CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE
presentate il 24 gennaio 2019 (1)
Causa C‑603/17
Peter Bosworth,
Colin Hurley
contro
Arcadia Petroleum Limited e altri
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito)]
«Rinvio pregiudiziale – Competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale – Convenzione di Lugano II – Titolo II, sezione 5 – Competenza in materia di contratti individuali di lavoro – Domande di risarcimento presentate da diverse società di un medesimo gruppo nei confronti di ex dirigenti – Nozioni di “contratto individuale di lavoro” e di “datore di lavoro” – Domande basate su fondamenti giuridici considerati di natura extracontrattuale nel diritto sostanziale – Condizioni alle quali tali domande si considerano “in materia” contrattuale e/o di contratti individuali di lavoro, ai fini della convenzione di Lugano II»
I. Introduzione
1. Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) ha sottoposto alla Corte quattro questioni relative all’interpretazione della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata il 30 ottobre 2007 (2) (in prosieguo: la «Convenzione di Lugano II»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra, da un lato, l’azionista unico e varie società di un gruppo multinazionale, e, dall’altro, i suoi ex dirigenti societari in merito a domande di risarcimento del danno cagionato da una frode asseritamente commessa nei confronti di tali società e della quale tali dirigenti sarebbero stati i principali artefici e beneficiari.
3. Nella fase attuale della controversia principale, il giudice del rinvio deve stabilire se i giudici di Inghilterra e Galles siano competenti a statuire su tali domande, oppure se siano i tribunali svizzeri, in quanto giudici del domicilio degli ex dirigenti chiamati in causa, a dover essere chiamati a pronunciarsi sulla totalità o su parte di tali domande. La risposta dipende dal punto se le menzionate domande siano o meno «in materia di contratti individuali di lavoro», ai sensi delle disposizioni del titolo II, sezione 5, della Convenzione di Lugano II (in prosieguo: la «sezione 5»).
4. In tale contesto, le questioni di detto giudice sollevano punti di diritto complessi relativi all’interpretazione delle nozioni-chiave di detta sezione 5, vale a dire quelle di «contratto individuale di lavoro», di «lavoratore» e di «datore di lavoro». Esse sollevano inoltre il punto se, ed eventualmente a quali condizioni, una domanda, presentata tra le parti di un siffatto «contratto» e basata su un fondamento giuridico di natura extracontrattuale nel diritto sostanziale, rientri nell’ambito di applicazione della medesima sezione.
5. Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni per le quali dei dirigenti societari, che esercitano le loro funzioni in piena autonomia, non sono legati alla società per la quale essi le esercitano da un «contratto individuale di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5. In subordine, spiegherò, da una parte, perché una domanda, presentata tra le parti di tale «contratto» e basata su un fondamento giuridico extracontrattuale, rientri in tale sezione qualora la controversia sia sorta in occasione del rapporto di lavoro e, dall’altra, perché il «datore di lavoro», ai sensi delle disposizioni di detta sezione, non si limiti necessariamente alla persona con la quale il lavoratore ha formalmente concluso un contratto di lavoro.
II. La Convenzione di Lugano II
6. La sezione 5, intitolata «Competenza in materia di contratti individuali di lavoro», contiene, in particolare, gli articoli 18 e 20 della Convenzione di Lugano II.
7. L’articolo 18, paragrafo 1, di detta Convenzione dispone che, «[s]alvi l’articolo 4 e l’articolo 5, paragrafo 5, la competenza in materia di contratti individuali di lavoro è disciplinata dalla presente sezione».
8. L’articolo 20, paragrafo 1, della medesima Convenzione prevede che «[l]’azione del datore di lavoro può essere proposta solo davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio il lavoratore è domiciliato».
III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
9. Il gruppo Arcadia è composto segnatamente dalle società Arcadia London, Arcadia Switzerland e Arcadia Singapore. Tale gruppo è detenuto al 100% dalla società Farahead Holdings Ltd (in prosieguo: la «Farahead»). All’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, il sig. Peter Bosworth e il sig. Colin Hurley (in prosieguo, congiuntamente: i «convenuti nel procedimento principale»), oggi domiciliati in Svizzera, erano, rispettivamente, chief executive officer (CEO) e chief financial officer (CFO) di detto gruppo. Essi erano, peraltro, i dirigenti delle tre società Arcadia in questione. Ciascuno di essi beneficiava inoltre di un contratto di lavoro con una delle menzionate società, redatto da essi stessi o sotto la loro responsabilità.
10. Il 12 febbraio 2015 le tre società Arcadia summenzionate e la Farahead (in prosieguo, congiuntamente: l’«Arcadia») hanno adito la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Commercial Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione commerciale), Regno Unito] con domande nei confronti di varie persone, tra cui i convenuti nel procedimento principale. Tali domande erano dirette a ottenere il risarcimento del danno che il gruppo avrebbe subito a causa di una serie di operazioni fraudolente che coinvolgevano le società Arcadia e realizzate tra l’aprile 2007 e il maggio 2013.
11. Secondo l’Arcadia, i convenuti nel procedimento principale sono i principali artefici e beneficiari di detta frode. Nella loro qualità di CEO e di CFO del gruppo, si sarebbero associati con le altre persone chiamate in causa per distrarre buona parte degli utili risultanti dalle operazioni controverse e avrebbero nascosto tali operazioni alla Farahead. Da parte loro, gli interessati contestano fermamente tali accuse.
12. Nel suo ricorso iniziale, l’Arcadia aveva sostenuto che i comportamenti lesivi asseritamente posti in essere dai convenuti nel procedimento principale costituivano (1) l’illecito (tort) di cospirazione mediante uso di mezzi illeciti (unlawful means conspiracy), (2) l’illecito di violazione degli obblighi fiduciari di lealtà e di buona fede (breach of fiduciary duty) e (3) una violazione delle obbligazioni contrattuali esplicite o implicite (breach of express and/or implied contractual duties) derivanti dai loro contratti di lavoro.
13. Con eccezione di incompetenza sollevata il 9 marzo 2015, gli interessati hanno affermato che, ai sensi della Convenzione di Lugano II, i giudici di Inghilterra e Galles non sono competenti a conoscere le domande dell’Arcadia nei loro confronti. Infatti, tali domande sarebbero «in materia di contratti individuali di lavoro» e sarebbero pertanto disciplinate dalla sezione 5. Di conseguenza, solo i giudici dello Stato del loro domicilio, vale a dire i tribunali svizzeri, sarebbero competenti a tale riguardo.
14. A seguito di ciò, le ricorrenti nel procedimento principale hanno modificato il proprio ricorso. Esse hanno rinunciato a far valere la violazione degli obblighi derivanti dai contratti di lavoro dei convenuti nel procedimento principale e hanno eliminato ogni riferimento alla violazione di siffatti obblighi quale mezzo illecito utilizzato nell’ambito dell’illecito di cospirazione.
15. Con sentenza del 1o aprile 2015, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Commercial Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione commerciale)] ha dichiarato che i giudici di Inghilterra e Galles sono competenti a conoscere delle domande dell’Arcadia nella misura in cui queste ultime sono fondate sull’illecito di cospirazione mediante uso di mezzi illeciti (unlawful means conspiracy). Inoltre, essa ha giudicato che i medesimi giudici sono ugualmente competenti ad esaminare dette domande nella misura in cui esse sono fondate sull’illecito di violazione degli obblighi fiduciari di lealtà e di buona fede (breach of fiduciary duty), mentre non lo sono ad esaminare le domande proposte su quest’ultimo fondamento dalla Arcadia London e dalla Arcadia Singapore per fatti avvenuti nell’epoca in cui ciascuna di tali società era legata da un contratto di lavoro con il sig. Bosworth o con il sig. Hurley. Infatti, in tale misura, e in tale misura soltanto, le domande dell’Arcadia sarebbero «in materia di contratti individuali di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5.
16. I convenuti nel procedimento principale hanno interposto appello avverso la summenzionata sentenza dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile), Regno Unito]. Tale appello è stato respinto con sentenza del 19 agosto 2016. Nondimeno, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) ha autorizzato gli interessati a proporre impugnazione.
17. In tali circostanze, quest’ultimo giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Quale sia il criterio corretto per stabilire se un’azione proposta da un datore di lavoro nei confronti di un dipendente o ex-dipendente (“un lavoratore”) rientri nella “materia di contratti individuali di lavoro”, ai sensi della Sezione 5 del Titolo II (articoli 18-21) della Convenzione di Lugano [II].
a) Se, affinché un’azione proposta da un datore di lavoro contro un lavoratore rientri negli articoli 18-21 [della Convenzione di Lugano II], sia sufficiente che il comportamento contestato avrebbe potuto anche essere qualificato dal datore di lavoro come una violazione del contratto individuale di lavoro del dipendente – sebbene l’azione effettivamente proposta dal datore di lavoro non invochi, non lamenti o non faccia valere alcuna violazione di detto contratto, ma venga proposta (ad esempio) su uno o più dei vari fondamenti [di cui trattasi nel procedimento principale].
b) In alternativa, se il criterio corretto sia quello secondo cui un’azione proposta da un datore di lavoro contro un lavoratore rientra negli articoli 18-21 solo se l’obbligazione effettivamente dedotta in giudizio è un’obbligazione prevista nel contratto di lavoro. Qualora questo sia il criterio corretto, se da ciò discenda che un’azione fondata unicamente sulla violazione di un’obbligazione sorta indipendentemente dal contratto di lavoro (e, ove rilevante, che non sia stata “volontariamente assunta” dal lavoratore) non rientra nella Sezione 5.
c) Qualora nessuno dei criteri sopra esposti sia il criterio corretto, quale sia allora detto criterio.
