Language of document : ECLI:EU:C:2020:131

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 27 febbraio 2020 (1)

Causa C754/18

Ryanair Designated Activity Company

contro

Országos Rendőr-főkapitányság

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Direttiva 2004/38/CE – Articoli 5, 10 e 20 – Diritto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro da parte di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione – Esenzione dal visto – Carta di soggiorno di familiare – Carta di soggiorno permanente – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen – Articolo 26 – Obbligo a carico dei vettori di accertarsi che i loro passeggeri siano in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l’ingresso nello Stato membro di destinazione»






I.      Introduzione

1.        La Corte è nuovamente invitata a pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 2004/38/CE(2). La specificità della presente causa risiede nel fatto che la domanda di decisione pregiudiziale è stata proposta nel contesto non di un diniego di ingresso da parte delle autorità nazionali nel territorio di uno Stato membro, ma di una controversia tra un vettore aereo e le autorità nazionali in ordine ad un’ammenda inflitta a tale vettore.

2.        La controversia nella causa principale offre alla Corte l’occasione di pronunciarsi, da un lato, sul diritto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro da parte di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, in possesso di una carta di soggiorno permanente in base all’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e, dall’altro, sugli obblighi del vettore aereo di vegliare a che le persone al cui trasporto esso provvede siano in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l’ingresso nello Stato membro di destinazione ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, lettera b), della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen(3).

A.      Contesto normativo

1.      Diritto dellUnione

a)      Direttiva 2004/38

3.        L’articolo 5 della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto d’ingresso», prevede, ai suoi paragrafi 1 e 2:

«1.      Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.

Nessun visto d’ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell’Unione.

2.      I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 539/2001[(4)] o, se del caso, alla legislazione nazionale. Ai fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto.

(...)».

4.        L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Rilascio della carta di soggiorno», prevede, al paragrafo 1 e al paragrafo 2, lettere a) e b):

«1.      Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda.(...)

2.      Ai fini del rilascio della carta di soggiorno, gli Stati membri possono prescrivere la presentazione dei seguenti documenti:

a)      un passaporto in corso di validità;

b)      un documento che attesti la qualità di familiare o l’esistenza di un’unione registrata;

(...)».

5.        L’articolo 11, di detta direttiva, intitolato «Validità della carta di soggiorno», dispone, al paragrafo 1:

«La carta di soggiorno di cui all’articolo 10, paragrafo 1, ha un periodo di validità di cinque anni dalla data del rilascio o è valida per il periodo di soggiorno previsto del cittadino dell’Unione se tale periodo è inferiore a cinque anni».

6.        L’articolo 16 della stessa direttiva, intitolato «Norma generale per i cittadini dell’Unione e i loro familiari», recita, ai paragrafi 1 e 2:

«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

2.      Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante».

7.        Ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2004/38, intitolato «Acquisizione del diritto di soggiorno permanente da parte di taluni familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro»:

«(...) i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante».

8.        L’articolo 20 di tale direttiva, intitolato «Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro», prevede, ai paragrafi 1 e 2:

«1.      Gli Stati membri rilasciano ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che sono titolari del diritto di soggiorno permanente, una carta di soggiorno permanente entro sei mesi dalla presentazione della domanda. La carta di soggiorno permanente è rinnovabile di diritto ogni dieci anni.

2.      La domanda di carta di soggiorno permanente è presentata prima dello scadere della carta di soggiorno. L’inadempimento dell’obbligo di richiedere la carta di soggiorno può rendere l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie».

b)      La CAAS

9.        Il titolo II della CAAS, intitolato «Soppressione dei controlli alle frontiere interne e circolazione delle persone», comprende in particolare un capitolo 6 dedicato alle misure di accompagnamento del sistema da esso previsto. Tale capitolo contiene un articolo unico, l’articolo 26, che prevede, al paragrafo 1, lettera b), e al paragrafo 2:

«1.      Fatti salvi gli obblighi derivanti dalla loro adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati [(5)], quale emendata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, [in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»], le Parti contraenti si impegnano ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali le seguenti regole:

(...)

b)      Il vettore è tenuto ad adottare ogni misura necessaria per accertarsi che lo straniero trasportato per via aerea o marittima sia in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l’ingresso nei territori delle Parti contraenti.

2.      Fatti salvi gli obblighi derivanti dalla loro adesione alla [Convenzione di Ginevra] e nel rispetto del proprio diritto costituzionale, le Parti contraenti si impegnano ad istituire sanzioni nei confronti dei vettori che trasportano per via aerea o marittima da un paese terzo verso il loro territorio stranieri che non sono in possesso dei documenti di viaggio richiesti».

2.      Diritto ungherese

10.      L’articolo 3, paragrafi da 2 a 4, della szabad mozgás és tartózkodás jogával rendelkező személyek beutazásáról és tartózkodásáról szóló 2007. évi I. törvény (legge n. I del 2007, relativa all’ingresso e al soggiorno delle persone aventi diritto alla libera circolazione e al soggiorno) (6), del 18 dicembre 2006, nella sua versione applicabile ai fatti, così dispone:

«2.      Il familiare cittadino di un paese terzo che accompagna il cittadino dello [Spazio economico europeo (SEE)] o il cittadino ungherese, o che raggiunge un cittadino del SEE o un cittadino ungherese residente nel territorio dell’Ungheria, è autorizzato ad entrare nel territorio ungherese se è munito di un documento di viaggio in corso di validità emesso entro i dieci anni precedenti e la cui durata di validità superi la data di partenza prevista di almeno tre mesi, nonché, salvo disposizioni contrarie di un atto di diritto [dell’Unione] direttamente applicabile o di una convenzione internazionale, di un visto in corso di validità che dia diritto ad un soggiorno previsto di durata non superiore a novanta giorni nel corso di un periodo di centoottanta giorni (in prosieguo: “soggiorno previsto di durata non superiore a novanta giorni”).

3.      È altresì autorizzato ad entrare nel territorio dell’Ungheria in qualità di familiare, ove sia munito di un documento di viaggio in corso di validità emesso entro i dieci anni precedenti e con una durata di validità residua di almeno tre mesi oltre la data di partenza, nonché, salvo disposizione contraria di un atto di diritto [dell’Unione] direttamente applicabile o di una convenzione internazionale, di un visto in corso di validità che dia diritto ad un soggiorno previsto di durata non superiore a novanta giorni, ogni cittadino di un paese terzo.

(...)

4.      Le persone di cui ai paragrafi 2 e 3 possono entrare nel territorio dell’Ungheria senza visto ove dispongano di un documento che attesti il diritto di soggiorno previsto dalla presente legge o di una carta di soggiorno rilasciata da uno Stato parte dell’accordo sul [SEE] al familiare, cittadino di un paese terzo, del cittadino del SEE»

11.      L’articolo 69, paragrafi 1 e 5, della harmadik országbeli állampolgárok beutazásáról és tartózkodásáról szóló 2007. évi II. törvény (legge n. II del 2007, relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi) (7), del 18 dicembre 2006, nella sua versione applicabile ai fatti, dispone quanto segue:

«1.      Ogni vettore [che trasporti] un cittadino di un paese terzo verso il territorio dell’Ungheria per via aerea o navigabile, o su una linea regolare di trasporto su strada, ovvero che gli faccia attraversare il territorio ungherese verso un altro paese di destinazione, deve accertarsi prima del trasporto che il cittadino di un paese terzo disponga, ai fini dell’ingresso o del transito, di un documento di viaggio in corso di validità e, a seconda dei casi, di un visto in corso di validità che dia diritto ad un soggiorno di durata non superiore a novanta giorni.

(...)

5.      Una sanzione amministrativa, il cui importo è determinato da una normativa speciale, è inflitta ad ogni vettore che non adempie all’obbligo di cui al paragrafo 1.

(...)».

II.    Fatti all’origine del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

12.      I fatti rilevanti del procedimento principale, quali emergono dalla decisione di rinvio, possono essere descritti come segue.

