Language of document : ECLI:EU:C:2018:613

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 25 luglio 2018 (1)

Causa C163/17

Abubacarr Jawo

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Sistema di Dublino – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente – Articolo 29, paragrafo 1 – Modalità di proroga del termine – Articolo 29, paragrafo 2 – Nozione di fuga – Ammissibilità del rifiuto di trasferire l’interessato in ragione di un rischio reale e acclarato di trattamento inumano o degradante al termine della procedura di asilo – Articolo 3, paragrafo 2 – Condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nello Stato membro competente – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»






I.      Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, depositata presso la cancelleria della Corte il 3 aprile 2017 dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Germania) (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania) verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, e dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (2) (in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), nonché dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra un richiedente asilo, il sig. Abubacarr Jawo, e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania), relativa al provvedimento del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania, in prosieguo: l’«Ufficio») del 25 febbraio 2015, che aveva respinto la domanda di asilo del sig. Jawo come inammissibile e aveva disposto il suo allontanamento verso l’Italia.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

1.      Convenzione di Ginevra

3.        L’articolo 21 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (3) ed entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), rubricato «Alloggio», dispone quanto segue:

«In materia di alloggi, nella misura in cui tale questione sia disciplinata da leggi e regolamenti o sia sottoposta al controllo delle autorità pubbliche, gli Stati contraenti concedono ai rifugiati che risiedono regolarmente sul loro territorio il trattamento più favorevole possibile; tale trattamento non può, in ogni caso, essere meno favorevole di quello concesso, nelle stesse circostanze, agli stranieri in generale».

2.      Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

4.        Rubricato «Proibizione della tortura», l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), dispone quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

B.      Diritto dell’Unione

1.      Carta

5.        Ai sensi dell’articolo 1 della Carta, rubricato «Dignità umana»,

«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

6.        L’articolo 4 della Carta, rubricato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», recita così:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

7.        L’articolo 19 della Carta, rubricato «Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione», prevede, al suo paragrafo 2, quanto segue:

«Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

8.        L’articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», dispone, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati».

9.        L’articolo 52 della Carta, rubricato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», prevede, al suo paragrafo 3, quanto segue:

«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».

2.      Regolamento Dublino III

10.      Il regolamento n. 604/2013 definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (4). I considerando e gli articoli pertinenti del citato regolamento sono i seguenti:

11.      Considerando 32

«Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo».

12.      Considerando 39

«Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta (…). In particolare, il presente regolamento intende assicurare il pieno rispetto del diritto d’asilo garantito dall’articolo 18 della Carta, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della stessa. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza».

13.      Articolo 3

«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.      (…)

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta (…), lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.

(…)».

14.      Articolo 29

«1.      Il trasferimento del richiedente o di altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.

Se i trasferimenti verso lo Stato membro competente avvengono sotto forma di partenza controllata o sotto scorta, gli Stati membri garantiscono che siano svolti in modo umano e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana.

(…)

2.      Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.

(…)».

3.      Regolamento (CE) n. 1560/2003

15.      Il regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento n. 343/2003 (5), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, (6) (in prosieguo: il «regolamento di applicazione»), contiene le modalità di applicazione del regolamento Dublino III.

16.      L’articolo 8 del regolamento n. 1560/2003, rubricato «Cooperazione ai fini del trasferimento», prevede quanto segue:

«1.      Lo Stato membro competente è tenuto a permettere quanto prima il trasferimento del richiedente e a fare in modo che nulla osti al suo ingresso. Spetta allo Stato membro competente stabilire, eventualmente, la località del suo territorio in cui il richiedente sarà trasferito, ovvero consegnato alle autorità competenti, alla luce sia dei condizionamenti geografici sia dei modi di trasporto di cui dispone lo Stato membro che esegue il trasferimento. In nessun caso può essere chiesto alla scorta di accompagnare il richiedente oltre il punto di arrivo (stazione, porto, aeroporto,...) del mezzo di trasporto internazionale utilizzato, o che lo Stato membro che esegue il trasferimento sostenga le spese di trasporto al di là di tale punto.

2.      Compete allo Stato membro che esegue il trasferimento organizzare il trasporto del richiedente e della sua scorta e fissare, d’accordo con lo Stato membro competente, l’orario d’arrivo e le eventuali modalità per la consegna del richiedente alle autorità competenti. Lo Stato membro competente può esigere un preavviso di tre giorni lavorativi.

3.      Il modulo standard di cui all’allegato VI è utilizzato al fine di trasmettere allo Stato membro competente i dati essenziali per tutelare i diritti e le esigenze immediate della persona da trasferire. Tale modulo standard è considerato un preavviso ai sensi del paragrafo 2».

17.      Ai sensi dell’articolo 9 del medesimo regolamento, rubricato «Rinvio e ritardi di trasferimento»,

«1.       Lo Stato membro competente è informato senza indugi della decisione di rinviare il trasferimento qualora siano promossi un ricorso o una revisione aventi effetto sospensivo, ovvero sussistano motivazioni materiali quali lo stato di salute del richiedente, l’indisponibilità del mezzo di trasporto o il fatto che il richiedente si sia sottratto all’esecuzione del trasferimento.

1 bis.      Qualora un trasferimento sia ritardato su richiesta dello Stato membro che provvede al trasferimento, quest’ultimo e gli Stati membri competenti devono riprendere i contatti al fine di consentire l’organizzazione di un nuovo trasferimento quanto prima possibile, conformemente all’articolo 8, e non oltre due settimane dal momento in cui le autorità vengono a conoscenza della cessazione delle circostanze che hanno causato il ritardo o il rinvio. In tal caso, prima che sia eseguito il trasferimento viene inviato un modulo standard aggiornato per il trasferimento dei dati prima di un trasferimento, di cui all’allegato VI.

2.      Lo Stato membro che non può eseguire il trasferimento entro il normale termine di sei mesi dalla data di accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico dell’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo, per uno dei motivi di cui all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III], ne informa lo Stato membro competente prima dello scadere del termine. In mancanza di ciò, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale e le altre obbligazioni a norma del regolamento [Dublino III] ricadono sullo Stato membro richiedente, in conformità dell’articolo 29, paragrafo 2, di detto regolamento.

(…)».

18.      Gli allegati VI e IX del regolamento di applicazione contengono i moduli standard dedicati, rispettivamente, alla trasmissione di dati e allo scambio di dati sanitari prima dell’esecuzione di un trasferimento ai sensi del regolamento Dublino III.

4.      Direttiva 2011/95/UE

19.      Ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (7), una «domanda di protezione internazionale» è «una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, (…)».

20.      Il capo VII della direttiva 2011/95, rubricato «Contenuto della protezione internazionale», contiene le seguenti disposizioni:

21.      Articolo 20, paragrafo 1

«Le disposizioni del presente capo non pregiudicano i diritti sanciti dalla convenzione di Ginevra».

22.      Articolo 26, paragrafo 1

«Gli Stati membri autorizzano i beneficiari di protezione internazionale a esercitare un’attività dipendente o autonoma nel rispetto della normativa generalmente applicabile alle professioni e agli impieghi nella pubblica amministrazione, non appena sia stata loro riconosciuta la protezione».

23.      Articolo 27, paragrafo 1

«Gli Stati membri offrono il pieno accesso al sistema scolastico, secondo le stesse modalità previste per i loro cittadini, a tutti i minori beneficiari di protezione internazionale».

24.      Articolo 29, paragrafo 1, «Assistenza sociale»

«Gli Stati membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione, adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione».

25.      Articolo 30, paragrafo 1, «Assistenza sanitaria»

«Gli Stati membri provvedono a che i beneficiari di protezione internazionale abbiano accesso all’assistenza sanitaria secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro che ha riconosciuto loro tale protezione».

26.      Articolo 32, paragrafo 1, «Accesso all’alloggio»

«Gli Stati membri provvedono a che i beneficiari di protezione internazionale abbiano accesso a un alloggio secondo modalità equivalenti a quelle previste per altri cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nei loro territori».

III. Controversia principale e questioni pregiudiziali

27.      Il sig. Jawo, celibe e in buona salute, è, a quanto da questi dichiarato, un cittadino gambiano nato il 23 ottobre 1992. Ha lasciato il Gambia il 5 ottobre 2012 e ha raggiunto via mare l’Italia, dove il 23 dicembre 2014 ha presentato una domanda di asilo.

28.      Dall’Italia il sig. Jawo ha raggiunto la Germania. Il 26 gennaio 2015 l’Ufficio, avendo reperito in Eurodac (8) una risposta pertinente secondo cui il sig. Jawo aveva presentato una domanda di asilo in Italia, ha chiesto alla Repubblica italiana la sua ripresa in carico (9). Secondo il giudice del rinvio, «[l]’Italia non ha dato alcun riscontro a tale richiesta (…)».

29.      Con provvedimento del 25 febbraio 2015 l’Ufficio ha respinto la domanda di asilo del sig. Jawo come inammissibile e ha disposto il suo allontanamento verso l’Italia. Il sig. Jawo si oppone a tale trasferimento ai fini dello svolgimento di una procedura di asilo.

30.      Il 4 marzo 2015 il sig. Jawo ha presentato un ricorso, integrato il 12 marzo 2015 da una domanda di concessione di provvedimenti provvisori, che il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania) ha respinto come irricevibile, in quanto tardiva, con decisione del 30 aprile 2015. A seguito di un’altra domanda di provvedimenti provvisori, detto tribunale ha successivamente riconosciuto efficacia sospensiva al ricorso con decisione del 18 febbraio 2016.

31.      In data 8 giugno 2015 il sig. Jawo avrebbe dovuto essere trasferito in Italia, tuttavia tale trasferimento non è riuscito, poiché egli non si trovava presso la struttura di accoglienza collettiva di Heidelberg in cui avrebbe dovuto risiedere. Interrogato al riguardo dal Regierungspräsidium Karlsruhe (prefettura di Karlsruhe, Germania), in data 16 giugno 2015 il servizio specializzato nell’accoglienza d’urgenza della città di Heidelberg ha comunicato che il sig. Jawo non si trovava più presso detta struttura di accoglienza collettiva da diverso tempo, come confermato dal custode competente. Durante l’udienza dinanzi al giudice del rinvio, il sig. Jawo ha dichiarato a tal riguardo, per la prima volta nell’ambito del procedimento giudiziario, che a inizio giugno 2015 si era recato a trovare un amico che viveva a Freiberg am Neckar.

32.      Egli ha aggiunto di aver ricevuto, dopo circa una - due settimane, una telefonata dalla persona con cui condivideva la camera a Heidelberg, che gli aveva comunicato che la polizia lo stava cercando. Egli aveva deciso, dunque, di tornare a Heidelberg ma, non avendo denaro sufficiente per pagare il viaggio di ritorno, aveva innanzitutto dovuto farsi prestare la somma necessaria. Secondo quanto affermato nella stessa dichiarazione, egli era rientrato a Heidelberg solamente due settimane più tardi, si era recato presso i servizi sociali e aveva chiesto se disponesse ancora della sua camera. La risposta a tale domanda era stata affermativa. Peraltro, nessuno lo avrebbe informato di dover avvisare in caso di assenza di lunga durata.

33.      Con un modulo datato 16 giugno 2015, l’Ufficio ha informato il Ministero degli Interni italiano che il trasferimento non era al momento possibile poiché il sig. Jawo era fuggito, circostanza di cui aveva avuto conoscenza il giorno stesso. Nel modulo veniva altresì indicato che il trasferimento avrebbe avuto luogo non più tardi del 10 agosto 2016 «a norma dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013».

34.      Un secondo trasferimento veniva previsto per il 3 febbraio 2016. Anche tale trasferimento non è riuscito poiché il ricorrente si è rifiutato di salire sull’aereo.

