Language of document : ECLI:EU:C:2018:225

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 10 aprile 2018 (1)

Causa C89/17

Secretary of State for the Home Department

contro

Rozanne Banger

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) London (United Kingdom) [Tribunale superiore (Sezione immigrazione e asilo) Londra (Regno Unito)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articolo 21 TFUE – Ritorno di un cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui è cittadino dopo aver esercitato i diritti di libera circolazione in un altro Stato membro – Diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo che sia membro della famiglia allargata di un cittadino dell’Unione – Applicazione analogica della direttiva 2004/38/CE – Articolo 3, paragrafo 2, lettera b) – Obbligo di agevolare, conformemente alla legislazione nazionale, l’ingresso e il soggiorno del partner del cittadino dell’Unione con cui questi abbia una relazione stabile – Diritto di impugnazione – Portata del controllo giurisdizionale – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»






I.      Introduzione

1.        La sig.ra Rozanne Banger è originaria del Sudafrica. Il suo partner, il sig. Philip Rado, è un cittadino del Regno Unito. Essi hanno convissuto nei Paesi Bassi, dove alla sig.ra Banger è stata rilasciata una carta di soggiorno in quanto partner non coniugata di un cittadino dell’Unione.

2.        Nei Paesi Bassi, alla sig.ra Banger è stata concessa una carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE (2). Tale disposizione stabilisce che lo Stato membro ospitante è tenuto, conformemente alla sua legislazione nazionale, ad agevolare l’ingresso e il soggiorno di alcune persone non incluse nella nozione di familiari di cui all’articolo 2, paragrafo 2,della direttiva, fra cui il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia dimostrato di avere una relazione stabile.

3.        In seguito, la coppia ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito. Le autorità competenti di tale Stato hanno respinto la domanda per il rilascio della carta di soggiorno alla sig.ra Banger sulla base del fatto che non era coniugata con il proprio partner.

4.        Nel Regno Unito vi è altresì una normativa che mira a recepire l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Tuttavia, tale Stato membro è lo Stato membro diorigine del sig. Rado. La sig.ra Banger non ha potuto, dunque, beneficiare di tale regime, in quanto esso si applica unicamente ai «membri della famiglia allargata» dei cittadini dell’Unione originari di altri Stati membri, e non ai «membri della famiglia allargata» di cittadini del Regno Unito che facciano ritorno in tale Stato membro dopo aver esercitato i loro diritti di soggiorno in un altro Stato membro.

5.        È in tale contesto che l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber), London, United Kingdom [Tribunale superiore (sezione immigrazione e asilo), Londra (Regno Unito)] ha sottoposto a questa Corte questioni riguardanti, in sostanza, due punti.

6.        Anzitutto, se gli Stati membri siano tenuti a rilasciare un’autorizzazione al soggiorno o agevolare il soggiorno di un partner non coniugato di un cittadino dell’Unione, il quale accompagni quest’ultimo al suo rientro nel suo Stato membro di origine. Nel caso di risposta affermativa, il giudice del rinvio chiede se il fondamento di un tale obbligo risieda nella direttiva 2004/38 o nei principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Singh (3).

7.        In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede chiarimenti in merito alla portata della tutela giurisdizionale richiesta dal diritto dell’Unione nell’ambito delle situazioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, nello specifico contesto dell’ordinamento giuridico dell’Inghilterra e del Galles, il quale prevede differenti strumenti di tutela giurisdizionale, in funzione del tipo di pretesa fatta valere: un ricorso di piena giurisdizione (appeal procedure) e un riesame giurisdizionale.(judicial review). In considerazione dei fatti della presente causa, in cui la contestazione proviene da un «membro della famiglia allargata», il procedimento di riesame giurisdizionale è l’unica azione legale disponibile.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

8.        Il considerando 6 del preambolo della direttiva 2004/38/CE così recita:

«Per preservare l’unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione».

9.        L’articolo 2 di tale direttiva contiene le seguenti definizioni:

«1)      “cittadino dell’Unione”: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;

2)      “familiare”:

a)      il coniuge;

b)      il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;

(…)

3)      “Stato membro ospitante”: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno».

10.      L’articolo 3 della direttiva enuncia quanto segue:

«1.      La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

2.      Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:

(…)

b)      il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.

Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno».

11.      Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva, le «procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica».

12.      L’articolo 31 della direttiva prevede quanto segue:

«1.      L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica».

(…)

3.      I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28.

(…)».

B.      Diritto del Regno Unito

13.      L’Immigration (European Economic Area) Regulations 2006 [regolamento del 2006 sull’immigrazione (Spazio economico europeo)], SI (Statutory Instrument) 2006/1003, (in prosieguo: il «regolamento SEE»), recepisce la direttiva 2004/38.

14.      L’articolo 8 contiene disposizioni relative ai «membri della famiglia allargata»:

«1) Ai sensi del presente regolamento, si considera “membro della famiglia allargata” chiunque non sia un familiare di un cittadino del SEE in base all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b) o c), e soddisfi le condizioni previste ai paragrafi 2, 3, 4 o 5.

(…)

5) Soddisfa la condizione prevista al presente paragrafo la persona che è il partner di un cittadino del SEE (diverso dal partner civile) e può provare all’autorità chiamata a decidere che intrattiene una relazione duratura con il cittadino del SEE.

6) Ai sensi del presente regolamento, per “cittadino del SEE interessato” si intende, con riferimento al membro di una famiglia allargata, il cittadino del SEE, o il suo coniuge o partner civile, che è, parente del membro della famiglia allargata ai sensi dei paragrafi 2, 3 e 4, o il cittadino del SEE che è il partner del membro della famiglia allargata ai sensi del paragrafo 5».

15.      L’articolo 9, nella versione che risulta applicabile all’epoca dei fatti, prevede la seguente disciplina con riferimento ai familiari dei cittadini del Regno Unito:

«1) Se le condizioni di cui al paragrafo 2 sono soddisfatte, il presente regolamento si applica ai familiari di un cittadino britannico come se il cittadino britannico fosse un cittadino del SEE.

2) Tali condizioni sono le seguenti:

a)      il cittadino britannico soggiorna in uno Stato del SEE in qualità di lavoratore subordinato o autonomo o vi ha soggiornato in tale qualità prima di fare ritorno nel Regno Unito; e

b)      se il familiare del cittadino britannico è il suo coniuge o il suo partner civile, essi convivono in uno Stato del SEE o hanno contratto matrimonio o un’unione civile registrata e convissuto in tale Stato prima che il cittadino britannico facesse ritorno nel Regno Unito.

(…)».

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

16.      La sig.ra Banger è una cittadina sudafricana. Il suo partner, il sig. Rado, è un cittadino del Regno Unito. Dal 2008 al 2010, la coppia ha convissuto in Sudafrica. Nel maggio del 2010, essi si sono trasferiti nei Paesi Bassi, dove il sig. Rado ha accettato un’offerta di lavoro. Le autorità dei Paesi Bassi hanno rilasciato alla sig.ra Banger una carta di soggiorno, in qualità di membro della famiglia allargata di un cittadino dell’Unione, sulla base delle disposizioni nazionali di recepimento dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

17.      Nel 2013, la coppia ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito. La domanda della sig.ra Banger per il rilascio della carta di soggiorno nel Regno Unito è stata respinta dal Secretary of State for the Home Department (Ministro dell’Interno, Regno Unito; in prosieguo: il «Secretary of State»), con la motivazione che ella non era coniugata con il sig. Rado. Tale decisione è stata fondata sull’articolo 9 del regolamento SEE, che disciplina i diritti dei familiari di cittadini del Regno Unito che ritornino in tale Stato membro dopo aver esercitato il diritto di libera circolazione. Ai sensi della decisione emessa dal Secretary of State sulla base di tale disposizione, per essere riconosciuto come familiare di un cittadino britannico, il richiedente deve essere il coniuge o il partner registrato di quest’ultimo (4).

18.      La sig.ra Banger ha impugnato tale decisione presso il First-tier Tribunal (Tribunale di primo grado, Regno Unito). Tale tribunale ha ritenuto che la sig.ra Banger, in quanto partner, non cittadina dell’Unione, di un cittadino britannico che aveva esercitato i suoi diritti di libera circolazione e fatto ritorno nel suo Stato membro di origine, godesse dei benefici stabiliti nella sentenza Singh (5).

19.      Il Secretary of State è stato autorizzato a ricorrere in appello dinanzi all’Upper Tribunal [Tribunale superiore (il giudice del rinvio)], sulla base del motivo che il First-tier Tribunal (Tribunale di primo grado) sarebbe incorso in un errore di diritto. Il giudice del rinvio sottolinea l’importanza delle statuizioni nella sentenza Singh (6) ai fini del procedimento principale. Esso rileva che, nella presente causa, l’unica differenza è che la sig.ra Banger e il sig. Rado non erano coniugati, al contrario del sig. e della sig.ra Singh. Nonostante l’applicazione dei principi derivanti da tale pronuncia al caso di specie richieda un «passo relativamente breve», il giudice del rinvio esprime dubbi in merito alla base giuridica di una simile estensione. Esso evidenzia, inoltre, la specificità dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38: i soggetti ivi considerati non possono rivendicare un diritto di soggiorno. Inoltre, tale disposizione attribuisce agli Stati membri un chiaro margine di discrezionalità, sicché le relative normative possono variare da uno Stato membro all’altro.

20.      In tali circostanze, l’Upper Tribunal (Tribunale superiore) ha deciso di disporre la sospensione del procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se i principi sanciti nella sentenza [Singh, C‑370/90] obblighino uno Stato membro a rilasciare o, in alternativa, ad agevolare il rilascio di un’autorizzazione al soggiorno ad una persona non cittadina dell’Unione che sia il partner non coniugato di un cittadino dell’Unione il quale, dopo aver esercitato il diritto conferitogli dal Trattato di circolare liberamente in un altro Stato membro per svolgervi un’attività lavorativa, faccia ritorno con detto partner nello Stato membro di origine.

2) In subordine, se sussista un obbligo di rilasciare o, in alternativa, di agevolare il rilascio di tale autorizzazione al soggiorno in forza della [direttiva 2004/38].

3) Qualora il diniego di un’autorizzazione al soggiorno non sia fondato su un esame approfondito della situazione personale del richiedente, né sia giustificato da motivi adeguati o sufficienti, se tale decisione risulti illegittima in quanto in contrasto con l’articolo 3, paragrafo 2, della [direttiva 2004/38].

4) Se risulti compatibile con la [direttiva 2004/38] una disposizione di diritto nazionale che impedisca di impugnare dinanzi a un giudice la decisione di un’autorità amministrativa con cui è negata la concessione della carta di soggiorno ad una persona la quale rivendichi la propria condizione di componente della famiglia allargata».

21.      La sig.ra Banger, i governi spagnolo, austriaco, polacco, del Regno Unito e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. La sig.ra Banger, i governi spagnolo e del Regno Unito e la Commissione europea hanno esposto le loro argomentazioni nel corso dell’udienza del 17 gennaio 2018.