13.      Il 9 ottobre 2017, la polizia dell’aeroporto Liszt Ferenc (Budapest, Ungheria) procedeva al controllo dei passeggeri di un volo proveniente da Londra (Regno Unito) ed operato dalla Ryanair DAC. In tale occasione, essa accertava che un passeggero con cittadinanza ucraina non disponeva di visto, pur essendo munito di un passaporto non biometrico nel quale si trovava una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione rilasciata dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2004/38, ma successivamente invalidata, e una carta di soggiorno permanente valida, anch’essa rilasciata dal Regno Unito in applicazione dell’articolo 20 di tale direttiva.

14.      Poiché tale cittadino ucraino non deteneva tutti i documenti di viaggio richiesti per poter entrare nel territorio ungherese, la polizia non lo autorizzava ad entrare in Ungheria e lo rinviava a Londra. Inoltre, essa riteneva che la Ryanair non avesse adottato, in quanto vettore aereo, le misure necessarie per sincerarsi che l’interessato fosse in possesso dei documenti di viaggio richiesti e, per tale motivo, decideva di infliggere alla Ryanair una sanzione amministrativa dell’ammontare di EUR 3 000 per violazione dell’articolo 26 della CAAS.

15.      La Ryanair proponeva ricorso avverso tale decisione dinanzi alla Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Biróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria).

16.      Nell’ambito di tale ricorso, la Ryanair afferma che il cittadino in questione nel procedimento principale era autorizzato, in forza dell’articolo 5 della direttiva 2004/38, ad entrare in territorio ungherese senza essere munito di un visto, dato che disponeva di una carta di soggiorno permanente rilasciata dal Regno Unito in applicazione dell’articolo 20 di tale direttiva. La Ryanair sostiene, innanzitutto, che, benché l’articolo 5 della detta direttiva subordini l’esenzione dall’obbligo di disporre di un visto al possesso, da parte di un cittadino di uno Stato terzo, di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 10 della stessa direttiva, solo una persona che abbia previamente ottenuto tale carta può successivamente vedersi rilasciare una carta di soggiorno permanente. La Ryanair ne deduce che un’analisi contestuale delle disposizioni in questione conduce a considerare che un’esenzione dal visto esista anche nel caso in cui il cittadino di uno Stato terzo sia in possesso di una carta di soggiorno permanente rilasciata ai sensi dell’articolo 20 della direttiva 2004/38. La Ryanair ritiene poi che il possesso di tale carta debba essere considerato sufficiente, di per sé, per attestare che tale cittadino gode della qualità di familiare di un cittadino dell’Unione. Infine, la Ryanair considera che un vettore aereo non è, in ogni caso, legittimato a procedere a ulteriori verifiche per quanto riguarda il legame familiare che unisce l’interessato a un cittadino dell’Unione e non può quindi essere sanzionato per non averlo fatto.

17.      L’Országos Rendőr-főkapitányság (Stato maggiore della polizia nazionale, Ungheria) sostiene, per contro, che l’articolo 5 della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato in senso letterale, il che porta implicitamente a considerare che solo il possesso di una carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione, il cui stesso titolo dimostra l’esistenza di un legame familiare con un cittadino dell’Unione, esenta i cittadini di Stati terzi dall’obbligo di essere muniti di un visto per poter fare ingresso nel territorio degli Stati membri. Di conseguenza, il possesso di una carta di soggiorno permanente, che non è prevista all’articolo 10 di tale direttiva e il cui titolo non comporta la stessa precisazione, non può essere considerato tale da esentare il suo titolare da detto obbligo, e a fortiori nell’ipotesi in cui tale carta sia stata emessa da uno Stato membro che, come, nella fattispecie il Regno Unito, non fa parte dello spazio Schengen.

18.      In tale contesto, il giudice del rinvio giustifica la presente domanda di pronuncia pregiudiziale con i dubbi che esso nutre per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato in senso letterale o se la sua formulazione debba essere intesa alla luce del contesto in cui esso si inserisce. Esso osserva in particolare, al riguardo, che tale direttiva concepisce il diritto di soggiorno permanente come un diritto «rafforzato» concesso ai cittadini di Stati terzi familiari di un cittadino dell’Unione che abbiano già beneficiato di un diritto di soggiorno nel territorio di uno Stato membro per un periodo ininterrotto di cinque anni.

19.      Il giudice del rinvio intende accertare, in secondo luogo, quale sia la portata dell’esenzione dal visto prevista all’articolo 5 della direttiva 2004/38. Più precisamente, esso si chiede se tale esenzione debba essere intesa nel senso che va a beneficio dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari indipendentemente dallo Stato membro che ha rilasciato loro una carta di soggiorno ovvero se, al contrario, essa debba intendersi come riservata a coloro che dispongono di una carta di soggiorno rilasciata da uno Stato membro facente parte dello spazio Schengen. Al riguardo, esso sottolinea che la questione del collegamento tra la direttiva 2004/38 e le norme applicabili allo spazio Schengen è decisiva nel caso di specie, poiché è il Regno Unito che ha rilasciato i documenti detenuti dal cittadino in questione e che sono all’origine della condanna della Ryanair al pagamento di una sanzione.

20.      In terzo luogo, il giudice del rinvio rileva che, nel caso in cui l’articolo 5 della direttiva 2004/38 fosse interpretato nel senso che il beneficio dell’esenzione dal visto da esso prevista si estende ai cittadini di Stati terzi titolari di una carta di soggiorno permanente rilasciata da uno Stato membro non facente parte dello spazio Schengen, occorre determinare se il possesso di tale carta basti a dimostrare l’esistenza di un diritto del suo detentore ad entrare senza visto nel territorio di un altro Stato membro o se sia necessario che l’interessato produca documenti integrativi che comprovino il suo legame familiare con un cittadino dell’Unione (in particolare un estratto del registro di famiglia). Il giudice del rinvio aggiunge che la risposta a tale interrogativo richiede che sia precisato il collegamento tra i diritti d’ingresso e di soggiorno disciplinati dalla direttiva 2004/38, tenuto conto della circostanza che il diritto di soggiorno, una volta divenuto a carattere permanente, può continuare ad esistere dopo la scomparsa del legame familiare che abbia unito un cittadino di uno Stato terzo e un cittadino dell’Unione.

21.      In quarto e ultimo luogo, il giudice del rinvio esprime dubbi quanto all’obbligo di controllo dei vettori aerei nel contesto della verifica dei documenti di viaggio dei cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, che si spostino da uno Stato membro all’altro. In tale contesto, esso si chiede, da una parte, se i «documenti di viaggio» che l’articolo 26 della CAAS impone loro di verificare si limitino ai documenti comprovanti il diritto d’ingresso degli interessati (passaporto, carta di soggiorno e, se del caso, visto) ovvero se essi comprendano anche i documenti attestanti l’esistenza di un legame familiare con un cittadino dell’Unione. Dall’altra parte, esso si chiede quali siano le conseguenze dell’inadempimento, da parte di un vettore aereo, degli obblighi ad esso imposti da tale disposizione.

22.      Di conseguenza, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest) con decisione del 21 novembre 2018, pervenuta alla cancelleria della Corte il 3 dicembre 2018, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se si debba interpretare l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 nel senso che, ai fini di tale direttiva, sia il possesso della carta di soggiorno valida contemplata dal suo articolo 10 sia il possesso della carta di soggiorno permanente cui fa riferimento il suo articolo 20 esentano il familiare dall’obbligo di disporre di un visto al momento dell’ingresso nel territorio di uno Stato membro.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione pregiudiziale, se occorra interpretare l’articolo 5 della direttiva 2004/38 e il suo paragrafo 2 in questo stesso senso nel caso in cui la persona che sia un familiare del cittadino dell’Unione e che non disponga della cittadinanza di un altro Stato membro abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel Regno Unito e sia tale Stato quello che le ha rilasciato la carta di soggiorno permanente. In altri termini, se il possesso di una carta di soggiorno permanente prevista dall’articolo 20 di tale direttiva, rilasciata dal Regno Unito, esoneri dall’obbligo di ottenere un visto, indipendentemente dal fatto che non sia applicabile a tale Stato né il [regolamento no 539/2001], menzionato all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, né il regolamento (UE) 2016/399[(8)].

