Language of document : ECLI:EU:C:2010:254

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 6 maggio 2010 1(1)

Causa C‑104/09

Pedro Manuel Roca Álvarez

contro

Sesa Start España ETT SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia, (Spagna)]

«Politica sociale – Parità di trattamento tra uomini e donne – Permesso per allattamento»





I –    Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre alla Corte l’occasione di precisare la propria giurisprudenza in materia di divieto di discriminazione in ragione del sesso.

2.        Il diritto spagnolo riconosce alle madri lavoratrici subordinate il diritto di usufruire di una riduzione dell’orario giornaliero di lavoro sino al compimento del nono mese di età del bambino. La legge fa effettivamente riferimento ad un permesso «per allattamento»; ciononostante la giurisprudenza spagnola riconosce tale permesso anche alle madri che non allattano. Occorre quindi anzitutto evidenziare che il concetto di «permesso per allattamento» è fuorviante, in quanto l’allattamento al seno non costituisce un presupposto per il suo riconoscimento. Qualora la madre non si avvalga di tale permesso, può usufruirne al suo posto il padre, sempre che si tratti di un lavoratore subordinato.

3.        Il sig. Roca Álvarez chiedeva al proprio datore di lavoro di usufruire di tale permesso. La sua richiesta veniva però rigettata poiché la madre del bambino era una lavoratrice autonoma e, in quanto tale, non aveva diritto al permesso per allattamento; di conseguenza neppure il sig. Roca Álvarez potrebbe far valere un diritto derivato. In base alla normativa spagnola, infatti, il padre lavoratore subordinato non è titolare in forma individuale di un diritto al permesso. Il sig. Roca Álvarez ritiene pertanto che tale disposizione integri una discriminazione in ragione del sesso.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

4.        Il contesto normativo del diritto dell’Unione cui si riferiscono le presenti conclusioni è costituito dalla direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (2).

1.      Direttiva 76/207

5.        L’art. 1, n. 1, della direttiva 76/207 stabilisce che:

«Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compreso la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».

6.        L’art. 2, nn. 1 e 3, della direttiva dispone che:

«(1) Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

(3) La presente direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».

7.        L’art. 5, n. 1, della direttiva precisa che:

«(1) L’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso».

2.      Direttiva 96/34

8.        Per completezza occorre altresì richiamare la direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/CE, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (3).

9.        Tale direttiva mira ad attuare l’accordo quadro sul congedo parentale concluso il 14 dicembre 1995 tra le organizzazioni interprofessionali a carattere generale (UNICE, CEEP e CES). Tale accordo figura nell’allegato alla direttiva.

10.      La clausola 2.1 dell’accordo quadro prevede che:

«1. Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a otto anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali».

B –    Normativa nazionale

11.      I rapporti di lavoro sono disciplinati in Spagna dallo Estatuto de los Trabajadores (in prosieguo: lo «Statuto dei lavoratori»), novellato dal Regio decreto legislativo 1/1995 del 24 marzo 1995 (4). In base all’articolo 1, lo Statuto dei lavoratori trova applicazione nei confronti di coloro che prestano volontariamente servizio a titolo oneroso a favore di un terzo all’interno di un’organizzazione e sotto la direzione di una persona fisica o giuridica, denominata datore di lavoro.

12.      L’art. 1, n. 3, dello Statuto dei lavoratori stabilisce che qualsiasi attività svolta in condizioni diverse da quelle stabilite all’art. 1, n. 1, esula dall’ambito di applicazione dello Statuto dei lavoratori.

13.      L’art. 37, n. 4, dello Statuto dei lavoratori, nella versione, secondo quanto indicato dal giudice del rinvio, vigente al momento della proposizione della domanda, dispone:

«Per l’allattamento di un figlio fino al nono mese di vita, le lavoratrici hanno diritto ad un’ora di riposo dal lavoro, frazionabile in due periodi. La donna può volontariamente decidere di sostituire tale diritto con una riduzione di mezz’ora del proprio orario di lavoro giornaliero per il medesimo scopo. Tale permesso potrà essere utilizzato indistintamente dal padre e dalla madre, qualora lavorino entrambi».

