Language of document : ECLI:EU:C:2019:681

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 5 settembre 2019 (1)

Causa C519/18

TB

contro

Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica di immigrazione – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Requisiti prescritti per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare dei rifugiati – Articolo 10, paragrafo 2 – Nozione di “persona a carico” – Legislazione nazionale che subordina il beneficio del ricongiungimento familiare alla condizione che il familiare interessato non possa sovvenire alle proprie necessità nel pase d’origine in ragione del proprio stato di salute»






I.      Introduzione

1.        Può un’autorità nazionale subordinare il beneficio del ricongiungimento familiare chiesto da un membro della famiglia allargata di un rifugiato alla condizione che tale membro non possa sovvenire alle proprie necessità nel paese d’origine in ragione del suo stato di salute?

2.        È questo, in sostanza, l’oggetto delle questioni pregiudiziali sottoposte dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) alla Corte nell’ambito di un procedimento di ricongiungimento familiare che riguarda la sorella di un rifugiato, entrambi di origine iraniana.

3.        In applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare(2), gli Stati membri hanno la possibilità di autorizzare il ricongiungimento dei membri della famiglia allargata di un rifugiato «qualora essi siano a carico» di quest’ultimo.

4.        Nella presente causa, il giudice del rinvio interpella la Corte relativamente alla portata del potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri nell’ambito dell’attuazione di tale disposizione. In particolare, la Corte è invitata a precisare la misura in cui questi ultimi sono tenuti a rispettare il criterio di ammissibilità enunciato a detta disposizione, concernente l’esistenza di un rapporto di dipendenza fra il familiare di cui trattasi e il rifugiato (3).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        La direttiva 2003/86 stabilisce le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

6.        Il considerando 8 di tale direttiva ha il seguente tenore:

«La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare».

7.        L’articolo 3, paragrafo 5, di tale direttiva così recita:

«La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».

8.        Al capo II di detta direttiva, intitolato «Familiari», l’articolo 4 dispone quanto segue ai suoi paragrafi da 1 a 3:

«1.      In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)      il coniuge del soggiornante;

b)      i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati (…);

c)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento (…);

d)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento (…).

(…)

2.      In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)      gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;

b)      i figli adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.

3.      Gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai sensi della presente direttiva, fatto salvo il rispetto delle condizioni definite al capo IV, del partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, nonché dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.

Gli Stati membri possono decidere, relativamente al ricongiungimento familiare, di riservare ai partner legati da una relazione formalmente registrata lo stesso trattamento previsto per i coniugi».

9.        Al capo V della direttiva 2003/86, intitolato «Ricongiungimento familiare dei rifugiati», l’articolo 10, paragrafi 1 e 2 prevede quanto segue:

«1.      L’articolo 4 si applica alla definizione di familiari con l’eccezione del terzo comma del paragrafo 1 di tale articolo che non si applica ai figli dei rifugiati.

2.      Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato.»

10.      Ai sensi dell’articolo 17 di tale direttiva:

«In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».

B.      La normativa ungherese

11.      L’articolo 19 dell’a harmadik országbeli állampolgárok beutazásáról és tartózkodásáról szóló 2007. évi II. Törvény (4) (legge n. II del 2007, relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi; in prosieguo: la «legge del 2007»), dispone quanto segue:

«1)      Può ottenere un’autorizzazione al soggiorno ai fini di ricongiungimento familiare il cittadino di un paese terzo che sia familiare di un cittadino di un paese terzo titolare di un’autorizzazione al soggiorno, all’ingresso, di stabilimento, di stabilimento nazionale o di stabilimento CE, o di una persona che sia titolare, in forza di una legge speciale, di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente (in prosieguo e in via generale: il «soggiornante»).

2)      Può ottenere un’autorizzazione al soggiorno a fini di ricongiungimento familiare:

a)      il familiare di una persona cui venga riconosciuta la qualità di rifugiato, nonché

b)      l’ascendente o, in mancanza del medesimo, il tutore di un minore non accompagnato cui venga riconosciuta la qualità di rifugiato.

(…)

4)      Può ottenere un’autorizzazione al soggiorno a fini di ricongiungimento familiare:

a)      il genitore a carico;

b)      il fratello o la sorella e gli ascendenti e discendenti in linea diretta, qualora non siano in grado di provvedere alle proprie necessità a causa del loro stato di salute,

del soggiornante o del suo coniuge o della persona cui sia stata riconosciuta la qualità di rifugiato».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

12.      Il soggiornante è di origine iraniana e il 7 settembre 2015 gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato dall’autorità competente ungherese. Il 12 gennaio 2016, la sorella del soggiornante ha presentato presso la rappresentanza diplomatica dell’Ungheria a Teheran (Iran) una domanda diretta ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare.