3)      In caso di risposta affermativa alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, se il possesso della carta di soggiorno rilasciata ai sensi dell’articolo 20 della direttiva 2004/38 debba essere considerato di per sé come prova sufficiente dal fatto che il titolare della carta è un familiare di un cittadino dell’Unione e, senza che sia necessario fornire alcun elemento di prova o attestazione aggiuntiva, che è autorizzato – in quanto familiare – a fare ingresso nel territorio di un altro Stato membro ed è esente dall’obbligo di visto in forza all’articolo 5, paragrafo 2, di detta direttiva.

4)      Qualora la Corte dovesse rispondere in modo negativo alla terza questione pregiudiziale, se si debba interpretare l’articolo 26, paragrafi 1, lettera b), e 2, della CAAS nel senso che il vettore aereo, è tenuto, oltre che a controllare i documenti di viaggio, ad accertarsi che il viaggiatore che intenda viaggiare con la carta di soggiorno permanente prevista all’articolo 20 della direttiva 2004/38 sia effettivamente e realmente familiare di un cittadino dell’Unione al momento dell’ingresso.

5)      Qualora la Corte risponda in modo affermativo alla quarta questione pregiudiziale:

i)      nel caso in cui il vettore aereo non possa stabilire se il viaggiatore che intende viaggiare con la carta di soggiorno permanente prevista all’articolo 20 della direttiva 2004/38 sia effettivamente un familiare di un cittadino dell’Unione al momento dell’ingresso, se il vettore sia obbligato a negare l’imbarco sull’aeromobile e a rifiutarsi di trasportare tale persona in un altro Stato membro;

ii)      nel caso in cui il vettore aereo non provveda al controllo di tale circostanza o non rifiuti di trasportare il viaggiatore che non possa dimostrare il suo status di familiare – il quale d’altro canto disponga di una carta di soggiorno permanente –, se si possa imporre una sanzione a tale vettore per questo motivo a norma dell’articolo 26, paragrafo 2, della CAAS».

23.      Hanno presentato osservazioni scritte i governi ungherese, ceco ed ellenico, nonché la Commissione europea. Sono state presentate osservazioni orali a nome della Ryanair, del governo ungherese e della Commissione all’udienza tenutasi il 3 dicembre 2019.

III. Analisi

24.      Nella fattispecie oggetto del procedimento principale, un vettore aereo è stato sanzionato per essere asseritamente venuto meno agli obblighi previsti dall’articolo 26 della CAAS e dalla normativa nazionale applicabile riguardante il trasporto verso lo Stato membro di destinazione di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione. Tale passeggero era in possesso del suo passaporto e di una carta di soggiorno permanente in corso di validità rilasciata, a norma dell’articolo 20 della direttiva 2004/38, dalle autorità di uno Stato membro non facente parte dello spazio Schengen.

25.      Il problema giuridico posto nella presente causa riguarda essenzialmente la portata dell’obbligo, imposto al vettore aereo che trasporta cittadini stranieri nel territorio degli Stati membri, di accertarsi che tali persone siano in possesso dei documenti di viaggio richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato membro di destinazione. La questione fondamentale che, in tale ambito, si pone alla luce di siffatto obbligo del vettore è quella di stabilire quali siano i documenti specifici richiesti che permettono ai cittadini di uno Stato terzo familiari di un cittadino dell’Unione di fare ingresso nel territorio degli Stati membri.

26.      Per ben comprendere il contesto del diritto dell’Unione nel quale si inseriscono le problematiche della presente causa, è necessario, innanzitutto, ricordare il collegamento tra la cittadinanza dell’Unione e l’acquis di Schengen. A tal fine, presenterò, in via preliminare, alcune osservazioni sul collegamento tra, da un lato, il regime applicabile all’attraversamento delle frontiere da parte delle persone e, dall’altro, i diritti in materia di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione e i loro familiari. Esaminerò poi la questione se il cittadino di uno Stato terzo in possesso di una carta di soggiorno permanente, rilasciata da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 20 della direttiva 2004/38, possa beneficiare dell’esenzione dall’obbligo di ottenere un visto d’ingresso nello Stato membro di destinazione in quanto familiare di un cittadino dell’Unione. Infine, mi occuperò della portata degli obblighi del vettore ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, della CAAS.

A.      Osservazioni preliminari sul collegamento tra cittadinanza dell’Unione e acquis di Schengen

27.      Nella presente causa, che si riferisce ad una controversia tra un vettore aereo ed un’autorità nazionale, le questioni sottoposte alla Corte non riguardano assolutamente un passeggero cittadino di uno Stato terzo in situazione irregolare, ma un passeggero cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si spostava tra due Stati membri, attraversando nel contempo una frontiera esterna dello spazio Schengen.

28.      Si deve ricordare che l’accordo Schengen è stato firmato nel 1985 per eliminare i controlli alle frontiere comuni e che l’acquis di Schengen riguarda la regolamentazione degli aspetti legati all’esistenza di uno spazio senza frontiere interne rafforzato da frontiere esterne (9). Per contro, l’introduzione della cittadinanza dell’Unione nel 1992, che rappresenta oggi lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (10), ha permesso il sorgere di diritti sostanziali più ampi per i cittadini degli Stati membri e per i loro familiari. Così, le norme relative alla cittadinanza dell’Unione sono vincolanti per tutti gli Stati membri, indipendentemente dalla loro partecipazione allo spazio Schengen. Tornerò in seguito su tale aspetto (11).

29.      Ne consegue che le verifiche riguardanti persone che godono del diritto alla libera circolazione in base al diritto dell’Unione devono essere effettuate conformemente alla direttiva 2004/38. Pertanto, in forza di tale direttiva, talune misure di applicazione dell’acquis di Schengen, come avviene per l’obbligo di visto, non si estendono ai cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione.

30.      Fermo restando ciò, per ragioni di completezza delle presenti conclusioni nonché per rispondere ai dubbi espressi dal giudice del rinvio, procederò tuttavia all’esame dettagliato del collegamento tra cittadinanza e acquis di Schengen.

31.      In tale contesto, si deve iniziare ricordando brevemente che è importante distinguere la disciplina applicabile nell’ambito della politica comune in materia di immigrazione da quella riguardante la cittadinanza dell’Unione e la libera circolazione delle persone.

1.      Cittadinanza dellUnione rispetto contrapposta alla politica comune in materia di diritto dellimmigrazione: status giuridici diversi fondati su logiche giuridiche distinte

32.      Si deve innanzitutto rilevare che, nel settore dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, l’Unione dispone di una competenza concorrente con gli Stati membri prevista all’articolo 4, paragrafo 2, lettera j), TFUE. Gli obiettivi e le modalità di esercizio di tale competenza sono precisati nel titolo V della terza parte del Trattato FUE. L’articolo 67, paragrafo 2, TFUE prevede che l’Unione garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa in particolare una politica comune in materia di immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi.

33.      Pertanto, la procedura legislativa ordinaria si applica per l’adozione di qualsiasi misura prevista all’articolo 79, paragrafo 2, TFUE, che riguarda nel contempo l’immigrazione regolare e l’immigrazione irregolare. L’esercizio della competenza dell’Unione, dopo il controllo di sussidiarietà, ha un effetto di preclusione o di priorità sulla competenza degli Stati membri. Questi ultimi sono pertanto privati della propria competenza a seguito dell’intervento legislativo dell’Unione. Poiché la competenza dell’Unione in materia di migrazione è una competenza di armonizzazione, l’effetto di preclusione varia in funzione della portata esatta e dell’intensità dell’intervento dell’Unione (12). Norme comuni sono quindi adottate mediante direttive che gli Stati membri hanno l’obbligo di trasporre (13), ma questi ultimi possono legiferare sulle questioni non rientranti nel diritto dell’Unione e hanno altresì la possibilità di derogare alle norme comuni, qualora tale diritto lo permetta (14). Di conseguenza, gli Stati membri conservano, in linea di principio, le loro competenze nel settore del diritto dell’immigrazione.

