Language of document : ECLI:EU:C:2018:921

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 15 novembre 2018 (1)

Causa C118/17

Zsuzsanna Dunai

contro

ERSTE Bank Hungary Zrt.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Budai Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Buda, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Contratti di mutuo denominati in valuta estera – Clausole abusive dichiarate nulle – Normativa nazionale che pone rimedio alla nullità mediante la modifica dei contratti interessati – Mantenimento della validità di tali contratti per la restante parte – Possibilità per la Corte suprema dello Stato membro interessato di adottare decisioni volte all’armonizzazione della giurisprudenza»






 Introduzione

1.        La presente causa rientra nel solco di una serie di rinvii pregiudiziali promossi principalmente dagli organi giurisdizionali ungheresi e vertenti sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE (2) nell’ambito di controversie in materia di validità delle clausole contenute nei contratti di mutuo denominati in valuta estera.

2.        Nello specifico, la causa scaturisce dall’adozione di una normativa nazionale che ha segnatamente condotto a dichiarare nulle le clausole di tali contratti che consentivano agli istituti di credito di stabilire i propri tassi di acquisto e di vendita della valuta interessata (ciò che è noto come «differenza tra i tassi di cambio» o «spread»). Tale normativa sancisce parimenti che una parte può chiedere al giudice adito di disapplicare siffatte clausole, ma non può invece domandargli di dichiarare l’invalidità dell’intero contratto di mutuo denominato in valuta estera.

3.        Il giudice del rinvio esprime dubbi circa la validità di quest’ultimo divieto. Esso si domanda se abbia il potere, segnatamente ai fini della tutela conferita dalla direttiva 93/13, di dichiarare la totale invalidità di un contratto di mutuo sul quale debba pronunciarsi nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata, laddove, a suo avviso, una siffatta possibilità favorisca gli interessi economici del consumatore.

4.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale invita così la Corte, sulla scia di una serie di cause di cui è stata in precedenza investita (3), a fornire ancora taluni chiarimenti sulla portata dell’intervento del giudice ai fini dell’efficacia della direttiva 93/13 nel contesto molto peculiare dei mutui denominati in valuta estera.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 prevede che le «clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (…) non sono soggette alle disposizioni [di tale] direttiva».

6.        L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima così recita:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

7.        A norma dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

 Diritto ungherese

 La legge fondamentale ungherese

8.        L’articolo 25, paragrafo 3, dell’Alaptörvény (legge fondamentale ungherese) prevede che la Kúria (Corte suprema, Ungheria) «assicura (…) l’uniformità dell’applicazione del diritto da parte degli organi giurisdizionali ed emana le sentenze ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme che gli organi giurisdizionali devono applicare».

 La legge relativa agli istituti di credito

9.        L’articolo 213, paragrafo 1, dell’hitelintézetekről és a pénzügyi vállalkozásokról szóló 1996. évi CXII. törvény (legge n. CXII del 1996 relativa agli istituti di credito e alle imprese finanziarie; in prosieguo: la «legge Hpt») dispone quanto segue:

«È nullo ogni contratto di credito al consumo o di mutuo per l’acquisto di un’abitazione che ometta di menzionare

(…)

c)      la somma totale dei costi connessi al contratto, ivi inclusi gli interessi, le spese accessorie, nonché il loro valore annuo espresso in percentuale,

(…)».

 La legge DH 1

10.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della Kúriának a pénzügyi intézmények fogyasztói kölcsönszerződéseire vonatkozó jogegységi határozatával kapcsolatos egyes kérdések rendezéséről szóló 2014. évi XXXVIII. törvény [legge n. XXXVIII del 2014 relativa alla disciplina di alcune questioni connesse alla pronuncia della Kúria (Corte suprema) resa nell’interesse dell’uniformità del diritto in merito ai contratti di mutuo conclusi dagli istituti di credito con i consumatori; in prosieguo: la «legge DH 1»]:

«La presente legge si applica ai contratti di mutuo conclusi con i consumatori tra il 1o maggio 2004 e la data di entrata in vigore della presente legge. Ai fini della presente legge, rientrano nella nozione di “contratti di mutuo conclusi con i consumatori” tutti i contratti di mutuo o di credito nonché i contratti di leasing finanziario basati su valuta estera [registrati o concessi in valuta estera e rimborsati in fiorini ungheresi (HUF)] o su HUF e conclusi tra un istituto finanziario e un consumatore, se una clausola generale o una clausola che non sia stata oggetto di negoziato individuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, o dell’articolo 4, paragrafo 1, viene inserita nel suddetto contratto».

11.      L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della legge DH 1 prevede quanto segue:

«1.      In un contratto di mutuo concluso con un consumatore, è nulla – a meno che non si tratti di una condizione contrattuale oggetto di negoziato individuale – la clausola in virtù della quale l’istituto di credito decide di applicare il tasso di acquisto al momento dell’erogazione dei fondi destinati all’acquisto del bene oggetto del mutuo o del leasing, mentre al rimborso si applica il tasso di vendita, o qualsiasi altro tasso di cambio di tipo diverso da quello fissato al momento dell’erogazione dei fondi.

2.      La clausola viziata da nullità in virtù del paragrafo 1 è sostituita – fatto salvo il disposto del paragrafo 3 – da una disposizione che prevede l’applicazione del tasso di cambio ufficiale fissato dalla Banca nazionale di Ungheria per la valuta corrispondente, sia per quanto riguarda l’erogazione dei fondi sia per quanto riguarda il rimborso (compreso il pagamento delle rate mensili e di tutti i costi, le spese e le commissioni espressi in valuta)».

 La legge DH 2

12.      L’articolo 37, paragrafo 1, della Kúriának a pénzügyi intézmények fogyasztói kölcsönszerződéseire vonatkozó jogegységi határozatával kapcsolatos egyes kérdések rendezéséről szóló 2014. évi XXXVIII. törvényben rögzített elszámolás szabályairól és egyes egyéb rendelkezésekről szóló 2014. évi XL. törvény (legge n. XL del 2014 relativa alle norme applicabili al rendiconto previsto nella [legge DH 1], nonché a varie altre disposizioni; in prosieguo: la «legge DH 2») prevede quanto segue:

«Per quanto attiene ai contratti rientranti nell’ambito di applicazione della presente legge, una parte non può chiedere al giudice di dichiarare l’invalidità del contratto o di talune sue clausole (in prosieguo: l’“invalidità parziale”) – qualunque sia il motivo di invalidità – se non chiedendo altresì al suddetto giudice di applicare le conseguenze giuridiche dell’invalidità, vale a dire che il contratto sia dichiarato o valido o produttivo di effetti fino alla data della pronuncia della decisione. In mancanza, e se la parte non dà seguito ad una richiesta di regolarizzazione, il giudice non può pronunciarsi nel merito del ricorso. (…)».