IV.    Valutazione

22.      Le presenti conclusioni sono strutturate come segue: anzitutto, mi occuperò, congiuntamente, delle prime tre questioni pregiudiziali, in quanto ciascuna di esse riguarda, in un modo o nell’altro, la base giuridica e il contenuto dell’obbligo degli Stati membri relativo all’ingresso e al soggiorno dei partner non coniugati di cittadini dell’Unione «rimpatrianti» (A). Successivamente, esaminerò la quarta questione, relativa alla portata del controllo giurisdizionale richiesto in relazione ai «membri della famiglia allargata» (7), ai quali l’articolo 3, paragrafo 2 fa riferimento (B).

A.      Questioni da 1) a 3): «membri della famiglia allargata» di «cittadini dell’Unione rimpatrianti»

23.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se i principi stabiliti nella sentenza Singh (8) obblighino gli Stati membri a rilasciare un’autorizzazione al soggiorno o agevolare il soggiorno dei partner non coniugati di cittadini dell’Unione «rimpatrianti». Con la seconda questione si chiede, in subordine, se l’obbligo di rilasciare un’autorizzazione al soggiorno o agevolare il soggiorno discenda direttamente dalla direttiva 2004/38.

24.      Tali questioni si sviluppano su due piani. In primo luogo, esse riguardano la base giuridica dei diritti che la normativa dell’Unione attribuisce ai partner di cittadini dell’Unione «rimpatrianti» che abbiano con questi ultimi una relazione stabile. In secondo luogo, esse sono già implicitamente intese ad ottenere chiarimenti circa il contenuto di tali diritti, vale a dire se sussista un obbligo di rilasciare un’autorizzazione o un mero obbligo di facilitarne il rilascio. Quest’ultimo problema è in seguito, pienamente esplicitato nella terza questione pregiudiziale. Con essa si chiede se sia o meno illegittima, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, una decisione di diniego che non sia fondata su un esame approfondito della situazione personale del richiedente e che non sia giustificata da motivi adeguati o sufficienti.

25.      A mio avviso, questi piani sono chiaramente interconnessi: la base giuridica determina il contenuto che, a sua volta, esige un determinato livello di motivazione di una decisione. Ritengo, pertanto, che le prime tre questioni debbano essere trattate congiuntamente.

26.      Pertanto, nella presente sezione esaminerò, anzitutto, la base giuridica dei diritti attribuiti dal diritto dell’Unione ai partner non coniugati di cittadini dell’Unione «rimpatrianti». A tal fine, valuterò se un’applicazione analogica delle norme della direttiva 2004/38 ai cittadini dell’Unione «rimpatrianti» nello Stato di cittadinanza, quale sviluppata dalla giurisprudenza della Corte, possa essere estesa all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b) della direttiva (1). In secondo luogo, considererò l’interpretazione di tale disposizione, che introduce il concetto di «agevolazione» all’ingresso e al soggiorno dei partner con coniugati (2). In terzo luogo, esaminerò le implicazioni delle relative risultanze nella presente causa (3).

1.      Cittadini rimpatrianti

27.      La direttiva 2004/38 contiene una disposizione specifica, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), relativa alla situazione di persone con cui un cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile. Tale disposizione non è, tuttavia, applicabile in quanto tale alla presente causa. Le disposizioni della direttiva relative a diritti di ingresso e soggiorno non si applicano a situazioni in cui un cittadino dell’Unione o i suoi familiari invochino tali disposizioni nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino il cittadino dell’Unione (9).

28.      Lo stesso deve valere, logicamente, in relazione all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, per quanto concerne i «membri della famiglia allargata».

29.      Innegabilmente, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, a differenza dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa, non fa espresso riferimento ai membri della famiglia allargata che accompagnino il cittadino dell’Unione o che lo raggiungano in un altro Stato membro. Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 2, come confermato dal considerando 6 della direttiva, contiene un chiaro riferimento agli obblighi dello «Stato membro ospitante». Inoltre, le medesime considerazioni di ordine sistematico e teleologico che hanno indotto la Corte a ritenere la direttiva 2004/38 inapplicabile ai cittadini di un paese terzo, familiari di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui quest’ultimo è cittadino (10), si applicano anche ai «membri della famiglia allargata».

30.      Tuttavia, la circostanza che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non sia applicabile, di per sé, a una situazione quale quella in oggetto, non rende tale disposizione totalmente irrilevante. La giurisprudenza della Corte ha stabilito, sulla base di norme di diritto primario, che vari strumenti di diritto derivato in materia di libera circolazione possono essere applicati in via analogica, e in determinate circostanze, a situazioni concernenti cittadini dell’Unione che fanno ritorno nello Stato membro di cui sono cittadini dopo aver esercitato i loro diritti di libera circolazione (11).

31.      La logica sulla quale tale corrente di giurisprudenza è stata sviluppata è quella della dissuasione. Ai sensi della sentenza Singh, «un cittadino di uno Stato membro potrebbe essere dissuaso dal lasciare il suo paese di origine per esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, ai sensi del Trattato CEE, nel territorio di un altro Stato membro, se non potesse fruire, allorché ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, di agevolazioni in fatto di entrata e di soggiorno almeno equivalenti a quelle di cui può disporre, in forza del Trattato CEE o del diritto derivato, nel territorio di un altro Stato membro» (12). I diritti di libera circolazione non potrebbero produrre pienamente i propri effetti se un cittadino dell’Unione potesse «essere dissuaso dall’esercitarli dagli ostacoli frapposti, nel suo paese d’origine, all’entrata e al soggiorno del suo coniuge» (13). Nella sentenza Eind, la Corte ha aggiunto che tale effetto dissuasivo può altresì derivare dalla semplice «prospettiva (…) di non poter proseguire, dopo il suo rientro nel suo Stato membro di origine, una convivenza con stretti congiunti, eventualmente iniziata per effetto del matrimonio o del ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante» (14).

32.      Su tale fondamento, la Corte ha statuito che l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE implica che le condizioni previste dal diritto derivato relativamente ai diritti di ingresso e soggiorno dei familiari, in particolare quelle contenute nella direttiva 2004/38, sono applicabili, per analogia, ai familiari dei «cittadini dell’Unione rimpatrianti» nei confronti dello Stato membro di cittadinanza del cittadino dell’Unione. Nella causa O. e B., la Corte ha ulteriormente chiarito che tale giurisprudenza risulta applicabile a situazioni in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato la sua vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza (15).

33.      Nella presente causa, il governo del Regno Unito ha sostenuto che i principi che emergono dalla giurisprudenza sopra citata riguardano esclusivamente i diritti di ingresso e soggiorno di cui alla direttiva 2004/38. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, tali diritti spettano ai soli familiari che rientrano nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva, e non ai «membri della famiglia allargata» di cui all’articolo 3, paragrafo 2. Pertanto, nella presente causa, che concerne un partner non coniugato, al quale l’articolo 3, paragrafo 2 non attribuisce siffatto diritto di soggiorno, un’applicazione analogica basata sull’effetto dissuasivo, per quanto riguarda l’esercizio dei diritti di libera circolazione da parte di cittadini dell’Unione, del diniego dei diritti di soggiorno ai familiari, non sarebbe giustificata.

34.      Non condivido questa tesi.

35.      In primo luogo, va riconosciuto che la giurisprudenza più recente della Corte in materia di diritti di soggiorno dei familiari, cittadini di paesi terzi, di «cittadini dell’Unione rimpatrianti» si è occupata dello status di coloro cui è applicabile la nozione di «familiare» ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2004/38 (16). Non ritengo che tale circostanza possa essere travisata e interpretata come un’intenzione di limitare siffatta giurisprudenza ai soli «familiari». Una spiegazione altrettanto plausibile (dal mio punto di vista, in effetti, decisamente più plausibile) è che le cause in questione fanno riferimento esclusivamente a familiari semplicemente perché riguardano, unicamente, familiari.

36.      In secondo luogo, ciò è particolarmente vero in quanto la logica complessiva sottesa all’applicazione analogica della direttiva ai «familiari» è pienamente valida anche in riferimento ai «membri della famiglia allargata». Come la Commissione ha correttamente rilevato, ciò vale, soprattutto, per il partner non coniugato di un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente, nel rispetto del diritto dell’Unione, nello Stato membro ospitante (17).

37.      La logica della dissuasione o deterrenza è stata basata sulla premessa per cui un cittadino dell’Unione sarebbe scoraggiato a trasferirsi, in quanto alle persone che gli sono più prossime sarebbe impedito di raggiungerlo. Deve riconoscersi che la sensibilità sociale sta mutando e che, al giorno d’oggi, esistono varie forme di convivenza. Pertanto, il potenziale effetto dissuasivo potrebbe, in realtà, essere più forte in relazione ai partner di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2004/38, che non rispetto ad alcune delle categorie elencate all’articolo 2, paragrafo 2 della stessa. Non sto certamente sostenendo che ciò sia sempre vero. Sto semplicemente suggerendo che, per stabilire chi sia effettivamente «prossimo» a una persona, le generalizzazioni formali e preconfezionate risultano poco appropriate (18).

38.      Si può aggiungere che il considerando 6 della direttiva 2004/38 conferma che «l’unità della famiglia in senso più ampio» è l’obiettivo sotteso all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva (19). Dunque, in questo senso, legami familiari «più ampi» sono parimenti idonei a essere consolidati o sviluppati nello Stato membro ospitante, nel corso di un soggiorno effettivo del cittadino dell’Unione e possono, in effetti, dare origine al medesimo tipo di considerazioni fondate sull’effetto dissuasivo.

39.      Ciò detto, devo ammettere che vi è un elemento, nella logica della dissuasione/deterrenza, utilizzata per giustificare un’applicazione analogica della direttiva 2004/38 ai cittadini dell’Unione che fanno ritorno nel loro Stato membro di origine, che non è pienamente convincente. In breve, la deterrenza implica consapevolezza. È piuttosto arduo essere dissuasi da una determinata linea di condotta, nel momento in cui si prende una decisione, da qualcosa di cui non si conosce l’esistenza o la cui futura esistenza è, nel migliore dei casi, incerta.

40.      Da un lato, tale effetto dissuasivo può prodursi quando il membro della famiglia (allargata) beneficia già di un determinato status nello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione è cittadino, prima del trasferimento all’estero. La libera circolazione può risultare rischiosa quando al familiare, cittadino di un paese terzo, è già stato riconosciuto lo status di immigrato nello Stato membro di origine del cittadino dell’Unione. Accompagnando il cittadino dell’Unione in un altro Stato membro, si potrebbe perdere tale status. Nonostante il diritto dell’Unione garantisca un diritto di soggiorno nel secondo (o in un successivo) Stato membro ospitante, la prospettiva di non beneficiare di tali diritti al momento del rientro nello Stato membro di origine può, ragionevolmente, produrre un effetto dissuasivo nella personale valutazione dei fattori da tenere in considerazione nella decisione di esercitare la libertà di circolazione (20).