35.      Con sentenza del 6 giugno 2016, il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe) ha respinto il ricorso del sig. Jawo.

36.      Nell’ambito della procedura di appello, il sig. Jawo ha sostenuto di non essere fuggito nel mese di giugno 2015 e ha rilevato che l’Ufficio non avrebbe nemmeno potuto prorogare validamente il termine ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. «A suo avviso, [anche] il provvedimento di allontanamento [doveva essere annullato] (…), non [essendo] (…) ancora intervenuta alcuna decisione in merito all’esistenza di un divieto nazionale di allontanamento, necessaria dal 6 agosto 2016» e «in ragione del corso di formazione che egli [aveva] (…) iniziato con il nullaosta dell’autorità tedesca competente in materia di stranieri» (10). Sempre a parere del sig. Jawo, un trasferimento verso l’Italia sarebbe parimenti inammissibile perché in tale Stato membro sussisterebbero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

37.      Nel corso della procedura di appello l’Ufficio è venuto a conoscenza che in Italia era stato rilasciato al sig. Jawo un permesso di soggiorno nazionale per motivi umanitari con validità di un anno, che era scaduto il 9 maggio 2015.

38.      Date tali circostanze, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un richiedente asilo sia considerato fuggito ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento [Dublino III] (…) solo nel caso in cui si sottragga deliberatamente e coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di scongiurare o ostacolare tale trasferimento, o se sia sufficiente che non soggiorni più nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato e le autorità non siano informate di dove egli dimori, cosicché non possa avere luogo un trasferimento pianificato.

Se il soggetto interessato possa invocare la corretta applicazione della disposizione citata e, nell’ambito di una procedura contro una decisione di trasferimento, possa eccepire il decorso del termine di trasferimento, perché egli non era fuggito.

2)      Se una proroga del termine di trasferimento previsto all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, del regolamento [Dublino III] si verifichi già se lo Stato membro che provvede al trasferimento, ancora prima della scadenza del termine, informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto che non può essere superiore a 18 mesi entro il quale si procederà al trasferimento, oppure se una proroga del termine sia possibile solo quando gli Stati membri coinvolti stabiliscano consensualmente un termine prolungato.

3)      Se il trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente sia inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un grave rischio di subire un trattamento ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

Se tale questione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione.

Secondo quali parametri del diritto dell’Unione si debbano valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta la protezione internazionale».

IV.    Procedimento dinanzi alla Corte

39.      Il giudice del rinvio ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale fosse trattato con il procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte, in considerazione dell’importanza cruciale della terza questione pregiudiziale. Secondo il giudice del rinvio, tale questione è rilevante per tutte le procedure di trasferimento verso l’Italia ed è, dunque, determinante per l’esito di un numero incalcolabile di procedimenti. Il giudice del rinvio ha altresì addotto che, qualora la risposta a tale questione rimanga incerta troppo a lungo, vi sarebbe il rischio di pregiudicare il funzionamento del sistema instaurato con il regolamento Dublino III e, conseguentemente, di indebolire il sistema europeo comune di asilo.

40.      Il 24 aprile 2017 la Quinta Sezione ha deciso di non accogliere la domanda del giudice del rinvio di trattare la presente causa con il procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

41.      Il sig. Jawo, i governi tedesco, italiano, ungherese, olandese, britannico e della Confederazione svizzera, nonché la Commissione europea, hanno depositato osservazioni scritte.

42.      Durante l’udienza comune che si è tenuta in data 8 maggio 2018 nella causa C‑163/17 e nelle cause riunite C‑297/17, C-318/17, C-319/17 e C-438/17, i ricorrenti nelle cause principali, l’Ufficio, i governi tedesco, belga, italiano, olandese e britannico e la Commissione hanno formulato osservazioni orali.

V.      Analisi

A.      Sulla prima questione pregiudiziale

1.      Possibilità per il richiedente protezione internazionale, al fine di opporsi al suo trasferimento, di invocare il decorso del termine di sei mesi come definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III e il fatto di non essere fuggito

a)      Termine di sei mesi

43.      Nella seconda parte della prima questione pregiudiziale, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale possa invocare, nell’ambito di un ricorso proposto contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il decorso del termine di sei mesi come definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento, «perché egli non era fuggito»

44.      Conformemente all’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, il trasferimento del richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente avviene non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o dalla decisione definitiva sul ricorso o sulla revisione in caso di effetto sospensivo. Al punto 41 della sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri (C‑201/16, EU:C:2017:805), la Corte ha statuito che «i termini indicati all’articolo 29 del regolamento Dublino III hanno la finalità di delimitare non solo l’adozione, ma anche l’esecuzione della decisione di trasferimento». Secondo l’articolo 29, paragrafo 2, prima frase, di detto regolamento, se il trasferimento non avviene entro tale termine di sei mesi, la competenza è dello Stato membro richiedente. Tuttavia, ai sensi del paragrafo 2, seconda frase, del medesimo articolo, il termine di sei mesi può essere prorogato fino a un massimo di diciotto mesi qualora l’interessato sia fuggito.

45.      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III prevede che il richiedente protezione internazionale abbia diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale. Al punto 48 della sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab (C‑670/16, EU:C:2017:587), la Corte ha stabilito che «questa disposizione dev’essere interpretata nel senso che assicura al richiedente protezione internazionale una tutela giurisdizionale effettiva garantendogli, in particolare, la possibilità di presentare ricorso avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, ricorso che può avere ad oggetto l’esame dell’applicazione [del regolamento Dublino III], ivi compreso il rispetto delle garanzie procedurali previste da quest’ultimo».

46.      Ai punti 39 e 40 della sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri (C‑201/16, EU:C:2017:805), la Corte ha ritenuto che le procedure di presa e di ripresa in carico istituite dal regolamento Dublino III debbano, in particolare, essere espletate nel rispetto di una serie di termini imperativi, tra i quali rientra il termine di sei mesi menzionato all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento. Sebbene queste disposizioni siano intese a disciplinare tali procedure, esse contribuiscono altresì – al pari dei criteri indicati al capo III di detto regolamento – a determinare lo Stato membro competente. Infatti, la scadenza di tale termine senza che sia avvenuto il trasferimento dell’interessato dallo Stato membro richiedente allo Stato membro competente comporta automaticamente un passaggio di competenza dal secondo Stato membro al primo. Di conseguenza, al fine di garantire che la decisione di trasferimento contestata sia adottata a seguito di una corretta applicazione di tali procedure, il giudice chiamato a esaminare un ricorso avverso una decisione di trasferimento deve poter esaminare le doglianze di un richiedente protezione internazionale secondo le quali detta decisione sarebbe stata adottata in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, in quanto lo Stato membro richiedente sarebbe già divenuto lo Stato membro competente il giorno dell’adozione della suddetta decisione a causa della precedente scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento in parola.

47.      Inoltre, al punto 46 della sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri (C-201/16, EU:C:2017:805), la Corte ha statuito che «l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, letto alla luce del considerando 19 di detto regolamento (11), nonché l’articolo 47 della [Carta] debbano essere interpretati nel senso che un richiedente protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento».

48.      Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, qualora si constati che l’interessato è fuggito, il termine di sei mesi può essere prorogato fino a un massimo di diciotto mesi. Considerate le conseguenze di tale constatazione sulla situazione dell’interessato, consistenti nella triplicazione del termine, è imperativo che, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e dell’articolo 47 della Carta, l’interessato disponga di un mezzo di impugnazione effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi, adducendo, se del caso, di non essere fuggito e rilevando, conseguentemente, che detto termine non poteva essere prorogato.

49.      Dalle sovraesposte considerazioni consegue che l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e l’articolo 47 della Carta debbano essere interpretati nel senso che un richiedente protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi di cui all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento che sia intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento, adducendo, se del caso, di non essere fuggito e rilevando, conseguentemente, che detto termine non poteva essere prorogato.

b)      Nozione di fuga ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III

50.      Nella prima parte della prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio s’interroga sulla nozione di fuga ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e sulle condizioni in cui un richiedente protezione internazionale sia considerato fuggito; in tal caso, infatti, il termine di trasferimento di sei mesi può essere prorogato fino a un massimo di diciotto mesi. In particolare, il giudice del rinvio chiede se la nozione di fuga ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III esiga la prova che il richiedente protezione internazionale si «sottragga deliberatamente e coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di scongiurare o ostacolare tale trasferimento» o se «sia sufficiente che [egli] non soggiorni più nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato e le autorità competenti non siano informate di dove egli dimori, cosicché non possa avere luogo un trasferimento pianificato» (12).

51.      Il regolamento Dublino III non contiene nessuna definizione della nozione di fuga ai sensi del suo articolo 29, paragrafo 2, seconda frase (13).

52.      Inoltre, sebbene evochino la volontà di sfuggire a qualcosa, i termini «fuite» (nella versione in lingua francese), «flucht» (14) (nella versione in lingua tedesca), «absconds» (nella versione in lingua inglese), «fuga» (nelle versioni in lingua spagnola, italiana e portoghese) utilizzati all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III non fanno riferimento alla necessità di provare le intenzioni del richiedente protezione internazionale, e in particolare quella di sottrarsi deliberatamente e coscientemente all’esecuzione del trasferimento.

53.      D’altra parte, la formulazione dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III non permette nemmeno di concludere che sia sufficiente che la fuga del richiedente protezione internazionale venga provata attraverso una o più circostanze oggettive, come in particolare la sua assenza ingiustificata e prolungata dal suo alloggio abituale.

54.      Considerato che il testo del regolamento Dublino III non è preciso al proposito, la nozione di fuga ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III (15) deve essere interpretata tenendo conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del contesto della disposizione e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (16).

55.      Inoltre, dal momento che l’interessato è un richiedente protezione internazionale, la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (17), e la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (18), sono parte del contesto rilevante.

1)      Sugli obiettivi dell’articolo 29 del regolamento Dublino III

56.      Dai considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III, in particolare, si evince che quest’ultimo mira a stabilire un meccanismo, fondato su criteri oggettivi ed equi, per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Tale meccanismo dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente, al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale, preservando al contempo l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.

57.      Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III, il trasferimento dell’interessato avviene non appena sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi. Al punto 40 della sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian (C‑19/08, EU:C:2009:41), la Corte ha statuito che il termine di sei mesi ha lo scopo, in considerazione della complessità pratica e delle difficoltà organizzative che si ricollegano all’esecuzione di tale trasferimento, di consentire ai due Stati membri interessati di accordarsi ai fini della realizzazione di quest’ultimo e, più in particolare, di consentire allo Stato membro richiedente di disciplinare le modalità di realizzazione del trasferimento, che viene effettuato secondo la legislazione nazionale di quest’ultimo Stato (19).

58.      L’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III precisa che, se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente.

59.      In considerazione dell’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale, ritengo che la possibilità di prorogare il termine di sei mesi fino a diciotto mesi trovi applicazione solo qualora esistano prove convincenti che l’interessato è fuggito. Infatti, al pari del sig. Jawo, ritengo che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III abbia natura derogatoria e comporti delle conseguenze significative per l’interessato e lo Stato membro competente (20). Ne consegue che tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente.

60.      Tuttavia, nonostante la natura derogatoria dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, affermare un obbligo di provare che il richiedente protezione internazionale si sia sottratto deliberatamente e coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di scongiurare o ostacolare tale trasferimento, sarebbe a mio parere eccessivo e rischierebbe di intralciare in maniera significativa il sistema, già complesso e difficoltoso, dei trasferimenti istituito dal regolamento Dublino III (21).

