Language of document : ECLI:EU:C:2018:20

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 18 gennaio 2018(1)

Causa C528/16

Confédération paysanne

Réseau Semences Paysannes

Les Amis de la Terre France

Collectif vigilance OGM et Pesticides 16

Vigilance OG2M

CSFV 49

OGM: dangers

Vigilance OGM 33

Fédération Nature & Progrès

contro

Premier ministre

Ministre de l’agriculture, de l’agroalimentaire et de la forêt

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Agricoltura – Direttive 2001/18/CE e 2002/53/CE – Interpretazione e valutazione di validità – Nozione di «organismo geneticamente modificato» – Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole – Nuove tecniche di mutagenesi che applicano processi d’ingegneria genetica – Mutagenesi casuale e sito diretta – Ambito di applicazione della deroga – Grado di armonizzazione – Principio di precauzione»






I.      Introduzione

1.        La «direttiva OGM», direttiva 2001/18/CE, «regola l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) e la loro immissione in commercio all’interno dell’Unione» (2). In particolare, gli organismi oggetto di detta direttiva devono essere autorizzati in seguito a una valutazione di rischio ambientale. Essi sono soggetti anche ad obblighi di tracciabilità, di etichettatura e di monitoraggio.

2.        L’articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato I B, stabilisce che la direttiva OGM non si applica agli organismi ottenuti con talune tecniche di modificazione genetica, come la mutagenesi (in prosieguo: la «deroga della mutagenesi»).

3.        La mutagenesi comporta una modificazione del genoma di una specie vivente. A differenza della transgenesi, in linea di principio non implica l’inserimento di DNA estraneo all’interno di un organismo vivente. Le tecniche di mutagenesi si sono evolute nel corso del tempo in esito al progresso scientifico registrato nell’ambito della biotecnologia. Per la Confédération paysanne e altri, alcune delle più recenti tecniche sviluppate presentano dei rischi per la salute e l’ambiente. Essi dunque hanno proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio, chiedendo l’annullamento di una disposizione nazionale che esenta gli organismi ottenuti per mutagenesi dagli obblighi che si applicano agli OGM.

4.        È in questo contesto che la Corte è invitata a chiarire l’esatto ambito di applicazione della direttiva OGM, più specificamente l’ambito, la ratio e gli effetti della deroga della mutagenesi – ed eventualmente a valutarne la validità. Più in generale, la Corte è invitata a considerare la questione temporale, più precisamente quale sia il ruolo giocato dal trascorrere del tempo e dall’evolversi della conoscenza tecnica e scientifica sia rispetto all’interpretazione giuridica sia con riguardo alla valutazione di validità della normativa dell’Unione, condotte tenendo presente il principio di precauzione.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Diritto primario

5.        L’articolo 191, paragrafo 2, TFUE così dispone:

«La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.

In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell’ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell’Unione».

2.      Diritto secondario

a)      La direttiva OGM

6.        Il considerando 8 della direttiva OGM sottolinea che «[n]ell’elaborazione della presente direttiva è stato tenuto conto del principio precauzionale e di esso va tenuto conto nell’attuazione della stessa».

7.        Il considerando 17 dichiara che «[l]a presente direttiva non concerne gli organismi ottenuti attraverso determinate tecniche di modificazione genetica utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza».

8.        Lo scopo della direttiva è esposto nell’articolo 1:

«Nel rispetto del principio precauzionale, la presente direttiva mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell’ambiente quando:

–        si emettono deliberatamente nell’ambiente organismi geneticamente modificati a scopo diverso dall’immissione in commercio all’interno della Comunità,

–        si immettono in commercio all’interno della Comunità organismi geneticamente modificati come tali o contenuti in prodotti».

9.        Le definizioni si rinvengono nell’articolo 2, paragrafo 2:

«“organismo geneticamente modificato (OGM)”, un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale.

Ai fini della presente definizione:

a)      una modificazione genetica è ottenuta almeno mediante l’impiego delle tecniche elencate nell’allegato I A, parte 1;

b)      le tecniche elencate nell’allegato I A, parte 2, non sono considerate tecniche che hanno per effetto una modificazione genetica».

10.      L’articolo 3 stabilisce talune deroghe. Il primo paragrafo dispone che la direttiva OGM «non si applica agli organismi ottenuti con le tecniche di modificazione genetica di cui all’allegato I B».

11.      L’articolo 4 stabilisce obblighi generali per gli Stati membri. In particolare, il paragrafo 1 afferma che: «[g]li Stati membri, nel rispetto del principio precauzionale, provvedono affinché siano adottate tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM. (…)».

12.      Ai sensi dell’articolo 27, «[g]li adeguamenti al progresso tecnico delle sezioni C e D dell’allegato II, degli allegati da III a VI e della sezione C dell’allegato VII, intesi a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottati secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 30, paragrafo 3».

13.      L’allegato I A indica le tecniche di cui all’articolo 2, paragrafo 2. La parte 1 del suddetto allegato così stabilisce:

«Le tecniche di modificazione genetica di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), comprendono tra l’altro:

1)      tecniche di ricombinazione dell’acido nucleico che comportano la formazione di nuove combinazioni di materiale genetico mediante inserimento in un virus, un plasmide batterico o qualsiasi altro vettore, di molecole di acido nucleico prodotte con qualsiasi mezzo all’esterno di un organismo, nonché la loro incorporazione in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua;

2)      tecniche che comportano l’introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la microiniezione, la macroiniezione e il microincapsulamento;

3)      fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali».

14.      La parte 2, dell’allegato I A indica le tecniche di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), che «non si ritiene producano modificazioni genetiche, a condizione che non comportino l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di organismi geneticamente modificati prodotti con tecniche o metodi diversi da quelli esclusi dall’allegato I B:

1)      fecondazione in vitro;

2)      processi naturali, quali la coniugazione, la trasduzione e la trasformazione;

3)      induzione della poliploidia».

15.      Infine, l’allegato I B elenca le tecniche di cui all’articolo 3, paragrafo 1:

«Le tecniche o i metodi di modificazione genetica che implicano l’esclusione degli organismi dal campo di applicazione della presente direttiva, a condizione che non comportino l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di organismi geneticamente modificati diversi da quelli prodotti mediante una o più tecniche oppure uno o più metodi elencati qui di seguito sono:

1)      la mutagenesi;

2)      la fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali».

b)      Direttiva 2002/53

16.      Il considerando 16 della direttiva 2002/53/CE, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (3) è del seguente tenore: «Grazie ai progressi scientifici e tecnici è attualmente possibile selezionare varietà mediante modificazione genetica. Pertanto, nello stabilire se ammettere o meno varietà geneticamente modificate ai sensi della direttiva 90/220/CEE(4) (…) gli Stati membri dovrebbero tener conto dei rischi connessi con l’emissione deliberata nell’ambiente. Occorrerebbe inoltre stabilire le condizioni di ammissione di tali varietà geneticamente modificate».

17.      L’articolo 4, paragrafo 4, stabilisce che: «[n]el caso di una varietà geneticamente modificata ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 90/220/CEE, la varietà può essere ammessa solo se sono state adottate tutte le misure appropriate atte ad evitare effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente».

18.      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, di detta direttiva:

«a)      Nel caso di una varietà geneticamente modificata di cui all’articolo 4, paragrafo 4, deve essere effettuata una valutazione del rischio per l’ambiente analoga a quella prevista dalla direttiva 90/220/CEE.

b)      Le procedure atte a garantire che la valutazione del rischio per l’ambiente e di altri elementi pertinenti siano equivalenti a quella prevista dalla direttiva 90/220/CEE sono stabilite su proposta della Commissione con regolamento del Consiglio fondato sulla pertinente base giuridica del trattato. Finché tale regolamento non entrerà in vigore, le varietà geneticamente modificate sono accettate ai fini dell’inclusione in un catalogo nazionale soltanto dopo essere state ammesse alla commercializzazione conformemente alla direttiva 90/220/CEE.

c)      Gli articoli da 11 a 18 della direttiva 90/220/CEE non sono più d’applicazione alle varietà geneticamente modificate una volta che sia entrato in vigore il regolamento menzionato alla lettera b)».

19.      In conformità con l’articolo 9, paragrafo 5, della direttiva OGM: «[g]li Stati membri vigilano affinché le varietà geneticamente modificate che sono state ammesse siano chiaramente indicate come tali nel catalogo delle varietà. Essi provvedono inoltre affinché chiunque commercializzi tali varietà indichi chiaramente nel proprio catalogo di vendita che si tratta di specie geneticamente modificate».

B.      Diritto francese

20.      L’articolo L. 531-1 del Code de l’environnement (codice dell’ambiente) definisce l’organismo geneticamente modificato come un «organismo il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso dall’accoppiamento o dalla ricombinazione genetica naturale».

21.      L’articolo L. 531-2 del medesimo codice prevede che «non sono soggetti alle disposizioni del presente titolo e degli articoli L. 125-3 e L. 515-13 gli organismi geneticamente modificati ottenuti con tecniche che, per il loro carattere naturale, non sono considerate come determinanti una modificazione genetica o quelle che sono state oggetto di una pratica tradizionale che non presenta comprovati inconvenienti per la salute pubblica o l’ambiente. L’elenco di tali tecniche è stabilito per decreto previo parere dell’Haut Conseil des biotechnologies [Consiglio superiore per le biotecnologie]».

22.      L’articolo D. 531-2 del codice così dispone: «[l]e tecniche di cui all’articolo L. 531-2, che sono considerate come non determinanti modificazioni genetiche, sono le seguenti: (…) 2. A condizione che esse non comportino l’impiego di organismi geneticamente modificati in quanto organismi riceventi o parentali: a) la mutagenesi».

23.      L’articolo D. 531-3 aggiunge che: «[l]e tecniche e le definizioni di cui agli articoli D. 531-1 e D. 531-2 sono interpretate ed applicate in base all’evoluzione delle conoscenze scientifiche nel campo dell’ingegneria genetica, della genetica molecolare e della biologia cellulare».

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

24.      La Confédération paysanne è un sindacato agricolo francese che difende gli interessi dei piccoli agricoltori. Ai fini della presente causa, ad esso si uniscono altre otto associazioni (5) il cui obiettivo consiste nella protezione dell’ambiente e/o nella diffusione delle informazioni riguardo ai pericoli relativi agli OGM (collettivamente, i «ricorrenti»).

