Language of document : ECLI:EU:C:2009:52

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ‑JARABO COLOMER

presentate il 5 febbraio 2009 1(1)

Causa C‑478/07

BudějovickýBudvar National Corporation

contro

Rudolf Ammersin GmbH

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Handelsgericht Wien)

«Indicazioni geografiche e denominazioni d’origine – Interpretazione della sentenza della Corte 18 novembre 2003, causa C‑216/01, Budějovický Budvar – Carattere esclusivo del regolamento n. 510/2006»





I –    Introduzione

1.        Negli ultimi cento anni la birreria nordamericana Anheuser‑Busch Inc. e quella ceca Budějovický Budvar si contendono in processi senza fine l’uso esclusivo delle denominazioni Budweiser e Bud.

2.        La controversia principale si svolge ora in Austria dinanzi allo Handelsgericht Wien (Tribunale commerciale di primo grado di Vienna) che nell’anno 2001 ha rivolto alla Corte una questione pregiudiziale nell’ambito del detto conflitto, che la Corte ha risolto con sentenza 18 novembre 2003 (in prosieguo: la «Bud I» (2)).

3.        Dopo lunghe vicissitudini presso gli organi giudiziari superiori, la causa è tornata – ancora senza soluzione – al Tribunale viennese, che ha deciso di porre nuove questioni pregiudiziali prima di pronunciarsi.

4.        La prima, formulata in modo piuttosto complesso, riguarda l’interpretazione di vari passaggi della sentenza Bud I, in particolare sui requisiti richiesti a un’indicazione geografica semplice per la compatibilità con l’art. 28 CE.

5.        La seconda e la terza approfondiscono la discussa questione dell’esclusività del regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (3). Partendo, sorprendentemente, dall’ipotesi di un’indicazione geografica qualificata, lo Handelsgericht Wien chiede se sia valida una tutela nazionale di questo tipo di denominazioni o quella bilaterale estesa con convenzione a un altro Stato membro, alla luce di due distinte circostanze: da un lato, il caso in cui non sia stata chiesta la registrazione comunitaria della denominazione; dall’altro, quello in cui l’indicazione geografica qualificata non sia inclusa nell’Atto di adesione di uno Stato membro, a differenza di altre utilizzate per la bevanda in questione.

II – Contesto normativo

A –    Diritto internazionale

6.        L’Accordo di Lisbona sulla protezione delle denominazioni d’origine e sulla loro registrazione internazionale (4) prevede all’art. 1, n. 2, che gli Stati aderenti (5) si impegnano a proteggere, sui loro territori, le denominazioni d’origine dei prodotti degli altri Stati dell’«Unione particolare», riconosciuti a tale titolo nel paese d’origine e registrati presso l’Ufficio internazionale contemplato dalla Convenzione istitutiva dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (in prosieguo: l’«OMPI»).

7.        L’art. 2, n. 1, dell’Accordo di Lisbona definisce la «denominazione d’origine» come «la denominazione geografica di un paese, di una regione o di una località, utilizzata per designare un prodotto che ne è originario e di cui le qualità o i caratteri sono dovuti, esclusivamente o essenzialmente, all’ambiente geografico comprendente i fattori naturali e i fattori umani». Ai sensi dell’Accordo di Lisbona, la denominazione d’origine Bud è stata registrata presso l’OMPI il 10 marzo 1975, con il n. 598 per la birra.

B –    Convenzione bilaterale

8.        In data 11 giugno 1976 la Repubblica d’Austria e la Repubblica socialista cecoslovacca hanno concluso un Trattato in materia di tutela delle indicazioni geografiche, denominazioni d’origine ed altre denominazioni attinenti alla provenienza di prodotti agricoli e industriali (in prosieguo: «la Convenzione bilaterale») (6).

9.        Conformemente all’art. 2, si utilizzano i termini indicazioni geografiche, denominazioni d’origine e altre denominazioni attinenti alla provenienza, ai sensi della Convenzione, per tutte le indicazioni che si riferiscono, direttamente o indirettamente, alla provenienza dei prodotti.

10.      Ai sensi dell’art. 3, n. 1, «[n]ella Repubblica d’Austria le denominazioni cecoslovacche enumerate nella convenzione di esecuzione di cui all’art. 6 sono riservate esclusivamente ai prodotti cecoslovacchi». L’art. 5, n. 1, lett. B, punto 2, menziona la birra tra i generi di prodotti cechi cui si applica la protezione prevista dalla Convenzione bilaterale, mentre l’allegato B, cui fa riferimento l’art. 6 della convenzione, include la «Bud» tra le denominazioni cecoslovacche relative ai prodotti agricoli e industriali (nella rubrica «birra»).

11.      Con legge costituzionale 15 dicembre 1992, n. 4/1993, la Repubblica ceca si è impegnata a succedere nei diritti e negli obblighi spettanti, in forza del diritto internazionale, alla Repubblica socialista cecoslovacca alla data di estinzione della stessa.

C –    Normativa comunitaria

1.      Regolamento (CE) n. 510/2006

12.      Questo nuovo regolamento relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari recepisce, in sostanza, le disposizioni del regolamento (CEE) n. 2081/92 (7) che abroga e sostituisce.

13.      Il sesto ‘considerando’ ricorda che «è opportuno prevedere un approccio comunitario per le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche», in modo da garantire condizioni di concorrenza uguali a coloro che beneficiano di siffatte diciture e migliorare la credibilità dei prodotti agli occhi dei consumatori.

14.      L’art. 2 definisce le nozioni di «denominazione d’origine» e di «indicazione geografica» ai fini del regolamento. Ai sensi del n. 1:

a)      La «denominazione d’origine» designa «il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:

–      originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese,

–      la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e

–      la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata».

b)      L’«indicazione geografica» si riferisce al «nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:

–      come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

–      del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica, e

–      la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata».

15.      Affinché una locuzione possa essere utilizzata come denominazione d’origine o quale indicazione geografica non è indispensabile che sia un toponimo, giacché, ai sensi dell’art. 2, n. 2, del regolamento, sono incluse in tale categoria anche le «denominazioni tradizionali», geografiche o di altra natura che designano un prodotto agricolo o alimentare, sempre che soddisfino i requisiti di cui al n. 1.

16.      Gli artt. 5‑7 del regolamento n. 510/2006 disciplinano il cosiddetto «procedimento normale» per la registrazione delle denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche, che prevede due fasi successive: la prima si svolge dinanzi al governo nazionale e la seconda dinanzi alla Commissione.

17.      Ai sensi dell’art. 5 le domande di registrazione sono inviate allo Stato membro interessato, il quale, ove siano soddisfatti i requisiti richiesti dal regolamento n. 510/2006, trasmette la documentazione alla Commissione.

18.      L’art. 5, n. 6, del regolamento n. 510/2006 conferisce agli Stati membri la possibilità di concedere, in via transitoria, alla denominazione una protezione ai sensi del regolamento a livello nazionale. Tale protezione transitoria decorre dalla data della presentazione della domanda alla Commissione e cessa dalla data in cui è adottata la decisione sull’iscrizione al registro comunitario. Nel caso in cui la denominazione non venga registrata, le conseguenze della protezione nazionale transitoria «sono responsabilità esclusiva dello Stato membro interessato».

2.      Regolamento (CE) n. 918/2004

19.      Nel 2004 l’adesione all’Unione europea di dieci nuovi Stati ha reso necessaria l’approvazione di alcune misure transitorie in materia di denominazioni d’origine e d’indicazioni geografiche.

20.      Risponde a tale scopo il regolamento (CE) n. 918/2004 (8), il cui art. 1 autorizza la Repubblica ceca, l’Estonia, Cipro, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, Malta, la Polonia, la Slovenia e la Slovacchia a mantenere la protezione nazionale delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche esistente al 30 aprile 2004, ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92:

–        fino al 31 ottobre 2004, come regola generale;

–        o, allorché sia stata trasmessa alla Commissione una domanda di registrazione, fino all’adozione di una decisione in merito.

21.      L’art. 1, terzo comma, prevede, inoltre, che «le conseguenze di tale protezione, nel caso in cui la denominazione non è registrata a livello comunitario, sono responsabilità esclusiva dello Stato membro interessato».

3.      Atto di adesione (9)

22.      L’allegato II dell’Atto di adesione ha esteso la tutela comunitaria, mediante registrazione come indicazioni geografiche protette, a tre denominazioni di birra provenienti dalla città ceca di České Budějovice:

–        Budějovické pivo;

–        Českobudějovické pivo;

–        Budějovický měšt’anský var.

III – Controversia principale, sue origini e questione pregiudiziale

A –    Breve storia di una lunga controversia

23.      La lotta per l’uso esclusivo delle denominazioni Budweiser e Bud ha causato seri contenziosi per oltre un secolo tra la birreria ceca Budějovický Budvar (Budweiser Budvar, in prosieguo: la «Budvar») e quella statunitense Anheuser‑Busch.

24.      La birreria Budvar (10) si trova nella città ceca di České Budějovice, nota per una lunga tradizione birraia (11). Dal 1795 le birrerie che sono poi confluite nell’attuale Budvar producono e commercializzano birra con le denominazioni «Budweis» (12), «Budweiser Bier» (13), «Budvar» o «Budbräu» (14). Il marchio «Budweiser» è stato registrato nel 1895.

