale su base contrattuale se le mansioni richieste non possono essere fornite da personale distaccato dagli Stati membri. L’articolo 7, paragrafo 4, di tale decisione prevede che le condizioni d’impiego nonché i diritti e gli obblighi del personale internazionale e locale siano stabiliti nei contratti conclusi tra il capomissione e i membri del personale.

4        L’articolo 12 bis della decisione 2012/392, introdotto dall’articolo 1, punto 6, della decisione n. 2014/482/PESC del Consiglio, del 22 luglio 2014, che modifica la decisione 2012/392 (GU 2014, L 217, pag. 31), prevede che, nella misura necessaria per l’attuazione di quest’ultima decisione, la Missione ha la capacità di procurarsi servizi e forniture, stipulare contratti e concludere accordi amministrativi, assumere personale, detenere conti bancari, acquisire e alienare beni, nonché liquidare il suo passivo e stare in giudizio.

5        PY, il ricorrente, è un ex membro del personale della Missione. Il 31 gennaio 2014 il ricorrente ha firmato un contratto di lavoro con la Missione relativo a un posto di agente responsabile dell’approvvigionamento per il periodo dal 30 gennaio 2014 al 15 luglio 2014. In seguito, il ricorrente ha firmato un secondo contratto di lavoro riguardante il periodo compreso tra il 16 luglio 2014 e il 15 luglio 2015, poi un terzo contratto di lavoro per il periodo dal 16 luglio 2015 al 15 luglio 2016.

6        Secondo i termini dei contratti di lavoro del ricorrente, il codice di condotta e di disciplina della Missione (in prosieguo: il «codice di condotta») è parte integrante di detti contratti.

7        Il codice di condotta stabilisce, in primo luogo, un certo numero di norme di comportamento che devono essere rispettate da tutti i membri del personale della Missione (punti da 1 a 6), compreso il dovere di non sottoporre gli altri colleghi a molestie (punto 2.5) ed angherie (punto 2.6) e, in secondo luogo, la procedura da seguire in caso di violazione di tali norme (punti da 7 a 8).

8        Il punto 2.5 del codice di condotta ha il seguente tenore:

«La molestia differisce dalle molestie sessuali in quanto non è necessariamente fondata sul genere. A differenza delle angherie, un solo incidente può integrare la molestia e sono svariati i tipi di comportamento esemplificativi. Si considera molestia, nel contesto del presente documento: qualsiasi atto o condotta, comprese le parole, i gesti o la realizzazione, esposizione o divulgazione di scritti, immagini o altro materiale se tale atto o comportamento non è gradito al dipendente e se può essere ragionevolmente considerato offensivo, umiliante od intimidatorio».

9        Il punto 7.1, intitolato «Segnalazione delle violazioni», così dispone:

«I casi di comportamento scorretto possono comportare misure e azioni disciplinari e dovrebbero essere introdotte procedure adeguate (…). Ogni membro della Missione ha il diritto e l’obbligo di denunciare per iscritto al capomissione (…) qualsiasi presunto caso di condotta scorretta, malversazione o di incompetenza».

10      Secondo il punto 8.4.1 del codice di condotta, nel caso di una presunta violazione delle norme di cui trattasi «segnalata o rilevata», il vice capomissione sovraintende allo svolgimento di un’indagine preliminare e nomina un agente incaricato di esaminare il caso. Conformemente al punto 8.4.2 del codice di condotta, quest’ultimo esamina il presunto incidente acquisendo le versioni di tale incidente fornite rispettivamente dal denunciante, dai testimoni e dalle vittime. Secondo il punto 8.4.4 del codice di condotta, entro dieci giorni deve essere consegnata al vice capomissione una relazione preliminare di indagine. Nel caso in cui tale relazione confermi l’esistenza di una violazione delle norme di cui trattasi, si apre un’indagine approfondita, conformemente al punto 8.5 del codice di condotta, che ha come esito una relazione finale d’indagine. Se tale relazione conferma la sussistenza di una violazione delle norme in questione, è istituita una commissione disciplinare per esaminare le conseguenze di natura disciplinare da irrogare.

11      Ai sensi dell’articolo 21 del secondo e terzo contratto di lavoro del ricorrente, le controversie derivanti da, o relative a, tali contratti sono di competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, a norma dell’articolo 272 TFUE.

12      Il 15 e il 16 dicembre 2014, si sono tenute talune riunioni di un comitato di valutazione istituito presso la Missione in merito a una procedura negoziata relativa ad un contratto quadro per servizi aerei per la Missione. Il ricorrente ne assumeva la presidenza.

13      Il 16 dicembre 2014, essendo stato messo al corrente di un incidente verificatosi in occasione di dette riunioni, il capo del dipartimento «Sostegno alla Missione», sig. G., inviava un messaggio di posta elettronica al ricorrente chiedendo informazioni al riguardo.

14      Il ricorrente rispondeva a tale domanda con messaggio di posta elettronica del 16 dicembre 2014, con il quale spiegava di aver avuto una grave controversia con un altro membro del comitato di valutazione, il sig. X., sulla questione della conformità alle condizioni imposte dalla Missione di una delle tre offerte da valutare. Secondo il ricorrente, il sig. X. aveva suggerito che i seri dubbi sollevati dal ricorrente a tale proposito sarebbero stati dovuti a un pregiudizio di quest’ultimo nei confronti dell’impresa che aveva presentato l’offerta. Il ricorrente aggiungeva che il comitato di valutazione aveva infine deciso di chiedere chiarimenti all’impresa in questione. Nel suo messaggio di posta elettronica del 16 dicembre 2014, il ricorrente non rivelava l’identità del sig. X.

15      Il 19 dicembre 2014, il comitato di valutazione decideva, alla luce dei chiarimenti ricevuti dall’impresa in questione, che l’offerta di quest’ultima non era conforme alle condizioni da rispettare nel caso di specie e raccomandava di aggiudicare il contratto ad un’altra impresa. La relazione datata 22 dicembre 2014, con la quale il comitato di valutazione informava la Commissione europea dell’esito dei suoi lavori, è stata firmata anche dal sig. X.

16      Il 7 febbraio 2015 il ricorrente inviava un messaggio di posta elettronica al capo dell’amministrazione ad interim della Missione, sig. M., per informarlo di taluni comportamenti del sig. X. che il ricorrente riteneva «inappropriati tra colleghi, giacché (…) irrispettosi nei confronti dell’U[nione] (…), di altre [u]nità dell’[a]mministrazione [e] di alcuni componenti della missione (fra cui [lui] stesso)». In primo luogo, il sig. X. gli avrebbe chiesto, in presenza di persone estranee alla Missione, e utilizzando il termine «quelle», dove si trovassero due donne che lavoravano per la Missione che quel giorno erano assenti. Secondo il ricorrente, tale osservazione avrebbe potuto facilmente essere percepita come sessista dai testimoni della scena. In secondo luogo, il sig. X. sarebbe entrato nel suo ufficio senza bussare alla porta e avrebbe chiesto, con riferimento a un modulo della Missione, con un tono accusatorio e sprezzante, «chi [avesse] scritto questo». In terzo luogo, il sig. X. sarebbe entrato nel suo ufficio con un documento senza bussare alla porta, e gli avrebbe, in modo provocatorio e irrispettoso, domandato «è qui che si consegna questo?». In quarto luogo, il sig. X. avrebbe lasciato intendere al ricorrente di ritenere che le norme di valutazione della Missione fossero «imbecilli» (o «stupide»). Nel suo messaggio di posta elettronica, il ricorrente menzionava la possibilità di potersi sentire obbligato a sporgere denuncia presso il capomissione.

17      Nella sua risposta del 9 febbraio 2015, il sig. M., considerando la gravità dei termini del suo messaggio di posta elettronica, proponeva al ricorrente tre opzioni tra cui lo invitava a scegliere. La prima era l’organizzazione di un incontro dapprima con il ricorrente, poi con il sig. X. e infine con il ricorrente e il sig. X., nell’intento di chiarire la situazione e di trovare una soluzione per il futuro. La seconda era l’organizzazione di un incontro anzitutto con il ricorrente, poi con il sig. X. e infine con il ricorrente, il sig. X., e un rappresentante del settore risorse umane della Missione, allo scopo di chiarire la situazione e di trovare una soluzione per il futuro. Sarebbe stata redatta una relazione, o una nota, che sarebbe stata allegata ai fascicoli personali del ricorrente e del sig. X. La terza era che il ricorrente presentasse una denuncia formale al capomissione.

18      Il ricorrente rispondeva a tale messaggio di posta elettronica il giorno stesso con un altro messaggio di posta elettronica. In tale messaggio di posta elettronica, il ricorrente informava il sig. M. di un nuovo incidente avvenuto con il sig. X. Secondo il ricorrente, quest’ultimo era entrato nel suo ufficio senza bussare alla porta. Quando il ricorrente gli aveva spiegato di aspettarsi che il sig. X. bussasse alla porta prima di entrare nel suo ufficio, quest’ultimo avrebbe «utilizzato il suo dito per fare dei cerchi vicino al lato destro della sua testa (un segno che si spiega da sé)». Il ricorrente aggiungeva che, quando aveva quindi comunicato al sig. X. che sarebbe stata l’ultima volta che questi avrebbe aperto la porta senza bussare, quest’ultimo l’avrebbe interrotto per dirgli, con un grande sorriso, la frase «tu mi minacci».