 La legge DH 3

13.      Ai sensi dell’articolo 10 della az egyes fogyasztói kölcsönszerződések devizanemének módosulásával és a kamatszabályokkal kapcsolatos kérdések rendezéséről szóló 2014. évi LXXVII. törvény (legge n. LXXVII del 2014 relativa alla definizione di questioni connesse alla modifica della valuta nella quale sono espressi alcuni contratti di mutuo nonché alle norme in materia di interessi; in prosieguo: la «legge DH 3»):

«L’istituto di credito che sia creditore in forza di un contratto di mutuo ipotecario in valuta estera o basato su una valuta estera è obbligato, fino alla data limite per l’adempimento del suo obbligo di rendiconto in applicazione della legge [DH 2], a convertire l’intero debito esistente ai sensi del contratto di mutuo ipotecario in valuta estera o basato su una valuta estera, o il debito che risulti da un tale contratto, quale determinato in base al rendiconto effettuato conformemente alla legge [DH 2], – compresi gli interessi, le spese, le commissioni e i costi fatturati in valuta estera –, in un credito in HUF utilizzando, fra i due seguenti importi, vale a dire:

a)      la media dei tassi di cambio della valuta ufficialmente fissati dalla Banca nazionale di Ungheria nel periodo compreso tra il 16 giugno 2014 e il 7 novembre 2014, o

b)      il tasso di cambio ufficialmente fissato dalla Banca nazionale di Ungheria il 7 novembre 2014,

quello più favorevole al consumatore alla data di riferimento (in prosieguo: la “conversione in HUF”)».

14.      L’articolo 15/A della legge medesima prevede quanto segue:

«1.      Nei procedimenti che sono stati avviati affinché sia accertata l’invalidità (invalidità parziale) di contratti di mutuo conclusi con consumatori, o affinché siano tratte le conseguenze giuridiche dell’invalidità, e che sono attualmente pendenti, è necessario applicare le norme di conversione in HUF stabilite dalla presente legge all’importo del debito del consumatore che risulta da un contratto di mutuo in valuta estera o basato su una valuta estera che quest’ultimo abbia stipulato in qualità di consumatore, come determinato sulla base del rendiconto effettuato conformemente alla legge [DH 2].

2.      L’importo dei rimborsi effettuati dal consumatore fino alla data in cui è stata emessa la decisione viene detratto dal debito del consumatore, quale determinato in HUF alla data di riferimento per il rendiconto.

3.      Quando un contratto di mutuo concluso con un consumatore è dichiarato valido, i diritti e le obbligazioni contrattuali delle parti, quali determinate al termine del rendiconto effettuato conformemente alla legge [DH 2], devono essere stabiliti conformemente alle disposizioni della presente legge».

 Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

15.      Il 24 maggio 2007 la sig.ra Zsuzsanna Dunai ha concluso con la banca un contratto di mutuo denominato in valuta estera, nella fattispecie il franco svizzero (CHF), per un importo pari a CHF 115 573.

16.      Ai termini del contratto medesimo, il mutuo doveva essere messo a disposizione in valuta nazionale, nella fattispecie l’HUF, applicando il tasso di cambio giornaliero CHF-HUF basato sul tasso di acquisto, il che doveva comportare un versamento di HUF 14 734 000. I rimborsi dovevano parimenti avvenire in HUF mentre il tasso di cambio giornaliero a tal fine era basato sul tasso di vendita. Inoltre, il rischio di cambio, vale a dire il rischio correlato alla variazione del tasso di cambio delle valute interessate, consistente, nella fattispecie, in una forte svalutazione dell’HUF rispetto al CHF, gravava sulla sig.ra Dunai.

17.      Le parti del procedimento principale avevano concluso detto contratto mediante atto notarile, di modo che, in caso di inadempimento del debitore, lo stesso acquisisse forza esecutiva senza alcun procedimento contenzioso dinanzi a un organo giurisdizionale ungherese.

18.      Il 12 aprile 2016 il notaio ha disposto, su richiesta della banca, l’esecuzione forzata del contratto.

19.      Il 5 ottobre 2016 la sig.ra Dunai ha proposto opposizione dinanzi al giudice del rinvio avverso l’esecuzione forzata adducendo la nullità del contratto per un’asserita violazione dell’articolo 213, paragrafo 1, lettera c), della legge Hpt, in quanto lo stesso non specificherebbe la differenza tra il tasso di cambio applicabile al momento della messa a disposizione dei fondi e quello applicabile al momento dell’ammortamento.

20.      La banca ha chiesto che l’opposizione fosse respinta.

21.      Il giudice del rinvio precisa che, nel 2014, il legislatore ungherese ha adottato diverse leggi, applicabili alla controversia di cui al procedimento principale, volte ad attuare una decisione della Kúria (Corte suprema) pronunciata ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme civilistiche ed emanata in riferimento a contratti di mutuo denominati in valuta estera a seguito della pronuncia della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282). Con tale decisione la Kúria (Corte suprema) aveva segnatamente dichiarato abusive clausole, come quelle inserite nel contratto di mutuo oggetto del procedimento principale, secondo le quali al momento della messa a disposizione dei fondi era il tasso di acquisto che si applicava, mentre il tasso di vendita si applicava per il rimborso.

22.      Dette leggi avrebbero in particolare previsto la soppressione, in contratti di tal genere, delle clausole che consentivano alla banca di stabilire i propri tassi di acquisto e di vendita di valute nonché la sostituzione di questi ultimi con il tasso di cambio ufficiale fissato dalla Banca nazionale di Ungheria per la valuta corrispondente. Tale intervento del legislatore avrebbe avuto la conseguenza di eliminare lo scarto tra i differenti tassi di cambio basati su detti corsi.

23.      Il giudice del rinvio precisa che, in ragione di tale intervento legislativo, il giudice adito non può più dichiarare l’invalidità del contratto di mutuo denominato in valuta estera poiché l’intervento in parola ha posto termine alla situazione che aveva generato il motivo di invalidità; ne deriva pertanto la validità del contratto e il conseguente obbligo per il consumatore di sostenere l’onere finanziario risultante dal rischio di cambio. Dato che sarebbe esattamente questo l’obbligo da cui il consumatore avrebbe voluto liberarsi proponendo un ricorso nei confronti della banca, sarebbe contrario ai suoi interessi che il giudice del rinvio ritenesse valido il suddetto contratto.

24.      Secondo il giudice del rinvio, è evidente che il legislatore ungherese, con l’adozione nel 2014 di una serie di leggi, ha espressamente modificato la portata dei contratti di mutuo in modo da incidere in senso favorevole alle banche sulle decisioni degli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi. Tale giudice si chiede se questa situazione sia conforme all’interpretazione fornita dalla Corte dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

25.      Peraltro, il giudice del rinvio ritiene che le decisioni della Kúria (Corte suprema), emanate ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme civilistiche, in particolare la sentenza n. 6/2013 PJE del 16 dicembre 2013, vietino al giudice di dichiarare l’invalidità dei contratti di mutuo come quello oggetto del procedimento principale. Esso precisa che, al momento dell’adozione di tali decisioni, non è garantito né il ricorso al giudice designato dalla legge, né il rispetto dei requisiti di un equo processo. Sebbene il procedimento da seguire a tal fine non si svolga in contraddittorio, esso darebbe luogo a una decisione vincolante nei confronti dei giudici aditi in procedimenti, svolti in contraddittorio, di natura giurisdizionale e contenziosa.

