Language of document : ECLI:EU:C:2013:301

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 15 maggio 2013 (1)

Causa C‑184/12

United Antwerp Maritime Agencies (Unamar) NV

contro

Navigation Maritime Bulgare

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hof van Cassatie (Belgio)]

«Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Principio dell’autonomia della volontà – Limiti – Interferenza di disposizioni imperative del foro – Contratto di agenzia commerciale»





I –    Introduzione

1.        La presente causa verte sull’interpretazione dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 2, della convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (2) (in prosieguo: la «Convenzione di Roma»), in combinato disposto con la direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (3).

2.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dallo Hof van Cassatie (Corte di cassazione), s’inserisce nel quadro di una controversia che oppone l’United Antwerp Maritime Agencies (Unamar) NV (in prosieguo: l’«Unamar»), una società di diritto belga, alla Navigation Maritime Bulgare (in prosieguo: la «NMB»), una società di diritto bulgaro, e che verte sul pagamento di varie indennità asseritamente dovute a seguito del recesso da parte della NMB da un contratto di agenzia commerciale che legava, fino a quel momento, dette due società. Nell’ambito del procedimento giudiziario che ne è seguito si è posta, in particolare, la questione della possibilità per il giudice belga di applicare al contratto le norme imperative della lex fori benché esistesse una clausola arbitrale che nominava la Camera di commercio e dell’industria di Sofia (Bulgaria) e assoggettava espressamente il contratto al diritto bulgaro.

3.        Più specificamente, si chiede alla Corte di precisare a quali condizioni il giudice nazionale possa disapplicare, in virtù dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, le disposizioni pertinenti della legge di uno Stato membro applicabile al contratto in forza della scelta delle parti (lex contractus) a favore delle norme imperative della lex fori. Essa è chiamata, più precisamente, a fornire indicazioni al fine di stabilire se la legge di uno Stato membro dell’Unione europea, che, pur costituendo la corretta trasposizione di una direttiva europea, va oltre la protezione offerta da quest’ultima, possa imporre una siffatta e più estesa protezione quando la lex contractus è il diritto di un altro Stato membro dell’Unione che ha anch’esso, correttamente, trasposto la direttiva in parola.

II – Contesto normativo

A –    La Convenzione di Roma

4.        L’articolo 3 della convenzione in parola, intitolato «Libertà di scelta», così recita:

«1.       Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta dev’essere espressa, o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso.

(...)».

5.        L’articolo 7, paragrafo 2, della suddetta convenzione, recante il titolo «Disposizioni imperative e legge del contratto», stabilisce che «[l]a presente convenzione non può impedire l’applicazione delle norme in vigore nel paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto indipendentemente dalla legge che regola il contratto».

B –    La direttiva 86/653

6.        Ai sensi del suo considerando 2, la direttiva 86/653 è stata adottata tenuto conto del fatto che «le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all’interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l’esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle loro relazioni con il loro preponente, nonché la sicurezza delle operazioni commerciali (...)».

7.        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva de qua, stabilisce quanto segue:

«Ai sensi della presente direttiva per “agente commerciale” si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata “preponente”, la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente».

8.        L’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi dispone quanto segue:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire all’agente commerciale, dopo l’estinzione del contratto, un’indennità in applicazione del paragrafo 2 o la riparazione del danno subito in applicazione del paragrafo 3».

C –    Il diritto belga

9.        La legge del 13 aprile 1995 relativa al contratto di agenzia commerciale (4) (in prosieguo: la «legge del 1995») stabilisce, al suo articolo 1, in particolare che «[il] contratto di agenzia commerciale è il contratto con il quale una delle parti, l’agente commerciale, è incaricato in maniera permanente dall’altra parte, il preponente, di negoziare ed eventualmente concludere affari a nome e per conto del preponente, verso retribuzione e senza vincolo di subordinazione nei confronti di quest’ultimo».

10.      L’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della legge del 1995 ha il seguente tenore:

«1.      Se il contratto di agenzia è stipulato a durata indeterminata o con una durata determinata con possibilità di recesso anticipato, ognuna delle parti ha il diritto di recedere osservando un termine di preavviso.

(...)

3.      La parte che recede anticipatamente senza far valere uno dei motivi di cui all’articolo 19, primo comma, o senza osservare il termine di preavviso di cui al paragrafo 1, secondo comma, deve corrispondere alla controparte un’indennità pari alla remunerazione percepita corrispondente o alla durata del termine di preavviso o alla parte residua di detto termine».

11.      L’articolo 20 della legge del 1995 dispone quanto segue:

«Dopo l’estinzione del contratto l’agente commerciale ha diritto ad un’indennità di fine rapporto quando abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e detta attività debba ancora apportare sostanziali vantaggi al preponente».

12.      L’articolo 21 della legge del 1995 dispone quanto segue:

«Nei limiti in cui l’agente commerciale abbia diritto all’indennità di fine rapporto ai sensi dell’articolo 20 e l’importo di detta indennità non risarcisce completamente il danno effettivamente subito, l’agente commerciale, sempre che provi l’entità reale del danno lamentato, può ottenere, oltre a detta indennità, un risarcimento pari alla differenza tra l’importo del danno effettivamente subito e l’importo di detta indennità».

13.      Ai sensi dell’articolo 27 della legge del 1995:

«Fatta salva l’applicazione delle convenzioni internazionali di cui il Belgio è parte, ogni attività di un agente commerciale che abbia la sede principale in Belgio è assoggettata alla legge belga e rientra nella competenza giurisdizionale dei tribunali belgi».

III – Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

14.      L’Unamar e la NMB hanno stipulato nel 2005 un contratto di agenzia commerciale per la gestione di un servizio di trasporto marittimo di linea a mezzo container di proprietà della NMB. Il contratto prevedeva che quest’ultimo fosse disciplinato dal diritto bulgaro e che ogni controversia vertente su di esso sarebbe stata sottoposta alla camera arbitrale istituita presso la Camera di commercio e dell’industria di Sofia.

15.      Con un contratto del 22 dicembre 2008 il suddetto contratto di agenzia commerciale è stato prorogato un’ultima volta sino al 31 marzo 2009. L’Unamar ha quindi ritenuto che il contratto fosse stato risolto illegittimamente e ha presentato, il 25 febbraio 2009, un’azione dinanzi al Rechtbank van koophandel te Antwerpen (Tribunale commerciale di Anversa) per ottenere il pagamento di una serie di indennità previste dalla legge del 1995.

