Language of document : ECLI:EU:C:2018:626

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 25 luglio 2018 (1)

Causa C416/17

Commissione europea

contro

Repubblica francese

«Inadempimento di uno Stato – Articoli 49, 63 e 267, terzo comma, TFUE – Imposizione a catena – Differenza di trattamento in funzione dello Stato di residenza della controllata di secondo livello – Requisiti delle prove a fondamento di un diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta – Massimale del diritto al rimborso – Sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581) – Organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado – Giurisprudenza nazionale non conforme alla sentenza della Corte – Obbligo di rinvio pregiudiziale»






I.      Introduzione

1.        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica francese ha mantenuto un trattamento discriminatorio e sproporzionato tra le società controllanti francesi che percepiscono dividendi da controllate francesi e quelle che percepiscono dividendi da controllate straniere in violazione del diritto dell’Unione, quale interpretato dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

2.        Come ha sintetizzato nel proprio ricorso, la Commissione addebita alla Repubblica francese di aver rifiutato di dare piena attuazione alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), attraverso la giurisprudenza del proprio giudice amministrativo di grado più elevato, vale a dire il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia). A suo avviso, infatti, le sentenze pronunciate dal Conseil d’État (Consiglio di Stato) a seguito della sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), costituiscono la giurisprudenza sulla cui base saranno esaminate tutte le domande di rimborso dell’anticipo d’imposta illegittimamente percepito presentate da parti che versano in una situazione analoga a quella dell’Accor SA.

3.        Il ricorso della Commissione implica pertanto che la Corte si pronunci su due distinte questioni: da un lato, la compatibilità con il diritto dell’Unione, così come interpretato dalla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), delle modalità di rimborso dell’anticipo d’imposta assolto in ragione della percezione di dividendi versati da controllate non residenti e, dall’altro lato – nonché per la prima volta nel contesto di un ricorso per inadempimento –, la violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte di un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso (2).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto francese

4.        Ai sensi dell’articolo 158 bis, I, del code général des impôts (codice generale delle imposte; in prosieguo: il «CGI»), nella versione in vigore durante gli anni d’imposta oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581):

«Chi percepisce dividendi distribuiti da società francesi dispone a questo titolo di un reddito costituito:

a)      dalle somme ricevute dalla società;

b)      da un credito d’imposta rappresentato da un credito nei confronti del Tesoro.

Tale credito d’imposta è pari alla metà delle somme effettivamente versate dalla società.

(…)».

5.        L’articolo 146, paragrafo 2, del CGI, nella versione in vigore durante gli anni d’imposta oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), prevedeva quanto segue:

«Se le distribuzioni effettuate da una società controllante danno luogo all’applicazione dell’anticipo d’imposta di cui all’articolo 223 sexies, da tale anticipo possono essere detratti gli eventuali crediti d’imposta collegati ai proventi delle partecipazioni (…) riscossi durante gli esercizi chiusi negli ultimi cinque anni».

6.        Nella versione risultante dalla legge n. 98-1266, del 30 dicembre 1998, legge finanziaria per il 1999 (3), applicabile alle distribuzioni poste in pagamento a partire dal 1o gennaio 1999, l’articolo 223 sexies, paragrafo 1, primo comma, del CGI così disponeva:

«Fatte salve le disposizioni degli articoli 209 quinquies e 223 H, quando i ricavi distribuiti da una società sono prelevati su somme per le quali quest’ultima non è stata assoggettata all’imposta sul reddito delle società con aliquota normale di cui all’articolo 219, paragrafo I, secondo comma, tale società è tenuta a pagare un anticipo d’imposta pari al credito d’imposta calcolato secondo i criteri stabiliti dall’articolo 158 bis, I».

B.      Sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C310/09, EU:C:2011:581)

7.        Con reclamo introdotto in data 21 dicembre 2001, la Accor aveva domandato il rimborso da parte dell’amministrazione tributaria francese dell’anticipo d’imposta assolto in occasione della percezione dei dividendi versati dalle proprie controllate stabilite in altri Stati membri negli anni dal 1998 al 2000. Poiché la normativa in vigore concedeva tale tipologia di rimborso solo per i dividendi provenienti da controllate aventi sede sul territorio francese, la domanda è stata respinta.

8.        A seguito di tale rifiuto, la Accor ha proposto un ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunal administratif de Versailles (Tribunale amministrativo di Versailles, Francia), il quale ha accolto integralmente la sua domanda. Il ricorso presentato dal Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique (Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Funzione pubblica, Francia) avverso tale sentenza è stato respinto con una sentenza della Cour administrative d’appel de Versailles (Corte d’appello amministrativa di Versailles, Francia), ragion per cui detto ministro ha presentato un ricorso per cassazione dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato). Con sentenza del 3 luglio 2009, quest’ultimo giudice ha quindi investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale.

9.        Nella sua sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), la Corte ha constatato che, a differenza dei dividendi provenienti dalle controllate residenti, la normativa francese non consentiva di tenere conto dell’imposizione adottata a livello della controllata distributrice non residente, mentre i dividendi percepiti tanto dalle controllate residenti quanto dalle controllate non residenti erano, all’atto della loro ridistribuzione, assoggettati all’anticipo d’imposta (4). Orbene, secondo la Corte, tenuto conto del trattamento svantaggioso riservato ai dividendi percepiti da una controllata stabilita in un altro Stato membro rispetto a quello cui erano assoggettati i dividendi percepiti da una controllata residente, una società controllante poteva essere dissuasa dall’esercitare le proprie attività tramite società controllate stabilite in altri Stati membri (5).

10.      La Corte ha quindi ricordato la propria giurisprudenza secondo la quale, allorché gli utili alla base dei dividendi di origine estera sono assoggettati, nello Stato della società distributrice, ad un’imposta inferiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta complessivo corrispondente all’imposta versata dalla società distributrice nel suo Stato di stabilimento, mentre se tali utili soggiacciono, nello Stato della società distributrice, ad un’imposta superiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta soltanto nei limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalla società beneficiaria (6).

11.      La Corte ne ha evinto che, nel caso di un regime quale quello francese controverso, se uno Stato membro dovesse attribuire ai beneficiari di dividendi provenienti da una società stabilita in un altro Stato membro un credito d’imposta che rappresenti sempre la metà dell’importo di tali dividendi, ciò equivarrebbe a concedere a tali dividendi un trattamento più favorevole di quello di cui beneficiano i dividendi provenienti dal primo Stato membro, qualora l’aliquota d’imposta a cui la società distributrice di tali dividendi era assoggettata nel suo Stato di stabilimento sia inferiore all’aliquota d’imposta applicata nel primo Stato membro (7).

12.      La Corte ha dichiarato che uno Stato membro doveva quindi poter essere in grado di determinare l’importo dell’imposta sulle società versato nello Stato di stabilimento della società distributrice e che doveva dar luogo al credito d’imposta concesso alla società controllante; in tali circostanze, la Corte ha statuito che non era sufficiente provare che la società distributrice, nel proprio Stato membro di stabilimento, fosse stata gravata dell’imposta sugli utili alla base dei dividendi distribuiti, senza fornire le informazioni relative alla natura e all’aliquota dell’imposta applicata effettivamente su tali utili (8).

13.      A tal fine, la Corte ha aggiunto che i documenti giustificativi richiesti dovevano consentire alle autorità tributarie dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, se fossero soddisfatti i presupposti per la concessione di un’agevolazione fiscale. Essa ha tuttavia precisato che i documenti giustificativi non dovevano assumere una forma particolare, dal momento che una simile valutazione non va effettuata in modo troppo formalistico, e che la richiesta di produzione dei suddetti elementi doveva giungere durante il periodo in cui i documenti amministrativi o contabili dovevano essere conservati per legge, secondo quanto previsto dal diritto dello Stato membro di stabilimento della controllata (9), fermo restando che non si potrebbe chiedere al contribuente di fornire documenti «che coprano un periodo più lungo rispetto alla durata dell’obbligo legale di conservazione dei documenti amministrativi e contabili» (10).