25.      Come quasi tutti i birrai di Saint Louis (Missouri), gli Anheuser‑Busch erano di origine tedesca (15). Non deve stupire, pertanto, che, consapevoli della fama della birra di Budweis, nel 1876 abbiano deciso di lanciare sul mercato americano una birra leggera con il nome di «Budweiser», cui sarebbe seguita un’altra denominata più brevemente «Bud». Non solo adottavano il nome della birra ceca, ma per la sua preparazione utilizzavano i metodi di produzione adottati in Boemia (16), fino a parafrasare il soprannome «the beer of kings» (la birra dei re), usato a Budweis, riportando sull’etichetta della birra americana l’espressione «the king of beers» (la regina delle birre). Nel febbraio del 1906 l’Ufficio dei brevetti statunitense respingeva la domanda di riconoscimento del marchio «Budweiser», presentata dall’Anheuser‑Busch, a causa del suo carattere geografico. L’anno successivo, tuttavia, veniva ammessa la registrazione negli Stati Uniti per un periodo di dieci anni.

26.      L’incremento degli scambi commerciali su entrambe le sponde dell’Atlantico dava luogo a una disputa i cui primi episodi giudiziari risalgono all’anno 1880. Da allora, sono stati instaurati processi in vari paesi sull’uso delle denominazioni Budweiser e Bud (17), con esiti assai disparati (18).

27.      La giurisprudenza comunitaria non è rimasta estranea a questa strategia generale di vertenze, in quanto i rappresentanti di entrambe le società (o i distributori dei loro prodotti) si sono spesso rivolti alle istituzioni europee denunciando la violazione del diritto comunitario.

28.      In più occasioni, l’Anheuser‑Busch ha chiesto la registrazione come marchi comunitari di Budweiser e Bud (nelle loro varianti denominative e figurative e per diverse classi). L’opposizione della Budvar, che invocava diritti anteriori, ha dato luogo a varie decisioni della seconda commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno («UAMI»), a loro volta impugnate dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee.

29.      Ad esempio, la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 3 dicembre 2003 (19), che ha accolto l’opposizione della Budvar alla registrazione di Budweiser come marchio comunitario per la classe 32 (birre, …), è stata impugnata dinanzi al Tribunale di primo grado, ma la causa è stata archiviata a seguito del ritiro della domanda di registrazione da parte dell’Anheuser‑Busch (20).

30.      Viceversa, la seconda commissione di ricorso dell’UAMI, nelle decisioni 14 e 28 giugno nonché 1° settembre 2006 (21), ha autorizzato la registrazione del marchio comunitario Bud nonostante l’opposizione della Budvar, che aveva invocato la Convenzione bilaterale tra Austria e Cecoslovacchia e la registrazione della denominazione controversa presso l’OMPI, come denominazione d’origine, ai sensi dell’Accordo di Lisbona, con effetto in Francia, Italia e Portogallo (22). La commissione di ricorso ha dichiarato che è difficile considerare la denominazione Bud come denominazione d’origine o indicazione geografica indiretta, ritenendo insufficienti le prove dedotte dalla Budvar sull’uso di tale denominazione, in particolare in Austria, Francia e Portogallo. Ha affermato, inoltre, che il mero utilizzo del segno Bud non può costituire al tempo stesso l’uso di un marchio e di un’indicazione d’origine, giacché questi assolvono funzioni diverse e incompatibili. Nella recente sentenza 16 dicembre 2008 (23) il Tribunale di primo grado ha annullato tali decisioni dell’UAMI.

31.      La stessa Corte si è già pronunciata due volte in merito al contenzioso tra la birreria ceca Budvar e quella americana Anheuser‑Busch, con le sentenze 16 novembre 2004, Anheuser‑Busch (24), e la citata sentenza Bud I del 2003.

32.      Nella prima di tali sentenze, che si inserisce nel filone finlandese di questa lunga vicenda, la Corte si è pronunciata sul regime applicabile all’uso di un marchio registrato e di un nome commerciale potenzialmente inconciliabili, segnatamente alla luce dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio («accordo ADPIC») (25). Tale decisione non incide in alcun modo sulle questioni finora esposte.

33.      La sentenza Bud I, che introduce il capitolo austriaco della vicenda, più centrato sulle indicazioni geografiche che sul diritto dei marchi, è invece più direttamente collegata alla presente causa.

B –    Controversia principale

1.      Fatti alla base della prima questione pregiudiziale

34.      I fatti all’origine del contenzioso in Austria risalgono all’anno 1999, quando la Budvar chiedeva allo Handelsgericht Wien di inibire alla Rudolf Ammersin GmbH (società che distribuisce in Austria la birra con marchio American Bud), in territorio austriaco, l’uso della denominazione Bud o altra simile che possa causare confusione, salvo che non sia riferita a prodotti della stessa Budvar. La ricorrente invocava, in particolare, la Convenzione bilaterale tra la Repubblica d’Austria e la Repubblica socialista di Cecoslovacchia, ai sensi della quale l’uso della denominazione Bud (contemplata nell’allegato B della detta convenzione) in territorio austriaco è consentito esclusivamente per le merci di origine ceca.

35.      Parallelamente, la Budvar aveva depositato un’uguale istanza presso il Landesgericht Salzburg (Tribunale regionale di Salisburgo), ma diretta contro la società Josef Sigl KG, importatrice in esclusiva della birra American Bud in Austria. In questo secondo processo e, più precisamente, nel ricorso per cassazione instaurato con procedimento sommario, in data 1° febbraio 2000 l’Oberster Gerichtshof (Corte di cassazione) emetteva un’ordinanza che, oltre a confermare i provvedimenti provvisori richiesti dall’istanza, dichiarava compatibile la tutela della denominazione Bud, prevista dalla Convenzione bilaterale, con l’art. 28 CE, facendola rientrare nella nozione di proprietà industriale e commerciale di cui all’art. 30 CE. Aveva infatti ritenuto che la denominazione Bud fosse un’indicazione geografica «semplice» (non essendovi vincoli tra le caratteristiche del prodotto e la sua provenienza) e «indiretta» (non essendo, in quanto tale, un nome geografico, ma un appellativo idoneo a informare il consumatore del luogo di provenienza del prodotto), che gode di una «protezione assoluta», ovvero, indipendente da qualsiasi rischio di confusione o di inganno.

2.      Sentenza Bud I

36.      In tale contesto, il 26 febbraio 2001 lo Handelsgericht Wien sospendeva il giudizio contro la Ammersin e rivolgeva alla Corte quattro questioni pregiudiziali, che ricevevano risposta con la citata sentenza Bud I del 18 novembre 2003.

37.      La terza e quarta questione riguardavano la vigenza della Convenzione bilaterale nella Repubblica ceca (non si deve dimenticare che il trattato era stato concluso dalla ex Cecoslovacchia), nonché sull’interpretazione dell’art. 307 CE.

38.      Maggior importanza, per il caso di specie, assumono le prime due questioni poste alla Corte nel 2001, così risolte:

«1) L’art. 28 CE e il regolamento (CEE) (…) n. 2081/92 (…) non ostano all’applicazione di una disposizione di un trattato bilaterale, concluso tra uno Stato membro ed uno Stato terzo, che attribuisce ad un’indicazione d’origine geografica semplice e indiretta del detto paese terzo una tutela nello Stato membro importatore che è indipendente da qualsiasi rischio d’inganno e consente di impedire l’importazione di un prodotto regolarmente commercializzato in un altro Stato membro.

2) L’art. 28 CE osta all’applicazione di una disposizione di un trattato bilaterale, concluso tra uno Stato membro ed uno Stato terzo, che attribuisce ad una denominazione che non si riferisce né direttamente né indirettamente nel detto paese terzo all’origine geografica del prodotto da essa designato una tutela nello Stato membro importatore che è indipendente da qualsiasi rischio d’inganno e consente di impedire l’importazione di un prodotto regolarmente commercializzato in un altro Stato membro».

39.      Conformemente ai punti 101 e 107 della sentenza, spetta al giudice del rinvio verificare se la denominazione Bud designa o si riferisce all’origine del prodotto, «secondo le condizioni di fatto e le concezioni prevalenti nella Repubblica ceca».

3.      Fatti successivi alla sentenza Bud I

40.      In esito alla soluzione fornita dalla Corte, lo Handelsgericht Wien respingeva, in data 8 dicembre 2004, le richieste della ricorrente ritenendo che la popolazione ceca non collegasse la denominazione Bud con una regione o un luogo determinati, inclusa la città di České Budějovice, né pensasse che la detta denominazione designava prodotti o servizi provenienti da un luogo determinato, per cui non poteva qualificarsi come indicazione geografica. Sulla base della sentenza della Corte, il tribunale viennese dichiarava che la tutela della denominazione in questione doveva ritenersi incompatibile con l’art. 28 CE.

41.      Nonostante la conferma in appello della detta sentenza, la disputa era ancora lontana dal trovare soluzione.

42.      Con ordinanza 29 novembre 2005, l’Oberster Gerichtshof annullava le precedenti decisioni e rinviava la causa allo Handelsgericht Wien ai fini di una nuova decisione a seguito di un procedimento supplementare. Applicando i criteri stabiliti ai punti 54 e 101 della sentenza Bud I, la Corte di cassazione austriaca giungeva alla conclusione che, pur non costituendo un nome geografico, la denominazione Bud è tuttavia idonea a informare i consumatori che il prodotto così designato proviene da un luogo, da una regione o da un paese determinati, il che non elimina il dubbio che i consumatori percepiscano la denominazione Bud, in collegamento con la birra, come un’indicazione d’origine. Giudicava quindi ancora irrisolta la questione se la denominazione controversa costituisse o meno un’indicazione geografica semplice o indiretta.

43.      Il tribunale di primo grado, investito nuovamente della causa, respingeva per la seconda volta la domanda della Budvar con sentenza 23 marzo 2006. Basandosi sui risultati di un sondaggio demoscopico prodotto in giudizio dalla Ammersin, dichiarava che la popolazione ceca non collegava la denominazione Bud a un luogo, a una regione o a un paese determinati, né pensava che la birra Bud avesse un’origine precisa (segnatamente la città di České Budějovice).