16.      Il 13 marzo 2009 la NMB ha, a sua volta, convenuto l’Unamar dinanzi al Rechtbank van koophandel te Antwerpen, per ottenere il pagamento di arretrati dovuti a titolo di noleggio per EUR 327 207,87.

17.      Dopo aver riunito le due cause il Rechtbank van koophandel te Antwerpen, con sentenza del 12 maggio 2009, ha dichiarato infondata l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla NMB sulla base dell’esistenza di una clausola compromissoria. Il tribunale de quo ha essenzialmente ritenuto, in primo luogo, che l’articolo 27 della legge del 1995 fosse un criterio di collegamento unilaterale immediatamente applicabile, il che privava di efficacia la scelta di un diritto straniero; in secondo luogo, che detta legge, pur non rientrando nelle disposizioni di ordine pubblico internazionale belga, doveva essere applicata; in terzo luogo, che le controversie rientranti nell’ambito di applicazione della suddetta legge non potevano pertanto essere devolute ad arbitrato a meno che il diritto belga o un diritto straniero equivalente non fosse stato dichiarato applicabile nel contratto di agenzia, e, infine, che l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla NMB era destituita di fondamento in quanto il contratto controverso era stato assoggettato al diritto bulgaro e non risultava che le norme contenute nella direttiva 86/653 fossero, in forza di tale diritto, applicabili anche agli agenti commerciali che avevano stipulato contratti di fornitura di servizi.

18.      Il 24 giugno 2009 la NMB ha proposto appello contro detta decisione dinanzi allo Hof van beroep te Antwerpen (Corte d’appello di Anversa). Con sentenza del 23 dicembre 2010 detto giudice ha condannato l’Unamar al pagamento del saldo dei noleggi per un importo di EUR 77 207,87 maggiorato di interessi di mora e spese. Lo Hof van beroep te Antwerpen ha inoltre dichiarato fondata l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla NMB e ha negato la propria competenza a statuire sulla domanda di pagamento delle indennità proposta dall’Unamar. Secondo detto giudice, la legge del 1995 non è una legge di ordine pubblico e non rientra neppure nell’ordine pubblico internazionale belga. Detto giudice ha altresì ritenuto che, in virtù dell’articolo 7 della Convenzione di Roma, le disposizioni imperative speciali della legge in parola non dovevano trovare applicazione. A suo avviso anche il diritto bulgaro scelto dalle parti offriva all’Unamar, quale agente marittimo della NMB, la protezione minima prevista dalla direttiva 86/653. In tali circostanze l’autonomia della volontà delle parti doveva prevalere sul diritto di un altro Stato membro dell’Unione, nel caso di specie quello del Regno del Belgio.

19.      Il 27 maggio 2011 l’Unamar ha presentato ricorso in cassazione avverso la suddetta sentenza dinanzi allo Hof van Cassatie, il quale ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, (...) in considerazione della qualificazione ai sensi del diritto belga degli articoli di cui trattasi 18, 20 e 21 della legge del [1995], come disposizioni imperative ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, l’articolo 3 e l’articolo 7, paragrafo 2, della [Convenzione de qua], eventualmente in combinato disposto con la direttiva [86/653], debbano essere interpretati nel senso che essi consentono che le norme imperative in vigore nel paese del giudice che offrono una tutela più ampia della protezione minima imposta dalla direttiva [86/653] vengano applicate al contratto, anche se risulta che il diritto applicabile al contratto è il diritto di un altro Stato membro dell’Unione europea nel quale è stata parimenti attuata la protezione minima offerta dalla direttiva 86/653».

20.      Hanno presentato osservazioni scritte la NMB, il governo belga e la Commissione europea. Non è stata presentata alcuna domanda di trattazione orale.

IV – Analisi

A –    Considerazioni introduttive

21.      Prima di procedere con l’esame nel merito della questione pregiudiziale, desidero formulare alcune precisazioni che reputo necessarie per precisare l’oggetto della discussione e sgombrare il campo da potenziali dubbi quanto alla portata della domanda di pronuncia pregiudiziale esaminata.

22.      Osservo, infatti, che, mentre nel procedimento principale si è discusso non soltanto della legge applicabile al contratto, ma anche dell’effettiva competenza dei giudici belgi a conoscere della controversia che contrappone l’Unamar alla NMB, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi unicamente riguardo alla determinazione della legge applicabile in base alla Convenzione di Roma. Questa limitazione dell’oggetto della questione, per quanto sorprendente possa sembrare di primo acchito (5), non priva di per sé di rilevanza la domanda di pronuncia pregiudiziale qui in esame (6) poiché il problema della determinazione, in forza della Convenzione di Roma, della legge applicabile al contratto d’agenzia commerciale concluso tra l’Unamar e la NMB si trova al centro della controversia nel procedimento principale.

23.      Nel caso di specie, il problema della legge applicabile e quello della validità della clausola arbitrale che designa la Camera di commercio e dell’industria di Sofia sono strettamente connesse. Il giudice del rinvio ha difatti richiamato la convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, firmata a New York il 10 giugno 1958 (7), che prevede, al suo articolo II, paragrafo 3, che «[i]l tribunale di uno Stato contraente, cui sia sottoposta una controversia su una questione, per la quale le parti hanno conchiuso una convenzione secondo il presente articolo, rinvierà le medesime, a domanda d’una di esse, a un arbitrato, sempreché non riscontri che la detta covenzione sia caduca, inoperante o non sia suscettiva d’essere applicata» (8). Esso ne ha dedotto che il rigetto di una clausola arbitrale valida in base a una legge straniera può essere deciso in forza di una norma della lex fori dalla quale si possa evincere che la controversia non può essere devoluta ad arbitrato. Orbene, il giudice del rinvio precisa che dalla genesi della legge del 1995 risulterebbe che gli articoli 18, 20 e 21 di detta legge devono essere considerati norme imperative. Dal ragionamento da questi seguito emerge che sussiste uno stretto legame tra la determinazione della legge applicabile al contratto e la possibilità per il giudice di disapplicare la clausola arbitrale e di riconoscere, quindi, la propria competenza.