41.      Dall’altro lato, mi risulta intellettualmente molto più arduo concepire un simile effetto dissuasivo quanto alla decisione di abbandonare lo Stato membro di origine, al fine di esercitare la libertà circolazione, nei casi in cui il cittadino dell’Unione non abbia ancora sviluppato una vita familiare. Mi chiedo se sia realmente sensato ipotizzare, ad esempio, che un neolaureato, che stia eventualmente considerando l’ipotesi di un trasferimento in un altro Stato membro (o in vari Stati membri), possa essere influenzato, nella sua scelta, dal pensiero che, in tale Stato membro (o nel secondo, o nel terzo), potrebbe incontrare l’amore della sua vita e che, in seguito, ipotizzando che l’amore della sua vita sia effettivamente tale, potrebbe voler fare ritorno, stabilmente, nel proprio Stato membro di origine con tale persona, ma dopo aver realizzato che al suo ritorno a tale persona non sarebbe concesso un diritto di soggiorno, scoperta fatta a seguito di uno studio accurato e dettagliato delle regole nazionali in materia di immigrazione del suo Stato membro di origine, che potrebbero risultare ancora applicabili in un futuro prossimo o distante, ossia nel momento in cui decidesse di ritornare, possa addirittura essere dissuaso dall’esercitare, del tutto, i suoi diritti di libera circolazione e, semplicemente, rimanere a casa.

42.      Indipendentemente da scenari in cui l’incontro dell’amore della propria vita all’estero è la forza trainante che spinge all’esercizio dei diritti di libera circolazione, la natura remota e ipotetica di simili eventi e la loro (in)plausibilità come effettiva base di scelte nella vita di qualunque persona normale non costituiscono, probabilmente, il più solido fondamento per l’applicazione analogica della direttiva 2004/38 (nel senso di un’effettiva estensione della sua applicabilità al di là del suo chiaro dato testuale) ai cittadini dell’Unione rimpatrianti.

43.      Suggerirei pertanto alla Corte di porre maggiormente l’accento su giustificazioni alternative per un’applicazione in via analogica delle condizioni di cui alla direttiva 2004/38 ai cittadini dell’Unione «rimpatrianti» e ai membri della loro famiglia (allargata): non necessariamente il fatto che una persona sia probabilmente dissuasa ex ante dal trasferirsi, bensì che non possa essere effettivamente penalizzata, ex post, per averlo fatto (21).

44.      La giurisprudenza della Corte ha già riconosciuto, nel contesto del divieto di discriminazione, che l’esercizio della libertà di circolazione non deve comportare uno svantaggio ex post per i cittadini dell’Unione (22). A mio giudizio, un simile svantaggio si verifica nei casi in cui, pur se i cittadini «rimpatrianti» sono soggetti al medesimo regime normativo applicabile ai cittadini che non hanno mai esercitato la libertà di circolazione, le norme nazionali non riconoscono i legami familiari sviluppati o consolidati in un altro Stato membro (23)

45.      Situazioni obbiettivamente diverse non possono e non dovrebbero essere trattate allo stesso modo. Diversamente, c’è il pericolo (questa volta non remoto né ipotetico) che la libera circolazione risulti nell’attribuzione di un biglietto di sola andata. Essa condurrebbe al perpetuarsi dell’espatrio. Ciò mal si concilia con il diritto di muoversi e soggiornare liberamente all’interno dell’Unione europea (24).

46.      In breve, anche se, forse, con un certo affinamento, le considerazioni che hanno indotto la Corte ad applicare analogicamente i diritti di ingresso e di soggiorno dei familiari di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, ai cittadini dell’Unione che facciano ritorno al loro Stato membro di origine, sono parimenti applicabili ai «membri della famiglia allargata» di cui all’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva.

47.      Di conseguenza, si deve concludere, in linea con le osservazioni dei governi spagnolo, austriaco e polacco, nonché della Commissione, che un cittadino di un paese terzo, partner di un cittadino dell’Unione con cui ha una relazione stabile, il quale abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione, non deve ricevere, al momento del ritorno del cittadino dell’Unione nel suo Stato membro di origine, un trattamento meno favorevole rispetto a quello previsto dalla direttiva per i membri della famiglia allargata di cittadini dell’Unione che esercitino la loro libertà di circolazione in altri Stati membri.

2.      L’«agevolazione» dell’ingresso e del soggiorno di «membri della famiglia allargata» di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38

48.      Con la prima e la seconda questione pregiudiziale si chiede alla Corte se i requisiti previsti dal diritto dell’Unione impongano agli Stati membri di rilasciare o, in alternativa, agevolare il rilascio di un’autorizzazione al soggiorno al partner non coniugato di un cittadino dell’Unione rimpatriante.

49.      Come correttamente sostenuto dalla Commissione e da tutti i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, un’applicazione in via analogica dei principi derivanti dalla sentenza Singh (25)implica che i partner non coniugati di «cittadini dell’Unione rimpatrianti» possano accedere al regime di agevolazione previsto dall’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 2004/38.

50.      La sig.ra Banger non contraddice tale impostazione, perlomeno non direttamente. La sua argomentazione è più sottile: pur rimanendo all’interno dell’obbligo di agevolazione contenuto nell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, essa sostiene che il diniego di rilasciarle una carta di soggiorno non è stato fondato su un esame approfondito della sua situazione personale e non è stato adeguatamente e sufficientemente motivato, come richiesto da tale disposizione.

51.      La Corte ha già chiarito, nella sentenza Rahman (26), il contenuto dello specifico «regime di agevolazione» di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, applicabile ai membri della famiglia allargata. Tale pronuncia evidenzia tre dimensioni di tale regime: i) l’assenza di un diritto automatico di ingresso e soggiorno; ii) l’obbligo di predisporre un regime di agevolazione, ai sensi del diritto nazionale, in relazione al quale gli Stati membri godono di un margine di discrezionalità; iii) e il fatto che tale discrezionalità non è illimitata.

52.      In primo luogo, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non attribuisce ai membri della famiglia allargata un diritto di ingresso o soggiorno. Vi è una distinzione effettuata tra i familiari, quali definiti all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva, che hanno un diritto di ingresso e soggiorno, e le altre persone indicate all’articolo 3, paragrafo 2, il cui ingresso e soggiorno «devono unicamente essere agevolati» (27). Quindi, la direttiva 2004/38 non obbliga gli Stati membri ad accogliere qualsiasi domanda di ingresso o soggiorno presentata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2 (28). Inoltre, e in contrasto con i diritti di cui godono i cittadini dell’Unione e i loro familiari, l’articolo 3, paragrafo 2 non è «sufficientemente precis[o] da consentire a colui che richiede l’ingresso o il soggiorno di avvalersi direttamente di tale disposizione per invocare criteri di valutazione che, a suo giudizio, dovrebbero essere applicati alla sua domanda» (29).

53.      In secondo luogo, in contrapposizione al diritto di soggiorno, il contenuto concreto dell’obbligo di agevolazione previsto dall’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 2004/38 è stato definito come l’obbligo degli Stati membri di garantire che la loro normativa preveda criteri che consentano ai membri della famiglia allargata di ottenere una decisione relativa alla loro domanda di soggiorno. Tale decisione dovrebbe essere fondata su un esame approfondito della loro situazione personale e, in caso di diniego, dovrebbe essere motivata (30).

54.      Come confermato al considerando 6 della direttiva 2004/38, la situazione dei «membri della famiglia allargata» dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante «sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone». Ciò significa che, in assenza di regole più precise nella direttiva, e alla luce dei termini «sulla base della propria legislazione nazionale», gli Stati membri possiedono un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione dei fattori da tenere in considerazione nell’esecuzione dei propri obblighi ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2 (31). Tale discrezionalità implica, necessariamente, che gli Stati membri definiscano le condizioni e i criteri specifici per l’applicazione di tale disposizione nella loro normativa nazionale, nonché i fattori da tenere in considerazione.

55.      È altresì evidente che tale margine di discrezionalità significa, inevitabilmente, che tali condizioni, criteri e fattori possano differire da uno Stato membro all’altro, in quanto gli Stati membri possono adempiere all’obbligo di recepire tale disposizione in modo differente (32).

56.      In terzo luogo, la discrezionalità attribuita dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non è priva di vincoli. Tale disposizione contiene dei limiti specifici, che circoscrivono il margine di manovra di cui godono gli Stati membri: le regole nazionali in questione dovrebbero essere coerenti con la nozione di «agevolazione» e rispettare i requisiti di un esame approfondito della situazione personale e di motivazione in caso di diniego.

57.      Il primo limite discende dalla formulazione della disposizione e dal concetto di «agevolazione». Infatti, il termine «agevola» mostra che l’articolo 3, paragrafo 2, «impone agli Stati membri un obbligo di concedere un determinato vantaggio, rispetto alle domande di ingresso e di soggiorno di altri cittadini di Stati terzi (…)» (33). Quindi, «lo Stato membro ospitante deve assicurarsi che la propria legislazione preveda criteri che siano conformi al significato comune del termine “agevola” (…)» (34). Come corollario dell’obbligo di agevolazione, la Corte ha ricordato che le disposizioni nazionali adottate non devono privare l’articolo 3, paragrafo 2 del suo effetto utile (35).

58.      In parole semplici, nell’ambito dell’«agevolazione» gli Stati membri godono di un ampio margine di manovra, sia in relazione ai criteri sostanziali, sia per quanto concerne le condizioni procedurali. Tuttavia, il punto cruciale è che i «membri della famiglia allargata» devono essere posti in una posizione migliore rispetto alla categoria generale dei cittadini di paesi terzi (36).

59.      Il secondo limite discende dall’ultima frase dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Tale disposizione impone in capo agli Stati membri un duplice obbligo: effettuare «un esame approfondito della situazione personale» e «giustifica[re] l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno». Quindi, gli Stati membri devono prevedere la possibilità, per tali persone, «di ottenere una decisione sulla loro domanda che sia fondata su un esame approfondito della loro situazione personale e che sia motivata in caso di rifiuto» (37). L’esame approfondito comporta, ai sensi del considerando 6, la considerazione di vari fattori pertinenti, quali la relazione con il cittadino dell’Unione o qualsiasi altra circostanza, quale la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione (38).

60.      Di conseguenza, risulta dalla formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, così come interpretato da questa Corte nella sentenza Rahman e descritto nella presente sezione, che la disposizione in questione non implica alcun diritto automatico di soggiorno. Dunque, l’applicazione analogica di tale disposizione a situazioni in cui un membro della famiglia allargata accompagni un «cittadino dell’Unione rimpatriante» nello Stato membro di origine di quest’ultimo non può, parimenti, condurre all’attribuzione automatica di un diritto di soggiorno. L’applicabilità in via analogica dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva può spingersi unicamente laddove lo stesso articolo 3, paragrafo 2, ove direttamente applicabile, si può spingere, e non oltre. Infatti, come già confermato dalla giurisprudenza della Corte, l’«applicazione analogica» della normativa di diritto derivato in materia di libera circolazione ai familiari di cittadini dell’Unione «rimpatrianti» non equivale al riconoscimento automatico dei diritti di soggiorno di cui essi hanno beneficiato nel secondo Stato membro: l’applicazione analogica delle disposizioni di diritto derivato resta soggetta alle condizioni in essa previste (39).

