Language of document : ECLI:EU:C:2005:213

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 aprile 2005 (*)

«Accordo di partenariato Comunità-Russia – Art. 23, n. 1 – Effetto diretto – Condizioni di lavoro – Principio di non discriminazione – Calcio – Limitazione del numero di giocatori professionisti cittadini di Stati terzi che possono essere schierati in una squadra in una competizione nazionale»

Nel procedimento C-265/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Audiencia Nacional (Spagna) con decisione 9 maggio 2003, pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2003, nel procedimento

Igor Simutenkov

contro

Ministerio de Educación y Cultura,

Real Federación Española de Fútbol,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dai sigg. V. Skouris, presidente, P. Jann, C.W.A. Timmermans e A. Rosas, presidenti di sezione, C. Gulmann, A. La Pergola, J.-P. Puissochet, J. Makarczyk, P. Kūris, M. Ilešič (relatore), U. Lõhmus, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

viste le osservazioni scritte presentate:

–      per il sig. Simutenkov, dal sig. Álvarez de la Rosa, abogado, e dalla sig.ra F. Toledo Hontiyuelo, procuradora;

–       per la Real Federación Española de Fútbol, dai sigg. J. Fraile Quinzaños, abogado, e J. Villasante García, procurador;

–       per il governo spagnolo, dal sig. E. Braquehais Conesa, in qualità di agente;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Hoffmeister e D. Martin, e dalla sig.ra I. Martínez del Peral, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 gennaio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom (GU L 327, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di partenariato Comunità-Russia»).

2        Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra il sig. Simutenkov, da un lato, e il Ministerio de Educación y Cultura (Ministero della Pubblica Istruzione e della Cultura) e la Real Federación Española de Fútbol (Federazione spagnola di calcio; in prosieguo: la «RFEF») in ordine ad un regolamento sportivo che limita il numero di giocatori di Stati terzi che possono essere schierati in competizioni nazionali.

 Contesto normativo

3        L’accordo di partenariato Comunità-Russia è entrato in vigore il 1° dicembre 1997. L’art. 23, n. 1, che figura nel titolo IV dell’accordo stesso, intitolato «Disposizioni riguardanti le attività commerciali e gli investimenti», all’interno del capitolo I, a sua volta intitolato «Condizioni di lavoro», così dispone:

«Conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro, la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni basate sulla nazionalità per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento».

4        L’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia recita quanto segue:

«Il consiglio di cooperazione formula raccomandazioni per l’applicazione degli articoli 23 e 26».

5        L’art. 48 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, che figura all’interno dello stesso titolo IV, così recita:

«Ai fini del presente titolo, nessuno dei suoi elementi vieta alle parti di applicare le rispettive leggi e normative in materia di ingresso e soggiorno, occupazione, condizioni di lavoro e di stabilimento delle persone fisiche e fornitura di servizi, purché non le applichino in modo da vanificare o compromettere i vantaggi risultanti per una delle parti da una disposizione specifica dell’accordo (…)».

 Controversia nella causa principale e questione pregiudiziale

6        Il sig. Simutenkov è un cittadino russo che, all’epoca dei fatti della controversia nella causa principale, risiedeva in Spagna, ove era in possesso di un permesso di soggiorno e di un permesso di lavoro. Essendo stato assunto come calciatore professionista in forza di un contratto di lavoro concluso con il Club Deportivo Tenerife, era in possesso di una licenza federale come giocatore non comunitario.

7        Nel mese di gennaio del 2001 il sig. Simutenkov ha presentato, con l’intermediazione di tale club, una domanda alla RFEF, affinché questa sostituisse la licenza federale di cui era titolare con una licenza identica a quella di cui dispongono i giocatori comunitari. A sostegno di tale domanda invocava l’accordo di partenariato Comunità‑Russia.

8        Con decisione 19 gennaio 2001, la RFEF ha respinto tale domanda in applicazione del suo regolamento generale e dell’accordo concluso il 28 maggio 1999 con la lega nazionale di calcio professionistico (in prosieguo: l’«accordo del 28 maggio 1999»).

9        Ai sensi dell’art. 129 del regolamento generale della RFEF, la licenza di calciatore professionista è un documento rilasciato da tale Federazione che consente la pratica di tale sport come associato ad essa e di essere schierato in partite e competizioni ufficiali come calciatore appartenente a una determinata squadra.

