Language of document : ECLI:EU:C:2016:140

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 3 marzo 2016 (1)

Cause C‑404/15 e C‑659/15 PPU

Pál Aranyosi (C‑404/15)

e

Robert Căldăraru (C‑659/15 PPU)

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Corte d’appello anseatica di Brema, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandati d’arresto europei emessi ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura privative della libertà – Consegna delle persone ricercate alle autorità giudiziarie emittenti – Articolo 1, paragrafo 3 – Diritti fondamentali – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – Rischi di trattamenti inumani o degradanti – Necessità di un controllo di proporzionalità in sede di emissione dei mandati d’arresto europei»





I –          Introduzione

1.        L’esecuzione di un mandato d’arresto europeo porta alla detenzione della persona ricercata. Il carattere anche potenzialmente o verosimilmente degradante delle condizioni di detenzione risultante da una carenza sistemica degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente autorizza le autorità giudiziarie di esecuzione a rifiutare la consegna dell’interessato?

2.        Infatti, dall’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (2), risulta che «[l]’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto [di tale] decisione quadro».

3.        La questione di fondo è se la forza del principio del riconoscimento reciproco trovi un limite nella rottura della fiducia che deve esistere tra gli Stati membri a causa di una potenziale violazione dei diritti fondamentali che si presume essi rispettino.

4.        Orbene, il riconoscimento reciproco, di cui lo stesso mandato d’arresto europeo costituisce l’attuazione, è, secondo la formula canonica, il «fondamento» (3) dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che l’Unione europea si è assegnato come obiettivo, come si trova trascritto nei trattati.

5.        Per la Corte si tratta quindi, nella fattispecie, di operare un bilanciamento tra il rispetto dei diritti fondamentali della persona consegnata e la necessità assoluta di realizzare tale spazio comune, in particolare mediante la tutela dei diritti e delle libertà altrui. La Corte dovrà pertanto porsi la questione se i principi da essa enunciati in altri settori del diritto dell’Unione, come quelli contenuti nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), relativa al sistema europeo comune di asilo, siano trasponibili al meccanismo specifico del mandato d’arresto europeo, con il rischio di bloccarne il meccanismo, di lasciare impunito un reato e di provocare conseguenze estremamente gravi per le autorità giudiziarie di esecuzione.

6.        In realtà, ritengo che la soluzione si trovi nell’equilibrio stesso del sistema introdotto dal mandato d’arresto europeo, di cui occorre oggi trarre le conseguenze. Pur mantenendo la forza che gli conferisce il principio del riconoscimento reciproco, la soluzione si rinviene nel riferimento implicito o esplicito fatto dalla decisione quadro a taluni principi essenziali, e in particolare al principio di proporzionalità, principio generale del diritto dell’Unione.

7.        Spiegherò perché, qualora le autorità giudiziarie emittenti si trovino ad affrontare un sovraffollamento delle carceri generalizzato che comporti condizioni materiali di detenzione contrarie ai diritti fondamentali, tali autorità sono tenute ad effettuare un controllo di proporzionalità al fine di valutare la necessità di emettere un mandato d’arresto europeo alla luce sia della natura del reato che delle modalità concrete di esecuzione della pena.

8.        Poiché il mandato d’arresto europeo è uno strumento creato e disciplinato dal diritto dell’Unione, segnatamente per quanto riguarda le sue condizioni di emissione, le autorità giudiziarie che intendono emettere un tale mandato devono assicurarsi non soltanto che esso soddisfi le condizioni di sostanza e di forma stabilite dalla decisione quadro, ma anche che esso venga emesso conformemente al principio di proporzionalità. Un siffatto controllo, in quanto consentirebbe di controllare meglio le condizioni e, in particolare, le conseguenze della consegna della persona ricercata, dev’essere considerato come facente parte più in generale degli obblighi, incombenti allo Stato membro emittente, di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona consegnata in forza di un mandato d’arresto europeo e, di conseguenza, come un segno della fiducia che devono attribuirgli, a monte, le autorità giudiziarie di esecuzione.

9.        Infine, preciserò che tale controllo non deve eludere le responsabilità che incombono allo Stato membro emittente quanto al rispetto dei diritti fondamentali degli individui posti in detenzione, in forza non solo dell’articolo 6 TUE, ma anche del principio del primato del diritto dell’Unione e del suo obbligo di leale cooperazione, né le azioni che il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea devono necessariamente intraprendere al fine di rafforzare l’efficacia del sistema.

II –       Contesto normativo

10.      Prima di analizzare i problemi sollevati dalle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte, occorre anzitutto ricordare i principi fondamentali su cui si baserà la mia analisi. Tali principi si trovano nei trattati.

A –          Trattati

11.      Ai sensi degli articoli 3, paragrafo 2, TUE e 67, paragrafo 1, TFUE, l’Unione ha l’obiettivo di mantenersi e svilupparsi come spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata, nel rispetto dei diritti fondamentali di ciascuno, la libera circolazione delle persone mediante l’adozione di misure appropriate per quanto concerne la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima.

12.      A tal fine, l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE dispone che «[l]’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [(in prosieguo: la “Carta”)]».

13.      Dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE risulta inoltre che «[i] diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”),] e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali».

14.      Al titolo V della terza parte del Trattato FUE, intitolato «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia», l’articolo 82 TFUE dispone che «[l]a cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco». Tale principio, come ho rilevato, costituisce il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri.

B –          Decisione quadro

15.      Il mandato d’arresto europeo istituito dalla decisione quadro è stato concepito al fine di sostituire al meccanismo classico dell’estradizione, che implica una decisione del potere esecutivo, uno strumento di cooperazione tra le autorità giudiziarie nazionali basato sui principi di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e di fiducia reciproca tra gli Stati membri (4).

16.      La decisione quadro introduce un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale (5), limitando in modo molto rigoroso i motivi di non esecuzione e fissando i termini di adozione delle decisioni relative al mandato d’arresto europeo (6).

17.      Istituendo un procedimento concepito per essere più efficace ed efficiente di quello precedente, il meccanismo del mandato d’arresto europeo costituisce, innanzitutto, un contributo essenziale alla repressione delle attività criminali nell’Unione. In quanto consente di garantire il perseguimento, il processo e la condanna degli autori di un reato commesso in uno degli Stati membri, esso costituisce oggi una salvaguardia essenziale per l’abolizione delle frontiere interne nell’Unione e tende inoltre a rafforzare la protezione delle vittime dei reati assicurando, da una parte, che i loro autori possano essere giudicati e condannati per i reati commessi e, dall’altra, che essi siano deferiti più rapidamente e più efficacemente alla giustizia.

18.      I considerando da 10 a 13 della decisione quadro sono formulati come segue:

«(10) Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, [UE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [UE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo [(7)].

(11)      Il mandato d’arresto europeo dovrebbe sostituire tra gli Stati membri tutti i precedenti strumenti in materia di estradizione, comprese le disposizioni del titolo III della convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen che riguardano tale materia.

(12)      La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [UE] e contenuti nella Carta (...), segnatamente il capo VI (...).

(13)      Nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti».

19.      L’articolo 1 della decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», così dispone:

«1.      Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2.      Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3.      L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

20.      Gli articoli da 3 a 4 bis della decisione quadro sono dedicati ai motivi di non esecuzione obbligatoria e ai motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo.

III –       Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

21.      I presenti rinvii pregiudiziali rientrano nell’ambito dell’esame, da parte della Generalstaatsanwaltschaft Bremen (procura di Brema), della legittimità della consegna dei sigg. Aranyosi e Căldăraru alle autorità giudiziarie del loro Stato membro di origine (8).

22.      Nell’ambito della causa Aranyosi (C‑404/15), le autorità giudiziarie tedesche sono investite di una domanda di consegna dell’interessato in virtù di due mandati d’arresto europei emessi rispettivamente il 4 novembre e il 31 dicembre 2014 dal Miskolci járásbíróság (Tribunale distrettuale di Miskolc, Ungheria) ai fini dell’esercizio dell’azione penale. Il sig. Aranyosi è un cittadino ungherese che risiede attualmente a Bremerhaven (Germania) con la propria madre e ha una compagna e un bambino in tenera età.

23.      Egli è accusato, da una parte, di aver sottratto a seguito di un’effrazione in una casa a Sajohidveg (Ungheria) EUR 2 500 e 100 000 fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 313) in contanti nonché diversi oggetti preziosi e, dall’altra, di essersi introdotto in una scuola di Sajohidveg danneggiando materiali e sottraendo dispositivi tecnici nonché contanti per un valore totale stimato in HUF 244 000 (circa EUR 760).

24.      Nell’ambito della causa Căldăraru (C‑659/15 PPU), le autorità giudiziarie tedesche sono, questa volta, investite di una domanda di consegna dell’interessato in virtù di un mandato d’arresto europeo emesso il 29 ottobre 2015 dalla Judecătoria Făgăraş (Tribunale di primo grado di Fagaras, Romania) ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà di un anno e otto mesi inflitta con sentenza definitiva. Il sig. Căldăraru è un cittadino rumeno.

25.      Condannato il 17 dicembre 2013 a una pena privativa della libertà con sospensione condizionale per il reato di guida senza patente, egli è incorso in recidiva il 5 agosto 2014 per recarsi presso il domicilio del proprio padre.

26.      Il sig. Căldăraru è stato arrestato a Brema (Germania) l’8 novembre 2015 ed è stato posto in detenzione in attesa di estradizione.