3.      Sulla presente causa

61.      Nelle circostanze della presente causa, il fondamento di diritto primario per un’applicazione analogica delle pertinenti disposizioni della direttiva 2004/38 può individuarsi nell’articolo 45 TFUE (se il giudice del rinvio confermi che il sig. Rado, come risulta, stava esercitando il suo diritto di libera circolazione, in qualità di lavoratore, nei Paesi Bassi) o, in via sussidiaria, nell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.

62.      Alla luce di siffatta applicazione analogica, il partner non coniugato di un cittadino dell’Unione, con cui questi abbia una relazione stabile e con cui abbia sviluppato o consolidato legami familiari in un altro Stato membro esercitando i suoi diritti di libera circolazione, beneficia, al momento del ritorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro di origine, del diritto a un esame della sua domanda nel rispetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

63.      Nella presente causa, risulta che alla sig.ra Banger sia stata rilasciata una carta di soggiorno nei Paesi Bassi, sulla base dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. La sig.ra Banger ha convissuto con il sig. Rado in qualità di membro della famiglia allargata, mentre quest’ultimo esercitava il suo diritto di soggiorno in tale Stato membro. Risulta che ciò abbia permesso loro di godersi la vita familiare e di consolidarla.

64.      In siffatte circostanze, un’interpretazione del TFUE (articolo 21, paragrafo 1 o articolo 45 TFUE) in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 attribuisce alla sig.ra Banger il diritto a che la sua domanda sia esaminata in maniera approfondita e le siano fornite le motivazioni di un eventuale rifiuto di ingresso o soggiorno sulla base dei risultati di tale esame. Quest’ultimo deve riguardare, in particolare, la sua situazione personale specifica, ivi compresa la sua relazione con il cittadino dell’Unione.

65.      Dagli elementi contenuti nella decisione di rinvio e dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che l’unico motivo del rigetto della domanda di carta di soggiorno della sig.ra Banger consiste nel fatto che quest’ultima e il sig. Rado non erano coniugati al momento della presentazione della domanda. Se così fosse, la motivazione sarebbe insufficiente per adempiere all’obbligo di motivazione sulla base di un esame approfondito della situazione personale dei membri della famiglia allargata di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), il cui ambito di applicazione include persone non coniugate, ma che sono legate al cittadino dell’Unione da una relazione stabile.

66.      Sulla base del dato testuale, l’«esame approfondito della situazione personale» deve, ragionevolmente, includere l’accertamento della natura della relazione con il cittadino dell’Unione rimpatriante. Dovrebbe inoltre, logicamente, includere la considerazione, a fini probatori, che con il rilascio di una carta di soggiorno da parte di un altro Stato membro è già stata riconosciuta e debitamente attestata una relazione stabile.

67.      Desidero sottolineare che tale fatto, di per sé, potrebbe non condurre, necessariamente, all’attribuzione di un diritto di soggiorno nello Stato membro di origine del cittadino dell’Unione (o in qualsiasi altro Stato membro nel quale la coppia possa decidere di trasferirsi). Di nuovo, come discusso, in via generale, nella precedente sezione (e in modo piuttosto approfondito, per quanto concerne questo preciso motivo), l’obbligo di agevolare non equivale a un obbligo di rilascio automatico. Il fatto che, entro certi limiti, gli Stati membri siano legittimati a stabilire, in tale ambito, propri specifici criteri significa, com’è logico, che non esiste un «obbligo di riconoscimento reciproco» delle autorizzazioni al soggiorno rilasciate da altri Stati membri, né un obbligo di garantire, a tal riguardo, il medesimo o un miglior trattamento rispetto a quello assicurato dal precedente o dai precedenti Stati membri ospitanti.

68.      A mio avviso, né l’effetto dissuasivo/deterrente ex ante, né la logica della penalizzazione ex post dovrebbero essere spinti così in là da implicare che, effettivamente, tutti gli Stati membri nei quali un cittadino dell’Unione decida, in seguito, di trasferirsi, dovrebbero garantire il medesimo o un miglior trattamento rispetto al precedente o ai precedenti Stati membri. Ciò, infatti, andrebbe ben oltre un’applicazione analogica e il concetto stesso di agevolazione.

4.      Conclusione provvisoria

69.      Di conseguenza, suggerisco di rispondere alle prime tre questioni sollevate dal giudice del rinvio, nel seguente modo:

–        Gli articoli 21, paragrafo 1 e 45 TFUE devono essere interpretati nel senso che, allorché un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato la sua vita familiare nel corso dell’esercizio dei suoi diritti di soggiorno in un altro Stato membro, il regime di agevolazione previsto all’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 2004/38 è analogicamente applicabile, al momento del ritorno del cittadino dell’Unione nel suo Stato membro di origine, al partner del cittadino dell’Unione con cui questi abbia una relazione stabile. Di conseguenza, tale Stato membro è tenuto ad agevolare, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, e conformemente alla normativa nazionale, l’ingresso e il soggiorno del partner del cittadino dell’Unione con cui quest’ultimo abbia una relazione stabile debitamente attestata.

–        Allorché un cittadino dell’Unione faccia ritorno nel suo Stato membro di origine dopo aver esercitato i suoi diritti di soggiorno in un altro Stato membro in cui abbia sviluppato o consolidato la sua vita familiare con un partner con cui abbia una relazione stabile debitamente attestata, gli articoli 21, paragrafo 1 e 45 TFUE esigono che, all’atto della decisione relativa all’ingresso e al soggiorno di tale partner, lo Stato membro di origine del cittadino dell’Unione effettui un esame approfondito della loro situazione personale e motivi l’eventuale diniego di ingresso o soggiorno conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

B.      Questione 4): diritto a un ricorso effettivo

70.      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede di accertare se una norma di diritto nazionale che impedisce di proporre ricorso dinanzi a un giudice contro la decisione del potere esecutivo di negare il rilascio della carta di soggiorno a una persona che sostenga di essere un membro della famiglia allargata di un cittadino dell’Unione sia compatibile con la direttiva 2004/38.

71.      La decisione di rinvio suggerisce che tale questione sia giustificata dal fatto che una sezione dell’Upper Tribunal (Tribunale superiore), in differente composizione, ha statuito che un richiedente che si veda negare la carta di soggiorno in qualità di «membro della famiglia allargata» non ha il diritto di proporre un ricorso di piena giurisdizione (right of appeal) dinanzi al giudice competente ai sensi dell’articolo 26 del regolamento SEE sull’immigrazione (40). Ciò in quanto la decisione adottata dal Secretary of State nell’ambito della sua discrezionalità relativa al diniego della carta di soggiorno a un membro della famiglia allargata non è considerata come una decisione «sul diritto di una persona a ottenere (…) una carta di soggiorno (41). Il giudice del rinvio chiarisce che, nell’ipotesi in cui tale decisione sia corretta, la giurisprudenza Sala comporterebbe che la richiedente non avrebbe diritto di agire nel procedimento principale. Il procedimento di riesame giurisdizionale sarebbe, dunque, il solo strumento eventualmente disponibile (42).

72.      Dalle osservazioni presentate alla Corte dalle parti interessate (essendo la decisione di rinvio, a tal proposito, piuttosto succinta) risulta che, nell’ordinamento giuridico dell’Inghilterra e del Galles, il mezzo ordinario per la contestazione di atti di autorità amministrative è il «riesame giurisdizionale» (judicial review). In specifici ambiti o settori, sono stati conferiti, con legge, diritti di ricorso di piena giurisdizione (43). Tale è anche il caso dei diritti dei familiari di cittadini dell’Unione. Come chiarito dal governo del Regno Unito, nel diritto inglese e gallese, il «familiare» di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 ha diritto di ricorrere presso il First-tier Tribunal (Tribunale di primo grado) e, in seguito, presso l’Upper Tribunal (Tribunale superiore). Tuttavia, alla luce della sentenza Sala, le persone incluse nell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva non hanno accesso a tale sistema di ricorsi. Ad esse è riconosciuto il diritto di contestare una decisione di diniego della carta di soggiorno con procedimento di riesame giurisdizionale dinanzi alla High Court of England and Wales (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia dell’Inghilterra e del Galles (sezione amministrativa), Regno Unito].

73.      La quarta questione del giudice del rinvio deve, pertanto, essere inquadrata nell’ambito di tale specifico contesto giuridico nazionale. Considerato in tale prospettiva, il punto principale sotteso alla quarta questione sollevata dal giudice del rinvio non concerne l’assenza totale di tutela giurisdizionale per i membri della famiglia allargata, quanto, piuttosto, la questione se il sistema del riesame giurisdizionale sia conforme ai requisiti del diritto dell’Unione o se sia necessario l’accesso al sistema di ricorsi.

74.      A tal proposito, il governo del Regno Unito e la sig.ra Banger sostengono tesi divergenti.

75.      La sig.ra Banger sostiene che lo strumento del riesame giurisdizionale non può essere considerato un ricorso effettivo ai fini della direttiva 2004/38 e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Il riesame giurisdizionale non sarebbe uno strumento adeguato per l’esame di decisioni di diniego di una carta di soggiorno. Esso non riguarderebbe la decisione in sé, bensì il processo decisionale. La sig.ra Banger ha ulteriormente chiarito, nel corso dell’udienza, le differenze tra il sistema di ricorsi e quello di riesame giurisdizionale per quanto concerne le condizioni di accesso ai due sistemi, i costi, la portata del controllo e la natura dei rimedi che possono essere concessi. Essa sostiene che una contestazione attraverso il riesame giurisdizionale riguarda unicamente la legittimità della decisione e che i motivi di riesame sono limitati. A suo giudizio, nel caso di specie, il riesame giurisdizionale potrebbe avere esito positivo unicamente sulla base dell’irragionevolezza della decisione, sicché l’oggetto della contestazione risulterebbe limitato e non includerebbe elementi di fatto.

76.      Diversamente, il governo del Regno Unito osserva che il sistema del riesame giurisdizionale è pienamente conforme ai requisiti posti dal diritto dell’Unione. Il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di prevedere, per legge, uno specifico diritto di ricorso. Né impone loro di prevedere un controllo completo del merito di una decisione, controllo in cui il giudice potrebbe sostituire la propria valutazione a quella dell’autore della decisione. Nel corso dell’udienza, il governo del Regno Unito ha concordato con le osservazioni della Commissione secondo cui il diritto dell’Unione esige un controllo completo della decisione, ivi compresa una valutazione dei fatti e della proporzionalità (44). Il governo del Regno Unito ha sostenuto che il procedimento di riesame giurisdizionale è pienamente conforme a tali requisiti, in quanto consente un esame non solo della base giuridica, ma anche di errori di fatto e della proporzionalità della decisione (45).