19      In tale messaggio di posta elettronica, il ricorrente informava inoltre il sig. M. del fatto che, dopo l’incidente, si era sentito male ed era andato in infermiera, dove gli avevano somministrato un farmaco. Aggiungeva di aver avuto qualche vertigine, o a causa del farmaco, o a causa di ciò che egli considerava una forma di «molestia psicologica», e che esso non poteva pertanto nemmeno rispondere alla proposta che il sig. M. gli aveva fatto. Il ricorrente informava tuttavia quest’ultimo di confidare nel suo giudizio e che, nel caso in cui il sig. M. fosse giunto alla conclusione che si trattava di un grave problema da sottoporre al capomissione, gli sarebbe stato grato se l’avesse informato «anche [in] [s]uo nome, sino a che [si] sarebbe sen[tito] meglio per presentare una denuncia formale». Il ricorrente aggiungeva che, nel caso in cui il sig. M. avesse ritenuto di poter trovare una soluzione a livello dell’amministrazione, egli avrebbe naturalmente preferito una tale soluzione. Insisteva tuttavia affinché, in questo caso, il sig. M. riflettesse sulle misure provvisorie eventualmente adottabili per garantire la sua protezione, vale a dire vietare al sig. X. di entrare nel suo ufficio e di rivolgergli la parola fino a quando non si fosse trovata una soluzione.

20      Nella sua risposta del 10 febbraio 2015, il sig. M. informava il ricorrente che, «avendo il dovere di sollecitudine, e data la gravità dei fatti [da esso] riferiti, riten[eva] di non avere altra scelta se non inoltrare [il su]o messaggio di posta elettronica al [capomissione] e [al suo vice], le sole autorità competenti nella Missione responsabili per il codice di condotta e per trattare questo genere di questione disciplinare». Il capomissione e il vice capomissione ricevevano tale messaggio di posta elettronica.

21      In seguito, nel corso della giornata del 10 febbraio 2015, il vice capomissione, sig. S., inviava un messaggio di posta elettronica al capomissione, per informarlo che il ricorrente «si lamenta[va] del comportamento del sig. [X.]» e che gli eventi degli ultimi giorni avevano comportato che il ricorrente «provasse un peggioramento del suo stato di salute». Il sig. S. spiegava che, sebbene fosse difficile in questo tipo di situazioni appurare cosa fosse effettivamente accaduto, risultava difficile non tenere conto dei fatti denunciati dal ricorrente. Di conseguenza, il sig. S. indicava al capomissione che, «[p]er acclarare del tutto [tali fatti], suggeri[va] che i vari messaggi summenzionati fossero considerati una denuncia che conduce all’apertura di un procedimento disciplinare» e che «[l]’indagine preliminare [avrebbe] permesso di stabilire se la denuncia [fosse] fondata o meno». Il sig. S. aggiungeva che, se il capomissione avesse ordinato tale misura, egli avrebbe adottato le disposizioni per avviare l’indagine preliminare per asseriti fatti costituenti molestie o angherie.

22      In un messaggio di posta elettronica inviato più tardi il 10 febbraio 2015, il capomissione esprimeva il suo consenso alla proposta del sig. S. Il capomissione comunicava altresì al sig. S. di ritenere necessaria, inoltre, parallelamente all’indagine preliminare, l’organizzazione di un incontro tra il sig. M., il ricorrente e il sig. X.

23      Non è stata tuttavia aperta alcuna indagine preliminare a seguito di tale scambio di corrispondenza elettronica e non si è tenuto alcun incontro tra il sig. M., il ricorrente e il sig. X.

24      Tra il 19 giugno e il 6 luglio 2015 e tra il 1o ed il 24 agosto 2015, il ricorrente era in ferie.

25      In un messaggio di posta elettronica del 25 agosto 2015 indirizzato al capomissione, il ricorrente rilevava che il sig. M. aveva informato il capomissione di gravi fatti costituenti molestie psicologiche da parte del sig. X., ma di non essere stato sentito né dal capomissione né da una commissione disciplinare. Sostenendo che il comportamento del sig. X. nei suoi confronti continuava a contribuire alla formazione di un ambiente di lavoro malsano, dannoso per la sua salute, il ricorrente chiedeva al capomissione di comunicargli i provvedimenti che intendeva adottare per porre fine a tale situazione.

26      Lo stesso giorno, il capomissione rispondeva di aver comunicato i fatti esposti dal ricorrente, nel febbraio 2015, al vice capomissione, nella sua qualità di responsabile della disciplina, conformemente al punto 8.4.1 del codice di condotta, e che, poiché non aveva avuto alcun riscontro dalle parti interessate, era rimasto dell’impressione che il vice capomissione fosse stato in grado di risolvere la controversia in via amichevole. Il capomissione aggiungeva che, poiché aveva dovuto constatare in quel momento che ciò non era avvenuto, aveva considerato il messaggio di posta elettronica del ricorrente del 25 agosto 2015 come una denuncia formale.

27      In un messaggio di posta elettronica del 28 agosto 2015 indirizzato al capomissione, il ricorrente sosteneva che, dopo le riunioni del comitato di valutazione del dicembre 2014, il sig. X. aveva dimostrato «odio in ogni momento, in quanto qualsiasi attività aveva costituito un’opportunità per denigrar[lo] rimproverar[lo], sminuir[lo], umiliar[lo], anche in pubblico, e in presenza del [su]o personale». Inoltre, il ricorrente informava la Missione che, in data non precisata, nel febbraio o nel marzo 2015, il sig. X. sarebbe entrato nel suo ufficio e avrebbe compiuto un’aggressione fisica nei suoi confronti versandogli del tè bollente sulle gambe.

28      Con lettera del 28 agosto 2015, il capomissione informava il ricorrente che, a seguito della denuncia che aveva depositato il 25 agosto 2015 contro il sig. X., aveva deciso di inviare tale denuncia «per competenza disciplinare» al vice capomissione provvisorio. Il capomissione inoltre informava il ricorrente in tale lettera di aver preso la decisione di vietare al sig. X. di avvicinarsi al ricorrente.

29      In un messaggio di posta elettronica del 30 agosto 2015 indirizzato al capomissione, il ricorrente affermava di «conferm[are] le accuse di aggressione fisica e [di] molestia da parte del [sig. X.]» e chiedeva al destinatario di tale messaggio di considerare tale messaggio di posta elettronica come una denuncia formale.

30      In un certificato emesso il 25 agosto 2015, un medico che il ricorrente aveva consultato in Niger giungeva alla conclusione che lo stato di salute di quest’ultimo richiedeva un’assenza dal lavoro di sette giorni. In un secondo certificato emesso il 27 agosto 2015, tale medico spiegava che lo stato di salute psichica del ricorrente richiedeva un allontanamento di quest’ultimo dal suo ambiente di lavoro. A seguito della visita di controllo effettuata lo stesso giorno, il medico concludeva che non vi erano miglioramenti, che il ricorrente provava una sofferenza psicologica e che si raccomandava vivamente che rientrasse in Europa per consultare uno psichiatra nel più breve tempo possibile.

31      Il 29 agosto 2015, il ricorrente lasciava la Missione per recarsi in un ospedale in Francia.

32      Il 1o settembre 2015, il medico competente dell’ospedale in cui il ricorrente si era recato gli prescriveva un’interruzione del lavoro fino al 14 settembre 2015. Il 9 settembre 2015, uno psichiatra consultato dal ricorrente rilasciava un certificato secondo cui il ricorrente non era in grado di riprendere la sua attività prima del 25 settembre 2015. Tale congedo per malattia è stato prorogato più volte dal medesimo medico, da ultimo fino al 16 luglio 2016. Due di tali certificati, datati rispettivamente 14 ottobre e 26 novembre 2015, facevano riferimento a un «grave stato depressivo».

33      Con messaggio di posta elettronica del 6 ottobre 2015, la Missione informava il ricorrente che, in applicazione dell’articolo 15.3 del suo contratto di lavoro, quest’ultimo non avrebbe più beneficiato di alcuna retribuzione a decorrere dal 30 settembre 2015, ossia 30 giorni dopo l’inizio del suo congedo per malattia.

34      Con messaggio di posta elettronica dell’8 ottobre 2015, un membro del personale della Missione informava il ricorrente di essere stato designato come responsabile dell’indagine preliminare aperta a seguito della sua denuncia contro il sig. X. e gli chiedeva se gli fosse stato possibile recarsi presso la Missione per un’audizione e, in caso di risposta negativa, se avesse ulteriori elementi da comunicargli e se poteva fornire i nominativi dei testimoni che desiderava fossero ascoltati.

35      Attraverso i suoi avvocati, il ricorrente forniva ulteriori informazioni alla Missione.

36      Con lettera del 26 novembre 2015, il capomissione informava il ricorrente che l’indagine disciplinare nei confronti del sig. X. era ormai conclusa, che il comitato disciplinare della missione aveva ravvisato una violazione del codice di condotta e aveva proposto una misura nei confronti del sig. X. e, infine, che egli aveva confermato la decisione del comitato disciplinare e attuato la suddetta misura.