27.      Nel corso del loro interrogatorio, i sigg. Aranyosi e Căldăraru si sono opposti entrambi alla loro consegna alle autorità giudiziarie emittenti, dichiarando quindi di non acconsentire alla procedura di consegna semplificata.

28.      In ciascuno di tali due procedimenti, il pubblico ministero di Brema ha chiesto alle autorità giudiziarie emittenti di indicare il nome degli istituti nei quali gli interessati sarebbero stati detenuti in caso di consegna, e ciò con riferimento alle condizioni di detenzione che non soddisfano gli standard minimi europei. Nessuna di dette autorità ha potuto impegnarsi su tale punto e, di conseguenza, il pubblico ministero di Brema si interroga, alla luce del testo dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro e delle disposizioni dell’articolo 73 dell’IRG (9), sulla legittimità delle summenzionate consegne.

29.      I presenti rinvii pregiudiziali rientrano quindi in un contesto molto particolare, caratterizzato dalla constatazione effettuata non già dal Consiglio europeo in applicazione del meccanismo di sanzione di cui all’articolo 7 TUE ed espressamente menzionato dal considerando 10 della decisione quadro, bensì dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

30.      Nella sua sentenza Iavoc Stanciu c. Romania (10) e nella sua sentenza pilota (11) Varga e altri c. Ungheria (12), quest’ultima ha, infatti, constatato l’esistenza di un malfunzionamento generalizzato dei sistemi penitenziari rumeno e ungherese, derivante, in particolare, da un sovraffollamento delle carceri generalizzato a causa del quale le persone detenute sono o rischiano di trovarsi esposte a trattamenti inumani o degradanti durante la loro detenzione, in violazione degli articoli 2, 3 e 5 della CEDU.

31.      Se è accertato che, in Romania, dieci detenuti possono essere confinati in 9 m2, disponendo pertanto di uno spazio vitale inferiore a 2 m2, e se è vero che la Corte europea dei diritti dell’uomo è investita, a tale riguardo, di diverse centinaia di ricorsi individuali, non possiamo che porci la questione della legittimità dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo – che sia emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà – alla luce della tutela dei diritti fondamentali della persona consegnata.

32.      Tale constatazione è già stata effettuata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tre sentenze pilota riguardanti rispettivamente la Repubblica italiana, la Repubblica di Bulgaria e l’Ungheria (13).

33.      Peraltro, la sua giurisprudenza testimonia l’esistenza di problemi ricorrenti nell’universo penitenziario dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, tra cui alcuni Stati membri dell’Unione.

34.      In cause riguardanti la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Polonia e la Repubblica di Slovenia (14), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri aveva raggiunto un livello tale che detto fattore poteva, di per sé, essere sufficiente per constatare la violazione dell’articolo 3 della CEDU. Inoltre, benché ciò non abbia dato luogo alla pronuncia di una sentenza pilota, tale Corte ha constatato che i problemi derivanti dal sovraffollamento delle carceri in Belgio presentavano un carattere strutturale, che andava al di là della particolare situazione del ricorrente nel caso di specie (15).

35.      Nel 2011, il Parlamento europeo e la Commissione hanno espresso la loro preoccupazione riguardo al modo in cui le condizioni di detenzione in tali Stati membri possano compromettere la fiducia reciproca e il corretto funzionamento degli strumenti di riconoscimento reciproco nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (16).

36.      Cinque anni dopo tale constatazione, la Corte è oggi investita della questione mediante le presenti domande di pronuncia pregiudiziale.

37.      Ritenendo necessario chiedere alla Corte l’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Corte d’appello anseatica di Brema) ha, infatti, deciso di sospendere il procedimento e di sollevare le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro debba essere interpretato nel senso che una consegna ai fini dell’esercizio di un’azione penale [(causa C‑404/15) o che una consegna ai fini dell’esecuzione di sanzioni penali (causa C‑659/15 PPU)] è illegittima se sussistono gravi indizi che le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente violino i diritti fondamentali dell’interessato e i principi giuridici generali sanciti dall’articolo 6 TUE, o se detto articolo debba essere interpretato nel senso che, in questi casi, lo Stato membro di esecuzione può o deve subordinare la decisione sulla legittimità di una consegna a una garanzia sul rispetto delle condizioni di detenzione. Se lo Stato di esecuzione possa o debba formulare al riguardo concreti requisiti minimi per quanto riguarda le condizioni di detenzione da garantire.

2)      Se gli articoli 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria emittente è anche autorizzata a fornire garanzie sul rispetto delle condizioni di detenzione, o se, a tal riguardo, rimanga fermo quanto previsto dal sistema interno di attribuzione delle competenze dello Stato membro emittente».

38.      Benché le questioni sollevate nella causa C‑404/15 riguardino l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, mentre quelle sollevate nella causa C‑659/15 PPU riguardano, al contrario, l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, tali questioni si prestano a un esame congiunto poiché si basano su una problematica identica. Inoltre, esaminerò congiuntamente entrambe le questioni sollevate tenuto conto della connessione che le rende complementari tra loro.

IV –       Osservazioni preliminari in merito alle difficoltà sollevate dalla trasposizione dei principi enunciati nella sentenza N.S. e a.

39.      Diversi Stati membri propongono di trasporre il principio enunciato dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) (17). È pur vero che tale idea viene in mente abbastanza spontaneamente a causa di un’analogia di fatto che, al pari dell’albero che nasconde la foresta, focalizza l’attenzione e il ragionamento.

40.      Tale analogia consiste nel fatto che, nella causa che ha dato origine a detta sentenza, come nei procedimenti principali, esisteva una carenza sistemica nello Stato membro in cui doveva aver luogo il trattenimento in caso di allontanamento del richiedente asilo, carenza constatata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a seguito di ricorsi individuali di cui era stata investita.

41.      Nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), la Corte ha dichiarato che gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente», ai sensi del regolamento n. 343/2003, quando non possono ignorare, tenuto conto degli strumenti di cui dispongono, che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro possono esporre il richiedente a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta (18).

42.      Il ragionamento seguito in detta sentenza si risolve nell’imporre allo Stato membro nel cui territorio si trova il richiedente asilo di procedere esso stesso all’esame della domanda di asilo qualora lo Stato membro «competente», ai sensi del regolamento n. 343/2003, non offra garanzie sufficienti riguardo alle condizioni di detenzione.

43.      Per quanto possa essere allettante, soprattutto per la sua semplicità, tale giurisprudenza non mi sembra applicabile per analogia all’interpretazione delle disposizioni della decisione quadro.

44.      Invero, varie ragioni sembrano opporvisi.

45.      In primo luogo, il principio enunciato dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) costituisce una trasposizione, a livello dell’Unione, del principio essenziale che disciplina le norme relative all’allontanamento e all’espulsione nell’ambito del diritto di asilo. Tale principio, secondo cui nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, è sancito dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta nonché dall’articolo 3 della CEDU.

46.      Orbene, è necessario constatare che, nell’ambito del meccanismo del mandato d’arresto europeo, la trasposizione di detto principio è accuratamente esclusa dal legislatore dell’Unione, tenuto conto dei termini che quest’ultimo utilizza al considerando 13 della decisione quadro.

47.       Tale considerando enuncia che «[n]essuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti».

48.      Non vi è fatta alcuna menzione della persona «consegnata». Orbene, poiché tale termine designa il meccanismo essenziale e creato ex novo dal mandato d’arresto europeo, è inverosimile che il legislatore dell’Unione avrebbe omesso di menzionarlo se avesse avuto l’intenzione di sottoporre la procedura di consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo ai principi enunciati da detto considerando. Così facendo, il legislatore dell’Unione ha chiaramente distinto le norme che disciplinano il mandato d’arresto europeo da quelle che regolano il sistema europeo comune di asilo. Esso ha, inoltre, chiaramente manifestato la propria volontà di rompere con le norme tradizionali che disciplinano l’estradizione, il che è pienamente giustificato allorquando si vuole sostituire ad essa una cooperazione giudiziaria fondata sul riconoscimento e sulla fiducia reciproci (19).

49.      In secondo luogo, il sistema europeo comune di asilo e il meccanismo del mandato d’arresto europeo, pur partecipando entrambi alla realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, rispondono ad obiettivi distinti e presentano ciascuno caratteristiche particolari, strutturate attorno a norme e principi specifici.

50.      In primo luogo, il sistema europeo comune di asilo si basa su un insieme completo di norme armonizzate a livello dell’Unione. Dal canto suo, il diritto penale, sostanziale e processuale, non è oggetto di un’armonizzazione estesa nell’Unione e rimane, nonostante tutto, caratterizzato dalla territorialità della legge penale.

51.      In secondo luogo, il sistema europeo comune di asilo è destinato ad offrire uno spazio di tutela e di solidarietà alle persone che fuggono da persecuzioni o da rischi gravi per la loro incolumità e che chiedono una protezione internazionale. Il mandato d’arresto europeo è destinato, dal canto suo, ad assicurare la repressione delle attività criminali nell’Unione, consentendo il perseguimento, il processo e la condanna degli autori di reati.