14.      A seguito delle modifiche introdotte con la legge 3/2007 del 22 marzo 2007 (5), l’articolo 37 dello Statuto dei lavoratori stabilisce, in particolare, diversamente da quanto previsto nella precedente versione, che la lavoratrice possa scegliere, invece dell’ora di riposo, una riduzione di mezz’ora dell’orario di lavoro giornaliero, nei termini previsti dal contratto collettivo di lavoro o dall’accordo stipulato con il datore di lavoro, di cumulare i periodi di riposo in intere giornate di lavoro.

III – Fatti e questione pregiudiziale

15.      Il signor Roca Álvarez (in prosieguo: il «ricorrente») presta servizio presso la società Sesa Start España ETT SA (in prosieguo: il «datore di lavoro»).

16.      Il 7 marzo 2005 il ricorrente chiedeva al datore di lavoro di concedergli il permesso retribuito per allattamento di cui all’art. 37, n. 4, dello Statuto dei lavoratori. Il datore di lavoro negava tale permesso, adducendo il fatto che il coniuge del ricorrente era una lavoratrice autonoma e non una lavoratrice subordinata. La qualifica di lavoratrice subordinata in capo alla madre costituirebbe un requisito indispensabile per poter fruire del permesso.

17.      Il sig. Roca Álvarez impugnava tale decisione. Il giudice di primo grado ha ritenuto che il diritto al permesso per allattamento costituisca una prerogativa esclusiva della madre, data la formulazione della relativa disposizione dello Statuto dei lavoratori che utilizza, per l’appunto, il termine «lavoratrici (…)». Dovrebbe trattarsi, inoltre, di una lavoratrice subordinata, in quanto, in caso contrario, lo Statuto dei lavoratori non troverebbe applicazione. Il giudice negava quindi al signor Roca Álvarez il diritto al permesso per allattamento, in quanto coniugato con una lavoratrice autonoma. Il padre non potrebbe far valere un diritto derivato non essendo la madre titolare di tale diritto.

18.      Il ricorrente ha proposto ricorso contro tale sentenza dinanzi al Tribunal Superior de Justicia de Galicia. Il giudice adito ritiene che la domanda del ricorrente possa essere accolta solo qualora si accerti che riservando esclusivamente alla madre la titolarità del diritto al permesso per allattamento viene violato il principio della parità di trattamento.

19.      Sulla base di tali considerazioni il Tribunal Superior de Justicia de Galicia ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il principio di parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione in ragione del sesso, sancito dall’art. 13 [CE], dalla direttiva del Consiglio (…) 76/207 (…) e dalla direttiva 2002/73, osti ad una normativa nazionale (nel caso specifico, l’art. 37, n. 4, dello Statuto dei lavoratori) che riserva esclusivamente alle madri lavoratrici subordinate la titolarità del diritto ad un permesso retribuito per allattamento, fruibile nella modalità di una riduzione di una mezz’ora della giornata lavorativa o nell’astensione dal lavoro per un’ora, frazionabile in due periodi, che ha carattere facoltativo, la cui copertura finanziaria è a carico del datore di lavoro e che è usufruibile fino al compimento del nono mese di età del bambino, mentre la titolarità di tale diritto non è concessa ai padri che svolgono un’attività di lavoro subordinato».

20.      Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte i governi della Spagna e dell’Irlanda nonché la Commissione.

IV – Analisi giuridica

21.      Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se una normativa nazionale che accorda esclusivamente alle lavoratrici un diritto individuale al «permesso per allattamento» sia in contrasto con il principio della parità trattamento tra uomini e donne sancito dal diritto dell’Unione. In tal senso la questione pregiudiziale rimanda all’articolo 13 del Trattato CE (divenuto art. 19 TFUE) e alle direttive 76/207 e 2002/73 (6).

22.      La valutazione giuridica della questione pregiudiziale verrà condotta qui di seguito unicamente sulla base della direttiva 76/207, in quanto la direttiva 2002/73 non può trovare applicazione ratione temporis nel caso di specie. Il termine di recepimento della direttiva 2002/73 scadeva, infatti, il 5 ottobre 2005, mentre il ricorrente ha avanzato la richiesta di «permesso» già il 7 marzo 2005, quindi prima della scadenza di tale termine. Anche il periodo del permesso richiesto è anteriore al termine di trasposizione; questo doveva durare dal 4 gennaio 2005 al 4 ottobre 2005.

