CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA
presentate il 4 dicembre 2018 (1)
Causa C‑621/18
Andy Wightman,
Ross Greer,
Alyn Smith,
David Martin,
Catherine Stihler,
Jolyon Maugham,
Joanna Cherry
contro
Secretary of State for Exiting the European Union,
con l’intervento di:
Chris Leslie,
Tom Brake
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Session, Inner House, First Division (Scotland) [Corte per le cause civili in formazione di appello, prima sezione (Scozia), Regno Unito])
«Questione pregiudiziale –Ricevibilità – Articolo 50 TUE – Diritto di recedere dall’Unione – Notifica dell’intenzione di recedere – Recesso del Regno Unito (Brexit) – Revocabilità della notifica dell’intenzione di recedere – Revoca unilaterale – Condizioni della revoca unilaterale – Revoca consensuale»
1. Il 29 marzo 2017, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (in prosieguo: il «Regno Unito») ha notificato al Consiglio europeo la propria intenzione di recedere dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (in prosieguo: la «notifica dell’intenzione di recedere») (2).
2. La succitata notifica ha dato avvio, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, alla procedura di cui all’articolo 50 TUE, il quale prevede (paragrafi 2 e 3) la negoziazione e la conclusione di un «accordo di recesso» tra l’Unione e lo Stato membro che la lascia. In mancanza di un tale accordo, i trattati cessano di essere applicabili al medesimo Stato due anni dopo la notifica dell’intenzione di recedere, salvo che il Consiglio europeo decida all’unanimità di prorogare tale termine.
3. La Corte di giustizia è stata adita da un giudice scozzese affinché, in quanto interprete supremo del diritto dell’Unione, dissipi i dubbi su un aspetto che l’articolo 50 TUE non ha risolto. Occorre stabilire, infatti, se uno Stato membro, dopo aver notificato la propria intenzione di recedere dall’Unione, possa revocare (eventualmente, in maniera unilaterale) tale notifica.
4. Come esporrò più avanti, oltre all’importanza dottrinale e pro futuro della questione sollevata, le sue conseguenze pratiche sono innegabili, come lo è la sua incidenza sulla controversia principale. Se la Corte ammette la revocabilità unilaterale, il Regno Unito potrebbe trasmettere al Consiglio europeo una comunicazione in tal senso, restando in tal modo membro dell’Unione. Poiché il parlamento britannico deve dare la propria approvazione finale, sia se si giunge a un accordo di recesso sia in mancanza del medesimo, vari membri di detto parlamento sostengono che la revocabilità della notifica dell’intenzione di recedere aprirebbe una terza strada, quella di restare nell’Unione di fronte a una Brexit non soddisfacente. Il giudice del rinvio sembra condividere tale posizione, argomentando che la risposta della Corte consentirà ai deputati britannici di avere una visione precisa delle opzioni disponibili al momento di esprimere il loro voto.
I. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
5. Ai sensi dell’articolo 50 TUE:
«1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.
4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
5. Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49».
B. Diritto internazionale
6. La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969 (3) (in prosieguo: la «CVDT»), disciplina la procedura di conclusione dei trattati tra Stati.
7. A termini dell’articolo 54:
«L’estinzione di un trattato o il recesso di una parte possono aver luogo:
a) in conformità alle disposizioni del trattato; oppure
b) in ogni momento, per consenso di tutte le parti, previa consultazione degli altri Stati contraenti».
8. L’articolo 65 («Procedura da seguire in materia di nullità, estinzione, recesso di una parte o sospensione della applicazione di un trattato») così dispone:
«1. La parte che, in base alle disposizioni della presente Convenzione, invoca sia un vizio del suo consenso ad essere vincolata ad un trattato, sia un motivo per contestarne la validità o per sostenere l’estinzione del trattato, il recesso da esso o la sospensione della sua applicazione, deve notificare la sua pretesa alle altri parti. La notifica deve indicare la misura proposta nei riguardi del trattato e le ragioni di essa.
2. Se, dopo un periodo che, salvo i casi di particolare urgenza, non sarà inferiore ai tre mesi a partire dal ricevimento della notifica, nessuna parte fa obiezioni, la parte che ha proceduto alla notifica può adottare, nelle forme previste dall’articolo 67, la misura proposta.
3. Se però è stata sollevata una obiezione da un’altra parte, le parti dovranno ricercare una soluzione attraverso i mezzi indicati dall’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite.
(…)».
9. L’articolo 67 prevede quanto segue:
«1. La notifica prevista dal paragrafo I dell’articolo 65 deve essere fatta per iscritto.
2. Qualsiasi atto che dichiari la nullità di un trattato, che vi ponga termine o realizzi il recesso o la sospensione della sua applicazione sulla base delle disposizioni del trattato medesimo o dei paragrafi 2 o 3 dell’articolo 65 deve essere contenuto in uno strumento comunicato alle altre parti. Se lo strumento non è sottoscritto dal capo dello Stato, dal capo del governo o dal ministro degli affari esteri, il rappresentante dello Stato che fa la comunicazione può essere invitato a esibire i suoi pieni poteri».
10. Conformemente all’articolo 68 («Revoca delle notifiche e degli strumenti previsti dagli articoli 65 e 67»):
«Una notifica o uno strumento previsti dagli articoli 65 e 67 possono essere revocati in ogni momento prima che abbiano avuto effetto».
C. Diritto del Regno Unito. European Union (Withdrawal) Act 2018 (4)
11. A termini dell’articolo 13:
«(1) L’accordo di recesso può essere ratificato soltanto se:
(a) un Ministro della Corona ha presentato dinanzi a ciascuna Camera del Parlamento:
(i) una dichiarazione che è stato raggiunto un accordo politico;
(ii) una copia dell’accordo di recesso negoziato, e
(iii) una copia del quadro delle future relazioni;
(b) l’accordo di recesso negoziato e il quadro delle future relazioni sono stati approvati con una risoluzione della House of Commons (Camera dei Comuni) su mozione presentata da un Ministro della Corona;
(c) è stata presentata nella House of Lords (Camera dei Lord) da parte di un Ministro della Corona una mozione affinché detta Camera prenda nota dell’accordo di recesso negoziato e del quadro delle future relazioni, e
(i) la House of Lords ha dibattuto la mozione, o
(ii) la House of Lords non ha concluso il dibattito sulla mozione entro un periodo di cinque giorni di sessioni della Camera dei Lord decorrente dal primo giorno di sessione della Camera dei Lord successivo al giorno in cui la Camera dei Comuni approva la risoluzione menzionata alla lettera (b), e
(d) è stata approvata una legge del Parlamento contenente disposizioni per l’attuazione dell’accordo di recesso.
(2) Nella misura del possibile, un Ministro della Corona prende gli opportuni provvedimenti affinché la mozione menzionata al paragrafo (1), lettera (b), sia dibattuta e votata dalla Camera dei Comuni prima che il Parlamento europeo decida se approvare la conclusione dell’accordo di recesso a nome dell’UE conformemente all’articolo 50, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea.
(3) Il paragrafo (4) si applica se la Camera dei Comuni decide di non adottare la risoluzione menzionata al paragrafo (1), lettera (b).
(4) Un Ministro della Corona, entro il termine di 21 giorni decorrente dal giorno in cui la Camera dei Comuni decide di non adottare la risoluzione, emette una dichiarazione tesa a illustrare in che modo il governo di Sua Maestà propone di procedere in relazione ai negoziati per il recesso del Regno Unito dall’UE ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea.
(…)
(6) Un Ministro della Corona prenderà gli opportuni provvedimenti affinché:
(a) una mozione in termini neutri, secondo la quale la Camera dei Comuni ha valutato la questione di cui alla dichiarazione menzionata al paragrafo (4), sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di sette giorni di sessioni della Camera dei Comuni decorrente dal giorno in cui è stata emessa la dichiarazione, e
(b) una mozione finalizzata a che la Camera dei Lord prenda nota della dichiarazione sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di sette giorni di sessioni della Camera dei Lord decorrente dal giorno in cui è stata emessa la dichiarazione.
(7) Il paragrafo (8) si applica se il Primo Ministro, entro e non oltre il 21 gennaio 2019, emette una dichiarazione secondo la quale non può essere raggiunto nessun accordo di principio nell’ambito dei negoziati condotti conformemente all’articolo 50, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea sul contenuto
(a) delle modalità per il recesso del Regno Unito dall’Unione europea, e
(b) del quadro delle future relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito dopo il recesso.
(8) Entro il termine di quattordici giorni decorrente dal giorno in cui è stata emessa la dichiarazione menzionata al paragrafo (7), un Ministro della Corona dovrà:
(a) emettere una dichiarazione tesa a illustrare in che modo il governo di Sua Maestà propone di procedere, e
(b) prendere gli opportuni provvedimenti affinché:
(i) una mozione in termini neutri, secondo la quale la Camera dei Comuni ha valutato la questione di cui alla dichiarazione menzionata alla lettera (a), sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di sette giorni di sessioni della Camera dei Comuni decorrente dal giorno in cui è stata emessa la dichiarazione menzionata alla lettera (a), e
(ii) una mozione finalizzata a che la Camera dei Lord prenda nota della dichiarazione menzionata alla lettera (a) sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di sette giorni di sessioni della Camera dei Lord decorrente dal giorno in cui è stata emessa la dichiarazione menzionata alla lettera (a).
(…)
(10) Il paragrafo (11) si applica se, entro e non oltre il 21 gennaio 2019, non è stato raggiunto nessun accordo di principio nell’ambito dei negoziati condotti conformemente all’articolo 50, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea sul contenuto
(a) delle modalità per il recesso del Regno Unito dall’Unione europea, e
(b) del quadro delle future relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito dopo il recesso.
(11) Entro il termine di cinque giorni decorrente dal giorno successivo al 21 gennaio 2019, un Ministro della Corona dovrà:
(a) emettere una dichiarazione tesa a illustrare in che modo il governo di Sua Maestà propone di procedere, e
(b) prendere gli opportuni provvedimenti affinché:
(i) una mozione in termini neutri, secondo la quale la Camera dei Comuni ha valutato la questione di cui alla dichiarazione menzionata alla lettera (a), sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di cinque giorni di sessioni della Camera dei Comuni decorrente dal giorno successivo al 21 gennaio 2019, e
(ii) una mozione finalizzata a che la Camera dei Lord prenda nota della dichiarazione menzionata alla lettera (a) sia presentata nella medesima Camera da parte di un Ministro della Corona entro il termine di cinque giorni di sessioni della Camera dei Lord decorrente dal giorno successivo al 21 gennaio 2019.