52.      In terzo luogo, il sistema europeo comune di asilo si basa su una procedura di esame di natura puramente amministrativa, nella quale si tratta di accertare se la persona interessata abbia diritto o meno allo status di rifugiato e, qualora non vi abbia diritto, di allontanarla dal territorio dell’Unione. Quanto al mandato d’arresto europeo, esso rientra in un meccanismo puramente interno all’Unione e si basa, inoltre, su una procedura di natura esclusivamente giudiziaria. A chiedere l’arresto di una persona è non già uno Stato membro, bensì un giudice nazionale, e la decisione quadro impone agli altri Stati membri – a certe condizioni, vale a dire con determinate riserve – di accogliere tale richiesta.

53.      In quarto luogo, nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, la decisione di trattenimento costituisce, per lo Stato membro competente, la misura di ultima istanza, subordinata ad ogni altra e legata alla necessità di assicurare il rimpatrio forzato. Quanto alla detenzione conseguente al mandato d’arresto europeo, essa costituisce la norma e risulta da una decisione giudiziaria che condanna l’autore di un reato o richiede, attraverso mezzi coercitivi, che quest’ultimo compaia dinanzi a un giudice per esservi processato.

54.      Infine, occorre prendere in considerazione gli interessi in gioco e le conseguenze molto concrete derivanti dall’applicazione della giurisprudenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) al meccanismo del mandato d’arresto europeo nonché i limiti di una tale applicazione tenuto conto del ruolo e delle competenze dello Stato membro nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo.

55.      Nella causa che ha dato luogo alla sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), si trattava di stabilire quale degli Stati membri fosse competente ad esaminare una domanda di asilo ai sensi del regolamento n. 343/2003. Molto concretamente, la soluzione adottata dalla Corte aveva l’unica conseguenza di esigere che le autorità competenti del Regno Unito e dell’Irlanda individuassero, secondo i criteri stabiliti da tale regolamento, un altro «Stato membro competente», oppure trattassero esse stesse la domanda di asilo, se del caso, disponendo l’allontanamento dal proprio territorio degli interessati. Si trattava quindi di derogare a una norma di competenza territoriale stabilita al fine di operare una ripartizione dell’onere delle procedure amministrative soggette a criteri sostanziali comuni a tutti gli Stati membri.

56.      Nei procedimenti principali, l’interesse in gioco è di tutt’altra natura, poiché si tratta di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica consentendo l’esercizio dell’azione penale nei confronti del sig. Aranyosi e assicurando l’esecuzione di una pena privativa della libertà nei confronti del sig. Căldăraru.

57.      Anche le conseguenze pratiche sono di tutt’altra portata poiché, sulla base dei principi affermati dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), le autorità giudiziarie di esecuzione sarebbero tenute a rifiutare la consegna della persona ricercata.

58.      Orbene, contrariamente al sistema europeo comune di asilo che, come detto, è ampiamente armonizzato, il diritto penale, sostanziale e processuale, non è oggetto di un’armonizzazione estesa nell’Unione e rimane, nonostante tutto, caratterizzato dalla territorialità della legge penale.

59.      Ciò significa che, nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, la trasposizione del principio enunciato dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) dà luogo a una situazione in cui le autorità giudiziarie di esecuzione non possono più consegnare la persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale e non dispongono neanche, in linea di principio, della competenza per esercitare nei suoi confronti l’azione penale in luogo delle autorità giudiziarie emittenti. Come risulta dalla decisione di rinvio nella causa C‑404/15, e in particolare dalle dichiarazioni espresse dalla procura distrettuale di Miskolc, l’accertamento del reato e la scelta delle sanzioni da infliggere rientrano nella competenza inalienabile delle autorità giudiziarie ungheresi.

60.      Sussiste quindi il rischio chiaro ed evidente che il reato resti impunito e che il suo autore risulti recidivo, violando così i diritti e le libertà degli altri cittadini dell’Unione.

61.      Nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, il problema può sembrare meno delicato, in quanto, qualora l’individuo ricercato risiedesse nel territorio dello Stato membro di esecuzione, le autorità giudiziarie di tale Stato potrebbero eventualmente impegnarsi a far eseguire detta pena, sulla base delle disposizioni dell’articolo 4, punto 6, della decisione quadro. Le autorità giudiziarie emittenti potrebbero inoltre, dal canto loro, invocare le disposizioni della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea (20), affinché tale individuo possa scontare la propria pena nel territorio dello Stato membro di esecuzione.

62.      Benché una siffatta soluzione possa essere ipotizzata, rimane il fatto che, applicando il principio enunciato dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) al meccanismo del mandato d’arresto europeo, si determina una disparità di trattamento – e, pertanto, una violazione del principio di uguaglianza – a seconda che il ricercato sia un imputato o una persona già condannata.

63.      Inoltre, non si può escludere che una tale soluzione non incoraggi in definitiva le persone ricercate ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà a recarsi in altri Stati membri al fine di sfuggire a detta azione penale o di potervi scontare la propria pena. Tali Stati diverrebbero quindi Stati rifugio, come ha d’altronde espressamente sottolineato il procuratore generale di Brema all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte. Come evitare che questi ultimi incontrino a loro volta difficoltà e diventino inadempienti? Probabilmente vi si sottrarranno non eseguendo le pene per le quali avranno rifiutato l’esecuzione del mandato d’arresto europeo. Conseguenze di tal genere devono essere prese in seria considerazione.

64.      D’altronde, a giudicare dal numero di Stati membri che, alla luce delle constatazioni effettuate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo o dalla Commissione, devono considerarsi inadempienti riguardo alle condizioni di detenzione, tali Stati sembrano essere rifugi idonei. Essendo già sovraccarichi, è poco probabile che essi aumentino ulteriormente il livello di occupazione dei loro istituti penitenziari accogliendo individui condannati dalle autorità giudiziarie degli altri Stati membri.

65.      Alla luce di tutte queste considerazioni, occorre dunque constatare che una trasposizione del principio enunciato dalla Corte nella sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865) incontrerebbe notevoli ostacoli relativi alla natura e agli obiettivi del mandato d’arresto europeo e implicherebbe, inoltre, non solo una paralisi del meccanismo istituito dalla decisione quadro, ma anche conseguenze estremamente gravi e dannose per le autorità giudiziarie di esecuzione, elementi su cui ritornerò.

V –          Analisi

66.      Con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede alla Corte se, alla luce del testo dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria di esecuzione di un mandato d’arresto europeo sia tenuta a consegnare la persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura privative della libertà qualora quest’ultima rischi di essere detenuta, nello Stato membro emittente, in condizioni materiali contrarie ai propri diritti fondamentali e, se del caso, a quali condizioni e con quali formalità.

67.      Il problema sollevato dal giudice del rinvio non riguarda un vizio che inficia la validità intrinseca del mandato d’arresto europeo o il procedimento d’indagine, la sentenza o i mezzi di ricorso applicabili nello Stato membro emittente. Il vizio concerne le condizioni di detenzione in tale Stato, vale a dire una fase successiva all’esecuzione del mandato d’arresto europeo. Tale vizio comporta un rischio, quello di sottoporre la persona consegnata a condizioni materiali di detenzione contrarie alle garanzie previste dall’articolo 4 della Carta.

68.      Il problema sollevato dal giudice del rinvio riguarda quindi una problematica classica di bilanciamento tra diversi obiettivi fondamentali, la necessità di conseguirli e la possibilità di farlo senza negare e nemmeno soltanto diminuire le garanzie che fanno dell’Unione uno spazio di diritto e di libertà.

69.      In un primo momento, procederò a un’analisi classica del testo dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, dell’economia di quest’ultima e dei principi cardine sui quali essa è basata. Al termine di tale analisi, concluderò che l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro non può essere interpretato nel senso che esso costituisce un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo.

70.      Non concluderò tuttavia nel senso dell’esistenza di un obbligo tassativo di consegna qualora l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo rischi di portare a risultati come quelli descritti dal giudice del rinvio.

71.      Infatti, in un secondo momento, spiegherò le ragioni per le quali si impone un controllo di proporzionalità qualora l’autorità giudiziaria decida, nonostante la mancanza di spazio negli istituti penitenziari dello Stato e le numerose condanne subite da quest’ultimo a causa di condizioni materiali di detenzione contrarie ai diritti fondamentali, di emettere un mandato d’arresto europeo per reati minori.

A –          Il testo dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro

72.       L’articolo 1 della decisione quadro è intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione».

73.      Il legislatore dell’Unione definisce quindi, al paragrafo 1 di tale articolo, l’oggetto del mandato d’arresto europeo ed enuncia, al paragrafo 2 di detto articolo, il principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a darne esecuzione in base al principio del riconoscimento reciproco.

74.      Nell’enunciare, al paragrafo 3 del medesimo articolo, che «[l]’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro», il legislatore dell’Unione si limita a ricordare a ciascuno degli Stati membri che questi sono tenuti, ai sensi di quest’ultima disposizione, al rispetto dei diritti fondamentali.

75.      Come vedremo, tale obbligo costituisce un’espressione del principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quale richiamato dalla Corte nel suo parere 2/13 (EU:C:2014:2454).

76.      Il legislatore dell’Unione enuncia quindi, all’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro, i principi su cui si fonda l’esecuzione del mandato d’arresto europeo, vale a dire, rispettivamente, il principio del riconoscimento reciproco e il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri.

77.      Tali paragrafi 2 e 3 sono complementari, poiché i due principi che essi enunciano sono indissolubilmente legati in quanto il principio del riconoscimento reciproco si fonda sulla fiducia che esiste tra gli Stati membri in merito al rispetto, da parte di ciascuno di essi, del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali.