2) Se una società e una persona fisica stipulano un “contratto” (ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione [di Lugano II]), in che misura sia richiesta l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra la società e la persona fisica affinché detto contratto configuri un “contratto individuale di lavoro” ai sensi della Sezione 5 [del Titolo 2 di detta Convenzione]. Se detto rapporto possa sussistere nel caso in cui la persona fisica possa stabilire le condizioni del suo contratto con la società (e le stabilisca) e eserciti un controllo autonomo rispetto alla gestione corrente degli affari della società e allo svolgimento dei suoi compiti, ma gli azionisti della società abbiano il potere di risolvere il rapporto.
3) Qualora la Sezione 5 del Titolo II della Convenzione di Lugano [II] si applichi unicamente ad azioni che, se non fosse per detta Sezione, rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano [II], quale sia il criterio corretto per stabilire se un’azione rientra nell’articolo 5, paragrafo 1.
a) Se il criterio corretto sia quello secondo cui un’azione rientra nell’ambito [del medesimo] articolo 5, paragrafo 1, se il comportamento contestato potrebbe essere qualificato come un inadempimento contrattuale, anche se l’azione proposta dal datore di lavoro non invoca, né lamenta né fa valere alcun inadempimento di detto contratto.
b) In alternativa, se il criterio corretto sia quello secondo cui un’azione rientra nell’ambito di applicazione [di detto] articolo 5, paragrafo 1, soltanto se l’obbligazione su cui essa effettivamente si fonda è un’obbligazione contrattuale. Se questo è il criterio corretto, se da ciò discenda che un’azione basata soltanto sulla violazione di un’obbligazione sorta indipendentemente dal contratto (e che, qualora rilevante, non sia un’obbligazione “volontariamente assunta” dal convenuto) non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1.
c) Se nessuno dei due criteri precedenti è quello corretto, quale sia detto criterio.
4) In circostanze in cui:
a) le società A e B sono entrambe parte di un gruppo societario;
b) il convenuto X ricopre, de facto, la funzione di amministratore delegato di tale gruppo societario [come nel caso del sig. Bosworth per il Gruppo societario Arcadia (…)]; X è impiegato presso una società del gruppo, la società A (ed è dunque un dipendente di detta società A) [come lo era talvolta il sig. Bosworth (…)]; e, per il diritto nazionale, egli non è dipendente della società B;
c) la società A propone azioni contro X, e dette azioni rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 18-21 [della Convenzione di Lugano II]; e
d) l’altra società del gruppo, la società B, propone a sua volta un’azione contro X per un comportamento analogo a quello che costituisce oggetto delle azioni della società A contro X;
quale sia il criterio corretto per stabilire se l’azione della società B rientra nella Sezione 5 [della Convenzione di Lugano II]. Segnatamente:
– se la risposta dipenda dalla questione se tra X e la società B ricorresse un “contratto individuale di lavoro”, ai sensi della Sezione 5 [del Titolo II della Convenzione di Lugano II], e, in tal caso, quale sia il criterio corretto per determinare l’esistenza di detto contratto.
– Se la società B debba essere considerata il “datore di lavoro” di X ai fini della Sezione 5 del titolo II della Convenzione [di Lugano II] e/o se le azioni promosse dalla società B nei confronti di X [v. supra, quarta questione, lettera d)] rientrino nell’ambito di applicazione degli articoli 18-21 [della Convenzione di Lugano II], allo stesso modo in cui vi rientrano le azioni della società A contro X. Segnatamente:
a) se l’azione della società B rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 18 [della Convenzione di Lugano II] solo se l’obbligazione dedotta in giudizio sia un’obbligazione prevista nel contratto di lavoro tra la società B e X.
b) In alternativa, se l’azione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 18 [della Convenzione di Lugano II] qualora il comportamento lamentato nella medesima avesse configurato una violazione del contratto di lavoro tra la società A e X.
– Se nessuno dei due criteri precedenti è quello corretto, quale sia detto criterio».
18. La decisione di rinvio è pervenuta alla cancelleria della Corte il 20 ottobre 2017. I convenuti nel procedimento principale, l’Arcadia, la Confederazione svizzera e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Le medesime parti, ad eccezione della Confederazione svizzera, sono state rappresentate all’udienza che si è svolta il 13 settembre 2018.
IV. Analisi
A. Considerazioni preliminari
19. La Convenzione di Lugano II è una convenzione internazionale che lega l’Unione agli Stati parti dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e alla Confederazione svizzera. La Corte è stata investita solo raramente di questioni riguardanti la sua interpretazione. Si tratta di uno strumento parallelo al regolamento (CE) n. 44/2001 (3), che ha il medesimo oggetto e prevede le medesime regole di competenza di quest’ultimo. Pertanto, l’ampia giurisprudenza della Corte relativa a detto regolamento è trasponibile alle disposizioni equivalenti di detta Convenzione (4).
20. Le questioni poste dal giudice del rinvio si inseriscono nel seguente contesto giuridico. L’Arcadia ritiene che i giudici inglesi siano competenti a conoscere delle sue domande nei confronti dei convenuti nel procedimento principale sulla base dell’articolo 6, punto 1, della Convenzione di Lugano II. Infatti, queste ultime sarebbero strettamente legate a domande simili proposte nei confronti di altre tre persone domiciliate in Inghilterra e Galles (5).
21. Gli interessati contestano, tuttavia, la competenza dei summenzionati giudici. Essi deducono che tali domande sono «in materia di contratti individuali di lavoro» e sono pertanto disciplinate dalla sezione 5.
22. A questo proposito, rammento che, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, la competenza giurisdizionale per le domande in materia è disciplinata dalle disposizioni della sezione 5. A norma dell’articolo 20, paragrafo 1, di detta Convenzione, la domanda di un «datore di lavoro» nei confronti di un «lavoratore» deve essere proposta dinanzi al giudice dello Stato del domicilio di quest’ultimo. Inoltre, secondo la Corte, le disposizioni di tale sezione hanno carattere esaustivo (6). Qualora detta sezione fosse applicabile, l’Arcadia non potrebbe quindi invocare l’articolo 6, punto 1, della summenzionata Convenzione.
23. Infatti, la sezione 5 ha lo scopo, in particolare (7), di tutelare il lavoratore, considerato la parte più debole del contratto, mediante norme in materia di competenza più favorevoli ai suoi interessi (8). A tal fine, tale sezione priva il datore di lavoro di qualunque opzione di competenza per proporre la propria domanda e offre al lavoratore il vantaggio di poter essere citato, in linea di principio, esclusivamente dinanzi ai giudici considerati a lui più familiari.
24. L’esito dell’eccezione di incompetenza sollevata dai convenuti nel procedimento principale dipende dalla portata dell’ambito di applicazione della sezione 5. A tale riguardo, l’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II riguarda, lo rammento, le domande «in materia di contratti individuali di lavoro». Da questa espressione derivano due requisiti: da una parte, deve sussistere un siffatto «contratto» tra le parti; dall’altra, la domanda dev’essere legata, in un certo modo, a tale «contratto».
25. La seconda e la quarta questione del giudice del rinvio riguardano essenzialmente il primo di detti requisiti, mentre la prima e la terza questione concernono il secondo. Esaminerò l’interpretazione della nozione di «contratto individuale di lavoro» (B), poi la problematica del legame che deve sussistere tra la domanda e il «contratto» (C), prima di tornare alla nozione di «datore di lavoro» ai sensi della sezione 5 (D).
B. Sulla nozione di «contratto individuale di lavoro» (seconda questione)
26. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se contratti come quelli che erano stati conclusi tra i convenuti nel procedimento principale e talune società del gruppo Arcadia possano essere qualificati come «contratti individuali di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5. Detto giudice intende stabilire in che misura, ai fini di siffatta qualificazione, sia necessaria l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra un singolo e la società che si avvale dei suoi servizi. Esso si chiede se un tale rapporto possa sussistere nel caso in cui il singolo stabilisca i termini del proprio contratto ed abbia un controllo e un’autonomia completi rispetto alla gestione corrente degli affari della società nonché allo svolgimento dei propri compiti, ma gli azionisti della società abbiano il potere di risolvere il contratto. Inoltre, il medesimo giudice desidera conoscere le condizioni che permettono di dedurre, ai fini della summenzionata sezione, l’esistenza di «contratti» del genere tra i convenuti nel procedimento principale e le società Arcadia con le quali questi ultimi non avevano formalmente stipulato alcun contratto (9).