10      L’art. 173 dello stesso regolamento generale così dispone:

«Costituisce requisito generale che devono soddisfare i calciatori per iscriversi e ottenere la licenza come professionisti, salvo le deroghe che prevede il presente regolamento, possedere la cittadinanza spagnola o quella di uno degli altri paesi che costituiscono l’Unione europea o lo Spazio economico europeo».

11      L’art. 176, n. 1, del citato regolamento generale prevede quanto segue:

«1. Le squadre iscritte a competizioni ufficiali di ambito nazionale e a carattere professionistico possono iscrivere calciatori stranieri non comunitari nel numero che viene stabilito negli accordi conclusi al riguardo tra la RFEF, la lega nazionale di calcio professionistico e l’associazione dei calciatori spagnoli, nei quali viene disciplinato, inoltre, il numero di calciatori di quella categoria che possono giocare contemporaneamente.

(...)».

12      Ai sensi dell’accordo del 28 maggio 1999, il numero di giocatori non cittadini degli Stati membri che possono essere contemporaneamente schierati in campo per la prima divisione è limitato a tre per le stagioni 2000/2001 - 2004/2005 e, per quanto riguarda la seconda divisione, a tre per le stagioni 2000/2001 - 2001/2002 e a due per le tre stagioni successive.

13      Ritenendo che la distinzione tracciata da tale regolamentazione tra i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo (in prosieguo: «SEE») e i cittadini di Stati terzi fosse, in relazione ai giocatori russi, incompatibile con l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia e che limitasse l’esercizio della sua professione, il sig. Simutenkov ha presentato ricorso dinanzi al Juzgado Central de lo Contencioso-Administrativo (Tribunale amministrativo) contro la decisione 19 gennaio 2001, che respingeva la sua domanda di nuova licenza.

14      Poiché tale ricorso è stato respinto con decisione 22 ottobre 2002, il sig. Simutenkov ha presentato appello contro di essa dinanzi all’Audiencia Nacional (Tribunale competente per l’intero territorio in determinati ambiti penali, amministrativi e della legislazione sociale), che ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 23 dell’accordo di partenariato [Comunità-Russia] osti a che una federazione sportiva applichi ad un atleta professionista cittadino russo come quello della causa principale, regolarmente impiegato da una società calcistica spagnola, una normativa in forza della quale le società possono utilizzare nelle competizioni in ambito nazionale solo un numero limitato di calciatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio economico europeo».

 Sulla questione pregiudiziale

15      Mediante la sua questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata dalla federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo SEE.

16      Il sig. Simutenkov e la Commissione delle Comunità europee sostengono che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità‑Russia osta ad una norma quale quella contenuta nell’accordo del 28 maggio 1999.

17      La RFEF, al contrario, a sostegno della sua posizione invoca l’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro», che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1. Da tale riserva deduce che la competenza attribuitale dalla legge di rilasciare le licenze ai calciatori e la regolamentazione sportiva da essa adottata devono applicarsi in via preferenziale rispetto al principio di non discriminazione enunciato dalla stessa disposizione. Sostiene altresì che il rilascio di una licenza e le regole ad esso afferenti rientrano nell’ambito dell’organizzazione delle competizioni e non riguardano le condizioni di lavoro.

18      Il governo spagnolo, dal canto suo, fa proprie le osservazioni della RFEF, sostenendo in particolare che, in virtù della regolamentazione nazionale e della giurisprudenza che la interpreta, la licenza federale non rientra tra le condizioni di lavoro, ma costituisce un’autorizzazione amministrativa che funge da abilitazione per la partecipazione alle competizioni sportive.

19      Al fine di rispondere utilmente alla questione proposta, occorre verificare in primo luogo se l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità‑Russia possa essere invocato da un privato dinanzi ai giudici di uno Stato membro e, in secondo luogo, in caso di risposta affermativa, determinare la portata del principio di non discriminazione enunciato da quella norma.

 Sull’effetto diretto dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità‑Russia

20      Si deve rilevare che, poiché la questione dell’effetto delle disposizioni dell’accordo di partenariato Comunità‑Russia nell’ordinamento giuridico delle parti a tale accordo (in prosieguo: le «parti») non è stato da questo disciplinato, spetta alla Corte risolverla, al pari di qualunque altra questione d’interpretazione relativa all’applicazione di accordi nella Comunità (sentenza 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I‑8395, punto 34).