B –    Risposta alla questione pregiudiziale

24.      La Corte è essenzialmente chiamata a stabilire se la legge di uno Stato membro dell’Unione che traspone una direttiva dell’Unione offrendo la possibilità di accordare una protezione maggiore rispetto a quella ivi prevista, possa imporre, in virtù dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, detta più ampia protezione anche quando la lex contractus è il diritto di un altro Stato membro dell’Unione che ha anch’esso correttamente trasposto la direttiva di cui trattasi.

25.      Nel caso di specie, dagli elementi sottoposti alla Corte si evince che il Regno del Belgio e la Repubblica di Bulgaria hanno entrambi trasposto correttamente la direttiva 86/653. A differenza di quanto illustrato in relazione alla legge del 1995, ben poche informazioni sono state fornite in merito alle misure di trasposizione adottate dalla Bulgaria (9). Mi sembra tuttavia che le parti intervenienti concordino nell’indicare che la protezione offerta dalla normativa belga supera quella prevista dalla direttiva in parola, non soltanto poiché copre un ambito di applicazione più ampio, ma anche perché accorda all’agente commerciale, in caso di risoluzione di un contratto, il diritto, cumulativamente, all’indennità e al risarcimento del danno subito.

26.      Occorre quindi formulare alcune precisazioni circa le condizioni in presenza delle quali le norme della legge bulgara, che nella fattispecie è la lex contractus, possano essere disapplicate nel procedimento principale a favore delle norme imperative della legge del 1995.

27.      A tal fine, ritengo opportuno anzitutto operare alcune precisazioni sulla portata dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, letta alla luce degli insegnamenti che, a mio avviso, occorre trarre dalla giurisprudenza della Corte. Esaminerò, in un secondo tempo, se e in che misura l’armonizzazione delle legislzaioni nazionali in forza del diritto derivato dell’Unione possa incidere sull’attuazione di detta stessa disposizione.

1.      Portata dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza

28.      Occorre ricordare, in via preliminare, che in un caso come quello oggetto del procedimento principale, in cui le parti hanno manifestato la loro scelta di applicare al contratto una determinata legge secondo le condizioni stabilite all’articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione di Roma, si deve, in linea di massima, applicare tale legge in conformità del principio dell’autonomia della volontà delle parti enunciato all’interno di detto stesso articolo.

29.      Nel quadro del meccanismo di determinazione della legge applicabile previsto dalla Convenzione di Roma, il principio dell’autonomia della volontà delle parti può, tuttavia, essere limitato in due modi: da una parte, attraverso la previsione di regole specifiche per determinati contratti laddove risulti necessario proteggere la parte più debole (contratti conclusi dai consumatori, contratti di lavoro) – aspetto questo estraneo al caso di specie – e, dall’altra, per l’interferenza, in forza di principi tradizionalmente riconosciuti dal diritto privato internazionale, ma parimenti dagli ordinamenti degli Stati membri, di misure specifiche. Tra queste, figura l’intervento, conformemente al titolo (10) dell’articolo 7 della Convenzione di Roma, delle disposizioni imperative. Quest’ultimo intervento presenta caratteristiche diverse a seconda che si discuta di norme imperative di un altro paese con il quale la situazione presenta uno stretto legame (paragrafo 1) o, come nel caso di specie, di norme imperative della lex fori (paragrafo 2).

30.      Per quanto attiene alle norme imperative della lex fori, osservo che l’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, se comporta, da un punto di vista funzionale, che la norma imperativa della lex fori debba prevalere su tutte le altre disposizioni (11), non contiene tuttavia nessuna definizione concettuale della nozione di norma imperativa. La disposizione in parola si limita a stabilire, senza ulteriori condizioni, che non può essere impedita l’applicazione delle norme della lex fori «le quali disciplinano imperativamente il caso concreto indipendentemente dalla legge che regola il contratto». La relazione esplicativa di Giuliano Lagarde non offre indicazioni maggiori al riguardo (12).

31.      A mio avviso, da questi dati emerge che, conformemente ai principi generalmente riconosciuti dal diritto internazionale privato, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per decidere in quali ambiti e per quali ragioni occorra riconoscere a una disposizione della lex fori carattere imperativo idoneo a giustificare la disapplicazione delle norme pertinenti della legge scelta dalle parti. L’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma priva, in linea di principio, il giudice di ogni potere circa l’opportunità di applicare le norme imperative della lex fori qualora il contratto che gli è sottoposto, benché assoggettato a un’altra legge, rientri nell’ambito di applicazione stabilito dalle norme imperative stesse (13).

32.      Questa conclusione non viene rimessa in discussione dalla definizione di leggi di polizia data dalla Corte nella causa Arblade e a. (14) o nella causa Commissione/Lussemburgo (15), definizione che è stata in larga misura ripresa all’articolo 9 del regolamento Roma I, dal titolo «Norme di applicazione necessaria» (16), fermo restando che quest’ultima norma corrisponde, essenzialmente, all’articolo 7 della Convenzione di Roma.

33.      Ricordo che, nella sentenza Arblade e a., la Corte ha statuito che l’espressione «leggi di polizia e di sicurezza» doveva essere intesa come riferita «alle norme nazionali la cui osservanza è stata reputata cruciale per la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale o economica dello Stato membro interessato, al punto da imporne il rispetto a chiunque si trovi nel territorio nazionale di tale Stato membro o a qualunque rapporto giuridico localizzato nel suo territorio» (17). Nello stesso senso rilevo che nella causa Commissione/Lussemburgo la nozione di leggi di polizia e di sicurezza, elaborata nella succitata sentenza Arblade e a., è stata ripresa, e ciò nel quadro dell’esame dell’eccezione attinente all’ordine pubblico quale deroga al principio fondamentale della libera prestazione dei servizi (18).

34.      Pur ammettendo che la Corte abbia inteso sviluppare con le sentenze citate una nozione europea autonoma di norma imperativa, il che, nonostante i dubbi che possono essere stati manifestati al riguardo (19), mi sembra trovare conferma nella definizione di norma di applicazione necessaria ormai accolta nel regolamento Roma I, resta comunque il fatto che la qualificazione di una determinata norma nazionale come norma imperativa deve essere compiuta caso per caso in funzione dei motivi di interesse generale che ne hanno motivato l’adozione.