13.      Tale domanda è stata respinta dall’autorità di primo grado per due motivi. In primo luogo, detta autorità ha ritenuto che la richiedente avesse comunicato informazioni erronee. In secondo luogo, la stessa ha dichiarato che siffatta domanda non soddisfaceva neanche le condizioni enunciate all’articolo 19, paragrafo 4, della legge del 2007, in quanto la richiedente non aveva dimostrato di non essere in grado, tenuto conto delle sue qualifiche e del suo stato di salute, di sovvenire alle proprie necessità in ragione del suo stato di salute. A tal riguardo, l’autorità di primo grado ha rilevato che, secondo la documentazione medica allegata alla domanda, la richiedente soffriva di depressione, che richiedeva un trattamento medico regolare.

14.      La summenzionata decisione è stata confermata dall’autorità di secondo grado.

15.      Il soggiornante ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio. Egli ritiene, in particolare, che i requisiti previsti all’articolo 19, paragrafo 4, della legge del 2007 siano contrari alle disposizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e, di conseguenza, ha chiesto al giudice del rinvio di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale.

16.      Poiché il giudice del rinvio nutre parimenti dubbi quanto alla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’articolo 19, paragrafo 4, della legge del 2007, esso ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se si debba interpretare l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2003/86], nel senso che, qualora uno Stato membro autorizzi ai sensi di detto articolo l’ingresso di un familiare non incluso tra coloro che figurano all’articolo 4 [della menzionata direttiva], potrà applicare a tale familiare esclusivamente il requisito previsto all’articolo 10, paragrafo 2 (che sia “a carico del rifugiato”).

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se implichi la qualità di persona “a carico” (“dependency”), disciplinata all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2003/86], una situazione di fatto in cui debbano concorrere, cumulativamente, i vari aspetti della dipendenza, o se sia sufficiente, affinché possa configurarsi detta qualità, che si configuri uno qualsiasi di tali aspetti, a seconda delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie. In tale contesto, se sia conforme al requisito previsto all’articolo 10, paragrafo 2, [di tale direttiva] (che sia “a carico del rifugiato”), una norma nazionale che, escludendo una valutazione individuale, considera esclusivamente un unico elemento fattuale (un aspetto indicativo della dipendenza: “non essere in grado di provvedere alle proprie necessità a causa del proprio stato di salute”) quale condizione che consente che sia soddisfatto detto requisito.

3)      In caso di risposta negativa alla prima questione e, quindi, qualora lo Stato membro possa applicare altri requisiti oltre a quello figurante all’articolo 10, paragrafo 2, [della direttiva 2003/86] (che sia “a carico del rifugiato”), se questo significhi che lo Stato membro è legittimato a stabilire, ove lo consideri opportuno, qualsiasi requisito, inclusi quelli sanciti con riferimento ad altri familiari all’articolo 4, paragrafi 2 e 3 [della menzionata direttiva], o se possa applicare esclusivamente il requisito che rientra all’articolo 4, paragrafo 3, [di detta direttiva]. In tale ipotesi, quale situazione di fatto implichi il requisito “objectively unable to provide for their own needs on account of their state of health” [qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute] previsto all’articolo 4, paragrafo 3. Se debba essere interpretato nel senso che il familiare “non è in grado” di prendersi cura di “se stesso” o non può sovvenire “alle proprie necessità”, o se si debba interpretare, eventualmente, in modo diverso».

17.      Hanno depositato osservazioni scritte il ricorrente, i governi ungherese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea.

IV.    Analisi

18.      Prima di procedere all’esame delle questioni che il giudice del rinvio rivolge alla Corte, occorre formulare un’osservazione preliminare vertente sulla ricevibilità del presente rinvio pregiudiziale.

A.      Osservazione preliminare vertente sulla ricevibilità del rinvio pregiudiziale

19.      Nell’ambito delle sue osservazioni, il governo ungherese sostiene che il presente rinvio pregiudiziale sia irricevibile in quanto l’articolo 19, paragrafo 4, della legge del 2007 non costituisce una misura di trasposizione nazionale dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86. Esso rileva, infatti, che tale disposizione nazionale non è stata formalmente notificata alla Commissione, essendo stata adottata nell’ambito delle competenze proprie dell’Ungheria.

20.      Non penso che la mancanza di notificazione invocata dal governo ungherese possa giustificare, nella specie, l’irricevibilità del presente rinvio pregiudiziale.

21.      Difatti, qualora il contenuto della decisione di rinvio sia contestato da una delle parti nel procedimento, risulta da una giurisprudenza costante che la Corte deve, in linea di principio, limitare il suo esame agli elementi di valutazione che il giudice del rinvio ha deciso di sottoporle, in particolare per quanto attiene alle modalità di applicazione della normativa nazionale pertinente che quest’ultimo ritiene acquisite, poiché l’interpretazione delle disposizioni nazionali spetta soltanto ai giudici degli Stati membri (5). In tali circostanze, la Corte deve esaminare il presente rinvio pregiudiziale alla luce dell’interpretazione del diritto nazionale adottata da detto giudice e ciò a prescindere dalle critiche mosse, a tal riguardo, dal governo ungherese.