44.      La ricorrente interponeva nuovamente appello dinanzi all’Oberlandesgericht Wien (Corte d’appello di Vienna) che, in tale occasione, annullava la decisione impugnata e rinviava la causa al Tribunale commerciale di primo grado, raccomandando, come proposto dalla Budvar, un sondaggio di opinione presso una fascia di popolazione significativa, per verificare: se i consumatori cechi mettano in relazione la denominazione Bud con la birra; se, in presenza di tale relazione (fatta spontaneamente o su suggerimento dell’incaricato), intendano tale denominazione come indicazione del fatto che la birra è originaria di un luogo, di una regione o di un paese determinati; e, in caso di risposta affermativa, esplicitino di quale.

45.      L’Handelsgericht Wien, investito della questione per la terza volta, ha deciso di porre un’ulteriore questione pregiudiziale alla Corte, affinché chiarisca taluni aspetti della sentenza Bud I la cui interpretazione ha sollevato dubbi fra i giudici austriaci, tenendo conto dei nuovi importanti elementi di fatto e di diritto emersi dopo la pronuncia del 2003 e, segnatamente, l’adesione della Repubblica ceca all’Unione europea, la tutela di varie denominazioni di birre provenienti da České Budějovice come indicazioni geografiche contemplate nell’Atto di adesione, nonché la citata decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 14 giugno 2006 che, nella sua motivazione, dichiara che la denominazione Bud, invocata dalla ricorrente, non può costituire, al tempo stesso, un marchio e un’indicazione geografica.

C –    Questioni pregiudiziali

46.      Ai sensi dell’art. 234 CE, lo Handelsgericht Wien pone alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Nella sentenza 18 novembre 2003 (…), la Corte di giustizia ha stabilito che, affinché la tutela quale indicazione geografica di una denominazione che nel paese di origine non è né il nome di un luogo né quello di una regione sia compatibile con l’art. 28 CE, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

–        tale denominazione deve designare, secondo le condizioni di fatto e secondo le concezioni esistenti nello Stato di origine, una regione od un luogo di altro Stato, e

–        la sua protezione deve essere giustificata in base ai criteri di cui all’art. 30 CE.

Se tali requisiti significhino:

1.1)      che la denominazione in quanto tale svolge concretamente una funzione di indicazione geografica riferita ad un determinato luogo o ad una determinata regione, oppure se sia sufficiente che la denominazione sia idonea, in connessione con il prodotto da essa designato, a informare i consumatori del fatto che tale prodotto proviene da un determinato luogo o da una determinata regione dello Stato di origine;

1.2)      che i tre presupposti di cui sopra costituiscono condizioni che debbono essere esaminate separatamente ed essere soddisfatte cumulativamente;

1.3)      che, ai fini dell’accertamento delle concezioni esistenti nel paese di origine, deve essere effettuato un sondaggio tra i consumatori e, in caso affermativo, che ai fini della tutela è necessario un livello di notorietà e di riconoscibilità basso, medio o elevato;

1.4)      che la denominazione è stata effettivamente utilizzata nello Stato di origine come indicazione geografica da più imprese, e non da un’unica impresa, e che l’utilizzo come marchio da parte di una sola impresa osta al riconoscimento della tutela.

2)      Se il fatto che una denominazione non sia stata notificata o denunciata né entro il termine di sei mesi previsto dal regolamento (CE) n. 918/2004 né altrimenti ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006 determini come conseguenza una perdita di efficacia di un’eventuale tutela nazionale esistente o comunque di un’eventuale tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro, nel caso in cui, ai sensi del diritto nazionale dello Stato di origine, la denominazione costituisca un’indicazione geografica qualificata.

3)      Se il fatto che, nell’ambito del Trattato di adesione tra gli Stati membri dell’Unione europea ed un nuovo Stato membro, quest’ultimo Stato abbia richiesto la tutela di varie indicazioni geografiche qualificate per un prodotto alimentare ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006 abbia come conseguenza che un’eventuale tutela nazionale o comunque un’eventuale tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro relativa ad un’ulteriore denominazione per lo stesso prodotto non può più essere mantenuta e che al detto regolamento (CE) n. 510/2006 spetta in proposito efficacia esclusiva».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

47.      La domanda pregiudiziale è stata registrata presso la cancelleria della Corte in data 25 ottobre 2007.

48.      Hanno depositato osservazioni scritte la ricorrente e la convenuta nella controversia principale, i governi della Repubblica ellenica e della Repubblica ceca, nonché la Commissione.

49.      All’udienza del 2 dicembre 2008 hanno presentato oralmente le loro osservazioni i rappresentanti della Budějovický Budvar National Corporation, della Rudolf Ammersin GmbH, della Repubblica ceca, della Repubblica ellenica e della Commissione.

V –    Analisi delle questioni pregiudiziali

A –    Due considerazioni preliminari

50.      Il rinvio pregiudiziale in oggetto presenta due peculiarità che meritano di essere esaminate in via preliminare.

1.      Esegesi di una precedente sentenza

51.      La prima particolarità riguarda la richiesta da parte dello Handelsgericht Wien alla Corte di chiarire il senso di taluni passaggi della sentenza Bud I.

52.      La circostanza che il rinvio riguardi, in parte, non una norma comunitaria ma una decisione della Corte non comporta, a parer mio, problemi di ammissibilità. In passato la Corte ha accettato di rispondere a simili questioni poste dai giudici nazionali in via pregiudiziale, ad esempio, nelle sentenze 16 marzo 1978, Robert Bosch (26), e 16 dicembre 1992, nota come «Stoke‑on‑Trent» (27).

53.      Orbene, tale richiesta di interpretare una precedente pronuncia è causata dal fatto che due giudici austriaci, in relazione gerarchica, hanno in merito opinioni discordi. A fronte dell’insistenza dell’Oberster Gerichtshof e dell’Oberlandesgericht Wien su come deve essere prodotta e fornita la prova di un aspetto del procedimento (la percezione che la popolazione della Repubblica ceca ha della denominazione Bud), lo Handelsgericht Wien ha sottoposto la questione alla Corte, probabilmente sperando che la pronuncia dia ragione a uno dei due o, perlomeno, che ponga fine ai dissensi latenti tra i giudici nazionali.

54.      Ritengo che la Corte non dovrebbe accettare la sfida. Con la sentenza Bud I ha espressamente attribuito questa valutazione al giudice nazionale e non vi è motivo ora di mutare orientamento né di apportare criteri diversi o di fornire precisazioni ulteriori rispetto al passato.

2.      Si modifica l’ipotesi di partenza

55.      La seconda peculiarità della presente causa risiede nel fatto che l’ipotesi su cui si basa il ragionamento del giudice del rinvio varia nelle tre questioni pregiudiziali. Con la prima, il tribunale viennese chiede di chiarire i criteri in base ai quali la denominazione Bud può ritenersi un’indicazione geografica «semplice e indiretta», compatibile con l’art. 28 CE, mentre la seconda e la terza si fondano sulla tesi che la denominazione costituisca un’indicazione geografica «qualificata» ai sensi del diritto nazionale dello Stato d’origine.

56.      La distinzione tra indicazioni geografiche semplici e qualificate è ampiamente accolta nella dottrina (28) e nella giurisprudenza (29).

57.      Le indicazioni geografiche semplici non richiedono che i prodotti abbiano requisiti speciali o godano di un certo prestigio, derivanti dal luogo di provenienza, ma è sufficiente che siano idonee a identificare tale luogo. Si ritengono invece qualificate quelle che designano un prodotto caratterizzato da una qualità, una reputazione o un’altra caratteristica collegata all’origine del prodotto stesso; oltre al legame territoriale, sfruttano anche un nesso qualitativo, di minore intensità rispetto a quello delle denominazioni d’origine, riservate ai beni le cui peculiarità derivano da fattori naturali o umani del luogo di provenienza. La normativa comunitaria tutela esclusivamente le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche qualificate.

58.      La sentenza Bud I ha ritenuto la denominazione Bud un’indicazione geografica semplice (30), non contemplata dal regolamento n. 2081/92, e ha stabilito i criteri necessari affinché la sua tutela sul territorio nazionale sia conforme al diritto comunitario o quelli richiesti per estendere la tutela a uno Stato terzo. Nel sollevare nuovi dubbi sul dettato di tale sentenza, il giudice del rinvio reitera la propria iniziale percezione della denominazione come indicazione geografica semplice. Stupisce, quindi, che rivolga poi due domande che sottendono l’eventuale qualificazione di Bud come indicazione geografica qualificata, rientrante nell’ambito d’applicazione del regolamento comunitario.

59.      La ricorrente identifica in tale incoerenza una causa di inammissibilità della prima questione pregiudiziale.

60.      Secondo costante giurisprudenza, spetta esclusivamente al giudice nazionale investito della controversia valutare sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte ai sensi dell’art. 234 CE (31). Spetta tuttavia alla Corte esaminare, in casi eccezionali, le condizioni in cui essa viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (32). Ciò accade qualora il problema sottoposto alla Corte sia di natura meramente ipotetica (33), giacché lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento del procedimento pregiudiziale implica che il giudice nazionale tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri, e non le chieda di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali e ipotetiche (34).

61.      Lo stesso Handelsgericht Wien nell’ordinanza riconosce indirettamente natura ipotetica alla prima domanda, evidenziando che, se nell’anno 2000 (epoca in cui ha posto le questioni pregiudiziali da cui è scaturita la sentenza Bud I) «si è assunto a presupposto il fatto che la denominazione “Bud” costituisce un’indicazione geografica semplice e indiretta», da allora tutto è cambiato, perché la sentenza Bud I «ha rinviato, ai fini della questione della compatibilità con l’art. 28 CE della tutela di un’indicazione geografica indiretta, alla situazione esistente nel paese di origine, vale a dire nella Repubblica ceca»; e «la denominazione “Bud” è tutelata nella Repubblica ceca come indicazione d’origine».

