Language of document : ECLI:EU:C:2020:532

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

9 luglio 2020 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Ambito di applicazione – Articolo 1, paragrafo 2 – Nozione di “disposizioni legislative o regolamentari imperative” – Disposizioni suppletive – Contratto di credito espresso in valuta estera – Clausola relativa al rischio di cambio»

Nella causa C‑81/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania), con decisione del 27 dicembre 2018, pervenuta in cancelleria il 1° febbraio 2019, nel procedimento

NG,

OH

contro

SC Banca Transilvania SA,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.‑C. Bonichot, presidente di sezione, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente della Corte, facente funzione di giudice della Prima Sezione, L. Bay Larsen, C. Toader e N. Jääskinen (relatore), giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: R. Șereș, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 febbraio 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per NG e OH, da V. Lupu e G. Perju, avocaţi;

–        per la SC Banca Transilvania SA, da S. Tîrnoveanu, L. Retegan e A. Iorgulescu, avocaţi;

–        per il governo rumeno, inizialmente da E. Gane, L. Liţu, O.‑C. Ichim e C.‑R. Canţăr, e successivamente da E. Gane, L. Liţu, e O.‑C. Ichim, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da J. Möller, M. Hellmann ed E. Lankenau, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Gheorghiu e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 marzo 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, NG e OH, e, dall’altro, la SC Banca Transilvania SA (in prosieguo: la «Banca Transilvania»), in merito al presunto carattere abusivo di una clausola del contratto di mutuo di rifinanziamento concluso tra dette parti, espresso in valuta estera.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        A termini del tredicesimo considerando della direttiva 93/13:

«considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono part[i]; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2[,] comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo».

4        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva succitata prevede quanto segue:

«Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono part[i], non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

5        L’articolo 3 della medesima direttiva è del seguente tenore:

«1.      Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2.      Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

(...)».

 Diritto rumeno

6        L’articolo 1578 del Cod Civil (codice civile), nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), prevedeva quanto segue:

«L’obbligazione derivante da un mutuo in danaro riguarda sempre il medesimo importo indicato nel contratto.

Se interviene un aumento o una diminuzione del valore della valuta prima che scada il termine del pagamento, il debitore deve restituire l’importo ricevuto in prestito ed è obbligato a restituirlo unicamente nella valuta avente corso legale al momento del pagamento».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

7        Il 31 marzo 2006, NG e OH hanno stipulato un contratto di credito al consumo con la SC Volksbank România SA, divenuta successivamente Banca Transilvania, con il quale quest’ultima ha prestato loro una somma pari a 90 000 lei rumeni (RON) (circa EUR 18 930) (in prosieguo: il «contratto iniziale»).

8        Il 15 ottobre 2008, queste stesse parti hanno stipulato un contratto di mutuo espresso in franchi svizzeri (CHF), destinato al rifinanziamento del contratto iniziale (in prosieguo: il «contratto di rifinanziamento»). Quest’ultimo aveva ad oggetto una somma di CHF 65 000 (circa EUR 42 139), ossia approssimativamente RON 159 126 al tasso di cambio avente corso tra tali valute alla data della firma del contratto in questione.

9        In forza del regolamento interno della Banca Transilvania, il livello massimo di indebitamento autorizzato era pari al 55% della capacità finanziaria dei mutuatari. Per quanto riguarda NG e OH, tale soglia è stata calcolata prendendo in considerazione il tasso di cambio del franco svizzero rispetto al leu rumeno (in prosieguo: il «tasso di cambio CHF/RON») in vigore prima della firma del contratto di rifinanziamento e rappresentava, alla data della conclusione del mutuo, il 35,04% dei loro redditi.

10      La sezione 4, punto 1, delle condizioni generali del contratto di rifinanziamento stabiliva che qualsiasi pagamento effettuato sulla base di quest’ultimo doveva essere effettuato nella valuta in cui il mutuo era espresso. Era altresì precisato che il mutuatario poteva chiedere alla banca, a determinate condizioni, che il mutuo fosse espresso in una nuova valuta, senza tuttavia che essa fosse tenuta ad accogliere una simile richiesta. Era inoltre previsto che la banca fosse incaricata di procedere al cambio, in nome e per conto del mutuatario, al fine di liquidare le obbligazioni di pagamento scadute, utilizzando il proprio tasso di cambio.

11      Le fluttuazioni del tasso di cambio CHF/RON tra l’ottobre 2008 e l’aprile 2017 hanno comportato un aumento della somma presa in prestito da NG e OH di RON 117 760 (circa EUR 24 772).