(…)».
II. Fatti all’origine del procedimento principale e questione pregiudiziale
12. Il 23 giugno 2016, i cittadini del Regno Unito si sono espressi in un referendum (51,9% contro 48,1%) a favore dell’uscita («exit») del loro paese dall’Unione europea.
13. La United Kingdom Supreme Court (Corte Suprema del Regno Unito), nella sentenza del 24 gennaio 2017, Miller (5), ha statuito che il governo britannico aveva bisogno dell’approvazione previa del parlamento per notificare al Consiglio europeo l’intenzione di recedere dall’Unione. Nella sentenza, tuttavia, il giudice succitato non si è pronunciato sulla revocabilità di tale notifica, non essendo essa in quella sede oggetto di controversia: le parti della causa in parola concordavano nel reputarla irrevocabile (6).
14. Il 13 marzo 2017, il parlamento britannico ha adottato lo European Union (Notification of Withdrawal) Act 2017, (7) che autorizzava il Primo Ministro a notificare l’intenzione del Regno Unito di recedere dall’Unione, ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 2, TUE.
15. Il 29 marzo 2017, il Primo Ministro del Regno Unito ha trasmesso al Consiglio europeo la notifica dell’intenzione di recedere.
16. Il 29 aprile 2017, il Consiglio europeo (articolo 50) ha adottato gli orientamenti che definiscono il quadro per i negoziati a norma dell’articolo 50 TUE e stabiliscono i principi e le posizioni generali che l’Unione seguirà in tutto l’arco dei negoziati (8). Sulla base della raccomandazione della Commissione del 3 maggio 2017, il Consiglio ha approvato, il 22 maggio 2017, conformemente all’articolo 50 TUE e all’articolo 218, paragrafo 3, TFUE, la decisione che autorizzava la Commissione ad avviare i negoziati con il Regno Unito per concludere un accordo di recesso dall’Unione e dalla CEEA (9).
17. Il 14 novembre 2018, i negoziati si sono conclusi con un progetto di accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (10). Il 22 novembre 2018, è stata convenuta, a sua volta, la dichiarazione politica che stabilisce il quadro delle future relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito (11). Tale accordo e la dichiarazione sono stati approvati dal Consiglio europeo il 25 novembre 2018.
18. Finché le procedure di conclusione del succitato progetto di accordo non sono portate a buon fine nel Regno Unito e nell’Unione europea, sussistono le due possibilità contemplate all’articolo 50, paragrafo 3, TUE.
19. Il 19 dicembre 2017, vari deputati del parlamento scozzese, del parlamento del Regno Unito e del Parlamento europeo hanno presentato dinanzi alla Court of Session, Outer House [Corte per le cause civili in formazione di primo grado (Scozia), Regno Unito] una domanda di «judicial review» intesa a far accertare se la notifica dell’intenzione di recedere possa essere revocata unilateralmente prima della scadenza del termine di due anni di cui all’articolo 50 TUE, con la conseguenza che, ove intervenisse tale revoca, il Regno Unito resterebbe nell’Unione.
20. La domanda è stata respinta dal Lord Ordinary (giudice di primo grado) con una decisione del 6 febbraio 2018 (12), con la motivazione che essa sconfinava nella sovranità del parlamento britannico e sollevava una questione ipotetica, stante la mancanza di indizi circa la volontà del governo o del parlamento britannici di revocare la notifica dell’intenzione di recedere.
21. I ricorrenti hanno proposto appello dinanzi alla Court of Session, Inner House [Corte per le cause civili in formazione di appello (Scozia)], la quale ha autorizzato la prosecuzione del procedimento con decisione del 20 marzo 2018 (13), rinviando la causa al giudice di primo grado affinché statuisse sul merito.
22. Con decisione dell’8 giugno 2018 (14), il Lord Ordinary (giudice di primo grado) della Court of Session [Corte Suprema (Scozia)] si è rifiutato di disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e ha respinto il ricorso (15).
23. I ricorrenti hanno proposto ricorso contro la succitata decisione dinanzi alla Court of Session, Inner House, First Division [Corte per le cause civili in formazione di appello, prima sezione (Scozia)], la quale, dopo averlo ammesso, ha emesso l’ordinanza del 21 settembre 2018 (16), accogliendo la domanda di presentazione di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
24. In sostanza, il giudice del rinvio:
– ritiene che non sia prematuro né accademico chiedere se la notifica possa legittimamente essere revocata in maniera unilaterale, con la conseguenza che il Regno Unito resterebbe nell’Unione;
– evidenzia l’incertezza esistente in riferimento a tale questione e ritiene che la risposta consentirà ai deputati del Regno Unito di avere una visione delle opzioni disponibili al momento di esprimere il loro voto. A suo giudizio, a prescindere dall’interesse dei deputati del parlamento scozzese e del Parlamento europeo, i deputati del Parlamento britannico hanno un interesse a che la questione sia definita.
25. Per giungere a tale conclusione, il giudice del rinvio ha tenuto conto del fatto che il 26 giugno 2018 è stata data la regia sanzione allo European Union (Withdrawal) Act 2018 [legge del 2018 sull’Unione europea (recesso)], il cui articolo 13 disciplina dettagliatamente l’approvazione parlamentare dell’esito dei negoziati tra il Regno Unito e l’Unione conformemente all’articolo 50 TUE. In particolare, l’accordo di recesso può essere ratificato solo se esso è stato approvato, congiuntamente al quadro delle future relazioni tra il Regno Unito e l’Unione europea, con una risoluzione della House of Commons (Camera dei Comuni), e se entrambi, accordo e quadro, sono stati dibattuti nella House of Lords (Camera dei Lord). Laddove non si riesca a ottenere un’approvazione, il governo deve esporre la sua proposta in merito alla prosecuzione dei negoziati. Se il Primo Ministro dichiara, prima del 21 gennaio 2019, che nessun accordo di principio può essere raggiunto, il governo deve, ancora una volta, indicare come propone di procedere. Tale proposta dev’essere presentata dinanzi a entrambe le camere del Parlamento.
26. L’articolo 13 dello European Union (Withdrawal) Act 2018 [legge del 2018 sull’Unione europea (recesso)] dispone che, se la Camera dei Comuni respinge l’accordo di recesso, e non accade null’altro, i Trattati cesseranno di applicarsi al Regno Unito il 29 marzo 2019. Lo stesso varrà se non sarà raggiunto un accordo di recesso tra il Regno Unito e l’Unione prima della medesima data.
27. Alla luce di quanto esposto, la Court of Session, Inner House, First Division [Corte per le cause civili in formazione di appello, prima sezione (Scozia)], ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale (17):
«Nel caso in cui uno Stato membro abbia notificato al Consiglio europeo, ai sensi dell’articolo 50 TUE, la propria intenzione di recedere dall’Unione europea, se il diritto dell’Unione europea consenta che tale notifica sia revocata unilateralmente dallo Stato membro notificante e, qualora così fosse, a quali condizioni e con quale effetto sulla permanenza dello Stato membro nell’Unione europea».
III. Svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte
28. La decisione di rinvio è pervenuta presso la cancelleria della Corte il 3 ottobre 2018.
29. Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il rinvio pregiudiziale al procedimento accelerato, ai sensi dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, per via dell’urgenza della causa, poiché l’esame parlamentare e la successiva votazione sul recesso del Regno Unito dall’Unione devono avvenire con sufficiente anticipo rispetto al 29 marzo 2019.
30. Il presidente della Corte di giustizia ha accolto la succitata richiesta, come risulta dall’ordinanza del 19 ottobre 2018, giustificando l’adozione del procedimento accelerato sulla base della necessità di chiarire la portata dell’articolo 50 TUE prima che i parlamentari nazionali si pronuncino sull’accordo di recesso, e dell’importanza fondamentale della disposizione in parola, sia per il Regno Unito sia per l’ordinamento costituzionale dell’Unione (18).
31. Nell’ambito del procedimento pregiudiziale, i ricorrenti di cui al procedimento principale (Witghtman e a., nonché Tom Brake e Chris Leslie), il governo del Regno Unito, la Commissione e il Consiglio hanno presentato osservazioni scritte. Tutte le suddette parti sono comparse all’udienza tenutasi il 27 novembre 2018 dinanzi alla Corte.
IV. Ricevibilità della questione pregiudiziale
32. Il governo del Regno Unito sostiene che la questione pregiudiziale non è ricevibile. La Commissione nutre dubbi al riguardo, sebbene non li traduca in un’eccezione formale d’irricevibilità.
33. Ad avviso del governo del Regno Unito, in sintesi:
– la questione è irricevibile, stante il suo carattere ipotetico e teorico (accademico), in quanto non consta in alcun modo che il governo o il parlamento britannici revocheranno la notifica dell’intenzione di recedere;
– dichiarare ricevibile la questione pregiudiziale sarebbe contrario al sistema di ricorsi istituito dai Trattati costitutivi, i quali non contemplano la possibilità per la Corte di emettere pareri consultivi su questioni di natura costituzionale, come il recesso di uno Stato membro dall’Unione.
34. Secondo consolidata giurisprudenza, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso di specie, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione o sulla validità di una norma giuridica dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire. Ne consegue che una questione pregiudiziale che verte sul diritto dell’Unione gode di una presunzione di rilevanza.
35. In forza di questa stessa giurisprudenza, il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione o l’esame di validità richiesto relativamente a una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (19).
36. Ritengo che la presente causa non soddisfi nessuna delle condizioni suesposte, imprescindibili per respingere a limine il rinvio pregiudiziale.
37. In primo luogo, la Corte deve partire dal presupposto che il giudice del rinvio ha adottato la decisione di rinvio in conformità con le norme procedurali, sulla competenza e sull’organizzazione giudiziaria in vigore nel suo diritto interno (20). Nello specifico, non si può adesso mettere in dubbio che il meccanismo processuale della judicial review, quale si applica in Scozia (21), legittimi nel caso specie (così come in altre cause già definite dalla Corte di giustizia) (22) sia la presentazione del rinvio pregiudiziale sia la successiva decisione del giudice che l’ha proposto (23).