14.      Per questi motivi, la Corte ha dichiarato:

«1)      Gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, quale quella di cui trattasi [nel procedimento] principale, che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi versati dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata.

(…)

3)      I principi di equivalenza e di effettività non ostano a che il rimborso a una società controllante delle somme, atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate di detta società stabilite in Francia e a quelli distribuiti dalle controllate della medesima società stabilite in altri Stati membri, ridistribuiti dalla società controllante, sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle controllate stabilite in altri Stati membri, mentre, per le controllate stabilite in Francia, questi stessi elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti. La produzione di tali elementi tuttavia può essere richiesta solo a condizione che non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile fornire la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite in altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della normativa di detti Stati membri sulla prevenzione della doppia imposizione e sulla registrazione dell’imposta sulle società che deve essere assolta, nonché sulla conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali condizioni siano soddisfatte [nel procedimento] principale».

C.      Sentenze del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 10 dicembre 2012

15.      A seguito del ricevimento della sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha pronunciato due sentenze in cui ha enunciato una serie di condizioni per poter effettuare il rimborso degli anticipi d’imposta percepiti in violazione del diritto dell’Unione. Si tratta delle sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia (11) e Accor (12) (in prosieguo: le «sentenze del Conseil d’État»).

16.      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’entità del rimborso degli anticipi d’imposta, le sentenze del Conseil d’État dispongono che:

–        nel caso in cui il dividendo ridistribuito a una società controllante francese da una delle sue controllate stabilita in un altro Stato membro non sia stato assoggettato ad imposta a livello di quest’ultima società, l’imposta assolta da una controllata di secondo livello non dev’essere presa in considerazione ai fini della determinazione dell’anticipo da rimborsare alla società controllante (13), e che

–        qualora una società distributrice sia stata assoggettata ad un’imposta effettiva con aliquota superiore alla normale aliquota dell’imposta francese, vale a dire il 33,33%, l’importo del credito d’imposta che le spetta deve essere limitato a un terzo dei dividendi da essa percepiti e ridistribuiti (14).

17.      Per quanto attiene, in secondo luogo, alle prove a sostegno delle domande di rimborso, dette sentenze riconoscono:

–        l’opponibilità delle dichiarazioni di anticipo d’imposta ai fini della determinazione dell’importo dei dividendi percepiti dalle controllate stabilite al fuori della Francia (15);

–        la necessità di disporre di tutti gli elementi atti a giustificare la fondatezza della domanda per tutta la durata del procedimento, senza che la scadenza del termine legale di conservazione comporti l’esenzione da tale obbligo (16).

III. Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte

18.      A seguito delle sentenze del Conseil d’État, la Commissione ha ricevuto diverse denunce relative alle condizioni di rimborso dell’anticipo d’imposta. Tali denunce sono state oggetto di uno scambio d’informazioni tra i servizi della Commissione e le competenti autorità della Repubblica francese nell’ambito della procedura EU Pilot 5511/13 TAXU.

19.      Poiché tali scambi non avevano avuto un esito soddisfacente per la Commissione, quest’ultima ha deciso di avviare il procedimento per inadempimento di cui all’articolo 258 TFUE. La Commissione ha quindi inviato alla Repubblica francese, in data 27 novembre 2014, una lettera di diffida nella quale individuava i requisiti ricavabili dalle sentenze del Conseil d’État che potevano violare il diritto dell’Unione.

20.      In una risposta del 26 gennaio 2015, la Repubblica francese ha contestato gli addebiti a proprio carico. Ritenendo non soddisfacenti le risposte fornite, la Commissione ha notificato alla Repubblica francese, in data 29 aprile 2016, un parere motivato, esortandola ad adottare i provvedimenti per conformarsi a detto parere entro un termine di due mesi dalla data di ricezione.

21.      Poiché la Repubblica francese ha mantenuto la propria posizione, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso per inadempimento fondato sull’articolo 258 TFUE.

22.      Nell’ambito della fase scritta, la Repubblica francese ha depositato un controricorso cui la Commissione ha risposto depositando una replica. La Repubblica francese ha quindi depositato una controreplica. Entrambe hanno inoltre potuto presentare le proprie osservazioni orali all’udienza del 20 giugno 2018.

IV.    Sugli inadempimenti contestati alla Repubblica francese

23.      La Commissione fonda il proprio ricorso su quattro motivi. I primi tre attengono alle limitazioni che risulterebbero dalle sentenze del Conseil d’État e che sarebbero in contrasto con il diritto dell’Unione, così come interpretato dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581). Il quarto motivo concerne l’obbligo del Conseil d’État (Consiglio di Stato), in quanto organo giurisdizionale di ultimo grado, di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione.

A.      Sul primo motivo, vertente sulla restrizione del diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta, dovuta alla mancata considerazione dell’imposizione subìta dalle controllate di secondo livello stabilite in uno Stato membro diverso dalla Francia

1.      Argomenti delle parti

24.      Secondo la Commissione, dalle sentenze del Conseil d’État risulta che le autorità francesi rifiutano di tenere conto, ai fini del rimborso dell’anticipo d’imposta, dell’imposizione subìta dalle controllate di secondo livello non residenti. Orbene, in una catena di partecipazioni prettamente interna alla Repubblica francese, i dividendi versati da una controllata di secondo livello a una società intermedia davano diritto a un credito d’imposta diretto a compensare l’intero anticipo d’imposta in occasione della ridistribuzione dei redditi medesimi. Quando la società intermedia distribuiva tali dividendi alla propria società controllante, quest’ulteriore distribuzione dava nuovamente luogo a un credito d’imposta collegato ai dividendi e parimenti diretto a compensare l’anticipo dovuto in occasione della ridistribuzione da parte della società controllante. La doppia imposizione economica veniva quindi completamente neutralizzata.

25.      Da ciò deriverebbe una diversità di trattamento in base alla sede della controllata distributrice di secondo livello, dal momento che la doppia imposizione economica sarebbe completamente neutralizzata solo nel caso in cui la controllata di secondo livello fosse stabilita sul territorio francese. Orbene, secondo la Commissione, non sussiste alcuna ragione oggettiva che giustifichi la mancata neutralizzazione da parte della Repubblica francese dell’intervento della società intermedia in base al motivo che i dividendi sono originati al di fuori della Francia.

26.      Il governo francese non contesta che, secondo le sentenze del Conseil d’État, il sistema del rimborso dell’anticipo d’imposta non consenta di neutralizzare l’imposizione dei dividendi distribuiti da una controllata di secondo livello ad una controllata non residente; tuttavia, fa valere che il sistema nazionale di eliminazione della doppia imposizione garantisce una siffatta tutela esclusivamente a livello di ciascuna società distributrice. Orbene, ogni Stato membro sarebbe libero di organizzare il proprio sistema impositivo quando esso non crea discriminazioni. Così facendo, gli Stati membri non avrebbero l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale a quello degli altri Stati membri.

27.      Nel caso di specie, la normativa fiscale francese non consentirebbe di imputare all’imposta dovuta da una società controllante le imposte assolte dalle sue controllate di secondo livello residenti. Il credito d’imposta, infatti, viene attribuito alla società controllante solo in ragione dell’imposta che ha gravato sugli utili della controllata distributrice. Pertanto, non sussisterebbe un obbligo della Repubblica francese di garantire la presa in considerazione, nel calcolo del rimborso dell’anticipo d’imposta indebitamente percepito, dell’imposizione subìta dalle controllate di secondo livello non residenti distributrici di dividendi. La circostanza che la distribuzione dei dividendi di una controllata di secondo livello a una controllata sia stata tassata sarebbe la conseguenza dell’applicazione di una normativa tributaria straniera alla Repubblica francese, alla quale non spetterebbe correggerla.