1. Sulla ricevibilità
27. Come indica il giudice del rinvio, l’Arcadia non ha contestato, dinanzi ai giudici nazionali di grado inferiore, il fatto che, nei confronti di ciascuna delle società con le quali avevano formalmente stipulato un contratto di lavoro, i convenuti nel procedimento principale avessero lo status di lavoratori. Secondo gli interessati, per la soluzione della controversia principale non sarebbe quindi necessaria una risposta della Corte.
28. Non condivido questa opinione. Nel contesto della cooperazione fra la Corte e i giudici nazionali, istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta solo al giudice nazionale valutare, tenendo conto delle specificità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter rendere la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte (10).
29. D’altronde, a mio avviso, da una parte, detta mancata contestazione è dovuta al fatto che l’Arcadia aveva inizialmente considerato che l’esistenza di un contratto di lavoro, a norma del diritto sostanziale, comportava di per sé la qualifica di «contratto individuale di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5. Orbene, il gruppo ha in seguito mutato avviso e contesta fermamente tale qualifica. Dall’altra, fra le parti vi è stato dissenso, in tutte le fasi del procedimento nazionale, sulla sussistenza di siffatti «contratti» tra i convenuti nel procedimento principale e le società del gruppo con le quali essi non avevano formalmente stipulato alcun contratto (11). Una risposta della Corte è dunque evidentemente necessaria.
2. Nel merito
30. Va ricordato che, all’epoca dei fatti controversi, i convenuti nel procedimento principale esercitavano, per il gruppo Arcadia, le funzioni di dirigenti societari, ai sensi del diritto societario. Più precisamente, il sig. Bosworth era il chief executive officer (CEO) di fatto (12) del gruppo e il sig. Hurley ne era, di fatto, il chief financial officer (CFO) di fatto. Inoltre, gli interessati erano i dirigenti di diritto e/o di fatto (13) delle società Arcadia London, Arcadia Switzerland e Arcadia Singapore.
31. Ciascuno dei convenuti nel procedimento principale aveva, peraltro, stipulato un contratto di lavoro (contract of employment), ai sensi del diritto sostanziale (14), con una specifica società del gruppo Arcadia. L’identità di tale società è tuttavia mutata nel corso del tempo, e questi ultimi sono stati assunti, volta per volta, segnatamente dalla Arcadia London e dalla Arcadia Singapore, ma non dall’Arcadia Swtzerland. Questi vari contratti stabilivano che gli interessati dovevano esercitare precise funzioni di direzione esclusivamente per la società che li assumeva. La sola retribuzione che percepivano dal gruppo era quella stipulata in tali contratti, versata dalla società-datrice di lavoro, per queste precise funzioni.
32. In tale contesto, occorre chiedersi, anzitutto, se, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di competenza previste dalla Convenzione di Lugano II, occorre anzitutto distinguere le relazioni che esistevano tra i convenuti nel procedimento principale e le società del gruppo Arcadia con le quali questi ultimi avevano formalmente stipulato un contratto, ai sensi del diritto sostanziale, da quelle che esistevano tra essi e le altre società di detto gruppo. Non sono convinto che sia così, per due ragioni.
33. In primo luogo, la nozione di «contratto individuale di lavoro», ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, deve essere interpretata non già con riferimento alla lex causae o alla lex fori, bensì in modo autonomo, al fine di garantire l’applicazione uniforme delle norme in materia di competenza previste da tale Convenzione in tutti gli Stati vincolati dalla stessa (15).
34. Per quanto riguarda detta definizione autonoma, dalla sentenza Holterman risulta che un siffatto «contratto individuale di lavoro» sussiste qualora una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (16). Sussiste quindi un simile «contratto» qualora le caratteristiche di un rapporto di lavoro – prestazione, retribuzione e subordinazione – siano presenti nei fatti. Come sostengono i convenuti nel procedimento principale, la Confederazione svizzera nonché la Commissione, può dunque sussistere tra due persone un «contratto» di tal genere quand’anche, ai sensi del diritto sostanziale applicabile, non sia stato concluso alcun contratto e si si tratti di un rapporto di lavoro di mero fatto (17).
35. Preciso che siffatta interpretazione rispetta i termini della sezione 5, poiché l’espressione «contratto individuale di lavoro» non implica la conclusione formale di un contratto ai sensi del diritto sostanziale. D’altronde, l’uso di tale espressione negli strumenti che vincolano gli Stati membri e/o l’Unione in materia di diritto internazionale privato risale alla Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (18). Orbene, all’atto dell’adozione della medesima Convenzione, detta espressione è stata preferita a quella di «rapporto di lavoro», proposta nel progetto preliminare della citata Convenzione, essenzialmente per il fatto che quest’ultima espressione era sconosciuta da taluni ordinamenti giuridici nazionali (19). Sarebbe pertanto erroneo contrapporre «contratto» e «rapporto» nell’ambito della sezione 5 (20).
36. Di conseguenza, l’assenza di un contratto formale, ai sensi del diritto sostanziale, tra i convenuti nel procedimento principale e una società Arcadia non esclude che un «contratto», ai fini delle disposizioni della sezione 5, debba essere desunto dai fatti. Viceversa, i contratti stipulati tra gli interessati e altre società del gruppo non saranno necessariamente considerati «contratti individuali di lavoro» ai sensi di detta sezione.
37. In secondo luogo, dalla decisione di rinvio risulta che, indipendentemente dalle pattuizioni dei contratti in questione, le varie assegnazioni dei convenuti nel procedimento principale in quanto dipendenti di una qualche società Arcadia e i loro trasferimenti all’interno del gruppo non hanno, di fatto, modificato la natura delle funzioni da essi esercitate, né hanno inciso sui loro rispettivi ruoli di CEO e CFO di tutte le società Arcadia e del gruppo stesso. In sostanza, tali assegnazioni erano puramente formali. Detti contratti sono stati redatti da o secondo le istruzioni degli interessati e questi ultimi sceglievano non soltanto i termini di detti contratti, ma anche di avere siffatto contratto con una società piuttosto che con un’altra (21).
38. Pertanto, occorre determinare, poi, se il rapporto che esisteva tra i convenuti nel procedimento principale, nella loro qualità di dirigenti societari, e ciascuna delle società Arcadia, indipendentemente dall’esistenza o meno di un contratto formale tra loro in un dato momento, possa essere qualificato come un «contratto individuale di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5.
39. Accettando di assumere le funzioni di dirigente societario, una persona accetta liberamente gli obblighi a ciò inerenti. Parimenti, affidando un mandato societario a tale persona, la società assume volontariamente determinati obblighi nei suoi confronti. In particolare, le funzioni di dirigente societario sono, di regola, svolte dietro retribuzione (22). Sussistono pertanto obblighi liberamente assunti tra la società e il dirigente, che rientrano nella «materia contrattuale» ai sensi dell’articolo 5, punto 1, della Convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles I. A mio parere, ciò avviene tanto se detto dirigente è stato formalmente nominato (dirigente di diritto), quanto se, senza esserlo stato, egli si comporta effettivamente come tale (dirigente di fatto) (23).
40. Nell’ambito delle «obbligazioni contrattuali» che vincolano in tal modo il dirigente e la società, il primo fornisce alla seconda una prestazione in cambio di una retribuzione. Conformemente alle spiegazioni fornite al paragrafo 34 delle presenti conclusioni, il loro rapporto dev’essere qualificato come «contratto individuale di lavoro», ai sensi della sezione 5, solamente laddove il dirigente, nell’esercizio delle sue funzioni, sia subordinato alla società.
41. A tale riguardo, nella sentenza Holterman, la Corte ha dichiarato che, ai fini della sezione 5, l’esistenza di un vincolo di subordinazione «dev’essere valutata caso per caso in considerazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze che caratterizzano i rapporti esistenti tra le parti». La Corte ha altresì indicato che un dirigente che possiede una quota del capitale sociale sufficiente per influire in modo «non irrilevante» sulle persone di norma competenti a fornirgli istruzioni e a verificarne l’attuazione non può essere subordinato alla società (24).
42. Sarebbe errato leggere questo ragionamento a contrario, nel senso che un dirigente che non possiede quote del capitale sociale, come nel caso dei convenuti nel procedimento principale, è, per ciò solo, subordinato alla società. La Corte, pur avendo indicato, in tale sentenza, una circostanza che esclude in ogni caso la subordinazione, non si è pronunciata sugli elementi idonei a caratterizzarla.