62.      Malgrado queste chiare affermazioni, il significato attribuito alla denominazione «Bud» nella Repubblica ceca è una questione tuttora aperta, intorno alla quale ruota, in realtà, l’intera controversia principale. La soluzione della prima questione pregiudiziale potrebbe contribuire a chiarire se la denominazione soddisfi il criterio della designazione territoriale, fattore imprescindibile per ritenerla un’indicazione geografica. Qualora poi si rilevasse anche un nesso qualitativo o qualsiasi altra ragione per indurre a ritenerla una denominazione d’origine nella Repubblica ceca, sarebbe di estrema utilità la soluzione della Corte per la seconda e terza domanda.

63.      Pertanto, sebbene in condizioni diverse sarebbe imprescindibile l’accertamento dei fatti di causa e la risoluzione dei problemi di mero diritto nazionale prima del rinvio alla Corte (35), ritengo che in questo caso la Corte dovrebbe dichiarare ammissibili le tre questioni pregiudiziali sottoposte.

B –    Sulla prima questione pregiudiziale

64.      Con la prima questione pregiudiziale, lo Handelsgericht Wien sottopone alla Corte alcuni dubbi sui passaggi della sentenza Bud I in cui si definiscono i requisiti della compatibilità con l’art. 28 CE della «tutela quale indicazione geografica di una denominazione che nel paese di origine non è né il nome di un luogo né quello di una regione».

65.      In particolare si fa riferimento ai punti 101 e 107 della sentenza, in cui si chiede al giudice del rinvio di verificare se, «secondo le condizioni di fatto e le concezioni prevalenti nella Repubblica ceca», la denominazione Bud designi una regione o un luogo del territorio di tale Stato. In tal caso e se la tutela nazionale fosse «giustificata alla luce dei criteri dell’art. 30 CE», la sua estensione al territorio di un altro Stato membro sarebbe conforme al diritto comunitario; in caso contrario, vi sarebbe una violazione dell’art. 28 CE.

1.      Sul modo di verificare l’associazione della denominazione Bud a un luogo determinato

66.      Il primo dubbio del tribunale viennese riguarda la questione se occorra che la denominazione, in quanto tale, svolga una funzione di riferimento geografico concreto a un luogo o una regione o se è sufficiente che essa sia idonea a informare il consumatore del luogo di provenienza di un prodotto.

67.      Al punto 101 la sentenza Bud I invita a verificare se la denominazione Bud «designa» una regione o un luogo, il che significherebbe chiedersi, in prima approssimazione, se corrisponde a un toponimo. Senonché al punto 107 smentisce questa idea, alludendo a una designazione diretta o indiretta; tale pronuncia, inoltre, si fonda sull’ipotesi che Bud è un’indicazione geografica «semplice e indiretta» (36).

68.      Le indicazioni geografiche e le stesse denominazioni d’origine non sempre corrispondono a nomi geografici: quando ciò avviene, si chiamano «dirette» e «indirette» in caso contrario, sempre che siano, perlomeno, idonee a informare il consumatore che il prodotto alimentare cui si riferiscono proviene da un luogo, regione o paese determinati. Lo stesso regolamento n. 510/2006 ammette quest’ultima possibilità contemplando all’art. 2, n. 2, le «denominazioni tradizionali», anche non toponimiche (37).

69.      Per soddisfare i criteri della sentenza Bud I è sufficiente, pertanto, che il termine identifichi il luogo di origine del prodotto. Nel caso di specie, occorre accertare se è chiaro ai cittadini cechi che la birra Bud proviene dalla città di České Budějovice; ciò non significa che il nome svolga la funzione d’indicazione geografica quando la si menziona in relazione al prodotto di cui trattasi, ed esclusivamente in tale caso.

70.      Al riguardo sono pertinenti talune obiezioni sollevate dalla convenuta la quale afferma, ai punti 25 e 26 delle sue osservazioni, che la sua concorrente Budvar utilizza de facto la parola Bud come marchio e non come indicazione geografica (38), circostanza che potrebbe rendere più complicata una valutazione obiettiva del ruolo svolto in concreto dalla parola Bud, giacché «i bevitori di birra normalmente conoscono – come gli automobilisti – il luogo, la regione o il paese dove si produce la birra o l’auto che hanno acquistato», il che non deve indurre a confondere tali marchi con indicazioni d’origine. Cita alcuni esempi assai significativi, come la Coca‑Cola o la Volkswagen: la maggioranza degli statunitensi sa che la prima si produce ad Atlanta e in gran parte i tedeschi associano la seconda alla città di Wolfsburg, ma ciò non fa né dell’una né dell’altra delle indicazioni geografiche.

71.      Indipendentemente dal fatto che il pubblico ceco intuisca la provenienza della «birra Bud», occorre verificare se la locuzione Bud sia sufficientemente chiara da evocare un prodotto, la birra, e la sua provenienza, la città di České Budějovice.

72.      Come le denominazioni «cava» o «grappa» evocano l’origine spagnola e italiana, rispettivamente, di un vino frizzante e di un liquore e «feta» identifica un formaggio prodotto in Grecia (39), se si ritenesse Bud un’indicazione geografica, il consumatore ceco dovrebbe collegare tale locuzione con un luogo preciso e con la produzione della birra.

2.      Sulla questione se si tratti di tre requisiti indipendenti

73.      Nella seconda parte della prima questione pregiudiziale, lo Handelsgericht Wien chiede se la sentenza Bud I, nell’affermare che la soluzione dipende «[dal]le condizioni di fatto e [dal]le concezioni prevalenti nella Repubblica ceca», nonché dal fatto che la tutela accordata alla denominazione Bud in quello Stato sia giustificata alla luce dei criteri di cui all’art. 30 CE, «miri ad introdurre una differenziazione tale per cui debbano essere esaminati tre distinti criteri, oppure se in tal modo si intenda solo affermare espressamente che i consumatori cechi associano alla denominazione “Bud” (in collegamento o no con il prodotto così designato, a seconda della soluzione della prima questione) un luogo, una regione o un determinato paese».

74.      Quest’ultima interpretazione è più corretta. Nella sua formulazione la sentenza Bud I pare ispirarsi al punto 12 della citata sentenza Exportur, in base alla quale la tutela delle indicazioni di provenienza è determinata dal diritto del paese d’importazione e «dalla situazione di fatto e dalle idee correnti in questo paese». Tuttavia, nella sentenza Bud I rileva il paese di origine dei prodotti (la Repubblica ceca) e non il paese d’importazione (l’Austria), in quanto tale pronuncia verteva sull’estensione al secondo di detti Stati della tutela della denominazione Bud prevista nel primo, in forza di una Convenzione bilaterale.

75.      Il punto 101 significa, pertanto, che i consumatori cechi devono associare Bud a un luogo o una regione determinati, nei termini esposti nella soluzione alla questione 1.1), senza che sia necessaria la concorrenza di qualche «fatto» specifico.

76.      In tal caso occorrerebbe verificare che la denominazione Bud non abbia acquisito natura generica nello Stato d’origine, condizione a cui la giurisprudenza subordina l’inclusione dell’indicazione d’origine nella voce «proprietà industriale» di cui all’art. 30 CE (40). In tal caso, la tutela sarebbe giustificata alla luce dei criteri stabiliti da detta norma.

3.      Sulla necessità di effettuare un sondaggio

77.      Con la terza parte della prima questione pregiudiziale si chiede alla Corte di pronunciarsi sul metodo più adeguato «per l’accertamento delle concezioni esistenti nel paese d’origine» e, in particolare, sull’adeguatezza di un’indagine.

78.      La giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di ricorrere a un sondaggio di opinione sia per accertare il carattere ingannevole di una dicitura pubblicitaria (41), sia per provare il carattere distintivo di un marchio (42). In entrambe le ipotesi, la Corte ha precisato che la decisione sulla scelta del metodo d’indagine spetta al giudice nazionale, che deve decidere in conformità del diritto dello Stato membro.

79.      In forza del principio di autonomia processuale, pertanto, anche nel caso di specie spetta ai giudici nazionali decidere, conformemente al diritto nazionale, se disporre una perizia o ricorrere a un sondaggio di opinione al fine di comprendere il valore della denominazione Bud come indicazione di provenienza, nonché per stabilire la percentuale di consumatori che può essere considerata significativa a tale scopo.

4.      Sull’utilizzo della denominazione Bud da parte di una sola impresa

80.      Con la quarta ed ultima parte della prima questione pregiudiziale lo Handelsgericht Wien chiede se la sentenza Bud I esiga che l’indicazione geografica sia utilizzata come tale nel paese d’origine da più imprese, di modo che il suo uso come marchio da parte di una sola impresa osterebbe al riconoscimento della tutela.

81.      I dubbi del giudice nazionale nascono dal fatto che «la denominazione “Bud” è un marchio registrato nella Repubblica ceca a favore della parte attrice», la sola società, peraltro, a farne uso nella Repubblica ceca, malgrado che «corrisponda alla natura di un’indicazione d’origine il fatto di essere utilizzata da tutti i produttori legittimati di una determinata regione».

82.      Indicazioni geografiche e marchi sono concetti diversi, seppure affini. Entrambi tutelano la reputazione commerciale di un prodotto da eventuali usurpazioni illegittime da parte di un terzo, fornendo indicazioni sulla sua origine, rispettivamente, geografica e di impresa. La differenza consiste nel fatto che il marchio tutela un interesse privato, quello del suo titolare, mentre l’indicazione geografica tutela tutti i produttori residenti nel territorio di riferimento.