22.      Rilevo, inoltre, che, secondo una relazione pubblica consegnata nel 2016 dal ministero dell’Interno ungherese, la legge del 2007 ha a tutti gli effetti l’obiettivo di trasporre, nell’ordinamento giuridico nazionale, le disposizioni della direttiva 2003/86, anche per quanto attiene al ricongiungimento familiare dei membri della famiglia allargata di un rifugiato (6).

23.      Ritengo, pertanto, che il presente rinvio pregiudiziale sia ricevibile e che occorra esaminare le questioni sollevate dal giudice del rinvio.

B.      Sulla prima questione

24.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte, se l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui uno Stato membro autorizzi il ricongiungimento dei membri della famiglia allargata di un rifugiato, detto Stato membro sia tenuto a rispettare il requisito di essere «a carico» enunciato a tale disposizione.

25.      La Corte non ha ancora avuto occasione di dare indicazioni circa la portata esatta dell’articolo 10, paragrafo 2, di detta direttiva e, in particolare, sul potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri nell’ambito dell’attuazione di tale disposizione. L’analisi comparativa delle modalità di trasposizione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 nel diritto degli Stati membri fa emergere differenze importanti, che rendono a maggior ragione necessario un chiarimento (7).

26.      Al fine di rispondere alla questione che il giudice del rinvio rivolge alla Corte, mi pare necessario formulare una prima osservazione relativa all’oggetto e alla natura della disposizione di cui si tratta.

27.      Nell’ambito della procedura di ricongiungimento familiare disciplinata dalla direttiva 2003/86, il legislatore dell’Unione europea distingue due tipi di regimi.

28.      Il primo è un regime generale riguardante i cittadini di paesi terzi, le cui condizioni materiali sono elencate agli articoli da 4 a 8 di tale direttiva.

29.      Il secondo è un regime particolare che riguarda i rifugiati, le cui condizioni materiali sono previste agli articoli da 9 a 12 della direttiva 2003/86. Tale regime deve consentire di garantire l’effettività del diritto ad una vita familiare normale riunendo quei familiari che, a causa della situazione nel loro paese d’origine, sono fuggiti da persecuzioni e danni gravi e sono stati separati al momento di un trasferimento forzato o di una fuga.

30.      L’articolo 10 di detta direttiva rientra in tale regime particolare ed è inteso a definire l’ambito dei beneficiari del ricongiungimento familiare.

31.      L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 riguarda i membri della famiglia nucleare del rifugiato, ossia il coniuge e i figli minorenni (8). Si tratta di una disposizione vincolante, poiché gli Stati membri sono tenuti ad autorizzare l’ingresso e il soggiorno di tali persone a condizioni in sostanza identiche a quelle definite dal legislatore dell’Unione all’articolo 4, paragrafo 1, della menzionata direttiva (9). La Corte considera che l’autorizzazione al ricongiungimento familiare costituisce la regola generale e che le disposizioni che consentono di apportarvi delle limitazioni devono essere interpretate restrittivamente (10). Secondo la Corte, agli Stati membri in siffatto caso sono imposti «obblighi positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti [poiché detto articolo impone] loro, nelle ipotesi contemplate dalla medesima direttiva, di autorizzare il ricongiungimento familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di discrezionalità» (11).

32.      L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 riguarda, per contro, i membri della famiglia allargata del rifugiato (figli maggiorenni, fratelli e sorelle, nipoti ecc.). Diversamente dall’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva in parola, tale articolo costituisce una disposizione facoltativa, il che significa, secondo una giurisprudenza costante, che esso riconosce un ampio potere discrezionale agli Stati membri (12). Questi ultimi non sono tenuti ad attuare le disposizioni previste all’articolo 10, paragrafo 2, della suddetta direttiva, cosicché il diritto dell’Unione lascia a ciascuno il compito di decidere in piena sovranità, in base a considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, di accettare il ricongiungimento familiare dei membri della famiglia allargata di un rifugiato.

33.      La direttiva 2003/86 si limita dunque ad imporre un certo livello di armonizzazione, poiché lascia che permangano differenze fra gli Stati membri quanto alle possibilità di ingresso e di soggiorno dei membri della famiglia allargata di un rifugiato. L’analisi comparativa delle legislazioni nazionali consente pertanto di constatare che taluni Stati membri hanno fatto la scelta di attuare la disposizione in parola mentre altri vi hanno rinunciato.

34.      Ciò posto, il fatto che si tratti di una disposizione facoltativa non significa che gli Stati membri godano di una libertà totale in sede di attuazione della medesima, per agevolare, a propria discrezione, l’ingresso e il soggiorno delle persone che rientrano nell’ambito di applicazione di detta disposizione.

35.      In particolare, ciò non costituisce un motivo idoneo a giustificare la disapplicazione, da parte dello Stato membro, del requisito di ammissibilità enunciato espressamente dal legislatore dell’Unione nell’ambito di detta disposizione.

36.      Un esame del dettato dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 consente infatti di circoscrivere con precisione il margine di manovra riconosciuto agli Stati membri.