38. In secondo luogo, la controversia è reale e in essa sussiste un chiaro conflitto di tesi giuridiche opposte difese dalle parti. Vi è effettivamente un autentico dibattito processuale in corso, nel quale si avanzano argomenti e richieste contrastanti:
– i ricorrenti chiedono al giudice del rinvio di dichiarare che l’articolo 50 TUE autorizza la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere, invitandolo a investire preliminarmente la Corte di giustizia di tale questione;
– il governo britannico si oppone alla richiesta summenzionata.
39. In terzo luogo, la questione del giudice del rinvio è fondamentale al fine di dirimere la controversia principale. Si potrebbe persino dire che la questione in parola costituisce l’oggetto stesso di tale controversia. Il potere di interpretare, in maniera definitiva e uniforme, l’articolo 50 TUE incombe alla Corte ed è richiesto un significativo sforzo ermeneutico per stabilire se il medesimo articolo ammetta o no la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere. Senza il supporto dell’autorità della Corte, il giudice del rinvio difficilmente potrebbe risolvere la controversia di cui è investito.
40. In quarto luogo, la questione sottoposta non è meramente accademica (24). Ciò che si chiede alla Corte è di adottare una sentenza al fine di interpretare una disposizione (l’articolo 50 TUE) che è in effetti in corso di applicazione e le cui conseguenze giuridiche future si avvicinano inesorabilmente. La domanda di pronuncia pregiudiziale ha proprio lo scopo di individuare l’effettiva portata della disposizione in questione in relazione a un aspetto assai incerto (25).
41. L’importanza pratica, e non solo teorica, della risposta della Corte è evidente, stanti le enormi implicazioni giuridiche, economiche, sociali e politiche della Brexit, sia per il Regno Unito sia per l’Unione e per i diritti dei cittadini, britannici e non britannici, sui quali inciderà l’uscita. Non si tratta, insisto, di una questione puramente dottrinale, alla portata di un gruppo ristretto di specialisti del diritto dell’Unione: la questione sottoposta alla Corte può avere un’effettiva rilevanza nel Regno Unito e nella stessa Unione europea.
42. In quinto luogo, concordo con la valutazione contenuta nella decisione di rinvio secondo la quale la questione non è prematura. Anzi, al pari del giudice del rinvio (26), sono dell’avviso che il momento idoneo per dissipare i dubbi quanto alla revocabilità o no della notifica dell’intenzione di recedere sia prima, e non dopo, che la Brexit abbia luogo e che il Regno Unito sia inesorabilmente immerso nelle sue conseguenze.
43. In sesto luogo, la questione non può neanche essere qualificata come superflua o non necessaria, giacché la risposta consentirà ai deputati del parlamento del Regno Unito di avere una visione delle opzioni esistenti prima di esprimere il proprio voto (27).
44. A norma dell’articolo 13 dello European Union (Withdrawal) Act 2018, il parlamento britannico, prima del 21 gennaio 2019, deve accettare o respingere l’accordo di recesso eventualmente raggiunto tra il Regno Unito e l’Unione e, ove questo non sia raggiunto, dovrà in seguito pronunciarsi sulla strada che il governo britannico deve seguire. In caso di rigetto o di mancanza di un simile accordo, il Regno Unito cesserà di essere membro dell’Unione europea il 29 marzo 2019, sempreché il Consiglio europeo, d’accordo con il medesimo Stato, non decida all’unanimità di prorogare il termine (articolo 50, paragrafo 3, TUE).
45. Pertanto, la risposta alla questione pregiudiziale consentirà ai membri del parlamento britannico di sapere se dispongano di una terza strada, e non solo delle alternative attualmente aperte loro (rigetto o approvazione dell’accordo di recesso e pronuncia sull’azione del governo britannico in mancanza di detto accordo). Questa terza strada consentirebbe al parlamento di sollecitare il governo britannico perché revochi la notifica dell’intenzione di recedere, con la conseguenza che il Regno Unito continuerebbe a essere parte dei Trattati costitutivi dell’Unione europea e membro della stessa (28).
46. In settimo luogo, ciò che si chiede alla Corte non è un mero parere, di natura consultiva, come sembra sostenere la Commissione (con alcune riserve). Nelle sue osservazioni scritte, essa ammette che la risposta della Corte è necessaria affinché il giudice del rinvio emetta il «declarator» (29) chiestogli, ma che questo sarà meramente consultivo e non produrrà effetti immediati sulle parti.
47. Non condivido la tesi suesposta, poiché, come ho appena indicato, la pronuncia del giudice del rinvio può produrre effetti giuridici, nella misura in cui autorizzerebbe i ricorrenti che sono membri del parlamento britannico a prendere un’iniziativa, basata sul diritto dell’Unione, in favore della revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere.
48. Anche il governo britannico afferma che alla Corte è richiesto un parere consultivo su un’ipotetica revoca che il medesimo non ha intenzione di presentare. A suo avviso, i Trattati costitutivi non consentono che il procedimento pregiudiziale sia utilizzato in un simile contesto, poiché l’articolo 50 TUE non contempla la possibilità di chiedere un parere alla Corte, a differenza di quanto disposto all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE. Esso aggiunge che la legittimità della (eventuale) revoca in questione dovrebbe essere contestata mediante un ricorso diretto, per inadempimento o di annullamento, una volta che essa si sia verificata. Un parere consultivo della Corte in un caso politicamente così sensibile come la Brexit comporterebbe, secondo detto governo, un’ingerenza nell’adozione di decisioni ancora in corso di negoziazione, le quali devono essere prese dai poteri esecutivo e legislativo del Regno Unito.
49. Non condivido neppure questi argomenti. Como ho già indicato, la Corte non deve emettere un parere consultivo, bensì cooperare con il giudice del rinvio affinché questi risolva una controversia reale che oppone due parti aventi posizioni giuridiche ben definite e che richiede l’interpretazione dell’articolo 50 TUE. Di fronte al dubbio se la procedura contemplata nella disposizione in parola ammetta la possibilità di revocare unilateralmente la notifica dell’intenzione di recedere, il giudice del rinvio deve adottare una sentenza dichiarativa, dalle importanti ripercussioni, la quale, a sua volta, dipende dall’interpretazione di una norma del trattato UE.
50. Ciò premesso, il rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE è idoneo a risolvere ex ante il dubbio summenzionato, ossia senza aspettare che la revoca si produca. La semplice ammissione della possibilità di tale revoca, se confermata dalla Corte, può produrre, di per sé, effetti giuridici rilevanti, in quanto consente ai parlamentari ricorrenti di invocarla per adottare l’una o l’altra posizione.
51. Rispondendo alla questione pregiudiziale, la Corte non eserciterà quindi funzioni consultive, ma fornirà una risposta in conformità alla propria funzione giurisdizionale (vale a dire, alla funzione di dire il diritto), affinché, sulla base di essa, il giudice del rinvio si pronunci, in una sentenza che ha incidenza giuridica effettiva, sulla domanda di accertamento presentatagli dai ricorrenti.
52. Risolvendo, in questi termini, la questione pregiudiziale, la Corte non eccede la competenza attribuitagli dagli articoli 19 TUE e 267 TFUE. La sua interpretazione dell’articolo 50 TUE non implica un’ingerenza nel processo politico di negoziazione del recesso del Regno Unito dall’Unione. Essa serve anzi a chiarire, sotto il profilo del diritto dell’Unione, i contorni giuridici di tale recesso, di cui sono protagonisti attivi i poteri esecutivo e legislativo del Regno Unito.
53. Inoltre, come in altri casi di particolare sensibilità per gli Stati membri, la Corte non può rinunciare ai propri obblighi, eludendo la risposta a una questione correttamente formulata (ossia, conformemente all’articolo 267 TFUE), per il semplice fatto che la medesima risposta possa essere letta in chiave politica, e non strettamente giurisdizionale, da una parte o dall’altra.
54. Infine, devo fare riferimento alla sentenza American Express (30), citata nella decisione di rinvio, non foss’altro che per confutare una presunta contraddizione tra la mia posizione attuale e quella che ho difeso nelle conclusioni relative alla succitata causa (31). Pur elogiando la flessibilità dei procedimenti di judicial review, avevo allora espresso le mie riserve e criticato l’eccessivo lassismo della Corte nel dichiarare ricevibili questioni pregiudiziali sottoposte nell’ambito di questo tipo di procedimenti, «quando si tratta di pronunciarsi sulla validità di norme dell’Unione».
55. Nella causa succitata, avevo affermato che non sussisteva una vera controversia tra l’American Express e l’amministrazione britannica: entrambe si erano rivolte di comune accordo al giudice nazionale perché lo stesso sottoponesse alla Corte le questioni che esse stesse avevano preparato. L’assenza di posizioni contrastanti delle parti metteva in evidenza, più che una reale controversia, l’esistenza di un artificio processuale costruito, tra le stesse, con l’unico scopo di ottenere la pronuncia della Corte.
56. Orbene, nessuno di tali fattori ricorre nella fattispecie, come ho rilevato nelle mie suesposte considerazioni. Aggiungerò che, in ogni caso, la Corte ha ritenuto che il rinvio pregiudiziale summenzionato fosse ricevibile, persino nelle condizioni da me poc’anzi descritte.
57. Per tutte queste ragioni, sono propenso a considerare ricevibile la questione pregiudiziale.
V. Analisi della questione pregiudiziale
58. Può uno Stato membro (nel caso di specie, il Regno Unito) revocare la notifica dell’intenzione di recedere dall’Unione, una volta che essa è stata comunicata al Consiglio europeo?
59. Stante l’assenza di una risposta esplicita nell’articolo 50 TUE a tale questione apparentemente così semplice, si prospettano tre soluzioni: a) no, in nessun caso; b) sì, incondizionatamente; o c) sì, a determinate condizioni. Il ragionamento teso a giustificare una qualsiasi di tali risposte è senza dubbio complesso, come dimostra il dibattito che ha avuto luogo negli Stati membri (in particolare nel Regno Unito) e nella dottrina giuridica (32).