83.      A mio parere, tale precisazione non implica che l’indicazione geografica, per essere valida, debba essere adottata contemporaneamente da più imprese della regione, in quanto ciò dipende da altri fattori. Perlomeno ritengo che tale opinione non possa trarsi, come pare suggerire il giudice del rinvio, dal punto 101 della sentenza Bud I, che menziona l’obbligo di verificare le «condizioni di fatto» che, in relazione alla denominazione controversa, prevalgono nella Repubblica ceca.

84.      Tuttavia, il presente caso non riguarda né un marchio né un’indicazione geografica registrata in ambito comunitario. Pertanto, il numero di soggetti che in concreto deve utilizzare la denominazione affinché questa conservi la sua effettività dovrebbe essere definito dal diritto interno, alla luce della Convenzione bilaterale.

85.      Qualcosa di simile accade nel caso della domanda se l’uso della denominazione Bud come marchio da parte di una sola impresa osti alla sua tutela come indicazione geografica.

86.      La normativa comunitaria prevede alcune regole per risolvere gli eventuali conflitti tra indicazioni geografiche e marchi, dalle quali emerge una certa preferenza per la prima di tali categorie, forse perché tutela l’interesse pubblico a che i consumatori conoscano la provenienza e le caratteristiche delle merci (43). Così l’art. 14 del regolamento n. 510/2006 nega la registrazione di un marchio corrispondente a una denominazione d’origine o a indicazioni geografiche protette, mentre i marchi registrati anteriormente, o acquisiti con l’uso in buona fede, coesistono con le indicazioni registrate successivamente conformemente al diritto europeo. La normativa comunitaria sui marchi vieta, inoltre, di ricorrere a segni che siano di natura tale da ingannare sulla provenienza geografica del bene (44).

87.      Nel caso di specie, tuttavia, spetta al giudice nazionale, ai sensi della Convenzione bilaterale, risolvere l’eventuale conflitto tra l’uso del marchio Bud e il suo riconoscimento come indicazione geografica.

C –    Sulla seconda questione pregiudiziale

88.      Con la seconda questione pregiudiziale il giudice austriaco vuole accertare se il fatto che una denominazione non sia stata notificata alla Commissione per la registrazione comunitaria comporti la perdita di efficacia della tutela nazionale vigente o di una tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro, ove si stabilisca che si tratta di un’indicazione geografica qualificata ai sensi del diritto nazionale dello Stato d’origine (nella fattispecie, la Repubblica ceca) (45).

89.      Si chiede alla Corte, in sostanza, di pronunciarsi sull’esclusività della disciplina comunitaria in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine, uno dei temi più discussi in questa materia, a cui la giurisprudenza non ha ancora risposto in modo esauriente.

90.      In caso di denominazioni che non presentano alcun nesso territoriale, cioè che non designano né direttamente né indirettamente la provenienza geografica del prodotto, la sentenza Bud I ne ha ritenuto la tutela incompatibile con l’art. 28 CE. Non vi è, pertanto, tutela nazionale di tali denominazioni (46), né esse sono protette dal diritto comunitario.

91.      Quanto alle indicazioni geografiche semplici, si desume dalla stessa sentenza Bud I e dalla sentenza Warsteiner (47) che la loro tutela a livello nazionale è conforme all’art. 28 CE, in quanto rientrano nelle eccezioni previste dall’art. 30 CE sotto la voce «proprietà industriale». Tali indicazioni non ricadono nell’ambito del regolamento comunitario (che richiede un riferimento topografico e, inoltre, che i prodotti abbiano taluni requisiti speciali o godano di un certo prestigio derivante dal luogo di provenienza).

92.      Restano le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche qualificate, che soddisfano i criteri della normativa europea e che, quindi, possono essere registrate e ottenere le garanzie offerte dal regolamento n. 510/2006. Tuttavia, se non vengono registrate a livello comunitario, è dubbio che gli Stati membri possano tutelarle con regole proprie o che il citato regolamento possa considerarsi esaustivo e precluda qualsiasi intervento statale nel suo ambito di applicazione formale e sostanziale.

93.      La questione è complicata (48). In ultima analisi, emerge qui il dibattuto tema della «preemption» comunitaria su un provvedimento e i casi in cui le competenze concorrenti degli Stati membri in una materia possono venire ad essere surrogate dall’intervento del legislatore comunitario (49).

94.      La discussione si ingarbuglia nel caso di specie in quanto la disciplina nazionale opererebbe sotto l’egida dell’art. 30 CE. Come evidenziato più volte dalla giurisprudenza, tale norma non mira a «riservare talune materie alla competenza esclusiva degli Stati membri, ma ammette che le norme interne deroghino al principio della libera circolazione, nella misura in cui ciò sia e continui ad essere giustificato per il conseguimento degli obiettivi contemplati da questo articolo» (50). Tuttavia il ricorso alle eccezioni previste dall’art. 30 CE può perdere la sua giustificazione qualora, una volta completata l’armonizzazione, una norma comunitaria già tuteli gli stessi interessi di quella nazionale (51).

95.      Il regolamento n. 510/2006 non chiarisce del tutto la questione e ciò ha diviso la dottrina (52) e portato gli Stati membri ad assumere posizioni diverse.

96.      A mio parere, l’esclusività del sistema comunitario pare più coerente con il dettato della disciplina comunitaria, con il suo scopo e con la giurisprudenza della Corte.

1.      Tenore letterale dei regolamenti nn. 510/2006 e 918/2004

97.      A differenza di ciò che avviene per i marchi, materia in cui si è scelto inequivocabilmente di adottare un doppio sistema di tutela, nazionale e comunitario (53), nel campo delle indicazioni geografiche il legislatore europeo si è limitato ad adottare un regolamento per la tutela comunitaria, senza armonizzare contestualmente le discipline nazionali, ove esistenti.

98.      Forse questa diversa strategia normativa sottende l’idea che non si possono mantenere in vigore norme nazionali che potenzialmente operino nello stesso ambito di un regolamento comunitario. Nel testo del regolamento n. 510/2006 si rilevano alcuni dati.

99.      L’art. 5, n. 6, del regolamento è abbastanza significativo, benché si rendano necessarie alcune precisazioni.

100. Tale norma prescrive che, dalla data di presentazione della domanda di registrazione alla Commissione, «il medesimo Stato membro può accordare solo in via transitoria alla denominazione una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale», (primo comma). Aggiunge che «la protezione nazionale transitoria cessa a decorrere dalla data in cui è adottata una decisione sulla registrazione» (terzo comma), precisando poi che «le conseguenze della protezione nazionale transitoria, nel caso in cui la denominazione non venga registrata ai sensi del presente regolamento, sono responsabilità esclusiva dello Stato membro interessato» (quarto comma).

101. La Corte ha recepito, nella citata sentenza Warsteiner, che tale art. 5, n. 6 (54), «non ha perciò alcun rapporto con la questione se gli Stati membri possano accordare, nei loro rispettivi territori nazionali, una protezione ai sensi del loro diritto nazionale a denominazioni geografiche di cui non chiedono la registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92, o che non soddisfano i presupposti per beneficiare della protezione prevista da tale regolamento» (punto 53).

102. È vero che l’art. 5, n. 6, nulla dice sull’esclusività del regolamento comunitario, limitandosi a disciplinare le situazioni che possono determinarsi in pendenza della decisione comunitaria di registrazione, ma questo fatto non impedisce di invocare la norma a fini interpretativi, in quanto una misura di questo tipo non avrebbe senso se gli Stati membri potessero mantenere i propri regimi nell’ambito del regolamento comunitario, giacché la denominazione rimarrebbe tutelata dalla norma nazionale durante il periodo transitorio.

103. Tale impostazione per cui la tutela nazionale delle indicazioni geografiche qualificate sussiste unicamente in via provvisoria sembra ispirare le disposizioni transitorie in materia di protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli e dei prodotti alimentari dei nuovi Stati membri, contenute nel regolamento n. 918/2004.

104. L’art. 1 di tale regolamento autorizza la Repubblica ceca e gli altri Stati che hanno aderito nel 2004 a prorogare fino al 31 ottobre dello stesso anno «la protezione nazionale ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/1992 delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche (...) esistente al 30 aprile 2004»; aggiungendo, analogamente a quanto previsto dall’art. 5, n. 6, del regolamento n. 510/2006, che, allorché «una domanda di registrazione (...) è stata trasmessa alla Commissione», tale protezione non può essere mantenuta fino all’adozione di una decisione in merito.

105. Tale norma, più chiara dell’art. 5 del regolamento n. 510/2006, non solo si riferisce alla proroga temporale dell’efficacia della disciplina nazionale nei casi in cui venga presentata una domanda di registrazione e finché non sia adottata una decisione, ma prevede espressamente anche che i sistemi vigenti negli Stati membri al momento dell’adesione restino in vigore solo fino al 31 ottobre 2004, con la conseguenza che, decorsa l’una o l’altra data, non permane una tutela nazionale parallela al regolamento comunitario e che operi nello stesso ambito.

106. La precedente deduzione non è smentita, a mio parere, dalla precisazione che lo Stato membro interessato assume «la responsabilità delle conseguenze di tale protezione, nel caso in cui la denominazione non è registrata a livello comunitario» (né dall’analoga disposizione di cui all’art. 5, n. 6, comma quarto, del regolamento n. 510/2006). L’inciso fa riferimento alle conseguenze del regime nazionale nel periodo transitorio qualora non venisse registrata l’indicazione richiesta, e non a quelle del mantenimento della normativa nazionale oltre a tale periodo transitorio.

2.      Ratio della disciplina comunitaria e lavori preparatori

107. Gli obiettivi del regolamento n. 510/2006 possono essere raggiunti solo con uno strumento europeo unico di tutela delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche.

108. Fin dalle sue origini, tale normativa ha risposto alla necessità di assicurare un «approccio comunitario» in materia.