37      Il 25 gennaio 2016, il ricorrente ha formulato, tramite i suoi avvocati, una domanda di risarcimento danni, fondata sull’articolo 340, paragrafo 2, TFUE, nei confronti della Missione.

38      Con lettera dell’8 giugno 2016, la Missione informava il ricorrente che il suo contratto non poteva essere rinnovato oltre il 15 luglio 2016.

39      L’11 luglio 2016, con lettera raccomandata inviata all’indirizzo in Francia che il ricorrente aveva fornito alla missione, una commissione medica francese, su richiesta della Missione, convocava il ricorrente a un controllo medico, fissato per il 13 luglio 2016. Il plico contenente tale convocazione veniva restituito alla commissione medica dal servizio postale, dato che non era stato ritirato dal ricorrente.

40      In un messaggio di posta elettronica del 15 luglio 2016, la Missione informava il ricorrente della restituzione del plico contenente una convocazione a un controllo medico. Essa rilevava inoltre che i certificati medici da esso forniti a partire dal 1o settembre 2015 non erano conformi alle norme contenute nel suo contratto di lavoro e che la Missione ne metteva quindi in dubbio la validità.

 Procedimento e conclusioni delle parti

41      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2016, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

42      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89, paragrafo 3, del suo regolamento di procedura, il Tribunale ha chiesto alla Missione di produrre un documento. La Missione ha dato seguito a tale richiesta nel termine impartito.

43      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89, paragrafo 3, del regolamento di procedura ha posto alle parti taluni quesiti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta nel termine impartito.

44      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti loro posti dal Tribunale all’udienza del 26 ottobre 2017.

45      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;

–        riconoscere la responsabilità della Missione ai sensi dell’articolo 340 TFUE;

–        disporre il risarcimento del danno materiale subito;

–        disporre il risarcimento del danno morale subito, quantificato in EUR 70 000;

–        condannare la Missione alla totalità delle spese.

46      La Missione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sull’oggetto della controversia

47      Tenuto conto dei termini del ricorso, il ricorrente chiede in sostanza al Tribunale di condannare la Missione a risarcire il danno materiale e morale che quest’ultima gli avrebbe causato, omettendo di indagare, in tempo utile, sulle denunce per molestie che egli avrebbe presentato alla Missione nel dicembre 2014 e nel febbraio 2015.

48      Nel suo messaggio di posta elettronica del 28 agosto 2015 indirizzato al capomissione, il ricorrente informava quest’ultimo che il sig. X. avrebbe altresì commesso un’aggressione fisica contro di lui nel febbraio o marzo 2015. Tale presunta aggressione fisica non era tuttavia citata in nessuno dei messaggi di posta elettronica del dicembre 2014 e del febbraio 2015 che, secondo il ricorrente, costituivano denunce per molestie. È vero che, nel suo messaggio di posta elettronica del 30 agosto 2015, anch’esso inviato al capomissione, il ricorrente chiedeva a quest’ultimo di considerare il suo messaggio di posta elettronica del 28 agosto 2015 come una denuncia formale relativa, in particolare, a tale aggressione fisica. Tuttavia, il presente ricorso non verte sul seguito che la Missione ha dato ai messaggi di posta elettronica del 28 e 30 agosto 2015. L’esame del Tribunale, nel caso di specie, deve pertanto limitarsi ad accertare se la Missione abbia adempiuto ai propri obblighi per quanto riguarda le denunce per molestie che il ricorrente ritiene di averle presentato nel dicembre 2014 e nel febbraio 2015.

49      Dall’atto introduttivo emerge che il presente ricorso riguarda la responsabilità contrattuale della Missione, ai sensi dell’articolo 340, paragrafo 1, TFUE, circostanza che il ricorrente ha peraltro confermato nella sua risposta del 10 ottobre 2017 ai quesiti scritti del Tribunale. Gli argomenti addotti dalla Missione per dimostrare che, nel caso di specie, le condizioni necessarie a far sorgere la sua responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 340, paragrafo 2, TFUE, non sarebbero soddisfatte, sono quindi privi di rilevanza.

 Sulla competenza del Tribunale

50      L’articolo 12 bis della decisione 2012/392, applicabile a decorrere dal 16 luglio 2014 ai sensi dell’articolo 2 della decisione 2014/482 (v. il precedente punto 3) ha introdotto la capacità della Missione di stipulare contratti e di stare in giudizio, conferendole pertanto capacità giuridica. Risulta, inoltre, dall’articolo 7, paragrafi 3 e 4, della decisione 2012/392 che la Missione può assumere personale su base contrattuale e che le condizioni d’impiego nonché i diritti e gli obblighi di tale personale sono stabiliti nei contratti conclusi tra il capomissione e i membri del personale.

51      Ai sensi dell’articolo 272 TFUE, la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall’Unione o per conto di questa. Nel caso di specie, il primo contratto di lavoro del ricorrente con la Missione conteneva una clausola che attribuiva la competenza ai giudici di Bruxelles (Belgio). Per contro, sia il contratto di lavoro concluso tra la Missione e il ricorrente per il periodo compreso tra il 16 luglio 2014 e il 15 luglio 2015 sia quello stipulato tra tali due parti per il periodo compreso tra il 16 luglio 2015 e il 15 luglio 2016 contengono una clausola che attribuisce la competenza alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Poiché i fatti che hanno dato luogo al presente ricorso si sono svolti durante i periodi coperti da questi ultimi due contratti di lavoro, il presente ricorso può essere fondato sull’articolo 272 TFUE. Inoltre, secondo l’articolo 256, paragrafo 1, TFUE, il Tribunale è competente a conoscere in primo grado i ricorsi di cui all’articolo 272 TFUE.

52      A norma dell’articolo 20 dei due ultimi contratti di lavoro conclusi tra il ricorrente e la Missione, le controversie concernenti l’interpretazione di tali contratti devono essere sottoposte ad arbitrato. Tuttavia, tale articolo prevede espressamente che tale attribuzione fa salva la possibilità di sottoporre la controversia alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Le disposizioni del presente articolo non ostano quindi a che il ricorrente sottoponga la presente controversia al Tribunale.

53      Inoltre, si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza, il giudice dell’Unione è competente a conoscere dei ricorsi relativi alla gestione del personale da parte delle Missioni PSDC, anche quando tale gestione riguarda operazioni «sul campo» (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e Commissione, C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punti da 54 a 60).

54      Il Tribunale è dunque competente a conoscere del presente ricorso, il che, del resto, non viene contestato dalla Missione.

 Sulla ricevibilità

55      La Missione contesta la ricevibilità del ricorso.

56      In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento che la Missione ha dedotto in udienza, secondo cui il ricorso sarebbe irricevibile perché il ricorrente non avrebbe rispettato la procedura precontenziosa, è sufficiente rilevare che, nella misura in cui tale affermazione significa che il ricorrente era tenuto a rivolgersi alla Missione prima dell’introduzione del presente ricorso, tale obbligo è stato, in ogni caso, adempiuto nel caso di specie. Infatti, la domanda di risarcimento che il ricorrente ha inviato alla Missione il 25 gennaio 2016, benché fosse formalmente basata sull’articolo 340, paragrafo 2, TFUE, ha lo stesso oggetto del presente ricorso.

57      In secondo luogo, la Missione sostiene che il presente ricorso è irricevibile per quanto riguarda le conclusioni dirette al risarcimento dei danni asseriti, causati dalla sua decisione di non versare più la retribuzione del ricorrente a partire dal 30 settembre 2015 (v. punto 33 supra). Poiché il ricorrente non avrebbe presentato reclamo contro tale decisione della Missione, non potrebbe più rimettere in discussione detta decisione mediante una domanda di risarcimento danni. A tale riguardo, è sufficiente rilevare che il ricorrente non fonda, in quanto tale, il suo ricorso per risarcimento sul danno connesso alla decisione della Missione di non versargli più la retribuzione a decorrere dal 30 settembre 2015. Infatti, il presente ricorso riguarda i danni derivanti dal fatto che la Missione ha omesso di aprire un’indagine sulle denunce per molestie che il ricorrente ritiene di averle presentato nel dicembre 2014 e nel febbraio 2015, di cui un danno sarebbe costituito dalla soppressione del suo stipendio. Pertanto, tale argomento deve essere respinto, non essendo necessario pronunciarsi sulla questione se il ricorrente avrebbe dovuto proporre un reclamo contro la decisione di non versargli uno stipendio a partire dal 30 settembre 2015.

58      In terzo luogo, nella sua risposta dell’11 ottobre 2017 ai quesiti scritti del Tribunale, e nell’ambito delle sue osservazioni concernenti il diritto francese, la Missione ha sostenuto che, in assenza di fatti precisi, obiettivi e concordanti che consentano di presumere l’esistenza di molestie, il Tribunale dovrebbe dichiarare il ricorso irricevibile. In udienza e in risposta a un quesito del Tribunale, la Missione ha sostenuto che tale conclusione si imporrebbe a prescindere dal diritto applicabile nel caso di specie. Tale argomento, in ogni caso, deve essere respinto, dato che il presente ricorso non è fondato sul danno derivante da asserite molestie, ma sul danno derivante dal fatto che la Missione ha omesso di aprire un’indagine sulle denunce per molestie che il ricorrente ritiene di averle presentato nel dicembre 2014 e nel febbraio 2015.