28.      Peraltro, poiché il sistema francese diretto all’eliminazione della doppia imposizione non ragiona in termini di controllate di secondo livello, l’imputazione dell’imposta percepita in caso di distribuzione di dividendi è possibile solo nei confronti della società che riceve i dividendi medesimi. Il sistema francese dovrebbe quindi essere distinto da quello britannico dell’imposta anticipata sulle società (advance corporation tax) oggetto delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774), e del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707). Infatti, contrariamente al sistema britannico oggetto delle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze, il dispositivo francese controverso non tiene conto dell’imposta gravante sulle filiali di secondo livello, che siano residenti o meno; il dispositivo si basa su una logica di compensazione dell’imposizione a ciascun livello e non su una logica impositiva di gruppo.

2.      Valutazione

29.      Rispondendo alla prima questione pregiudiziale che le era stata sottoposta dal Conseil d’État nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), la Corte ha statuito che «gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi (…), che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi versati dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata».

30.      Facendo leva sul fatto che il diritto dell’Unione, allo stato attuale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze fra gli Stati membri in materia di eliminazione della doppia imposizione all’interno dell’Unione europea (17), la Repubblica francese propone un’interpretazione formalistica, restrittiva e, a mio avviso, erronea della risposta fornita alla prima questione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

31.      Vero è che uno Stato membro non è obbligato ad adeguare il proprio sistema fiscale ai differenti sistemi di tassazione degli altri Stati membri, ai fini segnatamente di eliminare le doppie imposizioni, purché la sua normativa non sia discriminatoria (18). Tuttavia, nel caso di specie, in una situazione prettamente nazionale, l’assenza di doppia imposizione in capo alla società controllante si spiega unicamente in ragione della successiva concessione, a tutti i «livelli» della catena di partecipazione delle società stabilite in Francia, di un credito d’imposta destinato a compensare l’intero anticipo d’imposta dovuto in occasione della ridistribuzione dei medesimi redditi.

32.      Di conseguenza, se è corretto sostenere che non è nemmeno consentito imputare direttamente le imposte pagate da controllate di secondo livello stabilite in Francia all’imposta sulle società assolta da una società controllante, un’imputazione di tal genere appare comunque inutile alla luce del sistema tributario complessivo applicabile.

33.      Pertanto, la mancanza di discriminazione dedotta dalla Repubblica francese discende in verità da una lettura artificiosa o per lo meno formalistica – in quanto esclusivamente focalizzata sull’ultimo livello della catena d’imposizione – del sistema tributario denunciato dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

34.      Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che uno Stato membro non è obbligato a compensare il carico fiscale risultante dall’esercizio delle competenze fiscali di un altro Stato membro o di uno Stato terzo a condizione che lo stesso non eserciti la propria giurisdizione fiscale sui dividendi in entrata, né tassandoli, né prendendoli in considerazione in altro modo in capo alla società beneficiaria. Qualora, invece, tale medesimo Stato opti per la tassazione di tali dividendi deve prendere in considerazione, nei limiti della propria imposizione, l’onere fiscale risultante dall’esercizio delle competenze fiscali dell’altro Stato membro (19).

35.      Non si può accogliere a tale riguardo la tesi della Repubblica francese, secondo cui la Corte, con la sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707), si sarebbe limitata a constatare la sussistenza di una discriminazione nella normativa britannica senza sancire il requisito della presa in considerazione dell’imposizione subìta dalle controllate di secondo livello in ogni meccanismo di eliminazione della doppia imposizione.

36.      Infatti, come precisato dalla stessa Repubblica francese, tale sentenza segue una prima sentenza della Corte in cui la stessa aveva ricordato, in modo generale ed astratto, senza alcun riferimento alla normativa britannica, che, «qualunque sia il meccanismo adottato per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione, le libertà di circolazione garantite dal Trattato ostano a che uno Stato membro riservi ai dividendi di origine estera un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ai dividendi di origine nazionale, a meno che questa differenza di trattamento riguardi situazioni non oggettivamente comparabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale» (20).

37.      Il fatto che il sistema britannico oggetto delle citate cause prevedesse un sistema di esenzione per i dividendi versati da società residenti e un sistema d’imputazione per i dividendi versati da società non residenti, mentre il regime francese prevede un sistema d’imputazione a prescindere dall’origine dei dividendi distribuiti e l’imposizione per intero dei dividendi distribuiti, corredata da un credito d’imposta, ad ogni distribuzione e ridistribuzione di dividendi, è ininfluente.

38.      Infatti, il principio richiamato nella sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774), e riconfermato successivamente, consiste effettivamente nell’obbligo di trattare in modo equivalente i dividendi versati a residenti da società non residenti allorché lo Stato membro adotta un sistema per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti (21).

39.      In tali circostanze, la Corte ha statuito che «[g]li artt. [49 TFUE e 63 TFUE] ostano a una normativa di uno Stato membro che consenta ad una società residente che percepisce dividendi da un’altra società residente di detrarre dall’ammontare da essa dovuto quale anticipazione dell’imposta sulle società l’ammontare di tale imposta pagato anticipatamente dalla seconda società, laddove, nel caso di una società residente che percepisce dividendi da una società non residente, una tale detrazione non sia consentita relativamente all’imposta sugli utili distribuiti versata da quest’ultima società nel suo Stato di residenza» (22).

40.      La Corte è stata particolarmente chiara nella motivazione e nella risposta che ha fornito alla seconda e alla quarta questione sollevate nella causa conclusasi con la sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation, (C‑35/11, EU:C:2012:707): gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE ostano alla normativa di uno Stato membro che, soltanto per quanto riguarda i dividendi di origine estera, non tenga conto dell’imposta già pagata sugli utili distribuiti (23). A questo proposito, ciò che conta è l’assoggettamento ad imposta di detti utili e non il fatto che la società non residente che versa i propri dividendi alla società controllante sia essa stessa assoggettata all’imposta sulle società (24).

3.      Conclusione sul primo motivo

41.      Da quanto precede emerge che, rifiutando di tenere conto dell’imposizione subìta dalle controllate di secondo livello stabilite in uno Stato membro diverso dalla Francia mentre il meccanismo applicabile alle controllate di secondo livello stabilite in Francia consentiva alle stesse di versare alla società intermedia beneficiaria dividendi esentati dal costo dell’imposta ad essi applicata, la Repubblica francese mantiene la discriminazione constatata dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

B.      Sul secondo motivo, relativo al carattere sproporzionato dei requisiti stabiliti in materia di prova a fondamento del diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta illegittimamente percepito

1.      Argomenti delle parti

42.      La Commissione articola il suo secondo motivo in tre parti.

43.      Con la prima parte, la Commissione ritiene che le sentenze del Conseil d’État richiedano una concordanza tra i documenti contabili relativi ai dividendi distribuiti, da un lato, e i verbali di assemblea delle controllate che constatano gli utili resi disponibili per la distribuzione di dividendi, dall’altro. Orbene, per la maggior parte delle controllate non stabilite in Francia, il verbale di assemblea constata la delibera di distribuzione di un «utile distribuibile» proveniente da un aggregato contabile che include tutti gli [utili] non distribuiti precedentemente riportati a nuovo nonché il risultato del precedente esercizio. In tali circostanze, sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, stabilire se il dividendo distribuito provenga da un particolare risultato contabile.

44.      Con la seconda parte, la Commissione contesta alle sentenze del Conseil d’État di subordinare il diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta al deposito di una dichiarazione preventiva di anticipo d’imposta in cui verrebbero individuati gli importi degli anticipi versati a titolo di ridistribuzioni di dividendi. Orbene, poiché le società residenti non potevano beneficiare di un credito d’imposta - a titolo di anticipo dovuto - in ragione della distribuzione di dividendi provenienti da controllate non residenti, non si può pretendere che tali società citino i dividendi in questione nella loro dichiarazione di anticipo. Basandosi sulle scelte operate da una società controllante al momento della liquidazione dell’anticipo d’imposta, le sentenze del Conseil d’État non rispetterebbero gli obblighi derivanti dai principi di equivalenza e di effettività che reggono le modalità nazionali di rimborso dei tributi nazionali percepiti in violazione del diritto dell’Unione.