35.      Ritengo occorra, in ampia misura, rifarsi alla volontà del legislatore di attribuire carattere imperativo alle norme nazionali: si tratta di norme emanate dallo Stato con l’obiettivo, esplicito o meno, di tutelare interessi che esso reputa essenziali. In altre parole, gli Stati membri restano competenti a determinare in concreto quando siano colpiti interessi pubblici, intesi in senso ampio (20), che giustificano il riconoscimento di un carattere imperativo a determinate norme. Per qualificare una norma nazionale come norma imperativa, il giudice nazionale dovrà tener conto sia della lettera sia dell’economia generale dell’atto cui essa appartiene (21).

36.      Tuttavia, tenuto conto degli obblighi imposti agli Stati membri in forza del primato del diritto dell’Unione, la possibilità offerta alle autorità nazionali di disapplicare la lex contractus a favore della lex fori, in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, non è per questo illimitata.

37.      Ritengo, infatti, indispensabile ricordare che l’invocazione delle norme imperative della lex fori, in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, non può avere come risultato di sottrarre gli Stati membri dall’osservanza delle disposizioni del Trattato, pena la violazione dei principi di preminenza e di applicazione uniforme del diritto dell’Unione (22). In particolare, queste regole non devono arrivare a costituire un ostacolo ingiustificato ai diritti e alle libertà derivanti dai Trattati.

2.      Esame dell’impatto dell’armonizzazione delle legislazioni derivante dall’adozione della direttiva 86/653 sulla possibilità di applicare, in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, le norme imperative della lex fori

38.      Come ho già osservato nella sezione che precede, fermo restando il rispetto del principio del primato del diritto dell’Unione, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità nel determinare in quali settori e per quali motivi reputano di dover riconoscere a determinate norme un carattere imperativo che permette, in conformità dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, al giudice del foro di applicarle a prescindere dalla legge applicabile al contratto.

39.      Si pone tuttavia la questione se l’armonizzazione delle legislazioni operata in forza di una direttiva dell’Unione sia tale da incidere sull’efficacia delle norme imperative della lex fori rispetto alle leggi di altri Stati membri, qualora si tratti, come nel caso di specie, di norme nazionali adottate in vista della trasposizione della suddetta direttiva.

40.      Ritengo che la risposta da dare alla questione in esame non sia necessariamente la stessa a seconda che l’armonizzazione considerata sia minima o esaustiva.

41.      Nel caso in cui il coordinamento delle legislazioni nazionali risultante dalla direttiva realizzi una protezione minima, gli Stati membri possono decidere di mantenere o di adottare disposizioni più restrittive in materia (23). Le autorità nazionali, data l’ampia discrezionalità riconosciuta loro, possono quindi ampliare sia l’ambito di applicazione, sia il livello della protezione sancita dalla direttiva in parola al fine di tutelare interessi che esse reputano essenziali. In una situazione siffatta possono sussistere differenze significative tra le legislazioni nazionali adottate per trasporre la direttiva dell’Unione. A mio avviso, non dovrebbe essere escluso il riconoscimento del carattere imperativo alle norme nazionali che ampliano sia l’ambito di applicazione che il livello della protezione minima sancita dalla direttiva e che dette norme possano pertanto soppiantare, per effetto dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, le disposizioni della legge scelta dalle parti, e ciò quand’anche quest’ultima sia la legge di uno Stato membro che ha correttamente trasposto la direttiva. Ricordo, infatti, che la Convenzione di Roma lascia, a priori e fermo restando, ovviamente, il rispetto del primato del diritto dell’Unione, agli Stati membri un’ampia discrezionalità nel determinare le disposizioni del loro diritto interno che devono essere qualificate come imperative.

42.      Qualora, invece, una direttiva effettui un’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali, essa deve condurre all’adozione di legislazioni nazionali che sanciscono sia un ambito di applicazione che un livello di protezione, se non identico, quantomeno equivalente. Una siffatta armonizzazione comporta, per sua natura, che le situazioni sottoposte alla cognizione del giudice devono essere valutate unicamente alla luce dei criteri stabiliti dal legislatore dell’Unione (24). In un simile caso si deve quindi escludere che le norme imperative di uno Stato membro possano subentrare, in virtù dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, alle disposizioni di legge di un altro Stato membro.

43.      Peraltro, dal punto di vista dei principi riconosciuti dal diritto internazionale privato, si può presumere che la finalità di tutela della norma imperativa sia, in definitiva, soddisfatta dall’armonizzazione esaustiva derivante dalla direttiva dell’Unione. Infatti, come ho sottolineato supra, la possibilità per le autorità competenti di applicare le regole della lex fori, in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, letto segnatamente alla luce della succitata causa Arblade e a. e della definizione riportata all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento Roma I, è, in ampia misura, condizionata dalla volontà del legislatore nazionale di proteggere interessi che egli ritiene importanti. Orbene, nell’ipotesi di legislazioni nazionali volte a trasporre una direttiva di armonizzazione completa, gli interessi oggetto di tutela sono in un certo modo garantiti dall’armonizzazione delle legislazioni che ne deriva. In un simile caso la lex contractus non dovrebbe quindi, in via di principio, poter essere disapplicata a vantaggio della lex fori.

44.      Come illustrerò nel prosieguo, la direttiva 86/653 realizza un’armonizzazione minima (25) delle legislazioni nazionali degli Stati membri che esclude dal suo ambito di applicazione in particolare gli agenti commerciali indipendenti che operano nel settore della prestazione di servizi e garantisce agli agenti soltanto una protezione minima in caso di risoluzione del contratto di agenzia (a). Ne consegue che, nell’ipotesi in cui le disposizioni nazionali adottate dallo Stato membro del foro ai fini della trasposizione della direttiva in parola estendano l’ambito di applicazione e la protezione minima prevista da quest’ultima – caso questo che sembra corrispondere a quello oggetto del procedimento principale –, è possibile che esse trovino applicazione al posto della legge di un altro Stato membro scelta dalle parti del contratto (b).

a)      La direttiva 86/653 attua un’armonizzazione minima che, in primo luogo, esclude dal suo ambito di applicazione in particolare gli agenti commerciali che operano nel settore della prestazione di servizi e, in secondo luogo, riconosce una protezione minima agli agenti commerciali in caso di risoluzione del contratto

45.      Dalla decisione di rinvio così come dalle osservazioni presentate alla Corte si evince che il contratto di agenzia commerciale considerato nel procedimento principale è un contratto stipulato fra l’Unamar e la NMB relativamente a operazioni di trasporto marittimo mediante container di proprietà della NMB e anche ai fini di prestazioni di servizi. Dalla decisione di rinvio risulta inoltre che nel procedimento principale vi è la risoluzione di un contratto di agenzia che legava queste due società e la successiva azione dell’Unamar volta a ottenere il riconoscimento delle indennità previste dalla legge del 1995.