37.      Laddove il legislatore dell’Unione accordi loro un potere discrezionale significativo per quanto attiene all’attuazione di tale disposizione («[g]li Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento» (13)) e alla categoria dei beneficiari che possono fruire della medesima («altri familiari non previsti all’articolo 4» (14)), esso impiega per contro una cura particolare nel precisare l’ipotesi in cui il ricongiungimento è possibile, quella in cui il familiare interessato è «a carico del rifugiato».

38.      Il legislatore dell’Unione ha dunque seguito un approccio identico a quello adottato nell’ambito dell’articolo 4 della direttiva 2003/86 specificando, per ciascuna delle categorie di beneficiari, requisiti di ammissibilità precisi e determinati. Di conseguenza, ritengo che, nel suo spirito, la menzione relativa all’esistenza di un rapporto di dipendenza fra il familiare interessato e il rifugiato fosse in effetti concepita non come una previsione di mero auspicio, bensì, al contrario, come una norma di carattere vincolante per gli Stati membri, a prescindere dall’ampiezza del margine di discrezionalità loro accordato a monte. La necessità di un rapporto di dipendenza fra il familiare interessato e il rifugiato, caratterizzato dal fatto che il primo è a carico del secondo, costituisce dunque, a mio avviso, una condizione preliminare all’applicabilità dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86.

39.      Alla luce di siffatte considerazioni, ritengo, pertanto, che tale disposizione debba essere interpretata nel senso che, nel caso in cui uno Stato membro autorizzi il ricongiungimento di membri della famiglia allargata di un rifugiato, detto Stato è tenuto a rispettare il requisito di essere «a carico» espressamente enunciata dal legislatore dell’Unione nell’ambito della disposizione menzionata.

40.      Inoltre, ritengo che gli Stati membri non possano adottare una loro propria definizione della nozione di «persona a carico».

41.      Nell’ambito dei numerosi contenziosi dei quali è stata investita, la Corte non ha cessato di ricordare che detta nozione è una nozione autonoma di diritto dell’Unione, la quale, in quanto tale, deve essere interpretata in maniera uniforme nel territorio della totalità degli Stati membri.

42.      Il significato e la portata di tale nozione sono stati definiti nel contesto della direttiva 2004/38/CE (15). Secondo la formula sancita dalla Corte, la qualità di familiare «a carico» «risulta da una situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il sostegno materiale del familiare è garantito dal cittadino dell’Unione che si è avvalso della libertà di circolazione oppure dal coniuge dello stesso» (16). Si evince da tale giurisprudenza che il familiare «a carico» non deve essere in grado, alla luce delle sue condizioni economiche e sociali nel suo paese d’origine, di sopperire ai propri bisogni essenziali (17), vale a dire ai bisogni più elementari (18).

43.      Non esiste alcuna ragione, a mio avviso, per adottare un’altra definizione della nozione di «persona a carico» nel contesto della direttiva 2003/86. Infatti, tenuto conto dei termini della definizione data, la qualità di «persona a carico» deve formare l’oggetto di una valutazione concreta e oggettiva, indipendente dalla nazionalità delle persone interessate e, di conseguenza, dello status del soggiornante, sia esso un cittadino dell’Unione beneficiario dei diritti sanciti dalla direttiva 2004/38 oppure un cittadino di un paese terzo, beneficiario dei diritti enunciati dalla direttiva 2003/86.

44.      Nei suoi orientamenti, la Commissione ha peraltro indicato che i criteri elaborati dalla Corte nel contesto della direttiva 2004/38 per valutare una situazione di dipendenza possono, mutatis mutandis, servire da guida per gli Stati membri nello stabilire i criteri per valutare la natura e la durata della dipendenza dell’interessato nel contesto dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86 (19).

45.      Ritengo pertanto che il requisito di essere «a carico del rifugiato» enunciato all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva richiamata debba essere interpretato nel senso che il familiare interessato deve trovarsi in una situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il suo sostegno materiale è assicurato da detto rifugiato.

C.      Sulla seconda questione

46.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 osti ad una legislazione nazionale come quella in discussione nel procedimento principale che, nell’ambito di una procedura priva di qualsivoglia esame individualizzato, assoggetti il beneficio del ricongiungimento familiare del fratello o della sorella di un rifugiato al requisito che egli/ella non sia in grado di sovvenire alle proprie necessità a causa del proprio stato di salute.

47.      Il giudice del rinvio si interroga su due elementi essenziali della procedura prevista alla disposizione in parola.

48.      Da un lato, esso chiede se, ed eventualmente in che misura, uno Stato membro possa applicare il requisito di essere «a carico del rifugiato» in maniera restrittiva, in modo da coprire soltanto una forma particolare di dipendenza. Dall’altro, esso si chiede se tale Stato possa, inoltre, esimersi dal procedere ad un esame individualizzato della domanda di ricongiungimento.