45.      Con la terza parte, la Commissione contesta la limitazione basata sul requisito della produzione di documenti giustificativi oltre il termine legale di conservazione. Avendo precisato che lo scadere del termine legale di conservazione dei documenti non dispensava la società richiedente il rimborso dell’anticipo d’imposta illegittimamente percepito dall’obbligo di produrre tutti gli elementi atti a giustificare la fondatezza della sua domanda, le sentenze del Conseil d’État si porrebbero in contrasto con il principio di effettività.

46.      In via preliminare, il governo francese sottolinea che la sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), ha espressamente precisato che i rimborsi degli anticipi erano condizionati al fatto che le società richiedenti fornissero, con ogni mezzo, la prova delle imposte assolte dalle proprie controllate nel proprio Stato membro di stabilimento. In tale contesto, le sentenze del Conseil d’État si distinguerebbero per un approccio particolarmente aperto, dal momento che hanno ammesso qualsiasi forma di documento che consenta alle società di dimostrare l’aliquota impositiva applicata alle loro controllate non residenti.

47.      Per quanto concerne la prima parte del secondo motivo, il governo francese ricorda che le sentenze del Conseil d’État non hanno imposto la prova che l’imposizione di cui si richiedeva l’imputazione avesse gravato dividendi relativi a uno specifico esercizio contabile. Verrebbe quindi considerata l’imposta assolta in ragione del complesso dei dividendi, indipendentemente dagli esercizi contabili di provenienza.

48.      Inoltre, la circostanza che, nei casi di specie che hanno condotto all’adozione delle sentenze del Conseil d’État, quest’ultimo si sia basato sui verbali di assemblea delle controllate non residenti emergerebbe dal fatto che siffatti documenti sono stati presentati dalle società interessate per provare l’aliquota impositiva che era stata applicata ai dividendi distribuiti.

49.      Per quanto concerne la seconda parte del secondo motivo, il governo francese sottolinea che nelle dichiarazioni di anticipo d’imposta dovevano essere menzionate tutte le distribuzioni di dividendi, tanto relative a dividendi di controllate francesi quanto di controllate non residenti. Inoltre, poiché il pagamento dell’anticipo d’imposta è dovuto solo in caso di ridistribuzione, i dividendi per i quali si richiede la prova dell’importo dell’imposta sono necessariamente quelli che sono stati oggetto di una siffatta ridistribuzione.

50.      Per quanto riguarda la terza parte del secondo motivo, le sentenze del Conseil d’État non avrebbero richiesto la produzione di documenti giustificativi oltre il loro termine legale di conservazione. Il Conseil d’État (Consiglio di Stato) avrebbe basato la propria valutazione sui documenti presentati dalle società interessate, fra i quali figuravano documenti giustificativi di tal genere.

51.      In ogni caso, spetterebbe al contribuente che ha presentato un ricorso tributario conservare i documenti necessari a provare la fondatezza della sua domanda fino alla conclusione del procedimento amministrativo e contenzioso, indipendentemente dal loro termine legale di conservazione.

2.      Valutazione

a)      Sull’uso dei verbali delle assemblee delle controllate distributrici

52.      Secondo la Commissione, le sentenze del Conseil d’État richiederebbero una concordanza tra i documenti contabili relativi ai dividendi distribuiti, da un lato, e i verbali di assemblea che constatano gli utili resi disponibili sotto forma di dividendi distribuibili, dall’altro.

53.      Non condivido tale interpretazione delle sentenze in esame. Infatti, se è vero che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) fa riferimento all’impossibilità di far valere imposizioni non collegabili alle somme menzionate nei verbali di assemblea delle controllate distributrici, tuttavia lo fa per precisare la posizione sostenuta dal ministro (25). Dalle sentenze del Conseil d’État non risulta neppure che la presentazione di detti documenti sia ascrivibile a una richiesta vincolante di tale giudice.

54.      Ad ogni modo, se vi è stato utilizzo da parte del Conseil d’État (Consiglio di Stato) dei verbali di assemblea, pare che ciò si sia verificato nel contesto di un insieme di elementi (26). Le decisioni dei giudici amministrativi citate a titolo esemplificativo dalla Repubblica francese nella sua controreplica corroborano tale interpretazione delle sentenze del Conseil d’État. Non ritengo pertanto fondata la prima parte del secondo motivo.

b)      Sul requisito della previa dichiarazione di anticipo d’imposta

55.      La Commissione ritiene che le sentenze del Conseil d’État, nel contestare le scelte operate da una società controllante al momento della liquidazione dell’anticipo d’imposta nell’ambito della dichiarazione relativa a tale liquidazione, non rispetterebbero gli obblighi derivanti dai principi di equivalenza e di effettività.

56.      Non si contesta che le società controllanti stabilite in Francia non fossero ammesse a beneficiare di un credito d’imposta in ragione dei dividendi percepiti dalle loro controllate non residenti. Per contro, emerge, non solo dalla risposta della Repubblica francese alla diffida del 26 novembre 2014, ma anche dalle conclusioni del relatore pubblico (rapporteur public) relative alle sentenze del Conseil d’État, che le società controllanti stabilite in Francia dovevano effettivamente indicare nella dichiarazione di anticipo d’imposta i dividendi provenienti dalle loro controllate non residenti. Secondo le conclusioni del relatore pubblico (rapporteur public), se sussisteva un’incertezza giuridica, questa non riguardava l’obbligo di dichiarazione ma esclusivamente il regime giuridico dei dividendi distribuiti.

57.      Orbene, il rimborso sarebbe strettamente condizionato al fatto che sia stato versato un anticipo d’imposta in occasione di una distribuzione di dividendi. Date le circostanze, poiché ogni dividendo distribuito doveva essere necessariamente dichiarato, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) non ha violato i principi di equivalenza e di effettività laddove ha statuito che le società controllanti non potevano fondatamente sostenere la non opponibilità, nei propri confronti, delle dichiarazioni di anticipo d’imposta da esse sottoscritte.

58.      Ritengo pertanto che la seconda parte del secondo motivo sia infondata. La sentenza dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, EU:C:2001:134), invocata dalla Commissione non è idonea a modificare tale constatazione poiché all’origine di tale sentenza vi erano domande di carattere risarcitorio, alle quali venivano opposte l’inerzia dei contribuenti e la loro negligenza.

c)      Sull’incidenza della scadenza del termine legale di conservazione dei documenti giustificativi

59.      La Commissione addebita, infine, alla Repubblica francese di limitare i rimborsi di anticipo d’imposta esigendo la produzione di documenti giustificativi oltre il loro termine legale di conservazione.

60.      Nelle sentenze del Conseil d’État è stato affermato che «spetta alla società che ha presentato un reclamo diretto al rimborso dell’anticipo d’imposta disporre di tutti gli elementi atti a giustificare la fondatezza della propria domanda per tutta la durata del procedimento [e] che lo scadere del termine legale di conservazione di tali documenti non può dispensarla da detto obbligo» (27).

61.      Non mi pare che tale approccio si ponga in contraddizione con i limiti stabiliti dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

62.      Infatti, in tale sentenza, la Corte ha ammesso che il contribuente doveva fornire le informazioni sulla natura e sull’aliquota dell’imposta effettivamente applicata sugli utili alla base dei dividendi distribuiti (28). A tal proposito, essa ha precisato che «[l]a richiesta di produzione [dei documenti giustificativi richiesti doveva] giungere durante il periodo in cui i documenti amministrativi o contabili d[ovevano] essere conservati per legge, secondo quanto previsto dal diritto dello Stato membro di stabilimento della controllata» (29). La Corte aggiungeva inoltre, al medesimo punto, che non si sarebbe potuto chiedere al contribuente, «al fine di beneficiare del credito d’imposta, di fornire documenti che copr[rissero] un periodo più lungo rispetto alla durata dell’obbligo legale di conservazione dei documenti amministrativi e contabili».