25.      Come risulta dall’ordinanza del giudice del rinvio, le varietà di sementi resistenti a un erbicida sono prodotte mediante transgenesi o mutagenesi. A tal riguardo, le varietà resistenti a un erbicida non selettivo (ad esempio il glifosato) sono prodotte mediante transgenesi. Tuttavia, tali varietà ottenute per mutagenesi hanno altresì permesso di sviluppare elementi resistenti a un erbicida selettivo. Le uniche sementi resistenti a un erbicida registrate nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole provengono da mutagenesi casuale in vitro. Nel catalogo comune sono quindi registrate 46 varietà di girasoli e sei varietà di colza resistenti a un erbicida. Tuttavia, nel catalogo europeo non sarebbe stata ancora registrata nessuna varietà di sementi resistente a un erbicida prodotta con le tecniche di mutagenesi sito diretta.

26.      I ricorrenti contestano il fatto che gli organismi ottenuti per mutagenesi sono esenti dagli obblighi stabiliti dalle disposizioni del codice dell’ambiente riguardanti gli OGM. A loro avviso le tecniche di mutagenesi si sono evolute nel tempo. Prima dell’adozione della direttiva OGM nel 2001, si era soliti utilizzare soltanto tecniche di mutagenesi di tipo tradizionale e tecniche casuali in vivo che comportano radiazioni ionizzanti o che espongono le piante ad agenti chimici. Successivamente, il progresso tecnico ha determinato l’emergere di tecniche di mutagenesi che possono essere condotte con diversi mezzi (mutagenesi casuale in vitro e mutagenesi sito diretta – indicate come le «nuove tecniche di mutagenesi»). Mediante tali tecniche è possibile individuare le mutazioni al fine di ottenere un prodotto che sarà resistente solamente a determinati erbicidi.

27.      Per i ricorrenti, l’utilizzo di varietà di sementi resistenti a un erbicida ottenute mediante mutagenesi comporta il rischio di gravi danni all’ambiente nonché alla salute umana e animale. Ne deriva un accumulo di molecole cancerogene o di interferenti endocrini nelle piante coltivate destinate all’alimentazione umana o animale. I ricorrenti fanno valere, inoltre, i rischi di effetti non intenzionali, quali mutazioni indesiderate o fuori bersaglio su altre parti del genoma. Essi ritengono che ciò sia dovuto alle tecniche impiegate durante la modificazione del genoma in vitro e alla rigenerazione delle piante a partire dalle cellule così modificate.

28.      Sulla base di tali argomentazioni, i ricorrenti hanno chiesto al Premier ministre (Primo Ministro) di abrogare l’articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente (6) e di vietare la coltivazione e la commercializzazione di varietà di colza rese tolleranti agli erbicidi.

29.      Il Primo Ministro non ha risposto alla domanda dei ricorrenti. Ai sensi del diritto nazionale, si ritiene dunque che l’abbia respinta.

30.      Con ricorso del 12 marzo 2015 presentato dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) (giudice del rinvio), i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento di tale decisione implicita di rigetto del Primo Ministro, nonché di ingiungere al Primo Ministro di adottare entro un mese tutti i provvedimenti atti ad istituire una moratoria sulle varietà rese tolleranti agli erbicidi.

31.      I ricorrenti hanno sollevato varie argomentazioni dinanzi al giudice del rinvio circa la compatibilità dell’articolo D.531-2 del codice dell’ambiente con la direttiva OGM, con la direttiva 2002/53 e il principio di precauzione previsto anche dalla Costituzione francese.

32.      In primo luogo, essi sostengono che l’articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente viola l’articolo 2, della direttiva OGM. Affermano che gli organismi ottenuti per mutagenesi costituiscono OGM ai sensi di quest’ultima disposizione, benché, in forza dell’articolo 3 e dell’allegato I B, essi siano esenti dagli obblighi imposti per l’emissione e l’immissione sul mercato di OGM.

33.      In secondo luogo, i ricorrenti sostengono che tale articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente è in contrasto con l’articolo 4, della direttiva 2002/53. Deducono che quest’ultima disposizione non prevede l’esenzione delle varietà ottenute per mutagenesi dagli obblighi imposti da detta direttiva ai fini dell’iscrizione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo comune delle specie di piante agricole.

34.      In terzo luogo, i ricorrenti affermano che l’articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente viola il principio di precauzione come garantito dell’articolo 5, della Carta dell’ambiente, che ha rango costituzionale in Francia. L’articolo D. 531-2 non tiene sufficientemente conto dei rischi per l’ambiente e per la salute umana e animale: questi sono correlati all’emissione nell’ambiente di sementi prodotte mediante modificazioni genetiche ottenute per mutagenesi e all’immissione sul mercato di prodotti provenienti da tali coltivazioni. A causa dell’esclusione della mutagenesi dalle norme applicabili agli OGM, tali sementi non sono soggette a misure preventive o a valutazioni preliminari o a un monitoraggio successivo alla loro commercializzazione.

35.      Sotto il profilo contestuale si potrebbe osservare che, a quanto pare, il terzo motivo dei ricorrenti è stato inizialmente avanzato dinanzi al giudice del rinvio come questione di diritto nazionale: l’articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente, che sottrae la mutagenesi dalle norme nazionali applicate agli OGM, è in linea con il principio di precauzione, presente nella Costituzione francese?

36.      Nella sua ordinanza di rinvio, il giudice a quo ha definito la questione quale potenziale (in)compatibilità della deroga della mutagenesi del diritto dell’Unione con il principio di precauzione (7) previsto da quest’ultimo. Come sottinteso da detto giudice, il contenuto dell’articolo D.531-2 del codice dell’ambiente, che costituisce la misura nazionale di trasposizione, deriva necessariamente dagli obblighi stabiliti dalla direttiva OGM ed è pertanto inteso a rispecchiarla in termini sostanziali. Contestare la validità della prima equivale quindi a contestare indirettamente la validità dell’ultima (8). Di conseguenza, il giudice del rinvio chiede se la direttiva in questione sia in sé valida per quanto riguarda il principio di precauzione come tutelato ai sensi del diritto dell’Unione (9).

37.      In tale contesto di fatto e di diritto, il Conseil d’État (Consiglio di Stato), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli organismi ottenuti per mutagenesi costituiscano organismi geneticamente modificati ai sensi dell’articolo 2 della direttiva [2001/18], benché siano esentati in forza dell’articolo 3 e dell’allegato I B della direttiva dagli obblighi imposti ai fini dell’emissione e dell’immissione sul mercato di organismi geneticamente modificati. In particolare, se le tecniche di mutagenesi, segnatamente le nuove tecniche di mutagenesi sito diretta che applicano processi d’ingegneria genetica, possano considerarsi annoverate tra le tecniche elencate nell’allegato I A, cui rinvia l’articolo 2. Di conseguenza, se gli articoli 2 e 3 e gli allegati I A e I B della direttiva [2001/18] debbano essere interpretati nel senso che esentano dalle misure precauzionali, di valutazione del rischio e di tracciabilità tutti gli organismi e le sementi geneticamente modificati ottenuti per mutagenesi o soltanto gli organismi ottenuti con i metodi tradizionali di mutagenesi casuale mediante radiazioni ionizzanti o esposizione ad agenti chimici mutageni esistenti precedentemente all’adozione di tali norme.

2)      Se le varietà ottenute per mutagenesi costituiscano varietà geneticamente modificate ai sensi dell’articolo 4 della direttiva [2002/53], che non sarebbero esentate dagli obblighi previsti da tale direttiva. Ovvero se, al contrario, l’ambito di applicazione della direttiva in parola sia identico a quello [degli] articoli 2 e 3 e dell’allegato I B della [direttiva 2001/18] e comporti parimenti la deroga delle varietà ottenute per mutagenesi dagli obblighi previsti dalla [direttiva 2002/53] ai fini dell’iscrizione di varietà geneticamente modificate al catalogo comune delle specie di piante agricole.

3)       Se gli articoli 2 e 3 e l’allegato I B della direttiva [2001/18], poiché escludono la mutagenesi dall’ambito di applicazione degli obblighi previsti dalla direttiva, costituiscano una misura di armonizzazione completa che vieta agli Stati membri di assoggettare gli organismi ottenuti per mutagenesi al rispetto totale o parziale degli obblighi previsti dalla direttiva o a qualsivoglia altro obbligo o se gli Stati membri dispongano, in sede di trasposizione di tali articoli, di un margine di discrezionalità rispetto alla definizione del regime applicabile agli organismi ottenuti per mutagenesi.

4)      Se la validità degli articoli 2 e 3 e degli allegati I A e I B della direttiva [2001/18] rispetto al principio di precauzione garantito dall’articolo 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in quanto tali disposizioni non assoggetterebbero gli organismi geneticamente modificati ottenuti per mutagenesi a misure precauzionali, di valutazione del rischio e di tracciabilità, possa essere messa in discussione tenendo conto dell’evoluzione dei processi dell’ingegneria genetica, della comparsa di nuove varietà di piante ottenute grazie a tali tecniche e delle attuali incertezze scientifiche sul loro impatto e sui potenziali rischi che possono derivarne per l’ambiente e la salute umana e animale».

38.      Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti, i governi greco, francese, dei Paesi Bassi, austriaco, svedese e del Regno Unito, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea. Ad eccezione dei governi dei Paesi Bassi e austriaco, dette parti hanno esposto le proprie difese orali all’udienza tenutasi il 3 ottobre 2017.

IV.    Valutazione

39.      Le presenti conclusioni sono articolate come segue: inizierò esaminando la prima questione relativa all’interpretazione dell’ambito di applicazione della direttiva OGM e della deroga della mutagenesi ivi contenuta (A). Successivamente, affronterò la terza questione sul grado di armonizzazione raggiunto dalla direttiva OGM rispetto alla mutagenesi e alla questione correlata della competenza normativa degli Stati membri (B). In seguito analizzerò la quarta questione, relativa alla compatibilità della deroga della mutagenesi con il principio di precauzione (C). Concluderò con la seconda questione concernente la relazione tra l’ambito di applicazione della direttiva OGM e quello della direttiva 2002/53 per quanto riguarda la deroga della mutagenesi (D).

A.      Prima questione

40.      La prima questione riguarda in sostanza l’interpretazione della nozione di «mutagenesi» contenuta nell’allegato I B della direttiva OGM in generale e poi, nello specifico, il trascorrere del tempo e l’emergere di nuove tecnologie, in particolare alla luce di considerazioni sulla sicurezza e/o del principio di precauzione.

41.      Prima di affrontare tale questione (2), desidero svolgere alcune osservazioni introduttive (1) sulla terminologia utilizzata (a) e la comprensione generale del principio di precauzione nel diritto dell’Unione (b).