23.      Qualora il diritto spagnolo facesse riferimento, ai fini della decisione nel procedimento principale, non alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda, bensì ad un momento successivo – ad esempio alla data di pronuncia della decisione in ultimo grado –, il termine di recepimento risulterebbe già decorso. Tale circostanza peraltro non modificherebbe l’esito della valutazione giuridica effettuata in questa sede, in quanto la direttiva 2002/73 non ha modificato in maniera rilevante le norme applicabili al caso di specie.

24.      Il giudice del rinvio non ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla rifusione della direttiva intervenuta a seguito dell’adozione della direttiva 2006/54 (7). Il termine di attuazione di quest’ultima era peraltro fissato al 15 agosto 2008, cosicché tale direttiva non sarebbe comunque applicabile ratione temporis nel caso di specie.

A –    La direttiva 76/207

25.      La direttiva 76/207 mira ad attuare il principio della parità di trattamento tra uomini e donne in ambito lavorativo. L’art. 2, n. 1, vieta pertanto ogni discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso. L’art. 5, n. 1, precisa che l’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni in ragione del sesso. Occorre pertanto di seguito verificare innanzitutto se le disposizioni in esame riguardino le condizioni di lavoro e se determinino una disparità di trattamento sulla base del sesso.

1.      Disparità di trattamento sotto il profilo delle condizioni di lavoro

26.      L’art. 37, n. 4, dello Statuto dei lavoratori spagnolo riconosce una riduzione dell’orario di lavoro nei primi nove mesi dopo la nascita del bambino, usufruibili nella modalità di una riduzione di mezz’ora dell’orario giornaliero di lavoro o di un’astensione dal lavoro di un’ora, frazionabile in due periodi. La normativa controversa riguarda pertanto la durata della prestazione di lavoro e, quindi, le condizioni di lavoro, rientrando così nell’ambito di applicazione dell’art. 5 della direttiva 76/207.

27.      La normativa comporta anche una disparità di trattamento in ragione del sesso.

28.      In base al tenore letterale del suo art. 37, n. 4, lo Statuto dei lavoratori riconosce il diritto a una riduzione dell’orario di lavoro solo alle lavoratrici. I lavoratori non godono invece di un diritto individuale alla riduzione dell’orario di lavoro, ma tuttalpiù di un diritto derivato: solo qualora la madre sia titolare in forma individuale di tale diritto, può usufruirne in alternativa anche il padre.

29.      La disparità di trattamento consiste quindi nel fatto che le lavoratrici sono titolari in forma individuale di un diritto alla riduzione dell’orario di lavoro, mentre i lavoratori al contrario dispongono solo di un diritto derivato, che trae origine dal diritto riconosciuto alla madre. Ne consegue che, mentre una madre lavoratrice subordinata ha sempre diritto alla riduzione dell’orario di lavoro, il padre lavoratore subordinato può vantare tale diritto solo se anche la madre del bambino è una lavoratrice dipendente. Qualora la madre sia invece una lavoratrice autonoma, che non goda essa stessa del diritto alla riduzione dell’orario di lavoro, neppure il padre può avanzare alcuna pretesa in tal senso. Tale diritto è riconosciuto invece alla lavoratrice anche qualora il padre del suo bambino sia un lavoratore autonomo.

30.      In questo contesto, uomini e donne si trovano in linea di principio in una posizione equiparabile, in quanto la riduzione dell’orario di lavoro in esame è finalizzata in primo luogo a garantire, come si vedrà in prosieguo, la cura del bambino. Nel riservare espressamente tale diritto alle sole lavoratrici, la disposizione controversa comporta una disparità di trattamento basata direttamente sul sesso.

31.      Occorre pertanto esaminare di seguito se tale disparità di trattamento possa considerarsi ammissibile alla luce delle deroghe previste dalla direttiva.

2.      Disposizioni a tutela della donna con riguardo alla gravidanza e alla maternità

32.      L’art. 2, n. 3, della direttiva riserva agli Stati membri il diritto di mantenere o introdurre norme a tutela della donna «per quanto riguarda la gravidanza e la maternità». Tale disposizione rappresenta una deroga al principio della parità di trattamento e, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente (8) per non svuotare di significato la normativa generale (9).

33.      La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 2, n. 3, della direttiva mira a tutelare le esigenze della donna sotto due aspetti. Da un lato è volto alla protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, alla protezione delle particolari relazioni tra madre e bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto (10).