63.      Orbene, come rileva pertinentemente la Repubblica francese nel suo controricorso, tali precisazioni s’inscrivono nel contesto dell’esame da parte della Corte del principio di effettività che concerne, innanzitutto, le autorità amministrative dello Stato membro d’imposizione. Secondo la Corte, «i documenti giustificativi richiesti dovrebbero consentire alle autorità tributarie dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatti i presupposti per la concessione di un’agevolazione fiscale» (30).

64.      Nel caso di un procedimento amministrativo di contestazione, sono quindi del parere che la scadenza del termine legale di conservazione dei documenti rilevanti si valuti alla data dell’avvio della fase precontenziosa di tale procedimento e non alla data di un’eventuale richiesta relativa a detti documenti da parte del giudice successivamente adito. Solo in tal modo si può d’altronde comprendere la seconda precisazione fornita dalla Corte a proposito della scadenza del termine legale di conservazione dei documenti amministrativi e contabili, secondo la quale non si potrebbe chiedere al contribuente «di fornire documenti che coprano un periodo più lungo rispetto alla durata dell’obbligo legale di conservazione dei documenti amministrativi e contabili» (31). Infatti, se la durata dell’obbligo legale di conservazione costituisse un termine rigido, vincolante anche per gli organi giurisdizionali, come si potrebbe considerare di tenere conto di documenti che coprano un periodo che superi, ancorché in modo non coerente, la durata dell’obbligo legale di conservazione?

65.      Inoltre, osservo altresì che nelle sentenze del Conseil d’État viene esplicitamente ricordato che «qualora il contribuente produca elementi o si avvalga dell’impossibilità materiale di produrli, spetta all’amministrazione fornire elementi che depongano in senso contrario [e che in tal caso] spetta quindi al giudice tributario pronunciarsi alla luce dell’istruttoria e valutare, tenuto conto delle argomentazioni delle parti, se, per il dividendo controverso, il contribuente abbia fornito sufficienti prove a sostegno della propria domanda di rimborso» (32).

66.      Allo stesso modo delle prime due parti, mi pare infondata anche la terza parte del secondo motivo.

3.      Conclusioni sul secondo motivo

67.      Alla luce di tali considerazioni, ritengo che la Commissione non dimostri che la Repubblica francese avrebbe subordinato a modalità probatorie in contrasto con i principi di equivalenza e di effettività il rimborso a una società controllante delle somme idonee a garantire l’applicazione dello stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate stabilite in Francia e a quelli distribuiti dalle controllate stabilite in altri Stati membri.

C.      Sul terzo motivo, relativo a un massimale, per l’importo rimborsabile a titolo di anticipo d’imposta illegittimamente percepito, pari ad un terzo dell’ammontare dei dividendi

1.      Argomenti delle parti

68.      Secondo la Commissione, dalle sentenze del Conseil d’État risulta esplicitamente che l’importo del credito d’imposta da restituire alle società controllanti francesi che abbiano ricevuto dividendi dalle proprie controllate non residenti è strettamente limitato a un terzo dell’ammontare dei dividendi percepiti e distribuiti. L’importo del credito d’imposta per dividendi distribuiti da una controllata residente è invece fissato forfettariamente alla metà di detti dividendi.

69.      Limitando a un terzo dei dividendi versati dalle controllate non residenti il rimborso dell’anticipo d’imposta pagato su tali dividendi, le sentenze del Conseil d’État porrebbero quindi le società che ricevono siffatti dividendi in una situazione meno favorevole rispetto a quella delle società che li ricevono da controllate residenti, il che determinerebbe il perdurare della discriminazione constatata dalla Corte con la sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

70.      Il governo francese sostiene che la limitazione del rimborso dell’anticipo d’imposta a un terzo dei dividendi ricevuti corrisponde all’importo dell’anticipo effettivamente assolto. Sarebbe pertanto perfettamente garantita la parità di trattamento dei dividendi percepiti da controllate residenti e non residenti.

71.      Inoltre, un siffatto massimale per il rimborso dell’anticipo d’imposta consentirebbe di prendere in considerazione in modo paritario l’imposta gravante sui dividendi distribuiti di cui lo Stato membro di stabilimento della controllata è all’origine e quella gravante sui dividendi distribuiti da una controllata residente. A tale titolo, detta limitazione può, in pratica, determinare il rimborso di un anticipo inferiore all’imposta effettivamente assolta dalla controllata distributrice nel proprio Stato membro di stabilimento ma che corrisponde esattamente all’importo dell’anticipo effettivamente assolto dalla società residente. In questo modo si può evitare che i dividendi di origine straniera beneficino di un trattamento più favorevole rispetto ai dividendi provenienti dallo Stato membro della società controllante.

2.      Valutazione

72.      In sostanza, secondo le disposizioni del CGI applicabili, le società controllanti stabilite in Francia che percepivano dividendi distribuiti da società residenti erano titolari di un credito d’imposta pari alla metà delle somme effettivamente versate. Dette società controllanti erano tenute a versare un anticipo d’imposta uguale al credito d’imposta in questione.

73.      Secondo le sentenze del Conseil d’État, «qualora una società distributrice sia stata assoggettata nello Stato membro ad un’imposta effettiva con aliquota superiore alla normale aliquota impositiva francese, vale a dire il 33,33%, l’importo del credito d’imposta che le spetta deve essere limitato a un terzo dei dividendi da essa percepiti e ridistribuiti» (33). Tale limitazione consentirebbe di dare attuazione alla riserva formulata dalla Corte secondo cui, se gli utili di una società soggiacciono nello Stato membro della società distributrice ad un’imposta superiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo non è obbligato a concedere un credito d’imposta superiore all’importo dell’imposta sulle società dovuto dalla società beneficiaria (34).

74.      La dimostrazione della Repubblica francese mi sembra, a tal riguardo, convincente. Infatti, se una controllata residente in Francia ha un utile di 300, il dividendo disponibile per la società controllante, dopo il pagamento da parte della società controllata dell’imposta sulle società all’aliquota normale del 33,33%, è pari a 200. La società controllante stabilita in Francia percepisce quindi un dividendo di 200, esentato dall’imposta sulle società e, in tale occasione, le viene attribuito un credito d’imposta equivalente alla metà di detto importo, vale a dire di 100. Poiché tale importo è uguale all’acconto che essa deve versare al momento di distribuire il dividendo, il saldo disponibile a favore dell’azionista è sempre di 200. Orbene, qualora un dividendo di pari importo sia stato versato a una società controllante da una controllata non residente, l’anticipo d’imposta esigibile corrisponde a un terzo del reddito distribuibile senza che possa essere compensato da un credito d’imposta. In tal caso, quindi, il saldo disponibile è pari a 133. Limitando la somma rimborsabile a un terzo del dividendo ricevuto dalla controllata non residente – anch’esso equivalente al credito d’imposta percepito dall’azionista per tale distribuzione –, la società distributrice si vede restituire l’importo dell’anticipo d’imposta che aveva assolto. In tal modo si ripristina l’equilibrio in quanto viene ricostituito un saldo disponibile pari a 200 (35). La Repubblica francese illustra la sua dimostrazione nello schema di seguito riportato:

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75.      Per contro, se la Repubblica francese dovesse rimborsare un anticipo d’imposta equivalente all’intera imposta pagata dalla società controllata distributrice nel proprio Stato di residenza – vale a dire, nell’ipotesi numerica considerata al paragrafo precedente, un importo pari a 100, ossia una somma superiore all’imposta pagata dalla società controllante per la percezione del dividendo – l’importo percepito dagli azionisti sarebbe superiore a quello percepito da un azionista in una situazione puramente interna (36).