1.      Limitazione dellambito di applicazione dellarticolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 ad una forma particolare di dipendenza

49.      Gli interrogativi del giudice del rinvio trovano la loro origine nel fatto che la legislazione nazionale di cui al procedimento principale ha come effetto quello di limitare l’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, giacché tende ad escludere dal beneficio del ricongiungimento familiare i familiari del rifugiato che sarebbero a carico del medesimo per motivi diversi da quelli relativi ad un deterioramento del loro stato di salute, connessi, ad esempio, ad aspetti culturali propri del paese d’origine o a ragioni meramente affettive.

50.      Alla luce della natura particolare dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva in parola, non vedo cionondimeno un ostacolo di principio a che uno Stato membro – il quale faccia la scelta di agevolare il ricongiungimento familiare dei membri della famiglia allargata di un rifugiato laddove altri si rifiutino di farlo – abbia la possibilità di limitare l’ambito di applicazione di tale disposizione ad una situazione o ad una forma particolare di dipendenza.

51.      A mio avviso, la natura facoltativa di siffatta disposizione conferisce a tale Stato membro un potere discrezione del quale lo stesso non dispone nell’ambito di disposizioni più vincolanti, come quelle previste all’articolo 10, paragrafo 1, di detta direttiva. Tale potere discrezionale deve consentirgli di beneficiare di un margine di manovra che esso deve tuttavia impiegare in maniera rispettosa dei termini fissati dal legislatore dell’Unione e che non deve pregiudicare l’obiettivo della direttiva 2003/86 né il suo effetto utile (20).

52.      Orbene, mi sembra che, su tale punto, una legislazione nazionale come quella in discussione nel procedimento principale rispetti siffatti requisiti.

53.      In primo luogo, una persona che non è in grado di sovvenire alle proprie necessità nel suo paese d’origine in ragione del proprio stato di salute può effettivamente trovarsi in una situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il suo sostegno materiale è assicurato dal soggiornante e, dunque, essere qualificata come «persona a carico» ai sensi della giurisprudenza della Corte.

54.      In secondo luogo, una siffatta legislazione, anche se applica in maniera restrittiva il requisito di essere «a carico del rifugiato», non pregiudica né l’obiettivo della direttiva 2003/86 né l’effetto utile della disposizione di cui trattasi. Essa è difatti intesa, in definitiva, ad agevolare il ricongiungimento familiare dei cittadini di paesi terzi e, in particolare, dei rifugiati, anche se la stessa non copre tutte le situazioni nelle quali i membri della famiglia allargata di un rifugiato sono a carico di quest’ultimo.

55.      Ricordo ancora una volta che la direttiva 2003/86 non obbliga gli Stati membri ad accogliere le domande di ingresso e di soggiorno presentate dai membri della famiglia allargata di un rifugiato che siano a carico di quest’ultimo. Taluni Stati membri, come la Francia o anche il Belgio, non hanno peraltro attuato la disposizione in parola.

56.      In tali circostanze, sono convinto che sia necessario riconoscere un certo potere discrezionale a quegli Stati membri che ritengano possibile, adeguato o auspicabile favorire il ricongiungimento di una cerchia limitata di beneficiari. L’analisi comparativa delle legislazioni nazionali mostra fino a che punto gli Stati membri diano prova di prudenza, subordinando di norma il beneficio del ricongiungimento familiare dei membri della famiglia allargata di un rifugiato a condizioni restrittive connesse allo stato di dipendenza (21). Orbene, se si dovesse pretendere da tali Stati membri che essi applichino il requisito di essere «a carico del rifugiato» in maniera ampia, in modo da ricomprendere ogni forma o ogni situazione di dipendenza nel paese d’origine, è molto probabile che questi ultimi vengano dissuasi dall’attuare la suddetta disposizione, anche laddove lo reputassero possibile nei confronti di una categoria particolare di beneficiari.

57.      Infine, in terzo luogo, ritengo che la giurisprudenza della Corte non osti a che uno Stato membro possa, in una situazione come quella in discussione nel procedimento principale, imporre un requisito particolare relativo alla natura o alle ragioni della dipendenza.

58.      Mi riferisco, a tal riguardo, alla giurisprudenza elaborata dalla Corte nel contesto della direttiva 2004/38 (22) e, in particolare, nella sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (23), confermata successivamente nella sentenza del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina) (24).

59.      La sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a (25), verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, ai sensi del quale gli Stati membri sono tenuti ad agevolare, conformemente alla loro legislazione nazionale, l’ingresso e il soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione che non rientrano nella definizione di famiglia nucleare, qualora essi siano, segnatamente, a carico di quest’ultimo.

60.      La disposizione summenzionata si distingue dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, nella misura in cui crea a carico degli Stati membri un vero e proprio obbligo di adottare le misure necessarie per agevolare l’ingresso e il soggiorno delle persone che si trovino in una situazione di dipendenza. Cionondimeno, tale obbligo è formulato in termini generali che lasciano a ciascuno Stato membro un esteso margine di discrezionalità, la cui ampiezza è ancor più accentuata dall’espresso rinvio alla legislazione nazionale.