12      Il 23 marzo 2017, NG e OH hanno proposto un ricorso dinanzi al Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj, Romania) diretto a far dichiarare, in particolare, il carattere abusivo della sezione 4, punto 1, delle condizioni generali del contratto di rifinanziamento. NG e OH sostenevano altresì che la Banca Transilvania era venuta meno al proprio obbligo di informazione, non avendoli avvertiti, al momento della negoziazione e della conclusione di tale contratto, del rischio che comportava la conversione del contratto iniziale in una valuta estera. In particolare, poiché i mutuatari disponevano soltanto di redditi percepiti in lei rumeni, la Banca Transilvania avrebbe dovuto attirare la loro attenzione sugli effetti di una svalutazione di tale moneta rispetto alla valuta estera nella quale il mutuo doveva essere rimborsato. Inoltre, la clausola di rimborso in valuta estera creerebbe uno squilibrio a danno dei mutuatari, i soli a sopportare il rischio di cambio. Pertanto, NG e OH hanno chiesto al Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj) il blocco del tasso di cambio CHF/RON in vigore alla data della conclusione del contratto di rifinanziamento, nonché il rimborso delle somme versate sulla base di un tasso di cambio meno favorevole.

13      Tale giudice ha accolto in parte il ricorso proposto da NG e OH. Tuttavia, esso ha respinto la domanda relativa alla stabilizzazione del tasso di cambio CHF/RON in vigore alla data della firma del contratto di rifinanziamento. A tal fine, il suddetto giudice ha, da un lato, ritenuto che, benché la clausola contenuta nella sezione 4, punto 1, delle condizioni generali del contratto di rifinanziamento riproducesse il principio cosiddetto del «nominalismo monetario», quale sancito dall’articolo 1578 del codice civile rumeno, essa rientrasse nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, stante la natura non imperativa, bensì suppletiva di una simile disposizione. Il medesimo giudice ha pertanto ritenuto di poter esaminare il carattere abusivo della clausola in questione. Al termine di tale esame, esso ha, dall’altro lato, constatato che detta clausola era redatta in termini chiari e comprensibili e che la Banca Transilvania aveva adempiuto il proprio obbligo di informazione, non avendo quest’ultima potuto prevedere le notevoli variazioni del tasso di cambio CHF/RON.

14      NG e OH, da un lato, e la Banca Transilvania, dall’altro, hanno proposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, ossia la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania). La Banca Transilvania sostiene, avverso l’appello proposto da NG e OH, che la sezione 4, punto 1, delle condizioni generali del contratto di rifinanziamento, secondo la quale qualsiasi pagamento effettuato sulla base di detto contratto doveva essere effettuato nella valuta in cui il mutuo era espresso, rientra nell’oggetto principale di tale contratto. In aggiunta, tale clausola contrattuale riprodurrebbe una disposizione legislativa imperativa, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che non potrebbe essere oggetto di un controllo quanto al suo carattere abusivo.

15      Secondo il giudice del rinvio, dalla sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703) risulterebbe che, qualora una clausola contrattuale riproduca una disposizione imperativa di diritto nazionale applicabile tra le parti contraenti indipendentemente dalla loro scelta o una disposizione di natura suppletiva e pertanto applicabile in via residuale, ossia allorché non è stato convenuto alcun altro accordo tra i contraenti al riguardo, essa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13.

16      Tale giudice rileva che l’articolo 1578 del codice civile riveste carattere suppletivo, ma che la soluzione stabilita dalla sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703), è oggetto di un’applicazione divergente da parte dei giudici rumeni.

17      Secondo la maggior parte dei giudici summenzionati, le clausole contrattuali che riproducono tale disposizione legislativa non potrebbero essere oggetto di un esame vertente sul loro carattere abusivo, in quanto norme suppletive che si applicano automaticamente in assenza di un diverso accordo tra le parti. Tuttavia, un certo numero di giudici rumeni riterrebbe che una clausola del genere sia stata imposta dal professionista al consumatore. Poiché quest’ultimo non poteva rimuoverla inserendo nel contratto una clausola diversa, il controllo del suo carattere eventualmente abusivo non può essere escluso.

18      Il giudice del rinvio sostiene che l’opinione maggioritaria dei giudici nazionali attenua, fino a eliminarla, la distinzione tra le disposizioni legislative di natura imperativa e quelle di natura suppletiva, il che comporta che esse siano sottoposte, per quanto riguarda l’esame del loro eventuale carattere abusivo, al medesimo regime giuridico.