34.      Per contro, qualora si sia in presenza di una situazione riguardante i diritti di circolare e di soggiornare liberamente in forza del diritto dell’Unione, il margine di valutazione di cui dispongono gli Stati membri in materia di immigrazione non può arrecare pregiudizio all’applicazione delle disposizioni concernenti la cittadinanza dell’Unione o la libertà di circolazione (15), anche qualora tali disposizioni riguardino non solo la situazione di un cittadino dell’Unione, ma anche quella di un cittadino di uno Stato terzo suo familiare. Al riguardo, è importante, a mio parere, ricordare che lo status giuridico riconosciuto ai cittadini di Stati terzi nell’ambito delle direttive derivanti dalla politica comune in materia di diritto dell’immigrazione e lo status dei cittadini dell’Unione e dei cittadini di Stati terzi loro familiari sono diversi e fondati su logiche giuridiche diverse.

2.      Le norme relative allattraversamento delle frontiere da parte delle persone e al rilascio dei visti si applicano fatto salvo il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dellUnione e i loro familiari

35.      Quanto in particolare al controllo delle frontiere, alla politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata nonché alla libertà di viaggio dei cittadini di Stati terzi, la procedura legislativa ordinaria si applica per l’adozione di ogni misura di cui all’articolo 77, paragrafo 2, TFUE (16).

36.      Tuttavia, l’articolo 77, paragrafo 3, TFUE prevede che se un’azione dell’Unione risulta necessaria «per facilitare l’esercizio del diritto [dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Sati membri], di cui all’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), TFUE», la procedura legislativa speciale si applica per adottare disposizioni relative «ai passaporti, alle carte di identità, ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato». Pertanto, l’articolo 77, paragrafo 3, TFUE e le misure adottate in forza di tale disposizione per facilitare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente devono essere interpretati alla luce non degli obiettivi dell’Unione in materia di immigrazione, ma della cittadinanza dell’Unione, così come risulta in particolare dal rinvio operato dalla detta disposizione all’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), TFUE (17).

37.      Pertanto, risulta, non soltanto dai considerando dell’acquis di Schengen, ma anche dalle disposizioni pertinenti di quest’ultimo che le misure relative all’attraversamento delle frontiere esterne e interne degli Stati membri si applicano fatti salvi i diritti delle persone che godono di un diritto di libera circolazione ai sensi del diritto dell’Unione.

38.      Innanzitutto, per quanto riguarda il regime giuridico applicabile all’attraversamento delle frontiere interne ed esterne dell’Unione, al considerando 5 del codice frontiere Schengen si afferma che «un regime comune in materia di attraversamento delle frontiere da parte delle persone non mette in discussione né pregiudica i diritti in materia di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione e i loro familiari» (18). Così, da un lato, l’articolo 3 di tale codice, intitolato «Campo di applicazione», dispone che il detto codice si applica «a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio [in particolare] dei diritti dei beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale» (19) e, dall’altro, l’articolo 8, paragrafo 6, dello stesso codice, intitolato «Verifiche di frontiera sulle persone», prevede che «le verifiche sui beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale sono effettuate a norma della direttiva [2004/38]» (20).

39.      Si deve poi rilevare che, per quanto riguarda le norme relative alle procedure e alle condizioni di rilascio dei visti per i soggiorni previsti della durata massima di tre mesi su un periodo di sei mesi, il regolamento (CE) n. 810/2009 (21) dispone, all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), che esso si applica «ai cittadini di paesi terzi che devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri in conformità del regolamento [n. 539/2001], fermi restando [in particolare] i diritti di libera circolazione di cui godono i cittadini di paesi terzi che sono familiari di cittadini dell’Unione» (22).

40.      Infine, per quanto riguarda il regolamento n. 539/2001(23), il suo articolo 1, paragrafo 1, dispone che i cittadini dei paesi terzi che figurano nell’elenco di cui all’allegato I (24) devono essere in possesso di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri. Tuttavia, anche se, in forza dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro «sono soltanto assoggettati all’obbligo del visto di ingresso», conformemente a tale regolamento o, se del caso, alla legislazione nazionale (25), ai sensi della stessa disposizione «il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 [di tale direttiva] in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto».

41.      Il governo ungherese ritiene che occorra iniziare dall’esame della quarta e della quinta questione. Tuttavia, alla luce delle considerazioni che precedono, mi sembra appropriato esaminare le questioni pregiudiziali nell’ordine in cui esse sono state proposte dal giudice del rinvio.

B.      Interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (prima e seconda questione)

42.      Con la sua prima e con la sua seconda questione, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che l’esenzione dal visto d’ingresso previsto da tale disposizione a beneficio dei cittadini di Stati terzi in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 10 della detta direttiva (26) si applica anche ai cittadini di Stati terzi in possesso di una carta di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 20 della detta direttiva, rilasciata da uno Stato membro non facente parte dello spazio Schengen.

43.      Si deve innanzitutto rilevare che i governi ceco ed ellenico nonché la Commissione, al pari della Ryanair, sostengono che l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato alla luce del contesto nel quale tale disposizione si inserisce e degli obiettivi perseguiti da tale direttiva. Il governo ungherese non condivide tale tesi. Secondo la sua interpretazione, dal tenore letterale di tale disposizione risulta che solo il possesso di una carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, e non quello di una carta di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 20 della detta direttiva, esenta i cittadini di uno Stato terzo dall’obbligo di disporre di un visto per esercitare il diritto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante che ha rilasciato tale carta.

44.      È importante ricordare, innanzitutto, che ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (27) e, in particolare, della genesi di tale normativa (28). Al riguardo, secondo una giurisprudenza costante, il dispositivo di una direttiva è indissociabile dalla sua motivazione e va pertanto interpretato, se necessario, tenendo conto dei motivi che hanno portato alla sua adozione (29). Analogamente, la Corte ha dichiarato che, in considerazione del contesto e degli scopi che la direttiva 2004/38 persegue, le sue disposizioni non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private del loro effetto utile (30).

45.      Orbene, a mio parere, un’interpretazione come quella fornita dal governo ungherese sarebbe contraria all’effetto utile e allo scopo della direttiva 2004/38, nonché alla sistematica generale e alla ratio dell’articolo 5, paragrafo 2, di quest’ultima. Pertanto, occorre interpretare tale disposizione in relazione al contesto nel quale essa si inserisce, alla sua genesi nonché allo scopo della direttiva 2004/38.

1.      Interpretazione sistematica

46.      Si deve rilevare che l’oggetto della direttiva 2004/38 riguarda, come risulta dall’articolo 1, lettera a), di quest’ultima, le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione (31). A tal fine, i diritti di uscita e d’ingresso previsti agli articoli 4 e 5 (32) di detta direttiva costituiscono le condizioni o le formalità necessarie all’esercizio di altri diritti, in particolare del diritto di soggiorno, considerati da tale direttiva (33). L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 precisa che «gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione (...) nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto». Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva dispone che «[a]i fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto» (34).

47.      L’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 2004/38, considerata nel contesto globale di tale direttiva, mostra che il meccanismo del sistema graduale che è alla base del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante e che sfocia nel diritto di soggiorno permanente scatta non appena ricorrano le condizioni d’ingresso in uno Stato membro ospitante previste dalla disposizione di cui trattasi (35). Tale sistema comporta vari tipi di diritto di soggiorno che implicano diversi gradi di integrazione del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari. Si tratta, in primo luogo, del diritto di soggiorno sino a tre mesi, di cui all’articolo 6 della direttiva 2004/38, che non è soggetto ad alcuna condizione né ad alcuna formalità salvo l’obbligo di possedere una carta di identità o un passaporto in corso di validità (36); in secondo luogo, del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, che è subordinato alle condizioni enunciate all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva (37), e, in terzo luogo, del diritto di soggiorno permanente, di cui all’articolo 16 di detta direttiva per i cittadini dell’Unione e i loro familiari che abbiano soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante.