34.      La normativa spagnola controversa non integra però una disparità di trattamento ammissibile ai sensi dell’art. 2, n. 3 della direttiva; infatti, ad un più attento esame, non si tratta di una norma a tutela della donna per quanto riguarda la gravidanza e la maternità ai sensi della direttiva.

35.      Una norma che garantisse determinate agevolazioni alle lavoratrici che allattano al seno mirerebbe senza dubbio alla tutela della donna per quanto riguarda la maternità. Solo le donne possono allattare naturalmente il loro bambino e pertanto l’allattamento è direttamente collegato alla maternità. Si deve pertanto concordare con il governo irlandese quando osserva che il riconoscimento di una situazione più favorevole per le lavoratrici che allattano al seno non integrerebbe una discriminazione vietata a danno dei lavoratori.

36.      A differenza di quanto lascia intendere la sua denominazione, il permesso per allattamento previsto dalla normativa spagnola non mira però in primo luogo a tutelare le madri che allattano naturalmente. Come ha evidenziato il giudice del rinvio, tale normativa, pur essendo stata istituita originariamente all’inizio del secolo scorso per consentire l’allattamento al seno da parte della madre, risulta attualmente svincolata da tale finalità. Ai giorni nostri l’allattamento naturale non rappresenta più il presupposto per l’ottenimento del permesso; la giurisprudenza spagnola ammette infatti la fruizione di tale permesso anche per l’allattamento artificiale del bambino.

37.      Il giudice del rinvio individua pertanto giustamente lo scopo del permesso in esame piuttosto nella tutela del tempo da dedicare alla cura del bambino. Il fatto che lo scopo del permesso sia oggi svincolato non solo dall’allattamento naturale, ma più in generale dalle esigenze di alimentazione del bambino, trova chiara conferma nell’ultima modifica apportata all’articolo 37 dello Statuto dei lavoratori (11). Tale norma permette, infatti, di cumulare i periodi di riposo giornaliero di un’ora in intere giornate di permesso. Nelle giornate lavorative non si dispone però poi di alcun permesso aggiuntivo per allattare o nutrire il bambino.

38.      In base al diritto spagnolo, inoltre, anche il padre può usufruire del permesso, qualora la madre ne abbia diritto. Tale circostanza conferma il carattere della norma spagnola quale misura per agevolare la cura dei bambini e non per proteggere la condizione biologica della donna. Da un lato, infatti, anche il padre può allo stesso modo occuparsi dell’allattamento con il biberon e della cura del bambino. Dall’altro, non è dato comprendere in cosa consisterebbe la tutela della condizione biologica della donna qualora questa non usufruisca direttamente della riduzione dell’orario di lavoro e continui a lavorare a tempo pieno, lasciando che sia il marito ad avvalersi della riduzione dell’orario di lavoro.

39.      La Corte ha sottolineato in più occasioni che la direttiva riserva agli Stati membri un potere di valutazione in relazione ai provvedimenti sociali che adottano al fine di garantire la protezione della donna per quel che riguarda la gravidanza e la maternità (12). Ciò significa che gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità nel decidere quali misure ritengono necessarie per garantire tale tutela. Ne consegue che le misure possono anche variare da Stato membro a Stato membro.

40.      La normativa spagnola, nel riconoscere anche al padre la possibilità di avvalersi del diritto al permesso riconosciuto alla madre, ha reso evidente che la finalità prevalente della norma non è la tutela della madre. La normativa si spiega piuttosto nella prospettiva del bambino, alle cui esigenze di assistenza può rispondere, in alternativa, una riduzione dell’orario di lavoro accordata a favore della madre o del padre.

41.      La presente fattispecie differisce sotto tale profilo dal caso oggetto della sentenza Hofmann, relativo invece ad una normativa nazionale che garantiva alle sole madri un permesso di maternità a carico dello Stato dopo la scadenza del periodo legale di tutela. Tale permesso non poteva in alcun caso essere ottenuto anche dal padre. Sul punto la Corte ha dichiarato che la direttiva 76/207 non impone agli Stati membri di concedere un simile permesso alternativamente anche ai padri, in quanto il permesso di maternità mira alla protezione della donna con riguardo alle conseguenze della gravidanza e della maternità.