109. Ciò emerge dal sesto e settimo ‘considerando’ del regolamento del 1992, che constatano che «la volontà di tutelare prodotti agricoli o alimentari identificabili in relazione all’origine geografica ha indotto taluni Stati membri a definire “denominazioni d’origine controllata”». Vi si afferma che le prassi nazionali sono attualmente «eterogenee», che urge una soluzione comunitaria e che «un quadro normativo comunitario recante un regime di protezione favorirà la diffusione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine poiché garantirà, tramite un’impostazione più uniforme, condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che beneficiano di siffatte diciture, ciò che farà aumentare la credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori» (il sesto ‘considerando’ del nuovo regolamento del 2006 è redatto in modo molto simile).

110. Si persegue, pertanto, una garanzia di qualità identica per tutti i consumatori in conformità del Trattato, meta che difficilmente può essere raggiunta se si trattano diversamente, seppur in un ambito territoriale ristretto, denominazioni che hanno caratteristiche corrispondenti a quelle iscritte nel registro comunitario (55).

111. Forse per questi motivi la parte introduttiva dei due regolamenti ha insistito tanto sulla necessità di uniformare la disciplina delle indicazioni geografiche qualificate, specialmente in assenza di una contestuale direttiva di armonizzazione dei regimi nazionali esistenti. Se se ne fosse voluta mantenere la vigenza, fatta salva la necessaria «uniformità», si sarebbe proceduto, come per i marchi, a un’armonizzazione.

112. Anche i lavori preparatori del regolamento n. 2081/92 apportano alcune indicazioni sulla volontà del legislatore comunitario.

113. La posizione della Commissione è sempre stata inequivocabile. Nella sua proposta del 1990 (56) ha sottolineato che la protezione comunitaria doveva sostituire i meccanismi nazionali di tutela, criterio che ha successivamente ribadito in diversi interventi dinanzi alla Corte. Il Comitato economico e sociale, viceversa, ha evidenziato nel suo parere la propria preferenza per la coesistenza di entrambi i livelli di protezione (57).

114. Il processo negoziale ha continuato ad essere caratterizzato dai dissensi, ma il Consiglio, alla fine, ha preferito escludere ogni riferimento espresso alla vigenza dei regimi nazionali. Ha inserito, tuttavia, un cenno al carattere esclusivo del regolamento, precisando nel dodicesimo ‘considerando’ che «per usufruire della protezione negli Stati membri, le indicazioni geografiche e le denominazioni d’origine dovrebbero essere registrate a livello comunitario».

3.      Giurisprudenza

115. Benché la Corte, come ho già osservato, non si sia ancora espressa su questo aspetto, alcune pronunce preludono alla tesi dell’esaustività della regolamentazione comunitaria.

116. Le sentenze Gorgonzola (58) e Chiciak e Fol (59) mettono in rilievo le limitazioni poste agli Stati membri dal momento in cui richiedono alla Commissione la registrazione di una denominazione.

117. La sentenza Gorgonzola ha affermato che l’argomento secondo cui la tutela concessa da uno Stato membro ad una denominazione d’origine continuerebbe a sussistere dopo la registrazione, perché di portata superiore a quella della tutela comunitaria, è contraddetto dal dettato stesso del regolamento, «che consente agli Stati membri di mantenere la protezione nazionale di una denominazione solo fino alla data in cui venga presa una decisione in merito alla registrazione come denominazione protetta a livello comunitario».

118. La sentenza Chiciak e Fol ha stabilito che uno Stato membro non può modificare una denominazione d’origine la cui iscrizione sia stata richiesta ai sensi del regolamento né tutelarla a livello nazionale, ma ha anche sancito in modo perentorio il nesso fra lo spirito uniformatore del regolamento e il suo carattere esclusivo, nel disporre che «ha lo scopo di garantire una protezione uniforme nella Comunità delle denominazioni geografiche», aggiungendo che «occorre constatare che questa protezione uniforme discende dalla registrazione, effettuata conformemente alle norme specificamente previste dal regolamento» (punto 25). In tal senso, ha dichiarato che la norma comunitaria ha introdotto «l’obbligo di registrazione comunitaria delle denominazioni geografiche affinché queste ultime possano godere di una protezione in tutti gli Stati membri», definendo il regime comunitario destinato a disciplinare da allora in poi tale protezione (punto 26).

119. Una dichiarazione simile si trova al punto 50 della citata sentenza Warsteiner. Occorre anche richiamare il punto 49 di tale pronuncia, ai sensi del quale «lo scopo perseguito dal regolamento n. 2081/92 non può essere messo in causa a motivo dell’applicazione, a fianco dello stesso, di disposizioni nazionali di protezione delle indicazioni di origine geografica che non rientrano nel suo ambito di applicazione». Tale affermazione, in un’interpretazione a contrario, significa che una regolamentazione nazionale di indicazioni geografiche qualificate, alle quali si estende il regolamento comunitario, potrebbe effettivamente mettere in pericolo il raggiungimento degli scopi della norma europea.

120. La giurisprudenza pare, pertanto, aver accolto il suggerimento dell’obbligatorietà della registrazione comunitaria contenuta nel citato dodicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2081/92.

121. Orbene, se la registrazione è obbligatoria per le denominazioni rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento, il quale ha, altresì, carattere esclusivo, un’indicazione avente tali caratteristiche, di cui non sia stata richiesta la registrazione comunitaria entro il termine previsto, rimarrà senza tutela, in quanto non vi è protezione nazionale parallela, avendo perso efficacia il regime nazionale.

4.      Sulla vigenza di una tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro

122. Se il sistema stabilito dal regolamento comunitario è incompatibile con il mantenimento di una tutela nazionale nella stessa materia, a maggior ragione deve escludersi la sua estensione ad altri Stati membri.

123. Su tale tesi si fonda l’art. 5, n. 6, del regolamento n. 510/2006, il cui quinto comma prescrive che le misure adottate dagli Stati membri per tutelare in via transitoria denominazioni di cui si sta esaminando la domanda di registrazione «hanno efficacia solo a livello nazionale e non devono ostacolare gli scambi intracomunitari».

124. La norma mira ad evitare che, a seguito di una domanda di registrazione comunitaria, si sospenda la tutela di denominazioni rientranti nell’ambito d’applicazione del regolamento. Essa limita, tuttavia, l’efficacia della protezione nazionale transitoria da un punto di vista temporale e territoriale, in coerenza con la volontà di «uniformare» il trattamento delle indicazioni geografiche nell’ambito dell’Unione europea.

125. L’«approccio comunitario» del regolamento n. 510/2006 non solo implica la scomparsa di qualsiasi sistema nazionale d’indicazioni geografiche qualificate, ma anche, a fortiori, l’inapplicabilità di qualsiasi accordo bilaterale tra due Stati membri che affianchi il regolamento. La vigenza di una rete di convenzioni intracomunitarie sovrapposte alla regolamentazione comunitaria introdurrebbe un’opacità incompatibile con gli obiettivi di tale sistema.

126. La Repubblica ceca sostiene, tuttavia, che qualsiasi argomentazione a favore dell’esclusività del regolamento n. 510/2006 significherebbe negare gli obblighi internazionali dei paesi aderenti, in particolare nell’ambito della tutela negli Stati membri dell’Unione di Lisbona, con conseguente violazione dell’art. 307 CE (60).

127. Tuttavia l’art. 307 CE non può validamente invocarsi nella fattispecie, giacché non sono in discussione i diritti di alcuno Stato estraneo all’Unione. Ciò emerge dal tenore letterale della norma, ai sensi della quale le disposizioni del Trattato CE «non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra». Come ha ricordato la Corte nella sentenza Matteucci (61), la norma (l’ex art. 234 CE) non riguarda «le convenzioni stipulate (...) unicamente tra Stati membri». Non può quindi essere addotta in relazione a un accordo di cui sono parte solo due Stati membri (indipendentemente dal fatto che fossero o meno Stati membri al momento della conclusione dell’accordo) e che non presenta alcun nesso con uno Stato terzo.

5.      Corollario

128. In tale materia il legislatore comunitario non ha scelto la via del mutuo riconoscimento, ma quella della centralizzazione dei sistemi di tutela comunitaria. Tale strumento ha senso solo se il marchio «indicazione geografica protetta» ha un significato concreto, riferibile alla qualità e uniforme per tutti i consumatori, obiettivo che sarebbe irraggiungibile in caso di convivenza della regolamentazione europea con altri sistemi in ambiti territoriali diversi, ma applicabili a denominazioni aventi le stesse caratteristiche.

129. Ritengo che il regolamento n. 510/2006 escluda qualsiasi tutela nazionale o bilaterale di indicazioni geografiche qualificate nel suo ambito di applicazione. Pertanto, una denominazione che ricada in detto ambito e non sia stata notificata alla Commissione non può essere tutelata da uno o più Stati membri in modo autonomo e rimane priva di tutela; tuttavia tale circostanza non discende unicamente, come pare suggerire la questione pregiudiziale, dalla mancata registrazione dell’indicazione, ma dal carattere esclusivo del sistema comunitario.

D –    Sulla terza questione pregiudiziale

130. Con la terza questione lo Handelsgericht Wien intende chiarire se il fatto che nell’Atto di adesione della Repubblica ceca all’Unione europea sia stata chiesta la tutela di varie indicazioni geografiche qualificate per la birra della città di České Budějovice abbia qualche rilevanza rispetto alla vigenza dei sistemi di tutela nazionali e bilaterali di altra denominazione per lo stesso prodotto.

131. Risolvere quest’ultima questione risulta superfluo se si accoglie il carattere esclusivo del regolamento n. 510/2006, in quanto qualsiasi tutela nazionale o convenzionale che operi nello stesso ambito deve cessare, al di là del fatto che siano state ammesse alla registrazione comunitaria altre indicazioni di prodotti alimentari.