48.      Relativamente alle formalità amministrative, un documento viene rilasciato ai cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, per attestare il tipo di soggiorno di cui essi beneficiano nello Stato membro ospitante. A tal riguardo, a norma dell’articolo 10 della direttiva 2004/38, il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi è accertato dal rilascio della carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. Tale carta di soggiorno è rilasciata previa verifica dei documenti elencati all’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva e ha una durata di validità massima di cinque anni dalla data del rilascio (38). Trascorso tale periodo, per attestare la permanenza del soggiorno, l’articolo 20, paragrafo 1, di detta direttiva dispone che «[g]li Stati membri rilasciano ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro (...) una carta di soggiorno permanente», che è rinnovabile di diritto ogni dieci anni.

49.      In sintesi, a norma dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, non possono acquisire un diritto di soggiorno permanente senza aver soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante (39). Parallelamente, discende dall’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi che una carta di soggiorno permanente può essere rilasciata solo a un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che, preliminarmente, sia stato titolare di una carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.

50.      Ne consegue, come ha sottolineato la Commissione all’udienza in risposta ad un quesito posto dalla Corte, che la carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi e la carta di soggiorno permanente non possono essere rilasciate parallelamente dato che ciascuna di esse attesta in effetti un tipo distinto di diritto di soggiorno dei familiari dei cittadini dell’Unione sul territorio dello Stato membro ospitante, e cioè, rispettivamente, il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi (capo III) e il diritto di soggiorno permanente (capo IV). Più precisamente, la sola carta di soggiorno che può essere rilasciata dalle autorità dello Stato membro ospitante ad un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che abbia già soddisfatto le condizioni del capo III della direttiva 2004/38 per cinque anni in via continuativa è la carta di soggiorno permanente. Ciò viene suffragato dall’articolo 20, paragrafo 2, di tale direttiva, ai sensi del quale la domanda di carta di soggiorno permanente è presentata prima dello scadere della carta di soggiorno e l’inadempimento di tale obbligo è passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.

51.      D’altro canto, il diritto di soggiorno permanente conferisce più diritti rispetto al diritto di soggiorno che lo ha preceduto. Non soltanto la carta di soggiorno permanente che attesta tale diritto ha una durata di validità di dieci anni (articolo 20, paragrafo 1, della direttiva 2004/38), ma i cittadini di uno Stato terzo familiari di un cittadino dell’Unione non sono soggetti alle condizioni previste al capo III di tale direttiva. Pertanto, tali cittadini potrebbero costituire un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante senza poter essere allontanati dal territorio di tale Stato membro (articolo 16, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi). Infatti, come risulta dal considerando 18 della stessa direttiva, il diritto di soggiorno permanente, una volta ottenuto, non dev’essere sottoposto ad alcun’altra condizione, e ciò affinché esso possa costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante (40). Inoltre, una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi (articolo 16, paragrafo 4, della direttiva 2004/38). Per giunta, i cittadini di uno Stato terzo familiari di un cittadino dell’Unione, che abbiano ottenuto un diritto di soggiorno permanente, beneficiano «di pari trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante nel campo di applicazione del trattato» (articolo 24 di tale direttiva) (41).

52.      Di conseguenza, sarebbe paradossale che l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, che conferisce ai suoi beneficiari diritti più ampi rispetto al diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi e, pertanto, dimostra una loro integrazione più stretta nello Stato membro ospitante, possa condurre ad inasprire le condizioni di ingresso in altri Stati membri.

53.      Pertanto, esaminato nel suo contesto, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso che l’esenzione dal visto contemplata da tale disposizione si applica non soltanto al titolare della carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi di cui all’articolo 10 di tale direttiva, ma anche al titolare della carta di soggiorno permanente di cui all’articolo 20 di detta direttiva.

2.      Interpretazione teleologica e storica

54.      L’analisi che precede è confortata dallo scopo della direttiva 2004/38 e, in particolare, dall’articolo 5 di quest’ultima, nonché dall’esame dei lavori preparatori di tale disposizione.

55.      Dai considerando da 1 a 4 della direttiva 2004/38 risulta che tale direttiva mira ad agevolare l’esercizio del diritto fondamentale e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE ed a rafforzare, in particolare, tale diritto (42). Tale obiettivo si inserisce nel sistema graduale (43) previsto da tale direttiva, che disciplina il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante (44).

56.      Quanto alla genesi di tale disposizione, l’articolo 6, paragrafo 2, della proposta iniziale della Commissione (45) non faceva alcuna distinzione tra i tipi di documento attestanti il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o permanente e faceva riferimento, in maniera generale, al «possesso di un documento di soggiorno in corso di validità rilasciato da uno Stato membro», disponendo che tale documento di soggiorno «[equivaleva] al visto». La Commissione ha specificato all’udienza che nel corso della procedura legislativa era stato raggiunto un consenso unanime per considerare che il documento di soggiorno non aveva lo stesso valore di un visto e che il primo esonerava i cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, dall’obbligo di ottenere il secondo. L’articolo 8, paragrafo 2, della risoluzione legislativa del Parlamento rispecchiava tale emendamento e disponeva che «il possesso di un documento di soggiorno in corso di validità rilasciato da uno Stato membro [esentava] dall’obbligo di munirsi del visto» (46).

57.      Successivamente, la proposta modificata della Commissione (47) ha continuato a utilizzare i termini «documento di soggiorno» e a non distinguere tra le carte di soggiorno a seconda che esse attestino un soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o un soggiorno permanente. Tuttavia, il testo di tale disposizione non era conforme alla redazione proposta dall’articolo 10, che si riferiva nondimeno alla «carta di soggiorno di familiari di un cittadino dell’Unione». A questo proposito, la Commissione ha rilevato che solo per scrupolo di coerenza terminologica il legislatore ha poi sostituito i termini «carta di soggiorno» con «carta di soggiorno di cui all’articolo 10» (48). Il legislatore dell’Unione ha così voluto precisare che l’esenzione dall’obbligo di visto trova il suo fondamento nel diritto dell’Unione e, in particolare, nella carta di soggiorno rilasciata dagli Stati membri sul fondamento della direttiva 2004/38 e non sulla base di altri documenti rilasciati agli stranieri dagli Stati membri sul fondamento del diritto nazionale (49).

58.      Pertanto, sembra che la volontà del legislatore non sia stata quella di escludere la carta di soggiorno permanente dai documenti attestanti il diritto di soggiorno e che permettono l’esenzione dall’obbligo di visto. La lettura del considerando 8 della direttiva 2004/38, che non distingue tra la carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi e la carta di soggiorno permanente, consente di corroborare tale interpretazione. Infatti, detto considerando recita: «[al fine di facilitare la libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto una carta di soggiorno dovrebbero essere esentati dall’obbligo di munirsi di un visto d’ingresso a norma del [regolamento n. 539/2001] o, se del caso, della legislazione nazionale applicabile (50)».

59.      Per giunta, si deve ricordare che sia i cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, che beneficiano di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi sia quelli che beneficiano di un diritto di soggiorno permanente possono, a talune condizioni, conservare i loro diritti d’ingresso e di soggiorno esclusivamente a titolo personale (51), più precisamente, essi possono conservare il diritto d’ingresso negli Stati membri, senza visto, mediante la presentazione della loro carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o della loro carta di soggiorno permanente.

60.      Di conseguenza, poco importa che i cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, siano titolari di una carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o che siano titolari di una carta di soggiorno permanente per beneficiare dell’esenzione dal visto. Sostenere il contrario contrasterebbe con l’interpretazione sistematica, teleologica e storica della direttiva 2004/38 e del suo articolo 5, paragrafo 2.

3.      La non partecipazione di uno Stato membro allo spazio Schengen

61.      Si deve ricordare che la direttiva 2004/38 è stata adottata dal legislatore dell’Unione sul fondamento degli articoli 18, 21, 46, 50 e 59 TFUE. Tali disposizioni sono vincolanti per tutti gli Stati membri, indipendentemente della loro partecipazione allo spazio Schengen. Pertanto, i diritti ivi riconosciuti sono garantiti a tutti i cittadini dell’Unione e ai loro familiari.