42.      A tale riguardo la Corte ha sottolineato che la funzione del permesso di maternità consiste nel proteggere le particolari relazioni tra la madre e il suo bambino nel periodo successivo al parto, evitando che queste relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa (13). Una tale esigenza di tutela deve considerarsi in parte superata, in quanto anche il padre può assicurare le cure necessarie al bambino (14). In ogni caso, è anche possibile evitare il cumulo di oneri a carico della madre proprio se è il padre a prendersi cura del bambino. In questa sede non occorre peraltro precisare in maniera esaustiva il ruolo di tale esigenza di tutela nel diritto dell’Unione, in quanto lo stesso diritto spagnolo – nel riconoscere in molti casi anche al padre la possibilità di avvalersi del permesso – evidenzia che esso non mira a tutelare il particolare rapporto tra madre e bambino.

43.      Si deve infine esaminare l’obiezione sollevata del governo spagnolo, secondo cui un diritto individuale al permesso di cui trattasi può essere riconosciuto soltanto alle donne, in quanto ogni decisione sulle modalità di allattamento del bambino sarebbe rimessa esclusivamente a loro. Tale obiezione non è pertinente già per il fatto che solo storicamente e in base al nome si tratta di un «permesso per allattamento», mentre nella prassi l’applicazione della norma è del tutto svincolata da qualsivoglia necessità legata all’alimentazione del bambino. Si pone, certo, la necessità di prevedere a chi vada riconosciuto il permesso nell’ipotesi in cui i genitori non riescano ad accordarsi. Per risolvere una simile situazione di conflitto non è però necessario negare a priori al padre un diritto in forma individuale al permesso. Il compito del legislatore nazionale è piuttosto quello di individuare un componimento degli interessi conforme al principio della parità di trattamento.

3.      Misure volte a promuovere le pari opportunità

44.      Resta da esaminare se una normativa come quella di cui al procedimento principale possa dirsi ammissibile alla luce dell’art. 2, n. 4, della direttiva 76/207, secondo cui la direttiva non pregiudica le misure volte a promuovere la parità delle opportunità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano le opportunità delle donne.

45.      Da una giurisprudenza costante emerge che quest’ultima disposizione ha lo scopo, preciso e limitato, di autorizzare provvedimenti che, pur apparendo discriminatori, mirano effettivamente ad eliminare o a ridurre le disparità di fatto che possono esistere nella realtà della vita sociale (15).

46.      Non è dimostrato che la previsione di una parziale riduzione dell’orario di lavoro, come disciplinata dalla normativa spagnola, possa contribuire a eliminare o anche solo a limitare le disparità di fatto a carico delle donne. È piuttosto vero il contrario; una disciplina come quella spagnola rischia di contribuire alla discriminazione delle donne lavoratrici.

47.      Qualora si riconosca alle sole lavoratrici subordinate un diritto in forma individuale al permesso in discussione, accordando ai lavoratori invece soltanto un diritto derivato che trae origine dalla madre del bambino, viene ad essere perpetuata in futuro la tradizionale ripartizione dei ruoli (16) e viene addirittura limitata la possibilità per i padri lavoratori di prendersi cura dei bambini. Solo qualora entrambi i genitori siano lavoratori subordinati essi potranno liberamente scegliere chi dei due usufruirà del permesso per prendersi cura dei bambini. Qualora invece solo il padre sia un lavoratore subordinato e la madre una lavoratrice autonoma, il padre si vedrà negato il diritto al permesso. Sarà così la madre a dover mettere a disposizione quel tempo aggiuntivo per la cura del bambino che lo Statuto dei lavoratori vuole garantire limitando, a tal fine, la propria attività autonoma, con gli svantaggi derivanti in termini economici, o facendosi carico dei relativi maggiori oneri. Il padre lavoratore subordinato non può invece contribuire ad alleggerire la madre da un tale cumulo di oneri.

48.      Anche il giudice del rinvio ha formulato argomentazioni in tal senso, riferendo di un possibile «effetto boomerang» della normativa spagnola. Dal punto di vista del datore di lavoro il diritto al permesso come strutturato in Spagna costituisce addirittura un motivo per privilegiare l’assunzione di un candidato maschio rispetto ad una donna. Se nel caso di assunzione di una donna il datore di lavoro deve già tener conto della possibilità di una successiva gravidanza o maternità e di conseguenti diritti della lavoratrice, a lei spetta inoltre in ogni caso anche un diritto alla concessione del permesso in questione. Assumendo un candidato maschio, invece, il datore di lavoro non solo si espone, di fatto, a un rischio inferiore che questi scelga di avvalersi del permesso, ma oltretutto, nel caso in cui la madre del bambino sia una lavoratrice autonoma, il dipendente non avrebbe alcun diritto al permesso controverso.