78.      Alla luce di tali elementi, l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro non può quindi essere interpretato nel senso che esso ha per oggetto l’introduzione di un’eccezione al principio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

B –          Sull’economia del sistema

79.      Qualora si dovesse interpretare l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro come una disposizione che consente all’autorità giudiziaria di esecuzione di rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo in quanto la persona ricercata corre il rischio di essere esposta a condizioni materiali di detenzione contrarie ai suoi diritti fondamentali, tale interpretazione sarebbe, inoltre, manifestamente contraria all’economia del sistema.

80.      Da una parte, essa avrebbe l’effetto di introdurre un motivo di non esecuzione che manifestamente non è stato previsto dal legislatore dell’Unione.

81.      Ciò contraddirebbe, quindi, non solo la volontà, chiaramente affermata dal legislatore dell’Unione, di prevedere in modo tassativo, per motivi di certezza del diritto, i casi in cui il mandato d’arresto europeo non può essere eseguito, ma anche la giurisprudenza della Corte, la quale adotta un’interpretazione molto restrittiva della decisione quadro e, in particolare, dei motivi di non esecuzione previsti dagli articoli da 3 e 4 bis di quest’ultima.

82.      Dall’altra, tale interpretazione avrebbe l’effetto di introdurre un motivo di non esecuzione sistematica dei mandati d’arresto europei emessi dagli Stati membri che patiscono gravi difficoltà di funzionamento dei loro istituti penitenziari, diverso da quello espressamente previsto nel considerando 10 della decisione quadro.

83.      In tale considerando, il legislatore dell’Unione prevede espressamente la possibilità di sospendere il meccanismo del mandato d’arresto europeo nei confronti di uno Stato membro in caso di grave e persistente violazione, da parte di quest’ultimo, dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, UE.

84.      La violazione «persistente» è definita dalla Commissione come il «ripetersi sistematico di singoli casi di violazione» (21), mentre la Commissione si preoccupa di osservare che costituisce una circostanza di cui tener conto il fatto che «uno Stato sia stato condannato ripetutamente per lo stesso tipo di violazione, nell’arco di un dato periodo, da parte di una giurisdizione internazionale come la Corte europea dei diritti dell’uomo (...), senza mostrare di volerne trarre conseguenze pratiche» (22).

85.      A mio avviso, non vi è dubbio che ci troviamo in un caso del genere.

86.      Orbene, al considerando 10 della decisione quadro, il legislatore dell’Unione richiede l’intervento definitivo dei responsabili politici per sospendere il meccanismo del mandato d’arresto europeo, poiché soltanto il Consiglio europeo, in applicazione della procedura di cui all’articolo 7, paragrafo 2, UE, può avviare la procedura di sospensione dei diritti dello Stato membro in questione. Orbene, la procedura è gravosa e complessa, poiché il Consiglio europeo delibera all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previa approvazione del Parlamento, e richiede ovviamente una forte volontà politica.

87.      Riservando al solo Consiglio europeo la possibilità di sospendere il meccanismo del mandato d’arresto europeo mediante il meccanismo sanzionatorio di cui all’articolo 7, paragrafo 2, UE, il legislatore dell’Unione ha inteso inquadrare in modo molto rigoroso tale fattispecie e non ha manifestamente voluto lasciare alle autorità giudiziarie di esecuzione la possibilità di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo in tali circostanze.

88.      Se esso avesse voluto offrire una siffatta possibilità, le opportunità per farlo sarebbero state, peraltro, molteplici.

89.      Il legislatore dell’Unione avrebbe potuto, anzitutto, affermarla nel considerando 10 della decisione quadro.

90.      Esso avrebbe poi potuto applicare per analogia il principio essenziale che disciplina le norme relative all’allontanamento, all’espulsione e all’estradizione, enunciato al considerando 13 della decisione quadro e secondo il quale, lo ricordo, «[n]essuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti».

91.      Orbene, i termini di tale considerando sono stati scelti con cura, in quanto non vi è alcun riferimento alla persona «consegnata» in forza di un mandato d’arresto europeo. In ciò ravviso una volontà dichiarata di distinguere le norme che disciplinano il mandato d’arresto europeo da quelle che regolano il sistema europeo comune di asilo, nonché la volontà di rompere con le regole tradizionali che disciplinano l’estradizione, perfettamente giustificata allorquando si intende sostituirvi una cooperazione giudiziaria fondata sul riconoscimento e sulla fiducia reciproci.

92.      Infine, il legislatore dell’Unione avrebbe potuto inserire esplicitamente tale motivo tra i motivi di non esecuzione, obbligatori o facoltativi, previsti dagli articoli da 3 a 4 bis della decisione quadro, ma non lo ha fatto.

93.      Alla luce di tali elementi, non posso fare altro che constatare che, enunciando il principio di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, il legislatore dell’Unione non ha inteso consentire alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna della persona ricercata in circostanze come quelle di cui trattasi nelle presenti cause.

C –          Sui principi cardine della decisione quadro

94.      La decisione quadro si basa, come sappiamo, sui principi del riconoscimento e della fiducia reciproci, i quali impongono alle autorità giudiziarie di esecuzione di considerare che, nell’attuazione del mandato d’arresto europeo, le autorità giudiziarie emittenti garantiranno il rispetto dei diritti fondamentali della persona consegnata.

1.            Il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie

95.      Il ricorso al principio del riconoscimento reciproco si è imposto per realizzare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, obiettivo che l’Unione si è assegnata ai sensi degli articoli 3, paragrafo 2, TUE e 82 TFUE.

96.      Nel sancire tale principio come il «fondamento» di detto spazio, è chiaro che gli Stati membri hanno voluto realizzarlo senza aver necessariamente proceduto alla previa armonizzazione delle legislazioni penali nazionali. Le esperienze passate avevano sufficientemente dimostrato che un siffatto approccio, benché si imponesse per la sua logica, era in definitiva il modo più sicuro per giungere a una situazione di blocco. Gli Stati membri hanno quindi voluto forzare tale blocco, mantenendo al contempo l’idea che un’armonizzazione possa rimanere necessaria, pur se quest’ultima riveste ormai un ruolo accessorio.

97.      Tale affermazione, lungi dall’essere un’opinione dottrinale, si deduce molto chiaramente dal testo dell’articolo 82, paragrafi 1 e 2, TFUE.

98.      Detta logica è stata perfettamente integrata dalla Corte, ancor prima della redazione del Trattato di Lisbona, quando quest’ultima ha definito il principio del riconoscimento reciproco, nell’ambito di un’applicazione del principio del ne bis in idem, nella sua sentenza Gözütok e Brügge (23). Quest’ultimo principio può essere applicato in modo transfrontaliero soltanto ove le decisioni giudiziarie dei diversi Stati membri non siano ignorate per principio e siano riconosciute alle condizioni e con gli effetti stabiliti dalla Corte. Pertanto, il riconoscimento reciproco implica necessariamente, a prescindere dalle modalità con cui è inflitta una pena, che esista una fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giustizia penale e che ciascuno di essi accetti l’applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse (24).

99.      Ne consegue che, nei rapporti «riconoscimento reciproco/fiducia reciproca», il primo impone la seconda agli Stati membri. A partire dal momento in cui il principio del riconoscimento reciproco si applica e costituisce la «regola essenziale» su cui si fonda la cooperazione giudiziaria (25), gli Stati membri devono fidarsi reciprocamente.

100. A mio avviso, non vi è dubbio che il testo dell’articolo 82 TFUE costituisce una conferma implicita della giurisprudenza della Corte, che sarebbe stato molto facile ribaltare in occasione della redazione del Trattato di Lisbona. Ricordo che tale articolo, al paragrafo 2, stabilisce una base giuridica per un ravvicinamento delle legislazioni nazionali al fine di facilitare il riconoscimento reciproco.

101. Le questioni pregiudiziali sollevate nell’ambito dell’attuazione del mandato d’arresto europeo hanno consentito alla Corte di stabilire le norme che portano alla costruzione e al mantenimento dello spazio giudiziario penale europeo e di attribuire tutta la sua forza e il suo significato al principio del riconoscimento reciproco.

102. Sin dalla sua sentenza Gözütok e Brügge (26), la Corte ha sempre adottato un’interpretazione molto restrittiva di tale principio, segnatamente per quanto riguarda il carattere automatico della consegna della persona ricercata quando non possano invocarsi eccezioni a tale consegna, basandosi su un’applicazione estremamente rigorosa dei principi del riconoscimento e della fiducia reciproci e sulla promozione del funzionamento efficace e rapido del meccanismo di consegna previsto dalla decisione quadro.

103. Ne consegue che, quando l’autorità giudiziaria di uno Stato membro chieda la consegna di una persona condannata in via definitiva oppure oggetto di un’azione penale, la sua decisione deve essere riconosciuta automaticamente dallo Stato membro di esecuzione e quest’ultimo è tenuto, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, ad eseguire tale mandato senza poter invocare motivi di non esecuzione diversi da quelli previsti tassativamente agli articoli da 3 a 4 bis di quest’ultima (27). Inoltre, lo Stato membro di esecuzione può subordinare l’esecuzione di detto mandato soltanto alle condizioni definite dall’articolo 5 della decisione quadro.