61.      In linea con le osservazioni della Commissione, ritengo che, se l’elemento della fuga richiedesse la prova di un’intenzione soggettiva mirata del richiedente protezione internazionale, «spesso (…) tale intenzione potrebbe essere dimostrata solo con molte difficoltà, attraverso audizioni impegnative, la cui durata supererebbe assai di frequente il termine di sei mesi previsto all’articolo 29, paragrafo 2» del regolamento Dublino III. In altre parole, anziché essere derogatoria o di stretta interpretazione, la seconda frase del paragrafo 2 dell’articolo 29 del regolamento Dublino III sarebbe di fatto impossibile da applicare (22).

2)      Sul contesto: incidenza delle direttive 2013/32 e 2013/33

62.      A mio parere, si deve rispondere alla questione se un richiedente protezione internazionale sia fuggito in base alle prove concrete e oggettive di tale fuga, tenendo in considerazione tutte le circostanze rilevanti e il contesto in cui si colloca la causa principale, a prescindere da qualunque prova di qualsivoglia intenzione da parte dell’interessato che è fuggito. Dal momento che la procedura istituita dal regolamento Dublino III non ha natura penale, lo standard probatorio dovrebbe essere quello applicabile in materia civile (la valutazione comparata delle probabilità – «on the balance of probabilities»). L’onere della prova grava necessariamente sulle autorità nazionali competenti che asseriscono la fuga dell’interessato, poiché sono esse a voler beneficiare della deroga prevista all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

63.      Per quanto riguarda il particolare contesto in esame, rispetto alla questione se i richiedenti protezione internazionale possano, in conformità all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, «circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro», si rileva che tale diritto non è assoluto e può essere soggetto a condizioni e obblighi.

64.      Infatti, gli Stati membri possono, da un lato, stabilire «un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione internazionale» (23) e, dall’altro, subordinare «la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati [stessi]» (24). Inoltre, gli «Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione» (25). A mio parere, tali restrizioni e obblighi sono necessari per garantire, in particolare, che il richiedente protezione internazionale possa essere localizzato rapidamente, in modo da facilitare l’esame della sua domanda, nonché, eventualmente, il suo trasferimento verso un altro Stato membro in conformità all’articolo 29 del regolamento Dublino III.

65.      Secondo la Commissione, i paragrafi da 2 a 4 dell’articolo 7 della direttiva 2013/33 sono stati recepiti dalla Repubblica federale di Germania con gli articoli da 56 a 58 dell’Asylgesetz (legge sull’asilo). Essa ha rilevato che, in forza di tali disposizioni, il sig. Jawo «non avrebbe dovuto lasciare, nemmeno temporaneamente, senza autorizzazione amministrativa, il distretto di competenza dell’ufficio stranieri della città di Heidelberg, ciò che egli ha invece fatto all’inizio del mese di giugno 2015».

66.      Nondimeno, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2013/33, gli Stati membri devono informare i richiedenti protezione internazionale, per iscritto e in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile, degli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza (26). Ne consegue che, qualora tali norme non siano state rispettate, la mancata osservanza delle restrizioni alla libera circolazione non può essere fatta valere nei confronti dei richiedenti protezione internazionale.

67.      Inoltre, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 prevede che gli Stati membri possano imporre al richiedente protezione internazionale l’obbligo di «riferire alle autorità competenti o di comparire personalmente dinanzi alle stesse, senza indugio o in una data specifica» (27). Ritengo che tale obbligo possa essere rilevante in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, sebbene la domanda di asilo del sig. Jawo sia stata respinta dall’Ufficio come inammissibile e sia stato disposto il suo allontanamento verso l’Italia. Infatti, l’autorità nazionale competente deve essere in grado di contattare il richiedente protezione internazionale per procedere al suo trasferimento, onde consentire che la sua domanda di protezione internazionale sia esaminata dalle autorità dello Stato membro competente ai sensi del regolamento Dublino III.

68.      Dalle sovraesposte considerazioni consegue che, a condizione che il richiedente protezione internazionale sia stato informato (28) delle restrizioni al suo diritto di libera circolazione e dell’obbligo di comparire dinanzi alle autorità nazionali competenti in conformità alle disposizioni interne che recepiscono l’articolo 5 della direttiva 2013/33 e l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, il fatto che egli abbia smesso di soggiornare nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato, di tal guisa che dette autorità non erano informate di dove dimorasse e che, pertanto, un trasferimento pianificato non abbia potuto avere luogo, è sufficiente, a mio parere, a prorogare il termine previsto per il trasferimento a diciotto mesi, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

B.      Sulla seconda questione pregiudiziale

69.      Nella seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che la circostanza che, ancora prima della scadenza del termine di sei mesi, lo Stato membro richiedente informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto, che non può essere superiore a 18 mesi, entro il quale si procederà al trasferimento, sia sufficiente a prorogare il termine di trasferimento, oppure se una proroga del termine di sei mesi sia possibile solo quando gli Stati membri coinvolti stabiliscano consensualmente un termine prolungato.

70.      Occorre osservare che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III non prevede alcuna concertazione tra lo Stato membro richiedente e lo Stato membro competente (29) in relazione alla proroga del termine consentita dalla medesima disposizione.

71.      Inoltre, l’articolo 29, paragrafo 4, del regolamento Dublino III ha delegato alla Commissione il potere di stabilire condizioni uniformi per la consultazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in particolare nel caso di trasferimenti differiti o ritardati. Tali condizioni uniformi sono previste, in particolare, all’articolo 9 del regolamento di applicazione.

72.      A mio parere, dalla lettura combinata dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e dell’articolo 9 del regolamento n. 1560/2003 si evince che, qualora sia accertato che l’interessato è fuggito, il termine di sei mesi previsto all’articolo 29 di detto regolamento può essere (30) unilateralmente prorogato fino a un massimo di diciotto mesi dallo Stato membro richiedente, a condizione che esso informi senza ritardo l’altro Stato membro del rinvio del trasferimento in conformità alle modalità previste all’articolo 9 del regolamento di applicazione. Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 1560/2003 di applicazione, tale informazione deve essere fornita prima dello scadere del termine di sei mesi stabilito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III.

73.      Alla luce di quanto sopra, ritengo che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 1560/2003 debbano essere interpretati nel senso che la circostanza che, ancora prima della scadenza del termine di sei mesi, lo Stato membro richiedente informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto, che non può essere superiore a 18 mesi, entro il quale si procederà al trasferimento, sia sufficiente a prorogare il termine di trasferimento.

C.      Sulla terza questione pregiudiziale

74.      Con la terza questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede alla Corte, in primo luogo, se il trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente sia inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato membro, sarebbe ivi esposto ad un grave rischio di subire un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita. In secondo luogo, il giudice del rinvio si domanda se tale questione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. In terzo luogo, il giudice del rinvio si chiede secondo quali parametri si debbano valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta la protezione internazionale.

75.      Esaminerò, nell’ordine, le parti seconda, prima e terza di tale questione pregiudiziale.

1.      Osservazioni preliminari

76.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, le norme di diritto derivato dell’Unione, ivi incluse le disposizioni del regolamento Dublino III, devono essere interpretate e applicate nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Il divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti di cui all’articolo 4 della Carta è, al riguardo, di importanza fondamentale, poiché ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, di cui all’articolo 1 della Carta (31).

77.      Il sistema europeo comune di asilo è stato concepito in un contesto che permette di supporre che l’insieme degli Stati partecipanti, siano essi Stati membri o paesi terzi, rispetti i diritti fondamentali, compresi i diritti che trovano fondamento nella Convenzione di Ginevra, nonché nella CEDU, e che gli Stati membri possano fidarsi reciprocamente a tale riguardo. In ragione di questo principio di reciproca fiducia il legislatore dell’Unione ha adottato, in particolare, il regolamento Dublino III. In tali circostanze la Corte ha affermato che si debba presumere che il trattamento riservato ai richiedenti asilo in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU (32).

78.      Nonostante tale presunzione di conformità, la Corte ha altresì statuito che non si può escludere che il sistema europeo comune di asilo incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché potrebbe sussistere un rischio serio che un richiedente asilo sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (33).

79.      Al punto 99 della sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865) la Corte precisa, in modo chiaro, «che un’applicazione del regolamento [Dublino III] sulla base di una presunzione assoluta che i diritti fondamentali del richiedente asilo saranno rispettati nello Stato membro di regola competente a conoscere della sua domanda è incompatibile con l’obbligo degli Stati membri di interpretare e di applicare il regolamento [Dublino III] in conformità ai diritti fondamentali».

80.      Si tratta, pertanto, di una presunzione di conformità relativa.

81.      Nella sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punti da 86 a 94 e 106), la Corte ha altresì rilevato che il trasferimento dei richiedenti asilo nell’ambito del sistema di Dublino possa a talune condizioni essere incompatibile con il divieto di cui all’articolo 4 della Carta. La Corte ha statuito, dunque, che un richiedente asilo correva un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di detto articolo in caso di trasferimento verso uno Stato membro in cui si potesse temere seriamente l’esistenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti. Conseguentemente, in conformità al divieto previsto da detto articolo, spetta agli Stati membri non effettuare trasferimenti nel contesto del sistema di Dublino verso uno Stato membro ove essi non possano ignorare l’esistenza, in detto Stato membro, di simili carenze (34).

82.      La sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865) è stata pronunciata con riferimento a una situazione analoga a quella oggetto della sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (35), relativa all’articolo 3 della CEDU, vale a dire il trasferimento di un richiedente asilo da parte delle autorità belghe verso la Grecia, quale Stato membro competente per l’esame della sua domanda (36). Al punto 88 della sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865), la Corte ha constatato che la Corte EDU aveva dichiarato, in particolare, che il Regno del Belgio aveva violato l’articolo 3 della CEDU esponendo il richiedente asilo, da un lato, ai rischi risultanti dalle carenze della procedura di asilo in Grecia, atteso che le autorità belghe sapevano o dovevano sapere che non vi era alcuna garanzia che la sua domanda di asilo sarebbe stata esaminata seriamente dalle autorità greche, e, dall’altro lato, e con piena cognizione di causa, a condizioni detentive ed esistenziali costitutive di trattamenti degradanti (37).

83.      Se è vero che la giurisprudenza risultante dalla sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865), relativa all’esistenza nello Stato membro richiesto di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, è stata codificata nel 2013 all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, la Corte ha tuttavia statuito che non se ne può concludere che qualunque violazione di un diritto fondamentale da parte dello Stato membro competente si riverberi sugli obblighi degli altri Stati membri di rispettare le disposizioni del regolamento Dublino III (38). Infatti, non sarebbe compatibile con gli obiettivi e con il sistema del regolamento Dublino III che la minima violazione delle regole che disciplinano il sistema comune di asilo sia sufficiente per impedire qualunque trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro di regola competente (39).

84.      Per quanto riguarda i rischi associati al trasferimento strettamente inteso di un richiedente protezione internazionale, al punto 65 della sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127), la Corte ha affermato che esso deve essere operato soltanto in condizioni che escludono che tale trasferimento comporti un rischio reale che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta. A tal proposito, la Corte ha preso in considerazione lo stato di salute particolarmente grave dell’interessato (40), il quale può ostare al trasferimento verso un altro Stato membro anche in assenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente.

85.      Infatti, al punto 91 di tale sentenza la Corte ha espressamente respinto l’argomento della Commissione, secondo il quale dall’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III si evincerebbe che solo l’esistenza di carenze sistemiche nello Stato membro competente potrebbe incidere sull’obbligo di trasferimento di un richiedente asilo verso tale Stato membro (41).