62.      Nella fattispecie, il fatto che l’acquis di Schengen non si applichi allo Stato membro che ha rilasciato la carta di soggiorno permanente, e cioè il Regno Unito, non ha alcuna incidenza sulle condizioni di ingresso negli Stati membri stabilite all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Infatti, a norma di tale disposizione, i cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, sono soltanto assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, conformemente al regolamento n. 539/2001 o, se del caso, alla normativa nazionale. Come ha sottolineato la Commissione nelle sue osservazioni, tale riferimento alla legislazione nazionale è previsto per gli Stati membri non facenti parte dello spazio Schengen. Tuttavia, ai fini della direttiva 2004/38, i cittadini di uno Stato terzo familiari di un cittadino dell’Unione sono esentati da tale obbligo se muniti di una carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o di una carta di soggiorno permanente in corso di validità.

63.      Come ho già precisato al paragrafo 38 delle presenti conclusioni, le norme comuni in materia di attraversamento delle frontiere da parte delle persone non rimettono in discussione né pregiudicano i diritti in materia di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione e i loro familiari, ivi compresi i cittadini degli Stati membri non facenti parte dello spazio Schengen.

C.      Sul valore probante della carta di soggiorno permanente (terza questione)

64.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio cerca di stabilire se il possesso di una carta di soggiorno permanente, prevista all’articolo 20 della direttiva 2004/38, equivalga, da solo, alla prova che il suo titolare dispone di un diritto d’ingresso in uno Stato membro in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione.

65.      Nella fattispecie, uno Stato membro non ha autorizzato all’ingresso nel suo territorio un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, in quanto tale cittadino non era in possesso di tutti i documenti di viaggio richiesti per poter far ingresso nel suo territorio senza visto, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, mentre tale cittadino era in possesso di una carta di soggiorno permanente in corso di validità, rilasciata sul fondamento dell’articolo 20 di tale direttiva dallo Stato membro di residenza.

66.      Mi sembra importante ricordare che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro, ai fini voluti dal Trattato, costituisce un diritto direttamente conferito da quest’ultimo o, a seconda dei casi, dalle disposizioni adottate per l’applicazione del detto Trattato. Pertanto, il rilascio di una carta di soggiorno conformemente alla direttiva 2004/38 ad un cittadino di uno Stato membro o ad un suo familiare dev’essere considerato non come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto destinato ad accertare, da parte di uno Stato membro, la situazione individuale di tali persone alla luce del diritto dell’Unione (52).

67.      Di conseguenza, la presentazione di una carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi o permanente in corso di validità, ai fini della giustificazione della qualità di «familiare di un cittadino dell’Unione» (53), costituisce una formalità amministrativa il cui obiettivo è l’accertamento da parte delle autorità nazionali di un diritto che discende direttamente dalla qualità della persona in questione (54).

68.      Si può quindi affermare che, qualora da parte di un cittadino di uno Stato terzo, familiare del cittadino dell’Unione, siano soddisfatte le condizioni che consentono di beneficiare del diritto di soggiorno permanente riconosciuto dalla direttiva 2004/38, una carta di soggiorno rilasciata in forza di tale direttiva permette di accertare la legalità del soggiorno nello Stato membro ospitante da parte di tale cittadino e deve pertanto essere accettata dagli Stati membri. Orbene, occorre rilevare che non risulta assolutamente né dalla decisione di rinvio né dal fascicolo della causa che la carta di soggiorno presentata dal cittadino interessato non fosse conforme all’articolo 20 della direttiva. Infatti, la questione posta dal giudice del rinvio riguarda unicamente la forza probante della carta di soggiorno permanente per l’ingresso nel territorio di uno Stato membro.

69.      Occorre rilevare, come giustamente sottolineato dalla Commissione, che tali due carte sono atti autentici con i quali l’autorità di uno Stato membro attesta il diritto di soggiorno del familiare di un cittadino dell’Unione conformemente alla direttiva 2004/38. Pertanto, autorizzare uno Stato membro a rifiutare la carta di soggiorno permanente, rimettendone in discussione la forza probante, sarebbe in contrasto con l’obiettivo a cui mira l’esenzione dal visto che, come risulta dal considerando 8 di tale direttiva, è quello di facilitare la libera circolazione.

70.      Inoltre, il fatto che l’articolo 5 della direttiva 2004/38 disciplini tassativamente i documenti che gli Stati membri possono chiedere ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari per permettere loro l’ingresso senza visto nel loro territorio (carta di identità o passaporto e carta di soggiorno) ha come conseguenza che gli Stati membri non possono chiedere ulteriori documenti. A tale riguardo, ammettere che le autorità ungheresi rifiutino una carta di soggiorno rilasciata sul fondamento della direttiva 2004/38 equivarrebbe a consentire ad uno Stato membro di eludere il diritto alla libera circolazione e potrebbe indurre altri Stati membri ad agire allo stesso modo, violando così, di fatto, tale direttiva in maniera unilaterale (55). Gli Stati membri sono dunque tenuti a riconoscere sia la carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi sia la carta di soggiorno permanente ai fini dell’ingresso senza visto nel loro territorio, a meno che l’autenticità di tali carte e l’esattezza dei dati in esse riportati non siano messe in dubbio da indizi concreti che si riferiscono al singolo caso considerato e consentano di concludere per l’esistenza di un abuso o di una frode (56).

71.      Infine, la forza probante della carta di soggiorno permanente non dev’essere rimessa in discussione per il fatto che lo stato civile di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, beneficiario di un diritto di soggiorno può cambiare in caso di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione o ancora in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento di un’unione registrata. Si deve sottolineare che se tale cambiamento di stato civile interviene dopo l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, il mantenimento di tale diritto esclusivamente a titolo personale non è più soggetto alle condizioni previste al capo III della direttiva 2004/38, ivi comprese quelle dell’articolo 12, paragrafo 2, e dell’articolo 13, paragrafo 2, di quest’ultima (57).

72.      Alla luce di quanto precede, è evidente che il possesso di una carta di soggiorno permanente, prevista all’articolo 20 della direttiva 2004/38, equivale, da solo, alla prova che il suo titolare dispone di un diritto d’ingresso in uno Stato membro in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione.

D.      Sulla portata dell’obbligo del vettore aereo ai sensi dell’articolo 26 della CAAS (quarta e quinta questione)

73.      Con le sue questioni quarta e quinta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, della CAAS debba essere interpretato nel senso che l’obbligo del vettore aereo di accertarsi che i suoi passeggeri, cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, che si spostano da uno Stato membro all’altro, siano in possesso dei documenti di viaggio richiesti riguarda i documenti comprovanti il diritto d’ingresso di tali cittadini, e cioè il passaporto nonché la carta di soggiorno in corso di validità, ovvero se tale obbligo implichi che ci si accerti che tali passeggeri siano muniti di un visto o di altri documenti attestanti l’esistenza di un legame familiare con un cittadino dell’Unione.

74.      Per rispondere a tali questioni, mi pare importante precisare la portata generale dell’obbligo del vettore ai sensi di tale disposizione.

75.      A questo proposito, è essenziale distinguere, da un lato, gli obblighi dei vettori aerei, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, della CAAS, dalle «verifiche di frontiera» ai sensi dell’articolo 2, punto 11, del codice frontiere Schengen (58) e, dall’altro, i dipendenti, rappresentanti o mandatari di tali vettori, della «guardia di frontiera» ai sensi dell’articolo 2, punto 14, di tale codice (59).