59      In quarto e ultimo luogo, anche l’argomento che la Missione cerca di trarre dal contenuto del messaggio di posta elettronica inviato al capomissione il 30 agosto 2015 deve essere respinto. È vero che, in tale messaggio, il ricorrente dichiara di «conferma[re] formalmente di non sporgere denuncia» sul «fatto che l’indagine preliminare che [il capomissione] av[eva] disposto non abbia avuto luogo o abbia avuto luogo senza [la su]a testimonianza». Orbene, come sottolineato dal ricorrente in udienza, tale osservazione non può essere considerata come una rinuncia alla possibilità di presentare un ricorso dinanzi al Tribunale. Infatti, una tale rinuncia deve essere chiara e inequivocabile per poter mettere in discussione la ricevibilità di un ricorso. Orbene, ciò non avviene nel caso di specie. A tale riguardo, è sufficiente rilevare che l’osservazione citata dalla Missione non fa alcun riferimento alla possibilità di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale.

60      Alla luce di quanto precede, il presente ricorso deve essere dichiarato ricevibile.

 Nel merito

 Per quanto riguarda il diritto applicabile

61      Secondo l’articolo 340, paragrafo 1, TFUE, la responsabilità contrattuale dell’Unione è regolata dalla legge applicabile al contratto in causa.

62      Nel caso di specie, i contratti di lavoro del ricorrente non specificano la legge applicabile a tali contratti.

63      In risposta ad un quesito del Tribunale su tale punto, il ricorrente ha fatto valere che, in via principale, costituirebbero il fondamento giuridico della responsabilità della Missione le clausole dei suddetti contratti, comprese quelle del codice di condotta, e gli atti dell’Unione in virtù dei quali i contratti in questione sono stati adottati. In subordine, occorrerebbe far riferimento al codice civile del Niger e in particolare all’articolo 1134, primo comma, di quest’ultimo.

64      La Missione, dal canto suo, ha fatto valere che la sua responsabilità contrattuale sorgerebbe dai contratti di lavoro conclusi tra essa stessa e il ricorrente. Se, eccezionalmente, il Tribunale dovesse esaminare il diritto nazionale a tal riguardo, sarebbero rilevanti le disposizioni del diritto francese, in particolare quelle del codice del lavoro francese.

65      All’udienza, in risposta ai quesiti del Tribunale su questo punto, le parti hanno confermato che, a loro giudizio, per esaminare l’eventuale responsabilità contrattuale della Missione, è sufficiente esaminare i contratti di lavoro di cui trattasi, comprese le disposizioni del codice di condotta, e che non sia necessario fare riferimento a un diritto nazionale.

66      Il Tribunale ritiene che il presente ricorso possa effettivamente essere esaminato unicamente sulla base dei contratti di lavoro in questione, comprese le disposizioni del codice di condotta che ne fanno parte integrante, alla luce dei principi generali del diritto dell’Unione in materia di responsabilità contrattuale. Secondo tali principi, devono essere soddisfatte tre condizioni affinché un’azione per responsabilità contrattuale possa avere un esito favorevole, vale a dire, anzitutto, che l’istituzione di cui trattasi non abbia adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali, poi, che la parte ricorrente abbia subito un danno e, infine, che vi sia un nesso di causalità fra il comportamento di detta istituzione e il danno stesso.

67      Non è dunque necessario esaminare la questione se, come sostenuto dal ricorrente in udienza, le prove che la Missione ha prodotto per dimostrare l’eventuale applicazione del diritto francese fossero irricevibili.

 Sulla violazione delle obbligazioni contrattuali da parte della Missione

68      Il ricorrente fa valere che, sebbene egli abbia presentato alla Missione, con i messaggi di posta elettronica del 17 dicembre 2014, del 7 e 9 febbraio 2015, denunce per molestie da parte di un collega di cui sarebbe stato vittima, la Missione non avrebbe dato seguito a tali denunce, in violazione di numerose disposizioni del punto 8.4 del codice di condotta.

69      Secondo il ricorrente, tale violazione è caratterizzata dal fatto che, da un lato, lo stesso vice capomissione, sig. S., aveva, nel suo messaggio di posta elettronica del 10 febbraio 2015, ritenuto che i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 dovevano essere considerati come una denuncia formale per molestie e suggeriva, pertanto, l’apertura di un’indagine preliminare e che, dall’altro, tale proposta era stata espressamente approvata dal capomissione il giorno stesso. Orbene, non sarebbe stato dato alcun seguito a tale decisione di aprire un’indagine preliminare.

70      A tale riguardo, il ricorrente fa valere che il punto 8.4.1 del codice di condotta prevede che, in caso di denuncia di una violazione delle disposizioni di detto codice, deve obbligatoriamente essere aperta un’indagine preliminare. La Missione non avrebbe dunque avuto alcun margine di discrezionalità, una volta preso atto delle denunce presentate dal ricorrente e averle considerate come una denuncia formale.

71      La missione avrebbe quindi violato, in modo particolarmente grave, le norme contrattuali, vale a dire quelle che essa stessa si era prefissata in materia di buona condotta e di indagini interne. Tali norme avrebbero lo scopo di tutelare i membri del personale della Missione, e in particolare di tutelarli in caso di situazioni di molestie o intimidazioni da parte di colleghi.

72      Nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente aggiunge di avere già sottolineato che la situazione in cui si trovava all’epoca arrecava una peggioramento al suo stato di salute, cosa di cui il vice capomissione aveva informato il capomissione.

73      La Missione contesta tali argomenti.

74      Risulta dal punto 8.4.1 del codice di condotta che, nel caso di una presunta violazione, segnatamente, delle disposizioni del detto codice, segnalata o rilevata, si apre un’indagine preliminare. Ne consegue che, come sostenuto dal ricorrente, l’apertura di un’indagine preliminare è obbligatoria in un caso del genere e che, a tal riguardo, la Missione non dispone di alcun margine di discrezionalità.

75      Si deve inoltre rilevare che le disposizioni del punto 8.4.1 del codice di condotta devono essere lette in combinato disposto con quelle del punto 7.1 del medesimo codice, secondo cui i membri del personale della Missione hanno il diritto e l’obbligo di presentare denuncia scritta al capomissione in ogni caso di asserita condotta scorretta, malversazione o incompetenza (v. punto 9 supra). Risulta da tali disposizioni che un membro del personale della Missione, che ritiene di essere vittima di molestia e chiede che sia aperta un’indagine preliminare a tal proposito da parte di quest’ultima, deve presentare una denuncia scritta rivolta al capomissione. Poiché il punto 8.4.3 del codice di condotta fa riferimento al «membro del personale ritenuto responsabile» in tale contesto, è chiaro che la denuncia deve riguardare una persona identificata.

76      Per quanto riguarda, anzitutto, il messaggio di posta elettronica del ricorrente del 17 dicembre 2014, tali condizioni non sono certamente soddisfatte.

77      In primo luogo, è pacifico che, in tale messaggio, il ricorrente non ha rivelato l’identità del sig. X. Il fatto che da tale messaggio di posta elettronica risulterebbe che si trattava di un valutatore che era membro di un comitato di selezione, identificato dal ricorrente, e che vi erano solo tre valutatori in tale comitato, di cui due uomini, non inficia tale conclusione.

78      In secondo luogo, sebbene il ricorrente abbia fortemente criticato, nel suo messaggio di posta elettronica del 17 dicembre 2014, l’atteggiamento che il sig. X. aveva adottato nelle discussioni all’interno del comitato di valutazione, egli non ha formulato alcuna censura specifica che avrebbe lasciato intendere che riteneva che il comportamento del sig. X. costituisse una fattispecie di molestia. È vero che, nel proprio ricorso, il ricorrente ha sostenuto che, nel suo messaggio di posta elettronica del 17 dicembre 2014, aveva denunciato un conflitto d’interessi riguardante il sig. X in relazione alla procedura negoziata che costituiva oggetto delle discussioni in seno al comitato di valutazione. Orbene, oltre al fatto che nessuna indicazione in tal senso sia contenuta nel messaggio di posta elettronica del ricorrente del 17 dicembre 2014, quest’ultimo non ha in alcun modo spiegato come tale conflitto d’interessi avrebbe potuto dare luogo a molestie. In ogni caso, il ricorrente non ha spiegato come l’eventuale omissione da parte della Missione di aprire un’indagine preliminare su tale conflitto d’interessi avrebbe potuto far sorgere la responsabilità contrattuale della medesima nei suoi confronti.

79      In terzo luogo, va notato che, nel suo messaggio di posta elettronica del 17 dicembre 2014, il ricorrente si è detto disposto a redigere «una relazione circostanziata dettagliata» per il capomissione, se il destinatario di tale messaggio lo avesse voluto. Orbene, il ricorrente non ha affermato di avere in seguito trasmesso tale relazione o di aver presentato al capomissione una denuncia contro il comportamento del sig. X. all’interno del comitato di valutazione in questione.