77.      Mi sono soffermato su una dettagliata descrizione del contesto della quarta questione sollevata dal giudice del rinvio e sulla posizione delle parti interessate per un motivo: dimostrare perché ritengo che la Corte non dovrebbe rispondere alla questione così come è stata formulata. Vi sono tre ragioni che giustificano tale modo di procedere.

78.      In primo luogo, non spetta a questa Corte effettuare un esame delle differenti caratteristiche dei vari meccanismi di tutela giurisdizionale nel diritto nazionale (46). Ciò esigerebbe un’analisi e una valutazione dettagliate del diritto nazionale, compito che spetta ai giudici nazionali.

79.      In secondo luogo, ancor meno compete a questa Corte il compito di effettuare un simile esame in relazione a un settore di diritto tanto complesso e in evoluzione – quale quello della natura del riesame giurisdizionale nel diritto inglese – (47) e di essere successivamente chiamata a mediare fra i vari attori nazionali, che potrebbero non concordare, essi stessi, su quali siano gli attuali presupposti.

80.      In terzo luogo, il procedimento di rinvio pregiudiziale è sempre legato alla specifica controversia nel procedimento principale dinanzi al giudice nazionale. In tale contesto, una disposizione processuale o sostanziale concreta di diritto nazionale può, effettivamente, essere analizzata indirettamente. Tuttavia, questa Corte non può fornire pareri astratti sulla (in)appropriatezza di intere aree del diritto o sistemi di tutela giurisdizionale in generale (48), la cui elaborazione comporterebbe la discussione di qualsiasi elemento: legittimazione, costi, termini di prescrizione, portata del sindacato, rimedi concedibili e mezzi di impugnazione.

81.      Ciò nonostante, ciò che questa Corte può e, in uno spirito di collaborazione, dovrebbe presumibilmente fornire, al fine di assistere il giudice nazionale nel risolvere i problemi sollevati nell’ambito della quarta questione, è un chiarimento circa gli obblighi e i requisiti posti dal diritto dell’Unione per quanto concerne il ricorso effettivo nel contesto dell’applicazione analogica dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (49).

82.      Con questo obiettivo, esaminerò, anzitutto, le garanzie processuali contenute nella direttiva stessa (1) e, quindi, mi occuperò dei requisiti generali che emergono dall’articolo 47 della Carta (e dai principi di effettività ed equivalenza) (2). Infine, analizzerò le implicazioni del diritto fondamentale a un ricorso effettivo nello specifico contesto dell’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva (3).

1.      Tutela giurisdizionale ai sensi degli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38

83.      La direttiva 2004/38 contiene disposizioni specifiche relative alla tutela giurisdizionale dei diritti di libera circolazione. Le disposizioni rilevanti ai fini della presente causa sono contenute negli articoli 15 e 31. Gli antecedenti storici di queste ultime disposizioni sono le garanzie procedurali di cui alla direttiva 64/221/CEE, che permetteva, espressamente, limitazioni nella tutela giurisdizionale, ivi compresa la possibilità di limitare le impugnazioni relative alla validità giuridica di decisioni (50). Infine, tali limitazioni, piuttosto controverse (51), sono state superate con la direttiva 2004/38. Tale direttiva riconosce espressamente un diritto di accesso alla tutela giurisdizionale per motivi di diritto e di fatto, sia con riguardo alle decisioni dettate da ragioni di ordine pubblico e sicurezza pubblica, sia relativamente a qualsiasi altra restrizione dei diritti di circolazione e soggiorno.

84.      Ai paragrafi da 23 a 47 delle presenti conclusioni, ho suggerito che il regime di agevolazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba applicarsi, in via analogica, ai membri della famiglia allargata di cittadini dell’Unione rimpatrianti. Ho altresì sostenuto che siffatta applicazione analogica comporta, precisamente, ciò: l’applicazione del contenuto della direttiva, ma non la creazione di nuovi diritti.

85.      Nella presente causa, il problema concreto che tale «renvoi» alla direttiva pone è che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva non individua le garanzie procedurali specifiche che dovrebbero accompagnare l’attuazione di tale disposizione. Conseguentemente, non è totalmente chiaro quali sarebbero tali garanzie giurisdizionali se l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva fosse di per sé applicabile ai membri della famiglia allargata in uno Stato membro ospitante.

86.      La questione centrale diventa, quindi, l’ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 15 della direttiva. 2004/38 Secondo la Commissione e il governo del Regno Unito, l’articolo 15 della direttiva non è applicabile, in termini generali, alle situazioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva. Ciò in quanto l’articolo 15 della direttiva si rivolge unicamente ai cittadini dell’Unione e ai loro «familiari». Quest’ultima nozione, giuridicamente definita all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva, non include i membri della famiglia allargata.

87.      Riconosco il valore di tale argomento testuale. Tuttavia, la conclusione naturale che dovrebbe comunemente discendere da tale affermazione è condizionata, in una certa misura, dalla considerazione sistematica che la nozione di «familiare» non risulta essere utilizzata in maniera coerente nelle successive disposizioni della direttiva 2004/38 (52).

88.      Ad ogni modo, esiste un solido argomento a favore di un’applicabilità più estesa dell’articolo 15 della direttiva 2004/38. Tale disposizione stabilisce che le garanzie procedurali si applicano a «tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari». Dunque, sebbene si possa affermare che i membri della famiglia allargata non sono inclusi nella definizione di «familiari» contenuta in tale disposizione, un diniego della carta di soggiorno a tali persone potrebbe, di fatto, essere piuttosto facilmente classificato come una «limitazione» dei diritti di libera circolazione del cittadino dell’Unione stesso, che è chiaramente contemplato nella disposizione.

89.      Forse questa Corte non concorre da favorita al «premio per la giurisprudenza in materia di diritti dell’uomo», ma essa ha da tempo riconosciuto che il diritto di soggiorno derivato dei familiari dei cittadini dell’Unione è strumentale a garantire i diritti di libera circolazione dei cittadini dell’Unione stessi (53). Come inoltre sostenuto ai paragrafi 36–38 delle presenti conclusioni, il regime di agevolazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva si inserisce nella medesima dinamica di rafforzamento dei diritti di libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Nell’ambito della logica dei limiti e degli ostacoli indiretti, considerare il rifiuto di consentire a un membro della famiglia allargata di accompagnare il cittadino dell’Unione rimpatriante come una decisione che «limit[a] la libera circolazione dei cittadini dell’Unione» in modo effettivo, non mi sembra, affatto, un salto nel vuoto.

90.      Ad ogni modo, alla luce delle circostanze della presente causa, le implicazioni pratiche dell’applicabilità dell’articolo 15 della direttiva 2004/38 sono, in un certo modo, limitate. Come sosterrò nella prossima sezione delle presenti conclusioni, coloro che presentano domande ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva beneficiano, in ogni caso, delle garanzie procedurali derivanti dall’articolo 47 della Carta, che rispecchia il principio generale di diritto dell’Unione della tutela giurisdizionale effettiva.

2.      Tutela giurisdizionale effettiva sulla base dell’articolo 47 della Carta

91.      Sin dalla sentenza Heylens (54), è apparso chiaro che il principio della tutela giurisdizionale effettiva esige che, anche in assenza di specifiche disposizioni di diritto derivato che stabiliscano garanzie procedurali, debba esistere un rimedio di natura giurisdizionale per qualsiasi decisione di un’autorità nazionale che neghi i diritti garantiti dal diritto dell’Unione. Tale obbligo scaturisce, inoltre, dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dall’articolo 19, paragrafo 1, TFUE (55).

92.      Tale rimedio giurisdizionale non deve essere disponibile solo in relazione ai diritti di ingresso garantiti dal diritto dell’Unione. Recentemente, la Corte ha confermato l’esigenza di assicurare un controllo giurisdizionale, in conformità con l’articolo 47 della Carta e con il principio di effettività, nella sentenza El Hassani, in materia di diniego di un visto Schengen. Questa è un’area in cui le autorità nazionali godono di ampia discrezionalità per quanto concerne le condizioni applicabili e la valutazione dei fatti rilevanti (56). Inoltre, a mio avviso, non sussiste alcun diritto a ottenere un visto. Ad ogni modo, il fatto che la normativa non preveda alcun diritto sostanziale a un determinato esito non significa che il richiedente non abbia diritto a che la sua richiesta sia trattata in modo equo e appropriato e, ove necessario a tal proposito, a una tutela giurisdizionale (57).

93.      È pacifico, dunque, che nella presente causa, anche nell’ipotesi in cui l’articolo 15 della direttiva 2004/38 non fosse applicabile alle persone di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva, l’accesso a un rimedio giurisdizionale discende dal combinato disposto degli articoli 3, paragrafo 2, della direttiva e 47 della Carta. Nessuna delle parti interessate che hanno presentato osservazioni ha sostenuto che l’accesso a un giudice non dovrebbe costituire la regola in caso di diniego della carta di soggiorno a membri della famiglia allargata. La questione controversa concerne, piuttosto, la portata e l’intensità del sindacato giurisdizionale richiesto.

94.      L’inapplicabilità dell’articolo 15 della direttiva 2004/38 in riferimento all’articolo 3, paragrafo 2, della medesima direttiva significherebbe che non vi sono regole specifiche che determinano la portata del sindacato giurisdizionale. Secondo una giurisprudenza consolidata, in assenza di tali requisiti specifici, siffatti elementi devono essere determinati sulla base del sistema giudiziario di ciascuno Stato membro (58). Tuttavia, tale autonomia procedurale degli Stati membri incontra due limiti: il principio di equivalenza e il principio di effettività (59).

95.      Inoltre, è altrettanto pacifico che la presente causa riguarda una situazione in cui uno Stato membro si trova ad attuare il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Pertanto, il livello di tutela di cui all’articolo 47 deve essere rispettato (60).

a)      Equivalenza

96.      Il principio di equivalenza esige che le norme relative ad azioni concernenti violazioni del diritto dell’Unione si applichino senza distinzioni (o non siano meno favorevoli) rispetto alle norme che disciplinano azioni comparabili di diritto interno (61).

97.      Nessuno fra gli elementi informativi che sono stati presentati a questa Corte indica che tale principio sia stato violato. Il presente caso riguarda la differenza dei meccanismi di tutela giurisdizionale a disposizione di un gruppo di persone (membri della famiglia allargata), in contrapposizione a un altro gruppo di persone i cui diritti discendono dal diritto dell’Unione (familiari in senso stretto). Una simile comparazione esula dal campo di applicazione del principio di equivalenza, poiché entrambi tali gruppi di persone traggono origine dal diritto dell’Unione (62).