19      Una simile interpretazione trarrebbe origine da una differenza terminologica tra la versione in lingua rumena del testo dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 e la versione in lingua francese del medesimo articolo. A tale riguardo, il giudice del rinvio precisa che, mentre quest’ultima versione utilizza il termine «impératif» (imperativo), la versione in lingua rumena fa riferimento alle «disposizioni legislative o regolamentari obbligatorie». Tale giudice sottolinea che, contrariamente al termine «imperativo», che esclude, a suo avviso, le disposizioni di natura suppletiva, il termine «obbligatorio» include simili disposizioni. Infatti, se è vero che le disposizioni imperative sono obbligatorie, anche le disposizioni suppletive lo divengono dopo la scelta delle parti contraenti di non derogarvi.

20      Il giudice del rinvio si chiede, inoltre, quale sia la portata dell’obbligo di informazione che incombe alla banca relativamente alle future fluttuazioni del tasso di cambio di una valuta e quali siano le misure che esso sarebbe tenuto ad adottare per garantire l’effettività dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13 qualora non esista una disposizione suppletiva per sostituire una clausola contrattuale di cui sia stato accertato il carattere abusivo.

21      Stante quanto precede, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 1, [paragrafo 2], della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che non osta al fatto che sia analizzata sotto il profilo del carattere abusivo una clausola contrattuale che riprende una norma suppletiva alla quale le parti potevano derogare, ma in concreto non hanno derogato in quanto su di essa non vi è stato alcun negoziato, così come accade nel caso specifico analizzato per la clausola che impone il rimborso del mutuo nella stessa valuta straniera in cui esso è stato concesso.

2)      Se in un contesto in cui, nel concedere il mutuo in valuta estera, non sono stati presentati al consumatore calcoli/previsioni relativi all’impatto economico che un’eventuale fluttuazione del tasso di cambio avrà per quanto riguarda gli obblighi complessivi di pagamento derivanti dal contratto, si possa sostenere a ragione che una siffatta clausola, d’integrale assunzione del rischio di cambio da parte del consumatore (in forza del principio nominalistico), è chiara e comprensibile e che il professionista/la banca ha adempiuto in buona fede l’obbligo d’informazione della sua controparte contrattuale, in un contesto in cui il grado massimo d’indebitamento dei consumatori stabilito dalla Banca Națională a României (Banca nazionale della Romania) è stato calcolato con riferimento al tasso di cambio alla data della concessione del mutuo.

3)      Se la direttiva 93/13 e la giurisprudenza elaborata in base ad essa nonché il principio di effettività ostino a che, in seguito alla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola relativa all’attribuzione del rischio di cambio, il contratto prosegua immutato. Quale sarebbe la modifica possibile per non applicare la clausola abusiva e rispettare il principio di effettività».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

22      Con la prima questione posta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, ma che riproduce una regola che per la legge nazionale si applica tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo al riguardo, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva in parola.

23      Occorre ricordare che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che riguarda le clausole che riproducono le disposizioni legislative o regolamentari imperative, introduce un’esclusione dall’ambito di applicazione della medesima (sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 52).

24      Tale esclusione deve essere interpretata restrittivamente e la sua applicazione presuppone che siano soddisfatte due condizioni, ossia, da un lato, la clausola contrattuale deve riprodurre una disposizione legislativa o regolamentare e, dall’altro, tale disposizione deve essere imperativa (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punti 30 e 31, e giurisprudenza ivi citata).

25      Come risulta dal tredicesimo considerando della direttiva 93/13, l’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura all’articolo 1, paragrafo 2, della medesima comprende anche le regole che per la legge nazionale si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 26, e del 3 aprile 2019, Aqua Med, C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 29).

26      La Corte ha dichiarato a più riprese che la suddetta esclusione dall’applicazione del regime della direttiva 93/13 è giustificata dal fatto che, in linea di principio, è legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti (v. sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 28, e del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 53).

27      Pertanto, la circostanza che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti costituisce non già una condizione per l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, bensì la giustificazione di una simile esclusione.