80      In quarto e ultimo luogo, si deve osservare che, nel ricorso, il ricorrente stesso ha sostenuto di avere, per la prima volta nel febbraio 2015, denunciato una situazione di molestie psicologiche.

81      Per quanto riguarda, poi, il messaggio di posta elettronica che il ricorrente ha inviato al sig. M., capo dell’amministrazione ad interim della Missione, il 7 febbraio 2015, occorre rilevare che, in tale messaggio, il ricorrente ha fornito il nome del sig. X., ha menzionato taluni comportamenti che riteneva inadeguati e ha espresso l’auspicio che si potesse trovare una soluzione. Occorre tuttavia rilevare anche che, in tale messaggio, il ricorrente si è limitato a chiedere assistenza al sig. M. a seguito del comportamento del sig. X., spiegando che era pervenuto alla conclusione che, in quel momento, non si sentiva in obbligo di presentare una denuncia formale al capomissione. Il messaggio di posta elettronica del 7 febbraio 2015, in quanto tale, non può quindi essere considerato come una denuncia ai sensi del punto 7.1 del codice di condotta.

82      Per quanto riguarda, infine, il messaggio di posta elettronica che il ricorrente ha inviato al sig. M. il 9 febbraio 2015, occorre rilevare che tale messaggio costituiva la risposta del ricorrente al messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, con il quale il sig. M. aveva risposto al suo messaggio di posta elettronica del 7 febbraio 2015. Nella suddetta risposta, il sig. M. aveva indicato tre opzioni al ricorrente, compresa quella consistente nel presentare una denuncia formale al capomissione. Come correttamente osservato dalla Missione nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente non ha tuttavia scelto nessuna di siffatte opzioni, pur esprimendo una preferenza per una soluzione amministrativa. Inoltre, il fatto che, nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente abbia menzionato la possibilità che il capo dell’amministrazione ad interim della Missione informasse il capomissione circa i problemi riscontrati con il sig. X. «fino a che [si sarebbe] sen[tito] meglio per presentare una denuncia formale» suggerisce che egli ritenesse di non avere ancora formulato una siffatta denuncia. Infine, occorre rilevare che il messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015 non era indirizzato al capomissione, sebbene, secondo il punto 7.1 del codice di condotta, avrebbe dovuto essergli presentata una denuncia per molestie.

83      Nonostante tali elementi, il Tribunale ritiene che la Missione abbia legittimamente e opportunamente considerato i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015, letti congiuntamente, come una denuncia formale.

84      In primo luogo, va rilevato che, nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, contrariamente a quanto sostiene la Missione, il ricorrente ha precisato che si riteneva vittima di «molestie psicologiche» da parte del sig. X.

85      In secondo luogo, sebbene il ricorrente non avesse espressamente scelto una delle tre opzioni che gli erano state presentate, ha informato il sig. M., nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, che, dopo l’incidente riferito in tale messaggio, si era sentito male e che quindi si era recato addirittura in infermeria, dove gli era stato somministrato un farmaco. Il ricorrente ha aggiunto di aver provato qualche vertigine, o a causa del farmaco, o a causa di ciò che riteneva essere una forma di molestia psicologica, e che non poteva quindi nemmeno rispondere alla proposta che il sig. M. gli aveva fatto. Ha anche fatto riferimento alla possibilità che il capomissione fosse informato dei suoi problemi con il sig. X. sino quando si sarebbe sentito meglio per presentare una denuncia formale. Da tali osservazioni si deduce che il ricorrente riteneva di essere vittima di molestie, di aver avuto problemi di salute connessi a tali molestie e che il suo stato di salute non gli consentiva in quel momento di presentare una denuncia formale per molestie. È evidente che la Missione avrebbe dovuto prendere in considerazione tali elementi aggiuntivi per decidere il seguito da dare al messaggio di posta elettronica del ricorrente del 9 febbraio 2015. In particolare, spettava alla Missione, in virtù del suo dovere di sollecitudine, prendere in considerazione il fatto che, sebbene potenziali fatti costituenti molestie fossero stati individuati da un membro del suo personale, quest’ultimo non era in grado di presentare una denuncia nella debita forma in quel momento, a causa di problemi di salute che, secondo l’interessato, erano connessi a tali molestie.

86      In terzo luogo, nel messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente sottolineava di aver fiducia nel giudizio del sig. M. e che, nel caso in cui il sig. M. fosse giunto alla conclusione che esisteva un grave problema da sottoporre al capomissione, gli sarebbe stato grato se avesse voluto informarlo. Ne consegue che il ricorrente si rimetteva alla valutazione del sig. M. quanto al seguito da dare ai suoi messaggi di posta elettronica. Si deve quindi prendere in considerazione anche la valutazione concreta compiuta nella fattispecie dal sig. M. a tal proposito.

87      In quarto luogo, occorre rilevare che, nella sua risposta del 10 febbraio 2015, il sig. M. informava il ricorrente che, «avendo il dovere di sollecitudine, e data la gravità dei fatti riferiti [da quest’ultimo], riten[eva] di non avere altra alternativa se non inoltrare il [su]o messaggio di posta elettronica al [capomissione] e [al suo vice], le sole autorità competenti nella Missione responsabili per il codice di condotta e per trattare questo genere di questione disciplinare».

88      Per quanto riguarda il messaggio di posta elettronica del 10 febbraio 2015 del sig. M. e il seguito che gli è stato riservato, occorre rilevare quanto segue.

89      In primo luogo, tanto il capo che il vice capomissione erano destinatari del messaggio di posta elettronica del sig. M. del 10 febbraio 2015. Inoltre, risulta dagli atti che i due messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 erano stati effettivamente trasmessi al capomissione il 10 febbraio 2015. Orbene, benché il punto 7.1 del codice di condotta richieda che le denunce alle quali tale disposizione fa riferimento siano presentate al capomissione, esso non precisa che il denunciante debba trasmettere obbligatoriamente la sua denuncia direttamente al capomissione e che sia escluso che un terzo trasmetta tale denuncia, ricevuta da parte del denunciante e con il consenso di quest’ultimo, al capomissione.

90      In secondo luogo, risulta dal messaggio di posta elettronica del sig. M. del 10 febbraio 2015 che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Missione, egli non si è limitato a informare il capomissione dei problemi che il ricorrente aveva riscontrato con il sig. X., in attesa di una denuncia formale che il ricorrente avrebbe potuto, se del caso, presentare al capomissione. Al contrario, risulta chiaramente dalla formulazione di tale messaggio che il sig. M. era del parere che si trattasse, nella fattispecie, di una questione disciplinare che doveva essere gestita dagli organi competenti della Missione. Infatti, se il sig. M. avesse semplicemente inteso informare il capomissione dei problemi del ricorrente, non avrebbe avuto alcun bisogno di mettere in copia il vice capomissione e di sottolineare che tali due destinatari erano le «sole autorità competenti nella Missione, responsabili del codice di condotta e per trattare questo genere di questione disciplinare».

91      In terzo luogo, si deve rilevare che, in un messaggio di posta elettronica inviato al capomissione più tardi il 10 febbraio 2015, il sig. S., vice capomissione, constatava che il ricorrente si lamentava del comportamento del sig. X. e proponeva di considerare i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e del 9 febbraio 2015 come una denuncia intesa all’apertura di un procedimento disciplinare. Il sig. S. aggiungeva che, se il capomissione avesse ordinato tale misura, egli avrebbe adottato le disposizioni per avviare l’indagine preliminare per asseriti fatti integranti molestie o angherie. Occorre inoltre rilevare che il capomissione, nella risposta inviata il 10 febbraio 2015 al vice capomissione, manifestava il proprio consenso alla proposta che quest’ultimo gli aveva fatto. Da tale corrispondenza risulta che sia il capomissione sia il suo vice erano del parere che i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 potevano e dovevano essere considerati come una denuncia ai sensi del codice di condotta e che si dovesse aprire un’indagine preliminare.

92      Il fatto che si trattasse di corrispondenza interna che è stata portata a conoscenza del ricorrente soltanto verso la fine del mese di agosto 2015 non ha alcuna rilevanza al riguardo, poiché ciò che rileva nel caso di specie è il modo in cui la Missione ha interpretato i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015. La stessa conclusione si impone per quanto riguarda l’argomento della Missione secondo cui il capomissione non aveva il potere di ordinare l’apertura di un’indagine preliminare. Anche se così fosse stato, contrariamente alla premessa su cui il vice capomissione stesso si era basato nel suo messaggio di posta elettronica del 10 febbraio 2015, ciò non inficerebbe la conclusione secondo cui sia il capomissione sia il suo vice avevano ritenuto che nel caso di specie fosse necessario aprire un’indagine preliminare. Non è quindi necessario valutare se detto argomento della Missione debba in ogni caso essere respinto in quanto tardivo e, pertanto, irricevibile, come il ricorrente ha sostenuto in udienza.