98.      Tuttavia, nel corso dell’udienza, la sig.ra Banger ha sostenuto che l’esclusione del diritto di impugnazione per i partner di cittadini dell’Unione che intrattengono con questi ultimi una relazione stabile (in qualità di membri della famiglia allargata), genera una disparità di trattamento rispetto ai partner di cittadini britannici che si trovino nella medesima situazione, presumibilmente quelli che non abbiano esercitato i loro diritti di libera circolazione. Poiché tale argomentazione non è stata ulteriormente sviluppata, non risulta possibile, alla Corte, individuare le censure, fondate sul diritto nazionale, in relazione alle quali il rispetto del principio di equivalenza potrebbe essere esaminato. Spetta, pertanto, al giudice del rinvio accertare se le censure relative al diniego della carta di soggiorno ai membri della famiglia allargata (sia ai sensi della direttiva, sia in relazione alla sua applicazione analogica ai membri della famiglia allargata di «cittadini rimpatrianti») ricevano un trattamento meno favorevole rispetto a censure analoghe fondate sul diritto nazionale.

b)      Effettività

99.      A seguito del Trattato di Lisbona, l’effettività della tutela giurisdizionale si è manifestata in due forme: l’effettività come uno dei due requisiti in materia di autonomia procedurale degli Stati membri e l’effettività come diritto fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta.

100. É tuttora aperto il dibattito relativo alle modalità in cui tali tipi di «effettività» si relazionano l’uno con l’altro (63). A tutti i fini pratici, tuttavia, non vedo infatti che cosa aggiungerebbe esattamente l’articolo 47 della Carta, nel settore dei rimedi giurisdizionali, a ciò che non costituiva parte del principio di effettività (o che, piuttosto, poteva non costituirne parte, ammesso che tale questione sia mai sorta). Tale è certamente il caso nell’ipotesi in cui quest’ultimo principio fosse inteso nel senso che osta non solo all’impossibilità di far valere una pretesa fondata sul diritto dell’Unione, ma anche a che tale azione sia resa eccessivamente difficile. Si può ricordare che entrambi tali profili trovavano applicazione, ovviamente, soltanto nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, e in riferimento a una pretesa effettivamente fondata sul diritto dell’Unione.

101. Ad ogni modo, risulta che, dal momento di entrata in vigore della Carta, l’articolo 47 abbia sviluppato un peso maggiore(64). Esaminando la giurisprudenza della Corte, risulta, infatti, che l’articolo 47 della Carta pone dei requisiti più elevati rispetto al principio di effettività. Può sicuramente essere lasciata al dibattito dottrinale la determinazione della misura in cui ciò discenda dal testo di detto articolo o costituisca la mera naturale conseguenza della nuova giurisprudenza post-Lisbona, che si concentra ed è sviluppata sulla base di tale articolo. Gli elementi salienti di tale giurisprudenza possono essere riassunti come segue.

102. Nel contesto del principio di effettività quale limite all’autonomia procedurale degli Stati membri, la Corte ha statuito che non è richiesto che, in ogni caso, i giudici possano sostituire la decisione nel merito e sugli elementi di fatto (65). La giurisprudenza della Corte mostra, altresì, che un controllo giurisdizionale limitato riguardo alla valutazione di determinate questioni di fatto non sempre rende impossibile, nella pratica, o eccessivamente difficile, l’esercizio dei diritti attribuiti dalla normativa dell’Unione (66). Ciò che conta è che le procedure nazionali di controllo giurisdizionale «consent[ano] al giudice investito di un ricorso di annullamento di una tale decisione di applicare effettivamente, nell’ambito del controllo di legittimità della medesima, i principi e le regole del diritto dell’Unione pertinenti» (67). La portata e l’intensità del controllo giurisdizionale richiesto dal principio di effettività dipende dal contenuto e dalla natura dei principi e delle norme di diritto dell’Unione oggetto di attuazione per il tramite della decisione nazionale contestata (68).

103. L’obbligo di effettuare un controllo più approfondito, compresa una valutazione dei fatti e del merito di una decisione, diventa più marcato, alla luce dei requisiti di cui all’articolo 47 della Carta, nei casi in cui tale esame sia rilevante, tenendo in debita considerazione le circostanze del caso di specie. Infatti, riguardo al diritto di accesso alla giustizia, la Corte ha statuito che «per poter decidere di una contestazione vertente su diritti e obblighi tratti dall’ordinamento dell’Unione in conformità con l’articolo 47 della Carta, il “giudice” deve essere competente ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti alla controversia di cui è investito» (69). Nel contesto del sindacato dell’azione amministrativa, la Corte ha statuito, inoltre, che il requisito di imparzialità previsto dal secondo paragrafo dell’articolo 47 presuppone che «la decisione di un’autorità amministrativa che, di per sé, non soddisfi i requisiti di indipendenza e di imparzialità, sia sottoposta a un successivo controllo da parte di un organo giurisdizionale che deve, segnatamente, essere competente ad approfondire tutte le questioni pertinenti» (70).

104. Il rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva deve, dunque, essere analizzato nel quadro del contesto specifico e delle circostanze pertinenti di un caso, «e, segnatamente della natura dell’atto in oggetto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame» (71). Di conseguenza, tenendo presente le specifiche norme di diritto dell’Unione e la particolare natura dei diritti e degli interessi in gioco, la Corte ha insistito sull’esigenza di un controllo approfondito delle decisioni, comprensivo tanto degli elementi di fatto, quanto degli elementi di diritto, in particolare laddove i relativi strumenti già prevedano norme procedurali armonizzate (72).

105. Infine, si può trarre un’ulteriore ispirazione, in termini generali (73), dalla giurisprudenza della Corte EDU in materia di interpretazione degli articoli 6 e 13 CEDU. Conformemente alla giurisprudenza della Corte EDU relativa all’articolo 6 CEDU, l’adeguatezza del controllo giurisdizionale a disposizione di un ricorrente è valutata con riguardo ai poteri dell’organo giudiziario in questione e a fattori quali i seguenti: «a) l’oggetto della decisione impugnata, in particolare il fatto che essa abbia riguardato o meno una questione specialistica tale da esigere conoscenze o esperienze professionali e che abbia comportato l’esercizio di una discrezionalità amministrativa e, in tal caso, la misura di tale discrezionalità; b) le modalità secondo le quali tale decisione e stata adottata e, in particolare, le garanzie procedurali offerte nel procedimento dinanzi all’organo decisionale; c) il contenuto della controversia, ivi compresi i motivi di impugnazione auspicati e quelli effettivamente dedotti» (74).

106. È forse opportuno sottolineare che, alla luce di tali fattori, la Corte EDU ha giudicato sufficiente, in varie occasioni, il riesame giurisdizionale previsto dal diritto inglese (75). Tuttavia, la Corte EDU ha riscontrato violazioni dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU nei casi in cui l’organo giurisdizionale responsabile del controllo non poteva determinare la questione centrale oggetto della controversia e nei casi in cui il giudice nazionale si è ritenuto vincolato agli accertamenti, risultati decisivi per l’esito del procedimento giudiziario, precedentemente effettuati da organi amministrativi, omettendo di esaminare le varie questioni in maniera indipendente (76).

107. Anziché formulare una conclusione, è opportuno evidenziare due questioni (correlate): in primo luogo, la migliore generalizzazione possibile che emerge dalla giurisprudenza per quanto concerne la portata e il grado di intensità del controllo, risulta piuttosto laconica: essa dipende da diversi fattori. Dipende dalla specifica natura dei diritti, fondati sul diritto dell’Unione, così come determinati dalle norme di diritto dell’Unione applicabili, analizzati in un dato contesto connesso con l’oggetto della controversia. In secondo luogo, maggiore è il grado di armonizzazione delle norme (procedurali) operato dal diritto dell’Unione, più approfondito sarà il controllo giurisdizionale che potrà essere richiesto a livello nazionale. All’opposto, come in molti altri settori del diritto dell’Unione, meno esplicite sono le norme di diritto dell’Unione sul punto, maggiore è il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri nella definizione delle modalità in cui la tutela giurisdizionale è attuata.

3.      Tutela giurisdizionale effettiva e articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38

108. Ci si chiede, dunque, quali siano gli specifici diritti garantiti dalle norme di diritto dell’Unione applicabili di cui alla presente causa. Come affermato nella sentenza Rahman, l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva attribuisce agli Stati membri un’ampia discrezionalità (77). Siffatta discrezionalità, tuttavia, non è illimitata. La Commissione ha correttamente osservato che tale discrezionalità riguarda la selezione dei fattori e delle condizioni adottati dagli Stati membri in esecuzione del loro dovere di predisporre norme nazionali volte a istituire un regime di agevolazione all’ingresso e al soggiorno di membri della famiglia allargata. Tale discrezionalità si estende, inoltre, alla valutazione specifica dei fatti rilevanti, al fine di determinare se tali condizioni siano soddisfatte.

109. Tuttavia, discrezionalità non è sinonimo di «scatola nera». Conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, anche quando le autorità competenti godono di un margine di discrezionalità, il controllo giurisdizionale deve verificare se la decisione si fondi su una base di fatto sufficientemente solida e se rispetti le garanzie procedurali (78). Al fine di stabilire se i limiti della discrezionalità imposti dalla direttiva siano stati rispettati, i giudici nazionali devono essere in grado di sindacare tutti gli aspetti procedurali, così come gli elementi sostanziali della decisione, ivi compresa la sua base di fatto (79).

110. Di nuovo, la sentenza Rahman ha già fornito solide indicazioni a tal proposito: un richiedente di cui all’articolo 3, paragrafo 2 «ha il diritto di far verificare da un giudice se la legislazione nazionale e la sua applicazione sono rimaste nei limiti della discrezionalità tracciata dalla direttiva» (80). Infatti, sebbene la direttiva attribuisca un considerevole margine di discrezionalità, i giudici nazionali devono avere la possibilità di verificare la compatibilità della decisione nazionale con gli obblighi stabiliti dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva.

111. In sostanza, al di là del requisito dell’agevolazione, vi sono tre elementi che, sulla base dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva devono poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale: il fatto che la decisione oggetto di controllo sia stata adottata a seguito di un esame approfondito (i), che, logicamente, deve poi riflettersi nelle ragioni addotte a giustificazione dell’eventuale diniego di ingresso o soggiorno (ii). Inoltre tale esame deve essere condotto sulla base della situazione personale, che include la relazione con il cittadino dell’Unione, nonché la situazione di dipendenza (iii).

112. Tutti questi elementi devono poter essere oggetto di controllo da parte di un giudice. Il giudice nazionale deve essere competente a procedere, ove necessario, alla verifica dei fatti fondamentali rilevanti, che costituiscono la base della decisione amministrativa (81). Deve essere possibile valutare se i motivi addotti dall’amministrazione corrispondano, come è necessario, ai criteri previsti dal diritto nazionale, nei limiti imposti dalla direttiva 2004/38. Deve, inoltre, essere possibile verificare se la motivazione sia sufficiente e adeguata. In particolare, deve essere possibile valutare se la situazione personale specifica, rilevante alla luce dei criteri pertinenti, sia stata debitamente esaminata.