49.      La disparità di trattamento oggetto di discussione non trova quindi giustificazione neppure nell’art. 2, n. 4.

B –    La direttiva 96/34

50.      Nelle proprie osservazioni la Commissione è giunta alla conclusione che una norma come quella in esame viola anche l’accordo quadro sul congedo parentale. Il permesso accordato per accudire il bambino costituisce un congedo parentale ai sensi della citata direttiva. La clausola 2 dell’accordo quadro riconosce ai lavoratori di ambo i sessi un diritto individuale al congedo parentale. Una disciplina nazionale che accordi, in un contesto come quello esaminato, solo alle donne un diritto individuale al permesso si pone in contrasto con tale disposizione.

51.      Nel formulare la questione pregiudiziale il giudice del rinvio non ha fatto riferimento alla direttiva 96/34. Nella motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale ha tuttavia fatto rilevato che il diritto spagnolo non prevede un congedo parentale unico, ma realizza la finalità della direttiva attraverso istituti diversi, tra i quali figura, appunto, il permesso per allattamento. Su tale punto però l’ordinanza di rinvio non fornisce ulteriori informazioni. In particolare, mancano dati precisi circa gli altri istituti in materia di congedo parentale. Non è pertanto possibile nel caso di specie verificare se sia stata violata la direttiva 96/34. Dato però che è stata già riscontrata una violazione della direttiva 76/207, non occorre esaminare un’eventuale violazione della direttiva 96/34.

C –    Conclusione parziale

52.      Una normativa nazionale come quella controversa non è compatibile con la direttiva 76/207.

D –    Conseguenze per la controversia principale

53.      Spetta al giudice del rinvio valutare le conseguenze derivanti da tale constatazione per il procedimento principale, avviato nell’ambito di un rapporto di lavoro privato.

54.      A tale riguardo occorre peraltro ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (17).

55.      D’altra parte, in due recenti sentenze la Corte ha dichiarato che è compito del giudice nazionale, anche nell’ambito di controversie tra privati, disapplicare ogni disposizione di legge nazionale che contrasti con il principio generale di non discriminazione in ragione dell’età (18). Si tratta di vedere se la Corte estenderà una tale applicazione orizzontale anche ad altri principi, quali il divieto di discriminazione in ragione del sesso. Di fronte ad una simile evoluzione sarebbe necessario analizzare in particolare i fondamenti dogmatici del controverso effetto diretto orizzontale e i suoi limiti (19).

56.      Non avendo il giudice del rinvio chiesto alla Corte di pronunciarsi in merito, la discussione di tali aspetti risulterebbe fuorviante.

57.      Deve inoltre prevalere in ogni caso un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla direttiva. I giudici nazionali sono tenuti a fare tutto quanto rientra nella loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena effettività della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalità perseguita da quest’ultima (20). Non osta ad un’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme alla direttiva il fatto che essa possa eventualmente risolversi a danno del singolo (21). In effetti, l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità con le direttive vale, notoriamente, anche rispetto a rapporti giuridici orizzontali, nei quali è necessariamente un soggetto privato a subire indirettamente un danno (22).

58.      Nella presente fattispecie sussistono molteplici elementi per ritenere che il giudice del rinvio possa interpretare la norma in maniera tale da pervenire ad una soluzione conforme alla direttiva. In definitiva la normativa controversa è già stata oggetto in passato di un’interpretazione in senso lato, che l’ha svincolata, alla luce dell’evoluzione sociale, dal presupposto dell’allattamento naturale e ha fatto sì che, in determinati casi, venisse riconosciuto anche ai padri il diritto al permesso. Il giudice del rinvio non ha neanche lasciato intendere che avrebbe difficoltà a pervenire alla soluzione sostenuta in questa sede attraverso l’interpretazione del diritto spagnolo.