43. Per quanto riguarda tali elementi, è possibile ispirarsi alla giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE e di talune direttive di armonizzazione. Secondo tale giurisprudenza, ciò che caratterizza un vincolo di subordinazione è il fatto che un lavoratore si trovi sottoposto alla direzione di un’altra persona, la quale gli impone non solo le prestazioni da fornire, ma soprattutto il modo di eseguirle e della quale egli deve rispettare le istruzioni e le disposizioni interne. Al fine di determinare l’esistenza di un siffatto vincolo di subordinazione, occorre pertanto valutare l’autonomia e la flessibilità di cui dispone il lavoratore per scegliere l’orario, il luogo e le modalità di esecuzione dei compiti che gli sono stati affidati e/o la sorveglianza e il controllo che il datore di lavoro esercita sul modo in cui il lavoratore svolge le proprie funzioni (25).
44. Da ciò emerge, come fatto valere dal gruppo Arcadia e dalla Confederazione svizzera, che un dirigente sociale è subordinato alla società solo se è soggetto alla direzione effettiva di un’altra persona nell’esercizio e nell’organizzazione delle sue funzioni. L’esistenza di una simile direzione va valutata alla luce della natura delle funzioni in questione, dell’ambito nel quale sono esercitate, dell’ampiezza dei poteri dell’interessato e del controllo al quale è effettivamente sottoposto all’interno della società (26).
45. Orbene, per ipotesi, dirigenti sociali, come i convenuti nel procedimento principale, che, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, nella loro qualità di CEO e di CFO, sono investiti dei più ampi poteri per amministrare la società e per agire in suo nome e per suo conto e hanno pieno controllo e piena autonomia sulla gestione corrente dei suoi affari e sull’esercizio delle loro funzioni – il che dimostra, nella fattispecie, il fatto che i loro contratti di lavoro successivi sono stati redatti da loro stessi o sotto la loro responsabilità, che essi sceglievano i termini di detti contratti e il loro datore di lavoro – non sono, in tali funzioni, subordinati alla società.
46. In particolare, contrariamente a quanto sostengono i convenuti nel procedimento principale, la subordinazione non può essere confusa con le direttive generali che il dirigente riceve da parte degli azionisti riguardo all’orientamento degli affari della società. Tali direttive generali non riguardano l’esecuzione stessa delle funzioni del dirigente o il modo in cui egli le organizza. Un dirigente sociale ha il mandato di agire per la società e, a tale titolo, può ricevere istruzioni ragionevoli relative alla sua missione. Per le stesse ragioni, i meccanismi di controllo previsti dalla legge nei confronti degli azionisti non comportano, di per sé, l’esistenza di un vincolo di subordinazione. Ogni mandatario deve rendere determinati conti al suo committente. Inoltre, la mera circostanza che i medesimi abbiano il potere di revocare il dirigente societario non può essere sufficiente a costituire un siffatto vincolo. Il fatto che essi dispongano di un simile potere di revoca non significa che essi si siano ingeriti nel modo di dirigere la società. Ancora una volta, nell’ambito di qualsiasi mandato, un committente può porre fine unilateralmente al rapporto col suo mandatario, senza che tale circostanza dimostri, di per sé, una subordinazione.
47. Tenuto conto di tutto ciò che precede, a mio avviso, è pur vero che esistevano, tra i convenuti nel procedimento principale e ciascuna delle società Arcadia, «obbligazioni contrattuali» reciproche, rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, punto 1, della Convenzione di Lugano II. Tali obbligazioni sono talvolta state formalizzate in contratti, talaltra no. In ogni caso, le obbligazioni medesime non possono essere considerate «contratti individuali di lavoro» ai sensi delle disposizioni della sezione 5.
48. Questa interpretazione non è rimessa in discussione, contrariamente a quanto sostengono i convenuti nel procedimento principale, dalle sentenze Danosa (27) e Balkaya (28). A tale riguardo, rammento che, nella prima sentenza, la Corte ha giudicato, per quanto riguarda la direttiva 92/85/CEE (29), che, sebbene «non possa escludersi» i dirigenti societari non siano ricompresi nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tale direttiva, «considerate le funzioni specifiche loro affidate nonché il contesto in cui dette funzioni sono svolte e le modalità di svolgimento», un dirigente è subordinato alla società qualora 1) sia parte integrante della società, 2) debba rendere conto della propria gestione ad un altro organo sociale e collaborare con quest’ultimo e 3) possa essere revocato dall’assemblea dei soci (30). Nella sentenza Balkaya (31), la Corte ha trasposto tale ragionamento alla direttiva 98/59/CE (32) e, facendo leva su indizi simili, ha qualificato un dirigente societario come «lavoratore» ai sensi di detta direttiva.
49. Tuttavia, l’interpretazione fornita dalla Corte di una nozione in un ambito normativo del diritto dell’Unione non può essere automaticamente trasposta ad un ambito distinto (33). Come ho indicato, si tratta soltanto di una fonte di ispirazione. La nozione di «contratto individuale di lavoro», ai sensi delle disposizioni della sezione 5, deve essere interpretata facendo riferimento principalmente al sistema e agli obiettivi della Convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles I (34) nonché dai principi generali ricavabili dagli ordinamenti giuridici nazionali (35). I summenzionati precedenti possono quindi essere trasposti a questi ultimi strumenti soltanto con cautela. Osservo, d’altronde, che, nella sentenza Holterman, la Corte non ha applicato expressis verbis siffatta giurisprudenza, ma si è limitata a farvi riferimento occasionalmente.
50. A tale riguardo, rilevo che i tre indizi adottati dalla Corte nella causa Danosa (36) per giudicare che un dirigente sociale è un «lavoratore», ai sensi della direttiva 92/85, ricorrono per quanto riguarda la grande maggioranza di loro. Infatti, in una certa misura, un siffatto dirigente è di regola 1) «integrato» nella società, 2) deve rendere conto a un altro organo sociale – consiglio di amministrazione o di vigilanza, assemblea dei soci ecc. – e 3) può essere revocato da un simile organo.
51. Orbene, sebbene la Corte abbia deciso di estendere ai dirigenti sociali, nelle sentenze Danosa (37) e Balkaya (38), la tutela contro il licenziamento garantita dalle direttive di armonizzazione dell’Unione, trasporre la logica ricavabile da tali sentenze alle norme sulla competenza previste dal regolamento Bruxelles I e dalla Convenzione di Lugano II comporterebbe che un’ampia parte del contenzioso esistente tra una società e i suoi dirigenti sarebbe interpretata nell’ottica della nozione di «contratto individuale di lavoro» e rientrerebbe pertanto nell’ambito di applicazione delle disposizioni della sezione 5.
52. A questo proposito, devo rammentare che, negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, il rapporto esistente tra una società e i suoi dirigenti è disciplinato non dal diritto del lavoro, ma dal diritto societario. I dirigenti sono organi sociali. Le funzioni di dirigente societario e i poteri e gli obblighi che ne derivano risultano dallo statuto della società e dalle disposizioni normative che gli sono applicabili. È vero che, in alcuni Stati membri, tra cui il Regno Unito, dirigenti e società possono disciplinare i loro diritti e obblighi rispettivi con un contratto, che può essere un contratto di amministrazione, di mandato o di lavoro (39). Ciò detto, il diritto societario resta al centro del loro rapporto.
53. In particolare, il contenzioso sulla responsabilità dei dirigenti societari nei confronti della società e dei suoi azionisti, che costituisce lo sfondo della presente causa, è un contenzioso rientrante in detto diritto societario, generalmente oggetto di disposizioni specifiche nel diritto degli Stati membri, disposizioni che disciplinano le condizioni e la portata di tale responsabilità (40).
54. Una dissonanza così flagrante tra le qualificazioni nazionali e quelle ai fini della Convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles I non faciliterebbe l’applicazione di detti strumenti e la prevedibilità delle norme sulla competenza da essi previste. Inoltre, gli inconvenienti pratici che risulterebbero da un’applicazione generalizzata della sezione 5 ai dirigenti societari sarebbero ben poco adatti alla specificità del contenzioso relativo alla loro responsabilità e poco conformi all’obiettivo di una buona amministrazione della giustizia. In tale materia, la responsabilità solidale dei vari dirigenti societari di una società per i danni arrecati alla medesima nella sua gestione è una soluzione usuale (41). Orbene, in applicazione della sezione 5, ciascuna di dette persone dovrebbe essere convenuta separatamente dinanzi ai giudici del proprio domicilio, senza la possibilità di raggruppare tale contenzioso dinanzi a un unico foro.
55. Inoltre, rammento che le norme in materia di competenza del regolamento Bruxelles I e, per estensione, quelle della Convenzione di Lugano II devono essere interpretate in modo coerente con le norme sul conflitto di leggi previste dal regolamento Roma I (42). Orbene, sebbene quest’ultimo regolamento contenga, all’articolo 8, disposizioni relative ai «contratti individuali di lavoro», esso prevede anche, all’articolo 1, punto 2, lettera f), che «le questioni inerenti al diritto delle società», riguardanti segnatamente l’«organizzazione interna» di queste ultime, ne siano escluse.