28      Se ne ricava che, al fine di stabilire se le condizioni per l’esclusione prevista all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 siano soddisfatte, la Corte ha dichiarato che spetta al giudice nazionale verificare se la clausola contrattuale di cui trattasi riproduca disposizioni del diritto nazionale che si applicano in modo imperativo tra le parti contraenti indipendentemente dalla loro scelta, o disposizioni che sono di natura suppletiva e pertanto applicabili in via residuale, ossia allorché non è stato convenuto nessun altro accordo tra le parti al riguardo (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 26; del 10 settembre 2014, Kušionová C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 79; del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punti 29 e 30, e del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punto 32).

29      Dalla decisione di rinvio risulta che nel caso di specie la clausola stipulata alla sezione 4, punto 1, delle condizioni generali del contratto di rifinanziamento, di cui i ricorrenti nel procedimento principale deducono il carattere abusivo, prevede che «[q]ualsiasi pagamento effettuato sulla base del contratto è effettuato nella valuta del mutuo (...)».

30      Il giudice del rinvio ha inoltre sottolineato che una simile clausola riproduce il principio del nominalismo monetario, quale sancito all’articolo 1578 del codice civile rumeno. In forza di quest’ultimo, «il debitore deve restituire l’importo ricevuto in prestito ed è obbligato a restituirlo unicamente nella valuta avente corso legale al momento del pagamento». Tale giudice ha d’altra parte qualificato l’articolo 1578 del codice civile come disposizione legislativa di natura suppletiva, vale a dire che essa si applica ai contratti di mutuo qualora tra le parti non sia stato convenuto un diverso accordo.

31      Pertanto, giacché, secondo il giudice del rinvio, la clausola delle condizioni generali di cui i ricorrenti nel procedimento principale deducono il carattere abusivo riproduce una disposizione del diritto nazionale di natura suppletiva, essa rientra nell’esclusione prevista all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

32      Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, nella versione in lingua rumena, il testo dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 utilizza l’espressione «normă obligatorie» («disposizione obbligatoria»), laddove la versione in lingua francese utilizza quella di «disposition impérative» («disposizione imperativa»). Contrariamente al termine «impératif» («imperativo»), che escluderebbe le disposizioni di natura suppletiva, il termine «obligatoire» («obbligatorio») includerebbe simili disposizioni. Pertanto, occorrerebbe stabilire quale versione linguistica sia corretta, basandosi sulla finalità e sugli obiettivi della direttiva in parola.

33      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può servire quale unico fondamento per l’interpretazione di tale disposizione, né si può attribuire a essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le disposizioni del diritto dell’Unione devono infatti essere interpretate e applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione. In caso di divergenza tra le diverse versioni linguistiche di un testo del diritto dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (sentenze del 15 novembre 2012, Kurcums Metal, C‑558/11, EU:C:2012:721, punto 48, e del 15 ottobre 2015, Grupo Itevelesa e a., C‑168/14, EU:C:2015:685, punto 42).

34      Come rilevato al punto 25 della presente sentenza, l’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, comprende, tenuto conto del tredicesimo considerando della medesima, anche regole suppletive, ossia quelle che per la legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo. Orbene, da questo punto di vista, tale disposizione non opera alcuna distinzione tra, da un lato, le disposizioni che si applicano indipendentemente dalla scelta delle parti contraenti e, dall’altro, le disposizioni suppletive.

35      A tale riguardo, da un lato, la circostanza che si possa derogare a una disposizione di diritto nazionale suppletiva è irrilevante al fine di stabilire se una clausola contrattuale che riproduce una simile disposizione sia esclusa, in forza dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, dall’ambito di applicazione della direttiva in questione.

36      Dall’altro lato, il fatto che una clausola contrattuale che riproduce una delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non sia stata oggetto di negoziato individuale non incide sulla sua esclusione dall’ambito di applicazione della stessa direttiva. Infatti, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, l’assenza di negoziato individuale è una condizione relativa all’avvio del controllo del carattere abusivo di una clausola che non può intervenire nel caso in cui la clausola contrattuale non rientri nel suo ambito di applicazione.

37      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, ma che riproduce una regola che per la legge nazionale si applica tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo al riguardo, non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

 Sulle questioni seconda e terza

38      Poiché il giudice del rinvio ritiene che la clausola contrattuale di cui al procedimento principale riproduca una disposizione nazionale qualificata come suppletiva, dalle considerazioni che precedono risulta che essa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 in forza del suo articolo 1, paragrafo 2. Di conseguenza, non occorre rispondere alle questioni seconda e terza.

 Sulle spese

39      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, ma che riproduce una regola che per la legge nazionale si applica tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo al riguardo, non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

Firme


*      Lingua processuale: il rumeno.