46.      Orbene, per quanto attiene, in primo luogo, all’ambito di applicazione del settore di attività rientrante nella protezione accordata agli agenti commerciali dalla direttiva 86/653, osservo che il governo belga, senza contestare formalmente l’applicabilità della suddetta direttiva nel caso di specie, che riguarda la situazione di un contratto di agenzia stipulato per lo svolgimento di un servizio di trasporto marittimo, ha indicato che la legge del 1995 aveva un ambito di applicazione più ampio rispetto alla direttiva 86/653, dal momento che quest’ultima si riferisce, al suo articolo 1, paragrafo 2, alle sole attività di intermediazione nella vendita o nell’acquisto di merci.

47.      Nello stesso senso, la Commissione ha rilevato che il legislatore belga aveva deciso di applicare il regime di protezione degli agenti commerciali indipendenti previsto dalla direttiva in parola non soltanto agli intermediari indipendenti incaricati della «vendita o [dell]’acquisto di merci» (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 86/653), ma anche agli agenti commerciali indipendenti incaricati della negoziazione ed eventualmente conclusione di affari (articolo 1 della legge del 1995), il che può comprendere anche la prestazione di servizi. Orbene, essa precisa che, con tutta probabilità, la normativa bulgara non si applicherebbe alla prestazione di servizi. La Commissione ritiene tuttavia che la decisione di rinvio non consenta di trarre conclusioni definitive riguardo alla natura del contratto in esame nel caso di specie e che tale decisione sia basata sul presupposto che detto contratto si riferiva principalmente alla negoziazione della vendita e dell’acquisto di merci.

48.      Da parte mia, ritengo che la legge del 1995 vada al di là della semplice trasposizione della direttiva 86/653. Un esame comparativo delle rispettive disposizioni evidenzia chiaramente, a mio avviso, come il legislatore belga abbia inteso estendere la protezione accordata dalla direttiva in parola a tutti gli agenti commerciali indipendenti, compresi quelli che intervengono nell’ambito di operazioni relative a servizi (26). Questa volontà di ampliare l’ambito sostanziale della protezione accordata dalla direttiva 86/653 si spiega probabilmente considerando la circostanza che il legislatore belga, oltre a trasporre la direttiva in parola, voleva altresì elaborare uno status relativamente completo dell’agente commerciale indipendente, ispirandosi in particolare alla convenzione del Benelux e alle norme applicabili sino a quel momento ai rappresentanti di commercio dipendenti (27).

49.      A mio avviso non vi è dubbio che la direttiva 86/653 debba essere interpretata nel senso che il suo ambito di applicazione non comprende gli intermediari incaricati di negoziare contratti di servizi. Come già riconosciuto dalla Corte, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 86/653 circoscrive in modo preciso la nozione di agente commerciale limitandola a situazioni ben determinate (28). La disposizione in parola riconosce infatti la qualità di agente commerciale al soggetto che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricato in maniera permanente o di trattare per un’altra persona la vendita o l’acquisto di merci, o di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente. La direttiva in parola non considera quindi gli intermediari indipendenti incaricati di negoziare contratti di servizi. Inoltre, e come evidenziato anche dalla Corte (29), osservo riferimenti alle «merci» oggetto dei contratti di agenzia figurano anche all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 20, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 86/653.

50.      L’interpretazione suddetta, derivante dal tenore letterale della direttiva 86/653, trova conferma nei suoi lavori preparatori. La prima proposta di direttiva presentata dalla Commissione in questo ambito (30) comprendeva infatti tutte le «operazioni commerciali», vale a dire le merci e i servizi (v. articolo 2, articolo 7, paragrafi 1 e 2, articolo 8 e articolo 10, paragrafo 2, di detta proposta). Da un confronto tra detta proposta di direttiva e il testo della direttiva 86/653 adottato infine dal Consiglio emerge chiaramente che sono state apportate modifiche sostanziali, consistenti nel limitare le attività degli agenti considerati alle operazioni di vendita o di acquisto di merci ed eliminando ogni riferimento ai servizi (31).

51.      L’estensione da parte della legislazione nazionale, nel caso di specie la legge del 1995, dell’ambito di applicazione della direttiva 86/653 agli agenti che operano nel settore della prestazione di servizi ha, a mio avviso, una conseguenza importante. La disposizione nazionale, nella misura in cui estende l’ambito di applicazione della direttiva al settore dei servizi, non può più essere considerata come una semplice misura di trasposizione, ma diviene una norma prettamente nazionale (32). Solo nella misura in cui l’ambito di applicazione della direttiva coincide con quello della normativa nazionale quest’ultima può essere letta come una misura di trasposizione.

52.      In secondo luogo, per quanto attiene al grado di protezione accordato all’agente commerciale in caso di risoluzione del contratto che lo lega al preponente, l’articolo 17 della direttiva 86/653 impone agli Stati membri in particolare di prevedere meccanismi di compensazione a favore dell’agente commerciale dopo l’estinzione del contratto. Tale disposizione offre agli Stati membri la scelta tra il sistema dell’indennità di clientela e quello del risarcimento del danno. Questo meccanismo è volto unicamente a garantire all’agente commerciale di beneficiare di una compensazione minima e non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di prevedere nei loro ordinamenti indennizzi supplementari. Benché, in linea con la maggior parte degli Stati membri (33), il Regno del Belgio abbia privilegiato, nel trasporre la direttiva 86/653, il sistema dell’indennità di clientela indicato agli articoli da 20 a 23 della legge del 1995 con i termini «indennità di esclusione», l’articolo 21 della suddetta legge non esclude che l’agente possa, a determinate condizioni, ottenere un risarcimento nei casi in cui l’indennità non copre integralmente il danno subito.

b)      È possibile riconoscere carattere imperativo alle disposizioni nazionali di trasposizione che ampliano l’ambito di applicazione e/o il grado di protezione derivante da una direttiva

53.      Per quanto attiene a una lex fori che, come sembra essere nella fattispecie oggetto del procedimento principale, estende non soltanto l’ambito di applicazione, ma anche il livello della protezione accordata all’agente in forza della direttiva 86/653, ritengo che il giudice possa, in via di principio, darvi applicazione in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma, in luogo della legge straniera indicata dalle parti del contratto.