86.      A tal riguardo, la Corte ha sottolineato il carattere generale dell’articolo 4 della Carta, che vieta i trattamenti inumani o degradanti in ogni loro forma, e il fatto che sarebbe manifestamente incompatibile con il carattere assoluto di questo divieto che gli Stati membri possano ignorare un rischio reale e acclarato di trattamenti inumani o degradanti che incomba su un richiedente asilo, adducendo quale pretesto che esso non risulterebbe da una carenza sistemica dello Stato membro competente (42).

87.      Il punto 95 della sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127) precisa che l’impossibilità di procedere al trasferimento nelle circostanze di tale causa «rispetta pienamente il principio della fiducia reciproca dal momento che, lungi dall’incidere sull’esistenza di una presunzione di rispetto dei diritti fondamentali in ogni Stato membro, essa garantisce che le situazioni eccezionali considerate nella presente sentenza siano debitamente prese in considerazione dagli Stati membri. Del resto, se uno Stato membro procedesse al trasferimento di un richiedente asilo in situazioni siffatte, il trattamento inumano e degradante che ne risulterebbe non sarebbe imputabile, direttamente o indirettamente, alle autorità dello Stato membro competente, ma solo al primo Stato membro» (43).

88.      Tale impostazione prudente, che pone l’accento sulla protezione dei principi fondamentali e dei diritti dell’Uomo, riflette altresì la giurisprudenza della Corte EDU. Infatti, al punto 126 della sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712), la Corte EDU ricorda «che la doglianza di una persona, secondo cui la sua restituzione a uno Stato terzo la esporrebbe a trattamenti proibiti dall’articolo 3 della [CEDU], deve imperativamente essere esaminata in modo attento da un’autorità nazionale».

89.      Diversamente dalle circostanze su cui vertevano le cause oggetto delle sentenze del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865), e del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127), che riguardavano, quanto alla prima, le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti e, quanto alla seconda, il trasferimento come tale del richiedente protezione internazionale, il procedimento principale verte sulla considerazione della situazione che potrebbe verificarsi dopo il riconoscimento della protezione internazionale nello Stato membro competente.

90.      Tale circostanza nuova non è ancora stata affrontata dalla Corte.

2.      Sulla seconda parte della terza questione pregiudiziale (44)

a)      Osservazioni presentate dalle parti

91.      Il governo italiano ha formulato osservazioni solo in merito alla terza questione pregiudiziale. Esso ritiene che le asserite carenze sistemiche attribuite allo Stato membro competente, come illustrate dal giudice del rinvio, riguarderebbero in realtà il sistema di previdenza e assistenza sociale vigente in tale Stato e non integrerebbero, dunque, nessuna violazione dell’articolo 4 della Carta ma, eventualmente, degli articoli 34 e 35 della Carta e delle disposizioni della direttiva 2011/95.

92.      Secondo il governo italiano, il giudice del rinvio si basa su un’ipotetica «carenza sistemica» che non sarebbe pertinente né rispetto alla procedura di asilo né rispetto alle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, ma riguarderebbe una fase successiva, vale a dire quella del soggiorno sul territorio dello Stato membro dei richiedenti asilo a cui sia stata riconosciuta la protezione internazionale. Il presunto rischio apparirebbe, dunque, ipotetico, dal momento che la situazione del sig. Jawo è quella di un richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale non è ancora stata oggetto né di esame né di decisione.

93.      Secondo il governo tedesco, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte, le norme di diritto derivato dell’Unione, ivi incluse le disposizioni del regolamento Dublino III, devono essere interpretate e applicate nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

94.      Su tali basi il governo tedesco ritiene che si debbano valutare, alla luce della direttiva 2011/95, le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta la protezione internazionale. Esso rileva che, mentre la direttiva 2013/33 impone norme minime uniformi relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, la direttiva 2011/95 e la Convenzione di Ginevra prevedono il trattamento nazionale o la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati terzi nello Stato membro competente. Secondo il governo tedesco, «[t]ale particolarità deve (…) essere considerata nel valutare le condizioni di vita dei soggetti cui è stata riconosciuta la protezione internazionale, laddove si debba verificare se queste condizioni di vita siano accettabili alla luce dell’articolo 4 della Carta. La scelta di tale tecnica legislativa derogatoria (45) incide anche sul campo di applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione. Infatti, in virtù dell’articolo 51, paragrafo 1, prima frase, della Carta, i diritti fondamentali dell’Unione si applicano [solo] nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, le misure che non sono incluse nella direttiva [2011/95] e rispetto alle quali gli Stati membri agiscano in forza della loro competenza propria non rientrano nel campo di applicazione della Carta [e] il criterio del diritto primario (ossia, nella fattispecie, l’articolo 4 della Carta) può essere applicato solo nella misura in cui il diritto derivato dell’Unione imponga obblighi agli Stati membri».

95.      Il governo tedesco aggiunge che il giudice del rinvio, nel suggerire che, in sede di valutazione delle condizioni di vita dei soggetti a cui sia stata riconosciuta la protezione internazionale, il giudice nazionale possa esaminare, in aggiunta al rispetto del livello di base imposto dal diritto dell’Unione con la direttiva 2011/95, anche la questione dell’eventuale violazione dell’articolo 4 della Carta, si basa su un’interpretazione erronea dei diritti fondamentali dell’Unione. Secondo il governo tedesco, inoltre, l’esame sostanziale della domanda di asilo spetta al solo Stato membro competente, mentre non si comprende su quale base fattuale lo Stato membro che procede al trasferimento possa condurre preliminarmente tale esame e concludere con certezza che nello Stato membro competente il riconoscimento sarà o meno concesso.

96.      Secondo il governo dei Paesi Bassi, lo Stato membro richiedente non può essere ritenuto responsabile del trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta che possa essere inflitto a un richiedente protezione internazionale successivamente alla procedura di asilo, poiché non è il trasferimento che espone direttamente il richiedente a tale trattamento. La responsabilità della situazione in cui il richiedente protezione internazionale «si troverà dopo la procedura di asilo ricade esclusivamente sullo Stato membro individuato dal regolamento di Dublino per l’espletamento della domanda di asilo e per l’assunzione degli obblighi a ciò connessi».

97.      Secondo il governo britannico, è evidente che attribuire al richiedente asilo la possibilità di contestare una decisione di trasferimento invocando le condizioni di vita nello Stato membro competente dopo il riconoscimento della protezione andrebbe ampiamente al di là del campo di applicazione del sistema di Dublino. In primo luogo, il testo del regolamento Dublino III non confermerebbe tale interpretazione estensiva. In secondo luogo, il sistema di Dublino mirerebbe a determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo e non riguarderebbe l’esito di quest’ultima o la situazione dei richiedenti asilo dopo il riconoscimento della protezione internazionale in caso di risposta positiva alla domanda. In terzo luogo, una volta che il richiedente asilo si trovi nello Stato membro competente, l’esito della domanda di asilo sarebbe incerto. In quarto luogo, il governo britannico ritiene che sarebbe prematuro invocare le condizioni di vita dopo il riconoscimento della protezione internazionale per contestare una decisione. Esso rileva che può passare molto tempo prima che il trasferimento abbia luogo e, quindi, la domanda di asilo sia esaminata e che anche le condizioni di vita possono mutare in maniera considerevole durante tale periodo. Secondo il governo britannico, qualora il beneficiario di protezione internazionale sia esposto al rischio di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta dopo il riconoscimento di detta protezione, egli potrebbe a quel punto, a condizione che si applichi il diritto dell’Unione, chiedere tutela giurisdizionale nello Stato membro ospitante.

98.      Il governo ungherese ritiene che il campo di applicazione del regolamento Dublino III sia relativo al periodo corrispondente all’espletamento della procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale e non contenga, invece, regole applicabili al periodo successivo. Secondo il citato governo, le circostanze successive al trasferimento e all’esame della domanda di protezione internazionale non sono tra quelle da considerare ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Esso rileva che le condizioni di vita dopo l’esame della domanda non possono essere valutate in modo oggettivo, poiché i sistemi sociali degli Stati membri non sono tra loro comparabili e non vi è alcun assetto nazionale che non possa essere criticato sotto il profilo dell’adeguatezza. Secondo il medesimo governo, occorre dunque chiedersi, in sostanza, come un’autorità o un giudice nazionale possano giustificare un’eventuale decisione di rifiuto del trasferimento nell’ambito della procedura «Dublino», dal momento che sarebbe necessario valutare previamente, in primo luogo, se al richiedente sarà riconosciuto lo status di rifugiato nello Stato membro competente e, in secondo luogo, se nel caso concreto esista un rischio reale che le condizioni di vita non siano soddisfacenti.

99.      La Commissione ritiene che il regolamento Dublino III, anche laddove interpretato alla luce dell’articolo 4 della Carta, non imponga agli Stati membri, da un lato, di valutare se i beneficiari di protezione internazionale corrano un rischio reale, dopo la conclusione della procedura di asilo, di cadere in miseria e, pertanto, di subire un trattamento contrario alla dignità umana nell’ambito delle procedure di trasferimento ai sensi di detto regolamento e, dall’altro lato, di sospendere i trasferimenti individuali per siffatte ragioni. Al contrario, la Commissione ritiene che, nella misura in cui lo Stato membro competente adempia ai propri obblighi nei confronti dei beneficiari di protezione ai sensi della Convenzione di Ginevra e della direttiva 2011/95, vale a dire, in particolare, conceda loro l’accesso effettivo, in maniera egualitaria, all’istruzione, all’occupazione, all’assistenza sociale, all’alloggio e all’assistenza sanitaria, gli altri Stati membri possano fare affidamento sul fatto che tale Stato e la relativa società nel suo complesso si impegnino sufficientemente affinché anche gli indigenti non siano trattati in modo inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

b)      Analisi

100. Il giudice del rinvio chiede alla Corte se la valutazione da parte dello Stato membro richiedente, prima di procedere al trasferimento, dell’esistenza di rischi reali e acclarati di trattamenti inumani o degradanti dell’interessato nello Stato membro richiesto, che potrebbe manifestarsi dopo l’eventuale riconoscimento della protezione internazionale, rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione o, al contrario, se si possa ritenere che detti rischi siano troppo remoti e, conseguentemente, sia prematuro valutarli e prenderli in considerazione (46).

101. L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta prevede che le sue disposizioni si applichino agli Stati membri solo quando questi attuano il diritto dell’Unione. Ne consegue che agli Stati membri, nel momento in cui trasferiscono un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, è imposto il rispetto dell’articolo 4 della Carta, relativo alla proibizione delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti (47).

102. Orbene, uno Stato membro, nel momento in cui procede al trasferimento di un richiedente protezione internazionale, dà attuazione all’articolo 29 del regolamento Dublino III, non invece alle disposizioni della direttiva 2011/95. Ne consegue che le osservazioni del governo tedesco, secondo cui la Carta non troverebbe applicazione nella fattispecie laddove la direttiva non imponga obblighi agli Stati membri, sono irrilevanti.

103. Per quanto riguarda le osservazioni del governo italiano in merito agli articoli 34 e 35 della Carta, occorre osservare che il giudice del rinvio non ha sollevato questioni relative a tali disposizioni. Inoltre, ritengo che l’eventuale applicazione di dette disposizioni non conduca a escludere la rilevanza dell’articolo 4 della Carta.

104. In aggiunta, oltre al carattere generale e assoluto del divieto di cui all’articolo 4 della Carta, il quale depone a favore di un’applicazione estensiva di quest’ultima disposizione, occorre ricordare che nella sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865), la Corte ha affermato che il sistema europeo comune di asilo è fondato sulla fiducia reciproca e su una presunzione di osservanza, da parte degli altri Stati membri, del diritto dell’Unione, segnatamente dei diritti fondamentali, che permettono dunque, in linea di principio, il trasferimento verso lo Stato membro competente dei richiedenti protezione internazionale, in applicazione del sistema di Dublino.