56. A questo proposito, è generalmente riconosciuto che ricadono in tale categoria le questioni relative ai poteri e al funzionamento degli organi della società, ivi compresi i dirigenti societari, alla loro responsabilità nei confronti di quest’ultima e degli azionisti o soci in caso di abuso di tali poteri (43). Tenuto conto dell’esclusione in tal senso prevista dal regolamento Roma I, la determinazione della legge applicabile a tali questioni dipende dalle norme sul conflitto di leggi di ciascuno Stato membro.
57. Alla luce di quanto finora detto, dubito fortemente che il legislatore dell’Unione e i redattori della Convenzione di Lugano II abbiano voluto estendere l’applicazione della sezione 5 al contenzioso sulla responsabilità civile dei dirigenti societari. Gli interessi in gioco in tale materia sono, del resto, ben diversi da quelli che caratterizzano la responsabilità dei lavoratori nei confronti dei loro datori di lavoro. L’equilibrio da trovare non è il medesimo e le norme di diritto internazionale privato contribuiscono a tale equilibrio (44).
58. In altri termini, non è possibile, ai fini delle disposizioni della sezione 5, adottare un’interpretazione della nozione di «subordinazione» identica a quella adottata dalla Corte nelle sentenze Danosa (45) e Balkaya (46), a meno di creare una vera e propria confusione tra le norme del diritto del lavoro e quelle del diritto societario, che può giustificarsi nel contesto di tali sentenze, ma sarebbe particolarmente inopportuna nell’ambito delle norme sulla competenza previste dalla Convenzione di Lugano II.
59. L’interpretazione proposta nei paragrafi da 45 a 47 delle presenti conclusioni non è neanche rimessa in discussione dall’argomento dei convenuti nel procedimento principale secondo il quale le norme della sezione 5 non distinguono tra categorie di lavoratori. Infatti, io non suggerisco alla Corte di operare distinzioni, non previste dai redattori della Convenzione di Lugano II, tra lavoratori subordinati. Le propongo semplicemente di adottare un’accezione della nozione di «subordinazione», ai fini dell’applicazione di tale sezione, che tenga conto delle specificità del diritto societario e della realtà dei mandati societari.
60. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione dichiarando che un dirigente societario che disponga di pieno controllo e piena autonomia sulla gestione corrente degli affari della società che rappresenta e sull’esecuzione delle proprie funzioni non è subordinato a tale società e, pertanto, non ha con quest’ultima un «contratto individuale di lavoro» ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II. Il fatto che gli azionisti di detta società abbiano il potere di revocare tale dirigente non rimette in discussione questa interpretazione.
C. Sul criterio che consente di determinare se una domanda sia «in materia di» contratti individuali di lavoro (prima e terza questione)
61. Anzitutto, qualora la Corte dovesse giudicare, come le suggerisco, che non possono sussistere «contratti individuali di lavoro», ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, tra dirigenti societari onnipotenti quali i convenuti nel procedimento principale e le società per le quali essi esercitano le loro funzioni, non sarebbe necessario rispondere alla prima e alla terza questione del giudice del rinvio. Le esamino pertanto solo in via subordinata.
62. Ciò precisato, rammento che, nel caso di specie, le domande presentate dall’Arcadia nei confronti dei convenuti nel procedimento principale si fondano, in sostanza, sull’illecito di cospirazione mediante uso di mezzi illeciti (unlawful means conspiracy) e sull’illecito di violazione degli obblighi fiduciari di lealtà e di buona fede (breach of fiduciary duty).
63. In tale contesto, il giudice del rinvio, con la sua prima e la sua terza questione, chiede se una domanda, presentata tra parti di un «contratto individuale di lavoro» e basata su simili fondamenti giuridici extracontrattuali, possa rientrare nella sezione 5 e, eventualmente, in base a quali criteri.
64. Secondo l’Arcadia, la sezione 5 non si applica alle sue domande, poiché esse si fondano non su un’obbligazione risultante dai contratti di lavoro dei convenuti nel procedimento principale (47), ma sulla violazione di obblighi giuridici esistenti indipendentemente da tali contratti. Invero, detta sezione costituirebbe, per sua natura, una suddivisione della categoria «materia contrattuale», di cui all’articolo 5, punto 1, della Convenzione di Lugano II. Orbene una domanda basata su un simile fondamento giuridico rientrerebbe nella «materia di illeciti civili dolosi», ai sensi dell’articolo 5, punto 3, di tale Convenzione, e sarebbe quindi esclusa dalla medesima sezione.
65. Per contro, i convenuti nel procedimento principale sostengono che, ai fini dell’applicazione della sezione 5, il criterio decisivo consisterebbe nel determinare se, indipendentemente dalla norma di diritto su cui il datore di lavoro fonda la propria domanda, il comportamento addebitato possa costituire un inadempimento delle obbligazioni contrattuali derivanti dal contratto individuale di lavoro, che avrebbe potuto far valere (48). Orbene, così è nel caso di specie. A tale riguardo, è assodato che l’Arcadia avrebbe potuto fondare le proprie domande su una violazione delle obbligazioni contrattuali espresse o implicite (breach of express and/or implied contractual duties) derivanti dai contratti di lavoro degli interessati (49). La summenzionata sezione si applicherebbe quindi alla controversia principale.
66. Alla luce degli argomenti delle parti nel procedimento principale, e al fine di proporre una risposta esaustiva alle questioni del giudice del rinvio, ritengo utile, anzitutto, ritornare in generale sulla problematica delle domande extracontrattuali presentate tra contraenti e analizzare le soluzioni applicabili in materia nell’ambito dell’articolo 5, punto 1, e dell’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I e della Convenzione di Lugano II (1). In seguito, spiegherò le ragioni per le quali, a mio avviso, la sezione 5 richiede una soluzione diversa (2).
1. La problematica delle domande extracontrattuali presentate tra parti contrattuali
67. Sul piano teorico, nel campo della responsabilità civile, la distinzione tra ciò che rientra nella materia contrattuale e ciò che rientra nella materia extracontrattuale dipende in generale dalla natura dell’obbligazione fatta valere dall’attore nei confronti del convenuto. In sostanza, si tratta di determinare se siffatta obbligazione risulti dalla violazione di un dovere derivante immediatamente dalla legge e opponibile erga omnes (l’obbligazione è allora extracontrattuale) oppure dall’effetto di un accordo di volontà tra due persone (ipotesi nella quale l’obbligazione è extracontrattuale) (50).
68. Tuttavia, può accadere che un medesimo comportamento lesivo costituisca, al tempo stesso, un inadempimento di un’obbligazione contrattuale e una violazione di un dovere giuridico opponibile erga omnes. Si ha, in tal caso, un concorso di responsabilità (o concorso di obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali).
69. La frode contestata dal gruppo Arcadia ai convenuti nel procedimento principale dà luogo ad un simile concorso di responsabilità. Infatti, nel diritto inglese esiste un dovere generale di non cospirare al fine di arrecare danno ad altri. L’inosservanza di tale dovere costituisce un illecito civile (tort of conspiracy). Indipendentemente da ciò, il fatto che un lavoratore arrechi danno al proprio datore di lavoro costituisce un inadempimento della propria obbligazione contrattuale di lealtà. Il comportamento lesivo genera quindi, potenzialmente, due responsabilità distinte.
70. Di fronte ad un siffatto concorso di responsabilità, alcuni ordinamenti nazionali, tra cui il diritto inglese, lasciano all’attore la scelta di fondare la sua domanda nei confronti della sua controparte contrattuale sulla responsabilità extracontrattuale e/o sulla responsabilità contrattuale (51). Per contro, altri ordinamenti, tra cui il diritto francese, escludono in linea di principio tale scelta, conformemente alla cosiddetta regola del «non cumulo»: l’attore non può far valere un’obbligazione extracontrattuale nei confronti della propria controparte contrattuale qualora i fatti che egli invoca costituiscano anche un inadempimento contrattuale.
71. Il regolamento Bruxelles I e la Convenzione di Lugano II riprendono la dicotomia tra «materia contrattuale» (articolo 5, punto 1) e «materia di illeciti civili dolosi» (articolo 5, punto 3) e prevedono norme sulla competenza diverse a seconda che una domanda rientri nell’una o nell’altra di tali categorie. La problematica del concorso di responsabilità si estende quindi a detti strumenti. In questo contesto, si tratta di stabilire se la scelta di un attore di fondare la propria domanda nei confronti della sua controparte sulla responsabilità e/o sulla responsabilità extracontrattuale sia determinante per la competenza giurisdizionale.
72. La Corte ha esaminato una prima volta siffatta questione nella sentenza Kalfelis (52). La causa che ha dato luogo a detta sentenza riguardava un soggetto che agiva nei confronti della propria banca, al fine di ottenere il risarcimento del danno che aveva subito nell’ambito di operazioni di borsa, basandosi cumulativamente su (1) la responsabilità contrattuale, (2) la responsabilità per fatto illecito e (3) l’arricchimento senza causa (quasi contrattuale). Si poneva segnatamente la questione se il giudice competente, ai sensi dell’articolo 5, punto 3, della Convenzione di Bruxelles, a pronunciarsi sulla responsabilità per fatto illecito fosse competente anche per quanto riguarda i fondamenti contrattuale e quasi contrattuale.