60. La controversia si è spostata a livello del rinvio pregiudiziale, nell’ambito del quale:
– i ricorrenti (Wightman e a.) e coloro che sono intervenuti a loro supporto (Tom Brake e Chirs Leslie) sostengono la possibilità della revoca unilaterale, sottoposta a determinate condizioni;
– la Commissione e il Consiglio, invece, si oppongono alla revoca unilaterale, ma ritengono che l’articolo 50 TUE ammetta una revoca (che qualificherò come consensuale) approvata all’unanimità dal Consiglio europeo.
61. In realtà, il dibattito riecheggia una diatriba risalente agli albori del diritto, come lo conosciamo oggi, sugli effetti delle dichiarazioni unilaterali di volontà, quando esse si rivolgono a terzi, e sulla loro eventuale revoca successiva. Nel diritto romano, a tale riguardo, posizioni rigide (optione facta, ius eligendi consumitur) (33) convivevano con altre più flessibili, che ammettevano la ritrattazione o la revoca di tali dichiarazioni (mutatio consilii), purché non pregiudicassero o recassero danno a un terzo.
62. Nella trattazione del merito, seguirò questo schema argomentativo:
– esaminerò, in primo luogo, le norme del diritto internazionale pubblico sul recesso degli Stati dai trattati internazionali, incluse quelle relative alla revoca del recesso. Da tale esame si potrà dedurre se dette norme siano applicabili nella fattispecie;
– procederò, in secondo luogo, all’interpretazione dell’articolo 50 TUE, in quanto lex specialis, per stabilire se, conformemente alla disposizione in parola, nulla osti alla revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere. Se così fosse, analizzerò i requisiti che gli Stati membri sono tenuti a soddisfare al fine di effettuare la revoca unilaterale in questione;
– infine, esaminerò la possibilità, addotta dalla Commissione e dal Consiglio, di una revoca consensuale.
A. Recesso dai trattati nel diritto internazionale
1. Norme della CVDT, norme consuetudinarie e prassi degli Stati sul diritto di recesso
63. Atteso che alla base del diritto dei trattati internazionali si trova il principio pacta sunt servanda, sancito all’articolo 26 della CVDT, gli Stati si sono mostrati restii ad accettare il diritto di recesso unilaterale di uno Stato parte di un trattato internazionale. L’articolo 42 CVDT stabilisce, infatti, che «l’estinzione di un trattato, la sua denuncia o il recesso di una parte possono aver luogo solo in applicazione delle disposizioni del trattato o della presente Convenzione».
64. La possibilità di recesso da un trattato è espressamente prevista nella CVDT:
– l’articolo 54 consente il recesso di uno Stato parte «in conformità alle disposizioni del trattato» in questione (34) oppure «in ogni momento, per consenso di tutte le parti, previa consultazione degli altri Stati contraenti» (35);
– l’articolo 56 stabilisce che, se un trattato non contiene norme esplicite sulla denuncia o il recesso, esso non può formare oggetto di un recesso, a meno che non risulti che corrispondeva all’intenzione delle parti ammettere la possibilità di recesso o che il diritto di recesso possa essere dedotto dalla natura del trattato (36).
65. La prassi internazionale di recesso unilaterale da trattati multilaterali non è stata molto consistente, ma non sono mancati dei casi. Negli ultimi anni, tale prassi si è accresciuta, a causa delle diffidenze di alcuni governi, contrari ai trattati internazionali e alla partecipazione a organizzazioni internazionali (37).
66. Vi sono stati anche casi di recessi da un trattato per un periodo, seguiti da un’adesione successiva al medesimo trattato. Uno dei più rilevanti ha visto protagonisti i paesi comunisti europei, all’inizio della guerra fredda, che hanno abbandonato l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO). Poiché i trattati costitutivi di entrambe le organizzazioni internazionali non contenevano una clausola di recesso, gli Stati occidentali hanno preteso che esso dipendesse dal consenso degli altri Stati parte. A sostegno della loro tesi, i paesi comunisti hanno addotto, come principio generale di diritto internazionale, che gli Stati non possono essere obbligati a continuare a essere parte di un trattato contro la propria volontà (38).
67. In seguito agli avvenimenti suesposti, il trattato costitutivo dell’UNESCO è stato modificato al fine di introdurvi una disposizione che ha sancito il diritto di recesso unilaterale (39). Tale clausola è stata utilizzata dal Regno Unito (che ha lasciato l’UNESCO il 31 dicembre 1985 e vi ha nuovamente aderito il 1o luglio 1997) e dagli Stati Uniti (che hanno receduto il 31 dicembre 1984 e vi hanno aderito nuovamente il 3 ottobre 2003). Nel 2017, gli Stati Uniti hanno receduto nuovamente dall’organizzazione internazionale in questione, al pari di Israele (40).
68. Per quanto riguarda le revoche delle notifiche di recesso da trattati internazionali, oltre ad alcuni precedenti storici (41), vi sono anche casi recenti che potrebbero essere d’interesse nel caso di specie. Farò riferimento, in particolare, ai casi di Panama, del Gambia e della Repubblica del Sud Africa (42).
69. Il 19 agosto 2009, il Governo di Panama ha notificato (43) il suo recesso dal trattato costitutivo del Parlamento centroamericano e altre istituzioni politiche (in prosieguo: il «Parlacen») (44), invocando a suo sostegno l’articolo 54, lettera b), della CVDT. Di fronte al rifiuto dei membri del Parlacen, il governo panamense ha sollecitato la Asamblea Nacional (Assemblea nazionale panamense) ad adottare la legge 78, dell’11 dicembre 2011, che richiamava la suddetta notifica e proponeva l’annullamento degli strumenti panamensi di ratificazione del trattato succitato. Tuttavia, la Corte Suprema de Justicia de Panamá (Corte Suprema di giustizia di Panama) ha dichiarato tale legge incostituzionale, in quanto violava l’articolo 4 della costituzione panamense («la Repubblica di Panama rispetta le norme del diritto internazionale»), dal momento che il Trattato Parlacen non conteneva alcuna clausola espressa di recesso o questo non poteva essere effettuato conformemente agli articoli 54 e 56 della CVDT (45). A seguito della suddetta sentenza, la notifica di recesso panamense è stata revocata e tale paese è tornato a partecipare al Parlacen (46).
70. Gli altri due casi riguardano il trattato istitutivo della Corte penale internazionale (CPI), ossia lo Statuto di Roma del 1998 (47):
– il governo del Gambia, nel febbraio 2017, dopo l’ascesa al potere di un nuovo presidente, ha revocato la notifica di recesso che aveva effettuato nel novembre 2016 (48);
– il governo della Repubblica del Sud Africa, che nell’ottobre 2016 aveva notificato il proprio recesso dallo Statuto di Roma (49), ha comunicato nel marzo 2017 (50) la revoca della medesima notifica, dopo la il suo annullamento da parte dell’Alta Corte sudafricana (51).
71. Alla luce della prassi internazionale supra illustrata, ci si potrebbe chiedere se la possibilità di revocare notifiche di recesso abbia acquisito il carattere di norma internazionale consuetudinaria. Oppure, in altri termini, se l’articolo 68 CVDT, a norma del quale una notifica o uno strumento previsti dagli articoli 65 e 67 possono essere revocati in ogni momento prima che abbiano avuto effetto, racchiuda una norma consuetudinaria di diritto internazionale.
72. Gli articoli da 65 a 68 formano la sezione 4 della parte V della CVDT, che contiene le norme procedurali applicabili ai casi in cui sono invocate cause di nullità, di estinzione, di recesso e di sospensione dei trattati.
– L’articolo 65 obbliga lo Stato che desidera recedere da un trattato a notificare la propria intenzione agli altri Stati parte, illustrando la misura che lo stesso intende adottare in relazione al trattato e le ragioni di essa. Gli altri Stati dispongono di un termine minimo di tre mesi per formulare obiezioni al recesso.
– In mancanza di obiezioni, l’articolo 67 consente allo Stato che desidera recedere dal trattato di formalizzare per iscritto lo strumento di recesso e comunicarlo agli altri Stati membri.
– Ai sensi dell’articolo 68 «[u]na notifica o uno strumento previsti dagli articoli 65 e 67 possono essere revocati in ogni momento prima che abbiano avuto effetto».
73. L’articolo 68 della CVDT è stato adottato senza voti contrari degli Stati partecipanti alla conferenza intergovernativa nella quale è stata redatta la medesima convenzione, sulla base del progetto di articoli della Commissione del diritto internazionale, nell’ambito della quale non vi sono stati nemmeno disaccordi su di esso (52).
74. La circostanza suesposta potrebbe suggerire che l’articolo 68 della CVDT codifichi una norma consuetudinaria (53). Tuttavia, la disposizione in questione, che appare collegata agli articoli 65 e 67, può essere considerata piuttosto come una norma di carattere procedurale che manifesta uno sviluppo progressivo, e non come la codificazione di una consuetudine internazionale (54). È quanto ha rilevato, in relazione all’articolo 65 della CVDT, la Corte nella sentenza Racke (55), e questo stesso rilievo può essere applicato, a mio avviso, all’articolo 68 della CVDT (pur riconoscendo che esistono posizioni divergenti al riguardo) (56).
75. In questa situazione di relativa incertezza, che la prassi recente degli Stati sulla revoca di notifiche di recesso dai trattati internazionali non fuga, ritengo difficile che la Corte possa qualificare come norma consuetudinaria in vigore il disposto dell’articolo 68 della CVDT, ossia la regola secondo la quale si possono revocare, unilateralmente, le notifiche di recesso da un trattato effettuate da uno Stato membro, in ogni momento prima che abbiano avuto effetto.
76. Nondimeno, che l’articolo 68 della CVDT sia o no una norma consuetudinaria di diritto internazionale, esso offre all’interprete una fonte di ispirazione non trascurabile, come esporrò di seguito.
2. Applicazione all’Unione europea e ai suoi Stati membri delle disposizioni della CVDT sul recesso dai trattati
77. Le norme della CVDT sul recesso dai trattati internazionali sono applicabili al recesso di uno Stato membro dall’Unione europea? Se così fosse, quale potrebbe essere il coordinamento della CVDT con le disposizioni dell’articolo 50 TUE?
78. Il TUE è un trattato internazionale concluso tra Stati e, al contempo, un atto costitutivo di un’organizzazione internazionale (l’Unione europea). In quanto tale, esso sarebbe sottoposto alla CVDT, a norma dell’articolo 5 di quest’ultima (57). Tuttavia, occorre ricordare che l’Unione non è parte della CVDT, così come non lo sono vari suoi Stati membri (Francia, Romania). Di conseguenza, le disposizioni della CVDT sul recesso da un trattato e sull’eventuale revoca del recesso, in particolare l’articolo 68 della medesima, non sono applicabili nel diritto dell’Unione come norme internazionali convenzionali.