113. Di converso, nella misura in cui tutti gli elementi in questione possano essere oggetto di controllo e qualsiasi decisione amministrativa che violi tali requisiti possa essere annullata, un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta non esige, a mio avviso, che il giudice possieda la competenza a esaminare nuove prove. Né esige che tale giudice possa accertare fatti non dedotti dinanzi all’autorità amministrativa o abbia il potere si sostituire con effetto immediato la decisione amministrativa con la propria decisione.

114. Spetta al giudice del rinvio, l’unico competente a interpretare il diritto nazionale, determinare se e in quale misura il sistema di riesame giurisdizionale di cui al procedimento principale soddisfi tali esigenze.

4.      Conclusione provvisoria

115. Alla luce delle considerazioni che precedono, la risposta da dare alla quarta questione pregiudiziale dovrebbe essere, a mio giudizio, che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che impone un controllo giurisdizionale effettivo delle decisioni di diniego dell’ingresso o del soggiorno di membri della famiglia allargata, in linea con l’articolo 47 della Carta. Spetta al giudice nazionale competente accertare se il sistema di controllo giurisdizionale previsto dal diritto nazionale risponda a tale requisito.

V.      Conclusione

116. Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dall’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber), London (United Kingdom) [Tribunale superiore (Sezione immigrazione e asilo) Londra (Regno Unito)] nel modo seguente:

–        Gli articoli 21, paragrafo 1, e 45 TFUE devono essere interpretati nel senso che, allorché un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato la sua vita familiare nel corso dell’esercizio dei suoi diritti di soggiorno in un altro Stato membro, il regime di agevolazione previsto all’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, è analogicamente applicabile, al momento del ritorno del cittadino dell’Unione nel suo Stato membro di origine, al partner del cittadino dell’Unione con cui questi abbia una relazione stabile. Di conseguenza, tale Stato membro è tenuto ad agevolare, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, e conformemente alla normativa nazionale, l’ingresso e il soggiorno del partner del cittadino dell’Unione con cui quest’ultimo abbia una relazione stabile debitamente attestata.

–        Allorché un cittadino dell’Unione faccia ritorno nel suo Stato membro di origine dopo aver esercitato i suoi diritti di soggiorno in un altro Stato membro, in cui abbia sviluppato o consolidato la sua vita familiare con un partner con cui abbia una relazione stabile debitamente attestata, gli articoli 21, paragrafo 1, e 45 TFUE esigono che, all’atto della decisione relativa all’ingresso e al soggiorno di tale partner, lo Stato membro di origine del cittadino dell’Unione effettui un esame approfondito della loro situazione personale e motivi l’eventuale diniego di ingresso o soggiorno conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

–        L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che impone un controllo giurisdizionale effettivo delle decisioni di diniego dell’ingresso o del soggiorno di membri della famiglia allargata, in linea con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Spetta al giudice nazionale competente accertare se il sistema di controllo giurisdizionale previsto dal diritto nazionale risponda a tale requisito.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE. (GU 2004, L 158, pag. 77) (in prosieguo, la «direttiva 2004/38»).


3      Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296); v. anche sentenze dell’11 dicembre 2007, Eind, (C‑291/05, EU:C:2007:771), e del 12 marzo 2014, O. e B. (C‑456/12, EU:C:2014:135).


4      Risulta dalle osservazioni della sig.ra Banger che questa avrebbe contratto matrimonio con il proprio partner, nel Regno Unito, il 27 settembre 2014, dopo che la coppia aveva lasciato i Paesi Bassi. Tuttavia, tale circostanza non è stata presa in considerazione dal Secretary of State, in quanto l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento SEE, relativo ai diritti dei familiari di cittadini britannici, esige che i coniugi «conviv[a]no in uno Stato del SEE o [abbiano] contratto matrimonio (…) e convissuto in tale Stato prima che il cittadino britannico facesse ritorno nel Regno Unito». Il corsivo è mio.


5      Secondo tale sentenza, quando un cittadino dell’Unione, dopo aver esercitato il suo diritto di soggiorno in un altro Stato membro, fa ritorno nello Stato membro di cui ha la cittadinanza, i suoi familiari hanno il diritto di beneficiare, quantomeno, degli stessi diritti che spetterebbero loro in forza del diritto dell’Unione in un altro Stato membro. Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296).


6      Sentenza del 7 luglio 1992, C‑370/90, EU:C:1992:296.


7      La nozione di «membri della famiglia allargata» comprende entrambe le sottocategorie contenute nell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, vale a dire «ogni altro familiare» e il «partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata», rispettivamente previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 3, paragrafo 2.


8      Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296).


9      Sentenza del 12 marzo 2014, O. e B. (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 37). V. anche sentenze dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 61 e segg.); del 10 maggio 2017, Chavez-Vilchez e a. (C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 53), e del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 33).


10      Sentenze del 12 marzo 2014, O. e B (C‑456/12, EU:C:2014:135, punti da 39 a 43), e del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punti da 33 a 37).


11      La Corte ha fatto leva su varie disposizioni di diritto primario al fine di estendere analogicamente l’applicazione di diversi strumenti di diritto derivato ai «cittadini rimpatrianti». V., con riguardo all’articolo 52 del Trattato CEE e alla direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU 1973, L 172, pag. 14), sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296, punto 25). Relativamente all’articolo 39 del Trattato CE e al regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2), v. sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (C‑291/05, EU:C:2007:771, punti 32 e 45). L’articolo 21 TFUE ha costituito il fondamento per l’applicazione in via analogica della direttiva 2004/38 nella sentenza del 12 marzo 2014, O. e B (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 61).


12      Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296, punto 19).


13      Sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296, punto 23).


14      Sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (C‑291/05, EU:C:2007:771, punto 36). V. anche sentenze dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:69, punto 70), e del 12 marzo 2014, O. e B (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 46).


15      Sentenza del 12 marzo 2014, O. e B. (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 61).


16      Ad esempio, nella sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296), la Corte si è pronunciata in merito al «coniuge e [ai] figli» (punto 20). La sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (C‑291/05, EU:C:2007:771), riguardava la figlia di un cittadino dell’Unione. La sentenza del 12 marzo 2014, O. e B (C‑456/12, EU:C:2014:135), riguardava una coppia di coniugi.


17      V., in via analogica, sentenza del 12 marzo 2014, O. e B (C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 47).


18      Si può aggiungere che un’evoluzione della nozione di «vita familiare», che riconosce e accoglie i legami di fatto, è presente anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»). A prescindere dalla questione relativa agli specifici obblighi che derivano dall’esistenza di una vita familiare in un contesto migratorio specifico, la Corte EDU ha statuito, in riferimento a situazioni in cui i figli erano nati al di fuori del matrimonio, che la nozione di famiglia ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») non è limitata alle relazioni fondate sul matrimonio e può includere altri legami «familiari» di fatto, nell’ambito dei quali le parti convivono al di fuori del vincolo del matrimonio. V. sentenza della Corte EDU, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria (CE:ECHR:2010:0624JUD003014104, § 91). Al § 94, la Corte EDU ha ulteriormente confermato che le coppie omosessuali che vivono una stabile unione di fatto sono incluse nella nozione di vita familiare.


19      Un requisito analogo all’«agevolazione» era previsto dall’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 e dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 73/148.


20      Conclusioni dell’avvocato generale Tesauro, Singh, C‑370/90, EU:C:1992:229, paragrafo 8.


21      Siffatta giustificazione è stata già prevista nelle conclusioni dell’avvocato generale Tesauro, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:229, paragrafi 7 e 8).


22      V., ad esempio, sentenze dell’11 luglio 2002, D’Hoop (C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 31); del 29 aprile 2004, Pusa (C‑224/02, EU:C:2004:273, punto 19); del 18 luglio 2006, De Cuyper (C‑406/04, EU:C:2006:491, punto 39), e dell’11 settembre 2007, Schwarz and Gootjes-Schwarz (C‑76/05, EU:C:2007:492, punto 88).


23      Infatti, la realtà della libera circolazione dà vita a situazioni diverse da quelle che riguardano i «cittadini statici» e che non devono essere trattate allo stesso modo. V., in tal senso, sentenza del 2 ottobre 2003, 2003, Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 31 e segg.).


24      V., a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston, O. e S (C‑456/12 e C‑457/12, EU:C:2013:837, paragrafo 89).


25      Sentenza del 7 luglio 1992 (C‑370/90, EU:C:1992:296).


26      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a (C‑83/11, EU:C:2012:519).


27      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 19).


28      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 18). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Wathelet, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:2, paragrafi da 94 a 96).


29      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 25). Il corsivo è mio.


30      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 22).


31      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 24).


32      V., a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Bot, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:174, paragrafo 64).


33      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 21).


34      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 24).


35      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 24).


36      Senza con ciò disconoscere che alcuni cittadini di paesi terzi (che non siano familiari di cittadini dell’Unione) possono godere di diritti di ingresso e soggiorno, ad esempio sulla base del diritto alla vita familiare. V. direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12). L’indicazione contenuta nella sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 21), deve quindi intendersi come riferita alla categoria generale dei cittadini di paesi terzi, che non beneficiano di tali diritti di ingresso e soggiorno. V.,sul tema, Guild, E., Peers, S., e Tomkin, J., «The EU Citizenship Directive. A Commentary». Oxford University Press, Oxford, 2014, pag. 74, nota 203.


37      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 22).


38      V. anche Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 23).


39      Sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (C‑291/05, EU:C:2007:771, punto 39). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Eind (C 291/05, EU:C:2007:407, paragrafi 38 e 39).


40      Sala (EFM’s: Right of Appeal) [2016] UKUT 411 (IAC).


41      Sala (EFM’s: Right of Appeal) [2016] UKUT 411 (IAC), punto 84.


42      Nel caso Sala (EFM’s: Right of Appeal) [2016] UKUT 411 (IAC), si afferma espressamente, al punto 23, che la Corte, «nella causa Rahman ha chiarito che la [direttiva 2004/38] non esige un ricorso con pieno esame del merito, ma unicamente un riesame giurisdizionale volto a garantire che l’autore della decisione abbia “rispettato i limiti della discrezionalità prevista dalla direttiva”». Risulta, tuttavia, che la Court of Appeal (Corte d’appello, Regno Unito) abbia adottato una posizione giuridica differente nella recente sentenza del 9 novembre 2017, Khan v. Secretary of State for the Home Department & Anor [2017] EWCA Civ 1755. Nel corso dell’udienza, il governo del Regno Unito ha insistito sul fatto che siffatta sentenza non sarebbe rilevante ai fini del presente procedimento, in quanto relativa all’interpretazione di una normativa nazionale non più in vigore.


43      V., in generale, ad esempio, Sir Clive Lewis«Judicial Remedies in Public Law», 5a ed., Sweet & Maxwell, 2015, o Supperstone, M., Goudie, J., Walker, P. e Fenwick, H., «Judicial Review» 5a ed., LexisNexis, Regno Unito, 2014.