104. Così, secondo una formulazione corrente, è al fine di «agevolare la consegna delle persone ricercate, conformemente al principio del reciproco riconoscimento» (28) e di «rafforzare il sistema di consegna istituito da detta decisione quadro a favore di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia» (29) che la Corte, nella sentenza Wolzenburg (C‑123/08, EU:C:2009:616), ha incoraggiato gli Stati membri a limitare il più possibile le situazioni in cui essi possono rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, invitando questi ultimi a non avvalersi necessariamente delle possibilità offerte loro dall’articolo 4 della decisione quadro, relativo ai motivi di non esecuzione facoltativa, per quanto importanti siano gli obiettivi previsti da tale articolo (30). La Corte ha quindi riconosciuto che, per quanto importante sia l’obiettivo del reinserimento sociale della persona ricercata (31), previsto dall’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro (32), gli Stati membri devono poter limitare, in base al principio del riconoscimento reciproco, le situazioni in cui dovrebbe essere possibile rifiutare la consegna di una tale persona.

105. Nella sua sentenza West (C‑192/12 PPU, EU:C:2012:404), ancora una volta, è per agevolare la consegna e per rafforzare il sistema del mandato d’arresto europeo che la Corte, in un contesto di consegne successive di una medesima persona, ha limitato la nozione di «Stato membro di esecuzione» allo Stato membro che ha proceduto all’ultima consegna, in modo tale da limitare le situazioni nelle quali le autorità giudiziarie nazionali possono negare il loro assenso all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo (33).

2.            Il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri

106. Il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri è annoverato, oggi, tra i principi fondamentali del diritto dell’Unione, al pari dei principi del primato e dell’efficacia diretta.

107. Nel suo parere 2/13 (EU:C:2014:2454), la Corte, riunita in seduta plenaria, ha confermato l’«importanza fondamentale» di detto principio che «il diritto dell’Unione impon[e] (...) tra tali Stati membri» in quanto esso «consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne» e il cui rispetto è essenziale per «l’equilibrio sul quale l’Unione si fonda» (34).

108. Per quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la Corte ha definito tale principio dichiarando che esso impone a ciascuno degli Stati membri di ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (35).

109. Il principio della fiducia reciproca osta pertanto, secondo la Corte, a che uno Stato membro verifichi se un altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall’Unione, poiché ciò «[comprometterebbe] l’equilibrio sul quale l’Unione si fonda» (36).

110. La fiducia reciproca tra gli Stati membri si basa su diversi fattori.

111. In primo luogo, la fiducia che ciascuno Stato membro deve avere nei rispettivi sistemi di giustizia penale degli altri Stati membri sembra essere il risultato logico e assolutamente inevitabile della scomparsa delle frontiere interne e della creazione di uno spazio unico di libertà, sicurezza e giustizia.

112. In secondo luogo, come rileva la Corte nel suo parere 2/13 (EU:C:2014:2454), tale fiducia si basa sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi ultimi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, quali il rispetto della dignità umana, la libertà, democrazia, uguaglianza, lo Stato di diritto nonché il rispetto dei diritti dell’uomo, come precisato all’articolo 2 TUE (37). Così, tutti gli Stati membri hanno dimostrato, quando hanno creato le Comunità europee o vi hanno aderito, di essere Stati di diritto, rispettosi dei diritti fondamentali.

113. In terzo luogo, detta fiducia si basa sul fatto che ciascuno degli Stati membri resta soggetto all’obbligo di rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, dalla Carta o dal loro diritto nazionale, e ciò anche nell’ambito del diritto penale, sostanziale o processuale, che non rientra nel campo di applicazione della decisione quadro e del diritto dell’Unione (38).

114. Nonostante l’assenza, finora, di un’armonizzazione estesa del diritto penale sostanziale e processuale all’interno dell’Unione, gli Stati membri si sono pertanto convinti del fatto che le condizioni nelle quali le persone ricercate fossero perseguite, giudicate e, se del caso, detenute negli altri Stati membri sono rispettose dei diritti di tali individui e consentiranno loro di difendersi adeguatamente.

115. È tale obbligo, incombente a ciascuno degli Stati membri, di rispettare i diritti fondamentali che, secondo la Corte, deve consentire agli Stati membri di avere fiducia «circa il fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta» (39).

116. Pertanto, in applicazione di tali principi, la Corte, nella sentenza F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358) (40), ha dichiarato che «è proprio nell’ambito dell’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente che le persone oggetto di un mandato di arresto europeo possono esperire gli eventuali mezzi di ricorso che consentono di contestare la legittimità dell’azione penale o dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza privative della libertà oppure del procedimento penale di merito che ha condotto a detta pena o misura» (41).

117. Ancora una volta, in applicazione di detti principi, la Corte, nella sentenza Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107) (42), ha dichiarato che l’automaticità della consegna si impone anche se lo Stato membro di esecuzione sviluppi nel proprio ordinamento costituzionale una concezione più esigente del diritto a un processo equo.

118. Pertanto, dal momento in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione non possa invocare uno dei motivi di non esecuzione elencati tassativamente agli articoli da 3 a 4 bis della decisione quadro, essa è tenuta a consegnare la persona ricercata alle autorità giudiziarie emittenti quand’anche le disposizioni del proprio diritto nazionale, ancorché di ordine costituzionale, conferiscano un livello di tutela dei diritti fondamentali più elevato di quello che deriva dalle disposizioni della decisione quadro.

119. Nella causa che ha dato luogo a detta sentenza, la Corte ha così dichiarato che consentire a uno Stato membro di invocare un livello più elevato di tutela dei diritti fondamentali nel proprio ordinamento costituzionale al fine di subordinare la consegna di una persona condannata in contumacia porterebbe a violare i principi di riconoscimento e di fiducia reciproci sui quali è basata la decisione quadro e, pertanto, a compromettere l’efficacia di quest’ultima.

120. È tale obbligo relativo al rispetto dei diritti fondamentali che, infine, secondo la Corte, giustifica la formulazione del considerando 10 della decisione quadro, in base alla quale l’attuazione del mandato d’arresto europeo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, UE, constatata dal Consiglio europeo in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, UE, con le conseguenze previste al paragrafo 3 di quest’ultimo articolo (43).

121. È quindi detto obbligo che, ancora una volta secondo la Corte, conferma il principio del riconoscimento reciproco sul quale si fonda il meccanismo del mandato d’arresto europeo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro.

122. È evidente, al termine di tale analisi, che un motivo di non esecuzione fondato sul rischio di violazione, nello Stato membro emittente, dei diritti fondamentali della persona consegnata pregiudicherebbe gravemente il legame di fiducia sul quale dovrebbe fondarsi la cooperazione da giudice a giudice prevista dalla decisione quadro, vanificando di conseguenza il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie.

123. Tenuto conto del numero degli Stati membri confrontati a un malfunzionamento del loro sistema penitenziario, e in particolare un problema di sovraffollamento carcerario generalizzato, una siffatta interpretazione avrebbe l’effetto, come abbiamo visto, di introdurre un’eccezione sistematica all’esecuzione dei mandati d’arresto europei emessi da tali Stati, il che porterebbe a paralizzare il meccanismo del mandato d’arresto europeo.

124. Di fatto, inoltre, le autorità giudiziarie di esecuzione non potrebbero più consegnare la persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà.

125. Una volta paralizzato il meccanismo della decisione quadro, ad essere compromesso sarebbe, in realtà, uno degli obiettivi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, vale a dire quello di garantire la repressione delle attività criminali non solo nell’interesse comune di tutti gli Stati membri, ma anche in quello delle vittime, poiché, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo fosse emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, le autorità giudiziarie di esecuzione non disporrebbero, in linea di principio, di alcuna competenza per giudicare l’interessato al posto delle autorità giudiziarie emittenti, e ciò tenuto conto del principio di territorialità della legge penale. Qualora, come sembra avvenire nel caso di specie, esse disponessero invece di tale competenza, il pubblico ministero di Brema ha evidenziato le difficoltà e i mezzi sproporzionati che ciò comporterebbe.

126. Orbene, da una parte, non spetta allo Stato membro di esecuzione, neanche nell’ambito del suo dovere di solidarietà enunciato dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, assicurare, a causa del malfunzionamento del sistema penitenziario dello Stato membro emittente, l’esecuzione della pena inflitta alla persona ricercata, con gli oneri che ciò implica, a meno che, ovviamente, una siffatta presa in carico si imponga ai fini del reinserimento sociale di quest’ultima, come consentito dalle disposizioni della decisione quadro. Al di fuori di tali ipotesi, ridurre il sovraffollamento delle carceri in uno Stato membro per aggravarlo in un altro non è una soluzione.

127. Dall’altra, non dimentichiamo che ci troviamo senz’altro nell’ambito della prevenzione di un rischio, e non già in quello dell’accertamento e della sanzione di una violazione. Sebbene l’esistenza di una carenza sistemica costituisca un motivo legittimo per interrogarsi sulle condizioni di detenzione delle persone consegnate, tale constatazione effettuata in un determinato momento non consente, tuttavia, di sospettare a priori la violazione dei diritti fondamentali delle persone consegnate e di bloccare l’applicazione del riconoscimento reciproco mediante l’istituzione di un motivo di non esecuzione «sistematica».

128. Infine, ultimo punto, se la Corte dovesse ritenere che l’esistenza di una carenza sistemica delle condizioni di detenzione costituisca un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo, ciò costituirebbe anche un motivo di non trasferimento ai sensi della decisione quadro 2008/909.