76.      Il massimale per il rimborso dell’anticipo d’imposta, pari a un terzo dell’importo dei dividendi oggetto di ridistribuzione (prima delle imposte), non è pertanto equivalente all’imposta effettivamente pagata dalla controllata nel proprio Stato di residenza. Tuttavia, l’importo rimborsato – non assoggettato ad anticipo d’imposta e dunque integralmente ridistribuibile – corrisponde all’anticipo d’imposta effettivamente assolto dalla società controllante distributrice e di cui la stessa chiede il rimborso; la discriminazione denunciata viene quindi corretta.

77.      Nella sua replica, la Commissione ammette di non aver tenuto conto del fatto che i rimborsi effettuati a seguito della sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), non determinavano un’imposizione o la concessione di un credito d’imposta. Tuttavia, essa ritiene che sussisterebbe comunque il «rischio» che il massimale per il rimborso non elimini completamente la discriminazione creata dal regime fiscale dichiarato incompatibile con il diritto dell’Unione. Ciò potrebbe ancora verificarsi qualora l’importo dell’imposta sugli utili delle società dovuto alla fine fosse superiore all’importo dell’anticipo d’imposta prelevato a monte o qualora l’imposta applicata all’azionista superasse l’importo dell’anticipo d’imposta inizialmente prelevato. Questo nuovo approccio prende quindi in considerazione una differenza di trattamento tra gli azionisti finali. Orbene, tale ipotesi non è quella esaminata nelle cause che hanno dato luogo alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581) (37), né quella discussa dinanzi al giudice tributario investito della domanda di rimborso dell’anticipo d’imposta da parte della società controllante distributrice dei dividendi.

78.      Inoltre, tale nuovo approccio della Commissione è espressione di un’analisi puramente teorica e non è confortato da alcun esempio concreto atto a dimostrarne l’effettività. Orbene, «nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari affinché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione» (38).

3.      Conclusione sul terzo motivo

79.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la Commissione non dimostri che la Repubblica francese, nel limitare a un terzo dei dividendi versati da una controllata non residente il rimborso dell’anticipo d’imposta pagato su tali dividendi, mantenga la discriminazione constatata dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

D.      Sul quarto motivo, relativo all’aver omesso di adire la Corte per stabilire la compatibilità con il diritto dell’Unione delle restrizioni al diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta illegittimamente percepito

1.      Argomenti delle parti

80.      Secondo la Commissione, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) avrebbe dovuto effettuare un rinvio pregiudiziale prima di stabilire le modalità di rimborso dell’anticipo d’imposta la cui percezione è stata dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione ai sensi della sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581). Infatti, in quanto organo giurisdizionale di ultimo grado ai sensi dell’articolo 267, paragrafo 3, TFUE, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) era tenuto a rivolgersi alla Corte alla luce delle difficoltà a trarre le dovute conseguenze da tale sentenza.

81.      Per un verso, i dubbi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di eventuali limitazioni del diritto al rimborso dell’anticipo d’imposta sarebbero stati avanzati con le conclusioni del relatore pubblico (rapporteur public) e con l’auspicio delle parti che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) presenti una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale.

82.      Per altro verso, alla luce della sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707), non si poteva escludere il rischio di una divergenza giurisprudenziale nell’ambito dell’Unione.

83.      Il governo francese ricorda, anzitutto, la giurisprudenza della Corte secondo la quale i giudici nazionali non sono tenuti a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale di interpretazione per la sola ragione che lo auspica una delle parti del procedimento.

84.      Esso sostiene, poi, che la Commissione ha omesso di precisare le difficoltà che avrebbe incontrato il Conseil d’État (Consiglio di Stato) nei casi di specie che hanno dato luogo alle due sentenze richiamate e che avrebbero giustificato un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Inoltre, tale giudice avrebbe dovuto affrontare difficoltà sul piano dei fatti e non dell’interpretazione del diritto dell’Unione.

85.      Ad ogni modo, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) avrebbe legittimamente considerato che le risposte alle questioni che era chiamato a risolvere risultavano sufficientemente evidenti da non comportare un obbligo di sottoporre alla Corte una nuova questione pregiudiziale.

2.      Valutazione

a)      Sul principio di violazione dell’articolo 267, terzo comma, TFUE

86.      Il quarto motivo può essere preso in esame solo nel caso in cui uno (o più) degli altri motivi sia fondato. Come precisato dalla Commissione stessa, quest’ultimo motivo è circoscritto al fatto che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) è venuto meno al suo obbligo «nelle circostanze del caso di specie» (39), vale a dire nel dare seguito alla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581). Esso non riguarda quindi un inadempimento strutturale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale che incombe al Conseil d’État (Consiglio di Stato) in forza dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

87.      Ad ogni modo, come ho precisato nel contesto dell’introduzione alle presenti conclusioni, è la prima volta che la Corte è chiamata a pronunciarsi su un motivo di tal genere nell’ambito di un ricorso per inadempimento. Tuttavia, mi pare certa la possibilità teorica di un inadempimento statuale fondato su una violazione dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

88.      Per un verso, è pacifico che «la responsabilità di uno Stato membro ai sensi dell’articolo [258 TFUE] sussiste indipendentemente dall’organo dello Stato la cui azione od inerzia ha dato luogo alla trasgressione, anche se si tratta di un’istituzione costituzionalmente indipendente» (40). Per altro verso, la Corte ha respinto l’argomentazione secondo cui sarebbe difficile porre fine ad un inadempimento con la motivazione che lo stesso sarebbe originato dalla sentenza di un giudice supremo (41).

89.      Tale possibilità è coerente non solo con lo scopo perseguito dall’obbligo di adire la Corte di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE, ma anche con le condizioni del regime di responsabilità degli Stati membri in caso di violazione del diritto dell’Unione.

90.      Infatti, l’obbligo di adire la Corte di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE ha segnatamente l’obiettivo di evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme del diritto dell’Unione (42). Come ha sottolineato l’avvocato generale Bot, l’inosservanza, da parte dei giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, del loro obbligo di rinvio porta a privare la Corte del compito fondamentale assegnatole dall’articolo 19, paragrafo 1, primo comma, TUE, che è quello di assicurare «il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati» (43).

91.      Inoltre, risulta da una giurisprudenza costante che la mancata esecuzione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267, terzo comma, TFUE è uno degli elementi da prendere in considerazione ai fini dell’esame della responsabilità di uno Stato membro dovuta alla decisione di un organo giurisdizionale che ha statuito in ultimo grado (44).

92.      La possibilità di riconoscere un inadempimento in capo ad uno Stato membro in ragione di una violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale è tanto più giustificata qualora essa faccia seguito a una sentenza della Corte. Infatti, secondo la Corte, l’obbligo gravante su uno Stato membro ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE va inteso nel senso che «tutti gli organismi dello Stato membro interessato devono garantire, nei settori di loro rispettiva competenza, l’esecuzione della sentenza della Corte. [Pertanto i] giudici dello Stato membro interessato – dal canto loro - devono garantire l’osservanza della sentenza nell’espletamento dei loro compiti» (45). La medesima conclusione, affermata a proposito dell’esecuzione di una sentenza di dichiarazione d’inadempimento, s’impone nei confronti di quegli organi giurisdizionali che hanno adito la Corte in via pregiudiziale posto che le sue sentenze interpretative hanno un effetto «generalizzato» nell’ordinamento giuridico dell’Unione (46): una volta che la Corte di giustizia ha interpretato una disposizione del diritto dell’Unione, tale interpretazione s’impone a tutti gli organi giurisdizionali (47). Detta interpretazione precisa il significato e la portata della norma di diritto dell’Unione di cui trattasi, quale essa deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore (48).

93.      Pertanto, se l’organo giurisdizionale che ha sollevato la questione pregiudiziale nutre ulteriori dubbi sul senso della norma ed è un giudice di ultimo grado, esso ha l’obbligo di adire nuovamente la Corte. Infatti, in tali circostanze, la risposta della Corte appare necessaria per pervenire alla soluzione della controversia sicché, conformemente alla sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335) (49), l’obbligo di rinvio è «costituito» (50).