1.      Chiarimenti preliminari

a)      Nozioni di base: mutagenesi e transgenesi

42.      Esistono vari metodi che possono essere utilizzati per modificare il patrimonio genetico di un organismo vivente. Inoltre, non mancano possibili definizioni delle nozioni generiche utilizzate in tale contesto. La stessa direttiva OGM non fornisce alcuna definizione generale di tali nozioni. Inoltre non spetta alla Corte iniziare a delineare tali definizioni (del tutto scientifiche e fattuali) nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale. Così, ai fini delle presenti conclusioni, utilizzerò le definizioni operative fornite utilmente dal giudice del rinvio.

43.      La transgenesi è una tecnica di ingegneria genetica che consiste nell’inserire uno o più geni provenienti da altre specie nel genoma di una specie diversa. La direttiva OGM non fa riferimento esplicito alla nozione di transgenesi. Tuttavia, in sostanza, detta direttiva riguarda varie tecniche che potrebbero essere normalmente descritte come tali (10).

44.      La mutagenesi non comporta l’inserimento di DNA estraneo all’interno di un organismo vivente. Nondimeno, essa implica una modificazione del genoma di una specie vivente.

45.      Le tecniche di mutagenesi sono cambiate nel corso del tempo. Secondo il giudice del rinvio, prima dell’adozione della direttiva OGM, vi erano solamente metodi di mutagenesi tradizionali o casuali che si applicavano in vivo a intere piante. Tali tecniche sono state utilizzate per decenni senza creare apparentemente alcun rischio identificabile per l’ambiente o la salute.

46.      Gradualmente, sono apparse nuove tecniche. Come ulteriormente spiegato dal giudice del rinvio, non solo tecniche di mutagenesi di tipo casuale sono state applicate a cellule di piante in vitro, ma sono stati messi a punto metodi di mutagenesi sito specifica che applicano nuove tecniche di ingegneria genetica, come la mutagenesi oligonucleotide diretta (ODM) (11) o la mutagenesi tramite nucleasi sito diretta (SDN1) (12). Mentre la mutagenesi tradizionale comporta delle mutazioni casuali, alcune delle nuove tecniche causano una precisa mutazione in un gene.

b)      Il principio di precauzione nel diritto dell’Unione

47.      La bellezza è negli occhi di chi guarda. Ciò sembra anche valere per il contenuto, l’ambito di applicazione e il potenziale utilizzo del principio di precauzione. Nel corso degli anni sono state formulate diverse ipotesi su cosa sia il principio di precauzione e su come dovrebbe essere utilizzato, in particolare in dottrina e nel dibattito politico.

48.      L’approccio giudiziario al principio di precauzione e la sua comprensione sono stati, alquanto comprensibilmente, molto più circoscritti, forse anche cauti (per precauzione) (13). Nella giurisprudenza della Corte, il principio di precauzione è principalmente inteso a consentire ad attori differenti, come gli Stati membri, la Commissione o le imprese, di adottare misure provvisorie di gestione del rischio senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità dei rischi asseriti (14). Nei settori armonizzati ai sensi del diritto dell’Unione, tali misure devono essere adottate sulla base delle disposizioni del diritto secondario che diano specifica applicazione a tale principio, ad esempio le clausole di salvaguardia (15) o altre disposizioni relative al trattamento di nuove informazioni in merito ai rischi che un determinato prodotto comporta per la salute o l’ambiente (16) In mancanza di armonizzazione, il principio di precauzione può anche essere fatto valere in autonomia, al fine di giustificare l’adozione di misure restrittive. Queste ultime devono tuttavia rispettare gli obblighi fondamentali che il diritto dell’Unione impone agli Stati membri, specialmente quelli che derivano dagli articoli 34 e 36 TFUE (17).

49.      Tuttavia, tali misure provvisorie di gestione del rischio possono essere adottate solo se sono soddisfatte alcune condizioni. Secondo una giurisprudenza costante, «[u]n’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute delle sostanze o degli alimenti interessati e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale» (18). In altri termini, questi due requisiti implicano che le misure di tutela «non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Al contrario, siffatte misure di tutela, nonostante il loro carattere provvisorio e ancorché rivestano un carattere preventivo, possono essere adottate solamente se fondate su una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, che dimostrino che tali misure sono necessarie» (19).

50.      Inoltre, «[q]ualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, inconcludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive» (20)

51.      Se tali condizioni sono soddisfatte si possono adottare misure di tutela non discriminatorie, obiettive e proporzionate.

52.      È vero che, in realtà, la soglia precisa per l’attivazione delle misure preventive o provvisorie in base al principio di precauzione può variare, in particolare a seconda dell’esatta formulazione dello specifico strumento di diritto secondario in questione (21).

53.      In tutti questi casi l’elemento centrale si traduce quantomeno nella presenza di alcuni rischi riconoscibili basati sulle conoscenze scientifiche (22). Contrariamente alle misure permanenti, la soglia per attivare l’applicazione del principio di precauzione per quanto riguarda le misure provvisorie è inferiore. Tuttavia devono comunque esservi dei dati chiari sul presunto rischio/sui presunti rischi, che devono essere avvalorati da un insieme minimo di dati scientifici, derivanti da un numero minimo di varie fonti indipendenti e affidabili nazionali o internazionali. Il mero timore di un rischio indotto da qualcosa di nuovo, o il pericolo di un rischio asserito vagamente e genericamente quando non si può affermare in modo definitivo che la nuova cosa sia sicura, sono fattori insufficienti per l’attivazione del principio di precauzione.

54.      Tenuto conto di tali chiarimenti mi accingo ora ad affrontare la prima questione sollevata dal giudice del rinvio, ossia l’ambito di applicazione della direttiva OGM e della deroga della mutagenesi.

2.      L’ambito di applicazione della direttiva OGM e della deroga della mutagenesi

55.      A mio parere, la prima questione contiene in realtà due sotto questioni. In primo luogo, il giudice del rinvio si interroga sull’ambito di applicazione della direttiva OGM: quali organismi rientrano nella definizione di OGM ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2? In secondo luogo si pone la questione relativa all’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi stessa, contenuta nell’articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato I B della direttiva OGM: tale deroga comprende tutti gli organismi ottenuti per mutagenesi, compresi quelli ottenuti con le nuove tecniche di mutagenesi applicate dopo l’adozione della direttiva OGM? Oppure è stato approvato solamente quel sottoinsieme di organismi ottenuti mediante determinate tecniche, vale a dire quelle esistenti prima della direttiva OGM?

56.      A mio avviso, purché soddisfino le condizioni sostanziali dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM, gli organismi ottenuti per mutagenesi sono OGM ai sensi della direttiva OGM (a). Tuttavia, a condizione che il processo di mutagenesi non comporti l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di OGM diversi da quelli prodotti mediante una o più tecniche elencate nell’allegato I B, tali organismi sono esclusi dagli obblighi stabiliti dalla direttiva OGM in virtù dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa, in combinato disposto con il suo allegato I B (b).

a)      Mutagenesi e OGM

57.      L’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM definisce un OGM come «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale». Detta disposizione aggiunge altresì che: «[a]i fini della presente definizione: a) una modificazione genetica è ottenuta almeno mediante l’impiego delle tecniche elencate nell’allegato I A, parte 1; b) le tecniche elencate nell’allegato I A, parte 2 non sono considerate tecniche che hanno per effetto una modificazione genetica».

58.      Pertanto, in aggiunta al requisito generale, sono stati aggiunti due elenchi che perfezionano tale definizione di base: un elenco «positivo» nell’allegato I A, parte 1, e uno «negativo» nell’allegato I A, parte 2.

59.      L’«elenco positivo» si riferisce alle tecniche che, in un modo o nell’altro, riguardano l’inserimento di materiale genetico estraneo all’interno dell’organismo ricevente. Sembrerebbe pertanto che gli organismi ottenuti per transgenesi come definiti supra (23) possano rientrare in tale elenco.

60.      La mutagenesi è meno chiara. A giudicare dalla sola definizione dell’articolo 2, paragrafo 2, non vedo però alcuna ragione per cui gli organismi ottenuti mediante tale metodo, purché soddisfino i criteri sostanziali di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM, non dovrebbero anch’essi rientrare in detta definizione. Una simile conclusione discende dal testo, dalla logica interna e dal contesto più generale della direttiva menzionata.

61.      In primis, l’articolo 2, paragrafo 2, chiaramente non richiede l’inserimento di DNA estraneo in un organismo affinché quest’ultimo sia qualificato come OGM. Esso afferma solamente che il materiale genetico sia stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura. Il suo carattere aperto consente di includere gli organismi ottenuti con metodi diversi dalla transgenesi all’interno della definizione di OGM. Per quanto riguarda la mutagenesi in particolare, è implicito nella formulazione dell’articolo 3 e dell’allegato I B della direttiva OGM che la mutagenesi può essere altresì qualificata in linea di principio come «una tecnica di modificazione genetica».

62.      In secondo luogo, il fatto che la mutagenesi sia esente dagli obblighi stabiliti nella direttiva OGM suggerisce che gli organismi ottenuti con tale metodo possono essere degli OGM. Pertanto, concordo con la Commissione nel ritenere che sarebbe illogico esentare taluni organismi dall’applicazione della direttiva se questi ultimi non potessero, prima di tutto, essere qualificati come OGM. Gli organismi esclusi non necessitano di essere esentati.

63.      In terzo luogo, come elemento di un più ampio contesto normativo, se il legislatore dell’Unione avesse voluto escludere gli organismi ottenuti per mutagenesi dalla definizione di OGM ai sensi della direttiva OGM, avrebbe potuto prevedere espressamente tale esclusione al livello della definizione stessa, analogamente ad altri atti di diritto secondario sugli OGM (24).

64.      Pertanto, a mio parere, un organismo ottenuto per mutagenesi può essere un OGM ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, se soddisfa i criteri sostanziali stabiliti in tale disposizione.

65.      Senza cercare di fornire definizioni non presenti nella stessa direttiva OGM, ma di esporre chiaramente il nesso logico tra le nozioni contenute nella medesima, come utilmente illustrato dal governo del Regno Unito in sede di udienza, vi sono essenzialmente tre variabili costituite da: il concetto di mutagenesi; la definizione di un OGM ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2; e la deroga ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’allegato I B. Queste possono generare tre serie logiche di possibili scenari, a seconda della tecnica specifica utilizzata per la creazione dell’organismo in questione.

66.      In primo luogo, possono esservi organismi ottenuti per mutagenesi che non sono OGM ai sensi della direttiva OGM, in quanto essi non soddisfano i criteri di cui all’articolo 2, paragrafo 2. In secondo luogo, vi possono essere organismi ottenuti per mutagenesi che soddisfano tali criteri. Si tratterrebbe dunque di OGM ai sensi della direttiva, ma posto che rientrano nella deroga di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’allegato I B, essi saranno esentati dagli obblighi stabiliti in detta direttiva. In terzo luogo, possono esservi organismi ottenuti per mutagenesi, che soddisfano i criteri indicati all’articolo 2, paragrafo 2, ma non rientrano nella deroga ai sensi dell’allegato I B. Il terzo tipo di organismo sarebbe quindi pienamente oggetto della direttiva OGM.