79. Tuttavia, le norme internazionali consuetudinarie vincolano gli Stati membri e l’Unione europea, e possono essere fonte di diritti e di obblighi nell’ambito del diritto dell’Unione (58).
80. Dopo aver espresso le mie riserve quanto alla qualifica della regola della revocabilità delle notifiche di recesso dai trattati, racchiusa nell’articolo 68 della CVDT, come norma consuetudinaria, non ritengo che essa possa essere utilizzata come fondamento giuridico del recesso di uno Stato membro dall’Unione al di fuori della procedura di cui all’articolo 50 TUE.
81. Nei trattati che istituiscono l’Unione europea è contenuta, infatti, una clausola espressa di recesso (l’articolo 50 TUE), che comporta una lex specialis rispetto alle norme convenzionali (articoli 54, 56 e da 64 a 68 della CVDT) di diritto internazionale in materia. Pertanto, il recesso di uno Stato membro dai trattati che istituiscono l’Unione deve essere effettuato, in linea di principio, a norma dell’articolo 50 TUE.
82. Tuttavia, nulla osta a che l’interprete ricorra agli articoli 54, 56, 65, 67 e, in particolare, 68 della CVDT per trarne dei criteri interpretativi che contribuiscano a fugare i dubbi su questioni non espressamente previste dall’articolo 50 TUE. È quanto avviene per la revocabilità delle notifiche di recesso, aspetto sul quale l’articolo 50 TUE tace.
83. Non vi è nulla di anomalo in tale interazione. La Corte ha fatto uso delle norme della CVDT relative all’interpretazione dei trattati, in particolare gli articoli 31 e 32 della medesima (59), per chiarire il senso delle disposizioni dei trattati che istituiscono l’Unione (60), dei trattati internazionali conclusi dall’Unione con paesi terzi, delle norme di diritto derivato (61) e persino dei trattati bilaterali tra Stati membri quando una controversia le viene sottoposta in virtù di un compromesso (articolo 273 TFUE) (62).
84. Nel caso in esame, si deve interpretare l’articolo 50 TUE, il quale disciplina il diritto di recesso. Il recesso, al pari della revisione (articolo 48 TUE), dell’adesione (articolo 49 TUE) e della ratifica (articolo 54 TUE) dei trattati che istituiscono l’Unione, è collegato all’origine di questi ultimi e rappresenta un questione tipica del diritto internazionale.
85. L’articolo 50 TUE, la cui formulazione è ispirata agli articoli 65 e 68 della CVDT (63), è, ripeto, lex specialis rispetto alle norme generali del diritto internazionale sul recesso dai trattati, ma non è una disposizione autosufficiente che disciplini esaustivamente ciascun particolare del processo di recesso di cui trattasi (64). Nulla impedisce, dunque, che per colmare le lacune dell’articolo 50 TUE si prenda in considerazione l’articolo 68 della CVDT, sebbene esso non rifletta, strictu sensu, una norma internazionale consuetudinaria.
B. Revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere nell’ambito dell’articolo 50 TUE
86. La procedura di cui all’articolo 50 TUE, introdotto nel medesimo trattato con la riforma operata dal trattato di Lisbona, inizia con la decisione di recedere che lo Stato membro deve adottare «conformemente alle proprie norme costituzionali».
87. Le fasi successive della procedura sono state così riassunte dalla Corte: «[la procedura di recesso] comprende, in primo luogo, la notifica al Consiglio europeo dell’intenzione di recedere, in secondo luogo, i negoziati e la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto delle future relazioni tra lo Stato interessato e l’Unione, e, in terzo luogo, il recesso propriamente detto dall’Unione alla data di entrata in vigore del menzionato accordo o, in sua mancanza, due anni dopo la notifica effettuata presso il Consiglio europeo, salvo che quest’ultimo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine» (65).
88. Per determinare se, stante il silenzio della disposizione in esame su tale punto, l’articolo 50 TUE ammetta o no la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere, è necessario ricorrere alle tecniche di interpretazione comunemente utilizzate dalla Corte (66) e, in subordine, a quelle previste dagli articoli 31 e 32 della CVDT.
89. Anticipo sin d’ora che, a mio avviso, l’articolo 50 TUE autorizza la revoca unilaterale dello Stato membro notificante fino al momento della conclusione dell’accordo di recesso dall’Unione.
1. Interpretazione letterale e contestuale dell’articolo 50 TUE
90. In linea generale, si può sostenere sia che è consentito tutto ciò che una norma non vieta sia che il silenzio della legge implica l’assenza del diritto (67). Poiché l’articolo 50 TUE non fornisce una risposta diretta alla questione del giudice del rinvio, il criterio letterale non può in realtà essere applicato e si dovrà pertanto analizzare l’articolo succitato nel suo contesto, vale a dire scandagliare il suo significato in base alla sua ratio, nell’ambito del più ampio contesto normativo nel quale il medesimo si inserisce.
91. L’articolo 50, paragrafo 1, TUE disciplina la prima fase della procedura indicando che «[o]gni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione». Pertanto, questa prima fase (nazionale) incombe esclusivamente allo Stato membro uscente, in quanto il recesso è un diritto riconosciuto a qualsiasi Stato parte dei Trattati che istituiscono l’Unione.
92. La decisione di recedere, unilateralmente adottata nell’esercizio della sovranità dello Stato membro uscente (68), è subordinata, a norma dell’articolo 50 TUE, alla sola condizione che sia stata adottata conformemente alle norme costituzionali di detto Stato. L’obbligo di notificare al Consiglio europeo l’intenzione di recedere e il termine di due anni per negoziare l’accordo nell’ambito del quale il recesso sarà definito sono unicamente elementi formali e non limitano il carattere unilaterale della decisione iniziale di recedere.
93. Come ho già indicato, l’assetto del diritto di recesso nell’articolo 50 TUE si ispira alle norme del diritto internazionale (in particolare, agli articoli 54 e 56 della CVDT). Mi sembra logico che sia così, poiché il recesso da un trattato internazionale è, per definizione, un atto unilaterale di uno Stato parte. Al pari del potere di concluderlo (treaty making power), il diritto di svincolarsi (recesso o denuncia) da un trattato del quale uno Stato è parte costituisce una manifestazione della sovranità del medesimo. Se la decisione di uno Stato di concludere un trattato è unilaterale, lo è anche quella di recedere dallo stesso.
94. Il carattere unilaterale della decisione di recesso depone a favore della possibilità di revocare unilateralmente la notifica della stessa, fino al momento in cui essa non produce i suoi effetti definitivi. In quest’ottica, la revoca unilaterale sarebbe parimenti una manifestazione della sovranità dello Stato uscente, il quale sceglie di tornare sopra la propria decisione iniziale.
95. Il carattere unilaterale della prima fase, a mio avviso, si estende quindi anche alla seconda fase della procedura di cui all’articolo 50 TUE, ossia alla fase di negoziazione, che inizia con la notifica dell’intenzione di recedere al Consiglio europeo e culmina dopo due anni, salvo proroga per decisione unanime del Consiglio europeo. È tuttavia vero che in questa seconda fase il carattere unilaterale appare controbilanciato dall’azione delle istituzioni dell’Unione, punto sul quale mi soffermerò infra.
96. In favore del riconoscimento della revocabilità delle notifiche di recesso, credo che le ragioni che esporrò qui di seguito possano essere addotte con forza argomentativa maggiore rispetto a quelle contrarie (sebbene riconosca che queste ultime non sono prive di peso).
97. In primo luogo, gli obblighi sostanziali e procedurali che l’articolo 50 TUE impone allo Stato membro che decide di recedere sono molto scarsi:
– esso deve notificare (presumibilmente per iscritto, benché non sia specificato) al Consiglio europeo la propria intenzione, ma non è tenuto a giustificarla né a esporre i motivi che lo inducono a lasciare l’Unione;
– deve aspettare due anni dalla notifica, al termine dei quali potrà lasciare l’Unione senza ulteriori formalità (69), in quanto la conclusione di un accordo non costituisce un requisito per il compimento del recesso (70).
98. Queste caratteristiche della fase di negoziazione costituiscono un primo indizio del fatto che lo Stato che ha notificato la propria intenzione di recedere conserva, per il termine di due anni, il proprio dominio, per così dire, della volontà espressa nella medesima notifica. Come avviene in altri ambiti del diritto, in assenza di divieto espresso o di una norma che disponga altrimenti, colui che ha emesso unilateralmente una dichiarazione di volontà rivolta a un altro soggetto può ritirarla fino al momento in cui, con l’accettazione del destinatario, tradotta in un atto o nella conclusione di un contratto, non si producono i suoi effetti.
99. In secondo luogo, l’articolo 50, paragrafo 2, TUE prevede che «[l]o Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo», dando così avvio alla seconda fase della procedura. La disposizione in questione si riferisce alla notifica dell’«intenzione» di recedere e non al recesso stesso, poiché quest’ultimo può prodursi solo dopo l’accordo o, in mancanza di esso, una volta trascorso il periodo di due anni.
100. Le intenzioni non sono definitive e possono cambiare. Colui che notifica la propria intenzione a un terzo può creare in capo a quest’ultimo un’aspettativa, ma non assume un obbligo di mantenerla irrevocabilmente. Perché si produca un simile effetto, occorrerà che la comunicazione di tale intenzione contenga il riferimento esplicito al suo carattere irrevocabile.
101. È vero che l’argomento suesposto, di carattere piuttosto testuale, non è così solido come appare a prima vista, dal momento che l’articolo 50, paragrafo 2, TUE utilizza anche il termine decisione (lo «Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione»), al pari del paragrafo 1 («Ogni Stato membro può decidere»). Tuttavia, il paragrafo 2 avrebbe potuto utilizzare la formula «notifica tale decisione» (o un’altra formula analoga) anziché «notifica taleintenzione». Qualche significato deve essere attribuito a quest’ultima locuzione, che sicuramente non deriva da una svista.