76.      Infatti, risulta dall’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), della CAAS (60) che il vettore aereo è tenuto a controllare l’adeguatezza dei documenti di viaggio richiesti all’aeroporto di partenza e che, in assenza di tale controllo, esso si espone a sanzioni. Tuttavia, come ha recentemente precisato l’avvocato generale Pitruzzella nelle sue conclusioni nella causa D.Z. (61), «la previsione, da parte del diritto dell’Unione e/o del diritto nazionale, di siffatti obblighi e sanzioni non implica che i vettori aerei che procedono al controllo dei documenti di viaggio dei passeggeri prima del loro imbarco all’aeroporto dello Stato membro in partenza, per assicurarsi che questi ultimi siano in possesso dei documenti richiesti per l’ingresso nello Stato membro di destinazione, debbano considerarsi come emanazioni di tale Stato membro, né che tali controlli siano qualificabili come “verifiche di frontiera” ai sensi del codice frontiere Schengen, né, ancora, che i dipendenti, rappresentanti o mandatari di tali vettori siano assimilabili a delle “guardie di frontiera” ai sensi del medesimo codice» (62).

77.      Pertanto, né i vettori aerei né i dipendenti, rappresentanti o mandatari di tali vettori, che verificano l’adeguatezza dei documenti di viaggio richiesti all’aeroporto dello Stato membro di partenza, «possono essere considerati come incaricati di esercitare funzioni di controllo alla frontiera». Ne deriva che «tali soggetti non hanno, quindi, nessun potere di rifiutare o di autorizzare l’entrata di un cittadino di un paese terzo sul territorio dello Stato membro di destinazione» (63).

78.      Inoltre, mi sembra opportuno precisare che l’obbligo del vettore aereo ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), della CAAS è un obbligo formale. A tale soggetto non incombe quindi, ad esempio, l’obbligo di controllare l’autenticità di tali documenti, salvo i casi di rilevazione dei documenti non validi o chiaramente falsificati.

79.      Ciò premesso, risulta dai paragrafi da 27 a 41 delle presenti conclusioni che le norme relative all’attraversamento delle frontiere da parte delle persone e al rilascio dei visti si applicano fatto salvo il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, cittadini di uno Stato terzo. Di conseguenza, non vi è alcun dubbio, a mio parere, che l’articolo 26 della CAAS debba essere interpretato conformemente alla direttiva 2004/38. Pertanto, come risulta dalla mia analisi delle prime tre questioni pregiudiziali, il vettore aereo è tenuto a vegliare a che il cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, al cui trasporto esso provvede, sia in possesso, oltre che di un passaporto in corso di validità, della carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi prevista all’articolo 10 della direttiva 2004/38 o della carta di soggiorno permanente prevista all’articolo 20 di tale direttiva per l’ingresso nel territorio di uno Stato membro.

80.      Di conseguenza, ritengo che si debba rispondere alla quarta e alla quinta questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, della CAAS dev’essere interpretato nel senso che l’obbligo del vettore aereo di accertarsi che i suoi passeggeri, cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, che si spostano da uno Stato membro all’altro, siano in possesso dei documenti richiesti riguarda esclusivamente i documenti comprovanti il diritto d’ingresso di tali cittadini, e cioè il passaporto e la carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, prevista all’articolo 10 della direttiva 2004/38, o la carta di soggiorno permanente, prevista all’articolo 20 di quest’ultima, in corso di validità, e tale obbligo non implica quello di accertarsi che tali passeggeri siano muniti di un visto o di altri documenti che attestino l’esistenza di un legame familiare con un cittadino dell’Unione.

IV.    Conclusione

81.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che l’esenzione dal visto d’ingresso prevista da tale disposizione a beneficio dei cittadini di Stati terzi in possesso di una carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 10 di tale direttiva si applica ugualmente ai cittadini di Stati terzi in possesso di una carta di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 20 della detta direttiva, anche nel caso in cui la carta di soggiorno permanente sia stata rilasciata da uno Stato membro non facente parte dello spazio Schengen.

2)      Il possesso di una carta di soggiorno permanente di cui all’articolo 20 della direttiva 2004/38 equivale, da solo, alla prova che il suo titolare dispone di un diritto d’ingresso in un altro Stato membro in qualità di familiare di un cittadino dell’Unione.

3)      L’articolo 26, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, della Convenzione di applicazione dell’accordo si Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995, dev’essere interpretato nel senso che l’obbligo del vettore aereo di accertarsi che i suoi passeggeri, cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, che si spostano da uno Stato membro all’altro, siano in possesso dei documenti richiesti riguarda esclusivamente i documenti comprovanti il diritto d’ingresso di tali cittadini, e cioè il passaporto e la carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, prevista all’articolo 10 della direttiva 2004/38, o la carta di soggiorno permanente, prevista all’articolo 20 di quest’ultima, in corso di validità, e tale obbligo non implica quello di accertarsi che tali passeggeri siano muniti di un visto o di altri documenti che attestino l’esistenza di un legame familiare con un cittadino dell’Unione.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) no 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2005, L 197, pag. 34).


3      Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «CAAS»).


4      Regolamento del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1).


5      Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954).


6      Magyar Közlöny 2007/1, del 5 gennaio 2007.


7      Magyar Közlöny 2007/1, del 5 gennaio 2007.


8      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1; in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»).


9      Tenuto conto della sua posizione geografica, la graziosa cittadina lussemburghese di Schengen è stata prescelta per la firma dell’accordo che reca il suo nome. Infatti, Schengen si trova alla frontiera con gli altri due Stati membri firmatari, e cioè la Germania e la Francia.


10      V., in particolare, sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).


11      V. paragrafi da 61 a 63 delle presenti conclusioni.


12      Il protocollo n. 25 sull’esercizio delle competenze concorrenti (GU 2012, C 326, pag. 307), allegato ai Trattati UE e FUE, prevede che, «quando l’Unione agisce in un determinato settore, il campo di applicazione di questo esercizio di competenza copre unicamente gli elementi disciplinati dall’atto dell’Unione in questione e non copre pertanto l’intero settore».


13      V., in particolare, direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12); direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44); direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (GU 2009, L 155, pag. 17), e direttiva (UE) 2016/801 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato e programma di scambio di alunni o progetti educativi e collocamento alla pari (GU 2006, L 132, pag. 21).


14      È il caso in particolare dei criteri per la reintroduzione temporanea del controllo alle frontiere interne da parte di uno Stato membro. V. articolo 26 del codice frontiere Schengen.


15      In caso contrario, una situazione del genere sarebbe, con ogni evidenza, inconciliabile con l’instaurazione di un mercato interno che «implica che i presupposti di ingresso e soggiorno di un cittadino dell’Unione in uno Stato membro di cui non ha la cittadinanza siano gli stessi in tutti gli Stati membri». V., in questo senso, sentenza del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 68).


16      In particolare, relativamente alla competenza dell’Unione riguardante la libertà di viaggio dei cittadini di Stati terzi (che non siano familiari di un cittadino dell’Unione), l’articolo 77, paragrafo 2, lettera c), TFUE dispone che l’Unione svolge una politica riguardante «le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell’Unione per un breve periodo». Tali condizioni sono state attuate dalle disposizioni dell’acquis di Schengen.


17      L’articolo 77, paragrafo 4, TFUE prevede che tale articolo «lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri riguardo alla delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale».


18      L’articolo 2, paragrafo 5, lettera a), del codice frontiere Schengen definisce le persone che godono del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto nazionale come «i cittadini dell’Unione, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, [TFUE], nonché i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione che esercita il suo diritto alla libera circolazione (…) ai quali si applica la direttiva [2004/38]».


19      Il corsivo è mio.


20      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, «l’attraversamento delle frontiere esterne è oggetto di verifiche da parte delle guardie di frontiera». Il corsivo è mio.


21      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (GU 2009, L 243, pag. 1).


22      Il corsivo è mio. Inoltre, risulta dall’articolo 3, paragrafo 5, lettera d), del codice dei visti, intitolato «Cittadini di paesi terzi che devono essere in possesso di un visto di transito aeroportuale», che i familiari di un cittadino dell’Unione, di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), di tale codice, sono esentati dall’obbligo di visto di transito aeroportuale previsto all’articolo 1, paragrafi 1 e 2 di tale codice. V., altresì, articolo 24, paragrafo 2, e allegato XI, articolo 4, dello stesso codice.