V –    Conclusione

59.      Alla luce delle osservazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale come segue:

«Una normativa nazionale che riserva esclusivamente alle madri lavoratrici subordinate la titolarità di un diritto autonomo a un permesso retribuito per l’assistenza al bambino, fruibile nella modalità di una riduzione di mezz’ora della giornata lavorativa o nell’astensione dal lavoro per un’ora, frazionabile in due periodi, mentre la titolarità di tale diritto non è concesso ai padri che svolgono un’attività di lavoro subordinato, viola il principio di parità di trattamento ai sensi della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro».


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 39, pag. 40.


3 – GU L 145, pag. 4.


4 – BOE n. 75 del 29 marzo 1995, pag. 9654.


5 – BOE n. 71 del 23 marzo 2007, pag. 12611.


6 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (testo rilevante ai fini del SEE), (GU L 269, pag. 15)


7 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 luglio 2006, 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), (GU L 204, pag. 23).


8 – V. sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 44).


9 – V., in tal senso, sentenza 22 aprile 2010, causa C-346/08, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑3491, punto 39).


10 – V. sentenze 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann (Racc. pag. 3047, punto 25); 30 aprile 1998, causa C-136/95, Thibault (Racc. pag. I-2011, punto 25); 18 marzo 2004, causa C-342/01, Merino Gómez (Racc. pag. I‑2605, punto 32); 29 novembre 2001, causa C-366/99, Griesmar (Racc. pag. I‑9383, punto 43), e 20 settembre 2007, causa C-116/06, Kiiski (Racc. pag. I-7643, punto 46). Per quanto attiene al rapporto genitori–bambino si veda il paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


11 – In base alle indicazioni del giudice del rinvio, questa modifica non trova applicazione ratione temporis al caso di specie; tuttavia essa può essere presa in considerazione al fine di valutare la natura del permesso.


12 – V. sentenza Hofmann (cit. alla nota 10, punto 27).


13 – V. sentenze citate alla nota 10.


14 – V., ad esempio, Langenfeld in Grabitz/Hilf, Das Recht der Europäischen Union, gennaio 2008, art. 141, punto 101.


15 – V. sentenze 17 ottobre 1995, causa C-450/93, Kalanke (Racc. pag. I‑3051, punto 18); 11 novembre 1997, causa C-409/95, Marschall (Racc. pag. I‑6363, punto 26), e 19 marzo 2002, causa C-476/99, Lommers (Racc. pag. I‑2891, punto 32).


16 – La Corte ha evidenziato un simile pericolo già nella sentenza 19 marzo 2002, Lommers (cit. alla nota 15, punto 41).


17 – V. sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48); 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punto 20); 5 ottobre 2004, causa riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punti 108 e 109); 7 giugno 2007, causa C-80/06, Carp (Racc. pag. I‑4473, punto 20), e 19 gennaio 2010, causa C-555/07, Kücükdeveci (Racc. pag. I‑365, punto 46).


18 – V. sentenze 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981, punto 77), e Kücükdeveci (cit. alla nota 17, punto 51). V. su questo punto anche le mie conclusioni presentate in data odierna nella causa C-499/08, Andersen (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafo 22 e seg.).


19 – V. in proposito le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano del 30 giugno 2005, causa Mangold (cit. alla nota 18, paragrafi 83, 84 e 100); dell’avvocato generale Mazák del 15 febbraio 2005, causa C‑411/05, Palacios de la Villa (decisa con sentenza 16 ottobre 2007, Racc. pag. I‑8531, paragrafi 133-138), e dell’avvocato generale Sharpston del 22 maggio 2005, causa C‑427/06, Bartsch (Racc. pag. I‑7245, paragrafi 79-93), e gli ulteriori rimandi in esse contenuti.


20 – V. sentenze Pfeiffer e a. (cit. alla nota 17, punti 115 e segg.); 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punto 111); 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact (Racc. pag. I-2483, punto 101), e 23 aprile 2009, C‑378/07‑C-380/07, Angelidaki e a. (Racc. pag. I-3071, punto 200).


21 – V. le mie conclusioni dell’8 febbraio 2007, causa C-321/05, Kofoed (Racc. pag. I‑5795, paragrafo 65), e la giurisprudenza ivi citata.


22 – V. solo sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I‑4135, punti 6 e 8), e Faccini Dori (cit. alla nota 17, punti 20, 25 e 26).