102. È pertanto ammissibile pensare che l’utilizzo del termine «intenzione» e del tempo verbale presente («che decide» e non «che ha deciso») all’articolo 50, paragrafo 2, TUE autorizzi lo Stato a «ritirarsi» durante la procedura e a non rendere effettiva la propria intenzione iniziale di recedere, sempre in linea con le sue norme costituzionali (71).
103. In terzo luogo, sussiste un rapporto di dipendenza tra la prima e la seconda fase della procedura, che evidenzia parimenti come il predominio dell’unilateralità nella fase iniziale incide su quella successiva. La negoziazione può essere avviata solo in seguito alla notifica dell’intenzione di recedere, per la quale è fondamentale che lo Stato membro abbia agito conformemente alle proprie norme costituzionali.
104. Tuttavia, la decisione di recesso può essere annullata ove l’autorità di riferimento (generalmente, i più alti organi giurisdizionali di ogni Stato) dichiari che essa non è stata adottata conformemente alle norme costituzionali. Detto ciò, mi sembra pressoché ovvio che lo Stato che ha notificato la propria intenzione deve parimenti comunicare che esso revoca unilateralmente tale notifica, in quanto la sua decisione iniziale mancava del presupposto indispensabile.
105. Nonostante la situazione non sia esattamente la stessa di quella descritta al punto precedente, se, in conseguenza di un’azione eseguita in applicazione delle sue norme costituzionali (ad esempio, un referendum, una votazione significativa in parlamento, lo svolgimento di elezioni generali da cui emerge una maggioranza contraria, tra le altre ipotesi), la decisione iniziale dello Stato membro è annullata e viene a mancare in seguito la base giuridico-costituzionale sulla quale essa si fondava, credo anche che sia logico, conformemente all’articolo 50, paragrafo 1, TUE, che il medesimo Stato possa e debba notificare tale cambiamento al Consiglio europeo.
106. In entrambe le ipotesi, la prima fase della procedura resta priva di fondamento, poiché la decisione originaria è stata adottata illegittimamente oppure poiché l’applicazione dei meccanismi costituzionali interni l’ha snaturata o privata di effetto (72). Logicamente, anche la seconda fase della procedura sarà compromessa, in quanto è venuta meno la premessa sulla quale si basa. Non esistendo più una base costituzionale per il recesso, lo Stato deve comunicare al Consiglio europeo che esso revoca quindi la propria precedente notifica dell’intenzione di recedere (73).
107. La prassi internazionale illustrata innanzi (74) suffraga tale conclusione. I precedenti che ho citato indicano chiaramente che una notifica di recesso da un trattato internazionale è revocabile, laddove si rilevi una violazione delle norme costituzionali dello Stato o si verifichi un cambiamento politico che produce una modifica nella volontà dello Stato uscente il quale sceglie di rimanere vincolato dal medesimo trattato.
108. I precedenti in questione sono in linea con l’articolo 68 della CVDT, che, come già rilevato, ammette la revocabilità delle notifiche di recesso finché questo non diviene effettivo. Che l’articolo succitato costituisca o no una norma consuetudinaria di diritto internazionale, è certo che la CVDT è stata di inspirazione per l’articolo 50 TUE, e non vedo ragione alcuna per non applicare, per analogia, la stessa regola nell’ambito della procedura di recesso dall’Unione.
109. Perseverare nella negoziazione dell’accordo di recesso dai trattati che istituiscono l’Unione con uno Stato membro che non desidera più lasciarla, dopo aver attivato i suoi meccanismi costituzionali per tornare sopra la decisione iniziale, mi sembra, inoltre, costituire un risultato contrario al buon senso, al quale non dovrebbe portare l’interpretazione sistematica dell’articolo 50 TUE.
110. Sotto un altro profilo, se i meccanismi summenzionati includono la decisione di un parlamento nazionale, che contribuisce in tal modo a stabilire le caratteristiche della propria «identità nazionale insita nella [sua] struttura fondamentale, politica e costituzionale», collegandola alla sua appartenenza all’Unione, i principi sottesi all’articolo 4 TUE dovrebbero favorire l’accoglimento di questa nuova decisione, a dimostrazione del «rispetto» cui si riferisce il paragrafo 2 dell’articolo in questione.
111. In quarto luogo, condivido le osservazioni di Wigthman e altri, nel senso che negare la revocabilità delle notifiche dell’intenzione di recedere, quando lo Stato membro ha modificato la propria volontà conformemente alle sue norme costituzionali e desidera rimanere nell’Unione, comporterebbe de facto la sua uscita forzata da tale organizzazione internazionale.
112. Un simile rifiuto, infatti, equivarrebbe a un’espulsione indiretta dall’Unione, laddove nulla nell’articolo 50 TUE suggerisce che la procedura di recesso possa trasformarsi in un mezzo di espulsione di uno Stato membro. Anzi, in occasione della Convenzione sul futuro dell’Europa non è stato approvato un emendamento che proponeva di integrare il diritto di recesso volontario degli Stati membri con un diritto di espulsione dall’Unione nei confronti degli Stati membri che violassero sistematicamente i valori di quest’ultima (75).
113. In quinto luogo, la revocabilità della notifica dell’intenzione di recedere non può essere negata sulla base del rilievo che lo Stato membro che intenda rimanere nell’Unione ha la possibilità (articolo 50, paragrafo 5, TUE) di chiedere di aderire nuovamente all’Unione mediante la procedura di cui all’articolo 49 TUE.
114. Ritengo che non vi sia nulla nell’articolo 50 TUE che lo renda come una procedura a senso unico senza ritorno («one way street with no exits»), in forza della quale l’unica possibilità che avrebbe uno Stato membro, dopo aver notificato la propria intenzione di recedere e aver successivamente riconsiderato la propria decisione, sarebbe di aspettare due anni per uscire dall’Unione e chiedere immediatamente l’adesione alla medesima (76). Mi sembrerebbe altresì contrario alla ratio dell’articolo 50 TUE negoziare la futura adesione durante la seconda fase della procedura, con il limite di due anni, una volta che la volontà dello Stato membro è cambiata ed esso non desidera più lasciare l’Unione europea. L’interpretazione sistematica dell’articolo 50 TUE non può dar luogo a situazioni così illogiche (o addirittura incoerenti) come queste, semplicemente perché si ritiene che la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere non sia possibile.
115. In sesto luogo, la fase della negoziazione che è avviata dalla notifica dell’intenzione di recedere non modifica lo status dello Stato notificante come Stato membro dell’Unione a tutti gli effetti. È quanto ha confermato la Corte nella sentenza RO, nella quale si è dichiarato che la notifica «non ha l’effetto di sospendere l’applicazione del diritto dell’Unione nello Stato membro che ha notificato la propria intenzione di recedere dall’Unione e (…), pertanto, tale diritto(…) è pienamente vigente in tale Stato fino al suo effettivo recesso dall’Unione» (77).
116. Pertanto, lo Stato membro che ha attivato l’articolo 50 TUE per recedere dall’Unione può disattivarlo allorché la sua volontà cambia, conformemente alle sue norme costituzionali, atteso che l’articolo 50, paragrafo 1, TUE, interpretato adesso a contrario, continua ad applicarsi allo stesso. La notifica dell’intenzione di recedere apre un periodo di due anni di negoziati, ma non priva lo Stato notificante del suo status di Stato membro e di tutti i diritti inerenti a esso, ad eccezione della restrizione della sua partecipazione alle deliberazioni e alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio relative al suo recesso (articolo 50, paragrafo 4, TUE).
117. Credo che gli argomenti che ho appena esposto nell’ambito di tale analisi dell’articolo 50 TUE abbiano un peso maggiore rispetto a quelli che, in senso opposto, sono avanzati dalla Commissione e dal Consiglio nelle loro osservazioni scritte, nonché da una parte della dottrina (78).
118. Se ho ben compreso i ragionamenti, sostanzialmente coincidenti, della Commissione e del Consiglio, entrambe le istituzioni interpretano l’articolo 50 TUE nel senso che esso attribuisce caratteristiche radicalmente diverse alla fase iniziale e alle fasi intermedia e finale della procedura di recesso.
119. A loro avviso, la fase iniziale è interamente unilaterale e resta sotto il controllo dello Stato membro. Al contrario, la fase intermedia (la negoziazione) avrebbe carattere bilaterale o multilaterale, cosicché prevalgono i poteri delle istituzioni dell’Unione. Dacché ha avvio questa seconda fase, lo Stato membro notificante perde il controllo sulla procedura, con la conseguenza che non può revocare unilateralmente la propria notifica di recesso. Una simile revoca sarebbe possibile solo se consensuale, con decisione unanime del Consiglio europeo.
120. Non condivido tale interpretazione.
121. È vero che le istituzioni intervengono in maniera determinante nella seconda fase di negoziazione della procedura di recesso:
– il Consiglio europeo riceve la notifica dell’intenzione di recedere che gli trasmette lo Stato membro uscente;
– le istituzioni dell’Unione sono autorizzate a negoziare con lo Stato membro uscente l’accordo di recesso, tenendo conto del quadro delle sue future relazioni con l’Unione;
– la procedura include la negoziazione ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 3, TFUE e la conclusione (eventuale) dell’accordo da parte del Consiglio a nome dell’Unione, per maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. La possibilità di prorogare il periodo di negoziazione di due anni spetta al Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro uscente.
122. Tuttavia, tali poteri delle istituzioni dell’Unione, che rendono multilaterale la procedura di recesso, non eliminano del tutto il carattere unilaterale di questa seconda fase, in quanto, da un lato, il presupposto su cui si fonda tale fase è la notifica della decisione (rectius, dell’intenzione) di recedere, che incombe allo Stato membro, e la cui invalidità o il cui ritiro unilaterale priva di base le fasi successive. Dall’altro, lo Stato in questione non è obbligato a raggiungere un accordo per recedere dall’Unione e sarebbe sufficiente che esso lasciasse trascorrere il periodo di negoziazione obbligatorio di due anni perché completi il proprio recesso, il che corrobora la componente unilaterale anche in tale fase della procedura.
123. Il termine (massimo, salvo proroga) di due anni per negoziare le condizioni del recesso è comune nelle clausole contenute in altri trattati internazionali (79). Dall’esistenza di tale termine non può desumersi l’impossibilità di revocare unilateralmente la notifica dell’intenzione di recedere. Al contrario, questo lasso temporale serve non solo a preparare il recesso, bensì anche come «cooling off period» affinché lo Stato membro possa, se del caso, riconsiderare la propria intenzione iniziale e cambiare posizione (80).