105. A tal proposito, si evince dai punti 84 e 85 della sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865), che, nella sua analisi del sistema europeo comune di asilo, la Corte ha preso in considerazione non solo la direttiva 2003/9, ma anche la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (48), e la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (49).

106. Occorre sottolineare che la direttiva 2004/83, al pari della direttiva 2011/95 che l’ha sostituita, conteneva regole sul trattamento dei beneficiari di protezione internazionale (50) e prevedeva, in particolare, norme minime relative all’accesso dell’interessato all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio. Orbene, a essere in questione nella causa principale è proprio l’accesso a tali diritti sociali in Italia.

107. Inoltre, il trattamento delle domande di protezione internazionale e l’eventuale riconoscimento di tale protezione sono, evidentemente, consecutivi alla determinazione dello Stato membro competente in conformità al regolamento Dublino III.

108. Se è vero che ogni fase è caratterizzata da regole e termini specifici, credo nondimeno che la determinazione dello Stato membro competente, l’esame della domanda di protezione internazionale e l’eventuale riconoscimento di tale protezione formino, nel loro insieme, il sistema europeo comune di asilo. Infatti, tutte queste fasi distinte sono consecutive e intrinsecamente connesse. Nelle circostanze della causa principale, in cui viene asserito un rischio di trattamento inumano e degradante nello Stato membro competente, sarebbe artificioso scindere le fasi relative al trasferimento del richiedente protezione internazionale, alla relativa accoglienza e all’esame della sua domanda, da quella concernente il riconoscimento della protezione internazionale, e ciò in considerazione, in particolare, della prossimità temporale di tutte le fasi citate (51). Ne consegue che invocare l’esistenza di un rischio reale di violazione dell’articolo 4 della Carta successivamente al riconoscimento della protezione internazionale non determina, a mio avviso, alcun esame prematuro.

109. Inoltre, dal momento che, prima di procedere al trasferimento di un richiedente protezione internazionale ai sensi dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, gli Stati membri sono tenuti a verificare la procedura di asilo e le condizioni di accoglienza nello Stato membro competente alla luce dell’articolo 4 della Carta, laddove sia asserita la sussistenza di carenze sistemiche a tal proposito in quest’ultimo Stato membro (52), l’argomento dei governi ungherese e tedesco, secondo cui gli Stati membri non sarebbero in grado di verificare le condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale in altri Stati, deve essere respinto. Per di più, tale mancata assunzione di responsabilità, fondata sulla carenza di strumenti pratici, è manifestamente contraria alla giurisprudenza della Corte EDU, la quale impone alle autorità nazionali l’obbligo di svolgere «un controllo rigoroso» (53).

110. Alla luce di quanto sopra, ritengo che rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione la questione se il trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente, in conformità all’articolo 29 del regolamento Dublino III, sia inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un rischio reale e acclarato di subire un trattamento quale quello previsto dall’articolo 4 della Carta.

3.      Sulla prima parte della terza questione pregiudiziale

111. A mio parere, dalla mia risposta alla seconda parte della terza questione del giudice del rinvio e, in particolare, dal carattere generale e assoluto del divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto all’articolo 4 della Carta, consegue che si debba rispondere alla prima parte della terza questione nel senso che il trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente, in conformità all’articolo 29 del regolamento Dublino III, è inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un grave rischio di subire un trattamento quale quello previsto dall’articolo 4 della Carta. Di conseguenza, il trasferimento di un richiedente protezione internazionale nell’ambito del regolamento Dublino III può avvenire solo qualora sia escluso che tale trasferimento comporti un rischio reale e acclarato che l’interessato subisca, dopo il riconoscimento della protezione internazionale, trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

4.      Terza parte della terza questione pregiudiziale

112. Nella terza parte della terza questione, il giudice del rinvio interroga la Corte sui parametri del diritto dell’Unione secondo i quali valutare le condizioni di vita in uno Stato membro di un soggetto cui è stata ivi riconosciuta la protezione internazionale.

113. Il giudice del rinvio rileva che la direttiva 2011/95 «per quanto concerne le condizioni di vita dei beneficiari di protezione, in linea generale promette solo un trattamento pari a quello nazionale [ad eccezione dell’articolo 32 della direttiva 2011/95 relativo all’accesso all’alloggio, il quale richiede solo l’uguaglianza di trattamento rispetto agli altri cittadini di Paesi terzi] e che, a norma del diritto dell’Unione, non sono stabiliti parametri (minimi) determinati nell’ambito del sistema europeo comune di asilo. Tuttavia, il trattamento nazionale può risultare inadeguato anche se i parametri minimi, per i cittadini nazionali, siano ancora conformi alla dignità umana. L’Unione, in tutto ciò, deve tenere in considerazione che si tratta di soggetti generalmente vulnerabili e sradicati, in ogni caso con diversi svantaggi, che da soli difficilmente sono in grado – o addirittura non lo sono affatto – di far valere in maniera efficace la posizione giuridica che l’ordinamento dello Stato di accoglienza in teoria garantisce loro. Essi devono quindi prima accedere alla stessa, o analoga, posizione di fatto in cui la popolazione locale si colloca per potersi avvalere dei propri diritti. Solo su questo reale sfondo sociale il principio del trattamento nazionale trova la sua giustificazione e la sua portata. Perciò, l’articolo 34 della direttiva 2011/95, a giusto titolo, richiede allo Stato membro di garantire l’accesso effettivo a programmi di integrazione che svolgano una funzione compensatoria specifica, in maniera illimitata ed incondizionata» (54).

114. Inoltre, il giudice del rinvio rileva che esso è in possesso, tra l’altro, della dettagliata relazione di ricerca della Schweizerische Flüchtlingshilfe (organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati), intitolata «Aufnahmebedingungen in Italien» (condizioni di accoglienza in Italia), del mese di agosto 2016 (v. pagg. 32 e seguenti) (55) (in prosieguo: la «relazione della Schweizerische Flüchtlingshilfe»), «da cui emergono indicazioni concrete riguardo al fatto che i beneficiari di protezione internazionale sarebbero esposti al rischio di una vita ai margini della società, impoveriti e senza fissa dimora» in tale Stato membro. «La Schweizerische Flüchtlingshilfe ha ribadito più volte che la totale insufficienza del sistema sociale sviluppato si spiega in gran parte con il fatto che la popolazione può contare sull’appoggio a strutture familiari o, in altre parole, che la situazione di degrado non è ancora un fenomeno generalizzato solo grazie a tale sostegno nella popolazione italiana. Tuttavia, tali strutture solidali mancano completamente per i beneficiari di protezione internazionale».

a)      Osservazioni presentate dalle parti

115. Il sig. Jawo ritiene che non abbia «alcun senso, per l’interessato, essere allontanato verso un paese in cui è vero che le condizioni dei richiedenti asilo sono adeguate, ma dove le condizioni dei beneficiari di protezione internazionale sono, invece, censurabili. In tale contesto l’esito favorevole della procedura di asilo avrebbe, dunque, come conseguenza un deterioramento della situazione giuridica dell’interessato. Ciò sarebbe assurdo. [C]iò dimostra altresì che l’affermazione secondo cui in Italia i richiedenti asilo non sarebbero esposti ad alcun rischio di subire un trattamento vietato dall’articolo 4 della Carta non può essere esatta».

116. Secondo il governo italiano il giudice del rinvio mette in discussione l’adeguatezza del sistema statale di integrazione sociale, le cui ipotetiche lacune sarebbero, di per sé, irrilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 3 della CEDU. Esso ritiene che non si possa parlare di trattamento inumano o degradante laddove esista un sistema di previdenza e assistenza sociale in base al quale lo Stato assicuri ai beneficiari di protezione internazionale gli stessi diritti e le stesse garanzie riconosciuti ai propri cittadini, per il solo fatto che le misure compensative di integrazione messe a punto in ragione della particolare fragilità e vulnerabilità di detti beneficiari non siano uguali a quelle adottate in altri Paesi o presentino talune lacune. Secondo il governo italiano, le carenze devono essere tali da impedire (o rischiare di impedire, con un sufficiente grado di probabilità) in concreto al beneficiario di protezione internazionale di esercitare, per il tramite delle prestazioni sociali essenziali, i diritti che gli sono riconosciuti. Esso considera che, affinché vi sia un grave rischio di trattamento inumano, le carenze devono creare un ostacolo concreto all’attuazione di dette prestazioni sociali minime ed essenziali, di tal guisa che sussista un grado di probabilità elevato che il beneficiario di protezione internazionale scivoli in una condizione di emarginazione e di povertà.

117. Il governo italiano rileva che la (sola) relazione di un’organizzazione non governativa presa in considerazione dal giudice del rinvio (56) è smentita da un’altra relazione indipendente (57) e, inoltre, non sembra contenere elementi sufficientemente precisi e idonei a provare la sussistenza di carenze sistemiche che possano condurre a derogare alle regole del regolamento Dublino III (58).

118. Il governo britannico ritiene che la direttiva 2011/95 sia stata formulata in modo tale che il trattamento di cui usufruiscono i beneficiari di protezione internazionale non sia migliore di quello concesso ai cittadini dello Stato membro che ha loro riconosciuto tale protezione.

119. Il governo ungherese ritiene che le autorità nazionali debbano agire nel rispetto della fiducia reciproca tra gli Stati membri.

120. Il governo dei Paesi Bassi dubita che le condizioni di vita in Italia, descritte dal giudice del rinvio, possano essere qualificate come trattamento contrario all’articolo 4 della Carta. Secondo detto governo, tali condizioni non sono comparabili alla situazione su cui vertevano la sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865) e la sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609).

121. La Commissione considera che l’articolo 34 della direttiva 2011/95 è formulato con molte riserve. Secondo la Commissione, gli Stati membri devono garantire solamente l’accesso ai programmi di integrazione «che ritengano adeguati, tenendo conto delle esigenze specifiche dei beneficiari dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria» oppure creare i presupposti affinché i beneficiari di protezione abbiano accesso a programmi di integrazione non statali. Essa ritiene che l’esistenza di carenze nella preparazione dei programmi di integrazione non possa essere sufficiente a configurare l’ipotesi prospettata nella domanda di pronuncia pregiudiziale, secondo la quale i beneficiari di protezione che non siano ancora riusciti a integrarsi nella società, per esempio, per mancanza di conoscenze linguistiche potrebbero considerarsi abbandonati da una società e da uno Stato che si dimostrerebbero indifferenti a una sorte così misera da violare la loro dignità umana.

122. La Confederazione svizzera non ha formulato osservazioni sulla terza questione pregiudiziale.

b)      Analisi

123. In conformità al principio della fiducia reciproca, si deve presumere che il trattamento riservato ai beneficiari di protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU (59). Tale presunzione di conformità è rafforzata se lo Stato membro recepisce in diritto (60), ma anche in fatto, le disposizioni del capo VII della direttiva 2011/95 («Contenuto della protezione internazionale»), il quale prevede un livello di previdenza e assistenza sociale per i beneficiari in questione che è equivalente, o addirittura superiore, a quello previsto dalla Convenzione di Ginevra.

124. Tuttavia, come ho già indicato al paragrafo 80 delle presenti conclusioni, tale presunzione di conformità (in particolare, all’articolo 4 della Carta) non è assoluta.

125. Ritengo che dai punti 253 e 254 della sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609), la cui pertinenza in un contesto analogo a quello in esame nella causa principale è stata confermata dalla sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 88), si evinca per analogia che uno Stato membro violi l’articolo 4 della Carta laddove i beneficiari di protezione internazionale, totalmente dipendenti dall’assistenza pubblica, si trovino di fronte all’indifferenza delle autorità in misura tale da ritrovarsi in una situazione di privazione o di penuria così grave da risultare contraria alla dignità umana.