67.      In sintesi quindi, la qualificazione come OGM deriva solamente dal (mancato) soddisfacimento dei criteri stabiliti nell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM. Il fatto che tale organismo possa successivamente essere esentato in virtù dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva, in combinato disposto con l’allegato I B, della stessa, non determina alcun impatto sulla qualificazione giuridica come OGM: tali organismi rimangono OGM ai sensi della direttiva medesima.

b)      L’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi

68.      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva OGM stabilisce che la direttiva non si applica agli organismi ottenuti con le tecniche di cui all’allegato I B il quale, al primo punto, elenca la «mutagenesi». Non essendovi una definizione legislativa della mutagenesi all’interno della direttiva, con la seconda parte della prima questione sollevata dal giudice nazionale si chiede essenzialmente se la «mutagenesi» debba includere tutte le tecniche di mutagenesi o solamente alcune e, in quest’ultimo caso, quali di esse.

69.      Nelle osservazioni presentate alla Corte sono state espresse opinioni divergenti circa l’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi.

70.      Da un lato, i ricorrenti ritengono che la deroga della mutagenesi debba essere interpretata alla luce delle condizioni in vigore nel 2001 quando la direttiva OGM fu adottata. Pertanto, solo le tecniche di mutagenesi ordinariamente utilizzate all’atto dell’adozione della direttiva in questione rientrano nella deroga della mutagenesi, vale a dire la mutagenesi casuale in vivo, in quanto opposta ad altre tecniche, indipendentemente dal fatto che si tratti di una mutagenesi casuale in vitro o a fortiori di una mutagenesi sito diretta.

71.      Dall’altro lato, i governi greco e del Regno Unito sostengono che non si dovrebbe operare alcuna distinzione nell’ambito della mutagenesi. Tutti gli sviluppi tecnologici successivi all’adozione della direttiva OGM dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi, poiché nel 2001 era chiaramente prevedibile che il progresso scientifico connesso alla mutagenesi non si sarebbe fermato a quel punto.

72.      Le altre parti interessate che hanno presentato osservazioni alla Corte si trovano tra dette posizioni, sebbene forse più vicino a quelle dei governi greco e del Regno Unito.

73.      Il governo austriaco suggerisce che tutte le tecniche di mutagenesi tradizionalmente utilizzate quando la direttiva OGM fu adottata sono esenti. Le nuove tecniche dovrebbero essere esaminate caso per caso al fine di determinare la loro possibilità di rientrare nella deroga della mutagenesi.

74.      I governi francese e dei Paesi Bassi sostengono un simile approccio, concentrandosi in particolare sulla sicurezza. Essi asseriscono che solo gli organismi ottenuti con tecniche sicure al pari delle tecniche tradizionali dovrebbero essere esentati. Il governo francese sostiene in particolare che l’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi dovrebbe essere determinato alla luce del principio di precauzione.

75.      Anche il governo svedese sottolinea la dimensione della sicurezza, che, tuttavia, lo inducono a conclusioni opposte a quelle dei governi francese e dei Paesi Bassi. Pur ritenendo che la mutagenesi sito diretta non abbia come esito gli OGM ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM, esso ritiene che una siffatta tecnica è comunque esente in quanto presenta rischi ancora minori rispetto alla mutagenesi tradizionale ed è simile alle mutazioni spontanee che si verificano naturalmente. Gli organismi ottenuti introducendo DNA estraneo (che comporta l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante) rientrano tuttavia nell’ambito di applicazione della direttiva perché non sono ottenuti per mutagenesi.

76.      La Commissione (25) osserva che non è stato segnalato alcun problema particolare connesso alla mutagenesi tradizionale sin dagli anni ’60, momento in cui fu utilizzata per la prima volta. Non sussiste una differenza reale tra mutagenesi in vitro e in vivo. La mutagenesi in vitro avrebbe anche preceduto l’adozione della direttiva OGM e, in misura minore, quella del suo predecessore (26).

77.      Utilizzando il termine generico di mutagenesi nell’allegato I B l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva OGM potrebbe anche esentare le nuove tecniche. Nel 2001 il legislatore dell’Unione non poteva ignorare il progresso tecnologico. Si deve dedurre che era sua intenzione includere tutte le tecniche della mutagenesi all’interno della deroga. Pertanto, il citato legislatore ha deliberatamente mantenuto la denominazione generica aggiungendo però il divieto di utilizzare molecole di acido nucleico ricombinante onde limitare il numero di tecniche che beneficiano della deroga.

78.      Secondo la Commissione, dovrebbe essere condotta un’analisi caso per caso per determinare se gli organismi ottenuti per mutagenesi possono essere esentati, esaminando i diversi processi utilizzati per modificare il materiale genetico, incluso il possibile utilizzo di molecole di acido nucleico ricombinante o di OGM non esenti. Gli organismi ottenuti per mutagenesi tradizionale (anche in vitro) e con nuove tecniche sono esenti purché soddisfino le condizioni di cui all’allegato I B.

79.      Come sostenuto dalla Commissione, sono del parere che andrebbe operata una sola distinzione pertinente al fine di chiarire l’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi: la precisazione di cui all’allegato I B, vale a dire se la tecnica della mutagenesi comporti «l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di [OGM] diversi da quelli prodotti mediante mutagenesi o fusione cellulare di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali» (in prosieguo: la «precisazione dell’allegato I B») (1). Nessuna ulteriore distinzione dovrebbe – o anche potrebbe – essere operata in via giudiziaria (2).

1)      La precisazione dell’allegato I B

80.      La precisazione dell’allegato I B è stata introdotta nel 2001. Prima di ciò, la normativa precedente, la direttiva 90/220, esentava gli organismi ottenuti per mutagenesi alla sola condizione che «non comportano l’uso di OGM come organismi riceventi o parenti» (27).

81.      Come osservato dalla Commissione, il legislatore dell’Unione ha intenzionalmente deciso di non distinguere tra le tecniche per determinare l’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi. Nel contempo, ha in effetti limitato la deroga al fine di tenere conto dei continui sviluppi tecnologici aggiungendo la precisazione che deriva dall’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante. Si è ritenuto che tale precisazione prendesse sufficientemente in considerazione l’emergere di nuove tecniche di mutagenesi.

82.      Pertanto, già solo a livello testuale, emerge abbastanza chiaramente che non è corretto affermare che, ai sensi della direttiva OGM, vi sarebbe una deroga netta e non qualificata per tutte le tecniche di mutagenesi. Al contrario: la precisazione dell’allegato I B offre una qualificazione significativa.

83.      Una lettura della direttiva OGM sotto il profilo contestuale conferma l’importanza di tale aggiunta del 2001. L’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante è infatti espressamente menzionato nella parte 1 dell’allegato I A come tecnica di modificazione genetica di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a); l’elenco positivo. L’utilizzo di tali molecole potrebbe anche condurre a confutare la presunzione secondo cui le tecniche elencate nella parte 2 dell’allegato I A (vale a dire la fecondazione in vitro, i processi naturali e l’induzione della poliploidia) non sono considerate produttrici di modificazione genetica.

84.      Ne consegue quindi che le tecniche di mutagenesi che soddisfano i criteri stabiliti nell’articolo 2, paragrafo 2, sono esentate dagli obblighi della direttiva OGM a condizione che non comportino l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di organismi geneticamente modificati diversi da quelli prodotti per mutagenesi o fusione cellulare di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali. Se quest’ultima condizione contenuta nell’allegato I B non è soddisfatta, saranno applicati tutti gli obblighi stabiliti dalla direttiva.

85.      In conclusione, potrebbe essere utile menzionare un argomento accessorio. È pacifico che gli Stati membri sono tenuti a trasporre correttamente tutte le disposizioni di una direttiva, compresi i suoi allegati (28). Pur non essendo direttamente oggetto della presente causa, sembrerebbe che l’articolo D.531-2 del codice dell’ambiente (contestato al livello nazionale) sia ancora redatto nei medesimi termini della norma precedente corrispondente all’allegato I B nella direttiva 90/220. Tale misura nazionale di trasposizione non sembra riflettere la precisazione dell’allegato I B, successiva al 2001. Ciononostante, spetta ancora soltanto al giudice del rinvio verificare se sia effettivamente così e, in tal caso, quali conclusioni possono essere tratte da una siffatta constatazione in termini di corretta trasposizione della direttiva OGM all’interno del diritto nazionale.

2)      Ulteriori distinzioni?

86.      Oltre a quella derivante dall’allegato I B, si dovrebbe operare un’ulteriore distinzione tra le tecniche di mutagenesi?

87.      I ricorrenti, i governi francese e dei Paesi Bassi e, in un certo qual modo, anche quello svedese sostengono essenzialmente che le tecniche di mutagenesi dovrebbero essere distinte secondo il loro grado di sicurezza. In particolare, i ricorrenti unitamente al governo francese suggeriscono di interpretare l’ambito di applicazione della deroga della mutagenesi alla luce del considerando 17 della direttiva OGM e del principio di precauzione. A loro avviso ciò dovrebbe condurre alla restrizione interpretativa della deroga della mutagenesi con riferimento alle sole tecniche che erano «provate e testate», e dunque sicure, nel 2001.

88.      Tale argomentazione si svolge sotto due livelli temporali. Per chiarezza espositiva, essi dovrebbero essere mantenuti distinti: in primo luogo si suggerisce che, malgrado quanto indicato in forma scritta, il legislatore dell’Unione intendeva esentare solamente le tecniche sicure nel 2001. In secondo luogo, benché ciò non si sia verificato all’epoca, le condizioni di sicurezza emerse successivamente a quella data dovrebbero condurre oggi, quasi 17 anni dopo, allo stesso risultato di fatto, vale a dire a limitare, nel 2018, la deroga della mutagenesi alle tecniche note e utilizzate nel 2001.

89.      Non condivido tali due affermazioni. A mio avviso, nel 2001 il legislatore intendeva chiaramente ciò che ha affermato per iscritto (i). Per varie ragioni, costituzionali e altresì pratiche, non spetta certamente alla Corte iniziare a riscrivere sotto il profilo giudiziario le definizioni e le categorie contenute in un settore del diritto secondario altamente tecnico e complesso (ii).

i)      L’intenzione del legislatore

90.      I ricorrenti e alcune altre parti interessate si sono basate, in larga misura, sul considerando 17, per giungere alla conclusione che il legislatore dell’Unione intendeva esentare solamente le tecniche di mutagenesi sicura.