26.      Il giudice del rinvio fa riferimento, a tal proposito, ai punti da 69 a 75 del parere sulla legge n. CLXII del 2011 sullo statuto giuridico e sulla remunerazione dei giudici e sulla legge n. CLXI del 2011 relativa all’organizzazione e all’amministrazione dei tribunali dell’Ungheria adottato dalla Commissione di Venezia in occasione della 90ª sessione plenaria (Venezia, 16-17 marzo 2012), da cui risulterebbe che le decisioni emanate in Ungheria ai sensi del cosiddetto procedimento «di uniformità» sono contestabili sotto il profilo dei diritti fondamentali.

27.      In tale contesto, il Budai Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Buda, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il punto 3 [del dispositivo] della sentenza [del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282)], debba essere inteso nel senso che il giudice nazionale può porre rimedio all’invalidità di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore anche qualora la permanenza in vigore del contratto sia contraria agli interessi economici del consumatore.

2)      Se sia conforme alla competenza accordata all’Unione europea al fine di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, nonché ai principi fondamentali del diritto dell’Unione di uguaglianza davanti alla legge, di non discriminazione, del ricorso giurisdizionale effettivo e dell’equo processo, che il parlamento di uno Stato membro modifichi mediante legge contratti di diritto privato che rientrano in categorie analoghe, conclusi tra un professionista e un consumatore.

In caso di soluzione affermativa della questione che precede, se sia conforme alla competenza accordata all’[Unione] al fine di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, nonché ai principi fondamentali del diritto dell’Unione di uguaglianza davanti alla legge, di non discriminazione, del ricorso giurisdizionale effettivo e dell’equo processo, che il parlamento di uno Stato membro modifichi mediante legge diverse parti di contratti di prestito denominati in valuta estera a fini della tutela dei consumatori, provocando tuttavia un effetto contrario ai giusti interessi della tutela dei consumatori, poiché il contratto di prestito resta valido in seguito alle modifiche e il consumatore è tenuto a continuare a sopportare l’onere risultante dal rischio di cambio.

3)      In caso di contenuto concernente i contratti conclusi tra un professionista e un consumatore, se sia conforme alla competenza accordata all’[Unione] al fine di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, nonché ai principi fondamentali del diritto dell’Unione del ricorso giurisdizionale effettivo e dell’equo processo per qualsivoglia questione di diritto civile, che il Consiglio responsabile per l’uniformità del più elevato organo giurisdizionale di uno Stato membro diriga la giurisprudenza dell’organo giurisdizionale adito mediante “decisioni emanate ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme”.

In caso di risposta affermativa alla questione che precede, se sia conforme alla competenza accordata all’[Unione] al fine di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, nonché ai principi fondamentali del diritto dell’Unione del ricorso giurisdizionale effettivo e dell’equo processo per qualsivoglia questione di diritto civile, che il Consiglio responsabile per l’uniformità del più elevato organo giurisdizionale di uno Stato membro diriga la giurisprudenza dell’organo giurisdizionale adito, mediante “decisioni emanate ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme”, qualora la nomina dei giudici membri del Consiglio responsabile per l’uniformità non sia effettuata in maniera trasparente, secondo regole predeterminate, il procedimento dinanzi al suddetto Consiglio non sia pubblico, e non sia possibile conoscere a posteriori il procedimento seguito, vale a dire gli elementi tecnici e le opere di dottrina utilizzati, il voto dei singoli membri (opinione conforme o dissenziente)».

 Analisi

 Osservazioni preliminari

28.      Atteso che la presente causa si colloca sulla scia di una serie cause (4) di cui è stata investita la Corte in materia di condizioni di applicazione della direttiva 93/13 nello specifico contesto dei contratti di mutuo denominati in valuta estera stipulati su vasta scala in Ungheria, mi pare opportuno illustrare, in via preliminare, il quadro legislativo e giurisprudenziale in cui tale controversia s’inserisce.

29.      Sempre a titolo di premessa, occorre altresì chiarire se il giudice del rinvio, attraverso le sue questioni, non intenda in realtà mettere in discussione la validità di clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative, clausole che, in forza dell’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva, non sono soggette alle disposizioni della stessa, o di pattuizioni relative all’oggetto principale del contratto ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva medesima.

 Presentazione del contesto legislativo e giurisprudenziale pertinente

30.      Occorre rammentare che la normativa nazionale di cui trattasi nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale fa seguito alla sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282).

31.      A mio giudizio, da tale sentenza si possono trarre due principali insegnamenti.

32.      In primo luogo, la Corte ha dichiarato che i termini «oggetto principale del contratto» non comprendevano necessariamente una clausola, integrata in un contratto di mutuo espresso in una valuta estera, concluso tra un professionista e un consumatore e che non è stato oggetto di una trattativa individuale, come quella di cui al procedimento principale, che definirei come clausola della «differenza di cambio». Di conseguenza, una siffatta clausola può essere dichiarata abusiva e quindi disapplicata.

33.      In secondo luogo, e contrariamente alla regola generale che richiede che il giudice adito non possa intervenire per modificare o sostituire le clausole controverse (5), la Corte ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 doveva essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ove un contratto concluso tra un professionista ed un consumatore non poteva rimanere in vigore dopo l’eliminazione di una clausola abusiva, esponendo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, tale disposizione non ostava ad una regola di diritto nazionale che permetteva al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva.

34.      In un intento di chiarezza e allo scopo di risolvere una volta per tutte tale situazione nel contesto dei numerosi procedimenti avviati dai consumatori, il legislatore ungherese, adottando le leggi DH 1, DH 2 e DH 3, sulla base dei principi sanciti dalla Kúria (Corte suprema) nella decisione n. 2/2014 PJE, emanata ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme di diritto civile (6), ha introdotto talune modifiche alle disposizioni nazionali precedentemente applicabili in materia di contratti di credito. Tale normativa intendeva tenere conto dei molteplici dubbi nutriti dagli organi giurisdizionali nell’ambito dell’esame delle clausole contenute nei contratti di mutuo in valuta estera.

35.      Pertanto, pur se l’adozione di tale nuova normativa non era di per sé richiesta dalla giurisprudenza della Corte, essa è riconducibile a un intento di semplificazione e velocizzazione dell’esame di tali controversie (7).

36.      La normativa in parola prevede l’eliminazione, nei contratti denominati in valuta estera, delle clausole che consentivano fino a quel momento agli istituti di credito di decidere i propri tassi di acquisto e di vendita della valuta. Essa richiede, inoltre, che una siffatta clausola sia sostituita, con effetto retroattivo, da una clausola che prevede l’applicazione del tasso di cambio ufficiale della valuta interessata, calcolato dalla Banca nazionale di Ungheria.

37.      In concreto, quindi, il legislatore ungherese ha posto rimedio ai problemi sorti dalla prassi della differenza di cambio dichiarando nulle le clausole contrattuali interessate e modificandole per via legislativa.

38.      Tali clausole vanno chiaramente distinte da quelle che, nell’ambito di siffatti contratti, prevedono che il mutuo debba essere rimborsato in una determinata moneta. Queste ultime, che comportano inevitabilmente un rischio di cambio, costituiscono, in linea di principio, un elemento essenziale dei contratti in parola, e possono pertanto afferire al loro oggetto principale (8).