93      In quarto luogo, dato che dal suo messaggio di posta elettronica del 10 febbraio 2015 risulta che il sig. M. intendeva inoltrare i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 al capomissione e al suo vice, affinché questi ultimi potessero eseguire l’azione richiesta dal codice di condotta, il ricorrente non aveva affatto bisogno di intraprendere ulteriori iniziative al riguardo. In particolare, non era nemmeno necessario per il ricorrente rivolgersi direttamente al capomissione a tal proposito, presentandogli una denuncia formale che facesse riferimento ai fatti esposti nei suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015. Il messaggio di posta elettronica del sig. M. non fa peraltro alcun riferimento al fatto che sarebbe stata necessaria una tale denuncia supplementare. Lo stesso vale per lo scambio di messaggi di posta elettronica del 10 febbraio 2015 tra il capomissione e il suo vice.

94      In quinto e ultimo luogo, va rilevato che, nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente aveva insistito, qualora il sig. M. avesse ritenuto di poter trovare una soluzione a livello dell’amministrazione, affinché il sig. M. riflettesse sulle misure provvisorie eventualmente adottabili per garantire la sua protezione, vale a dire vietare al sig. X. di entrare nel suo ufficio e di rivolgergli la parola fino a quando non si fosse trovata una soluzione. Tuttavia, è pacifico che all’epoca non è stato dato seguito a tale richiesta. Orbene, se la Missione avesse ritenuto che il ricorrente avrebbe dovuto comunque presentare una denuncia formale al capomissione per consentire l’apertura di un’indagine preliminare, avrebbe dovuto pronunciarsi, in attesa di tale denuncia, in merito a detta domanda.

95      Tali considerazioni non sono rimesse in discussione dal fatto che, nel suo messaggio di posta elettronica del 30 agosto 2015, il ricorrente chiedeva al capomissione di considerare tale messaggio di posta elettronica come una denuncia formale. Infatti, come indicato ai punti da 91 a 93 supra, sia il capomissione che il suo vice hanno ritenuto che i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e del 9 febbraio 2015 costituissero una denuncia formale e che doveva essere aperta un’indagine preliminare, di modo che, in tale fase, il ricorrente non aveva più necessità di intraprendere ulteriori iniziative.

96      Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che il fatto che non sia stata aperta nessuna indagine preliminare a seguito dei messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 costituisca una violazione del punto 8.4 del codice di condotta e, quindi, un inadempimento contrattuale imputabile alla Missione.

97      Nessuno degli altri argomenti dedotti dalla Missione contro tale conclusione è convincente.

98      In primo luogo, la Missione fa riferimento alla spiegazione proposta dal suo capo nel suo messaggio di posta elettronica al ricorrente del 25 agosto 2015, vale a dire che, non essendo pervenuta alcuna risposta delle parti interessate, gli era rimasta l’impressione che il vice capomissione fosse stato in grado di comporre in via amichevole la controversia tra il ricorrente e il sig. X. Orbene, la Missione non nega che tale composizione non sia stata raggiunta. In ogni caso, e come ha correttamente sostenuto il ricorrente, spettava al capomissione informarsi sul seguito dato all’indagine preliminare sulla cui apertura aveva concordato con il suo vice.

99      In secondo luogo, la Missione suggerisce che un’indagine preliminare non era necessaria, dato che i fatti addotti dal ricorrente non integravano molestie e non erano suffragati da prove sufficienti. Tale argomentazione deve essere respinta. Da un lato, la Missione non ha dimostrato che nessuno dei fatti esposti nei messaggi di posta elettronica del 7 e del 9 febbraio 2015 potesse costituire un caso di molestie, ai sensi del punto 2.5 del codice di condotta. Dall’altro, non risulta in alcun modo dal codice di condotta che un’indagine preliminare sarebbe giustificata solo qualora il denunciante abbia già presentato prove sufficienti a dimostrare che una molestia abbia effettivamente avuto luogo.

100    In terzo luogo, la Missione sostiene che, tra febbraio e agosto 2015, il ricorrente non ha chiesto informazioni in merito all’indagine che, a suo parere, avrebbe dovuto essere avviata nel febbraio 2015. Orbene, la Missione non ha spiegato come questo fatto avrebbe potuto essere pertinente per risolvere la questione se essa avesse commesso un inadempimento contrattuale omettendo di avviare tale indagine preliminare concernente i messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015. La stessa conclusione si impone a proposito dell’argomento della Missione secondo cui, nel periodo compreso tra febbraio e agosto 2015, il ricorrente non avrebbe esposto alcun problema e non avrebbe informato la Missione dell’eventuale necessità di un sostegno psicologico.

101    In quarto e ultimo luogo, la circostanza invocata dalla Missione secondo cui quest’ultima aveva mantenuto l’ultimo contratto di lavoro del ricorrente, nonostante essa avrebbe potuto porvi fine in quanto ritiene che il comportamento del ricorrente sia qualificabile come grave inadempimento ‑ vale a dire gli insulti e le dichiarazioni diffamatorie che avrebbe proferito in messaggi di posta elettronica da esso inviati alla Missione dal 28 al 30 agosto 2015 ‑, non ha alcuna rilevanza per la soluzione della questione se, avendo omesso di aprire un’indagine preliminare nel febbraio 2015, la Missione abbia commesso un inadempimento contrattuale.

 Sulle voci di danno fatte valere dal ricorrente

102    La prima voce di danno fatta valere dal ricorrente è di natura morale. A causa dell’inerzia della Missione, egli avrebbe continuato a subire una situazione di molestie tra i mesi di febbraio e di agosto 2015, il che avrebbe potuto e dovuto essere evitato. Secondo il ricorrente, tale «discesa agli inferi» è dimostrata, fra l’altro, dalla gravità del suo stato di salute al momento della sua partenza dalla Missione, ma anche dalla terapia farmacologica che i medici sarebbero stati costretti a prescrivergli. Il danno morale sarebbe altresì costituito dalle conseguenze sanitarie connesse a tale situazione di molestie, ossia la grave depressione che subirebbe tuttora, la terapia che ne conseguirebbe e l’inattività professionale a cui sarebbe stato costretto dalle sue assenze per malattia.

103    Tale danno morale sarebbe stato aggravato dall’atteggiamento della Missione durante le interruzioni dell’attività lavorativa del ricorrente. Da un lato, essa non avrebbe adottato alcuna iniziativa per farlo rientrare al lavoro. Al contrario, la Missione avrebbe atteso l’11 luglio 2016 per inviargli, al suo indirizzo ufficiale, una convocazione per un presunto controllo medico, peraltro su una base giuridica discutibile, che avrebbe dovuto aver luogo soltanto due giorni più tardi, sapendo perfettamente che egli risiedeva in realtà altrove. Dall’altro, la Missione avrebbe rimesso in discussione la validità di tutti i suoi certificati medici a causa della loro trasmissione per posta elettronica, mentre aveva confermato, dopo aver ricevuto il primo di tali certificati, che un invio per posta non era necessario. Questo atteggiamento sarebbe privo di ogni sollecitudine, improntato a malafede e sleale. Essa avrebbe quindi contribuito ad aggravare il danno morale del ricorrente.

104    Secondo il ricorrente, il danno morale da esso subito può essere valutato equitativamente, nella somma di 70 000 EUR.

105    La seconda voce di danno fatta valere dal ricorrente è di natura materiale. La Missione dovrebbe pagargli un risarcimento pari alla retribuzione dovuta per il periodo compreso tra il 29 settembre 2015 ‑ data in cui il pagamento era stato interrotto a causa delle sue assenze dal lavoro ‑ e il 15 luglio 2016 ‑ data di cessazione del terzo contratto di lavoro con la Missione ‑ oltre agli interessi e alle ferie non godute. Infatti, le sue assenze per malattia sarebbero state dovute al peggioramento del suo stato di salute, connesso alla situazione di molestie sul luogo di lavoro alla quale era stato esposto. La somma da rimborsare a titolo della perdita di retribuzione del ricorrente tra il 1o settembre 2015 e il 15 luglio 2016 sarebbe pari complessivamente a 73 774 EUR.

106    Secondo il ricorrente, la sua terza voce di danno, anch’essa di natura materiale, è costituita dalla perdita della possibilità di rinnovo del suo contratto. Infatti, è stato solo a causa dell’impossibilità di procedere a una valutazione delle sue prestazioni che il suo contratto non sarebbe stato rinnovato. Considerate le sue eccellenti prestazioni nel passato e la persistente necessità della Missione dei servizi di un agente responsabile degli approvvigionamenti, le sue possibilità di rinnovo annuale del contratto dovrebbero essere valutate almeno all’80%. Di conseguenza, gli dovrebbe essere riconosciuto un risarcimento di importo pari all’80% della retribuzione che il ricorrente avrebbe percepito in caso di rinnovo del suo contratto.

107    La Missione contesta tali argomenti del ricorrente.

108    A tale proposito, occorre rilevare, per quanto riguarda lo stato di salute del ricorrente, che quest’ultimo, infatti, come osserva la Missione, non ha prodotto alcuna perizia medica per corroborare la sua domanda di risarcimento.