91.      Non concordo. Né il testo, né il contesto storico, né la logica interna della direttiva OGM suffragano tale affermazione.

92.      In primo luogo, osservando la formulazione, il considerando 17 dichiara che «[l]a presente direttiva non concerne gli organismi ottenuti attraverso determinate tecniche di modificazione genetica utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza». Ivi non compare alcuna menzione esplicita della mutagenesi. Certamente, a seconda del preciso ambito di applicazione della definizione adottata per la nozione di «modificazione genetica», la mutagenesi, almeno alcuni tipi di essa, è probabilmente inclusa in tale nozione più ampia. Tuttavia, il considerando 17 chiaramente non mira, in modo specifico, alla mutagenesi; pertanto non giustifica il suggerimento che la specifica deroga sia stata introdotta alla luce del considerando medesimo.

93.      In aggiunta, né l’articolo 3 né l’allegato I B (che stabilisce la deroga della mutagenesi) si riferiscono in alcun modo al considerando 17, rispecchiando ad esempio la sua formulazione o utilizzando le sue categorie. Nessuna di tali disposizioni riguarda o giustifica la deroga sulla base della «lunga tradizione di sicurezza» degli organismi esentati. Pertanto, il testo del considerando 17 non trova una chiara riproduzione nelle categorie e nelle definizioni stabilite dalla direttiva OGM.

94.      In secondo luogo, un aspetto forse ancora più importante è che la genesi di tale considerando e della deroga della mutagenesi mostra chiaramente che il considerando 17 semplicemente non può essere utilizzato per interpretare l’articolo 3, paragrafo 1, e l’allegato I B. Volgendo lo sguardo alla genesi della direttiva 90/220, che ha preceduto la direttiva OGM, si deduce che il considerando 17 era stato redatto e inserito dalla Commissione prima che la deroga della mutagenesi fosse persino discussa nelle successive fasi dell’iter legislativo (29). In altri termini, la deroga della mutagenesi è stata inserita solamente dopo e indipendentemente dal considerando 17.

95.      In terzo luogo, dall’economia generale della direttiva OGM si evince che il legislatore dell’Unione non sembrava volesse suddividere la categoria della mutagenesi in base a una precisa tecnica utilizzata e al suo presunto grado di sicurezza. In sede di udienza la Commissione ha dichiarato che il considerando 17 era una semplice affermazione, mentre il Consiglio ha confermato che il legislatore dell’Unione non aveva intenzione di regolamentare le tecniche di mutagenesi, a prescindere dalla loro sicurezza.

96.      Inoltre, all’interno della direttiva OGM, il legislatore dell’Unione ha già operato un certo numero di distinzioni fra i vari metodi indicati negli allegati I A e I B. Pertanto, è lecito presumere che le distinzioni che detto legislatore desiderava operare siano state invero affermate esplicitamente. In un siffatto contesto è difficile sostenere che, a parte queste chiare distinzioni, il legislatore dell’Unione abbia inteso anche aggiungere un nuovo livello di complessità all’intera struttura prevedendo un’ulteriore distinzione implicita tra le differenti tecniche di mutagenesi fondate su un criterio di sicurezza non espresso sul piano normativo.

97.      Pertanto, non nutro alcun dubbio sul fatto che nel 2001 ciò che il legislatore ha redatto corrisponde a quanto intendeva formulare, cioè che gli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi sono esentati dagli obblighi stabiliti nella direttiva OGM a meno che non rientrino nella precisazione dell’allegato I B.

ii)    Interpretazione «congelata» o dinamica?

98.      Oltre alla loro argomentazione su cosa intendesse il legislatore dell’Unione nel 2001, i ricorrenti affermano sostanzialmente che, nel 2018, la deroga della mutagenesi dovrebbe essere interpretata alla luce delle condizioni di fatto che esistevano nel 2001. Pertanto, solamente quelle tecniche sicure che erano regolarmente utilizzate all’epoca dell’adozione della direttiva OGM rientrano nella deroga della mutagenesi. Il motivo addotto per tale interpretazione è dato dal principio di precauzione.

99.      Non sono d’accordo.

100. In via generale, l’interpretazione del diritto, e in particolare di nozioni indeterminate ivi contenute, deve essere dinamica. Deve rispondere all’evoluzione della società, sia sotto il profilo tecnico sia in un’ottica sociale. Le categorie morali si evolvono nel corso del tempo: nel 1818 l’espressione «trattamento degradante» significava probabilmente qualcosa di molto diverso da ciò che si intende nel 2018. Lo stesso dicasi per le definizioni più tecniche, ad esempio «veicolo» o «mezzi di comunicazione». Il suggerimento che l’interpretazione di tali nozioni dovrebbe essere «congelata» nelle circostanze di fatto o sociali vigenti nel momento in cui tali nozioni sono state trasposte nel diritto rappresenterebbe un approccio singolarmente originalista all’interpretazione giuridica, non frequentemente riscontrato da questa parte dell’Atlantico.

101. Più specificatamente, nella presente causa, una categoria generica etichettata come «mutagenesi» dovrebbe logicamente ricomprendere tutte le tecniche che, al momento dato, rilevano per la fattispecie in questione, intese come facenti parte di tale categoria, comprese le nuove.

102. In tale contesto, il principio di precauzione invocato dai ricorrenti è evidentemente inteso come un’eccezione interna al principio generale di interpretazione dinamica del diritto. Presumibilmente, si dovrebbe scattare un’istantanea relativa ai settori o alle questioni che rientrano in detto principio che li congeli nel tempo.

103. Tralasciando per un momento la questione se il principio di precauzione possa essere, effettivamente, attivato nel caso in questione sulla base dei documenti e dei materiali forniti alla Corte (30), mi sembra che se si desidera rimanere nell’ambito dell’interpretazione del diritto, il principio di precauzione dovrebbe giocare un ruolo differente. Come in altri casi di interpretazione del diritto, tale principio può essere utilizzato al fine di interpretare nozioni o categorie incerte, in cui sussistono dubbi circa il loro significato all’interno di limiti semantici ragionevolmente accettabili del testo scritto – in cui vi sono alcune (ugualmente possibili) opzioni al vaglio. Ciò tuttavia non può condurre a riscrivere (31) le disposizioni del testo giuridico contro la loro formulazione, vale a dire contra legem (32).

104. Questo è, in sintesi, il problema costituzionale sotteso alle considerazioni svolte dai ricorrenti. Ciò che questi ultimi stanno effettivamente chiedendo non è un’interpretazione della direttiva OGM ma una riscrittura giudiziaria della stessa, più nello specifico la riscrittura dell’ambito di applicazione della deroga di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’allegato I B, in contrasto con la formulazione della normativa, cercando di inserire in via giudiziaria categorie che chiaramente non sono previste dalla normativa stessa.

105. Ciò, a sua volta, rivela una serie di problemi pratici che scaturiscono dalle considerazioni dei ricorrenti, che sottolineano solo ulteriormente perché tale valutazione debba essere effettuata dal legislatore esperto, e non dai giudici. Per menzionarne solo uno a titolo di conclusione: il criterio proposto dai ricorrenti per tale riscrittura giudiziaria delle attuali norme era includere nell’allegato I B riformulato solo le tecniche che erano sicure ed erano già state regolarmente utilizzate nel 2001. Tuttavia, con quanta precisione si dovrebbero definire tali tecniche? Potrebbero essere di fatto individuate? Che dire delle tecniche che esistevano, erano sicure, ma utilizzate solamente in laboratori selezionati (non regolarmente) nel 2001? Cosa accadrebbe se una tecnica che esisteva nel 2001 fosse stata leggermente modificata nel 2005, ma la ricerca che prefigurava quella modificazione o deroga era già esistente sin dagli anni ’80? Che dire di una tecnica che esisteva ed era utilizzata regolarmente nel 2001, e che allora si credeva fosse sicura, ma solo in seguito fu scoperto che non era del tutto sicura? Incidentalmente, tali sviluppi successivi potrebbero anche essere presi in considerazione in un mondo in cui è la sola conoscenza che esisteva al momento dell’adozione della legge quella che dovrebbe essere rilevante per la sua interpretazione?

106. A volte si dice, forse non proprio come un complimento, che mettere due avvocati in una stanza significa dover affrontare tre differenti pareri giuridici. Si può, tuttavia, lecitamente presumere che, di fronte a criteri elaborati in tal modo, lo stesso possa facilmente affermarsi per i (bio)scienziati, per non parlare delle autorità nazionali di regolamentazione che sarebbero chiamate ad applicare tali criteri.

107. Di conseguenza, suggerirei alla Corte di rispondere alla prima questione come segue:

–        a condizione che soddisfino i criteri sostanziali indicati nell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2001/18, gli organismi ottenuti per mutagenesi costituiscono organismi geneticamente modificati ai sensi di tale direttiva;

–        la deroga prevista all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B della stessa riguarda tutti gli organismi ottenuti con qualsiasi tecnica di mutagenesi, a prescindere dal loro utilizzo alla data di adozione di tale direttiva, a condizione che non comportino l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di organismi geneticamente modificati diversi da quelli prodotti con uno o più metodi di cui all’allegato I B.

B.      Terza questione

108. Con la terza questione il giudice del rinvio chiede alla Corte di stabilire se la direttiva OGM costituisca una misura di armonizzazione completa o parziale in relazione agli organismi ottenuti per mutagenesi. Lo scopo precipuo di tale questione consiste nell’accertare se gli Stati membri possano adottare norme (nazionali) sulla mutagenesi nonostante essa sia esentata dagli obblighi stabiliti dalla direttiva, e/o se nel corso del processo di trasposizione della direttiva OGM essi possano altresì applicare alla mutagenesi gli obblighi previsti dalla direttiva.

109. Nelle sue osservazioni scritte la Commissione ha sostenuto che tale questione è irricevibile. Non sono d’accordo, e dovrò anzitutto spiegare perché ritengo la questione ricevibile e, successivamente, perché gli Stati membri sono, in linea di principio, liberi di disciplinare gli organismi ottenuti per mutagenesi.

110. Per quanto riguarda la ricevibilità, la Commissione ritiene che la terza questione sia ipotetica. Il ricorso presentato dinanzi al giudice del rinvio contesta la legittimità dell’articolo D. 531-2 del codice dell’ambiente in quanto tale norma esenta gli organismi ottenuti per mutagenesi dagli obblighi stabiliti dalle misure nazionali di trasposizione della direttiva OGM. Secondo la Commissione, i ricorrenti non mirano a ottenere la dichiarazione d’invalidità di tale norma nazionale nella misura in cui quest’ultima oltrepassi i requisiti della direttiva imponendo obblighi che questa non prevede. In tale contesto, la questione se gli Stati membri godano di discrezionalità nel disciplinare la mutagenesi sarebbe ipotetica.