126. In altre parole, per poter ritenere che sussistano motivi gravi e acclarati di credere che i beneficiari di protezione internazionale siano esposti al rischio reale di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in ragione delle loro condizioni di vita nello Stato membro competente in applicazione del regolamento Dublino III, essi devono trovarsi in una situazione di particolare gravità (61) derivante da carenze sistemiche nei loro confronti in detto Stato membro.

127. La verifica se esista o meno una siffatta situazione nello Stato membro competente si può fondare esclusivamente sulla valutazione concreta dei fatti e delle circostanze. Il giudice del rinvio deve prendere in considerazione tutte le prove fornite dall’interessato su tutti i fatti rilevanti in relazione alle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nello Stato membro competente, ivi compresi le disposizioni legislative e regolamentari e il modo in cui tale normativa è effettivamente attuata.

128. Inoltre, anche le relazioni e i documenti emessi dalle istituzioni e dalle agenzie europee, dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa (in prosieguo: il «Commissario») e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), così come le relazioni e i documenti predisposti da organizzazioni non governative (62), permettono al giudice del rinvio di valutare le condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale e, quindi, di stimare i rischi reali ai quali l’interessato sarebbe esposto nel caso di un suo trasferimento verso lo Stato membro competente (63).

129. Se è vero che, nell’ambito di tale valutazione, i documenti emessi dalla Commissione, dall’UNHCR e dal Commissario hanno una particolare pertinenza(64), nondimeno il giudice del rinvio deve valutare anche che rilevanza e che peso dare ai dati e alle stime contenuti nelle relazioni e nei documenti predisposti da organizzazioni non governative, alla luce, in particolare, del metodo utilizzato nel prepararli e dell’imparzialità di tali organizzazioni.

130. La circostanza che uno Stato membro non rispetti gli obblighi previsti dal capo VII della direttiva 2011/95 è un fatto rilevante. Tuttavia, si deve ricordare che, poiché la violazione dell’articolo 4 della Carta in relazione alle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nello Stato membro competente richiede che essi si trovino in una situazione di particolare gravità (65), l’inosservanza delle disposizioni della direttiva 2011/95 non costituisce necessariamente una prova sufficiente.

131. Durante l’udienza, diversi governi (nello specifico, quelli tedesco, belga e dei Paesi Bassi) hanno insistito su tale nozione di situazione di particolare gravità, per evitare di incentivare «una migrazione secondaria» e di creare un «onere unilaterale» a carico degli Stati che eroghino le prestazioni migliori, rilevando come le differenze tra i sistemi nazionali di previdenza e assistenza sociale non violino il diritto dell’Unione.

132. Il governo dei Paesi Bassi ha sottolineato come si debba derogare al principio della fiducia reciproca solo per motivi molto gravi e come le violazioni meno gravi della direttiva 2011/95 debbano essere sanzionate solo per il tramite di un’azione dinanzi al giudice nazionale o attraverso il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione dinanzi alla Corte.

c)      Applicazione al caso di specie

133. Rilevo che il giudice del rinvio prende in considerazione esclusivamente carenze sistemiche, non invece casi isolati.

134. Inoltre, nel fascicolo presentato alla Corte non vi è alcun indicatore del fatto che il sig. Jawo si trovi in una situazione di particolare vulnerabilità che lo contraddistingua dagli altri beneficiari di protezione internazionale in Italia (66) e lo collochi tra le persone vulnerabili ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2011/95.

135. Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, il sig. Jawo è maggiorenne, celibe e in buona salute.

136. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale sembra potersi evincere che dal punto di vista giuridico, ossia sotto il profilo formale, i beneficiari di protezione internazionale in Italia abbiano accesso, in particolare, all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sociale e all’assistenza sanitaria alle stesse condizioni dei cittadini italiani (67). Per quanto riguarda l’accesso all’alloggio, viene fatta distinzione tra i cittadini nazionali e i richiedenti protezione internazionale.

137. Sebbene consideri tale distinzione deplorevole sul piano umano, si deve sottolineare che essa è, in linea di principio, conforme al diritto dell’Unione e al diritto internazionale pubblico. Infatti, diversamente dalle disposizioni relative all’occupazione (68), all’istruzione (69), all’assistenza sociale (70) e all’assistenza sanitaria (71), le quali impongono un trattamento identico a quello riservato ai cittadini dello Stato membro (72), l’articolo 32 della direttiva 2011/95 e l’articolo 21 della Convenzione di Ginevra prevedono espressamente la citata distinzione tra i cittadini dello Stato membro e i beneficiari di protezione internazionale per quanto riguarda l’accesso all’alloggio.

138. Inoltre, rilevo a tal proposito che al punto 249 della sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609), viene affermato che «l’articolo 3 [della CEDU] non può essere interpretato nel senso di imporre alle Alte Parti Contraenti di garantire il diritto all’alloggio a chiunque sia sottoposto alla loro giurisdizione (…). Non è nemmeno possibile desumere dall’articolo 3 [della CEDU] un dovere generale di fornire ai rifugiati un sostegno economico che permetta loro di mantenere un certo tenore di vita» (73).

139. Occorre sottolineare, nondimeno, che sebbene gli Stati membri non siano, in linea di principio, tenuti a concedere il trattamento nazionale ai beneficiari di protezione internazionale per quanto riguarda l’accesso all’alloggio, essi devono tuttavia garantire che tali beneficiari abbiano accesso, in particolare, all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sociale e all’assistenza sanitaria alle stesse condizioni dei cittadini nazionali, assicurando in tal modo l’effettivo raggiungimento dei risultati previsti dalla direttiva 2011/95. Può avvenire che, nello Stato membro competente, l’unico modo di raggiungere tali risultati sia concedere ai beneficiari di protezione internazionale il trattamento nazionale per quanto riguarda l’accesso all’alloggio. Detta conclusione può discendere solo da un’analisi dettagliata e motivata. A tal riguardo, devo menzionare in questa sede che, durante l’udienza comune dell’8 maggio 2018, il governo italiano ha affermato che in Italia i beneficiari di protezione internazionale hanno diritto al trattamento nazionale.

140. Si deve altresì rilevare che il giudice del rinvio, sulla base della relazione della Schweizerische Flüchtlingshilfe, ha espresso dubbi sul rispetto da parte della Repubblica italiana degli obblighi imposti dall’articolo 34 della direttiva 2011/95, relativo all’accesso agli strumenti di integrazione. A tal proposito, il giudice del rinvio ha fatto riferimento alle difficoltà linguistiche incontrate dai beneficiari di protezione internazionale, le quali renderebbero difficile l’accesso effettivo alla previdenza e assistenza sociale in condizioni di parità con i cittadini nazionali.

141. È vero che l’assenza di programmi di integrazione che tengano conto delle esigenze specifiche dei beneficiari di protezione internazionale (74) e delle loro difficoltà, in particolare, di natura linguistica costituirebbe, laddove accertata dal giudice del rinvio, un fatto rilevante.

142. Infatti, si evince chiaramente dal punto 261 della sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609), che la circostanza che i beneficiari di protezione internazionale incontrino difficoltà dovute all’assenza di conoscenze linguistiche e alla mancanza di qualsivoglia rete di sostegno costituisce un fatto rilevante nell’ambito della valutazione della sussistenza di un trattamento contrario all’articolo 3 della CEDU (e, conseguentemente, all’articolo 4 della Carta).

143. Dalle sovraesposte considerazioni risulta che, in virtù del principio della fiducia reciproca, si deve presumere che il trattamento riservato ai beneficiari di protezione internazionale in ogni Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU. Tale presunzione di conformità è rafforzata se lo Stato membro recepisce in diritto e in fatto le disposizioni del capo VII della direttiva 2011/95, rubricato «Contenuto della protezione internazionale», il quale prevede un livello di previdenza e assistenza sociale per i beneficiari di cui trattasi che è equivalente, se non addirittura superiore, a quello previsto dalla Convenzione di Ginevra. Tuttavia, tale presunzione di conformità, in particolare, all’articolo 4 della Carta non è assoluta. Per poter ritenere che sussistano motivi gravi e acclarati di credere che i beneficiari di protezione internazionale siano esposti al rischio reale di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in ragione delle loro condizioni di vita nello Stato membro competente in applicazione del regolamento Dublino III, i detti beneficiari devono trovarsi in una situazione di particolare gravità, derivante da carenze sistemiche nei loro confronti in detto Stato membro.

144. La verifica se esista o meno una siffatta situazione nello Stato membro competente si può fondare esclusivamente sulla valutazione concreta dei fatti e delle circostanze. Il giudice del rinvio deve prendere in considerazione tutte le prove fornite dall’interessato su tutti i fatti rilevanti in relazione alle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nel citato Stato membro competente, ivi compresi le disposizioni legislative e regolamentari e il modo in cui tale normativa è effettivamente attuata. Ritengo che una sola relazione di un’organizzazione non governativa sulle condizioni di vita nello Stato membro competente potrebbe non avere sufficiente valore probatorio. In tal caso, il giudice del rinvio deve fondarsi su altre prove e, eventualmente, nominare un consulente.

145. È certo che solo l’adozione di una vera e propria politica in tema di protezione internazionale nell’ambito dell’Unione, con il suo proprio bilancio, la quale garantisca condizioni di vita minime e uniformi ai beneficiari di tale protezione, permetterebbe di ridurre, se non addirittura di eliminare, il verificarsi di casi come quelli oggetti del procedimento principale, assicurando che il principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri sancito dall’articolo 80 TFUE sia realmente applicato a beneficio non solo degli Stati membri, ma soprattutto degli esseri umani coinvolti. Tuttavia, durante l’attesa (probabilmente lunga!) spetta agli Stati membri, ivi compresi i giudici nazionali, garantire la piena efficacia delle norme attualmente in vigore, come illustrato in precedenza.

VI.    Conclusioni

146. Alla luce di tutte le sovraesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) come segue:

1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che un richiedente protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi di cui all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento che sia intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento, adducendo, se del caso, di non essere fuggito e rilevando, conseguentemente, che detto termine non poteva essere prorogato.

2)      L’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, a condizione che un richiedente protezione internazionale sia stato informato delle restrizioni al suo diritto di libera circolazione ovvero dell’obbligo di comparire dinanzi alle autorità nazionali competenti in conformità alle disposizioni interne che recepiscono l’articolo 5 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, il fatto che egli abbia smesso di soggiornare nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato, di tal guisa che dette autorità non erano informate di dove dimorasse e che, pertanto, un trasferimento pianificato non abbia potuto avere luogo, è sufficiente a prorogare il termine previsto per il trasferimento a diciotto mesi.

3)      L’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 e l’articolo 9 del regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento n. 343/2003, come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, devono essere interpretati nel senso che, qualora sia accertato che l’interessato è fuggito, il termine di sei mesi previsto all’articolo 29 del regolamento n. 604/2013 può essere unilateralmente prorogato fino a un massimo di diciotto mesi dallo Stato membro richiedente, a condizione che esso informi senza ritardo l’altro Stato membro del rinvio del trasferimento in conformità alle modalità previste all’articolo 9 del regolamento n. 1560/2003. Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, di quest’ultimo regolamento, tale informazione deve essere fornita dallo Stato membro richiedente prima dello scadere del termine di sei mesi stabilito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 604/2013. L’interessato deve essere in fuga sia alla data del tentato trasferimento che alla data in cui lo Stato membro richiedente ne informa lo Stato membro competente.

4)      L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 604/2013 e l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 1560/2003 devono essere interpretati nel senso che la circostanza che, ancora prima della scadenza del termine di sei mesi, lo Stato membro richiedente informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto, che non può essere superiore a 18 mesi, entro il quale si procederà al trasferimento, è sufficiente a prorogare il termine di trasferimento.