54.      Benché competa in definitiva soltanto al giudice del foro determinare le norme del suo diritto cui deve essere riconosciuto carattere imperativo alla luce della ratio e del tenore letterale dell’atto cui esse appartengono, ritengo che in un caso come quello oggetto del procedimento principale siano soddisfatte le condizioni per l’applicazione delle norme imperative della lex fori.

55.      In primo luogo, quanto alla valutazione del carattere imperativo di una regola di diritto, ricordo che questa deve essere operata in funzione del suo tenore letterale e della ratio dell’atto cui essa appartiene (34). Il giudice può così riconoscere carattere imperativo a una disposizione sulla base della volontà del legislatore (35) e del tenore letterale del testo controverso (36).

56.      Orbene, come emerge dall’articolo 27 della legge del 1995, il legislatore belga, al di là dell’ambito di trasposizione delle disposizioni della direttiva 86/653, cui, ricordo, la Corte ha riconosciuto carattere imperativo (37), ha espressamente indicato che, «[f]atta salva l’applicazione delle convenzioni internazionali di cui il Belgio è parte, ogni attività di un agente commerciale che abbia la sede principale in Belgio è assoggettata alla legge belga e rientra nella competenza giurisdizionale dei tribunali del Belgio». L’insieme delle disposizioni della legge del 1995 può inoltre essere interpretato come la manifestazione del legislatore belga di salvaguardare un interesse importante.

57.      In secondo luogo, in un caso come quello oggetto del procedimento principale, in cui la lex fori amplia l’ambito di applicazione e il livello di protezione degli agenti commerciali indipendenti previsto dalla direttiva 86/653, mi sembra difficile riscontrare una restrizione o un ostacolo ai diritti e alle libertà derivanti dai Trattati, tali da integrare una violazione dell’obbligo previsto a carico degli Stati membri di rispettare le disposizioni del Trattato. Per quanto attiene, in particolare, al risarcimento previsto in caso di risoluzione del contratto di agenzia, osservo che la Corte, pur sottolineando che il regime istituito dall’articolo 17 della direttiva 86/653 aveva carattere imperativo, ha indicato che quest’ultimo prevedeva soltanto un livello di protezione minimo. Quindi, se le legislazioni nazionali non possono contemplare regole che comportano il riconoscimento agli agenti commerciali di un livello di indennità inferiore rispetto a quello previsto all’articolo succitato, non può invece essere vietata la previsione, all’interno di dette regole, di un livello di compensazione superiore (38). Il giudice nazionale può pertanto, in linea di principio, applicare le disposizioni imperative della lex fori in luogo della normativa di un altro Stato membro scelta dalle parti del contratto.

58.      Dalle considerazioni che precedono risulta, a mio avviso, che laddove gli Stati membri abbiano deciso di elaborare una normativa nazionale il cui ambito di applicazione e livello di protezione sono più consistenti rispetto a quelli previsti dalla direttiva 86/653, come sembra essere nella fattispecie oggetto del procedimento principale, è possibile applicare le norme imperative della lex fori in luogo della legge straniera, in virtù dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione di Roma.

59.      Questa conclusione mi sembra inoltre essere in linea con la soluzione adottata nella succitata causa Ingmar. Occorre ricordare, a questo proposito, che tale causa verteva su una controversia nell’ambito della quale le parti avevano espressamente scelto di assoggettare il contratto di agenzia commerciale che le legava alla legge di uno Stato terzo invece che a una legge nazionale di trasposizione della direttiva 86/653 (39). In un contesto siffatto la deroga al principio dell’autonomia, cui in materia contrattuale occorre tendenzialmente dare prevalenza, è stata giustificata in base alla necessità di sottoporre il contratto alle disposizioni a protezione dell’agente commerciale derivanti dalla suddetta direttiva. La Corte ha infatti ricordato che era essenziale «per l’ordinamento giuridico comunitario che un preponente stabilito in un paese terzo, il cui agente commerciale esercita la propria attività all’interno della Comunità, non possa eludere queste disposizioni con il semplice espediente di una clausola sulla legge applicabile. La funzione che le disposizioni in causa svolgono esige infatti che esse trovino applicazione allorquando il fatto presenti un legame stretto con la Comunità, in particolare allorché l’agente commerciale svolga la sua attività sul territorio di uno Stato membro, quale che sia la legge cui le parti hanno inteso assoggettare il contratto» (40).

60.      Se, certamente, come hanno sottolineato la Commissione e la NMB nelle loro osservazioni, i fatti all’origine della suddetta causa riguardavano una situazione molto diversa, trattandosi di un caso in cui le parti del contratto di agenzia avevano scelto il diritto di uno Stato terzo, nel quale, per definizione, non trovava applicazione il regime di protezione dell’agente commerciale risultante dalla direttiva 86/653, ciò non toglie che la questione sottoposta s’inseriva nell’ambito di un profondo contrasto circa le condizioni che una disposizione giuridica deve soddisfare per essere qualificata come disposizione imperativa ai sensi del diritto internazionale privato (41). Per rispondervi, la Corte si è fondata, nell’ambito dell’esame degli obiettivi e del tenore letterale dell’atto controverso, sulla constatazione che le disposizioni applicabili risultavano necessarie per la realizzazione degli obiettivi del Trattato (42), ma anche sul fatto che esso perseguiva un obiettivo di protezione dell’agente (43). Se ne può dedurre, per analogia, che, al fine di qualificare una disposizione come imperativa, si può tener conto della finalità di tutela di una determinata norma avuto riguardo non soltanto degli interessi strettamente pubblici, ma anche della necessità di considerare la situazione particolare di un gruppo di persone.