124. Inoltre, il fatto che il Consiglio europeo disponga del potere di prorogare il periodo in questione non significa che tale proroga sfugga al controllo dello Stato notificante portandolo, inesorabilmente, a dover recedere dall’Unione, anche se ha cambiato parere. La proroga del termine di due anni, ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 3, TUE, è stabilita dal Consiglio europeo all’unanimità, ma «d’intesa con lo Stato membro interessato». In altri termini, il Consiglio europeo non può imporre la proroga allo Stato membro, il quale dispone tanto della facoltà di rendere effettivo il proprio recesso dall’Unione allo spirare del termine quanto della possibilità di revocare la propria notifica prima che l’accordo di recesso si concluda.
125. Il Consiglio adduce altresì, come argomento contro la revocabilità unilaterale, che la notifica dell’intenzione di recedere comincia a produrre determinati effetti giuridici sin dall’inizio della seconda fase della procedura e nel corso della stessa (81). Ritengo, tuttavia, che gli atti giuridici adottati dall’Unione durante la fase di negoziazione non siano, propriamente, effetti della notifica di recesso, bensì misure inerenti alla negoziazione (ad esempio, l’assenza del Regno Unito nelle formazioni del Consiglio europeo e del Consiglio che deliberano sul processo di negoziazione o le direttive per orientare tale processo) o accordi conclusi in vista del futuro recesso (il trasferimento delle sedi di alcune agenzie, per garantire la loro continuità senza interruzioni) (82).
126. Gli atti dell’Unione summenzionati, per la maggior parte di carattere formale, sono, ripeto, collegati al processo di negoziazione (83) e la loro esistenza non consente di negare la possibilità di revocare la notifica dell’intenzione di recesso. Gli atti connessi, come quelli relativi alla delocalizzazione delle agenzie dell’Unione, non sarebbero pregiudicati da tale revoca e solo gli eventuali costi economici da essi generati potrebbero dar luogo a controversie.
127. L’elaborazione e l’applicazione degli atti formali collegati ai negoziati sul recesso del Regno Unito e degli atti connessi hanno infatti comportato un costo economico per l’Unione, come anche la formazione di una squadra negoziale dedicata esclusivamente alla Brexit. Il Consiglio sostiene che l’Unione dovrebbe sopportare tali costi in caso di revoca unilaterale, il che costituisce, a suo avviso, un argomento contro una simile eventualità.
128. Non penso che tale ragionamento sia convincente. Il problema di chi sopporta i costi (a titolo di «danni collaterali») non ha come unica soluzione quella che appare addurre il Consiglio. La negoziazione della conclusione di qualsiasi trattato internazionale o del recesso dal medesimo genera costi per gli Stati parte che essi devono sopportare e tale regola non dovrebbe variare a seguito della revoca unilaterale di una notifica di recesso. Infine, non credo di sbagliarmi affermando che i costi economici (per l’Unione e per i suoi cittadini) derivanti dal recesso di uno Stato membro sarebbero ben più elevanti dei costi (minimi) generati dalla revoca.
2. Interpretazione teleologica dell’articolo 50 TUE
129. L’articolo 1, secondo comma, TUE dispone che «[i]l presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa(…)».
130. Come ho già indicato, l’Unione è tenuta, in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, «insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale». Il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), al terzo comma, ricorda che l’Unione deve rispettare nella sua azione l’identità nazionale degli Stati membri.
131. L’articolo 50, paragrafo 1, TUE è, in realtà, un’importante dimostrazione del rispetto dell’identità nazionale degli Stati, ai quali riconosce il diritto di recedere dall’Unione conformemente alle loro norme costituzionali. Così come uno Stato membro può, in un dato momento, ritenere che la propria identità nazionale sia incompatibile con la permanenza nell’Unione, nulla osta a che il medesimo colleghi questa stessa identità (che non deve essere intesa come una nozione immutabile, cristallizzata) alla sua integrazione nell’Unione.
132. Ho spiegato innanzi come il principio del rispetto dell’identità costituzionale degli Stati corrobora l’interpretazione sistematica dell’articolo 50 TUE che propongo. A questo stesso risultato si giunge applicando il criterio teleologico. Ritengo che la lettura dell’articolo 50 TUE favorevole alla revoca dell’intenzione di recedere sia più conforme alla ratio inerente al succitato principio, in quanto consente di tenere conto di un cambiamento della volontà sovrana dello Stato membro, adottato conformemente alle sue norme costituzionali (84), al fine di arrestare un processo di recesso dall’Unione che il medesimo Stato ha deciso di invertire.
133. L’obiettivo di conseguire «un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa» conforta parimenti l’interpretazione dell’articolo 50 TUE orientata nel senso della revocabilità della notifica dell’intenzione di recedere. Tale obiettivo depone a favore di un’interpretazione delle norme del diritto dell’Unione tesa a rinforzare l’Unione stessa, e non a dissolverla. Non ostacolare la permanenza nell’Unione di uno Stato membro che decide di uscirne, ma che in seguito cambia parere, conformemente alle sue norme costituzionali, e desidera rimanerne membro, mi sembra dunque un approccio ermeneutico particolarmente appropriato.
134. Al contrario, il recesso di uno Stato membro è sempre un fallimento dell’obiettivo di integrazione. In presenza di argomenti di peso analogo in un senso e nell’altro, il favor societatis è stato considerato un elemento di valutazione chiave al fine di individuare la soluzione più conforme alla continuazione, e non alla (parziale) disintegrazione, di qualsiasi fenomeno associativo in cui si sono creati legami molto profondi.
135. Tale interpretazione è, in aggiunta, la più favorevole alla tutela dei diritti acquisiti dei cittadini dell’Unione, che il recesso di uno Stato membro inevitabilmente limiterà. La revoca della notifica di recesso, arrestando l’uscita dall’Unione dello Stato membro notificante, garantisce che i cittadini dello Stato in questione e quelli degli altri Stati membri continuino a godere dei diritti di cittadinanza, disciplinati nel trattato FUE e della Carta.
136. L’irrevocabilità della notifica, quando lo Stato membro ha deciso di tornare sui propri passi, sfocerebbe, al contrario, nell’uscita forzosa del medesimo, con la conseguente diminuzione o scomparsa di tali diritti di cittadinanza per i cittadini dello Stato uscente residenti nell’Unione e per i cittadini degli altri Stati membri residenti nello Stato che recede.
137. In sintesi, l’interpretazione dell’articolo 50 TUE che propongo (revocabilità unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere) è quella che meglio concilia il rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri con l’obiettivo dello sviluppo del processo di integrazione (85), favorendo inoltre la tutela dei diritti dei cittadini dell’Unione.
3. Interpretazione storica dell’articolo 50 TUE
138. L’articolo 50 TUE ha il suo precedente nell’articolo I‑60 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, che non ha visto mai la luce, e i cui lavori preparatori (86) sono stati realizzati nell’ambito della Convenzione sul futuro dell’Europa.
139. Ritengo che i lavori preparatori summenzionati corroborino il carattere unilaterale dell’assetto del diritto di recesso e supportino l’interpretazione dell’articolo 50 TUE che propongo. I commenti all’articolo 46 del progetto del Praesidium della Convenzione (87), infatti, confermano il predominio dell’unilateralità nella procedura di recesso, anche nella fase di negoziazione, nella misura in cui indicano che il raggiungimento di un accordo (di solito denominato di divorzio) non dovrebbe costituire una condizione per il recesso, altrimenti si svuoterebbe di significato il concetto di ritiro volontario.
140. Sono stati altresì presentati vari emendamenti alla Convenzione sul futuro dell’Europa diretti a sottoporre a condizioni sostanziali la decisione di recesso o a farla dipendere dal raggiungimento di un accordo tra lo Stato uscente e l’Unione (88). Tutti questi emendamenti sono stati respinti, il che evidenzia l’importanza dell’unilateralità nella procedura di cui all’articolo 50 TUE.
141. Le precedenti analisi letterale, contestuale, teleologica e storica dell’articolo 50 TUE mi inducono a concludere che esso consente la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere di uno Stato membro fino al momento della conclusione dell’accordo di recesso.
4. Condizioni e limiti applicabili alla revoca unilaterale della notifica di recesso
142. Ammessa la possibilità di revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere nell’ambito dell’articolo 50 TUE, resta ancora da stabilire se la revoca in questione sia soggetta a talune condizioni e a taluni limiti, come ritengo.
143. La prima condizione riguarda la forma. Al pari della notifica dell’intenzione di recedere, la revoca della stessa deve essere effettuata mediante un atto formale dello Stato membro indirizzato al Consiglio europeo (articolo 5, paragrafo 2, TUE). La revoca, come la notifica di recesso, è un atto formale relativo alla vita di un trattato e deve esservi un parallelismo procedurale tra le medesime (89).
144. La seconda condizione consiste nel rispetto delle norme costituzionali interne. I requisiti del diritto costituzionale dello Stato membro applicati nell’ambito dell’adozione della decisione di recesso, che viene in seguito notificata al Consiglio europeo (articolo 50, paragrafo 1, TUE), dovrebbero essere rispettati anche laddove lo Stato membro decida di revocare la notifica in questione.
145. Sebbene si tratti piuttosto di un problema la cui soluzione incombe a ogni Stato, se le norme costituzionali interne prevedono, ad esempio, la previa autorizzazione parlamentare come requisito per la notifica dell’intenzione di recedere dall’Unione (è quanto avviene nel Regno Unito, secondo la sentenza Miller) (90), mi sembra logico che anche la revoca della medesima notifica richiede questa stessa approvazione parlamentare. Viene in tal modo impedita la notifica da parte dello Stato membro di revoche illegittime o di revoche ambigue e poco chiare (91), dalle quali non sia possibile dedurre con chiarezza la posizione dello Stato membro.
146. Per quanto riguarda la necessità di giustificare la revoca della notifica di recesso, se l’articolo 50 TUE non richiede una simile giustificazione per la comunicazione dell’intenzione iniziale, la stessa non sarebbe indispensabile neppure per la sua revoca. Ciononostante, sarebbe ragionevole che lo Stato esponga di fronte agli altri Stati membri dell’Unione i motivi del suo cambiamento di posizione, che, essendo in contrasto con i suoi atti precedenti, richiede una spiegazione.