111. Non condivido questa tesi. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, i rinvii dei giudici nazionali godono di una presunzione di rilevanza (33). Nel caso di specie, non mi sembra affatto evidente che tale presunzione sia stata superata, bensì il contrario.

112. Nel procedimento principale i ricorrenti hanno chiesto al giudice del rinvio di imporre una moratoria sulle varietà di piante rese tolleranti agli erbicidi, ottenute per mutagenesi. Sebbene non spetti alla Corte stabilire se il giudice del rinvio goda dei poteri necessari per adottare tali misure, la terza questione sollevata dal giudice del rinvio sembra rilevante per determinare se gli Stati membri possano effettivamente oltrepassare la direttiva OGM e decidere se assoggettare gli organismi ottenuti per mutagenesi agli obblighi stabiliti dalla medesima o a norme puramente nazionali.

113. La sussistenza e l’entità della discrezionalità di cui godono gli Stati membri dipendono dal grado di armonizzazione di un determinato ambito, in quanto garantito da una direttiva. In caso di completa armonizzazione di un settore del diritto, gli Stati membri non possono disciplinare tale settore poiché l’Unione ha già completamente agito in tal senso. Gli Stati membri non hanno più autonomia e discrezionalità sostanziale al fine di adottare misure di carattere generale (34). Il loro margine di discrezionalità non oltrepassa quanto lasciato loro dalla misura di armonizzazione. D’altra parte, in caso di armonizzazione parziale, gli Stati membri sono ancora liberi di adottare misure di carattere generale, purché rispettino nel complesso gli obblighi previsti dal diritto primario dell’Unione (35).

114. In quest’ottica, e naturalmente senza ostacolare in alcun modo la suddivisione di competenze interna dello Stato membro, posso comprendere il motivo per cui un giudice nazionale ponga tale questione. Pertanto, la terza questione è ricevibile.

115. Per quanto riguarda il merito di tale questione, esso si riduce al tema relativo alla scelta legislativa operata dal legislatore dell’Unione con riguardo alla mutagenesi. La deroga della mutagenesi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva OGM e all’allegato I B della stessa può essere interpretata in due modi.

116. Da un lato, si potrebbe suggerire che, in relazione alla mutagenesi, il legislatore dell’Unione abbia operato una scelta legislativa. Esso ha compiuto una valutazione e, sulla base di questa valutazione, è giunto alla conclusione che tutte le tecniche di mutagenesi devono essere esenti in quanto sicure. Se così fosse, il legislatore suddetto non avrebbe soltanto esentato la mutagenesi dagli obblighi contenuti nella direttiva, ma avrebbe anche logicamente vietato agli Stati membri di disciplinare a livello nazionale gli organismi ottenuti con tale metodo. In tal caso, il legislatore dell’Unione sarebbe come un architetto che ha deciso di avere nella propria casa una stanza chiamata «mutagenesi» e di tenerla vuota.

117. Dall’altro si potrebbe anche sostenere che, inserendo la deroga della mutagenesi, il legislatore dell’Unione non abbia affermato alcunché circa la sua sicurezza. L’esclusione significa semplicemente che il menzionato legislatore non ha voluto disciplinare tale questione a livello dell’Unione. Ciò indicherebbe dunque che lo spazio resta libero e, a condizione che gli Stati membri rispettino i loro obblighi complessivi previsti dal diritto dell’Unione, essi possono legiferare sugli organismi ottenuti per mutagenesi. In tal caso, l’architetto ha in realtà deciso di lasciare fuori dalla propria casa quello spazio denominato «mutagenesi».

118. Sono del parere che la seconda interpretazione della deroga della mutagenesi sia quella corretta.

119. In primo luogo, come ho già spiegato, non vi è alcun chiaro sostegno testuale o storico nella formulazione della direttiva OGM a favore della tesi secondo cui la deroga della mutagenesi sia stata introdotta specificamente perché il legislatore dell’Unione è giunto alla ferma conclusione che tutte le tecniche di mutagenesi erano sicure (36). Così, non vi è alcuna traccia di esplicite valutazioni legislative effettuate in proposito.

120. In secondo luogo, su un piano più astratto, come rilevato in modo pertinente dal Parlamento europeo in udienza, difficilmente si può presumere che un legislatore ragionevole possa mai dichiarare, in blocco e per il futuro, che qualcosa sia talmente sicuro da non richiedere alcuna regolamentazione, a livello dell’Unione o di Stato membro.

121. In terzo luogo, in sede di udienza il Consiglio ha confermato che, per quanto possa accertarsi tenendo conto della sporadica documentazione scritta disponibile per quel periodo, esso (l’organismo dell’iter legislativo che ha di fatto inserito la deroga della mutagenesi nel testo (37)) non aveva intenzione di dichiarare che tutte le tecniche di mutagenesi fossero sicure.

122. Infine, come nota piuttosto sussidiaria ma pienamente in linea con l’esposto approccio dinamico all’interpretazione giuridica (38), si potrebbe anche aggiungere che vietare agli Stati membri di legiferare sulla base di un’indiscutibile presunzione di sicurezza della mutagenesi mal si concilierebbe con gli ultimi sviluppi della normativa relativa agli OGM all’interno dell’Unione europea. Oggi, la direttiva (UE) 2015/412 (39) consente realmente agli Stati membri di vietare l’emissione e l’immissione in commercio di prodotti oggetto della direttiva OGM. Ciò sembra indicare una certa rinazionalizzazione delle competenze nel settore degli OGM. In un simile contesto, escludere la mutagenesi da una tendenza applicabile agli OGM in generale sarebbe alquanto sorprendente.

123. In questo scenario sono del parere che gli Stati membri hanno la competenza per disciplinare gli organismi ottenuti per mutagenesi, a condizione che rispettino i loro obblighi generali di diritto dell’Unione, derivanti sia dal diritto secondario sia dalle norme di diritto primario, come gli articoli 34 e 36 TFUE.

124. Propongo pertanto di rispondere alla terza questione nei seguenti termini: la direttiva 2001/18 non vieta agli Stati membri di adottare misure di regolamentazione della mutagenesi, a condizione che, nel farlo, rispettino gli obblighi di carattere generale derivanti dal diritto dell’Unione.

C.      Quarta questione

125. La quarta questione riguarda la validità della deroga della mutagenesi prevista dalla direttiva OGM. Essa si basa sulla premessa che, se il principio di precauzione non può essere utilizzato efficacemente al fine di interpretare la deroga della mutagenesi in modo verosimilmente compatibile con tale principio, il medesimo potrebbe essere fatto valere per contestare la validità della direttiva in relazione all’ambito di applicazione della deroga.

126. Nella sua ordinanza di rinvio, il giudice nazionale distingue fra le tecniche di mutagenesi in base al fatto che siano antecedenti o successive all’adozione della direttiva OGM. Per quanto riguarda le tecniche antecedenti, il giudice del rinvio ritiene che l’argomento secondo il quale la direttiva OGM ha violato il principio di precauzione all’epoca dell’adozione di tale atto normativo potrebbe essere respinto perché i metodi tradizionali di mutagenesi casuale sono stati utilizzati per diversi decenni senza generare rischi identificati per l’ambiente o la salute. Circa le tecniche successive, il giudice citato rileva che, dopo l’adozione della direttiva, sono state ottenute nuove varietà resistenti a un erbicida, grazie alle tecniche di mutagenesi casuale in vitro e alle tecniche di mutagenesi sito diretta. Lo sviluppo di nuove tecniche consente un’accelerazione nella produzione di modificazioni del patrimonio genetico del tutto sproporzionata rispetto alle modificazioni che possono intervenire naturalmente o casualmente.

127. Secondo il giudice del rinvio vi è attualmente incertezza scientifica sugli effetti delle nuove tecniche e i potenziali rischi che possono derivarne per l’ambiente nonché per la salute umana e animale. Non vi è stata alcuna valutazione del rischio prima della commercializzazione delle varietà non transgeniche, né monitoraggio e tracciabilità successivamente alla loro immissione sul mercato. Le uniche valutazioni, per quanto riguarda le varietà tolleranti agli erbicidi, sono state effettuate nell’ambito della procedura di autorizzazione all’immissione sul mercato.

128. Il giudice del rinvio afferma inoltre che, data la mancanza di valutazione e monitoraggio, possono esservi rischi derivanti dagli effetti non intenzionali sul genoma risultanti dalla tecnica di modificazione genetica impiegata o dalle caratteristiche della pianta che può essere ottenuta. Tali rischi sono connessi all’impatto sull’ambiente e la salute umana e animale della coltivazione di varietà geneticamente modificate resistenti a un erbicida. Essi sono parzialmente simili a quelli che potrebbero derivare da sementi prodotte mediante transgenesi. Poiché la modificazione diretta del genoma consente di ottenere gli stessi effetti dell’introduzione di un gene estraneo, il rischio di danni potrebbe derivare dalle proprietà delle piante così ottenute.

129. Pertanto, in considerazione della comparsa di nuove varietà di piante ottenute grazie a nuove tecniche di mutagenesi e dell’impossibilità di stabilire con certezza l’esistenza e la portata dei rischi che ne derivano, la validità della direttiva OGM potrebbe essere messa in discussione sulla base del principio di precauzione, nella misura in cui persista la probabilità di un danno reale qualora i rischi asseriti si realizzassero.

130. Sottolineo in primo luogo che, pur potendo nutrire alcuni dubbi su alcune affermazioni del giudice del rinvio, non spetta alla Corte partecipare a discussioni sui fatti. Vorrei tuttavia delineare un elemento chiave che sembra permeare l’ordinanza di rinvio (nonché, in relazione a tale questione, le osservazioni dei ricorrenti). Si suggerisce che, in mancanza di valutazione e monitoraggio degli organismi ottenuti per mutagenesi, vi è il pericolo di un rischio che dovrebbe innescare il principio di precauzione. In altri termini, si ritiene che la mancanza di monitoraggio, unitamente all’assenza di dati scientifici definitivi attestanti che gli organismi ottenuti per mutagenesi sono sicuri, sia ciò che comporti una violazione del principio di precauzione, con possibile giustificazione dell’annullamento degli articoli 2 e 3 della direttiva OGM e degli allegati I A e I B della stessa.

1.      Il parametro dell’esame di validità: «congelamento n. 2»?

131. Prima di passare alla vera e propria valutazione della validità nella presente causa si dovrebbe chiarire l’elemento temporale relativo a tale valutazione. La Corte è chiamata a valutare la validità degli articoli 2 e 3 della direttiva OGM unitamente agli allegati I A e I B della stessa nelle attuali condizioni, ossia alla luce degli ultimi sviluppi della mutagenesi.

132. Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, la validità di un atto di diritto secondario deve essere valutata, in linea di principio, in base ai fatti e alle circostanze esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato. Una valutazione in base ai fatti e alle circostanze esistenti in un momento successivo è eccezionale (40).

133. Ritengo che tale affermazione, fatta valere dalla Commissione e dal Consiglio nel presente procedimento, debba essere adeguata in relazione al tipo di misura contestata e ai motivi della contestazione effettuata.

134. Considerando il tipo di misura dell’Unione contestata, può emergere una differenza di approccio in relazione alla valutazione di singole misure (decisioni amministrative) e misure legislative. Le prime sono per natura piuttosto retrospettive: stabiliscono i diritti e gli obblighi di un determinato gruppo di soggetti con riguardo a un certo momento nel tempo. Stabilire i diritti e gli obblighi in tal modo sarà certamente rilevante anche per il futuro. Tuttavia, per tale decisione sono stati invero determinanti i fatti e il diritto al momento della sua adozione. Al contrario, le misure realmente legislative sono invece per natura prospettiche: mirano a disciplinare un numero indeterminato di situazioni che possono verificarsi in futuro. Per le misure legislative, le successive evoluzioni delle realtà sociali e di fatto assumono maggiore rilevanza (41).

135. Ciò si connette ai motivi della contestazione, che risulta particolarmente rilevante in relazione alle misure legislative. Come emerge chiaramente nella presente causa, tali motivi possono riferirsi a: i) i fatti o i motivi che il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto prendere in considerazione al momento dell’adozione dell’atto; e/o ii) quelli sopravvenuti dopo tale momento.

136. La contestazione in esame è principalmente di quest’ultimo genere. In questo tipo di contestazioni, non si suggerisce ovviamente che il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto essere chiaroveggente e prevedere il futuro nel 2001. In relazione alle scelte legislative compiute nel 2001 il parametro dell’esame resta naturalmente costituito dai fatti e dal diritto del 2001.

137. Il motivo della contestazione è di natura leggermente diversa: si suggerisce in realtà che il legislatore dell’Unione ha omesso di reagire dopo l’adozione della misura a nuove e importanti evoluzioni tecniche e scientifiche mediante modifiche o altri adeguamenti. Tuttavia, se in considerazione di tale affermazione si riconferma la formula ordinaria secondo la quale la validità di un «atto di diritto è valutata, in linea di principio, in base ai fatti e alle circostanze esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato», ogni evoluzione successiva diverrebbe irrilevante in relazione alla questione della validità dell’atto giuridico dell’Unione.

138. A mio avviso, tale approccio non sarebbe corretto. È logico che il dinamismo nel diritto è un’arma a doppio taglio: se l’evoluzione tecnica o sociale può alimentare l’interpretazione di definizioni e categorie indefinite (42), allora gli stessi elementi devono essere rilevanti anche nel contesto del successivo esame giudiziale di validità.

139. A mio parere, sussiste un obbligo costituzionale in base al quale la normativa deve essere pertinente, ossia atta a rispondere alle esigenze tecniche e sociali e, purché necessario in vista della successiva evoluzione, aggiornata. Nei lucidi termini già utilizzati dall’avvocato generale Mischo (43) e ripresi anche altrove in un diverso contesto (44): è dovere del legislatore mantenere le norme che ha stabilito ragionevolmente aggiornate. Questo non vuol dire necessariamente, in un ordinamento giuridico che prevede delle attribuzioni di competenze, che esista un dovere di legiferare, un dovere di coprire nuovi settori. Vi è però sicuramente un dovere di mantenere i settori già coperti (45).

140. Così, il contenuto esatto di tale contestazione di validità non è «l’omessa considerazione di qualcosa al momento dell’adozione dello strumento originario», ma in realtà «il non aver mantenuto aggiornato tale strumento in seguito». L’inadempimento di tale obbligo potrebbe tradursi, in casi estremi di mancata reattività tecnica o sociale, in una possibile dichiarazione di invalidità delle specifiche disposizioni legislative per inattività, segnatamente per non aver proceduto a modifiche. Vorrei sottolineare la natura davvero eccezionale di tale passo, che può essere previsto soltanto in casi di chiara e massima difformità fra la realtà che è cambiata e la normativa effettivamente obsoleta.

141. A mio parere, il dovere legislativo di aggiornamento è generale. Tuttavia non rivela la stessa forza in tutti i possibili settori di regolamentazione. Il ruolo e il valore precipuo del principio di precauzione è che, nei settori e per le questioni cui tale principio si applica, il citato dovere diventa fondamentale. Nei settori sensibili cui tale principio è applicabile, sono richiesti cautela e monitoraggio estremi, il che si traduce nella necessità di regolari aggiornamenti e revisioni da parte del legislatore.

142. Pertanto, in risposta alle opinioni formulate dal Consiglio e dalla Commissione, non concordo con la tesi secondo cui la validità di una misura di diritto dell’Unione, certamente in relazione alla possibile e futura normativa applicabile avente natura generale, debba essere valutata esclusivamente con riferimento ai fatti e alle conoscenze correnti al momento dell’adozione di tale normativa. Se il motivo di contestazione della validità è il fatto di non aver tenuto in considerazione fatti o circostanze già noti al momento dell’adozione di detta normativa, un’istantanea di tale valutazione li «congela» ovviamente in quel modo. Vi è, però, un altro motivo di possibile contestazione della validità, che ho esposto nella presente sezione. L’oggetto dello stesso, per definizione, si rivolge alle condizioni attuali: il sindacato giurisdizionale dell’adempimento del dovere di mantenere la normativa ragionevolmente aggiornata, con particolare attenzione al principio di precauzione, che inevitabilmente comporta che tale sindacato si svolga ex post.

2.      Il caso di specie

143. Nel caso di specie non ravviso motivi derivanti dal dovere generale di aggiornare la normativa, rafforzato nel presente caso dal principio di precauzione, che potrebbero incidere sulla validità della deroga della mutagenesi prevista sia all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva OGM sia all’allegato I B della stessa.

144. In primo luogo, il legislatore dell’Unione non può sicuramente essere censurato per non aver esercitato la propria discrezionalità nel settore degli OGM, sia in generale sia con specifico riguardo alla deroga della mutagenesi. La direttiva OGM e la disciplina in questo settore sono state invero regolarmente discusse e aggiornate. La stessa direttiva OGM del 2001 non solo è il risultato di una modifica alla precedente direttiva 90/220, ma è stata ancora modificata nel 2008 (46). Prima del 2015 di nuovo il sistema è stato cambiato consentendo agli Stati membri di vietare sui loro territori la coltivazione di OGM per diversi motivi (47). Inoltre, la direttiva OGM prevede il suo stesso adattamento, richiedendo all’articolo 27 l’adeguamento al progresso tecnico di vari allegati, sebbene non degli allegati I A o I B.

145. Anche la deroga della mutagenesi è stata regolarmente modificata, ad esempio nel 2001, quando la precisazione di cui all’allegato I B è stata circoscritta, con l’aggiunta della condizione che la mutagenesi è esente soltanto se non comporta l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di OGM diversi da quelli prodotti mediante una o più tecniche di cui all’allegato I B (48). Così, non si può di certo affermare che il legislatore dell’Unione non abbia aggiornato la normativa pertinente.

146. In secondo luogo, nella misura in cui si tratta dell’attivazione del principio di precauzione, in base agli elementi presentati alla Corte, sembra esservi una conoscenza piuttosto limitata sui rischi concreti per la salute o per l’ambiente nel caso in esame.

147. Si può ricordare (49) che la Corte ha già chiaramente statuito che le misure di tutela «non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente. Al contrario, siffatte misure di tutela, nonostante il loro carattere provvisorio e ancorché rivestano un carattere preventivo, possono essere adottate solamente se fondate su una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, che dimostrino che tali misure sono necessarie» (50).

148. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in base al principio di precauzione, con «incertezza del rischio» non si intendono meri dubbi generici. Occorre individuare rischi concreti per la salute umana e l’ambiente, avvalorati da un numero minimo di ricerche scientifiche serie e indipendenti. Il timore di un rischio, o il pericolo di un rischio, non è sufficiente.

149. A tal proposito, il ruolo della Corte è intrinsecamente limitato. Non è di certo sua competenza confrontare e valutare argomenti scientifici. Questo è compito del legislatore o dell’organo esecutivo dell’Unione. Pur riconoscendo e rispettando le diverse sensibilità e preoccupazioni sollevate dalla più ampia questione degli OGM, i documenti presentati alla Corte sono, a mio parere, lontani dal dimostrare una chiara difformità fra la normativa applicabile e la conoscenza scientifica che, nelle ipotesi estreme sopra delineate, possa comportare un intervento della Corte (51).

150. In terzo luogo, come consegue dalla risposta fornita alla terza questione (52), gli obblighi derivanti dalla direttiva OGM non si applicano ad (alcuni tipi di) mutagenesi. La deroga della mutagenesi non impedisce tuttavia agli Stati membri di adottare misure che regolamentino tale sotto-settore. A fortiori, gli Stati membri possono adottare misure provvisorie di tutela sulla base del principio di precauzione o di norme al riguardo in base al diritto nazionale.

151. Questo terzo elemento è alquanto importante: sarà naturalmente diverso il livello di responsabilità nel dovere di provvedere ai pertinenti aggiornamenti legislativi che sussisterà nei settori in cui l’Unione europea esercita le sue competenze, rispetto a quelli in cui anche gli Stati membri hanno diritto di legiferare. È nella prima ipotesi che il dovere sussisterà con chiarezza: chi afferma di avere l’esclusiva su una certa attività deve effettivamente esercitare tale attività, purché sia necessario. Per contro, lo stesso dovere sarà molto meno stringente, o addirittura inesistente, se una parte che si considera interessata può farlo da sé.

152. Per tali ragioni, suggerirei alla Corte di rispondere nel senso che l’esame della quarta questione sollevata non ha rivelato alcun fattore tale da incidere sulla validità degli articoli 2 e 3 della direttiva OGM e degli allegati I A e I B della stessa.

D.      Seconda questione

153. Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la deroga prevista all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva OGM e all’allegato I B della stessa si applichi anche nel contesto della direttiva 2002/53. La ragione di tale questione risiede nel fatto che all’articolo 4, paragrafo 4, la direttiva 2002/53 opera un rimando alle definizioni di OGM contenute soltanto nell’articolo 2, punti 1 e 2, della direttiva 90/220 (predecessore dell’attuale direttiva OGM), senza fare riferimento alla deroga della mutagenesi di cui all’articolo 3, paragrafo 1. Inoltre, la direttiva 2002/53 non contiene alcuna esenzione relativa alla mutagenesi in sé.