21      A questo proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una disposizione di un accordo concluso dalle Comunità con paesi terzi dev’essere considerata direttamente applicabile quando, avuto riguardo alla sua lettera, nonché all’oggetto e alla natura dell’accordo, stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore (sentenze 27 settembre 2001, causa C‑63/99, Gloszczuk, Racc. pag. I‑6369, punto 30, e 8 maggio 2003, causa C‑171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I‑4301, punto 54).

22      Dalla lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia risulta che tale disposizione sancisce, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto per ciascuno Stato membro di assoggettare a trattamento discriminatorio rispetto ai propri cittadini, a causa della loro cittadinanza, i lavoratori russi, per quel che concerne le loro condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. I lavoratori che beneficiano della detta disposizione sono quelli di cittadinanza russa legalmente impiegati nel territorio di uno Stato membro.

23      Tale principio di parità di trattamento detta un obbligo di risultato preciso e, per sua stessa natura, può esser fatto valere da un amministrato dinanzi all’autorità giudiziaria nazionale, affinché questa disapplichi le disposizioni discriminatorie, senza che risulti necessaria a tal fine l’adozione di misure di applicazione integrative (sentenze 29 gennaio 2002, causa C‑162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, Racc. pag. I‑1049, punto 22, e Wählergruppe Gemeinsam, cit., punto 58).

24      Quest’interpretazione non è rimessa in discussione dall’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro» che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, né dall’art. 48 dello stesso. Infatti, tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente l’applicazione del principio di non discriminazione enunciato al detto art. 23, n. 1, in quanto un’interpretazione del genere condurrebbe ad uno svuotamento di contenuto di tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile (sentenze Pokrzeptowicz-Meyer, cit., punti 23 e 24, e 8 maggio 2003, causa C‑438/00, Deutscher Handballbund, Racc. pag. I‑4135, punto 29).

25      Né l’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia osta a un effetto diretto dell’art. 23, n. 1, dello stesso. Infatti, il fatto che tale art. 27 preveda che l’applicazione dell’art. 23 sia effettuata sulla base di raccomandazioni del consiglio di cooperazione non subordina l’applicabilità di quest’ultima norma, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, all’intervento di un atto ulteriore. Il ruolo che il detto art. 27 attribuisce a quel consiglio consiste nel facilitare il rispetto del divieto di discriminazione, ma non si può considerare che ne limiti l’applicazione immediata (v., a questo proposito, sentenze 31 gennaio 1991, causa C‑18/90, Kziber, Racc. pag. I‑199, punto 19, e 4 maggio 1999, causa C‑262/96, Sürül, Racc. pag. I‑2685, punto 66).

26      La constatazione che il principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto non è contraddetta, del resto, dall’oggetto e dalla natura di quest’ultimo.

27      Secondo l’art. 1 del detto accordo, questo ha l’obiettivo di istituire un partenariato tra le parti volto a promuovere, in particolare, lo sviluppo di strette relazioni politiche tra le parti, di scambi e di armoniose relazioni economiche tra di loro, della libertà in materia politica ed economica, nonché la realizzazione della progressiva integrazione tra la Federazione russa e una più ampia zona di cooperazione in Europa.

28      Il fatto che l’accordo si limiti in questo modo all’istituzione di un partenariato tra le parti, senza prevedere un’associazione o una futura adesione della Federazione russa alle Comunità, non è tale da impedire l’effetto diretto di alcune delle sue disposizioni. Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte che, quando un accordo istituisce una cooperazione tra le parti, talune disposizioni in esso contenute possono disciplinare, alle condizioni ricordate al punto 21 della presente sentenza, direttamente la situazione giuridica dei privati (v. sentenze Kziber, cit., punto 21; 15 gennaio 1998, causa C‑113/97, Babahenini, Racc. pag. I‑183, punto 17, e 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke, Racc. pag. I‑3655, punti 34‑36).

29      Stante quanto sopra, occorre dichiarare che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto, cosicché i soggetti ai quali esso si applica hanno il diritto di avvalersene dinanzi ai giudici degli Stati membri.

 Sulla portata del principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia

30      La questione proposta dal giudice del rinvio è analoga a quella presentata alla Corte nella causa conclusasi con la citata sentenza Deutscher Handballbund. In tale sentenza la Corte ha dichiarato che l’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 ed approvato a nome delle Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di associazione Comunità‑Slovacchia»), doveva essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell’accordo SEE.