129. Alla luce degli interessi insiti nel principio del riconoscimento reciproco e derivanti da esso, le autorità giudiziarie di esecuzione hanno soltanto la possibilità di invocare i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa previsti dagli articoli da 3 a 4 bis della decisione quadro e, qualora non si possa invocare alcuno di tali motivi, di consegnare le persone ricercate in virtù della fiducia reciproca che esse devono avere nei confronti delle autorità giudiziarie emittenti.

130. Così interpretata, la logica del sistema comporta pertanto la necessità di rispondere al giudice del rinvio dichiarando che esso è, in linea di principio, tenuto ad eseguire i mandati d’arresto europei di cui è investito.

131. Ci si chiede, tuttavia, se sia possibile concludere tassativamente nel senso dell’obbligo di eseguire i mandati d’arresto europei la cui esecuzione porterebbe a risultati sproporzionati come quelli descritti nelle decisioni di rinvio.

132. Ritengo di no.

133. In circostanze eccezionali (44) come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, caratterizzate da una carenza sistemica delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’autorità giudiziaria di esecuzione è legittimata a chiedersi se la persona consegnata «rischi» effettivamente di essere detenuta nelle condizioni evidenziate da tale Corte.

134. È pertanto attraverso uno scambio di informazioni basato sulla cooperazione da giudice a giudice che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve valutare se, alla luce delle informazioni fornite dall’autorità giudiziaria emittente, la persona consegnata sarà effettivamente detenuta in condizioni non sproporzionate.

D –          Sull’applicazione del principio di proporzionalità all’emissione dei mandati d’arresto europei

135. È evidente che, in circostanze come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, è necessario bilanciare i diritti della persona consegnata con le esigenze imposte dalla tutela dei diritti e delle libertà altrui. Come ha ricordato la Corte nella sentenza N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84), l’articolo 6 della Carta sancisce il diritto di ogni persona non soltanto alla libertà, ma anche alla sicurezza (45). Tale diritto, al pari di quello garantito dall’articolo 4 della Carta, è un diritto assoluto e inderogabile. Qualora la persona nei cui confronti viene emesso un mandato d’arresto europeo sia ricercata a causa di atti di terrorismo o di violenza sessuale su minori, è evidente che la non esecuzione di tale mandato solleva la questione della necessaria salvaguardia della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico.

136. Tale bilanciamento è pertanto indispensabile e rientra pienamente nel ruolo del giudice ordinario, guardiano delle libertà individuali, che si trova qui in un vero e proprio stato di necessità di fare una scelta, ed è attraverso l’applicazione del principio di proporzionalità che detto bilanciamento può, a mio avviso, avvenire.

1.            La portata del principio di proporzionalità

137. Il principio di proporzionalità conosce un’applicazione particolarmente importante nell’ambito giudiziario con la denominazione di «individualizzazione» della pena.

138. L’individualizzazione della pena presenta due dimensioni: nella fase dell’imposizione della pena, da una parte, e nella fase della sua esecuzione, dall’altra.

139. Nella fase dell’imposizione della pena, il principio dell’individualizzazione della pena esclude il principio della pena automatica e interamente determinata. Il giudice determinerà quindi la pena in funzione della personalità dell’autore del reato, quale risulta in particolare dalla natura del reato commesso, dalle circostanze della sua commissione, dall’esame della personalità, dalle testimonianze, dalle perizie psicologiche e psichiatriche, e dalle possibilità di reinserimento offerte dalla personalità di tale individuo.

140. Quando il giudice impone una pena privativa della libertà, deve necessariamente tener conto, ai fini della fissazione della sua durata, delle condizioni di esecuzione di tale pena, e in particolare della loro eventuale durezza. L’obiettivo è, infatti, quello di evitare che la detenzione della persona consegnata comporti per essa conseguenze sproporzionate.

141. In tale contesto, il giudice deve ovviamente tener conto delle capacità di accoglienza degli istituti penitenziari e dell’eventuale incapacità del sistema di garantire condizioni di detenzione adeguate a causa di un problema di sovraffollamento delle carceri.

142. Tale principio di individualizzazione si applica anche, e con la medesima forza, nella fase dell’esecuzione della pena. Si parla quindi dell’applicazione delle pene. Qui entra in gioco la presa in considerazione delle condizioni materiali di detenzione, per due ragioni principali, indipendenti dagli aspetti relativi alla dignità umana.

143. Anzitutto, la criminologia moderna è unanime nel sottolineare l’effetto perverso di un eccessivo sovraffollamento, poiché esso costituisce un fattore di corruzione delle menti. Il sentimento di ingiustizia che deriva dal trattamento degradante subito rafforza la desocializzazione del detenuto e aumenta pertanto in modo esponenziale il rischio di recidiva. Lo scopo della pena, che, in definitiva, è quello di assicurare l’emenda e il reinserimento della persona condannata nella società, è quindi evidentemente compromesso.

144. Inoltre, la pena non può diventare un’umiliazione. Condizioni di detenzione eccessivamente dure attribuiscono alla pena un aspetto di severità supplementare che non è auspicato dal giudice e che rafforza il sentimento d’ingiustizia sopra descritto.

145. La medesima proporzionalità deve essere rispettata in occasione dell’emissione di un mandato d’arresto europeo finalizzato all’esercizio di un’azione penale.

146. In tale situazione, infatti, la presunzione d’innocenza di cui beneficia l’imputato costituisce già un fattore che, di per sé, invita alla moderazione. Inoltre, la detenzione che deriva dall’esecuzione del mandato d’arresto europeo è assimilabile, in realtà, a una custodia cautelare, poiché la durata di tale detenzione sarà dedotta dalla pena che verrà imposta in esito al procedimento. È quindi legittimo emettere un mandato d’arresto europeo soltanto nei casi in cui l’imposizione di una pena sia probabile, in considerazione della natura obiettiva dei fatti commessi.

147. È vero che nessuna disposizione della decisione quadro richiede espressamente che si proceda a un controllo di proporzionalità. Tuttavia, nella misura in cui il principio di proporzionalità costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, esso è opponibile, in quanto tale, all’azione degli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione, in cui rientra la decisione quadro.

148. Inoltre, la libertà di valutazione lasciata alle autorità giudiziarie di esecuzione dagli articoli 4 e 5 della decisione quadro non è altro che un’applicazione del principio di proporzionalità. Tale libertà di cui dispone il giudice chiamato ad eseguire il mandato d’arresto europeo mira, infatti, a consentire un adeguamento della misura coercitiva – sia essa finalizzata all’esercizio di un’azione penale o all’esecuzione di una pena privativa della libertà – al fine di evitare, a causa di un’esecuzione automatica e cieca, una situazione che comporti la desocializzazione dell’interessato.

149. Alla luce di tali elementi, a mio avviso, un controllo di proporzionalità deve essere svolto.

150. Altri sembrano condividere tale posizione, anche se la fondano su motivi diversi – come quelli vertenti segnatamente sulla libertà di circolazione –, ma, in realtà, complementari.

151. Il manuale europeo sull’emissione del mandato d’arresto europeo (46) invita così, molto chiaramente, le autorità giudiziarie emittenti a svolgere un siffatto controllo. Tenendo conto delle gravi conseguenze provocate dall’esecuzione di un tale mandato per quanto riguarda le restrizioni imposte alla libertà di circolazione della persona ricercata, detto manuale insiste sul fatto che il mandato d’arresto europeo debba essere utilizzato «in modo efficace, effettivo e proporzionato» al fine di assicurare il perseguimento «delle forme più gravi e dannose di criminalità».

152. Nella sua risoluzione del 27 febbraio 2014 recante raccomandazioni alla Commissione sul riesame del mandato d’arresto europeo (47), il Parlamento ha raccomandato che, in sede di emissione del mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria «valut[i] attentamente la necessità della misura richiesta, sulla base di tutti i fattori e le circostanze pertinenti, tenendo conto dei diritti del sospettato o dell’imputato e della disponibilità di un’adeguata misura alternativa meno invasiva, al fine di conseguire gli obiettivi fissati» (48).

153. In un numero considerevole di Stati membri, le autorità giudiziarie emittenti hanno già integrato tale controllo preliminare all’emissione di un mandato d’arresto europeo (49), vuoi nell’atto di trasposizione della decisione quadro (50), vuoi nella loro stessa prassi (51).

154. Condivido l’opinione espressa dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione nella parte in cui sottolineano che il controllo di proporzionalità deve essere effettuato in sede di emissione del mandato d’arresto europeo.

155. Lo stesso spirito del sistema impone, infatti, che tale controllo spetti all’autorità giudiziaria emittente, poiché il mandato d’arresto europeo deve soddisfare detta condizione ancor prima di uscire dai confini del territorio nazionale.

156. Orbene, per varie ragioni, ciò non avviene sempre.

157. Alcune normative nazionali vietano segnatamente un siffatto controllo in applicazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Così è per l’Ungheria e per la Romania (52), che si sono obbligate a procedere a un’applicazione rigorosa di tale principio al momento della loro adesione all’Unione.

158. Detto principio vieta qualsiasi valutazione di proporzionalità nella fase di decisione sull’esercizio dell’azione penale o di esecuzione di una decisione giudiziaria, al fine di garantire in modo assoluto l’indipendenza dell’autorità giudiziaria. Il suo obiettivo, molto lodevole, che si impone parimenti alle autorità giudiziarie non giurisdizionali, è quello di garantire, con la sua automaticità, che nessuna influenza esterna – segnatamente di origine politica – interferisca con il corso della giustizia.