23      Tale regolamento è stato codificato dal regolamento (UE) 2018/1806 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018 (GU 2018, L 303, pag. 39).


24      L’Ucraina figura nel’elenco comune di cui all’articolo 1, paragrafo 1, contenuto nell’allegato I del regolamento n. 539/2001. Occorre rilevare che, nell’ambito del nuovo regolamento 2018/1806, l’Ucraina non figura più nell’allegato I che si riferisce all’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono soggetti all’obbligo di visto per attraversare le frontiere esterne degli Stati membri. Per contro, l’Ucraina figura attualmente nell’allegato II di tale regolamento, che specifica l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti dall’obbligo di visto dall’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri per soggiorni la cui durata non ecceda 90 giorni su ogni periodo di 180 giorni. L’esenzione dall’obbligo di visto è limitata ai titolari di passaporti biometrici rilasciati dall’Ucraina in conformità delle norme dell’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale (OACI).


25      V. paragrafo 36 delle presenti conclusioni.


26      In prosieguo: la «carta di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi».


27      V., in particolare, sentenze del 7 ottobre 2010, Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 49), e del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto kafala algerina) (C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 51).


28      V., in questo senso, sentenza dell’11 aprile 2019, Tarola (C‑483/17, EU:C:2019:309, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


29      V., in questo senso, sentenza del 7 ottobre 2010, Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


30      V., in particolare, sentenze del 28 ottobre 1975, Rutili (36/75, EU:C:1975:137, punto 28); del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84); del 13 settembre 2016, CS (C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 38), nonché del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 39).


31      V., in particolare, sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 33).


32      Il diritto d’ingresso previsto all’articolo 5 della direttiva 2004/38 è la mera conseguenza del diritto di uscita di cui all’articolo 4 di tale direttiva.


33      Infatti, gli articoli 4 e 5 della direttiva 2004/38 sono la porta d’ingresso verso gli altri diritti di tale direttiva, poiché i diritti di libera circolazione non possono essere esercitati se un cittadino dell’Unione o i suoi familiari non possono lasciare uno Stato o entrare in un altro. Al riguardo, occorre ricordare che gli eventuali diritti conferiti, in forza della detta direttiva, ai familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di uno Stato terzo sono derivati da quelli di cui gode il cittadino dell’Unione considerato a seguito dell’esercizio della sua libertà di circolazione. Sentenza del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


34      Risulta dalla relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della direttiva 2004/38, del 10 dicembre 2008 [COM(2008) 840 def., pag. 5], che «il recepimento dell’articolo 5, paragrafo 2, [della direttiva 2004/38] è spesso scorretto e/o incompleto e le lacune legislative [nazionali] comportano frequenti violazioni dei diritti dei familiari [dei diritti dell’Unione], segnatamente di coloro che sono cittadini di paesi terzi».


35      Il diritto d’ingresso è strettamente legato al diritto di soggiorno di meno di tre mesi previsto all’articolo 6 della direttiva 2004/38.


36      Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, tale diritto viene mantenuto finché i cittadini dell’Unione o i loro familiari non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. V., in particolare, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 39), nonché del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 52).


37      Se il cittadino soddisfa le condizioni enunciate all’articolo 7 della direttiva 2004/38, il beneficio del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi si estende (salvo le limitazioni di cui all’articolo 7, paragrafo 4, di tale direttiva) anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro (articolo 7, paragrafo 2, di tale direttiva). Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, tale diritto è mantenuto solo nella misura in cui il cittadino dell’Unione e i suoi familiari soddisfino tali condizioni. Risulta dal considerando 10 della direttiva di cui trattasi che dette condizioni mirano, in particolare, ad evitare che tali persone diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. V., al riguardo, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 40), nonché del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 53).


38      V. articolo 11 della direttiva 2004/38.


39      V., altresì, articolo 18 della direttiva 2004/38.


40      V., in particolare, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 41), nonché del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 54).


41      Il corsivo è mio.


42      V. sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 82); del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 31), e del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).


43      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


44      V., al riguardo, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 38); del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 30), e del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 51).


45      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 def., GU 2001, C 270 E, pag. 150, e in particolare pag. 153].


46      Risoluzione legislativa del Parlamento europeo dell’11 febbraio 2003 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257], Posizione del Parlamento europeo dell’11 febbraio 2003 (GU 2004, C 43 E, pag. 31).


47      L’articolo 6, paragrafo 2 (emendamento 24) disponeva che «il possesso di un documento di soggiorno in corso di validità rilasciato da uno Stato membro esenta dall’obbligo di munirsi del visto». Il corsivo è mio. Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (presentata dalla Commissione in applicazione dell’articolo 250, paragrafo 2 del trattato (CE), COM(2003) 199 def. – 2001/0111 (COD) pag. 20).


48      L’articolo 5, paragrafo 2, della posizione comune del Consiglio disponeva che, «[a]i fini della presente direttiva, il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere un visto». Il corsivo è mio. Posizione comune (CE) n. 6/2004, del 5 dicembre 2003, definita dal Consiglio in vista dell’adozione della direttiva 2004[38]/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del (…) relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, C 54 E, pag. 12).


49      Il che si verifica, in particolare, nel caso del titolo di soggiorno rilasciato dalle autorità di uno Stato membro ai cittadini di uno Stato terzo, familiari di un cittadino dell’Unione che non ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione e ai quali, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2004/38, tale direttiva non si applica.


50      Il corsivo è mio.


51      A norma dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il decesso del cittadino dell’Unione o ancora il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento di un’unione registrata non incidono sul diritto di soggiorno dei familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro. Tuttavia, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, questi ultimi devono altresì dimostrare direttamente di soddisfare le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva. V., altresì, articolo 18 della detta direttiva.


52      V., in particolare, sentenze dell’8 aprile 1976, Royer (48/75, EU:C:1976:57, punti da 31 a 33), e del 21 giugno 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 48). V., altresì, sentenze del 25 luglio 2002, MRAX (C‑459/99, EU:C:2002:461, punto 74), e del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


53      Quanto alla nozione di «soggiorno legale», si deve ricordare che «il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfa le condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, non può essere considerato come soggiorno “legale”, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, di essa». Sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 47).


54      V., in questo senso, sentenza del 17 febbraio 2005, Oulane (C‑215/03, EU:C:2005:95, punto 24).


55      V. le mie conclusioni nella causa McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:345, paragrafo 139).


56      Sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 53).


57      V., al riguardo, nota a piè di pagina 51 delle presenti conclusioni.


58      La nozione di «verifiche di frontiera» è definita all’articolo 2, punto 11, di tale codice, come corrispondente alle «verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzati ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzati a lasciarlo».


59      La «guardia di frontiera» è definita all’articolo 2, punto 14, del codice frontiere Schengen come «il pubblico ufficiale assegnato, conformemente alla legislazione nazionale, ad un valico di frontiera oppure lungo la frontiera o nelle immediate vicinanze di quest’ultima, che assolve, in conformità del presente regolamento e della legislazione nazionale, compiti di controllo di frontiera».


60      V., altresì, direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell’articolo 26 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (GU 2001, L 187, pag. 45).


61      C‑584/18, EU:C:2019:1003, paragrafo 60.


62      Riguardo alla nozione di «verifiche di frontiera», v. sentenza del 13 dicembre 2018, Touring Tours und Travel e Sociedad de transportes (C‑412/17 e C‑474/17, EU:C:2018:1005, punto 45 e giurisprudenza ivi citata), nella quale la Corte ha precisato che i controlli dei documenti di viaggio effettuati dalle imprese di trasporto in occasione di trasporti transfrontalieri per autobus non costituiscono verifiche di frontiera, in quanto effettuati all’interno di un territorio di uno Stato membro, nella specie quello in cui i viaggiatori salgono sull’autobus all’inizio del viaggio transfrontaliero, non già «alle frontiere» o «al momento dell’attraversamento della frontiera».


63      Conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa D. Z. (C-584/18, EU:C:2019:1003, paragrafo 58).