147. Dall’articolo 50, paragrafo 3, TUE si ricava un limite temporale per la revoca delle notifiche dell’intenzione di recedere: essa potrà essere effettuata soltanto entro il termine di negoziazione di due anni che prende avvio con la notifica dell’intenzione di recedere al Consiglio europeo. Logicamente, una volta concluso l’accordo di recesso, che presuppone il consenso di entrambe le parti, la revoca della notifica diventa impossibile, poiché essa avrà a quel punto già prodotto pienamente i suoi effetti.
148. Un altro limite all’esercizio del diritto di revoca unilaterale è quello derivante dai principi di buona fede e di leale cooperazione (articolo 4, paragrafo 3, TUE) (92).
149. La Commissione e il Consiglio hanno evidenziato, segnatamente, che ammettere la revoca unilaterale potrebbe dar luogo all’abuso della procedura di cui all’articolo 50 TUE. Secondo i medesimi, la revocabilità consentirebbe allo Stato membro di negoziare il proprio accordo di recesso da una posizione di vantaggio rispetto alle istituzioni dell’Unione e agli altri Stati membri, in quanto il medesimo potrebbe revocare la propria notifica e arrestare i negoziati se questi non sono a esso favorevoli.
150. Inoltre, secondo la Commissione e il Consiglio, lo Stato membro potrebbe ripresentare la notifica dell’intenzione di recedere, dando avvio in tal modo a un nuovo periodo di negoziazione di due anni. Ad avviso del Consiglio, lo Stato membro prolungherebbe così il periodo di negoziazione, eludendo l’articolo 50, paragrafo 3, TUE, il quale conferisce al Consiglio europeo il potere di decidere, all’unanimità, di estendere il periodo in questione. La possibilità di revoche tattiche contrasterebbe, secondo la Commissione, con la logica della procedura di cui all’articolo 50 TUE.
151. Gli argomenti suesposti (in particolare il secondo) sono, in realtà, quelli di maggior peso a sostegno dell’impossibilità di una revoca unilaterale. Non credo, tuttavia, che essi siano determinanti fino a tal punto.
152. In primo luogo, la possibilità di abusare o di utilizzare impropriamente un diritto non costituisce, in termini generali, motivo per negare l’esistenza di questo stesso diritto. Ciò che occorre fare è porre freno all’abuso mediante l’utilizzo degli strumenti giuridici appropriati.
153. In secondo luogo, l’antidoto contro l’utilizzo improprio del diritto di revoca risiede nel principio generale del divieto di pratiche abusive, sancito dalla Corte, a mente del quale i soggetti dell’ordinamento non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e l’applicazione della normativa dell’Unione non può estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici (93). Il principio generale in parola potrebbe essere applicato nell’ambito dell’articolo 50 TUE, se uno Stato membro attuasse una pratica abusiva ricorrendo a ripetute notifiche e revoche al fine di migliorare i termini del suo recesso dall’Unione.
154. Quanto alle revoche tattiche, menzionate dalla Commissione e dal Consiglio, due ragioni mi inducono a non accordare alle stesse l’importanza che tali istituzioni attribuiscono loro.
155. La prima ragione è che, nella questione pregiudiziale sottoposta nell’ambito del presente procedimento, che è la sola questione cui la Corte deve rispondere, non vi è alcun elemento che suggerisca l’utilizzo distorto (nel senso dello sviamento di potere, come causa di invalidità di un atto adottato dall’autorità pubblica, cui fa riferimento l’articolo 263 TFUE) della facoltà di revocare la decisione iniziale. Per di più, l’eventuale abuso potrebbe avvenire unicamente con la presentazione di una seconda notifica dell’intenzione di recedere, ma non con la revoca unilaterale della prima.
156. L’altra ragione è che mi sembra estremamente difficile che le revoche tattiche si possano moltiplicare nella prassi, sminuendo una possibilità che, senza dubbio, ha serie conseguenze. La revoca è una decisione che lo Stato membro uscente ha dovuto adottare conformemente alle proprie norme costituzionali. Poiché si tratta di tornare sopra una decisione costituzionale precedente, il cambiamento richiederà una modifica della maggioranza di governo, l’indizione di un referendum, una pronuncia del più alto organo giurisdizionale del paese che annulli la decisione di recesso ovvero qualsiasi altra azione la cui attuazione pratica sarà ardua e richiederà il ricorso a procedure giuridiche lunghe e complesse. L’obbligo secondo cui la revoca deve essere effettuata conformemente alle norme costituzionali dello Stato membro interessato costituisce, dunque, un filtro dissuasivo per impedire l’abuso della procedura di recesso di cui all’articolo 50 TUE per mezzo delle revoche tattiche summenzionate.
C. Revoca consensuale della notifica dell’intenzione di recedere nell’ambito dell’articolo 50 TUE
157. Il giudice del rinvio chiede alla Corte un’interpretazione dell’articolo 50 TUE solo per determinare se esso consenta una revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere. Non chiede, quindi, che la Corte si pronunci sulla compatibilità di una revoca consensuale con l’articolo in questione (94).
158. Ciononostante, la Commissione e il Consiglio, dopo aver negato nelle loro osservazioni scritte che l’articolo 50 TUE autorizzi una revoca unilaterale, hanno evocato la possibilità che la medesima disposizione consenta una revoca disposta all’unanimità dal Consiglio europeo.
159. Se la Corte ammette la revoca unilaterale, non sarà necessario rispondere alle tesi della Commissione e del Consiglio. Per completezza, tuttavia, le analizzerò.
160. Secondo la Commissione, se uno Stato membro intende revocare la propria notifica dell’intenzione di recedere e intende quindi rimanere nell’Unione, occorrerebbe cercare un modo per accogliere la sua richiesta, dal momento che la revoca unilaterale non è ammissibile.
161. Poiché l’articolo 50 TUE non fornisce alcun mezzo in tal senso, la Commissione e il Consiglio propongono di ritenere possibile la revoca decisa all’unanimità dal Consiglio europeo. Atteso che l’articolo 50, paragrafi 3 e 4, TUE conferisce al Consiglio europeo il potere di prorogare la fase di negoziazione, decidendo all’unanimità e senza la partecipazione dello Stato uscente, anche la revoca della notifica dell’intenzione di recedere dovrebbe essere approvata all’unanimità dal Consiglio europeo.
162. La Commissione aggiunge che il riconoscimento di tale potere al Consiglio europeo si impone, in quanto non sarebbe possibile richiedere l’accettazione da parte di tutti gli Stati membri conformemente alle loro norme costituzionali, stante la necessità di pronunciarsi celermente sull’ammissione della revoca. Solo allorché il recesso ha avuto luogo e lo Stato desidera tornare nell’Unione, l’articolo 50, paragrafo 5, TUE affida agli Stati membri la scelta della sua reincorporazione, attraverso la procedura di adesione di cui all’articolo 49 TUE.
163. Ritengo che l’articolo 50 TUE autorizzi una revoca di comune accordo tra lo Stato uscente che cambia posizione e le istituzioni dell’Unione che negoziano con il medesimo il suo recesso. Se si ammette il più (revoca unilaterale), si deve ammettere anche il meno (revoca consensuale). La revoca consensuale in parola è, inoltre, in linea con il principio che ispira l’articolo 54, lettera b), della CVDT, secondo il quale il recesso da un trattato potrà aver luogo «in ogni momento, per consenso di tutte le parti, previa consultazione degli altri Stati contraenti».
164. La possibilità di una simile revoca consensuale non pregiudicherebbe quindi la revoca unilaterale della notifica dell’intenzione di recedere, che lo Stato membro uscente conserva sempre in forza dell’articolo 50 TUE.
165. Orbene, ciò che non ritengo compatibile con l’articolo 50 TUE è che la notifica dell’intenzione di recesso possa essere revocata mediante la sola decisione unanime del Consiglio europeo (formato articolo 50), come sembrano proporre la Commissione e il Consiglio, con esclusione della revoca unilaterale.
166. La revoca mediante decisione unanime del Consiglio europeo, per essere consensuale, dovrebbe essere chiesta dallo Stato membro uscente, sicché, se quest’ultimo non è d’accordo, il Consiglio europeo non potrebbe imporgliela, neanche mediante decisione unanime.
167. L’articolo 50, paragrafo 3, TUE non consente la proroga della seconda fase di negoziazione, «salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine». Per analogia, ritengo che sarebbe necessaria la richiesta dello Stato uscente, quale condicio sine qua non perché il Consiglio europeo accetti la revoca della sua notifica all’unanimità.
168. Tale garanzia assicura l’unilateralità della revoca della decisione di recesso. Se l’accettazione della revoca della notifica dell’intenzione di recedere dipendesse solo da una votazione al Consiglio europeo, secondo il formato articolo 50 TUE e all’unanimità, il diritto di recesso dall’Unione (e, di converso, di permanenza al suo interno) sfuggirebbe al controllo dello Stato membro, alla sua sovranità e alle sue norme costituzionali, restando nelle mani del Consiglio europeo.
169. Ammettere che il Consiglio europeo debba avere l’ultima parola sulla revoca della notifica dell’intenzione di recedere, decidendo all’unanimità, accresce il rischio che lo Stato membro esca dall’Unione contro la propria volontà. Sarebbe sufficiente che uno dei restanti 27 Stati membri impedisca la decisione unanime del Consiglio europeo (nel formato articolo 50 TUE) per frustrare la volontà dello Stato che ha comunicato il suo desiderio di rimanere nell’Unione. Il medesimo Stato (espulso) lascerebbe l’Unione entro il termine di due anni dalla notifica dell’intenzione di recesso, contro la propria volontà di restare all’interno di tale organizzazione internazionale.
VI. Conclusioni
170. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale posta dalla Court of Session, Inner House [Corte per le cause civili in formazione di appello (Scozia)] nei seguenti termini:
«Quando uno Stato ha notificato al Consiglio europeo la propria intenzione di recedere dall’Unione europea, l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea ammette la revoca unilaterale di tale notifica, fino al momento della conclusione dell’accordo di recesso, sempreché la revoca sia stata decisa conformemente alle norme costituzionali dello Stato interessato, sia formalmente comunicata al Consiglio europeo e non implichi una pratica abusiva».