V –    Conclusione

61.      Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale proposta dallo Hof van Cassatie come segue:

«L’articolo 3 e l’articolo 7, paragrafo 2, della convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, letti in combinato disposto con la direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, devono essere interpretati nel senso che consentono che le norme imperative vigenti nello Stato del giudice del foro che accordano all’agente commerciale una protezione più estesa rispetto a quella imposta dalla suddetta direttiva, siano applicate al contratto, in forza dell’interesse specifico che lo Stato membro riconosce a dette disposizioni, anche quando risulti che il diritto applicabile al contratto è il diritto di un altro Stato membro dell’Unione europea all’interno del quale è stata attuata la protezione minima derivante dalla direttiva in parola».


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      GU 1980, L 266, pag. 1. In conformità dell’articolo 1 del primo protocollo del 19 dicembre 1988 relativo all’interpretazione della convenzione da parte della Corte di giustizia della convenzione del 1980 (GU 1998, C 27, pag. 47), entrato in vigore il 1° agosto 2004, la Corte è competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni di detta convenzione. Inoltre, a norma dell’articolo 2, lettera a), del protocollo in parola, lo Hof van Cassatie (Belgio) ha il potere di domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale su una questione sollevata in una causa pendente dinanzi ad esso e vertente sull’interpretazione delle disposizioni della Convenzione. Per quanto attiene all’applicabilità ratione temporis della Convenzione di Roma, basti ricordare che il regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU L 177, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento Roma I»), che ha sostituito la Convenzione di Roma, si applica soltanto ai contratti stipulati dal 17 dicembre 2009 (v. articolo 28 del regolamento in parola). Orbene, dalla decisione di rinvio risulta chiaramente che il contratto in discussione nella controversia principale è stato concluso nel corso del 2005 ed è stato prorogato, un’ultima volta, il 22 dicembre 2008.


3 –      GU L 382, pag. 17.


4 –      Moniteur belge del 2 giugno 1995, pag. 15621.


5 –      Dalla decisione di rinvio si evince, infatti, che la competenza dei giudici belgi a conoscere della controversia oggetto del procedimento principale è stata al centro di un acceso dibattito tra le parti di detto procedimento. Oggetto del contendere erano, più precisamente, la validità e l’efficacia della clausola arbitrale inserita nel contratto di agenzia controverso.


6 –      Secondo una giurisprudenza consolidata, il rifiuto di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze del 29 marzo 2012, Belvedere Costruzioni, C‑500/10, punto 16, e SAG ELV Slovensko e a., C‑599/10, punto 15, e giurisprudenza citata).


7 –      Raccolta delle convenzioni delle Nazioni Unite, vol. 330, pag. 3.


8–      Il corsivo è mio.


9 –      Le informazioni fornite nelle osservazioni non si riferiscono precisamente a dette norme. In base alle informazioni di cui dispongo, la trasposizione in esame è stata compiuta con un atto adottato e pubblicato nel corso del 2006 e la cui entrata in vigore è stata fissata al 1° gennaio 2007.


10 –      La nozione di disposizioni imperative, che può riferirsi sia alle norme imperative della legge straniera sia a quelle della lex fori, figura soltanto nel titolo dell’articolo 7 della Convenzione di Roma e non è, come tale, ripresa nel testo di detta disposizione.


11 –      Se si fa riferimento alla lettera dell’articolo 7 della Convenzione di Roma, l’interferenza delle norme imperative della lex fori appare, prima facie, a differenza di quelle di una legge straniera, incondizionata. Per quanto attiene alle norme imperative di un altro paese, l’articolo 7, paragrafo 1, di detta convenzione stabilisce infatti che esse possono intervenire soltanto a condizioni strettamente definite. Ai sensi della disposizione in parola «potrà essere data efficacia alle norme imperative di un altro paese con il quale la situazione presenti uno stretto legame, se e nella misura in cui, secondo il diritto di quest’ultimo paese, le norme stesse siano applicabili quale che sia la legge regolatrice del contratto. Ai fini di decidere se debba essere data efficacia a queste norme imperative, si terrà conto della loro natura e del loro oggetto nonché delle conseguenze che deriverebbero dalla loro applicazione o non applicazione».


12 –      Nella relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del prof. Mario Giuliano, docente all’Università di Milano e del prof. Paul Lagarde, docente all’Università di Parigi I (GU 1980, C 282, pag. 1, in particolare pagg. 27 e 28), viene infatti semplicemente indicato che «[q]uesto comma è stato redatto per tener conto del desiderio espresso da alcune delegazioni di salvaguardare le norme (particolarmente quelle in materia d’intese, di concorrenza, di pratiche restrittive della concorrenza, di tutela del consumatore nonché alcune norme in materia di trasporto), vigenti nel paese del giudice adito, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto qualunque sia la legge regolatrice del contratto. Questo comma non fa quindi altro che evidenziare l’incidenza delle leggi di diritto pubblico (“lois d’application immédiate”; “leggi di applicazione necessaria”, ecc.), sotto un angolo visuale diverso da quello del primo comma».


13 –      V. Lagarde, P., «Convention de Rome», Répertoire de droit communautaire, Dalloz, punto 106.


14 –      Sentenza del 23 novembre 1999 (C‑369/96 e C‑376/96, Racc. pag. I‑8453).


15 –      Sentenza del 19 giugno 2008 (C‑319/06, Racc. pag. I‑4323).


16 –      Dalla proposta di regolamento presentata dalla Commissione il 15 dicembre 2005 [COM(2005) 650 def.] risulta che la definizione di norme di applicazione necessaria data infine all’articolo 9 del regolamento Roma I si ispira effettivamente alla citata sentenza Arblade e a. A norma del paragrafo 1 del suddetto articolo «[l]e norme di applicazione necessaria sono disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento».


17 –      Sentenza Arblade e a., cit. (punto 30).


18 –      V. sentenza Commissione/Lussemburgo, cit. (punto 29).


19 –      È stato, infatti, legittimamente sostenuto che la Corte aveva inteso spiegare, in via preliminare (v. punto 30 della sentenza), il significato dell’espressione «leggi di polizia e di sicurezza» soltanto con riguardo alla valutazione dell’esistenza di leggi siffatte ai sensi dell’articolo 3, primo comma, del codice civile belga (v., in particolare, Kuipers, J.-J., e Migliorini, S., «Qu’est‑ce que sont les lois de police? une querelle franco‑allemande après la communautarisation de la Convention de Rome», European Review of Private Law, 2‑2011, pag. 199).