109    Tuttavia, risulta dagli atti che il medico consultato dal ricorrente in Niger verso la fine del mese di agosto 2015, ha constatato che il ricorrente aveva una sofferenza psicologica. Risulta inoltre da tali atti che il ricorrente è stato collocato in malattia dal 25 agosto 2015 fino al termine del suo contratto di lavoro con la Missione nel luglio 2016. Infine, ne risulta che, nei suoi certificati che autorizzano assenze per malattia, lo psichiatra consultato dal ricorrente in Francia ha fatto riferimento, due volte, ad una «grave depressione».

110    È vero che dagli atti emerge che lo stato di salute del ricorrente non era tale da richiedere il ricovero in ospedale in Niger o in Francia. È anche vero che l’affermazione del ricorrente secondo la quale la gravità del suo stato di salute alla fine del mese di agosto 2015 sarebbe confermata dalla terapia farmacologica che i medici sarebbero stati costretti a prescrivergli non è dimostrata, dato che i certificati medici che il ricorrente ha presentato al Tribunale non fanno alcuna menzione di una terapia farmacologica. Resta nondimeno il fatto che, dai documenti a disposizione del Tribunale, risulta che vi è stato un significativo peggioramento dello stato di salute del ricorrente e che questo peggioramento ha avuto luogo dopo che il ricorrente aveva, con i suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015, richiamato l’attenzione della Missione su quello che riteneva essere un caso di molestie nei suoi confronti da parte del sig. X.

111    In tali circostanze, il Tribunale ritiene che l’esistenza di un danno morale, connesso a tale peggioramento dello stato di salute del ricorrente, non possa essere negato.

112    Per quanto riguarda il danno materiale fatto valere dal ricorrente, è pacifico che il pagamento della retribuzione di quest’ultimo è stato interrotto il 29 settembre 2015 e che il ricorrente ha quindi perso il resto della retribuzione che gli sarebbe stata dovuta ai sensi del suo ultimo contratto di lavoro, fino alla sua cessazione, se fosse stato in grado di continuare a lavorare, nonché i diritti alle ferie per tale periodo. È vero che l’articolo 15.7 dell’ultimo contratto di lavoro del ricorrente prevede che le assenze per malattia sono considerate equivalenti ai periodi di servizio nel limite di 30 giorni di calendario al massimo e che nessun diritto copre un periodo di assenza per malattia oltre tale limite. Orbene, il fatto che detta clausola abbia consentito alla Missione, o l’abbia persino obbligata, a cessare il pagamento della retribuzione del ricorrente non inficia in alcun modo la conclusione che quest’ultimo ha quindi perso la retribuzione che avrebbe guadagnato e che, di conseguenza, ha subito un danno materiale.

113    Per quanto riguarda la possibilità di ottenere un ulteriore contratto di lavoro, è vero che il ricorrente non godeva di un diritto acquisito al rinnovo del suo contratto di lavoro con la Missione. Quest’ultima non ha però contestato l’argomento del ricorrente secondo cui, in considerazione delle eccezionali prestazioni svolte nel passato e della persistente necessità della Missione per il tipo di servizi che egli aveva fornito, le sue possibilità di rinnovo annuale del contratto dovrebbero essere valutate almeno all’80%. Infatti, la Missione si è limitata, a tal proposito, a sostenere che il poco tempo in cui il ricorrente aveva lavorato nel periodo coperto dal suo terzo contratto di lavoro non le aveva consentito di procedere alla valutazione delle prestazioni del ricorrente in vista di un eventuale rinnovo del suo contratto. Orbene, il ricorrente sostiene che è stato proprio l’inadempimento contrattuale commesso dalla Missione ad avere inciso sul suo stato di salute in modo tale che non gli era stato possibile ritornare al lavoro. In tali circostanze, non si può negare nemmeno l’effettività di un danno materiale per quanto riguarda la perdita di una possibilità di ottenere un nuovo contratto.

114    Gli altri argomenti addotti dalla Missione in tale contesto non sono atti a rimettere in discussione tali conclusioni.

115    In primo luogo, l’argomento della Missione secondo cui, all’inizio del 2015, il ricorrente non avrebbe nascosto ai suoi colleghi che stava cercando una via di uscita dalla Missione, oltre a non essere suffragato da alcun elemento concreto, non è idoneo a rimettere in discussione la conclusione che un notevole peggioramento dello stato di salute del ricorrente abbia avuto luogo tra i mesi di febbraio e di agosto 2015.

116    In secondo luogo, il fatto che il ricorrente tra i mesi di febbraio e di agosto 2015 non abbia mai contattato la Missione in relazione a un eventuale malessere psicologico e non abbia chiesto alla Missione quale fosse stato il seguito dato ai suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015 prima del mese di agosto 2015 non è tale da rimettere in discussione tale conclusione.

117    In terzo luogo, la stessa conclusione si impone, evidentemente, per quanto riguarda l’argomento della Missione secondo cui il ricorrente avrebbe organizzato la sua partenza dalla Missione verso la fine di agosto 2015 con modalità che suggerivano che non prevedesse di farvi ritorno.

118    La Missione ha inoltre sostenuto taluni argomenti che si riferiscono al periodo successivo alla partenza del ricorrente dal suo posto di lavoro alla fine del mese di agosto 2015. Da un lato, la Missione sostiene che il ricorrente avrebbe omesso di accettare le richieste della Missione intese a sottoporlo ad una perizia medica per valutare il suo stato di salute e la sua eventuale inidoneità al lavoro. Dall’altro, l’assenza del ricorrente dal suo luogo di lavoro sarebbe stata ingiustificata e non potrebbe quindi dar luogo ad una compensazione risarcitoria, in quanto il ricorrente avrebbe omesso di presentare certificati medici validi e verificabili, sarebbe stato residente in un luogo sconosciuto alla Missione e sarebbe stato impossibile procedere ad una perizia o ad un controllo medico per motivi imputabili al ricorrente. Tuttavia, il Tribunale ritiene che sia necessario esaminare tali argomenti solo se il ricorrente è in grado di dimostrare un nesso di causalità tra l’inadempimento contrattuale della Missione e i danni morali e materiali subiti nel periodo successivo alla partenza dalla Missione, cosa che occorre quindi esaminare nel prosieguo.

 Sul nesso di causalità

119    Il ricorrente sostiene che, a causa dell’inerzia della Missione, la situazione di molestie denunciata sin dal mese di febbraio 2015 si è protratta e si è aggravata e ha portato all’interruzione del lavoro per malattia, a partire dal 25 agosto 2015. Sarebbe pacifico che tale assenza dal lavoro sarebbe stata dovuta in particolare ad uno stato depressivo, considerato grave, connesso alla situazione di molestie vissuta sul luogo di lavoro. Quest’ultimo aspetto, che sarebbe stato sottolineato dal medico del ricorrente, dimostrerebbe adeguatamente il nesso di causalità tra le violazioni da parte della Missione dei suoi obblighi contrattuali e i danni subiti dal ricorrente. Il ricorrente aggiunge che nel mese di febbraio 2015, per la prima volta, gli sono stati prescritti degli antidepressivi, e questo nonostante anni di servizio in missione in ambienti spesso ostili. Inoltre, esso avrebbe dovuto subire una prima assenza per malattia dal 9 al 13 febbraio 2015, ossia immediatamente dopo la prima denuncia della situazione di molestie psicologiche.

120    La Missione contesta gli argomenti del ricorrente. Secondo la Missione, non vi è un nesso di causalità tra il suo comportamento e il presunto danno.

121    Dalla giurisprudenza risulta che, per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, quest’ultima può essere ritenuta responsabile solo del danno che deriva in modo sufficientemente diretto dall’irregolarità commessa dall’istituzione interessata (v. sentenza del 24 ottobre 2000, Fresh Marine/Commissione, T‑178/98, EU:T:2000:240, punto 118 e giurisprudenza ivi citata; ordinanza del 9 novembre 2016, Jenkinson/Consiglio e a., T‑602/15, EU:T:2016:660, punto 49). Il Tribunale ritiene che lo stesso valga anche per quanto riguarda la responsabilità contrattuale dell’Unione.

122    Anzitutto, occorre esaminare l’esistenza di un nesso diretto tra il comportamento della Missione e i danni morali subiti dal ricorrente.

123    A tal proposito, il Tribunale constata che il ricorrente non ha fornito alcun documento che dimostrerebbe in modo indiscutibile che i danni morali da lui subiti erano stati causati dall’inadempimento contrattuale commesso dalla Missione nel caso di specie. In particolare, non risulta dagli elementi di prova presentati dal ricorrente, contrariamente a quanto da esso affermato, che il suo medico avrebbe constatato che il peggioramento del suo stato di salute era collegato a una situazione di molestie vissuta sul luogo di lavoro. Il fatto che, nel suo certificato del 14 ottobre 2015, lo psichiatra che lo ha esaminato ha osservato che il ricorrente si lamentava di molestie sul lavoro non costituisce una tale constatazione, poiché si tratta di una considerazione del ricorrente sulla quale il suo medico non si è espresso.