39.      Ciò ha trovato conferma nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703).

40.      In quest’ultima sentenza, che scaturiva da una domanda di pronuncia pregiudiziale della Curtea de Apel Oradea (Corte d’appello di Oradea, Romania), la Corte ha chiaramente precisato che la nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, comprendeva una clausola contrattuale, come quella che era oggetto del procedimento principale, inserita in un contratto di mutuo espresso in una valuta estera, che non era stata oggetto di un negoziato individuale e in forza della quale il prestito doveva essere restituito nella stessa valuta estera nella quale era stato contratto, poiché tale clausola fissava una prestazione essenziale che caratterizzava tale contratto. Di conseguenza, tale clausola non poteva essere ritenuta abusiva, a condizione che fosse formulata in modo chiaro e comprensibile (9).

41.      Ritornando al procedimento principale, risulta che la compatibilità del nuovo quadro normativo ungherese con la direttiva 93/13 è stata, in seguito, messa in discussione nell’ambito di nuovi rinvii giurisprudenziali.

42.      In particolare, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367), la Corte era segnatamente investita della questione di chiarire se l’articolo 7 della direttiva 93/13 ostasse a detta normativa ungherese, adottata a seguito della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), che stabiliva requisiti procedurali specifici per ricorsi proposti da consumatori che avevano stipulato contratti di mutuo denominati in valuta estera contenenti una clausola che prevedeva una differenza tra il tasso di cambio applicabile all’erogazione del mutuo e quello applicabile al suo rimborso e/o una clausola che prevedeva un’opzione di modifica unilaterale che consentiva al mutuante di aumentare gli interessi, le spese e i costi.

43.      La Corte ha risposto in senso negativo, precisando che la normativa controversa non si poneva in contrasto con l’articolo 7 della direttiva 93/13 «purché l’accertamento del carattere abusivo delle clausole contenute in un siffatto contratto consent[isse] di ripristinare la situazione di diritto e di fatto in cui si sarebbe trovato il consumatore in mancanza di tali clausole abusive (10)». Si deve rimarcare che la Corte ha preso in considerazione la circostanza che il legislatore ungherese, mediante l’adozione in particolare delle leggi DH 1 e DH 2, ha inteso non solo facilitare l’accertamento dell’abusività delle clausole dei contratti denominati in valuta estera che prevedevano una differenza tra i tassi di cambio, ma anche abbreviare e semplificare le procedure da seguire dinanzi ai giudici ungheresi (11).

44.      Se è vero che, come emerge dal dettato dell’articolo 3, paragrafo 1, e dall’articolo 4, paragrafo 1, della legge DH 1, il legislatore ungherese ha inteso qualificare come abusivi solo due tipi di clausole contenute nella maggior parte dei contratti di mutuo denominati in valuta estera e stipulati tra un consumatore ed un professionista, l’uno relativo alla differenza tra i tassi di cambio e l’altro contenente un’opzione di modifica unilaterale (12), ciò non toglie che i giudici nazionali mantengono il potere di esaminare il carattere eventualmente abusivo delle altre clausole contenute nei contratti di cui trattasi, compresi quelli che definiscono l’oggetto principale, ove si ritenesse che le stesse non siano redatte in modo chiaro e comprensibile.

45.      La Corte ha confermato la propria valutazione sulla validità della normativa ungherese nella sua recente sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750), precisando, inoltre, che l’articolo 4 della direttiva 93/13 richiede che la chiarezza e la comprensibilità delle clausole contrattuali siano valutate facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnavano quest’ultima, nonché a tutte le altre clausole del contratto, sebbene alcune di tali clausole siano state dichiarate o presunte abusive e annullate, per tale ragione, in un momento successivo, dal legislatore nazionale (13).

46.      Questa serie di sentenze conferma che, se è vero che l’accertamento e l’annullamento delle clausole abusive costituiscono un imperativo, tuttavia il giudice adito non ha il potere di annullare integralmente i contratti denominati in valuta estera. In altri termini, il giudice adito, indotto a concludere che una clausola relativa alla differenza di cambio è abusiva e pertanto ad eliminarla, eventualmente sostituendola con una disposizione di natura suppletiva, non può, nella stessa ottica, mettere in discussione le clausole contrattuali essenziali relative al rischio di cambio.

47.      A mio avviso, è questa la conclusione che intende sostanzialmente contestare il giudice del rinvio nella presente causa. Tornerò in seguito su tale punto.

 Sussistenza di disposizioni imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13

48.      Benché tale questione non sia stata specificamente toccata dalla decisione di rinvio, occorre stabilire se la normativa controversa, consistente essenzialmente nelle leggi DH 1, DH 2 e DH 3, ricada nell’ambito dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 o se tali leggi debbano invece essere analizzate come misure che gli Stati membri hanno il potere di adottare per garantire il rispetto della direttiva in parola.

49.      Occorre rilevare che la presente causa e la causa che ha dato luogo alla sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750), hanno in comune il fatto di riguardare entrambe gli effetti della suddetta normativa, che comprende le leggi da DH 1 a DH 3.

50.      Orbene, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750), si poneva, in particolare, la questione di stabilire fino a che punto le clausole relative al rischio di cambio che sarebbero diventate parte integrante del contratto per effetto degli interventi del legislatore ungherese, potevano ricadere nella sfera di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Nella presente causa, si deve stabilire se sia compatibile con la direttiva 93/13 che una normativa di uno Stato membro invalidi e modifichi le clausole abusive al fine di far cessare pratiche bancarie sleali molto diffuse, senza tuttavia annullare i contratti di credito interessati, con la conseguenza che l’onere del rischio di cambio continua a gravare sul consumatore. Sussiste quindi un nesso evidente tra le questioni poste in ognuna di tali cause.

51.      Allo stesso modo si pone la questione se nel presente caso trovi applicazione l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

52.      In linea con gli insegnamenti della sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750) (quelli che si evincono dalla risposta alla seconda questione pregiudiziale), sono del parere che vada qui esclusa l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

53.      Come rilevato dalla Corte al punto 50 di detta sentenza, nella specie, l’esistenza di un rischio di cambio deriva dalla natura stessa del contratto di mutuo di cui trattasi. Tuttavia, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, il mantenimento di tale rischio di cambio deriva parimenti, perlomeno parzialmente, dall’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della legge DH 1, in combinato disposto con l’articolo 10 della legge DH 3, in quanto tali disposizioni di diritto nazionale comportano una modifica ex lege dei contratti in corso, consistente nel sostituire al tasso di cambio della valuta estera in cui il contratto di mutuo è stato espresso un tasso di cambio ufficiale, fissato dalla Banca nazionale di Ungheria.

54.      Orbene, per quanto riguarda specificamente la sostituzione, in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, della legge DH 1 e dell’articolo 10 della legge DH 3, della clausola relativa alla differenza tra i tassi di cambio con una clausola che prevede che il tasso di cambio definito dalla Banca nazionale di Ungheria, in vigore alla data di scadenza, si applichi tra le parti del contratto, la Corte ha ritenuto che il legislatore nazionale avesse inteso stabilire talune condizioni relative agli obblighi contenuti nei contratti di mutuo denominati in valuta estera (v. punto 62 della sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750). Dette clausole, che riproducono disposizioni legislative imperative, non possono quindi rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva (v. punto 64 della sentenza citata).