5)      La questione se il trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente, in conformità all’articolo 29 del regolamento n. 604/2013, sia inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un rischio reale e acclarato di subire un trattamento ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali, rientra nel campo di applicazione del diritto dell’Unione.

6)      Il trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente, in conformità all’articolo 29 del regolamento n. 604/2013, è inammissibile se questi, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un grave rischio di subire un trattamento quale quello previsto dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali. Di conseguenza, il trasferimento di un richiedente protezione internazionale nell’ambito del regolamento n. 604/2013 può avvenire solo qualora sia escluso che tale trasferimento comporti un rischio reale e acclarato che l’interessato subisca, dopo il riconoscimento della protezione internazionale, trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali.

7)      In virtù del principio della fiducia reciproca, si deve presumere che il trattamento riservato ai beneficiari di protezione internazionale in ogni Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta dei diritti fondamentali, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967, e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Tale presunzione di conformità è rafforzata se lo Stato membro recepisce in diritto e in fatto le disposizioni del capo VII della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, rubricato «Contenuto della protezione internazionale», il quale prevede un livello di previdenza e assistenza sociale per i beneficiari in questione che è equivalente, se non addirittura superiore, a quello previsto dalla Convenzione di Ginevra. Tuttavia, tale presunzione di conformità, in particolare, all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali non è assoluta. Per poter ritenere che sussistano motivi gravi e acclarati di credere che i beneficiari di protezione internazionale siano esposti al rischio reale di essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali, in ragione delle loro condizioni di vita nello Stato membro competente in applicazione del regolamento n. 604/2013, essi devono trovarsi in una situazione di particolare gravità, derivante da carenze sistemiche nei loro confronti in detto Stato membro.

8)      La verifica se esista o meno una siffatta situazione nello Stato membro competente si fonda esclusivamente sulla valutazione concreta dei fatti e delle circostanze. Il giudice del rinvio deve prendere in considerazione tutte le prove fornite dall’interessato su tutti i fatti rilevanti in relazione alle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nel citato Stato membro competente, ivi compresi le disposizioni legislative e regolamentari e il modo in cui tale normativa è effettivamente attuata. Una sola relazione di un’organizzazione non governativa sulle condizioni di vita nello Stato membro competente potrebbe non avere sufficiente valore probatorio. In tal caso, il giudice del rinvio deve fondarsi su altre prove e, eventualmente, nominare un consulente.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2013, L 180, pag. 31.


3      Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954).


4      Il regolamento Dublino III ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1).


5      GU 2003, L 222, pag. 3.


6      GU 2014, L 39, pag. 1.


7      GU 2011, L 337, pag. 9.


8      V. il regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (GU 2013, L 180, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento Eurodac»).


9      V. articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III.


10      V. punto 9 della domanda di pronuncia pregiudiziale.


11      La portata del ricorso che il richiedente protezione internazionale può presentare avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti è precisata al considerando 19 del regolamento Dublino III, il quale indica che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo stabilito dal regolamento in parola avverso le decisioni di trasferimento deve vertere, da una parte, sull’esame dell’applicazione di tale regolamento e, dall’altra, sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito.


12      Il giudice del rinvio «ritiene che non ci sia alcuna indicazione nella disposizione di cui all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento [Dublino III] che sanzioni un comportamento censurabile dello straniero. [Il giudice del rinvio] (…) individua la ratio della disposizione nella tutela del corretto funzionamento del sistema di Dublino. Tale funzionamento può essere ostacolato in maniera significativa laddove il trasferimento non possa essere effettuato tempestivamente a causa di motivi che non ricadono nella sfera di responsabilità dello Stato membro che procede al trasferimento. D’altronde, in termini pratici, sorgerebbero spesso difficoltà considerevoli nell’indagine dei fatti e nella ricerca della prova se si dovesse dimostrare che i soggetti interessati si sono allontanati dal loro alloggio o si sono nascosti proprio per impedire o ostacolare il trasferimento».


13      L’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III fa invece riferimento al «rischio di fuga», inteso come «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente o un cittadino di un paese terzo o un apolide oggetto di una procedura di trasferimento possa fuggire». Mi pare che tale nozione sia relativa alle circostanze in cui un richiedente protezione internazionale può essere trattenuto ai fini del trasferimento (articolo 28 del regolamento citato). Di conseguenza, l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III non riguarda le circostanze in cui un richiedente protezione internazionale deve essere considerato fuggito ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III.


14      «wenn die betreffende Person flüchtig ist».


15      Rilevo che nemmeno gli articoli 8 e 9 del regolamento n. 1560/2003 contengono precisazioni al riguardo.


16      V. sentenza del 23 novembre 2006, Lidl Italia (C‑315/05, EU:C:2006:736, punto 42). Occorre sottolineare che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III non contiene richiami al diritto nazionale. V. anche sentenza del 30 aprile 2014, Kásler et Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 37): «Secondo la giurisprudenza consolidata, dall’imperativo tanto dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto del principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata devono di norma essere oggetto nell’intera Unione europea di un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi».


17      GU 2013, L 180, pag. 60.


18      GU 2013, L 180, pag. 96.


19      Sulle modalità del trasferimento si vedano gli articoli 8 e 9 del regolamento di applicazione.


20      Infatti, in caso di superamento del termine di sei mesi, è in linea di principio lo Stato membro richiedente a essere competente per l’espletamento della domanda di protezione internazionale.


21      A maggior ragione dal momento che il richiedente protezione internazionale, dovendo essere raggiungibile ed essendo informato dello svolgimento della procedura, può comunicare con estrema facilità la sua assenza dalla dimora abituale, soprattutto se prolungata.


22      Secondo il governo tedesco, «sorgerebbero spesso difficoltà considerevoli nell’indagine dei fatti e nella ricerca della prova se si dovesse dimostrare che gli interessati si sono allontanati dal loro alloggio o si sono nascosti proprio per impedire o ostacolare il trasferimento. Tale interpretazione potrebbe indurre i richiedenti asilo a inventarsi delle storie per proteggersi. I richiedenti asilo “fuggono” ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III laddove, per motivi a loro imputabili, siano irreperibili per le autorità dello Stato membro che effettuano il trasferimento. Un tale caso si verifica, in particolare, qualora i richiedenti asilo smettano di soggiornare, per un periodo relativamente lungo, nell’alloggio a loro attribuito, l’autorità non sia più a conoscenza di dove si trovino e, conseguentemente, un trasferimento pianificato non possa essere eseguito» (punti 67 e 68 delle osservazioni del governo tedesco). Il governo ungherese ritiene che, «[i]n aggiunta al fatto che le intenzioni del richiedente costituiscono un elemento soggettivo completamente estraneo all’obiettivo perseguito dal regolamento [Dublino III], condizionare il trasferimento a tale circostanza comprometterebbe l’effettivo funzionamento del regolamento» (punto 10 delle osservazioni del governo ungherese). Il governo dei Paesi Bassi rileva che «l’interpretazione corretta della nozione “fuggire”, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento [Dublino III], è quella che fa riferimento, in sostanza, all’assenza di (…) reperibilità. Tale interpretazione non implica che l’irreperibilità sia intenzionale affinché si possa constatare che il richiedente asilo è “fuggito”. La ragione precisa o il motivo preciso dell’irreperibilità del richiedente asilo è irrilevante per il sistema, in considerazione dell’obiettivo di garantire che il trasferimento verso lo Stato membro competente abbia luogo il più rapidamente possibile» (punti 15 e 16 delle osservazioni del governo dei Paesi Bassi). Secondo la Confederazione svizzera, «il richiedente asilo ha l’obbligo di tenersi a disposizione delle autorità e di comunicare loro eventuali assenze. Ciò deve avvenire, a fortiori, qualora il trasferimento verso lo Stato [membro] competente sia imminente e l’interessato ne sia a conoscenza. Devono, dunque, essere intese come “fuga” le situazioni imputabili all’interessato in cui il trasferimento è impossibile a causa dell’assenza di quest’ultimo» (punto 11 delle osservazioni della Confederazione svizzera). Il corsivo è mio.


23      Articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2013/33. Il corsivo è mio.


24      Articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2013/33. L’articolo 7, paragrafo 4, di detta direttiva dispone che «[g]li Stati membri prevedono la possibilità di concedere ai richiedenti un permesso temporaneo di allontanarsi dal luogo di residenza di cui ai paragrafi 2 e 3 e/o dall’area assegnata di cui al paragrafo 1. Le decisioni sono adottate caso per caso, in modo obiettivo ed imparziale e sono motivate qualora siano negative».


25      Articolo 7, paragrafo 5, della direttiva 2013/33.


26      Se del caso, tali informazioni possono anche essere fornite oralmente. A tal proposito, le condizioni di accoglienza includono il diritto alla libera circolazione.


27      Il governo britannico ha osservato che «nel Regno Unito i richiedenti asilo che non sono detenuti sono assoggettati a taluni obblighi, compreso quello di presentarsi regolarmente al Ministero dell’Interno. La maggioranza dei richiedenti asilo deve comparire ogni settimana. Coloro i quali sono soggetti a procedure di trasferimento in forza del regolamento Dublino III devono comparire ogni due settimane, a meno che l’interessato non sia coinvolto in una controversia relativa all’opposizione all’allontanamento; in tale ultimo caso, infatti, l’interessato deve rendere conto una volta al mese. L’obiettivo di tale procedura è assicurare che il richiedente asilo resti in contatto con le autorità competenti e che queste ultime siano informate della sua presenza e del luogo in cui si trova. Infine, essa garantisce la corretta applicazione del regolamento, permettendo l’effettuazione dei trasferimenti. Inoltre, il Regno Unito adotta una politica secondo cui un richiedente asilo che non si presenti per tre volte alle autorità è considerato fuggito. Il Regno Unito ritiene che tale impostazione offra il necessario livello di certezza sia alle autorità nazionali che al richiedente asilo, nonché un certo grado di flessibilità nel caso in cui il richiedente asilo non si presenti per delle buone ragioni (ad esempio, per motivi di salute)» (punti 51 e 52 delle osservazioni del governo britannico).


28      Durante l’udienza l’Ufficio non è stato in grado di rispondere alla questione se tali informazioni fossero state fornite. Spetterà al giudice del rinvio accertare tale punto.


29      V., a contrario, l’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che prevede espressamente la concertazione tra gli Stati membri interessati.


30      La proroga del termine di sei mesi non è automatica.


31      V. sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 59 e giurisprudenza ivi citata). Peraltro, i diritti concessi ai richiedenti asilo sono stati rafforzati dal regolamento Dublino III. V., in questo senso, sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C-63/15, EU:C:2016:409, punto 34). Secondo la Corte, il divieto di trattamenti inumani o degradanti previsto dall’articolo 4 della Carta corrisponde a quello previsto dall’articolo 3 della CEDU e, in tal misura, il suo senso e la sua portata sono, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, gli stessi che gli conferisce detta convenzione (sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a., C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 67). Inoltre, si ricava dall’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU che non sia ammessa alcuna deroga all’articolo 3 della stessa, e la Corte ha confermato che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») relativa all’articolo 3 della CEDU debba essere presa in considerazione per interpretare l’articolo 4 della Carta (sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a., C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 68).


32      V., in questo senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punti da 78 a 80).


33      V. sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 81).


34      V. sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


35      CE:ECHR:2011:0121JUD003069609.


36      Occorre rilevare che, nell’esaminare le condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in Grecia, la Corte EDU ha preso in considerazione gli obblighi imposti alle autorità greche dalla direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18) (Corte EDU, 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punto 263).