61.      La Corte ha tenuto conto di tali circostanze. Essa ha dichiarato che «gli Stati membri, nell’esercizio [del] potere discrezionale [di cui dispongono a titolo di detta disposizione], possono prescrivere nelle loro legislazioni particolari requisiti relativamente alla natura o alla durata della dipendenza», al fine di garantire «segnatamente» il carattere reale e non abusivo della dipendenza (26). La Corte ha cionondimeno prescritto che siffatti requisiti siano conformi al significato comune dei termini relativi alla dipendenza prevista all’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38 e non privino la disposizione in parola del suo effetto utile (27).

62.      In tale sentenza, la Corte ha dunque riconosciuto agli Stati membri il diritto di avvalersi del loro potere discrezionale allo scopo di definire, al di là del criterio di ammissibilità enunciato espressamente dal legislatore dell’Unione («a carico di»), requisiti specifici relativi alla situazione di dipendenza nella quale si trova il familiare interessato, e ciò sebbene il diritto al ricongiungimento familiare previsto dalla direttiva 2004/38 sia pensato come il corollario del diritto di libera circolazione del cittadino dell’Unione e benefici di una protezione di riflesso, stante la lesione che potrebbe riceverne l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione (28).

63.      Orbene, ricordo che la direttiva 2003/86 rientra non nelle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione e alla libera circolazione delle persone bensì nella politica di immigrazione (29). In tale contesto, la Corte ha ammesso che a favore dei familiari non sussiste alcun diritto soggettivo ad essere ammessi nel territorio degli Stati membri e che, in applicazione della direttiva 2003/86, questi ultimi dispongono di un certo margine di manovra nell’esame delle domande di ricongiungimento familiare e possono subordinare l’esercizio del diritto di cui trattasi a talune condizioni (30).

64.      In simili circostanze, mi sembra, di conseguenza, che la giurisprudenza della Corte non osti a che venga riconosciuto un potere discrezionale agli Stati membri che consenta loro di prevedere, nelle loro legislazioni, condizioni particolari quanto alla forma o quanto alla natura della dipendenza.

65.      Alla luce di tali elementi, ritengo dunque che l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 non osti, di per sé, ad una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale subordini il diritto al ricongiungimento familiare della sorella di un rifugiato al requisito che ella sia a carico di quest’ultimo, in ragione della sua incapacità a sovvenire alle proprie necessità a causa del suo stato di salute.

66.      Inoltre, occorre tuttavia che tale legislazione soddisfi, nella fase della sua attuazione, la necessità di garantire un esame individualizzato della domanda, circostanza che occorre adesso verificare.

2.      Necessità di procedere ad un esame individualizzato della domanda

67.      Nell’ambito della sua seconda questione, il giudice del rinvio pone l’accento sull’assenza di qualsivoglia esame della situazione personale del richiedente nell’ambito dell’attuazione della normativa in discussione nel procedimento principale.

68.      Se ciò corrisponde al vero, è manifesto che una siffatta normativa non soddisfa i requisiti procedurali che ciascuno Stato membro deve rispettare allorché esamina una domanda di ricongiungimento familiare a titolo della direttiva 2003/86, e, in particolare, quelli previsti al suo articolo 17.

69.      Tale disposizione esige, infatti, da quest’ultimo che esso effettui un esame della situazione del richiedente e proceda ad un esame individualizzato (31).

70.      Ricordo in tal senso che, nella causa decisa con la sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun (32), nella quale la domanda di ricongiungimento familiare era stata formulata dalla moglie di un cittadino di un paese terzo, la Corte ha dichiarato che l’articolo 17 della direttiva 2003/86 osta ad una legislazione nazionale che consente all’autorità nazionale competente di respingere una domanda di ricongiungimento familiare senza procedere ad un esame concreto della situazione del richiedente. Nella sentenza richiamata, la Corte ha rilevato che l’estensione dei bisogni poteva variare molto a seconda degli individui e, di conseguenza, ha considerato contraria a tale direttiva una legislazione nazionale che prevedeva un importo di reddito minimo al di sotto del quale qualsiasi ricongiungimento familiare era respinto, nella misura in cui la domanda di ricongiungimento familiare verrebbe respinta a prescindere «da un esame concreto della situazione di ciascun richiedente» (33).

71.      Tale esame si impone a maggior ragione, a mio avviso, allorché la domanda di ricongiungimento familiare venga formulata dal familiare di un rifugiato. Il legislatore dell’Unione si è peraltro premurato di ricordarlo al considerando 8 della direttiva 2003/86 allorché invita gli Stati membri ad accordare un’«attenzione particolare» alla situazione dei rifugiati, in considerazione delle ragioni che li hanno costretti a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare.