55.      Tuttavia, tale conclusione non si applica alle altre clausole contrattuali e segnatamente a quelle che determinano il rischio di cambio (punto 65 della sentenza medesima). Secondo l’analisi della Corte, le modifiche dell’articolo 3, paragrafo 2, della legge DH 1 e dell’articolo 10 della legge DH 3 non hanno inteso determinare tutta la questione del rischio di cambio.

56.      Di conseguenza, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non si applica a disposizioni diverse da quelle che riguardano la differenza di cambio.

57.      Ne deriva altresì, per il procedimento principale, che, poiché non si può escludere a priori che la questione relativa all’applicazione delle clausole che stabiliscono il rischio di cambio sia ancora attuale e rientri effettivamente nella sfera di applicazione della direttiva 93/13, occorre rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio.

 Sulla prima questione

58.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se un giudice, ai fini della tutela conferita dalla direttiva 93/13, possa annullare integralmente un contratto di mutuo la cui conservazione sarebbe, a suo avviso, contraria agli interessi economici del consumatore.

59.      Esso s’interroga sulla portata del punto 3 del dispositivo della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), ai termini del quale «[l’]articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ove un contratto concluso tra un professionista ed un consumatore non può rimanere in vigore dopo l’eliminazione di una clausola abusiva, tale disposizione non osta ad una regola di diritto nazionale che permette al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva».

60.      Occorre sottolineare che, in tale sentenza, la Corte ha rammentato la sua giurisprudenza (14) secondo cui, in linea di principio, non è consentito al giudice, segnatamente ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, integrare una clausola contrattuale abusiva rivedendone il contenuto. I giudici chiamati a pronunciarsi sono tenuti unicamente ad escludere l’applicazione di una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti dei consumatori.

61.      Il contratto deve quindi continuare a sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile.

62.      Orbene, oltre al fatto che esistono situazioni in cui la conservazione del contratto non è giuridicamente possibile, esistono casi in cui l’annullamento del contratto si rivela controproducente dal punto di vista della finalità dissuasiva perseguita dalla direttiva 93/13.

63.      Proprio per tale motivo la Corte ha reso più flessibile la norma nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282). Nella fattispecie, si trattava di un contratto la cui esecuzione diventava impossibile senza le clausole contrattuali invalide – o senza la loro sostituzione con disposizioni legislative o regolamentari.

64.      Come emerge dal punto 85 della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), la soluzione accolta dalla Corte rispondeva all’intento della stessa di tutelare il consumatore dalle conseguenze negative di un annullamento del contratto consentendo l’applicazione di una norma nazionale in forza della quale era possibile sostituire alle clausole invalide di un contratto di credito al consumo una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva.

65.      Nell’approccio seguito, la Corte si è mostrata attenta a rammentare la finalità di ripristinare un reale equilibrio fra le parti, il che, in particolare, comporta certamente di tenere conto degli interessi del consumatore, ma senza che ciò si possa tradurre nello stravolgimento dell’equilibrio contrattuale o nell’annullamento del contratto (15).

66.      Da un’attenta lettura della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), si evince chiaramente che il principio secondo il quale il contratto deve di norma continuare a sussistere – senza nessun’altra modifica oltre a quelle derivanti dall’eliminazione delle clausole dichiarate abusive – è sempre valido.

67.      L’eccezione a tale principio sancita dalla sentenza in parola, che apre alla possibilità che il giudice ponga rimedio, mediante una norma di diritto nazionale, alla nullità della clausola sostituendola con una disposizione di natura suppletiva, è, stando agli stessi termini di detta sentenza, subordinata alla sussistenza di determinate condizioni. In primo luogo, tale sostituzione deve consentire di sfociare «in un risultato tale che il contratto può [continuare a] sussistere malgrado la rimozione della clausola [abusiva]» e «continua ad essere coercitivo per le parti» (16). In secondo luogo, nel caso in cui il giudice sia obbligato ad annullare il contratto nel suo insieme, detta sostituzione deve sortire l’effetto di evitare che il consumatore sia esposto a «conseguenze particolarmente dannose talché il carattere dissuasivo risultante dall’annullamento del contratto rischierebbe di essere compromesso» (17).

68.      Orbene, nella fattispecie, la questione posta dal giudice del rinvio si fonda sulla premessa che sembra economicamente più vantaggioso per il consumatore che il giudice annulli il contratto nella sua interezza invece di mantenerlo in vigore dopo averne eliminato tutte le clausole. Essa deriva quindi da una lettura distorta ed erronea del punto 3 della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282).

69.      Come evidenziato dalla Corte nella sentenza in parola, l’annullamento del contratto nel suo insieme ha in via di principio per conseguenza di rendere immediatamente esigibile l’importo residuo dovuto a titolo del prestito in proporzioni che potrebbero eccedere le capacità finanziarie del consumatore e, pertanto, tende a penalizzare quest’ultimo piuttosto che il mutuante il quale non sarebbe di conseguenza dissuaso dall’inserire siffatte clausole nei contratti da esso proposti (18).

70.      Si deve pertanto concludere che, nel caso di specie, il giudice del rinvio cerca di usare la sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), per giustificare una soluzione contraria a quella adottata nella sentenza medesima, vale a dire l’annullamento integrale del contratto.

71.      Ad un più attento esame, sembra che ciò che il giudice del rinvio trova dannoso per il consumatore sia il fatto che, in caso di mantenimento della validità del contratto tramite l’applicazione da parte del giudice nazionale adito di disposizioni legislative di natura suppletiva, le perdite generate dal rischio di cambio continuerebbero a gravare sul consumatore.

72.      Tale punto di vista è tuttavia riduttivo e non tiene conto del complesso degli interessi economici dei consumatori. Infatti, gli oneri ascrivibili al rischio di cambio non possono essere considerati in modo isolato, poiché i vantaggi e gli svantaggi economici che derivano dall’intero contratto possono essere analizzati soltanto alla luce dell’insieme delle circostanze che ne accompagnano la conclusione.

73.      Su tale aspetto, ritengo importante ricordare che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale – e, pertanto, la questione se una clausola del genere determini a danno del consumatore un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 –, deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione, tenendo conto dell’insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull’ulteriore esecuzione di detto contratto (19). Tale valutazione non può in nessun caso dipendere dal sopraggiungere di eventi successivi alla conclusione del contratto che sono indipendenti dalla volontà delle parti, come può essere la variazione del tasso di cambio (20).

74.      Inoltre, quand’anche si potesse validamente sostenere – quod non – che l’annullamento integrale del contratto di mutuo controverso può, alla luce dell’eliminazione del rischio di cambio che esso comporterebbe, essere favorevole agli interessi economici dei consumatori, occorre rammentare che tale circostanza non è di per sé determinante né può giustificare, agli asseriti fini di garantire l’effettività della tutela conferita dalla direttiva 93/13, l’annullamento del contratto di prestito nel suo complesso.