73. A tale riguardo, la Corte ha dichiarato che la nozione di «materia di delitto o quasi delitto» dev’essere definita in modo autonomo come comprendente «qualsiasi domanda mirante a coinvolgere la responsabilità di un convenuto e che non si ricollega alla materia contrattuale di cui all’art[icolo] 5, [punto] 1» della convenzione di Bruxelles. Letto isolatamente, tale passaggio tenderebbe a indicare che la scelta dell’attore di fondare la sua domanda nei confronti della sua controparte contrattuale sulla responsabilità extracontrattuale sia irrilevante ai fini della competenza giurisdizionale: tale domanda rientrerà comunque nella categoria «materia contrattuale». Tuttavia, la Corte ha precisato «che il giudice competente a norma dell’art[icolo] 5, [punto] 3, [di tale convenzione] a conoscere del punto di una domanda che si fonda su una base costituita da illecito, non è competente a conoscere degli altri punti della stessa domanda che si fondano su fatti o atti diversi dall’illecito» (53).
74. Malgrado il carattere un po’ ambiguo della sua risposta, sembra che la Corte abbia considerato, in detta sentenza, che occorre qualificare come rientrante nella «materia contrattuale» o nella «materia di delitto», ciascuno dei fondamenti giuridici invocati dall’attore, ossia le varie norme di diritto sostanziale che fungono da titolo delle sue domande. La competenza giurisdizionale può quindi variare in funzione della norma sostanziale che egli fa valere (54). Preciso che non si tratta di adottare, ai fini del regolamento Bruxelles I o della convenzione di Lugano II, la qualificazione prevista nel diritto nazionale. In realtà, per la Corte, la norma invocata rimanda a un’obbligazione. È siffatta obbligazione che, ai fini di tali strumenti, dev’essere qualificata in maniera autonoma come «contrattuale», qualora sia liberamente assunta tra le parti (55), o come derivante da fatto illecito doloso o colposo, laddove essa non rientri nella prima categoria. Qualora, nell’ambito di una stessa azione, l’attore invochi fondamenti giuridici distinti, egli si avvale di obbligazioni differenti – contrattuale, extracontrattuale ecc. – che possono rientrare nella competenza di altrettanti giudici (56).
75. La Corte ha nuovamente esaminato la medesima problematica nella sentenza Brogsitter (57). Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, un soggetto chiedeva un risarcimento alle proprie controparti contrattuali a titolo segnatamente di responsabilità extracontrattuale, sul fondamento, in particolare, delle norme di diritto tedesco contro la concorrenza sleale. In tale ambito, egli addebitava loro, in particolare, di aver violato un obbligo di esclusiva derivante dal loro contratto. Alla Corte è stato quindi chiesto quale qualificazione, ai sensi del regolamento Bruxelles I, occorresse attribuire a siffatte domande.
76. Prendendo come punto di partenza il dictum della sentenza Kalfelis (58) secondo il quale la «materia di delitto» comprende qualsiasi domanda mirante a coinvolgere la responsabilità di un convenuto e che non si ricollega alla «materia contrattuale», la Corte ha considerato che, al fine di far rientrare le domande in questione nell’una o nell’altra di tali categorie, occorreva verificare «se esse, indipendentemente dalla loro qualificazione in diritto nazionale, present[assero] natura contrattuale» (59).
77. Secondo la Corte, ciò accade «se il comportamento contestato può essere considerato un inadempimento alle (…) obbligazioni contrattuali quali possono essere determinate tenuto conto dell’oggetto del contratto» (60) e «[q]uesto avviene a priori se l’interpretazione del contratto (…) appare indispensabile per stabilire la liceità o, al contrario, l’illiceità del comportamento (…) rimprovera[to]» (61). Pertanto, spetta al giudice nazionale «determinare se le azioni intentate (…) abbiano per oggetto una domanda di risarcimento la cui causa (62) può essere ragionevolmente considerata una violazione dei diritti e delle obbligazioni del contratto (…), circostanza che ne renderebbe indispensabile la presa in considerazione per decidere sul ricorso» (63).
78. La sentenza Brogsitter (64) mostra, a mio avviso, un cambiamento rispetto all’orientamento adottato nella sentenza Kalfelis (65). Infatti, la Corte sembra aver cambiato prospettiva nell’esercizio di qualificazione ai fini delle norme sulla competenza di cui all’articolo 5, punto 1, e all’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I e della Convenzione di Lugano II. Essa ha abbandonato una qualificazione avente come punto di partenza il fondamento giuridico sostanziale invocato dall’attore, adottando una qualificazione basata sui fatti a sostegno della domanda. Il modo in cui quest’ultimo formula tale domanda sembra irrilevante in una siffatta analisi.
79. La portata esatta della sentenza Brogsitter (66) è tuttavia incerta. A questo proposito, il gruppo Arcadia sostiene che il «criterio Brogsitter» si trova al punto 25 di tale sentenza: una domanda è «in materia contrattuale» qualora appaia indispensabile interpretare il contratto per stabilire la liceità o, al contrario, l’illiceità del comportamento contestato sul piano extracontrattuale. Condivido questa analisi. A mio avviso, la Corte intendeva qualificare come «contrattuali» le domande di responsabilità extracontrattuale la cui fondatezza dipende dal contenuto delle obbligazioni contrattuali che vincolano le parti della controversia (67).
80. Per contro, i convenuti nel procedimento principale ritengono che il «criterio Brogsitter» figuri ai punti 24 e 29 di detta sentenza: una domanda è «in materia contrattuale» se il comportamento contestato può essere considerato – ossia può costituire – un inadempimento alle obbligazioni contrattuali, a prescindere dal fatto che l’attore lo invochi o meno. A questo riguardo, si tratterebbe non già di determinare se appaia indispensabile accertare il contenuto delle obbligazioni contrattuali per statuire sulla liceità del comportamento contestato sul piano extracontrattuale, ma se esista una potenziale corrispondenza tra tale comportamento e il contenuto di dette obbligazioni. Qualora, alla luce dei fatti, tale comportamento possa costituire nel contempo un illecito extracontrattuale e un inadempimento contrattuale, e l’attore possa quindi invocare l’uno o l’altro, la qualificazione contrattuale prevale ai fini della competenza giurisdizionale.
81. Orbene, in talune sentenze recenti, la Corte sembra aver interpretato la sentenza Brogsitter (68) nello stesso modo dei convenuti nel procedimento principale. In particolare, nella sentenza Holterman, la quale, lo rammento, riguardava parimenti una situazione in cui a sostegno di una medesima domanda di risarcimento venivano invocati fondamenti giuridici diversi, la Corte ha dichiarato che, al fine di determinare se una simile domanda fosse «in materia contrattuale» o «in materia di illeciti civili», occorre soltanto verificare se il comportamento contestato possa essere considerato un inadempimento agli obblighi contrattuali (69). Tuttavia, la Corte si è limitata a riaffermare siffatto criterio senza realmente applicarlo (o spiegarlo), cosicché è difficile essere certi del senso che essa intendesse attribuirgli.
82. Dall’insieme delle considerazioni che precedono, risulta, a mio avviso, che la giurisprudenza della Corte è quanto meno ambigua riguardo al modo in cui l’articolo 5, punto 1, e l’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I e della Convenzione di Lugano II debbano essere applicati in caso di concorso di responsabilità. Sarebbe utile che la Corte chiarisse la sua posizione al riguardo.
83. A mio avviso, ai fini del rapporto tra l’articolo 5, punto 1, e l’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I e della Convenzione di Lugano II, in considerazione degli obiettivi di certezza del diritto, di prevedibilità e di buona amministrazione della giustizia inerenti a tali strumenti, è preferibile adottare la logica risultante dalla sentenza Kalfelis (70) e qualificare una domanda come «contrattuale» o come «extracontrattuale» sulla base del fondamento giuridico sostanziale invocato dal ricorrente. Come minimo, la Corte dovrebbe attenersi alla lettura restrittiva della sentenza Brogsitter (71) illustrata al paragrafo 79 delle presenti conclusioni. In altri termini, se una domanda, presentata tra contraenti, si fonda non su un’obbligazione risultante dal contratto, ma sulle regole della responsabilità civile extracontrattuale, e non appare indispensabile accertare il contenuto delle obbligazioni contrattuali per pronunciarsi sulla legittimità del comportamento contestato, essa dovrebbe rientrare nell’articolo 5, punto 3, di tali strumenti (72).