72.      Siffatta attenzione particolare deve essere dedicata a tutte le fasi del procedimento.

73.      Nell’ambito della prova dei vincoli familiari di cui all’articolo 11 della direttiva 2003/86, la Corte ha in tal senso dichiarato che la valutazione individuale richiesta dall’articolo 17 della menzionata direttiva esige dall’autorità nazionale competente che essa tenga conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui l’età, il genere, il livello d’istruzione, l’origine familiare e lo status sociale non solo del beneficiario della protezione internazionale, bensì anche del familiare interessato, e che essa esamini oggettivamente la situazione nel paese di origine e gli specifici aspetti culturali del medesimo (34).

74.      Una simile analisi è indispensabile nell’ambito dell’esame del vincolo di dipendenza che unisce il familiare interessato al rifugiato di cui all’articolo 10, paragrafo 2, di detta direttiva. È evidente, infatti, che la dipendenza e le conseguenze che ne derivano non possono essere valutate in maniera identica a seconda che il ricongiungimento riguardi la famiglia di un cittadino di un paese terzo, il quale abbia scelto di immigrare verso uno Stato membro dell’Unione ad esempio per ragioni economiche, o la famiglia di un rifugiato, il quale sia stato costretto a fuggire a causa della situazione nel paese d’origine.

75.      Pertanto, nell’ambito dell’attuazione di una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, in cui l’autorità nazionale competente è chiamata a verificare se il familiare interessato possa sovvenire alle proprie necessità in ragione del suo stato di salute, ritengo che la valutazione individualizzata richiesta dall’articolo 17 della direttiva 2003/86 imponga non solo di prendere in considerazione la natura e la gravità della patologia da cui è affetto il familiare interessato, nonché il grado di parentela e il grado di dipendenza economica o fisica, bensì anche di prestare un’attenzione particolare alla situazione concreta nella quale tale familiare si trova nel suo paese d’origine e alle difficoltà particolari che lo stesso può incontrare in considerazione del suo sesso, della sua età e del suo status sociale, nonché della situazione economica, sociale e sanitaria in detto paese.

76.      In conformità ad una giurisprudenza costante, spetta parimenti alle autorità nazionali competenti procedere a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutte le circostanze attuali e pertinenti del caso di specie, tenendo conto di tutti gli interessi in gioco (35).

77.      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, ritengo, pertanto, che l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 17 della medesima direttiva, non osti ad una legislazione nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, la quale subordina il beneficio del ricongiungimento familiare della sorella di un rifugiato alla condizione che ella sia a carico di quest’ultimo, in ragione della sua incapacità a sovvenire alle proprie necessità a causa del suo stato di salute, sempreché, tuttavia, l’autorità nazionale competente proceda ad un esame individualizzato della domanda di ricongiungimento. Suddetta autorità deve tenere conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, come la natura e la gravità della patologia da cui è affetto il familiare interessato, nonché il grado di parentela e il grado di dipendenza economica o fisica, e prestare un’attenzione particolare alla situazione concreta nella quale tale familiare si trova nel suo paese d’origine ed alle particolari difficoltà che può incontrare in considerazione del suo sesso, della sua età e del suo status sociale, ma anche della situazione economica, sociale e sanitaria nel paese di cui si tratti.

78.      Alla luce delle risposte che propongo di fornire alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, non è necessario, a mio avviso, rispondere all’ultima questione che il giudice del rinvio sottopone alla Corte.

V.      Conclusione

79.      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, propongo di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria):

1)      L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che, nel caso in cui uno Stato membro autorizzi il ricongiungimento di altri familiari di un rifugiato, non previsti all’articolo 4 della direttiva in parola, tale Stato è tenuto a rispettare il requisito di essere «a carico del rifugiato».

Il requisito di essere «a carico del rifugiato» enunciato all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che il familiare interessato deve trovarsi in una situazione di fatto caratterizzata dalla circostanza che il suo sostegno materiale è assicurato da detto rifugiato.

2)      L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 17 di tale direttiva, non osta ad una legislazione nazionale come quella in discussione, la quale subordina il beneficio del ricongiungimento familiare della sorella di un rifugiato al requisito che ella sia a carico di quest’ultimo, in ragione della sua incapacità a sovvenire alle proprie necessità a causa del suo stato di salute, sempreché, tuttavia, l’autorità nazionale competente proceda ad un esame individualizzato della domanda di ricongiungimento.

Tale autorità deve tenere conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, come la natura e la gravità della patologia da cui è affetto il familiare interessato, nonché il grado di parentela e il grado di dipendenza economica o fisica, e prestare un’attenzione particolare alla situazione concreta nella quale tale familiare si trova nel suo paese d’origine ed alle particolari difficoltà che può incontrare in considerazione del suo sesso, della sua età e del suo status sociale, ma anche della situazione economica, sociale e sanitaria nel paese di cui si tratti.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2003, L 251, pag. 12.


3      In conformità alla giurisprudenza della Corte, una persona a carico è una persona che si trova in una situazione di dipendenza reale nei confronti di un terzo. V., segnatamente, sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes (C‑423/12, EU:C:2014:16, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata).


4Magyar Közlöny 2007/65.