132. Fatto salvo quanto sopra, la soluzione di tale questione richiede un’analisi della citata sentenza Chiciak e Fol, che ha risolto un quesito con alcuni punti comuni rispetto al caso in esame.

133. Con decreto 14 maggio 1991, il governo francese istituiva la denominazione d’origine «Epoisses de Bourgogne» per un tipo di formaggio proveniente da detta regione, chiedendo alla Commissione europea di registrarla ai sensi del regolamento n. 2081/92. Nel 1995 il decreto veniva modificato per registrare come denominazione d’origine controllata il termine «Epoisses». La sentenza Chiciak e Fol ha stabilito che uno Stato membro non può adottare disposizioni per modificare una denominazione d’origine la cui registrazione sia stata chiesta ai sensi del regolamento comunitario né tutelarla a livello nazionale.

134. Tale decisione ha limitato le facoltà di uno Stato membro rispetto a un’indicazione geografica notificata alla Commissione e di cui è stata chiesta la registrazione. Il regolamento comunitario consente che nello Stato interessato viga una protezione in via transitoria di tale denominazione (limitata temporalmente e territorialmente, come sopra esposto); la citata sentenza aggiunge che le autorità nazionali non possono modificare l’indicazione notificata.

135. Orbene, nella causa «Epoisses» il comportamento dello Stato censurato dalla Corte riguarda la modifica di una denominazione la cui registrazione era pendente, per cui la sentenza non sarebbe, in linea di principio, direttamente applicabile alla tutela di una denominazione che designi lo stesso luogo di provenienza di altre già iscritte, per lo stesso prodotto, in ambito comunitario.

136. La tesi per cui occorre limitare la sfera d’azione degli Stati membri in materia è sottesa alla sentenza Chiciak e Fol, ma sarebbe superfluo interpretarla in modo esteso, considerato il carattere indubbiamente esclusivo proprio, a mio parere, del regolamento.

137. L’applicazione della giurisprudenza Chiciak e Fol alla fattispecie sarebbe pertanto possibile solo se la denominazione Bud costituisse una parte o un’abbreviazione di una delle indicazioni geografiche protette in ambito comunitario per le birre di České Budějovice (Budějovické pivo, Českobudějovické pivo e Budějovický měšťanský var, ai sensi dell’Atto di adesione) (62). Tuttavia tale questione deve essere chiarita dai giudici nazionali.

138. Pertanto, se una denominazione, a differenza di altre per lo stesso prodotto alimentare e di uguale provenienza, non è stata inclusa nell’elenco di denominazioni di cui l’Atto di adesione ha chiesto la tutela comunitaria ciò non ne impedisce, in linea di principio, la protezione nazionale o bilaterale, salvo che si tratti di un’abbreviazione o di parte di una delle indicazioni geografiche notificate. Orbene, tale affermazione è priva di conseguenze pratiche, tenuto conto del carattere esclusivo proprio del regolamento n. 510/2006.

VI – Conclusione

139. Ai sensi delle considerazioni esposte, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali dello Handelsgericht Wien, dichiarando che:

«1)      I criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza 18 novembre 2003, Budějovický Budvar, affinché la tutela quale indicazione geografica di una denominazione che nel paese di origine non è né il nome di un luogo né quello di una regione sia compatibile con l’art. 28 CE:

1.1)      significano che la denominazione deve essere sufficientemente chiara da essere collegata a un prodotto e alla sua provenienza;

1.2)      non sono tre condizioni distinte che debbono essere esaminate separatamente;

1.3)      non richiedono che sia effettuato un sondaggio d’opinione, né stabiliscono il risultato necessario per giustificare la protezione della denominazione;

1.4)      non comportano che la denominazione sia utilizzata effettivamente nel paese d’origine come indicazione geografica da più imprese, né sono risolutivi nel caso di utilizzo come marchio della denominazione da parte di una sola impresa.

2)      Quando una denominazione non sia stata notificata alla Commissione ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510/2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, una tutela nazionale esistente o un’eventuale tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro perdono di efficacia, nel caso in cui, ai sensi del diritto nazionale dello Stato di origine, la denominazione costituisca un’indicazione geografica qualificata, tenuto conto del carattere esclusivo del regolamento n. 510/2006 rispetto alle indicazioni rientranti nel suo ambito di applicazione.

3)      Il fatto che, nell’ambito del Trattato di adesione tra gli Stati membri dell’Unione europea ed un nuovo Stato membro, quest’ultimo abbia richiesto la tutela di varie indicazioni geografiche qualificate per un prodotto alimentare ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006 non impedisce di mantenere una tutela nazionale esistente o una tutela estesa in via bilaterale a un altro Stato membro relativa a un’ulteriore denominazione per lo stesso prodotto, salvo che quest’ultima sia un’abbreviazione o parte di un’indicazione geografica protetta in ambito comunitario per uno stesso prodotto. Il regolamento (CE) n. 510/2006 non ha efficacia esclusiva in tal senso, fatta salva la soluzione fornita alla seconda questione pregiudiziale».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Causa C‑216/01, Budějovický Budvar (Racc. pag. I‑13617).


3 – GU L 93, pag. 12.


4 – Adottato il 31 ottobre 1958, riveduto a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificato il 28 settembre 1979 (Racc. dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 828, n. 13172, pag. 205).


5 – La cosiddetta «Unione di Lisbona» conta attualmente 26 Stati tra cui la Repubblica ceca (http://www.wipo.int/treaties/en).


6 – Pubblicata nel Bundesgesetzblatt für die Republik Österreich 19 febbraio 1981 (BGBI n. 75/1981) ed entrato in vigore il 26 febbraio 1981 a tempo indeterminato.


7 – Regolamento del Consiglio 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 208, pag. 1).


8 – Regolamento della Commissione 29 aprile 2004, recante disposizioni transitorie in materia di protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli e dei prodotti alimentari a seguito dell’adesione della Repubblica ceca, dell’Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell’Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia (GU L 163, pag. 88).


9 – Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33).


10 – Il nome completo è «Budějovický Budvar, národní podnik, Budweiser Budvar, National Corporation, Budweiser Budvar, Entreprise Nationale», che significa «birreria Bud di Budweis, società nazionale».


11 – Alcuni la fanno risalire al secolo XIII, quando il Re di Boemia Premysl Otakar II fondò il villaggio, concedendo agli abitanti il privilegio di produrre birra (O'Connor, B., «Case C‑216/01 Budĕjovický Budvar, Judgement of the Court of Justice of 18 November 2003», in European Business Organization Law Review, 5, 2004, pag. 581).


12 – Nome tedesco di České Budějovice.


13– In lingua ceca « Budĕjovické pivo», che significa «birra di Budweis».


14 – Che significa «birreria Bud».


15 – L’Anheuser nasce da un’altra birreria, la Bavarian brewery, fondata nel 1852. A seguito della fusione con la ditta di Adolphus Busch, genero del proprietario della società, anch’egli immigrato tedesco, venne rinominata Anheuser‑Busch. Questi e altri dati storici sono consultabili ai siti: www.anheuser‑busch.com/History.html e www.budweiser.com.


16 – Così risulta dalle dichiarazioni dello stesso Adolphus Busch nel 1894, in occasione della controversia tra l’Anheuser‑Busch e la Fred Miller Brewing Company: «The idea was simply to brew similar in quality, colour, flavour and taste to beer then made at Budweis, or in Bohemia (…) The Budweiser beer is brewed according to the Budweiser Bohemian process» (O'Connor, op. cit., pag. 582).


17 – O'Connor (op. cit., pag 585) conta ben 44 vertenze legali diverse in vari paesi del mondo.


18 – In alcuni casi i tribunali hanno conferito all’Anheuser‑Busch il diritto all’uso esclusivo del nome Bud, mentre in altri tale diritto è stato riconosciuto alla birreria ceca. In Inghilterra, la Corte d’appello di Londra, nell’anno 2002, ha optato per una soluzione di compromesso, dichiarando che entrambe le società potevano far uso del marchio controverso. Parimenti, la Corte di cassazione giapponese, nel 2004, ha consentito sia ai birrai cechi che a quelli statunitensi l’uso del nome «Budweiser» (O'Connor, op. cit, pag. 586). Merita di essere citato, per le sue peculiarità, il procedimento che si è svolto in Portogallo. La decisione della Corte di cassazione 23 luglio 2001, con cui veniva negata all’Anheuser‑Busch la registrazione del marchio Budweiser in Portogallo in quanto denominazione d’origine tutelata da un accordo bilaterale del 1986 tra Portogallo e Cecoslovacchia, è stata impugnata dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto che la decisione in questione non violava l’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 gennaio 2007, Anheuser‑Busch Inc./Portogallo, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, punto 87).


19 – Cause R 1000/2001‑2 e R 1024/2001‑2.


20 – Sentenza 12 giugno 2007, causa T‑71/04, Budějovický Budvar/UAMI‑Anheuser‑Busch (Racc. pag. II‑1829, punto 228).


21 – Cause R 234/2005‑2, R 241/2005‑2, R 802/2004‑2 e R 305/2005‑2.


22 – Tuttavia, i tribunali portoghese, italiano e francese hanno annullato la registrazione del marchio Bud come denominazione d’origine ai sensi del citato Accordo di Lisbona.


23 – Cause riunite T‑225/06, T‑255/06, T‑257/06 e T‑309/06, Budějovický Budvar (Racc. pag. II‑3555).


24 – Causa C‑245/02 (Racc. pag. I‑10989).


25 – Detto accordo figura all’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio ed è stato approvato dalla Comunità europea con la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (GU L 336, pag. 1).


26 – Causa 135/77 (Racc. pag. 855).


27 – Causa C‑169/91, Council of the City of Stoke‑on‑Trent e Norwich City Council (Racc. pag. I‑6635).