75.      Come la Corte ha già avuto l’occasione di sottolineare, la finalità perseguita dal legislatore dell’Unione attraverso la direttiva 93/13 consiste nel ripristinare l’equilibrio tra le parti, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso, e non nell’annullamento di qualsiasi contratto contenente clausole abusive.

76.      Con riferimento ai criteri che consentono di valutare se un contratto possa effettivamente continuare a sussistere in assenza delle clausole abusive, va rilevato che sia il tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 sia le esigenze riconducibili alla certezza del diritto delle attività economiche depongono a favore di un approccio obiettivo in sede di interpretazione di detta disposizione, sicché la posizione di una delle parti del contratto, nella fattispecie il consumatore, non può essere presa in considerazione quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto.

77.      Di conseguenza, la direttiva 93/13 non può essere interpretata nel senso che, nel valutare se un contratto contenente una o diverse clausole abusive possa continuare a sussistere in assenza di dette clausole, il giudice adito può basarsi unicamente sull’eventuale vantaggio, per il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso (21).

78.      Pur se la direttiva 93/13, che avvia solo un’armonizzazione minima, non osta a che uno Stato membro preveda, nel rispetto del diritto dell’Unione, che un contratto concluso con un consumatore da un professionista e contenente una o più clausole abusive sia nullo nel suo insieme qualora ciò garantisca una migliore tutela del consumatore, si deve rilevare che la normativa ungherese del 2014 sui mutui in valuta estera non prevede l’annullamento dei contratti interessati, ma la loro conservazione seguendo un orientamento conforme all’interpretazione accolta nella giurisprudenza della Corte.

79.      A tal proposito, va sottolineato che la facoltà del giudice nazionale di sostituire clausole dev’essere circoscritta, per non compromettere l’obiettivo di lungo termine, rammentato all’articolo 7 della direttiva 93/13, consistente nel dissuadere i professionisti dall’inserire clausole abusive nei contratti (22).

80.      Orbene, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive, tale facoltà potrebbe compromettere la realizzazione di detto obiettivo. Infatti tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole, consapevoli che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (23).

81.      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione pregiudiziale che la direttiva 93/13 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una disposizione di diritto nazionale la quale, in caso di invalidità parziale di un contratto concluso con un consumatore derivante dal carattere abusivo di una delle sue clausole, sia volta, in linea di principio, a mantenere valido il contratto senza la clausola abusiva. Il giudice adito non può quindi porre rimedio all’invalidità di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore per il solo motivo che preservare il contratto sarebbe asseritamente contrario agli interessi economici del consumatore.

 Sulla seconda questione

82.      Risulta che la seconda questione debba essere intesa come diretta, in sostanza, a stabilire se l’adozione della normativa ungherese del 2014, che modifica per via legislativa talune clausole contrattuali, sia compatibile con le disposizioni della direttiva 93/13.

83.      A tal proposito, sulla scia delle precedenti considerazioni, è sufficiente rammentare che, poiché l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 è inteso, segnatamente in nome della certezza del diritto, a mantenere in essere i contratti di credito al consumo laddove, eliminate le clausole abusive, ciò sia ancora giuridicamente possibile, nulla dovrebbe ostare – anzi – a che il giudice dichiari invalide determinate clausole abusive senza tuttavia annullare i contratti interessati.

84.      Nella stessa ottica, nulla dovrebbe ostare a che il legislatore renda nulle talune clausole abusive mediante leggi dirette a far cessare pratiche bancarie sleali molto diffuse, senza tuttavia annullare i contratti interessati.

85.      Nella fattispecie, risulta che il legislatore ungherese, mediante l’adozione delle leggi da DH 1 a DH 3, ha deciso di definire un quadro normativo finalizzato alla soppressione delle clausole contrattuali abusive nei contratti di credito in valuta estera, contratti il cui utilizzo era ampiamente diffuso in Ungheria e che sono stati oggetto di numerose controversie dinanzi agli organi giurisdizionali ungheresi.

86.      Tale iniziativa rientra fra le misure che gli Stati membri possono adottare, come raccomandato dall’articolo 7, paragrafo 1 della direttiva 93/13, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati da un professionista con i consumatori(24).

87.      Resta da stabilire se tali disposizioni di diritto nazionale disattendano il principio di effettività, vale a dire se le stesse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dal diritto dell’Unione.

88.      A tale riguardo, va rilevato che la legge DH 1 è stata adottata affinché i principi sanciti nella decisione n. 2/2014 PJE non fossero vincolanti solo per gli organi giurisdizionali ma potessero essere anche direttamente applicabili (25). In tale contesto, e come risulta dal punto 4 dell’esposizione dei motivi (26) della legge DH 1, il legislatore ha inteso tenere conto della giurisprudenza della Corte, e segnatamente del punto 3 del dispositivo della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282).

89.      Dal testo della legge DH 1 emerge che la stessa verte unicamente sulle conseguenze dell’applicazione di diversi tassi di cambio al complesso delle obbligazioni di pagamento relative al contratto di mutuo gravanti sui consumatori nonché all’erogazione dei fondi. La disposizione di legge produce effetti giuridici esclusivamente in riferimento a tale clausola abusiva, sicché essa non priva in alcun modo il consumatore della facoltà di invocare la nullità di una clausola derivante dal suo carattere asseritamente abusivo per altre ragioni. Ciò avverrebbe anche qualora la clausola concernesse gli stessi elementi posti a carico del consumatore, diversi dall’applicazione di distinti tassi di cambio, ma per altri motivi, purché adducibili in base alla definizione di cui all’articolo 3 della direttiva 93/13.

90.      Del resto, il fatto che le disposizioni che definiscono il rischio di cambio non possano essere oggetto di un esame del loro carattere abusivo è indipendente dall’adozione di tale legge e dalle decisioni della Kúria (Corte suprema), emanate ai fini un’uniforme interpretazione, che l’hanno preceduta. L’impedimento a un esame di tal genere si deve alla circostanza che siffatte clausole rientrano nella nozione di oggetto principale del contratto, di cui non è possibile, in linea di principio, valutare il carattere abusivo, salvo il caso che le stesse non siano state redatte in modo chiaro e comprensibile (27).

91.      Quanto alle leggi DH 2 e DH 3, neppure esse vertono sulle clausole che definiscono il rischio di cambio.

92.      Per quanto concerne la legge DH 2, essa contiene norme tecniche dettagliate in raccordo con la legge DH 1, preordinate a rendere trasparente il rendiconto tanto per i consumatori quanto per le banche. Tale legge definisce le norme generali civilistiche in materia di rendiconto; la regolamentazione nel dettaglio è disciplinata in un atto gerarchicamente inferiore, ossia un regolamento MNB (regolamento della Banca nazionale di Ungheria).

93.      Riguardo alla legge DH 3, che chiude la serie di provvedimenti legislativi relativi ai crediti in valuta estera, essa impone la conversione in HUF del saldo dei crediti denominati in valuta estera eliminando in tal senso il rischio di cambio posto unilateralmente a carico dei mutuatari nei contratti di mutuo ipotecario stipulati con i privati. La legge sulla conversione definisce le modalità tecnico-giuridiche della conversione in HUF, quelle procedurali, le relative condizioni e la trasformazione dei contratti di credito stipulati con consumatori interessati dalla conversione in HUF.