20 –      Questi interessi non devono, a mio avviso, essere ricondotti unicamente a interessi puramente dello Stato, ma possono ricomprendere ogni norma reputata essenziale ai fini della salvaguardia dell’organizzazione sociale, politica ed economica. In tal senso faccio presente che nella sentenza del 9 novembre 2000, Ingmar (C‑381/98, Racc. pag. I‑9305, punto 23) il carattere imperativo delle disposizioni nazionali che traspongono la direttiva 86/653 è stato desunto dagli obiettivi di quest’ultima, vale a dire quelli volti «a sopprimere le restrizioni all’esercizio della professione di agente commerciale, a uniformare le condizioni di concorrenza all’interno della Comunità e ad aumentare la sicurezza delle operazioni commerciali».


21 –      V., per analogia, il paragrafo 73 delle conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa che ha dato luogo alla già citata sentenza Ingmar.


22 –      Sentenza Arblade e a., cit. (punto 31).


23 –      V. in particolare, in questo senso, sentenza del 1° marzo 2012, Akyüz (C‑467/10, punto 53).


24 ­ V., in particolare, sentenze dell’8 aprile 2003, Pippig Augenoptik (C‑44/01, Racc. pag. I‑3095, punto 44), e del 18 novembre 2010, Lidl (C‑159/09, Racc. pag. I‑11761, punto 22).


25 –      La valutazione del grado di armonizzazione sancito da una direttiva deve fondarsi sul tenore letterale e sulla finalità delle disposizioni applicabili (v., in questo senso, sentenze del 25 aprile 2002, Commissione/Francia, C‑52/00, Racc. pag. I‑3827, punto 16, e del 14 luglio 2005, Lagardère Active Broadcast, C‑192/04, Racc. pag. I‑7199, punto 46).


26 –      Si tratta di una constatazione analoga a quella compiuta nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 marzo 2006, Poseidon Chartering (C‑3/04, Racc. pag. I‑2505), relativamente alla trasposizione della stessa direttiva nel diritto dei Paesi Bassi (punti 6 e 12 della sentenza, nonché paragrafi 5, 11 e 12 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Geelhoed nella stessa causa). Un simile ampliamento sarebbe stato previsto da numerosi Stati membri, in particolare nelle normative belga, tedesca, spagnola, francese, italiana, austriaca, lussemburghese, olandese e portoghese. Nelle normative danese, greca, irlandese, finlandese, svedese e britannica, l’oggetto del contratto di agenzia era invece circoscritto in un primo momento alla vendita e all’acquisto di merci (v., per uno studio al riguardo, Steinmann, T., Kenel, P., e Billotte, I., «Le contrat d’agence commerciale en Europe», LGDJ, 2005, in particolare pagg. da 22 a 54).


27 –      V., in particolare, Verbraeken, C., e Schoutheete, A., «La loi du 13 avril 1995 relative au contrat d’agence commerciale», Journal des tribunaux, n. 5764 (1995), pagg. da 461 a 469. Gli autori osservano che, nell’indicare che l’agente commerciale negozia o conclude «affari», «il legislatore ha volutamente utilizzato [un] termine vago (…) così da riconoscere alla legge un ambito di applicazione il più ampio possibile e di mantenere un parallelismo con lo status del rappresentante di commercio [v., in particolare, documenti parlamentari, sessione ordinaria, 1994‑1995, 1750‑2, pagg. 2 e 3]. Mentre la direttiva riguarda soltanto la vendita e l’acquisto di merci, la legge si applica parimenti alla vendita, all’acquisto o alla locazione di immobili, alla prestazione di servizi o a taluni contratti di appalto/d’opera». Occorre osservare che l’ambito di applicazione della legge del 1995 è stato ulteriormente ampliato nel 1999 (per ricomprendere il settore delle assicurazioni, degli istituti di credito e dei mercati regolamentati di valori mobiliari) e, successivamente, nel 2005 (per tutelare i candidati e i membri degli organi di concertazione paritaria).


28 –      V., in tal senso, ordinanza del 10 febbraio 2004, Mavrona (C‑85/03, Racc. pag. I‑1573, punto 15).


29 –      V. ordinanza del 6 marzo 2003, Abbey Life Assurance (C‑449/01, punti 4 e 14).


30 –      GU 1977, C 13, pag. 2.


31 –      V. ordinanza Abbey Life Assurance, cit. (punto 15).


32 –      V., in questo senso, Bergé, J.-S., «Au‑delà du droit communautaire, le droit national», Revue des contrats, 2006, pagg. da 873 a 878. Nel commentare la sentenza Poseidon, già citata, e interrogandosi sulla natura giuridica della norma nazionale che amplia l’ambito di applicazione di una direttiva dell’Unione, l’autore ritiene che una norma nazionale che fa propria una norma dell’Unione, al di fuori del suo ambito di applicazione, rimanga una norma strettamente nazionale. Una siffatta disposizione non può quindi essere equiparata a una classica norma di trasposizione che riveste, in quanto tale, una doppia natura: nazionale, quanto alla sua forma, e comunitaria, quanto al suo oggetto. La normativa nazionale deve quindi essere intesa come una misura nazionale di trasposizione solo qualora la direttiva trovasse applicazione.


33 –      V. Steinmann, T., Kenel, P., e Billotte, I., «Le contrat d’agence commerciale en Europe», op. cit., pagg. da 566 a 611.


34 –      V. supra, punto 35.


35 –      Per quanto attiene alla legge del 1995, questa volontà è stata espressa chiaramente nei lavori preparatori. Si è così osservato che «[i]l gruppo di lavoro conclude quindi che tutte le disposizioni sono di diritto imperativo ad esclusione di quelle per le quali sono state espressamente ammesse deroghe» (v. documenti parlamentari, Sénat, 355‑3, S.E. 1991-1992, 14).


36 –      V., in particolare, articoli 18, 20 e 21 della legge del 1995.


37 –      V. sentenze Ingmar, cit. (punti da 20 a 25), e del 23 marzo 2006, Honyvem Informazioni Commerciali (C‑465/04, Racc. pag. I‑2879, punto 22).


38 –      V., in tal senso, sentenza Honyvem Informazioni Commerciali, cit. (punto 28).


39 –      V. sentenza Ingmar, cit. (punto 10).


40 –      Ibidem (punto 25).


41 –      Ibidem (in particolare punti da 16 a 19).


42 –      Ibidem (punti da 23 a 25).


43 –      Ibidem (punto 20).