124    Occorre tuttavia prendere in considerazione i seguenti elementi in siffatto contesto.

125    In primo luogo, nel suo messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2015, il ricorrente ha informato la Missione dei problemi di salute che aveva avuto a seguito dell’incidente che ha coinvolto il sig. X., riferito in questo stesso messaggio di posta elettronica. Risulta inoltre, dalle prove presentate dal ricorrente che quest’ultimo ha successivamente subito una prima assenza dal lavoro dal 9 al 13 febbraio 2015. In tali circostanze, la Missione non poteva ignorare che omettere di dare un seguito adeguato ai messaggi di posta elettronica del ricorrente del 7 e 9 febbraio 2015 poteva comportare il rischio che lo stato di salute del ricorrente si aggravasse ancora di più. In tale contesto, occorre rilevare che, quando è stata aperta un’indagine preliminare verso la fine del mese di agosto 2015, il capomissione ha contestualmente adottato la decisione di vietare al sig. X. di avvicinarsi al ricorrente con effetto immediato.

126    In secondo luogo, e come già è stato osservato (v. punto 110 supra), è pacifico che un significativo peggioramento dello stato di salute del ricorrente si era verificato alla fine del mese di agosto 2015 e che il ricorrente sostiene che tale peggioramento fosse il risultato del fatto che nessuna indagine preliminare era stata avviata nel febbraio 2015. È vero che la Missione suggerisce che tale peggioramento potrebbe essere dovuto ad una causa diversa dalle molestie o dal fatto di non aver aperto alcuna indagine preliminare nel febbraio 2015. A tale riguardo, la Missione sostiene che i certificati del medico consultato dal ricorrente in Niger verso la fine di agosto 2015 farebbero riferimento alle condizioni di vita in seno alla Missione quale causa del peggioramento del suo stato di salute. Orbene, tale argomento non è suffragato da tali certificati, nei quali il medico in questione si è limitato a constatare che il ricorrente aveva una sofferenza psichica e che il suo stato di salute richiedeva un allontanamento dal suo ambiente di lavoro.

127    In terzo luogo, la Missione riconosce che l’indagine da essa aperta alla fine del mese di agosto 2015 l’ha indotta a concludere per l’esistenza di una violazione del codice di condotta da parte del sig. X.

128    Alla luce di tali circostanze, il Tribunale ritiene che esista un complesso di indizi sufficientemente concludenti per ritenere che esista un nesso diretto tra, da un lato, il fatto, da parte della Missione, di non aver aperto un’indagine preliminare a seguito dello scambio di posta elettronica del 10 febbraio 2015 tra il capomissione e il suo vice, al fine di esaminare i fatti esposti dal ricorrente come costituenti molestie da parte del sig. X, e, dall’altro, il peggioramento dello stato di salute del ricorrente verificatosi durante il periodo successivo a tale data.

129    Tuttavia, il Tribunale ritiene che tale nesso causale possa essere accertato soltanto per una parte di tale periodo.

130    In primo luogo, occorre rilevare, al riguardo, che risulta dal codice di condotta che un’indagine preliminare deve essere effettuata rapidamente. In particolare, il punto 8.4.4 del codice di condotta prevede che sia consegnata al vice capomissione una relazione sull’indagine preliminare entro un termine molto breve, ossia dieci giorni. In tali circostanze, il ricorrente aveva il dovere di interrogarsi ragionevolmente, trascorso un certo periodo di tempo senza avere ottenuto informazioni sul seguito dato alla sua denuncia, per sapere se era stata effettivamente aperta un’indagine preliminare e se questa fosse ancora in corso. Inoltre, risulta dagli atti, in particolare dai suoi vari messaggi di posta elettronica, che il ricorrente era correttamente informato sulle procedure in vigore in tale situazione.

131    Di conseguenza, si deve ritenere che spettasse al ricorrente chiedere informazioni sul seguito dato ai suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015 entro un periodo di tempo relativamente breve, tanto più che la situazione di molestie di cui si lamentava in detti messaggi di posta elettronica sembra essersi, secondo i suoi messaggi di posta elettronica del 25 e 28 agosto 2015, aggravata considerevolmente. In particolare, occorre osservare che, in tale ultimo messaggio di posta elettronica, il ricorrente lamenta che nel febbraio o nel marzo 2015, il sig. X. aveva commesso un’aggressione fisica contro di lui versandogli del tè bollente sulle gambe. In udienza e in risposta a un quesito del Tribunale su questo punto, il ricorrente non è stato in grado di spiegare perché egli aveva informato solo dopo molti mesi la Missione di tale incidente, che, per poterlo considerare dimostrato, doveva essere considerato molto grave.

132    Orbene, il ricorrente non contesta il fatto che, durante il periodo compreso tra il mese di febbraio e il mese di agosto 2015, e come ha sostenuto la Missione, egli sia rimasto silenzioso su presunte molestie e non abbia mai chiesto alla Missione quale fosse il seguito dato ai suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015, né che si sia presentato per informare la Missione di un peggioramento della sua situazione. A tal riguardo, in risposta ad un quesito del Tribunale, in udienza, il ricorrente si è limitato a sostenere di non aver ritenuto utile intraprendere tali iniziative, di aver avuto fiducia nella Missione e di aver ritenuto che un’indagine fosse effettivamente in corso.

133    É vero che, nell’ambito delle ulteriori informazioni fornite alla Missione il 26 ottobre, il ricorrente ha fatto notare che «quanto al sig. [X.], egli si [era] mostrato sotto una luce migliore per un breve periodo (nel corso del mese di maggio del 2015)», che «[egli teneva] a precisare che, restando sempre, [in] seguito [alla su]a denuncia di febbraio, in attesa della conclusione del procedimento disciplinare e di una sanzione che avrebbe [avuto] di fatto un effetto “pedagogico” e “incentivante” sul sig. [X.] e rilevando che costui cambiava il suo atteggiamento, [egli] sper[ava] che le cose potessero rientrare nella normalità» e che «[p]er incoraggiarlo in tale cambiamento positivo in tale breve periodo, [era] pertanto giunto fino a invitarlo a pranzo, invito che [aveva] accettato e lo aveva onorato della sua presenza». Risulta, pertanto, dalle stesse dichiarazioni del ricorrente che, nel mese di maggio 2015, egli ritenesse che l’atteggiamento del sig. X. nei suoi confronti era migliorato e che avrebbe potuto attendersi, grazie al risultato della sua denuncia e ai segni di incoraggiamento da parte sua, che le loro relazioni riprendessero un corso normale. Tuttavia, come lui stesso ha spiegato, tale miglioramento si è verificato solo per un breve periodo e si deve quindi dedurre che, in seguito, la situazione di molestie di cui si lamentava è proseguita. Di conseguenza, anche ammettendo che, nel mese di maggio 2015, il miglioramento della situazione non inducesse il ricorrente a chiedere informazioni sul seguito che era stato dato alla sua denuncia, tale non può essere il caso per il periodo successivo.

134    Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che un nesso di causalità diretto tra l’omessa apertura di un’indagine preliminare e il peggioramento dello stato di salute del ricorrente possa ritenersi dimostrato, in modo adeguato, soltanto per il periodo compreso tra il 10 febbraio 2015 e il mese di maggio 2015 al massimo. Oltre questo periodo, deve ritenersi che il peggioramento dello stato di salute del ricorrente non derivi più direttamente dall’omessa apertura di un’indagine preliminare, ma sia anche il risultato dell’assenza da parte sua di iniziative intese a informarsi sul seguito dato ai suoi messaggi di posta elettronica del 7 e 9 febbraio 2015 o a informare i suoi superiori del peggioramento delle sue relazioni con il sig. X. A tale proposito, il messaggio di posta elettronica del ricorrente del 25 agosto 2015 deve essere considerato tardivo, tanto più che, a tale data, il suo stato di salute era peggiorato al punto da esigere, secondo i certificati medici rilasciati in tale periodo, il suo collocamento in malattia e il suo ritorno in Europa. Pertanto, e senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti addotti dalla Missione al riguardo, quest’ultima non può essere considerata responsabile dei danni morali subiti dal ricorrente oltre il mese di maggio 2015 e, in particolare, di quelli intervenuti dopo la partenza del ricorrente dalla Missione, alla fine del mese di agosto 2015.

135    In secondo luogo, risulta dai punti 112 e 113 supra che i danni materiali subiti dal ricorrente si sono verificati successivamente alla sua partenza dalla Missione nel mese di agosto 2015. Pertanto, per gli stessi motivi di cui ai punti da 130 a 134 supra, si deve ritenere che la Missione non possa essere ritenuta responsabile per tali danni materiali.

136    Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che l’importo del danno morale subito dal ricorrente debba essere fissato equitativamente nella somma di EUR 10 000.

137    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che occorre condannare la Missione a versare al ricorrente la somma di EUR 10 000 per il danno morale subito e respingere per il resto le sue conclusioni.

 Sulle spese

138    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

139    Nel caso di specie, il ricorrente e la Missione sono entrambi parzialmente soccombenti. Tuttavia, alla luce delle circostanze della fattispecie, occorre decidere che la Missione sosterrà, oltre alle proprie spese, i tre quarti delle spese del ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

dichiara e statuisce:

1)      EUCAP Sahel Niger è condannata a pagare a PY la somma di EUR 10 000.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      EUCAP Sahel Niger è condannata a sostenere, oltre alle proprie spese, i tre quarti delle spese sostenute da PY.

Gratsias

Dittrich

Xuereb

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 aprile 2018.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.