94.      È vero che la legge sulla conversione parte dalla constatazione effettuata con la decisione n. 2/2014 PJE secondo cui, in caso di contratti validi, il rischio di cambio incombe sul mutuatario e il carattere abusivo di tali condizioni non può essere contestato in sede giurisdizionale, ad eccezione dei casi e alla luce dei criteri previsti nella decisione di uniformizzazione.

95.      La legge, quindi, cerca di limitare per il futuro la fluttuazione dei tassi di cambio e di minimizzarne gli effetti indipendentemente da tale elemento e in modo complementare.

96.      In altri termini, la logica sottesa alla legge è proprio quella di fornire un ausilio ai consumatori mediante un intervento legislativo per permettere loro di rimborsare i loro prestiti, nonostante l’articolo 4, paragrafo 2 della direttiva 93/13 non consenta di esaminare il carattere abusivo di una clausola relativa al rischio di cambio come un elemento essenziale della definizione dell’oggetto principale del contratto.

97.      Concludendo, sono del parere che le disposizioni della direttiva 93/13 non ostino all’adozione di disposizioni nazionali come quelle di cui al procedimento principale, nei limiti in cui tali disposizioni, nell’interesse della chiarezza e della certezza del diritto, sono finalizzate a trarre le conseguenze dagli orientamenti interpretativi della Corte.

98.      Propongo quindi di rispondere alla seconda questione che la direttiva 93/13 non osta a che uno Stato membro modifichi per via legislativa, ai fini della certezza del diritto e della tutela dei consumatori, talune clausole contrattuali abusive nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori, nei limiti in cui tali modifiche non pregiudichino l’effettività della tutela conferita dalla direttiva medesima.

 Sulla terza questione

99.      Con la terza questione, suddivisa in due parti, il giudice del rinvio chiede in sostanza se sia conforme al diritto dell’Unione che la Kúria (Corte suprema) emani decisioni ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme giuridiche che siano vincolanti per gli organi giurisdizionali in materia di tutela dei consumatori.

100. In caso di risposta affermativa, esso chiede se la stessa conclusione sia valida qualora la nomina dei giudici membri del Consiglio responsabile per l’uniformità non sia effettuata in modo trasparente, secondo regole predeterminate, il procedimento dinanzi al suddetto Consiglio non sia pubblico e non sia possibile conoscere a posteriori il procedimento seguito, e segnatamente gli elementi tecnici e le opere di dottrina utilizzati, né il voto dei singoli membri (opinione conforme o dissenziente).

101. A mio avviso, e come rilevato dalla Commissione europea, ci si può legittimamente domandare se tale questione sia utile a dirimere la controversia.

102. Mi pare in effetti che gli interrogativi sollevati dal giudice del rinvio, quali espressi con la terza questione, riflettano preoccupazioni di carattere generale riferite all’organizzazione giurisdizionale in Ungheria e, più specificamente, al cosiddetto procedimento di uniformizzazione ungherese e alle conseguenze che potrebbero comportare le decisioni vincolanti adottate dalla Kúria (Corte suprema) in tale contesto (28).

103. Tale aspetto mi sembra possa riguardare solo alla lontana la controversia di cui al procedimento principale, quale pendente dinanzi al giudice del rinvio, e la specifica problematica delle conseguenze che possono e debbono essere tratte dal giudice adito dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore.

104. Occorre sottolineare che l’ambito di applicazione della direttiva 93/13 non si estende ai procedimenti e agli strumenti giuridici degli Stati membri posti in essere ai fini di organizzare i propri sistemi giurisdizionali e di garantire l’uniformità della loro giurisprudenza nazionale.

105. Tali preoccupazioni mi appaiono, del resto, scollegate dai requisiti per una tutela giurisdizionale effettiva, di cui segnatamente all’articolo 19, paragrafo 1, TUE, che richiede agli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari e i procedimenti che garantiscano un controllo giurisdizionale effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione (29).

106. Inoltre, è lecito interrogarsi sull’utilità, nel caso di specie, di denunciare il sistema ungherese di decisioni interpretative vincolanti, in quanto risulta che, in definitiva, sono le leggi da DH 1 a DH 3 ad essere eventualmente problematiche alla luce della tutela conferita dalla direttiva 93/13 nei confronti delle clausole abusive.

107. È difficile, dalla sola lettura della decisione di rinvio, cogliere quale sia il nesso tra l’organizzazione di tale sistema di decisioni interpretative vincolanti, da un lato, e la competenza e i principi fondamentali del diritto dell’Unione che vi sono menzionati, dall’altro.

108. Si può tutt’al più intendere la questione posta dal giudice del rinvio come diretta ad appurare se le decisioni vincolanti adottate dalla Kúria (Corte suprema) nell’ambito del sistema volto ad uniformare il diritto rischino, nel caso di specie, di obbligarlo ad agire in violazione, segnatamente, della direttiva 93/13 e del principio di tutela giurisdizionale effettiva.

109. Nel caso in esame, affinché la Corte possa pronunciarsi su questioni relative a siffatte procedure, occorre accertare che le stesse siano idonee ad impedire ai giudici nazionali di svolgere il loro ruolo nell’applicazione del diritto dell’Unione.

110. Tale circostanza potrebbe ad esempio verificarsi qualora fosse accertato che le norme organizzative o procedimentali controverse non consentano ai giudici di trarre tutte le conseguenze dall’accertamento del carattere abusivo di talune clausole o, ancora, pregiudichino la possibilità degli stessi di investire la Corte, in forza della facoltà riconosciuta loro all’articolo 267 TFUE, di una domanda di pronuncia pregiudiziale (30).

111. Orbene, rilevo che, sebbene le decisioni di uniformizzazione adottate dalla Kúria (Corte suprema) assumano un carattere vincolante nei confronti degli organi giurisdizionali ungheresi, esse non impediscono affatto a questi ultimi di esaminare la conformità dei contratti su cui sono chiamati a pronunciarsi rispetto al diritto dell’Unione né di emettere, all’occorrenza, una decisione conforme a tale diritto discostandosi dalla decisione volta ad uniformare il diritto in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione.

112. Allo stesso modo, e come conferma il presente procedimento, nulla impedisce agli organi giurisdizionali di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE per chiedere l’interpretazione delle disposizioni applicabili del diritto dell’Unione. Qualora la Corte giungesse a una conclusione contraria a quella accolta nella decisione di uniformizzazione del diritto, potrebbe essere proposta un’impugnazione al fine di garantire per il futuro un’applicazione del diritto conforme al diritto dell’Unione.

113. Tale conclusione mi sembra perfettamente in linea con le precisazioni recentemente fornite dalla Corte nella sua sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés (C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643) (31) in riferimento alla giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna). Con tale sentenza, la Corte ha confermato che non si può escludere che, nel loro ruolo di armonizzazione nell’interpretazione del diritto e in nome della certezza del diritto, i giudici supremi di uno Stato membro, come il Tribunal Supremo (Corte suprema), possano, nel rispetto della direttiva 93/13, elaborare taluni criteri alla luce dei quali i giudici di grado inferiore devono esaminare il carattere abusivo delle clausole contrattuali.