84. Indubbiamente, riconosco che far dipendere la competenza giurisdizionale dal fondamento giuridico sostanziale invocato dall’attore consente un certo grado di forum shopping, poiché quest’ultimo può, in una certa misura, scegliere il proprio giudice menzionando le norme opportune. Inoltre, un medesimo comportamento lesivo, prospettato dall’attore alla luce di fondamenti giuridici diversi, potrebbe in teoria rientrare nella competenza di giudici differenti, comportando così un rischio di frammentazione della controversia. In tale contesto, una soluzione come quella proposta dai convenuti nel procedimento principale esclude un siffatto forum shopping e presenta il vantaggio di consentire una concentrazione delle controversie sorte in occasione di un rapporto contrattuale dinanzi al foro contrattuale.
85. Occorre tuttavia relativizzare i problemi sopra evidenziati. Infatti, gli stessi redattori della Convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles I hanno consentito un certo forum shopping, offrendo all’attore opzioni di competenze. In caso di concorso di responsabilità, i fori contrattuale ed extracontrattuale presentano entrambi uno stretto collegamento con la controversia, e questi strumenti non prevedono una gerarchia tra i fori in questione. Quanto al rischio di frammentazione della controversia, come la stessa Corte ha rilevato nella sentenza Kalfelis (73), l’attore potrebbe sempre presentare la propria domanda dinanzi ai giudici del domicilio del convenuto, conformemente all’articolo 2 di tali strumenti, i quali saranno in tal caso competenti a pronunciarsi sulla totalità di essa.
86. Riconosco inoltre che va tenuto presente un aspetto pratico. Infatti, mentre alcuni ordinamenti, tra cui quello inglese, impongono agli attori regole di strict pleading, poiché questi ultimi devono indicare nel loro ricorso non soltanto i fatti e l’oggetto della loro domanda, ma anche i fondamenti giuridici sui quali essi si basano, altri ordinamenti giuridici, tra cui il diritto francese, non impongono agli attori un siffatto requisito. Tuttavia, ancora una volta, si impone un certo relativismo. Il fatto che un attore non sia tenuto ad indicare il fondamento giuridico su cui egli si basa non significa che non si debba tenerne conto qualora egli l’abbia indicato.
87. Ma, al di là di tali considerazioni, la mia posizione è essenzialmente motivata da un’esigenza di semplicità delle norme sulla competenza. Ricordo che l’obiettivo di certezza del diritto richiede che il giudice nazionale possa agevolmente pronunciarsi sulla propria competenza, senza essere costretto a procedere a un esame della causa nel merito (74).
88. A questo proposito, far dipendere la competenza dal fondamento giuridico sostanziale (o dall’obbligazione) invocato(a) dall’attore offre al giudice adito una logica semplice: come ho affermato, è tale obbligazione che egli dovrà qualificare come «contrattuale» o come derivante da fatto illecito, ai sensi del regolamento Bruxelles I o della Convenzione di Lugano II. Per contro, pretendere che il giudice qualifichi globalmente la domanda alla luce dei fatti – esiste un inadempimento contrattuale che l’attore avrebbe potuto far valere? – complica considerevolmente il suo compito. Come sostiene l’Arcadia, ciò si risolve nell’obbligarlo a formulare ipotesi, nella fase della competenza, sul modo in cui una causa avrebbe potuto essere perorata. Verificare, nella fase della competenza, nei fatti, un’eventuale corrispondenza tra il comportamento contestato e il contenuto delle obbligazioni contrattuali non è sempre un compito semplice. In un gran numero di casi, sarebbe particolarmente impegnativo, per il giudice, determinare o anche immaginare, fin da detta fase, il contenuto di tali obbligazioni: ciò richiederebbe di accertare la legge applicabile, che determinerà non soltanto il metodo di interpretazione del contratto – essenziale per rivelarne il contenuto – ma anche tutte le conseguenze (implied terms) imposte da siffatta legge ad un contratto di tale tipo. La prevedibilità delle norme sulla competenza rischierebbe di essere pregiudicata a causa dell’anzidetta difficoltà.
89. Inoltre, rammento che, in linea di principio, il giudice adito deve poter determinare agevolmente la propria competenza sulla base delle sole affermazioni dell’attore (75). Per contro, obbligare il giudice a procedere ad una valutazione globale dei fatti implicherebbe che, in pratica, il convenuto potrebbe eludere la regola della competenza in «materia di illeciti civili», ai sensi dell’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I della Convenzione di Lugano II, semplicemente invocando l’esistenza di un contratto tra le parti e la possibile corrispondenza tra il comportamento contestato e le obbligazioni che esso prevede (76).
90. Infine, rammento ancora che, in «materia contrattuale», nell’ambito dell’articolo 5, punto 1, del regolamento Bruxelles I e della Convenzione di Lugano II, e tranne che per i contratti specifici di cui alla lettera b) di detto punto, la competenza spetta al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita. Orbene, mi interrogo sull’applicazione di detta norma qualora la domanda dell’attore non si fondasse precisamente su una specifica obbligazione contrattuale, ma dovesse ugualmente essere qualificata come «contrattuale» alla luce dei fatti.
2. Trasposizione della suddetta problematica alla sezione 5
91. Ciò premesso, come ho già affermato, la problematica delle azioni extracontrattuali proposte tra contraenti richiede, a mio avviso, una risposta diversa con riferimento all’applicazione della sezione 5.
92. A questo proposito, tenuto segnatamente conto dell’esistenza di una divergenza linguistica tra le versioni tedesca, inglese e francese dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles II (77), occorre concentrarsi anzitutto sulla sistematica di tali strumenti e sulla finalità di tutela perseguita dalla sezione 5 (78).
93. Orbene, il carattere autonomo e imperativo di tale sezione all’interno di detti strumenti nonché questa stessa finalità di tutela impongono, a mio avviso, che tale sezione non possa essere elusa dal datore di lavoro semplicemente formulando la propria domanda sul piano extracontrattuale (79). In tale contesto, al datore di lavoro non può essere data una scelta. In caso contrario, questa stessa sezione perderebbe ogni effetto utile (80). I suddetti elementi fanno, in questa materia, propendere per una qualificazione basata non già sui fondamenti giuridici sostanziali invocati dall’attore, bensì sui fatti della controversia.
94. Di conseguenza, a mio avviso, una domanda è «in materia di contratti individuali di lavoro», ai fini della sezione 5, qualora sussista, alla luce dei fatti, un certo legame sostanziale tra tale domanda e un siffatto «contratto». Così è se la domanda si riferisce a una controversia sorta in occasione del rapporto di lavoro, che l’attore fondi la propria domanda su tale «contratto» o meno, e poco importa che appaia o no indispensabile accertare il contenuto delle obbligazioni contrattuali per pronunciarsi sulla sua fondatezza. Detta condizione dev’essere valutata in maniera ampia. In altri termini, sempre che tale condizione sia soddisfatta, anche una domanda che si fonda sulle norme della responsabilità civile extracontrattuale (come il conspiracy claim dell’Arcadia), che ricadrebbe in linea di principio nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, punto 3, del regolamento Bruxelles I o della convenzione di Lugano II, rientra nella sezione 5 (81).
95. Per quanto riguarda più precisamente la problematica sottesa alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, vale a dire quella di una domanda di risarcimento proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, ritengo che tale domanda rientri nell’ambito di applicazione della sezione 5 se, come ha dichiarato la Corte nella sentenza Holterman, il primo invochi fatti lesivi asseritamente commessi dal secondo nell’esercizio delle sue funzioni di lavoratore (82).
96. Tuttavia, la mia analisi non può chiudersi qui. Infatti, se vi sono situazioni in cui il fatto lesivo asserito rientra chiaramente nell’adempimento stesso delle funzioni assegnate al lavoratore e, al contrario, casi in cui il fatto lesivo è privo di qualsiasi legame con tali funzioni (83), esistono anche numerose «zone grigie». Esse ricorrono quando il lavoratore, nel commettere il fatto lesivo controverso, non agiva al fine di adempiere le proprie funzioni, ma tale fatto lesivo può nondimeno essere ricollegato a queste ultime tramite un legame di tempo, di luogo o di mezzi (84). Occorre dunque affinare il criterio proposto al paragrafo precedente?
97. Ritengo di no. A mio avviso, sebbene siano possibili affinamenti nel diritto sostanziale, come condizioni di insorgenza della responsabilità del lavoratore, sarebbe inopportuno complicare l’analisi ai fini della competenza giurisdizionale. Occorre ricordare che, in materia, il giudice adito deve poter agevolmente decidere sulla propria competenza senza addentrarsi in un’analisi dettagliata dei fatti.
98. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco di escludere dall’ambito di applicazione della sezione 5 soltanto le domande del datore di lavoro nei confronti del lavoratore vertenti su un comportamento lesivo non collegato da alcuna circostanza oggettiva – di luogo, di tempo, di mezzi o di finalità – alle funzioni esercitate da quest’ultimo (85).
99. Questa interpretazione non è rimessa in discussione dall’argomento dell’Arcadia secondo cui, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le norme di competenza speciale vanno interpretate restrittivamente e non possono ricevere un’interpretazione che vada oltre alle ipotesi da esse contemplate (86).