94.      Infatti, per quanto riguarda la portata di tale obbligo, la Corte ha confermato che risultava ormai «da una consolidata giurisprudenza a partire dalla pronuncia della sentenza Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335) che un giudice avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno è tenuto, qualora una questione di diritto dell’Unione sia sollevata dinanzi ad esso, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che abbia constatato che la questione non è pertinente [– vale a dire “nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della lite” (51) –] o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi abbia già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi» (52).

b)      Sull’applicazione del principio al caso di specie

95.      Al termine della mia analisi del secondo e del terzo motivo, sono giunto alla conclusione che il Conseil d’État (Consiglio di Stato) non aveva frainteso il senso e la portata della sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), per quanto concerne il regime probatorio autorizzato e la quantificazione dell’importo dell’anticipo d’imposta rimborsabile. A tale riguardo, non può essergli contestata alcuna violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale. Infatti, si può ammettere che i punti di diritto controversi siano stati risolti, ai sensi della sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 14), dalla sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581).

96.      Per contro, la soluzione adottata nelle sentenze del Conseil d’État rispetto all’imposta assolta dalle controllate di secondo livello è più problematica dal momento che è incontestabile che il ricorso al diritto dell’Unione si rendeva necessario per pervenire alla soluzione delle controversie di cui detto giudice era stato investito.

97.      È vero che spetta unicamente al giudice nazionale il compito di valutare se la corretta applicazione del diritto dell’Unione s’imponga con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio e, di conseguenza, di decidere di astenersi dal sottoporre alla Corte una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione che è stata sollevata dinanzi ad esso (53). In altre parole, «spetta ai soli giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno valutare, sotto la propria responsabilità e in maniera indipendente, se essi siano in presenza di un atto chiaro» (54).

98.      Tuttavia, dopo la sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335), è pacifico che, per concludere per la sussistenza di una siffatta situazione, «il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte» (55). Come la Corte si è premurata di sottolineare, «[s]olo in presenza di tali condizioni, il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità» (56).

99.      Nel caso di specie, è pacifico che la questione della presa in considerazione dell’imposta assolta dalle controllate di secondo livello non fosse stata affrontata dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581), mentre era stata oggetto della sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707). Di conseguenza, scegliendo di discostarsi da tale sentenza con l’unica motivazione che il regime britannico era diverso da quello francese del credito d’imposta e dell’anticipo d’imposta, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) non poteva avere la certezza che il suo ragionamento si sarebbe imposto con la stessa evidenza alla Corte. La divergenza fra le soluzioni proposte dalle società ricorrenti e dal relatore pubblico (rapporteur public) dimostrava d’altronde la mancanza di certezza sulla soluzione da accogliere.

100. Ad ogni modo, omettendo di adire la Corte, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha creato un rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dell’Unione incompatibile con l’obbligo di rinvio pregiudiziale ad esso incombente, in quanto organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

101. Non può neppure essere accolta la tesi della Repubblica francese secondo cui la necessità di tenere conto delle controllate di secondo livello non richiedeva alcuna interpretazione di diritto ma solo valutazioni di fatto. Infatti, ai fini del calcolo dell’importo da rimborsare – il che costituisce una valutazione di fatto –, la questione se si debba tenere conto dell’imposta pagata dalle controllate di secondo livello è una questione che doveva necessariamente essere risolta anticipatamente e la cui soluzione dipende dalla norma giuridica applicabile (57).

3.      Conclusione sul quarto motivo

102. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la Repubblica francese sia venuta meno all’obbligo che incombeva al Conseil d’État (Consiglio di Stato) ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

103. Infatti, benché fosse certo, alla luce della sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707), che la presa in considerazione dell’imposta assolta dalla controllate di secondo livello non residenti fosse una questione di diritto dell’Unione che poteva influire sulla soluzione delle controversie di cui era investito il Conseil d’État (Consiglio di Stato) e benché la corretta applicazione del diritto dell’Unione non s’imponesse con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha scelto di non rinviare tale questione alla Corte per una pronuncia pregiudiziale.

V.      Sulle spese

104. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

105. Nel caso di specie, la Commissione e la Repubblica francese hanno chiesto rispettivamente la condanna della controparte processuale alle spese.

106. L’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte prevede che, qualora ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte. Nel caso di specie, poiché propongo che il ricorso della Commissione venga accolto solo nella parte in cui riguarda il primo e il quarto motivo, ritengo che, in applicazione di tale disposizione, la Repubblica francese debba essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, la metà delle spese della Commissione.

VI.    Conclusione

107. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)      Rifiutando di tenere conto dell’imposizione subìta dalla controllate di secondo livello stabilite in uno Stato membro diverso dalla Francia, mentre il meccanismo applicabile alle controllate di secondo livello stabilite in Francia consentiva alle medesime di versare alla società intermedia beneficiaria dividendi esentati dal carico dell’imposta ad essi applicata, la giurisprudenza del Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) ha mantenuto la discriminazione constatata dalla Corte nella sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581) e, pertanto, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli articoli 49 e 63 TFUE.

2)      Poiché il Conseil d’État (Consiglio di Stato) non ha adito la Corte, benché la presa in considerazione dell’imposta assolta dalle controllate di secondo livello non residenti fosse una questione di diritto dell’Unione che poteva influire sulla soluzione delle controversie di cui era investito e la corretta applicazione del diritto dell’Unione non s’imponesse con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, la Repubblica francese è venuta meno all’obbligo che le incombe in forza dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      La Repubblica francese è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, la metà delle spese della Commissione europea, la quale sopporta la metà delle proprie spese.


1      Lingua originale: il francese.


2      Se è pur vero che la Commissione aveva avviato un procedimento per inadempimento contro il Regno di Svezia con la motivazione che lo Högsta domstolen (Corte suprema, Svezia) veniva sistematicamente meno al proprio obbligo di rinvio pregiudiziale (v. parere motivato 2003/2161 della Commissione del 12 ottobre 2004 [C(2004)3899]) – caso diverso, come correttamente rileva la Repubblica francese nel suo controricorso, da quello del Conseil d’État (Consiglio di Stato) –, essa tuttavia non aveva avviato la fase contenziosa del procedimento. Peraltro, se è vero che nel ricorso che ha dato luogo alla sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:656), la Commissione intendeva far dichiarare che, mantenendo un articolo di legge «così come interpretato e applicato in sede amministrativa e giudiziaria», la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato, non è stata mossa tuttavia alcuna censura specificamente fondata sull’articolo 267 TFUE. Infine, nella causa oggetto della sentenza del 12 novembre 2009, Commissione/Spagna (C‑154/08, non pubblicata, EU:C:2009:695), pur essendosi posta la questione se il ricorso della Commissione riguardasse una violazione dell’articolo 267 TFUE, la Commissione aveva espressamente precisato alla Corte che tale circostanza non ricorreva (punto 65 della sentenza medesima).


3      JORF del 31 dicembre 1998, pag. 20050.


4      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 49).


5      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 51).


6      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punti 89 e 90, nonché giurisprudenza citata).


7      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 91).


8      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 92).


9      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punti 99 e 101).


10      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 101).


11      FR:XX:2012:317074.20121210.


12      FR:CESSR:2012:317075.20121210.


13      V. sentenze del Conseil d’État del 10 dicembre 2012, Rhodia (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 29) e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 24).


14      V. sentenze del Conseil d’État del 10 dicembre 2012, Rhodia (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 44) e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 40).


15      V. sentenze del Conseil d’État del 10 dicembre 2012, Rhodia (FR:XX:2012:317074.20121210, punti 24 e 25), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punti 19 e 20).


16      V. sentenze del Conseil d’État del 10 dicembre 2012, Rhodia (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 35), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 31).


17      V., segnatamente, sentenza dell’11 settembre 2014, Kronos International (C‑47/12, EU:C:2014:2200, punto 68).


18      V., in tal senso, sentenze dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C‑157/10, EU:C:2011:813, punto 39), e del 26 maggio 2016, NN (L) International (C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 47).