114. Tutto ciò premesso, si propone di rispondere alla terza questione che la competenza accordata all’Unione allo scopo di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori nonché i diritti a un ricorso giurisdizionale effettivo e a un equo processo non ostano alle decisioni di uniformizzazione applicabili al procedimento principale, emanate ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme.

 Conclusione

115. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Budai Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Buda, Ungheria) nel seguente modo:

1)      La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una disposizione di diritto nazionale la quale, in caso di invalidità parziale di un contratto concluso con un consumatore derivante dal carattere abusivo di una delle sue clausole, sia volta, in linea di principio, a mantenere valido il contratto senza la clausola abusiva. Il giudice adito non può quindi porre rimedio all’invalidità di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore per il solo motivo che preservare il contratto sarebbe asseritamente contrario agli interessi economici del consumatore.

2)      La direttiva 93/13 non osta a che uno Stato membro modifichi per via legislativa, ai fini della certezza del diritto e della tutela dei consumatori, talune clausole contrattuali abusive nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori, nei limiti in cui tali modifiche non pregiudichino l’effettività della tutela conferita dalla direttiva medesima.

3)      La competenza accordata all’Unione europea allo scopo di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori nonché i diritti a un ricorso giurisdizionale effettivo e a un equo processo non ostano alle decisioni di uniformizzazione applicabili alla causa di cui al procedimento principale, emanate ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 (GU 2011, L 304, pag. 64) (in prosieguo: la «direttiva 93/13»).


3      Si tratta in particolare delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282); del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703); del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367), e, infine, del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750).


4      Mi riferisco, in particolare, alle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367), e, in ultimo luogo, del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750), che mettono specificamente in discussione la normativa ungherese adottata nel 2014.


5      V., segnatamente, sentenze del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank (C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 28 e giurisprudenza citata), e del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 71 e giurisprudenza citata).


6      Magyar Közlöny 2014/91., pag. 10975.


7      V., segnatamente, a tal riguardo, le mie conclusioni nella causa Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:9, paragrafi 52 e 53).


8      V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:85, paragrafi da 60 a 65). Va rilevato che, nella sua decisione n. 2/2014 PJE, la Kúria (Corte suprema) ha stabilito che «la clausola contenuta in un contratto di mutuo espresso in valuta estera stipulato con un consumatore in forza della quale il consumatore sopporta senza alcun limite il rischio di cambio, come contropartita di un tasso d’interesse più favorevole, rientra tra le clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto e di cui non è possibile, in linea di principio, valutare il carattere abusivo. Il carattere abusivo di una clausola del genere può essere valutato e ravvisato solo se, al momento della conclusione del contratto, il suo contenuto non era né chiaro né comprensibile per un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenuto conto della formulazione del contratto e delle informazioni ricevute dall’istituto di credito. Una clausola relativa al rischio di credito è abusiva, sicché il contratto sarà di conseguenza interamente o parzialmente privo di validità, se il consumatore, a causa delle informazioni insufficienti o fornite tardivamente, poteva legittimamente credere nell’assenza di un reale rischio di cambio o che quest’ultimo avrebbe gravato solo limitatamente su di esso».


9      V. sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 41).


10      V. sentenza del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 55).


11      V. sentenza del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 45).


12      V. sentenza del 31 maggio 2018, Sziber (C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 44).


13      V. sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 83).


14      V. giurisprudenza citata alla nota 5 delle presenti conclusioni.


15      V., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 46 e giurisprudenza citata).


16      Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 81).


17      Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 83).


18      V. sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 84).


19      V. sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 58).


20      V. conclusioni da me presentate nella causa Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:313, paragrafi 85 e 86).


21      V., segnatamente, sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punti da 31 a 33).


22      V., segnatamente, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 79 e 84). V., in particolare, sulla possibilità di limitare nel tempo gli effetti restitutori derivanti dalla dichiarazione giudiziale del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato con un consumatore solo alle somme indebitamente versate in applicazione di tale clausola successivamente alla pronuncia della decisione giudiziale, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti da 63 a 73).


23      V. sentenza del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank (C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 31).


24      V., segnatamente, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 78 e giurisprudenza citata).


25      V. punto 1 dell’esposizione dei motivi, ai sensi del quale «[l]a legge conferisce un carattere generale e universalmente vincolante all’interpretazione del diritto effettuata dalla Kúria (Corte suprema). La legge non sancisce nuove norme di diritto materiale né definisce nuovi principi applicabili ai contratti di credito, mutuo e leasing finanziario, limitandosi a codificare l’interpretazione del diritto effettuata dalla Kúria. Ciò consente a un gran numero di consumatori di evitare di avviare processi lunghi e costosi che inoltre sovraccaricherebbero il sistema giudiziario».


26      Tale punto precisa segnatamente che «[i]n sede di determinazione delle conseguenze giuridiche da trarsi dalla decisione n. 2/2014 PJE della Kúria (Corte suprema), la legge ha tenuto conto delle disposizioni del diritto dell’Unione, e più specificamente di quelle della direttiva 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. La legge ha tenuto in considerazione la giurisprudenza della Corte, autorizzata a interpretare la direttiva 93/13, e segnatamente i principi sanciti nelle sentenze [del 14 giugno 2012,] Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349), e [del 30 aprile 2014,] Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282). Conformemente alla giurisprudenza della Corte, la legge mira a preservare la validità dei contratti stipulati eliminando le clausole abusive. Tale approccio è parimenti conforme a uno dei principi generali del diritto civile, il principio pacta sunt servanda (forza obbligatoria dei contratti). La legge si limita a modificare il contenuto dei contratti esistenti nella misura di quanto necessario per evitare che gli stessi non possano continuare a sussistere senza le clausole abusive. Ciò determinerebbe infatti la nullità integrale del contratto, il che sarebbe contrario anche agli interessi dei mutuatari. Per tale ragione, è nel contesto di un’invalidità parziale che la legge stabilisce le disposizioni di natura suppletiva che diventano parte integrante dei contratti sostituendosi alle clausole abusive».


27      V. posizione della Kúria (Corte suprema) sul punto, citata alla nota 8 supra.


28      Va rilevato che l’eventuale «ingerenza» che comporterebbe il sistema per l’uniformità interpretativa nell’attività giurisdizionale dei giudici chiamati a pronunciarsi è stata menzionata, come ha sottolineato il giudice del rinvio, nel parere adottato dalla Commissione di Venezia. V. capitolo VI.5 della relazione accessibile al seguente indirizzo Internet: http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD%282012%29001-e.


29      V., ad esempio, sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 34).


30      V., segnatamente, sentenze del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punti da 24 a 32), e del 5 aprile 2016, PFE (C‑689/13, EU:C:2016:199, punti 34 e da 38 a 41).


31      V. anche le mie conclusioni nelle cause riunite Banco Santander e Escobedo Cortés (C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:216).