100. Infatti, a mio avviso, tale giurisprudenza implica solamente che non è possibile discostarsi dai termini chiari di tali norme speciali, quand’anche ciò andasse nel senso dell’obiettivo dalle stesse perseguito.
101. Orbene, l’interpretazione da me suggerita non si discosta affatto dai termini dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, la cui importanza deve d’altronde essere relativizzata su questo punto, tenuto conto della divergenza linguistica segnalata in precedenza. In una situazione nella quale un lavoratore causi un danno al suo datore di lavoro, il rapporto di lavoro è, di regola, un elemento di contesto determinante. Detto rapporto ha collocato il lavoratore nel luogo in cui il fatto lesivo è stato commesso – ad esempio, i locali del datore di lavoro – o gli ha dato i mezzi per commetterlo – quali l’accesso a determinate informazioni riservate di quest’ultimo. In definitiva, tranne nei casi in cui sia esclusa qualsiasi forma di collegamento con le funzioni del lavoratore, tra una domanda di risarcimento del datore di lavoro e le obbligazioni derivanti dal «contratto individuale di lavoro» sussiste un nesso sostanziale sufficiente a giustificare che tale domanda si riferisca ai suddetti «contratti», come richiesto dai termini di tale disposizione.
102. Questa stessa interpretazione non è neppure rimessa in discussione dall’argomento dell’Arcadia secondo cui solo una domanda che è per natura «in materia contrattuale», ai sensi dell’articolo 5, punto 1, della convenzione di Lugano II e del regolamento Bruxelles I, può essere «in materia di contratti individuali di lavoro», ai fini delle disposizioni della sezione 5. Indubbiamente, un «contratto individuale di lavoro» è una categoria di contratti che rientra nella suddetta «materia contrattuale». In tale misura, detta sezione è una lex specialis rispetto al suddetto articolo 5, punto 1. Tuttavia, questo rilievo non impedisce di valutare il nesso tra una domanda e il «contratto» in modo più generoso nell’ambito di tale sezione, qualora ciò sia necessario per garantire il carattere imperativo della sezione medesima.
103. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda e alla terza questione dichiarando che una domanda proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore è «in materia di» contratto individuale di lavoro, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, qualora si riferisca a una controversia sorta in occasione del rapporto di lavoro, indipendentemente dai fondamenti giuridici invocati dal datore di lavoro nel suo ricorso. In particolare, una domanda di risarcimento proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore rientra nell’ambito di applicazione della sezione 5 qualora il comportamento contestato si ricolleghi, in concreto, alle funzioni esercitate dal lavoratore.
D. Sulla nozione di «datore di lavoro», in particolare all’interno di un gruppo di società (quarta questione)
104. I convenuti nel procedimento principale sono stati citati dinanzi ai giudici di Inghilterra e del Galles, lo rammento, dall’Arcadia London, dall’Arcadia Singapore e dall’Arcadia Switzerland nonché dall’azionista unico del gruppo, la Farahead. Orbene, gli interessati hanno avuto un contratto di lavoro, ai sensi del diritto sostanziale, soltanto con una società Arcadia, la cui identità è mutata nel tempo. Pertanto, con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le domande proposte nei confronti di un lavoratore da una persona che non è il suo datore di lavoro, ai sensi del diritto sostanziale – come avveniva, nel caso di specie, per le società del gruppo diverse dalla società datrice di lavoro –, possano rientrare nell’ambito di applicazione della sezione 5 e, in caso affermativo, a quali condizioni.
105. Beninteso, anche in questo caso, non sarebbe necessario rispondere a tale questione qualora la Corte dovesse considerare, come le suggerisco, che i convenuti nel procedimento principale non avevano «contratti individuali di lavoro», ai sensi delle disposizioni della sezione 5, con alcuna delle società Arcadia. Rispondo quindi anche a detta questione in via subordinata, partendo dall’ipotesi secondo la quale gli interessati siano «lavoratori» ai sensi delle medesime disposizioni.
106. Ciò precisato, una domanda rientra nell’ambito di applicazione della sezione 5, conformemente alle sue disposizioni, soltanto se essa sia proposta da una delle parti del «contratto individuale di lavoro» – lavoratore o datore di lavoro – nei confronti dell’altra parte. In tale ambito, il datore di lavoro è, tipicamente, la persona fisica o giuridica per la quale il lavoratore esegue per un certo periodo di tempo, a suo beneficio e sotto la sua direzione, prestazioni in cambio delle quali essa versa una retribuzione.
107. Per contro, una domanda proposta da un terzo rispetto a detto «contratto» nei confronti del lavoratore o del datore di lavoro, o una domanda proposta da una di queste parti nei confronti di un siffatto terzo, non rientra in tale sezione. Tuttavia, si impongono due precisazioni, in particolare nel caso di un gruppo di società.
108. Da una parte, come ho già affermato nell’ambito dell’analisi della seconda questione, la qualificazione autonoma di «contratto individuale di lavoro» e, a tale riguardo, il criterio del vincolo di subordinazione consentono di considerare che una società con la quale il lavoratore non ha stipulato un contratto, ai sensi del diritto sostanziale, ha ciononostante un «contratto» siffatto con lui. All’interno di un gruppo di società, il «datore di lavoro» di un lavoratore, il quale abbia formalmente un contratto di lavoro con una società A, può essere una società B, e persino entrambe tali società, a seconda di chi esercita il potere effettivo di direzione (87).
109. Dall’altra, se, in base al summenzionato criterio, un lavoratore ha un «contratto individuale di lavoro» soltanto con la società A, ma è citato in giudizio dalla società B, l’obiettivo di tutela perseguito dalla sezione 5 giustifica l’adozione di un approccio aderente alla realtà della controversia: se la domanda della società B riguarda un comportamento adottato dal lavoratore in occasione dell’esecuzione del suo «contratto» nei confronti della società A, allora la società B dovrebbe parimenti essere considerata il «datore di lavoro» ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II. Le società appartenenti a un medesimo gruppo dovrebbero essere soggette alle medesime limitazioni in termini di competenza giurisdizionale(88). In caso contrario, temo che ciò lasci, ancora una volta, una certa facoltà di elusione della sezione 5 a disposizione dei datori di lavoro internazionali. Qualora sussista un nesso organico ed economico tra queste due società e la seconda abbia un interesse alla corretta esecuzione del contratto, ciò non contravverrebbe all’obiettivo della certezza del diritto (89). Questo consentirebbe, del resto, opportunamente, di evitare la molteplicità dei fori competenti per uno stesso rapporto di lavoro e contribuirebbe quindi alla buona amministrazione della giustizia.
110. Considerato quanto sopra, suggerisco alla Corte di rispondere alla quarta questione dichiarando che qualora, all’interno di un gruppo di società, un lavoratore abbia un contratto di lavoro, ai sensi del diritto sostanziale, con una determinata società, ma venga citato in giudizio da un’altra società, tale seconda società può essere considerata il «datore di lavoro» del lavoratore, ai fini delle disposizioni della sezione 5, se:
– il lavoratore svolge le proprie funzioni, in concreto, a favore e sotto la direzione della seconda società, o
– la seconda società cita in giudizio il lavoratore per un comportamento adottato in occasione dell’esecuzione del suo contratto con la prima società.
V. Conclusione
111. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito):
1) L’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata il 30 ottobre 2007, la cui conclusione è stata approvata a nome della Comunità con la decisione 2009/430/CE del Consiglio, del 27 novembre 2008 («Convenzione di Lugano II») dev’essere interpretato nel senso che un dirigente societario che disponga di pieno controllo e piena autonomia sulla gestione corrente degli affari della società che rappresenta e sull’esecuzione delle proprie funzioni non è subordinato a tale società e, pertanto, non ha con quest’ultima un «contratto individuale di lavoro» ai sensi di tale disposizione. Il fatto che gli azionisti di detta società abbiano il potere di revocare tale dirigente non rimette in discussione questa interpretazione.
2) Una domanda proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore è «in materia di» contratto individuale di lavoro, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della Convenzione di Lugano II, qualora si riferisca a una controversia sorta in occasione del rapporto di lavoro, indipendentemente dai fondamenti giuridici invocati dal datore di lavoro nel suo ricorso. In particolare, una domanda di risarcimento proposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore rientra nell’ambito di applicazione del titolo II, sezione 5, di detta Convenzione qualora il comportamento contestato si ricolleghi, in concreto, alle funzioni esercitate dal lavoratore.
3) Qualora, all’interno di un gruppo di società, un lavoratore abbia un contratto di lavoro, ai sensi del diritto sostanziale, con una determinata società, ma venga citato in giudizio da un’altra società, tale seconda società può essere considerata il «datore di lavoro» del lavoratore, ai fini delle disposizioni del titolo II, sezione 5, della Convenzione di Lugano II, se:
– il lavoratore svolge le proprie funzioni, in concreto, a favore e sotto la direzione della seconda società, o
– la seconda società cita in giudizio il lavoratore per un comportamento adottato in occasione dell’esecuzione del suo contratto con la prima società.