31      Tale art. 38, n. 1, primo trattino, era del seguente tenore:

«Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro (…) il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro».

32      La Corte ha dichiarato, in particolare, che una norma limitante il numero di giocatori professionisti cittadini dello Stato terzo interessato che potevano essere schierati nel campionato nazionale era relativa alle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità‑Slovacchia, in quanto aveva un impatto diretto sulla partecipazione agli incontri di campionato di un giocatore professionista slovacco già regolarmente occupato nello Stato membro ospitante (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44‑46).

33      La Corte ha altresì dichiarato che l’interpretazione accolta a proposito dell’art. 48, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39, n. 2, CE) nella sua sentenza 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921), secondo cui il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità si applica a norme emanate da associazioni sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi professionisti esercitano un’attività retribuita ed osta a una limitazione, fondata sulla nazionalità, del numero di giocatori che possono essere schierati contemporaneamente in campo, poteva essere trasposta all’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 31‑37 e 48‑51).

34      Si deve constatare che l’enunciato dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia è molto simile a quello dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia. Infatti, la sola differenza significativa nel testo di queste due disposizioni risiede nell’utilizzo dell’espressione «la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi (…) siano oggetto (…) di discriminazioni basate sulla nazionalità», da un lato, e «il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca (…) è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità», dall’altro. Ora, alla luce della constatazione di cui ai punti 22 e 23 della presente sentenza, secondo cui la lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia esprime, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità, la differenza tra le due versioni poc’anzi descritta non osta alla trasposizione dell’interpretazione accolta dalla Corte nella sentenza Deutscher Handballbund, cit., all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia.

35      Vero è che, contrariamente all’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, l’accordo di partenariato Comunità-Russia non ha l’obiettivo di creare un’associazione al fine della progressiva integrazione dello Stato terzo in questione nelle Comunità europee, ma è volto a realizzare la «progressiva integrazione tra la Russia e una più vasta zona di cooperazione in Europa».

36      Tuttavia, non emerge affatto né dal contesto né dalla finalità del detto accordo di partenariato che questo abbia inteso attribuire al divieto di «discriminazioni basate sulla nazionalità[, rispetto ai loro cittadini,] per quanto riguarda le condizioni di lavoro» un significato diverso da quello risultante dal senso comune di tali termini. Conseguentemente, al pari dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia istituisce, a favore dei lavoratori russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato membro, un diritto alla parità di trattamento nelle condizioni di lavoro della stessa portata di quello riconosciuto in termini analoghi ai cittadini degli Stati membri dal Trattato CE, il quale osta a una limitazione fondata sulla nazionalità come quella controversa nella causa principale, come dichiarato dalla Corte nelle analoghe circostanze delle citate sentenze Bosman e Deutscher Handballbund.

37      Peraltro, nelle sentenze Bosman e Deutscher Handballbund la Corte ha dichiarato che una norma come quella di cui alla causa principale è relativa alle condizioni di lavoro (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44‑46). Ne consegue che è irrilevante il fatto che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia si applichi solamente per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento e non si estenda, quindi, alle norme relative all’accesso al lavoro.

38      Occorre poi necessariamente constatare che la limitazione fondata sulla nazionalità non riguarda incontri specifici fra rappresentative nazionali, ma si applica a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell’attività esercitata dai calciatori professionisti. Come pure dichiarato dalla Corte, una simile limitazione non può essere considerata giustificata da considerazioni sportive (citate sentenze Bosman, punti 128‑137, e Deutscher Handballbund, punti 54‑56).

39      Inoltre, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte non si è fatto valere nessun altro argomento idoneo a giustificare obiettivamente la disparità di trattamento tra i giocatori professionisti cittadini di uno Stato membro o di uno Stato parte dell’accordo SEE, da un lato, e i giocatori professionisti di cittadinanza russa, dall’altro.

40      Infine, come dichiarato al punto 24 della presente sentenza, l’espressione «[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro», che figura all’inizio dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, e l’art. 48 dello stesso accordo non possono essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente l’applicazione del principio di non discriminazione enunciato dalla prima di tali due disposizioni, in quanto un’interpretazione del genere condurrebbe a svuotare di contenuto tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile.

41      Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione proposta dev’essere risolta dichiarando che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità‑Russia dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo SEE.

 Sulle spese

42      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom, dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo sullo Spazio economico europeo.

Firme


* Lingua processuale: lo spagnolo.