19      V., in tal senso, segnatamente, sentenza dell’11 settembre 2014, Kronos International (C‑47/12, EU:C:2014:2200, punti 85 e 86).


20      Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 46).


21      V., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 72); del 30 giugno 2011, Meilicke e a. (C‑262/09, EU:C:2011:438, punto 29), nonché dell’11 settembre 2014, Kronos International (C‑47/12, EU:C:2014:2200, punto 65).


22      Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 2 del dispositivo).


23      V., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707, punto 71).


24      V., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707, punto 73). La Corte ne ha tratto la conclusione che «[l]e risposte al secondo e al quarto quesito pregiudiziale sollevati nell’ambito della causa decisa dalla citata sentenza [del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774),] non perdono dunque la propria validità per il fatto che si constati che l’imposta estera sulle società applicata agli utili sottostanti ai dividendi distribuiti non è stata pagata, ovvero non è stata interamente pagata, dalla società non residente che versa i suddetti dividendi alla società residente, bensì è stata corrisposta da una società residente in uno Stato membro, controllata diretta o indiretta della prima società» (punto 74).


25      V., segnatamente, sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia, (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 47), e del 10 dicembre 2012, Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 41).


26      V., segnatamente, sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia, (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 49), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punti 43 e 50). Nella sentenza Accor, non si fa d’altronde riferimento a nessun preciso verbale. Inoltre, se il Conseil d’État (Consiglio di Stato) si è basato su determinati verbali di assemblea nella causa che ha dato luogo alla sentenza Accor, lo ha fatto sia per respingere una parte del collegamento dedotto dalla ricorrente, sia per confutare un’affermazione del ministro (v. sentenza del 10 dicembre 2012, Accor, (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punti 43, 50 e 56).


27      Sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 35), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 31).


28      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 92).


29      Sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 101).


30      Sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 99) (il corsivo è mio).


31      Sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581punto 101).


32      Sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia, (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 37), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 33).


33      Sentenze del 10 dicembre 2012, Rhodia, (FR:XX:2012:317074.20121210, punto 44), e Accor (FR:CESSR:2012:317075.20121210, punto 40).


34      V. sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 90).


35      La società controllante potrebbe attingere alle proprie riserve allo scopo di «compensare» l’anticipo d’imposta assolto e versare al proprio azionista un dividendo non gravato da imposta. Tuttavia, l’eventuale problema di liquidità che ne deriverebbe non è oggetto né dei ricorsi che hanno dato luogo alle sentenze del Conseil d’État, né del presente procedimento per inadempimento, che concerne unicamente le modalità di rimborso dell’anticipo d’imposta.


36      Infatti, l’importo finale percepito sarebbe pari a 133 (dividendo ricevuto dalla società controllata meno l’anticipo d’imposta assolto dalla società controllante) + 100 (somma rimborsata) = 233.


37      D’altronde, in risposta alla seconda questione sottopostale, la Corte ha espressamente distinto la situazione della società controllante da quella dei suoi azionisti. Secondo la Corte, «il regime oggetto [del procedimento] principale, riguardante peraltro un anticipo d’imposta versato da una società controllante in occasione della distribuzione dei dividendi e non un’imposta percepita al momento della vendita di prodotti, non si traduce di per sé nella ripercussione di tale anticipo su terzi» [sentenza del 15 settembre 2011, Accor (C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 75)].


38      Sentenza del 26 aprile 2018, Commissione/Bulgaria (C‑97/17, EU:C:2018:285, punto 69). V., altresì, sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Slovenia (C‑140/14, non pubblicata, EU:C:2015:501, punto 38).


39      V. punto 118 del ricorso della Commissione.


40      Sentenza del 5 maggio 1970, Commissione/Belgio (77/69, EU:C:1970:34, punto 15). Per conferme del principio rispetto a una giurisprudenza nazionale, v. sentenze del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:656, punto 29), e del 12 novembre 2009, Commissione/Spagna (C‑154/08, non pubblicata, EU:C:2009:695, punto 125).


41      V., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2009, Commissione/Spagna (C‑154/08, non pubblicata, EU:C:2009:695, punti da 124 a 127). In tale occasione, la Corte ha peraltro tenuto a ricordare che, «se è vero che pronunce giurisdizionali fortemente isolate o minoritarie in un contesto giurisprudenziale caratterizzato da un diverso orientamento, o ancora un’interpretazione smentita dal supremo giudice nazionale, non possono essere prese in considerazione, lo stesso non si può dire di un’interpretazione giurisprudenziale significativa non smentita dal detto supremo giudice, o addirittura da esso confermata» (punto 126, ove la Corte rinvia al punto 32 della sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia, C‑129/00, EU:C:2003:656).


42      V., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2017, Aquino (C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 33).


43      V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:390, paragrafo 102).


44      V., in tal senso, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 55); del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391, punto 32), nonché del 28 luglio 2016, Tomášová (C‑168/15, EU:C:2016:602, punto 25).


45      Sentenza del 14 dicembre 1982, Waterkeyn e a. (da 314/81 a 316/81 e 83/82, EU:C:1982:430, punto 14).


46      V., in tal senso, Wildemeersch, J., «Une loi inconstitutionnelle et contraire au droit de l’Union: et alors? Une déférence erronée vis-à-vis du législateur», Journal des tribunaux, 2018, pag. 256 e 257, spec. pag. 257. L’autore stesso rinvia a Lenaerts, K., «Form and Substance of the Preliminary Ruling Procedure», in Curtin, D. e Heukels, T., (dir.), Institutional Dynamics of European Integration, Essays in Honor of Henry G. Schermers, vol. II, Kluwer Academic Publishers, 1994, pagg. da 355 a 380, spec. pag. 376.


47      V., in tal senso, Soulard, S., Rigaux, A., e Munoz, R., Contentieux de l’Union européenne/3 – Renvoi préjudiciel – Recours en manquement, coll. Axe Droit, Paris, Lamy, 2011, n. 59.


48      V., in tal senso, sentenza del 27 marzo 1980, Meridionale Industria Salumi e a. (66/79, 127/79 e 128/79, EU:C:1980:101, punto 9).


49      Punto 11 della sentenza.


50      L’espressione è presa a prestito da Lekkou, E., commentaire n. 24, inKarpenschif, M. e Nourissat, C. (dir.), Les grands arrêts de la jurisprudence de l’Union européenne, 3e éd., PUF, 2016, pagg. da 131 a 136, spec. n. 24-4. V., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 47).


51      Sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 10); il corsivo è mio. V., altresì, sentenze del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punto 26), e del 15 marzo 2017, Aquino (C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 42).


52      Sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 38). V. altresì, in tal senso, sentenze del 15 settembre 2005, Intermodal Transports (C‑495/03, EU:C:2005:552, punto 33); del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 55), nonché del 1o ottobre 2015, Doc Generici (C‑452/14, EU:C:2015:644, punto 43).


53      V., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a. (C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 40).


54      Sentenza del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 59).


55      Sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 48); il corsivo è mio. V. altresì, in tal senso, sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16), e del 15 settembre 2005, Intermodal Transports (C‑495/03, EU:C:2005:552, punto 39).


56      Sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 48). V., altresì, sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16).


57      Osservo a tal riguardo che Olivier Fouquet, presidente di sezione del Conseil d’État, conclude il suo commento dedicato alle sentenze del Conseil d’État (Consiglio di Stato) precisando che «[l]a controversia poneva altre questioni interessanti, quali la presa in considerazione dei dividendi versati dalle controllate di secondo livello. Ma si tratta di questioni di puro diritto e non di tecnica giurisdizionale» (Fouquet, O., «Conseil d’État, précompte et fléchage: “non possumus”», Revue de droit fiscal, n. 1, gennaio 2013, pagg. 1 e 2, spec. pag. 2; il corsivo è mio).