159. Ne deriva un’automaticità che può comportare una vera e propria brutalità nell’attuazione delle decisioni, al punto di gettare discredito su meccanismi come quello del mandato d’arresto europeo. Invero, ciò si traduce in un’emissione sistematica e talvolta ingiustificata del mandato d’arresto europeo al fine di ottenere la consegna di persone ricercate per reati spesso minori (53), come il furto di 2 m2 di piastrelle o di una ruota di bicicletta, pratica che la stessa Commissione ha denunciato nella sua relazione citata alla nota 16 delle presenti conclusioni.

160. Per tali ragioni, mi sembra legittimo che la questione della proporzionalità del mandato d’arresto europeo possa essere sollevata dinanzi all’autorità giudiziaria di esecuzione.

161. Non intendo ovviamente rimettere in discussione il principio dell’autonomia procedurale.

162. Tuttavia, quando la decisione dell’autorità giudiziaria emittente esce dal territorio nazionale, soltanto nel quale essa ha forza esecutiva, per essere applicata nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, essa deve essere conforme alle norme e ai principi generali che disciplinano tale spazio giudiziario unico e che consentono l’applicazione uniforme del principio del riconoscimento reciproco.

163. L’obbligo imposto allo Stato membro di esecuzione di attribuire alla decisione «straniera» la medesima forza che avrebbe se fosse una sua decisione, ancorché il suo diritto nazionale avrebbe portato a una soluzione diversa, non può costringerlo ad eseguire un mandato d’arresto europeo che non soddisfacesse le condizioni richieste esplicitamente e implicitamente dalla decisione quadro, che disciplina un aspetto particolare del riconoscimento reciproco.

164. Tale situazione deve essere distinta, a mio avviso, da quella in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione cerchi di valutare la legittimità del mandato d’arresto europeo alla luce del proprio livello di tutela dei diritti fondamentali, ipotesi disciplinata segnatamente dalla sentenza Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107). Infatti, si tratta di stabilire se, nel campo specifico del diritto penale e nell’ambito del dialogo «orizzontale» tra i giudici ordinari sovrani, occorra sollevare la questione della proporzionalità.

165. Preciso anzitutto che, a mio avviso, poiché il principio di proporzionalità è un principio generale del diritto dell’Unione, spetta alla Corte – e ad essa soltanto – definirne, se necessario, la portata e i contorni. Spetterà pertanto all’autorità giudiziaria di esecuzione, se del caso, investirne la Corte con una questione pregiudiziale.

166. Rimane da stabilire con quali modalità possa aver luogo la valutazione di tale principio.

2.            Le modalità concrete di applicazione del principio di proporzionalità all’emissione del mandato d’arresto europeo

167. Qualora, sulla base di dati di fatto attendibili, l’autorità giudiziaria di esecuzione constati l’esistenza di una carenza sistemica delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, essa deve poter valutare, alla luce delle circostanze concrete di ciascun caso di specie, se la consegna della persona ricercata rischi di esporre quest’ultima a condizioni di detenzione sproporzionate.

168. A tal fine, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve poter chiedere all’autorità giudiziaria emittente tutte le informazioni che ritenga utili. In ossequio al principio della separazione dei poteri, l’autorità giudiziaria di esecuzione dovrebbe, a mio avviso, rivolgersi alla propria autorità nazionale competente affinché quest’ultima contatti direttamente l’autorità nazionale competente nello Stato membro emittente, e le risposte dovrebbero esserle comunicate attraverso la stessa via.

169. Nel caso di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, quest’ultimo dovrebbe, a mio avviso, essere considerato proporzionato qualora le condizioni dell’esecuzione non comportassero conseguenze afflittive non paragonabili a quelle che risulterebbero dalla pena inflitta ove quest’ultima fosse eseguita in condizioni normali.

170. Nel caso di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, quest’ultimo è proporzionato qualora le sue condizioni di esecuzione siano compatibili con la sola necessità di mantenere la persona ricercata a disposizione della giustizia. Nella sentenza Ladent c. Polonia (54), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha, d’altronde, dichiarato che l’emissione di un mandato d’arresto europeo per la commissione di un reato per il quale la custodia cautelare sarebbe normalmente considerata inappropriata può comportare conseguenze sproporzionate sulla libertà della persona ricercata, che possono essere valutate alla luce delle garanzie di cui all’articolo 5 della CEDU (55).

171. Infine, è chiaro che le possibilità offerte dagli articoli 4 e 5 della decisione quadro devono essere esaminate sistematicamente.

172. Qualora, nell’ambito del controllo di proporzionalità, l’autorità giudiziaria di esecuzione dovesse trovarsi di fronte a una particolare difficoltà di valutazione, essa sarebbe tenuta ad adire la Corte, in quanto quest’ultima è l’unica competente a risolvere tale questione di diritto dell’Unione.

173. In ogni caso, non si deve dimenticare che il controllo di proporzionalità incombe, in primo luogo, all’autorità giudiziaria emittente. Poiché si tratta qui dell’attuazione del diritto dell’Unione, quest’ultima autorità giudiziaria deve procedervi, anche se, a tal fine, essa debba disapplicare la propria normativa nazionale che impone il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, poiché si tratta qui di statuire in conformità al diritto dell’Unione, il cui primato vale anche per quanto riguarda le disposizioni della decisione quadro.

174. D’altronde, se tale controllo fosse effettuato, le questioni come quelle sollevate nei presenti rinvii pregiudiziali sarebbero incontestabilmente rare.

175. Non mi sfugge il fatto che la posizione che propongo alla Corte si risolve, in parte, nel chiederle di agire come se fosse una corte dei diritti dell’uomo. Nel campo del diritto penale, a mio avviso, tale questione dovrà essere prima o poi affrontata.

176. Nondimeno, non posso tacere il fatto che la situazione che si presenta oggi è anche la conseguenza di un’omissione dannosa, da parte sia degli Stati membri che delle istituzioni dell’Unione.

177. Dovrebbe essere inutile ricordare che ciascuno degli Stati membri è tenuto a garantire il rispetto dei diritti fondamentali, secondo quanto previsto dall’articolo 6 TUE. Tale obbligo si impone, come abbiamo visto, in virtù non soltanto della fiducia reciproca, ma anche del principio di leale cooperazione (56). L’uno non può essere disgiunto dall’altra. Ricordo, d’altronde, che, nella sentenza Pupino (C‑105/03, EU:C:2005:386), la Corte ha espressamente dichiarato che «[s]arebbe difficile per l’Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l’esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione (...), non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che è del resto interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni» (57).

178. Se, da una parte, esigiamo che le autorità giudiziarie di esecuzione consegnino, in circostanze come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, la persona ricercata, dall’altra, il principio della fiducia reciproca implica che le autorità giudiziarie emittenti, nelle quali tale fiducia è riposta – e, in particolare, lo Stato membro al quale la persona ricercata sarà consegnata –, adottino tutte le misure necessarie, ivi comprese le riforme che si impongono in termini di politica penale, per far sì che detta persona sconti la propria pena in condizioni rispettose dei suoi diritti fondamentali e possa esperire tutti i mezzi di ricorso disponibili per salvaguardare le proprie libertà individuali.

179. A questo proposito, non posso che felicitarmi per gli impegni assunti in tal senso dall’Ungheria e dalla Romania.

180. Constato inoltre che, tenuto conto del numero estremamente elevato di ricorsi individuali proposti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, i mezzi di ricorso previsti in Ungheria e in Romania consentono agli individui esposti a condizioni materiali di detenzione contrarie alle garanzie di cui all’articolo 3 della CEDU di assicurare la tutela dei propri diritti fondamentali.

181. Infine, non vedo altra soluzione che quella di rafforzare il meccanismo del mandato d’arresto europeo mediante l’azione delle istituzioni dell’Unione. Sebbene la Commissione abbia proceduto, nel 2011, alla desolante constatazione delle condizioni di detenzione in alcuni Stati membri e delle conseguenze sull’attuazione della decisione quadro, rilevo che né il Consiglio né essa hanno intrapreso azioni volte a garantire che gli Stati membri adempiano tutti i loro obblighi o, quanto meno, intraprendano le misure necessarie.

182. Eppure, l’articolo 82 TFUE fornisce loro una base giuridica per farlo.

VI – Conclusione

183. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Corte d’appello anseatica di Brema):

L’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura privative della libertà, fondato sul rischio di violazione, nello Stato membro emittente, dei diritti fondamentali della persona consegnata.

Spetta alle autorità giudiziarie emittenti procedere a un controllo di proporzionalità al fine di valutare la necessità di emettere un mandato d’arresto europeo alla luce della natura del reato e delle modalità concrete di esecuzione della pena.

In circostanze come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, caratterizzate da una carenza sistemica delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione è legittimata a chiedere all’autorità giudiziaria emittente, se necessario, tramite le autorità nazionali competenti, tutte le informazioni utili che le consentano di valutare, alla luce delle circostanze concrete di ciascun caso di specie, se la consegna della persona ricercata rischi di esporre quest’ultima a condizioni di detenzione sproporzionate.

Spetta, inoltre, allo Stato membro di emissione, in conformità agli obblighi derivanti dall’articolo 6 TUE e ai doveri che gli incombono in virtù dei principi della fiducia reciproca e della leale cooperazione, adottare tutte le misure necessarie, ivi comprese le riforme che si impongono in termini di politica penale, per far sì che la persona consegnata sconti la propria pena in condizioni rispettose dei suoi diritti fondamentali e possa esperire tutti i mezzi di ricorso disponibili per salvaguardare le proprie libertà individuali.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      GU L 190, pag. 1. Decisione quadro come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU L 81, pag. 24; in prosieguo: la «decisione quadro»).