28 – Tra gli altri, Cortés Martín, J.M., La protección de las indicaciones geográficas en el comercio internacional e intracomunitario, Ministero dell’Agricoltura, Pesca e Alimentazione, Madrid, 2003, pag. 347.


29 – Sentenze 10 novembre 1992, causa C‑3/91, Exportur (Racc. pag. I‑5529, punto 11); 7 novembre 2000, causa C‑312/98, Warsteiner (Racc. pag. I‑9187, punti 43 e 44), nonché Bud I, cit. (punto 54).


30 – Secondo la formulazione del giudice del rinvio, che riprendeva una precedente decisione della Corte di cassazione austriaca.


31 – Sentenze 16 luglio 1992, causa C‑83/91, Meilicke (Racc. pag. I‑4871, punto 23); 18 marzo 2004, causa C‑314/01, Siemens e ARGE Telekom (Racc. pag. I‑2549, punto 34); 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981, punto 34); 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini (Racc. pag. I‑6199, punto 43), e 6 novembre 2008, causa C‑248/07, Trespa International (Racc. pag. I‑8221, punto 32).


32 – Sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 21).


33 – Sentenze 13 marzo 2001, causa C‑379/98, Preusen Elektra (Racc. pag. I‑2099, punto 39); 22 gennaio 2002, causa C‑390/99, Canal Satélite Digital (Racc. pag. I‑607, punto 19); 5 febbraio 2004, causa C‑380/01, Schneider (Racc. pag. I‑1389, punto 22), e 12 giugno 2008, causa C‑458/06, Skatteverket Racc. pag. I‑4207, punto 25).


34 – Sentenze Foglia, cit. (punti 18 e 20); 3 febbraio 1983, causa 149/82, Robards (Racc. pag. 171, punto 19); Meilike, cit. (punto 64), e 18 dicembre 2007, causa C‑62/06, ZF Zefeser (Racc. pag. I‑11995, punto 15).


35 – Sentenza 10 marzo 1981, cause riunite 36/80 e 71/80, Irish Creamery Milk Suppliers Association (Racc. pag. 735, punto 6).


36 – Sentenza Bud I, cit. (punto 54).


37 – Il regolamento n. 2081/92 ammetteva tale ipotesi, perlomeno espressamente, soltanto per le denominazioni d’origine.


38 – Argomento che approfondirò ulteriormente più avanti.


39 – V., al riguardo, le mie conclusioni per l’ordinanza 8 agosto 1997, causa C‑317/95, Canadane Cheese Trading (Racc. pag. I‑4681, paragrafo 73), e per la sentenza 25 ottobre 2005, cause riunite C‑465/02 e C‑466/02, 10 maggio 2005, Germania e Danimarca/Commissione (Racc. pag. I‑9115, paragrafo 188).


40 – Sentenze Bud I, cit. (punto 99); Exportur, cit. (punto 37), e 4 marzo 1999, causa C‑87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (Racc. pag. I‑1301, punto 20). Sul carattere generico di una denominazione possono consultarsi le mie conclusioni nella causa Germania e Danimarca/Commissione, cit. (paragrafi 46‑49).


41 – Sentenze 16 luglio 1998, causa C‑210/96, Gut Springenheide e Tusky (Racc. pag. I‑4657, punto 35), e 13 gennaio 2000, causa C‑220/98, Estée Lauder Cosmetics (Racc. pag. I‑117, punto 31).


42 – Sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I‑2779, punto 53).


43 – Resinek, N., «Geographical indications and trademarks: Coexistence or “first in time, first in right” principle?», in European intellectual property review, vol. 29, 2007, issue 11, pagg. 446‑455; Von Mülhlendhal, A., «Geographical indications and trademarks in the European Union: conflict or coexistence», in Festskrift till Marianne Levin, 2008, pagg. 401‑410, e Martínez Gutiérrez, A., «La tutela comunitaria de las denominaciones geográficas protegidas ante las marcas registradas», in Noticias de la Unión Europea, anno XIX, 2003, n. 219, pagg. 27‑36.


44 – Artt. 3, n. 1, lett. c) e g), e  12, n. 2, lett. b), della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 40, pag. 1). Per maggiori approfondimenti sull’interpretazione di tali norme, v. sentenza Windsurfing Chiemsee, cit. alla nota 42. Sul conflitto tra marchi e indicazioni d’origine, v. sentenza 7 gennaio 2004, causa C‑100/02, Gerolsteiner Brunnen (Racc. pag. 691).


45 – L’ordinanza di rinvio dice espressamente «[S]e il fatto che una denominazione non sia stata notificata o denunciata (...) entro il termine di sei mesi previsto dal regolamento (CE) n. 918/2004». Tale termine, previsto dall’art. 17 del precedente regolamento n. 2081/92, decorreva dalla sua entrata in vigore e non è stato, ovviamente, più menzionato dal nuovo regolamento n. 510/2006. Il regolamento n. 918/2004, a sua volta, fa unicamente riferimento alla trasmissione di una richiesta di iscrizione «ai sensi del regolamento n. 2081/92 prima del 31 ottobre 2004». Tale disposizione non preclude, tuttavia, la possibilità di ricorrere al procedimento ordinario di registrazione, non soggetto a termine, in conformità del nuovo regolamento n. 510/2006. Per questi motivi, nelle mie riflessioni sulla vigenza dei regimi nazionali non alludo a tale termine di sei mesi.


46 – V., anche, sentenza 7 maggio 1997, cause riunite C‑321/94, C‑322/94, C‑323/94 e C‑324/94, Pistre (Racc. pag. I‑2343, punti 35 e 36).


47 – Sentenza 7 novembre 2000, causa C‑312/98 (Racc. pag. I‑9187).


48 – In proposito concordo con quanto affermato dall’avvocato generale Jacobs al paragrafo 41 delle sue conclusioni nella causa Warsteiner, 25 maggio 2000. In quel caso, tuttavia, non era in discussione la possibilità di una coesistenza del regolamento comunitario con regimi nazionali che disciplinano una stessa materia, giacché si dibatteva solo la questione della legittimità di un sistema nazionale di indicazioni geografiche semplici, chiaramente escluse dal campo di applicazione del regolamento.


49 – Come sostiene Weatherill, S., la Corte svolge un ruolo importante nel limitare la portata di tale «sgombero» di competenze, ma la sua funzione non consiste nello scegliere tra i meriti dei due sistemi normativi in situazioni di concorrenza, ma nell’interpretare la norma comunitaria per decidere se questa ha esaurito l’area di intervento (Weatherill, S., «Beyond preemption? Shared competence and constitutional change in the European Community», in Legal Issues of the Maastricht Treaty, Ed. Wiley, 1999, pag. 18).


50 – Sentenza 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi (Racc. pag. 1555, punto 34).


51 – La giurisprudenza offre vari esempi nel settore della politica agricola comune: sentenze Tedeschi, cit. (punto 35); 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti (Racc. pag. 1629, punto 36); 8 novembre 1979, causa 215/78, Denkavit (Racc. pag. 3369, punto 14); 20 settembre 1988, causa 190/87, Moormann (Racc. pag. 4689, punto 10), e 5 ottobre 1994, causa C‑323/93, Centre d'insemination Crespelle (Racc. pag. I‑5077, punto 31).


52 – La convenuta nella controversia principale cita più di dieci autori che sostengono il principio di applicazione esclusiva del sistema comunitario delle indicazioni geografiche qualificate. Sono anche molte le tesi in senso contrario. Cortés Martín, J.M., op. cit., pag. 452, riassume ampiamente le diverse tesi della dottrina.


53 – Il regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1) ha infatti istituito un sistema comunitario e, contestualmente, la citata Prima direttiva 89/104/CEE ha proceduto all’armonizzazione delle legislazioni nazionali.


54 – La sentenza si riferisce all’art. 5, n. 5, secondo comma, del regolamento n. 2081/92, allora vigente, il cui contenuto è ripreso dall’art. 5, n. 6, del regolamento n. 510/2006.


55 – Secondo López Escudero, M., «Parmigiano, feta, epoisse y otros manjares en Luxemburgo – Las denominaciones geográficas ante el TJCE», in Une communauté de droit, Festschrift für Gil Carlos Rodríguez Iglesias, BWV 2003, pagg. 410 e 419, il regolamento n. 2081/92 ha creato «un mercato interno per le denominazioni geografiche (…) una tutela della denominazione che spiega effetti su tutto il territorio comunitario e che risulta molto più favorevole per i produttori della tutela offerta dalle norme nazionali (…). Con il regolamento n. 2081/92 la Comunità ha adottato un sistema di protezione speciale delle denominazioni geografiche, volto a semplificare il commercio infracomunitario eliminando le disparità tra i sistemi nazionali esistenti».


56 – Proposta della Commissione, SEC (90) 2415 (GU 1990, C 30).


57 – GU C 269/63.


58 – Cit. alla nota 40 (punto 18).


59 – Sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C‑129/97 e C‑130/97 (Racc. pag. I‑3315).


60 – Sorprendentemente, anche la Commissione cita tale norma nelle sue osservazioni scritte, spiegando che il regolamento osta all’estensione della tutela controversa al territorio di un altro Stato membro in quanto ciò comporterebbe «una violazione dell’art. 307 CE». Interpellato nel corso dell’udienza su tale aspetto, ha risposto che la frase era stata inserita a salvaguardia di eventuali casi in cui uno Stato membro debba rispettare accordi con Stati terzi sottoscritti prima dell’adesione. Ciò accade con gli Stati terzi che sono parti dell’Accordo di Lisbona.


61 – Sentenza 27 settembre 1988, causa 235/87 (Racc. pag. 5589, punto 21).


62 – La convenuta nella controversia principale nega questa possibilità. Tuttavia, la circostanza, invocata anche dalla Ammersin, che la denominazione Bud godesse già di tutela prima dell’adesione è irrilevante a questi fini.