5      V. sentenza dell’8 giugno 2016, Hünnebeck (C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata).


6      V., a tal riguardo, Ministry of Interior, Family reunification of TCNs in the EU: National practices, 2016, in European Migration Network, spec. pagg. 8 e 9, disponibile al seguente indirizzo Internet: http://emnhungary.hu/sites/default/files/2019-06/family_reunification_study.pdf.


7      Mentre in Francia e in Belgio non esiste alcuna disposizione concernente il ricongiungimento familiare dei membri della famiglia allargata di un rifugiato, quest’ultimo è autorizzato, in Germania, laddove necessario al fine di evitare «difficoltà eccessive», ad esempio, in casi di dipendenza risultanti da una disabilità o da una malattia grave [Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet(legge relativa al soggiorno, al lavoro e all’integrazione degli stranieri nel territorio federale) del 30 luglio 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 1950), parte 6, sezioni da 27 a 36, specialmente 29, 30 e 36(2)] e, in Italia, laddove il figlio maggiorenne non possa provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del suo stato di salute che comporti invalidità totale oppure laddove i genitori siano a carico e non abbiano altri figli nel paese di origine ovvero i genitori siano ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute [Decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (GURI n. 191, del 18 agosto 1998), articolo 29, primo comma, lettere c) e d) e articolo 29 (bis)].


8      V., a tal riguardo, considerando 9 della direttiva in parola.


9      Ad eccezione delle disposizioni previste all’articolo 4, paragrafo 1, terzo comma, che non si applicano ai figli di rifugiati.


10      V. sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 43). La giurisprudenza elaborata dalla Corte in relazione all’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 (cittadini di paesi terzi) mi sembra applicabile, per analogia, all’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva (rifugiati). Infatti, nell’ambito di quest’ultima disposizione, il legislatore dell’Unione rimanda espressamente all’articolo 4 di detta direttiva. Rilevo parimenti che il considerando 9 della direttiva 2003/86 non procede ad alcuna distinzione a seconda che il cittadino del paese terzo sia beneficiario o meno di una protezione internazionale.


11      V. sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192 punto 46 e la giurisprudenza ivi citata).


12      V. sentenza del 23 gennaio 2019, M.A. e a. (C‑661/17, EU:C:2019:53, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).


13 Il corsivo è mio.


14 Il corsivo è mio.


15      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35).


16      V. sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes (C‑423/12, EU:C:2014:16, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).


17      V. sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes (C‑423/12, EU:C:2014:16, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).


18      V. sentenza del 19 marzo 2019, Jawo (C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 92), nella quale la Corte ha dichiarato che i bisogni più elementari comprendevano segnatamente quelli di nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio.


19      Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 3 aprile 2014, concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento [COM (2014) 210 final, pag. 6].


20      V. sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).


21      V. nota 7 delle presenti conclusioni.


22      Non ritengo che la giurisprudenza elaborata dalla Corte nella sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes (C‑423/12, EU:C:2014:16) sia rilevante per la presente causa. È vero che la Corte ha dichiarato, al punto 23 di detta sentenza, che «non è necessario stabilire quali siano le ragioni [della] dipendenza e, quindi, del ricorso [al] sostegno [materiale del soggiornante]». Cionondimeno, la questione sollevata verteva non sulla definizione dei familiari «a carico» del soggiornante bensì sui requisiti che gli Stati membri potevano imporre in materia di onere della prova.


23      C‑83/11, EU:C:2012:519.


24      C‑129/18, EU:C:2019:248.


25      C 83/11, EU:C:2012:519.


26      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 38).


27      Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 39) e del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina) (C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 63).


28      Nella sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes (C‑423/12, EU:C:2014:16), la Corte ha ricordato che le disposizioni che, come la direttiva 2004/38, sanciscono la libera circolazione dei cittadini dell’Unione, parte integrante dei fondamenti giuridici dell’Unione, vanno interpretate in senso estensivo (punto 23 e la giurisprudenza ivi citata). La Corte prende infatti le mosse dal principio che il cittadino dell’Unione potrebbe essere dissuaso dal circolare da uno Stato membro all’altro qualora non possa farsi accompagnare dai familiari.


29      La direttiva 2003/86 è stata adottata sul fondamento dell’articolo 63, punto 3, lettera a), CE [divenuto articolo 79, paragrafo 2, lettera a), TFUE], il quale rientra nel titolo IV «Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» (divenuto titolo V «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia»).


30      V., in tal senso, sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 59), e del 6 dicembre 2012, O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 79).


31      V., a tal riguardo, punto 7.4. degli orientamenti della Commissione, nonché sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata).


32      C‑578/08, EU:C:2010:117.


33      Sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 48).


34      V. sentenza del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 63), la quale verteva sulle difficoltà incontrate dalla soggiornante, un rifugiato di origine eritrea, al fine di dimostrare l’esistenza di vincoli familiari con un minore.


35      Sentenze del 13 marzo 2019, E. (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina) (C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 68 e la giurisprudenza ivi citata).