3 –      Secondo l’espressione utilizzata nel considerando 6 della decisione quadro.


4 –      Articolo 82, paragrafo 1, primo comma, TFUE e considerando 5, 6, 10 e 11 della decisione quadro.


5 –      Sentenze Radu (C‑396/11, EU:C:2013:39, punto 34), nonché Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 37).


6 –      Sentenza F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358, punti 57 e 58).


7 –      Benché tale considerando 10 menzioni l’articolo 7, paragrafo 1, UE e l’articolo 7, paragrafo 2, UE, ritengo che il legislatore dell’Unione abbia voluto riferirsi rispettivamente all’articolo 7, paragrafo 2, UE e all’articolo 7, paragrafo 3, UE.


8 –      Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, della legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale (Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen), del 23 dicembre 1982, come modificata dalla legge relativa al mandato d’arresto europeo (Europäisches Haftbefehlsgesetz), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721; in prosieguo: l’«IRG»), l’Oberlandesgericht (Corte d’appello, Germania) statuisce, su richiesta del pubblico ministero, sulla legittimità dell’estradizione qualora l’imputato non abbia acconsentito a quest’ultima. La decisione è adottata con ordinanza, ai sensi dell’articolo 32 dell’IRG.


9 –      L’articolo 73 dell’IRG prevede che, «[i]n assenza di una richiesta in tal senso, l’assistenza giudiziaria e la trasmissione di informazioni sono illecite qualora siano in contrasto con i principi essenziali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta ai sensi delle parti ottava, nona e decima, l’assistenza giudiziaria è illecita qualora sia in contrasto con i principi sanciti dall’articolo 6 [TUE]».


10 –      N. 35972/05, 24 luglio 2012. In questa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo considera che, nonostante gli sforzi delle autorità rumene per migliorare la situazione, sussiste un problema strutturale in tale settore.


11 –      La procedura della sentenza pilota consente alla Corte europea dei diritti dell’uomo di constatare l’esistenza di una violazione della CEDU causata dai problemi sistematici, ricorrenti e persistenti concernenti le condizioni di detenzione che riguardano o possono riguardare un numero elevato di persone.


12 –      NN. 14097/12, 45135/12, 73712/12, 34001/13, 44055/13 e 64586/13, 10 marzo 2015. In tale sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo sottolinea il malfunzionamento generalizzato del sistema penitenziario ungherese, all’origine di molteplici condanne già subite dall’Ungheria in base all’articolo 3 della CEDU nonché di 450 ricorsi attualmente pendenti contro tale Stato (v., in particolare, §§ 99 e 100).


13 –      V., rispettivamente, Corte eur. D.U. sentenze Torreggiani e altri c. Italia dell’8 gennaio 2013, nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10; Neshkov e altri c. Bulgaria del 27 gennaio 2015, nn. 36925/10, 21487/12, 72893/12, 73196/12, 77718/12 e 9717/13, nonché Varga e altri c. Ungheria, cit.


14 –      V., rispettivamente, Corte eur. D.U. sentenze Karalevičius c. Lituania del 7 aprile 2005, n. 53254/99; Norbert Sikorski c. Polonia del 22 ottobre 2009, n. 17599/05, nonché Mandic e Jovic c. Slovenia del 20 ottobre 2011, nn. 5774/10 e 5985/10.


15 – V. Corte eur. D.U. sentenza Vasilescu c. Belgio del 25 novembre 2014, n. 64682/12.


16 –      V. risoluzione del Parlamento europeo del 15 dicembre 2011 sulle condizioni detentive nell’UE (GU 2013, C 168 E, pag. 82) e punto 4 della relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione dal 2007 della decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri [COM(2011) 175 definitivo].


17 –      Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, alcuni richiedenti asilo originari dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Algeria si opponevano al proprio trasferimento dal Regno Unito e dall’Irlanda verso la Grecia, Stato membro competente ad esaminare la loro domanda ai sensi del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1), in quanto rischiavano di essere sottoposti, in Grecia, a trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a causa delle condizioni della loro detenzione.


18 –      V., in particolare, punti 86, 94 e 106 di tale sentenza.


19 –      Il considerando 13 della decisione quadro deve essere letto alla luce delle disposizioni dell’articolo 28 di quest’ultima, dato che il principio da esso enunciato si applica qualora, una volta eseguito il mandato d’arresto europeo, nello Stato membro emittente si ponga la questione di un allontanamento, di un’espulsione o di un’estradizione.


20 –      GU L 327, pag. 27.


21 –      V. punto 1.4.4 della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo in merito all’articolo 7 del trattato sull’Unione europea – Rispettare e promuovere i valori sui quali è fondata l’Unione [COM(2003) 606 definitivo].


22 –      Idem.


23 –      C‑187/01 e C‑385/01, EU:C:2003:87.


24 –      Punto 33 di tale sentenza.


25 –      Sentenza West (C‑192/12 PPU, EU:C:2012:404, punto 62 e giurisprudenza citata).


26 –      C‑187/01 e C‑385/01, EU:C:2003:87.


27 –      V. sentenze Leymann e Pustovarov (C‑388/08 PPU, EU:C:2008:669, punto 51); Wolzenburg (C‑123/08, EU:C:2009:616, punto 57); Radu (C‑396/11, EU:C:2013:39, punti 35 e 36), nonché Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 38).


28 –      Sentenze Wolzenburg (C‑123/08, EU:C:2009:616, punto 59), e West (C‑192/12 PPU, EU:C:2012:404, punto 62).


29 –      Sentenza Wolzenburg (C‑123/08, EU:C:2009:616, punto 58).


30 –      Sentenza Wolzenburg (C‑123/08, EU:C:2009:616, punto 62 e giurisprudenza citata).


31 –      V. sentenza Kozłowski (C‑66/08, EU:C:2008:437, punto 45).


32 –      Secondo tale disposizione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà qualora la persona ricercata «dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda», se tale Stato «si impegni a eseguire esso stesso tale pena».


33 –      Punto 62 di tale sentenza.


34 –      Punti 191 e 194 di tale parere.


35 –      Punto 191 di detto parere.


36 –      Parere 2/13 (EU:C:2014:2454, punto 194).


37 –      Punto 168.


38 –      Sentenza F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 48).


39 –      Sentenza F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 50).


40 –      Tale sentenza è relativa alla possibilità di proporre un ricorso sospensivo dell’esecuzione della decisione dell’autorità giudiziaria di esecuzione.


41 –      Punto 50.


42 –      In tale sentenza, la Corte si è pronunciata sulla portata dell’articolo 4 bis, paragrafo 1, della decisione quadro, il quale prevede un motivo di non esecuzione facoltativa di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la sua condanna.


43 –      Sentenza F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 49).


44 –      Mi riferisco qui alle circostanze eccezionali menzionate dalla Corte al punto 191 del suo parere 2/13 (EU:C:2014:2454).


45 –      Punto 53 e giurisprudenza citata.


46 –      Documento 17195/1/10 REV 1 – COPEN 275 EJN 72 Eurojust 139.


47 –      Documento T7-0174/2014.


48 –      V. allegato di tale risoluzione. È interessante osservare che il requisito di proporzionalità è già sancito nell’ambito dell’istituzione, del funzionamento e dell’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) istituito dalla decisione 2007/533/GAI del Consiglio, del 12 giugno 2007 (GU L 205, pag. 63). Infatti, l’articolo 21 di tale decisione dispone che, prima di effettuare una segnalazione, lo Stato membro verifica se «l’adeguatezza, la pertinenza e l’importanza del caso giustificano l’inserimento della segnalazione nel SIS II».


49 –      V., in particolare, relazione finale sul quarto ciclo di valutazioni reciproche, intitolata «L’applicazione pratica del mandato d’arresto europeo e delle corrispondenti procedure di consegna tra Stati membri», adottata il 4 e 5 giugno 2009 (documento 8302/4/09 REV 4 – Crimorg 55 COPEN 68 EJN 24 Eurojust 20), che presenta un bilancio, per Stato membro, dell’applicazione del mandato d’arresto europeo.


50 –      Segnatamente nella Repubblica ceca, in Lettonia, in Lituania e in Slovacchia.


51 –      In particolare, in Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda (da parte delle forze di polizia e del pubblico ministero), Spagna, Francia, Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Finlandia, Svezia (da parte del pubblico ministero) e Regno Unito.


52 –      Ciò risulta espressamente dalle risposte fornite da tali Stati membri nell’ambito della relazione della Commissione citata alla nota 16 delle presenti conclusioni.


53 –      Ciò è stato ampiamente sottolineato dagli ultimi documenti istituzionali relativi all’applicazione della decisione quadro. V., in particolare, punto 4 della relazione della Commissione citata alla nota 16 delle presenti conclusioni.


54 –      N. 11036/03, 18 marzo 2008.


55 –      §§ 55 e 56.


56 –      Tale dovere di lealtà deriva dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, fermo restando che, in virtù di detta disposizione, tale obbligo risulta applicabile anche nei rapporti reciproci tra gli Stati membri e l’Unione (v. parere 2/13, EU:C:2014:2454, punto 202).


57 –      Punto 42.