44      Il governo del Regno Unito cita, a questo proposito, le sentenze del 3 settembre 2008, Kadi and Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, (C‑402/05 P e C 415/05 P, EU:C:2008:461), e dell’8 dicembre 2011, KME Germania e a./Commissione (C‑272/09 P, EU:C:2011:810).


45      In particolare, il governo del Regno Unito si riferisce, a tal proposito, alla sentenza della Court of Appeal of England and Wales (Corte d’appello dell’Inghilterra e del Galles, Regno Unito) in T-Mobile (UK) Ltd v Office of Communications [2009] 1 WLR 1565,e alla sentenza della Supreme Court (Corte suprema, Regno Unito) in R (on the application of Kiarie) v Secretary of State for the Home Department e R (on the application of Byndloss) v Secretary of State for the Home Department [2017] UKSC 42.


46      V., nello stesso senso, le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer, nelle cause riunite Shingara and Radiom, (C‑65/95 e C‑111/95, EU:C:1996:451, paragrafo 60).


47      Come rilevato dall’avvocato generale Sharpston nelle sue conclusioni nella causa East Sussex County Council, (C‑71/14, EU:C:2015:234, paragrafo 84).


48      Per un esempio recente, relativo alla questione se la designazione come competente di un giudice civile anziché di un giudice amministrativo per quanto concerne la procedura di esecuzione relativa a debiti verso l’Unione sia conforme al principio di effettività, v. le mie conclusioni nella causa Dimos Zagoriou (C‑217/16, EU:C:2017:385, paragrafi 28 e da 60 a 63).


49      V. sempre nello stesso senso, le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:234, paragrafo 84).


50      Direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, L 56, pag. 850), in particolare il suo articolo 9.


51      È stato sostenuto che siffatte limitazioni non fossero conformi al principio della tutela giurisdizionale effettiva. V. conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle cause riunite Shingara and Radiom (C‑65/95 e C‑111/95, EU:C:1996:451, paragrafo 70 e segg.). V. per l’interpretazione delle pertinenti disposizioni, sentenze del 25 luglio 2002, MRAX, (C‑459/99, EU:C:2002:461), e del 2 giugno 2005, Dörr and Ünal, (C‑136/03, EU:C:2005:340).


52      Di fatto, altre disposizioni della direttiva 2004/38 fanno riferimento alle persone di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della stessa, come ricomprese nella nozione di «familiari». Ad esempio, l’articolo 10, paragrafo 2, che disciplina il rilascio della carta di soggiorno dei familiari, fa riferimento, alle lettere e) e f), ai documenti che gli Stati membri richiedono relativamente alle persone di cui all’articolo 3, paragrafo 2; l’articolo 7, paragrafo 4 deroga alle condizioni generali per il diritto di soggiorno dei familiari ascendenti diretti per gli studenti, richiamando la regola di cui all’articolo 3, paragrafo 2 (senza suggerire che tali persone cesserebbero di essere considerate «familiari» ai fini delle garanzie procedurali ad esse applicabili); l’articolo 8, paragrafo 5 fa riferimento ai documenti da presentare ai fini del rilascio dell’attestato d’iscrizione ai «familiari», includendo, alle lettere e) e f) un riferimento alle persone di cui all’articolo 3, paragrafo 2. A proposito dell’uso variabile della nozione di «familiari», in connessione con l’articolo 3, paragrafo 2, v. Guild, E., Peers, S., e Tomkin, J., «The EU Citizenship Directive. A Commentary», Oxford University Press, Oxford, 2014, pag. 80.


53      V., ad esempio, sentenze del 12 marzo 2014, S. e G. (C‑457/12, EU:C:2014:136, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata), e del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punti 32, 47 e 48 e la giurisprudenza ivi citata).


54      Sentenza del 15 ottobre 1987, Heylens e a. (C‑222/86, EU:C:1987:442, punto 14). V. anche, ad esempio, sentenze del 3 dicembre 1992, Oleificio Borelli/Commissione (C‑97/91, EU:C:1992:491, punti 14 e 15), o del 19 settembre 2006, Wilson (C‑506/04, EU:C:2006:587, punti 46 e 47).


55      Sentenza del 14 settembre 2017, The Trustees of the BT Pension Scheme, (C‑628/15, EU:C:2017:687, punto 47).


56      Sentenza del 13 dicembre 2017, El Hassani, (C‑403/16, EU:C:2017:960, punti da 36 a 41).


57      V. le mie conclusioni El Hassani (C‑403/16, EU:C:2017:659, punti da 103 a 106).


58      V., ad esempio, sentenze del 5 marzo 1980, Pecastaing (98/79, EU:C:1980:69, punto 11), e del 17 giugno 1997,Shingara e Radiom (C‑65/95 e C‑111/95, EU:C:1997:300, punto 24).


59      V., ad esempio, sentenza 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata).


60      V. sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 29), e del 26 febbraio 2013, Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 60).


61      V., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).


62      V. sentenza del 20 ottobre 2016, Danqua, C‑429/15, EU:C:2016:789, punto 32.


63      V., ad esempio, per una trattazione anteriore, Prechal, S., e Widdershoven, R., «Redefining the Relationship between “Rewe-effectiveness” and Effective Judicial Protection», Review of European Administrative Law, 2011, vol. 4, pagg. da 31 a 50, pag. 46.


64      V., a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Puškár (C‑73/16, EU:C:2017:253, paragrafo 49 e segg.) e conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Connexxion Taxi Services (C‑171/15, EU:C:2016:506, paragrafo 65 e segg.).


65      Ciò, in particolare, quando l’autorità è chiamata a compiere accertamenti complessi, beneficiando, di conseguenza, di un’ampia discrezionalità, analogamente a quanto avviene nell’ambito del controllo degli atti dell’Unione da parte del giudice dell’Unione. V. sentenza del 21 gennaio 1999, Upjohn (C‑120/97, EU:C:1999:14, punti 34 e 35).


66      V. sentenza del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 58), in cui il giudice del rinvio ha sottolineato la portata estremamente limitata del sindacato sulle conclusioni di fatto pertinenti raggiunte dall’autorità amministrativa.


67      Sentenza del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 58). V. anche sentenze del 21 gennaio 1999, Upjohn (C‑120/97, EU:C:1999:14, punti 30, 35 e 36), e del 9 giugno 2005, HLH Warenvertrieb e Orthica (C‑211/03, C‑299/03 e da C‑316/03 a C‑318/03, EU:C:2005:370, punti da 75 a 79).


68      V., a tal proposito, nel senso di reputare insufficiente, nel settore degli appalti pubblici, un controllo giurisdizionale limitato al carattere arbitrario di una decisione, le sentenze dell’11 dicembre 2014, Croce Amica One Italia (C‑440/13, EU:C:2014:2435, punti da 40 a 45), e del 18 giugno 2002, HI (C‑92/00, EU:C:2002:379, punti da 59 a 64). Nel medesimo settore, relativamente a un controllo giurisdizionale fondato sulla ragionevolezza, v. conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Connexxion Taxi Services (C‑171/15, EU:C:2016:506, paragrafo 65 e segg.).


69      Sentenza del 6 novembre 2012, (C‑199/11, EU:C:2012:684, punto 49). Il corsivo è mio. V. anche sentenza del 17 dicembre 2015, Imtech Marine Belgium (C‑300/14, EU:C:2015:825, punto 38).


70      Sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund(C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 55). Il corsivo è mio.


71      V., ad esempio, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 102); del 9 febbraio 2017, M. (C‑560/14, EU:C:2017:101, punto 33), e del 26 luglio 2017, Sacko, (C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 41).


72      V., ad esempio, in materia di asilo, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punti 56, 57 e 61). V. inoltre, ad esempio, Reneman, M., «EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy», Hart Publishing, Oxford, 2014.


73      Trattasi, in effetti, di una mera ispirazione, in quanto l’ambito di applicazione dell’articolo 47 della Carta risulterebbe più ampio rispetto a quello dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU (circoscritto alla determinazione di diritti e doveri di carattere civile e di accuse penali) e dell’articolo 13 CEDU (limitato ai diritti e alle libertà riconosciuti nella Convenzione).


74      Sentenza della Corte EDU, 21 luglio 2011, Sigma Rado Television Ltd. c. Cipro, (CE:ECHR:2011:0721JUD003218104, § 154 e la giurisprudenza ivi citata).


75      V., ad esempio, sentenze delle Corte EDU, 22 novembre 1995, Bryan c. Regno Unito (CE:ECHR:1995:1122JUD001917891, §§ da 44 a 47); 27 ottobre 2009, Crompton c. Regno Unito (CE:ECHR:2009:1027JUD004250905, §§ 78 e 79), e del 20 ottobre 2015, Fazia Ali c. Regno Unito (CE:ECHR:2015:1020JUD004037810, § 79 e segg.). In riferimento all’articolo 13 CEDU, v. sentenze 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito (CE:ECHR:1989:0707JUD001403888,§§ 121 e 124), e 30 ottobre 1991, Vilvarajah e a. c. Regno Unito (CE:ECHR:1991:1030JUD001316387, §§ da 122 a 127).


76      Sentenze della Corte EDU, 28 maggio 2002, Kingsley c. Regno Unito, (CE:ECHR:2002:0528JUD003560597, §§ da 32 a 34), e 14 novembre 2006, Tsfayo c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:1114JUD006086000, §§ da 46 a 49). In riferimento all’articolo 13 CEDU, v. sentenze 27 settembre 1999, Smith e Grady c. Regno Unito (CE:ECHR:1999:0927JUD003398596, §§ da 135 a 139), e 8 luglio 2003, Hatton e altri c. Regno Unito (CE:ECHR:2003:0708JUD003602297,§§ da 140 a 142).


77      Cfr. supra, paragrafi da 53 a 55 delle presenti conclusioni.


78      V., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, EU:C:2017:255, punti 45 e 46).


79      V. a tal proposito, le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Fahimian (C‑544/15, EU:C:2016:908, paragrafo 78).


80      Sentenze del 7 settembre 2004, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging (C‑127/02, EU:C:2004:482, punto 66); del 26 maggio 2011, Stichting Natuur en Milieu e a. (da C‑165/09 a C‑167/09, EU:C:2011:348, punti da 100 a 1039, e del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 25), che fa riferimento alla sentenza del 24 ottobre 1996, Kraaijeveld e a. (C‑72/95, EU:C:1996:404, punto 56).


81      Vorrei precisare che ciò significa, semplicemente, che gli elementi di fatto accertati dall’autorità amministrativa non possono essere completamente esclusi dal controllo giurisdizionale. La determinazione del capo sotto cui tali elementi ricadono, in termini di motivi di diritto ammissibili secondo il sistema nazionale di giustizia amministrativa, e il piano sul quale saranno valutati (ad esempio, valutazione erronea dei fatti, errore manifesto di valutazione, snaturamento degli elementi probatori) spetta, di nuovo, alla normativa nazionale. Per un’analisi comparativa dei vari sistemi nazionali di controllo, v., ad esempio, Schwarze, J., «Droit administrative européen», 2a edizione, Bruylant 2009, pagg. da 274 a 311.