37      Nella sentenza citata la Corte EDU ha ritenuto che una situazione di estrema privazione materiale potesse risultare problematica rispetto all’articolo 3 della CEDU. Essa ha constatato, inoltre, che la situazione in cui si era trovato il ricorrente in questione era di particolare gravità. La Corte EDU ha rilevato che «[il ricorrente aveva dichiarato] di aver vissuto per mesi nell’indigenza più totale e di non aver potuto soddisfare nessuno dei suoi bisogni più elementari: nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio. A ciò si era aggiunta l’angoscia costante di essere aggredito e derubato, nonché la mancanza totale di prospettive di miglioramento della situazione» (Corte EDU, 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punti da 252 a 254). Al punto 263 di tale sentenza la Corte EDU afferma che le autorità greche «non hanno tenuto debitamente conto della vulnerabilità dell’interessato nella sua veste di richiedente asilo e devono essere ritenute responsabili, in ragione del loro atteggiamento passivo, delle condizioni in cui egli si è trovato per mesi, vivendo per strada, privo di risorse, senza avere accesso ai servizi igienici e senza disporre di alcun mezzo con cui provvedere ai suoi bisogni fondamentali. La Corte ritiene che il ricorrente sia stato vittima di un trattamento umiliante indicativo di una mancanza di rispetto per la sua dignità e che tale situazione abbia, senza alcun dubbio, suscitato in lui sentimenti di paura, di angoscia e d’inferiorità tali da gettarlo nella disperazione. La Corte considera che simili condizioni di vita, unite al fatto di essere rimasto a lungo in uno stato di insicurezza e all’assenza totale di prospettive di miglioramento della situazione, hanno raggiunto la soglia di gravità richiesta dall’articolo 3 della [CEDU]».


38      V. sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 82).


39      V. sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 84).


40      Sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti 71, 73 e 96). In tale causa la Corte ha ritenuto che non vi fossero serie ragioni di credere che sussistessero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente. Tuttavia, la Corte ha statuito che non può escludersi che il trasferimento strettamente inteso di un richiedente asilo il cui stato di salute sia particolarmente grave possa, di per sé, comportare, per quest’ultimo, un rischio reale di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, e questo indipendentemente dalla qualità dell’accoglienza e delle cure disponibili nello Stato membro competente per l’esame della sua domanda. La Corte ha considerato che, in circostanze in cui il trasferimento di un richiedente asilo che presenti un disturbo mentale o fisico particolarmente grave comporterebbe il rischio reale e acclarato di un deterioramento significativo e irrimediabile del suo stato di salute, detto trasferimento costituirebbe un trattamento inumano e degradante, ai sensi di tale articolo. La Corte ha aggiunto che spetta alle autorità dello Stato membro che deve procedere al trasferimento e, eventualmente, ai suoi giudici, eliminare qualsivoglia dubbio serio relativo all’impatto del trasferimento sullo stato di salute dell’interessato, adottando le precauzioni necessarie affinché il suo trasferimento si svolga in condizioni che consentano di tutelare in modo adeguato e sufficiente lo stato di salute di tale persona. Nell’ipotesi in cui, tenuto conto della particolare gravità del disturbo del richiedente asilo interessato, l’adozione di dette precauzioni non sia sufficiente a garantire che il suo trasferimento non comporti il rischio reale di un aggravamento significativo e irrimediabile del suo stato di salute, spetta alle autorità dello Stato membro sospendere l’esecuzione del trasferimento dell’interessato, e questo finché il suo stato non gli renda possibile un trasferimento siffatto.


41      Rilevo che nella sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712), la Corte EDU ha affermato che, al fine di accertare se il trasferimento di un richiedente protezione internazionale in applicazione del sistema di Dublino costituisse un trattamento inumano o degradante, occorreva indagare se, alla luce della situazione generale relativa al meccanismo di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente e della situazione particolare dei ricorrenti, esistessero motivi seri e acclarati di ritenere che, in caso di restituzione all’Italia, i ricorrenti rischiassero di subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU. La Corte EDU ha ritenuto che, nel periodo rilevante, la situazione dell’Italia non poteva in alcun modo essere comparata a quella della Grecia all’epoca della sentenza del 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609), e che l’impostazione da adottare nella causa de quo non poteva essere la stessa di quest’ultima sentenza. Tuttavia, la Corte EDU ha statuito che se i ricorrenti (una coppia con sei figli minori beneficianti di una protezione speciale in considerazione dei loro bisogni particolari e della loro estrema vulnerabilità) fossero stati restituiti all’Italia senza che le autorità svizzere avessero preliminarmente ottenuto dalle autorità italiane una garanzia individuale relativa, da un lato, al fatto che la presa in carico fosse adeguata all’età dei bambini e, dall’altro lato, al mantenimento dell’unità familiare, vi sarebbe stata una violazione dell’articolo 3 della CEDU.


42      V. sentenza del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 93).


43      Il corsivo è mio.


44      Come ho annunciato al punto 75 delle presenti conclusioni, esaminerò innanzitutto la seconda parte della terza questione sollevata dal giudice del rinvio.


45      Vale a dire, il trattamento nazionale anziché le norme minime uniformi.


46      Il giudice del rinvio ritiene che il sistema europeo comune di asilo non si limiti a disciplinare la sola fase dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e la procedura di riconoscimento di tale protezione. Tale sistema dovrebbe prendere altresì in considerazione i soggetti a cui lo Stato membro competente ha riconosciuto la protezione internazionale all’esito della procedura. Nell’opinione di detto giudice, la valutazione se in uno Stato membro sussistano carenze sistemiche ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III non può limitarsi alla risposta alla questione se le condizioni di accoglienza, nel corso della procedura stessa, siano prive di siffatte carenze, ma deve considerare anche la situazione successiva. «Ciò comporta necessariamente la conseguenza che carenze sistemiche, non conformi alla dignità umana, presenti anche solo in una fase, implicano che i soggetti non possano essere reindirizzati verso la procedura presso gli Stati membri in linea di principio competenti, se sono esposti ad un rischio reale di maltrattamento ai sensi dell’articolo 4 della Carta (…)».


47      V., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punti da 64 a 69).


48      GU 2004, L 304, pag. 12. La direttiva 2004/83 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/95.


49      GU 2005, L 326, pag. 13. La direttiva 2005/85 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2013/32.


50      O di protezione sussidiaria.


51      Infatti, a norma dell’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, «[g]li Stati membri provvedono affinché la procedura di esame sia espletata entro sei mesi dalla presentazione della domanda». Secondo questa stessa disposizione, il termine di sei mesi inizia a decorrere dal momento in cui si è determinato lo Stato membro competente per il suo esame ai sensi del regolamento Dublino III, il richiedente si trova nel territorio di detto Stato membro ed è stato preso in carico dall’autorità competente.


52      V. articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.


53      V. punto 126 della sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712).


54      Il giudice del rinvio ha aggiunto che «[c]iò concretamente significa anche che tale regime europeo comune in materia di asilo deve garantire, per lo meno, un programma di integrazione appropriato, che tenga conto delle carenze del gruppo di soggetti qui considerati e, in quanto necessario, garantisca ed assicuri in tutti i casi un trattamento nazionale nei fatti e non solo sulla carta, il che può corrispondere a requisiti diversi da Stato membro a Stato membro. Nel quadro del diritto dell’Unione, tali standard rappresentano i requisiti minimi per il diritto di asilo e i diritti umani» (punto 25 delle osservazioni del giudice del rinvio).


55      Disponibile su internet all’indirizzo seguente: http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/resources/160908-sfh-bericht-italien-f.pdf.


56      Ossia la relazione della Schweizerische Flüchtlingshilfe.


57      Ossia la relazione di un’altra organizzazione non governativa, l’AIDA [Asylum Information Database, Country report: Italy (febbraio 2017)] (in prosieguo: la «relazione dell’AIDA). Disponibile su internet all’indirizzo seguente: http://www.asylumineurope.org/reports/country/italy.


58      Secondo il governo italiano, «nella citata relazione dell’AIDA non viene rilevata nessuna situazione critica, tale da determinare un trattamento inumano e degradante, nemmeno nell’ambito del sistema di integrazione e assistenza successivo al riconoscimento della protezione internazionale» (punto 88 delle osservazioni del governo italiano).


59      V. sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punti da 78 a 80).


60      In conformità all’articolo 288 TFUE, infatti, lo Stato membro è vincolato per quanto riguarda il risultato da raggiungere.


61      V. Corte EDU, 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punto 254.


62      Come le relazioni della Schweizerische Flüchtlingshilfe e dell’AIDA, citate dal giudice del rinvio.


63      V., per analogia, sentenza del 30 maggio 2013, Halaf (C-528/11, EU:C:2013:342, punto 44) e Corte EDU, 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punto 255.


64      A tal proposito, la Corte ha fatto specificamente riferimento al ruolo attribuito all’UNHCR dalla Convenzione di Ginevra, nel rispetto della quale le norme di diritto dell’Unione in materia di asilo devono essere interpretate [v. sentenza del 30 maggio 2013, Halaf (C-528/11, EU:C:2013:342, punto 44)].


65      V. Corte EDU, 21 gennaio 2011, M. S. S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, punto 254.


66      Per quanto riguarda la protezione rafforzata delle persone vulnerabili, si veda l’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, il quale prevede che «[n]ell’attuare il (…) capo [VII sul contenuto della protezione internazionale], gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone con disturbi psichici e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologia, fisica o sessuale». Rilevo che al punto 94 della sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712), la Corte EDU ha affermato «che, per rientrare nell’ambito della proibizione di cui all’articolo 3 [della CEDU], il trattamento deve presentare una soglia minima di gravità. La valutazione di tale soglia minima è relativa; essa dipende dall’insieme delle circostanze del caso, tra cui, in particolare, la durata del trattamento e le sue conseguenze fisiche e psicologiche, così come, talvolta, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima».


67      Secondo la Commissione, «è importante rilevare che l’ordinanza di rinvio non menziona alcun elemento che indichi che in Italia vengano rifiutati ai rifugiati o ai beneficiari di protezione sussidiaria, in modo discriminatorio, le prestazioni sociali generalmente applicabili» (punto 43 delle osservazioni della Commissione».


68      V. articolo 26 della direttiva 2011/95. V., altresì, articoli da 17 a 19 della Convenzione di Ginevra.


69      V. articolo 27 della direttiva 2011/95 e articolo 22 della Convenzione di Ginevra.


70      V. articolo 29 della direttiva 2011/95. In conformità all’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, «[i]n deroga alla regola generale di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono limitare l’assistenza sociale concessa ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria alle prestazioni essenziali, che in tal caso sono offerte allo stesso livello e alle stesse condizioni di ammissibilità previste per i cittadini dello Stato membro in questione». V., altresì, articoli 23 e 24 della Convenzione di Ginevra.


71      V. l’articolo 30 della direttiva 2011/95. V. altresì l’articolo 24 della Convenzione di Ginevra.


72      Il considerando 41 della direttiva 2011/95 prevede che, «[a]ffinché i beneficiari di protezione internazionale possano far valere effettivamente i diritti e i benefici sanciti dalla presente direttiva, è necessario tenere conto delle loro particolari esigenze e degli specifici problemi di integrazione cui devono far fronte. Tale considerazione di norma non dovrebbe tradursi in un trattamento più favorevole di quello concesso dagli Stati membri ai propri cittadini, ferma restando la facoltà degli stessi di introdurre o mantenere norme più favorevoli». Il corsivo è mio.


73      Occorre, tuttavia, ricordare che, secondo la medesima sentenza, una situazione di estrema privazione materiale può risultare problematica rispetto all’articolo 3 della CEDU e, conseguentemente, all’articolo 4 della Carta.


74      Spetterà al giudice del rinvio verificare la veridicità di tale asserzione.