154. Ritengo che la direttiva 2002/53 debba essere interpretata alla luce della deroga della mutagenesi contenuta nella direttiva OGM in modo da escludere un’applicazione indiretta di quest’ultima alle varietà delle specie di piante agricole ottenute per mutagenesi. Dovrò in primo luogo esporre gli esiti che deriverebbero da un’interpretazione puramente letterale della direttiva 2002/53, prima di chiarire perché la direttiva 2002/53 deve essere interpretata conformemente alla direttiva OGM.

155. La direttiva 2002/53 stabilisce obblighi generali che si applicano alle varietà delle specie di piante agricole: in particolare devono essere sottoposte a un esame ufficiale prima di essere accettate ai fini dell’inclusione nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole. Nel contempo, come si evince dall’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva citata, tale atto normativo contiene obblighi specifici per quelle varietà delle specie di piante agricole geneticamente modificate ai sensi dell’articolo 2, punti 1 e 2, della precedente direttiva 90/220. In particolare, l’articolo 7, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2002/53 richiede che la valutazione del rischio per l’ambiente sia analoga a quella prevista dalla direttiva 90/220.

156. Tuttavia, la direttiva 2002/53 non fa alcuna menzione di eventuali esenzioni applicabili agli organismi ottenuti per mutagenesi. Pertanto i ricorrenti affermano che le varietà ottenute per mutagenesi sono varietà geneticamente modificate ai sensi della direttiva 2002/53 e dovrebbero essere soggette, a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, lettera a), a «una valutazione del rischio per l’ambiente analoga» a quella prevista dalla direttiva OGM.

157. Prima facie, la conclusione tratta dai ricorrenti sulla base del testo è corretta. Come stabilito supra (53), gli organismi ottenuti per mutagenesi possono costituire OGM ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva OGM, purché soddisfino i criteri sostanziali enunciati in tale disposizione. In quanto tali, detti organismi dovrebbero anche essere sottoposti alla più rigida valutazione del rischio prevista dall’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2002/53.

158. Tuttavia, tale interpretazione puramente letterale della direttiva 2002/53 è difficilmente accettabile. Essa condurrebbe a un esito sistematicamente assurdo, in base al quale determinati obblighi della direttiva OGM (un analogo genere di valutazione del rischio per l’ambiente) si applicherebbero indirettamente a organismi che sono esenti da qualsiasi obbligo previsto da quest’ultima direttiva.

159. Di conseguenza, ritengo che la direttiva 2002/53 debba essere interpretata alla luce della direttiva OGM in modo che, sebbene si tratti di varietà geneticamente modificate, gli organismi ottenuti per mutagenesi siano esentati dagli obblighi specifici previsti dalla direttiva 2002/53.

160. Due argomenti sistematici militano a favore di tale interpretazione della direttiva 2002/53 in conformità con la direttiva OGM.

161. In primis, dovrebbe esservi coerenza interna nella direttiva 2002/53. Così, l’articolo 4, paragrafo 4, deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 4, lettera a), della medesima direttiva. Come osservato in particolare dal governo francese, sarebbe incoerente imporre lo stesso genere di obblighi, per quanto riguarda la valutazione del rischio per l’ambiente, alle varietà geneticamente modificate ai sensi della direttiva 2002/53, dal momento che sono esplicitamente esentate da tali obblighi ai sensi della direttiva OGM. Pertanto, la deroga della mutagenesi dovrebbe applicarsi anche nel contesto della direttiva 2002/53.

162. In secondo luogo, dovrebbe esservi anche coerenza esterna fra la direttiva 2002/53 e gli atti di diritto secondario che disciplinano gli OGM. Diversamente dalla direttiva OGM e da altri atti di diritto secondario che escludono espressamente la mutagenesi dal loro ambito di applicazione (54), la direttiva 2002/53 non riguarda in via principale gli OGM. Essa disciplina in generale talune varietà delle specie di piante agricole. Certamente non mira a disciplinare in primo luogo gli OGM, ma li contempla soltanto incidentalmente, al fine di evidenziare la loro particolarità e il fatto che sono regolati da norme specifiche che dovranno prevalere su quelle generali.

163. Ne consegue che la direttiva 2002/53 non può essere considerata lex specialis rispetto alla direttiva OGM. È piuttosto il contrario. La direttiva 2002/53 è la lex generalis che si applica a un insieme complessivo di varietà delle specie di piante agricole, comprese le varietà geneticamente modificate. Sarebbe difficile concepire che prodotti esentati dagli obblighi previsti dalla normativa specializzata e specifica per gli OGM dovessero soddisfare analoghi obblighi sostanziali sulla base di un elemento della normativa dell’Unione che disciplina principalmente un diverso settore e che riguarda gli OGM solo incidentalmente.

164. Per la stessa ragione non si dovrebbe trarre una conclusione eccessivamente drastica dal fatto che, diversamente dai summenzionati strumenti di diritto secondario che disciplinano gli OGM, la direttiva 2002/53 non esclude espressamente gli organismi ottenuti per mutagenesi dalla definizione di varietà geneticamente modificate ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, della stessa. Ancora una volta, detta direttiva non disciplina in via principale gli OGM. Essa contiene essenzialmente obblighi generali di esame che si applicano anche agli organismi ottenuti per mutagenesi, non in quanto varietà geneticamente modificate, ma in quanto sottoinsieme di varietà delle specie di piante agricole.

165. Alla luce di quanto precede, sono del parere che è necessario interpretare la direttiva 2002/53 prendendo in considerazione l’ambito di applicazione della direttiva OGM e concludere che la deroga prevista in quest’ultima si applica anche alla direttiva 2002/53. Così, gli organismi creati per mutagenesi sono soggetti all’obbligo generale previsto nella direttiva 2002/53 applicabile a tutte le categorie di varietà delle specie di piante agricole ai fini dell’inserimento nel catalogo comune. Non sono però soggetti agli specifici obblighi previsti per le varietà geneticamente modificate.

166. È forse opportuno formulare un’osservazione conclusiva, in particolare in considerazione delle ripetute affermazioni effettuate nel presente procedimento secondo cui gli organismi ottenuti per mutagenesi sfuggono a qualsiasi controllo e vigilanza. Si potrebbe ricordare che, come osservato dalla Commissione, gli organismi ottenuti per mutagenesi, anche quelli che non ricadono nella precisazione di cui all’allegato I B e non sono quindi disciplinati dalla direttiva OGM, possono essere soggetti, se del caso, agli obblighi che derivano da altre misure di diritto secondario dell’Unione, quali la normativa dell’Unione sulle sementi (55) o quella sui pesticidi (56). È chiaro così che anche obblighi derivanti da vari altri strumenti di diritto secondario dell’Unione possono applicarsi agli organismi ottenuti per mutagenesi, oltre a quelli risultanti dalla direttiva 2002/53.

167. Di conseguenza, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nei seguenti termini: la direttiva 2002/53 deve essere interpretata nel senso che esenta le varietà ottenute per mutagenesi dagli obblighi specifici ivi previsti ai fini dell’ammissione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo comune delle specie di piante agricole.

V.      Conclusione

168. Alla luce delle considerazioni che precedono propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) nel modo seguente:

1)      A condizione che soddisfino i criteri sostanziali di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, gli organismi ottenuti per mutagenesi costituiscono organismi geneticamente modificati ai sensi di tale direttiva.

La deroga prevista all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B della stessa, riguarda tutti gli organismi ottenuti con qualsiasi tecnica di mutagenesi, a prescindere dal loro utilizzo alla data di adozione di tale direttiva, a condizione che non comportino l’impiego di molecole di acido nucleico ricombinante o di organismi geneticamente modificati diversi da quelli prodotti con uno o più metodi di cui all’allegato I B.

2)      La direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole deve essere interpretata nel senso che esenta le varietà ottenute per mutagenesi dagli obblighi specifici ivi previsti ai fini dell’ammissione delle varietà geneticamente modificate nel catalogo comune delle specie di piante agricole.

3)      La direttiva 2001/18 non vieta agli Stati membri di adottare misure che disciplinano la mutagenesi, a condizione che, nel farlo, rispettino gli obblighi di carattere generale derivanti dal diritto dell’Unione.

4)      L’esame della quarta questione sollevata non ha rivelato alcun fattore in grado di incidere sulla validità degli articoli 2 e 3 della direttiva 2001/18/CE e degli allegati I A e I B della stessa.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU 2001, L 106, pag. 1).


3      Direttiva del Consiglio, del 13 giugno 2002 (GU 2002, L 193, pag. 1).


4      Direttiva del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (GU 1990, L 117, pag. 15).


5      Réseau Semences Paysannes; les Amis de la Terre France; Collectif Vigilance OGM e Pesticides 16; Vigilance OG2M; CSFV 49; OGM dangers; Vigilance OGM 33; e Fédération Nature & Progrès.


6      Riprodotto supra al paragrafo 22 delle presenti conclusioni.


7      Per un precedente esempio riguardante altri principi nel contesto francese, v. sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728).


8      Pertanto, rientra evidentemente nella situazione contemplata dalla Corte nella sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punti da 54 a 56).


9      A tale proposito, il giudice del rinvio afferma che «il principio di precauzione garantito dalle disposizioni dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE presenta un ambito di applicazione che assicura l’efficacia del rispetto del principio costituzionale di cui i ricorrenti lamentano la violazione».


10      La parte 1 dell’allegato I A elenca, in modo non esaustivo, tre diverse tecniche che in qualche modo comportano l’inserimento artificiale, mediante metodi che non si verificano per natura, di materiale ereditabile in un organismo ospite.


11      Sembrerebbe che l’ODM consista nell’introdurre nelle cellule una breve sequenza di DNA che causerà una mutazione nella cellula identica alla cellula che trasporta l’oligonucleotide.


12      La SDN1 utilizza diversi tipi di proteine (nucleasi a dita di zinco, TALEN, CRISPR/Cas9) in grado di tagliare o modificare il DNA.


13      Per una discussione dettagliata della giurisprudenza dei giudici dell’Unione v., ad esempio, Da Cruz Vilaça, J. L., «The Precautionary Principle in EC Law», in EU Law and Integration: Twenty Years of Judicial Application of EU Law, Hart Publishing, 2014, pagg. da 321 a 354.


14      V., nel contesto dell’insorgenza della BSE (encefalopatia spongiforme bovina), sentenza del 5 maggio 1998, National Farmers’ Union e a. (C‑157/96, EU:C:1998:191, punto 63).


15      V., ad esempio, articolo 23 della direttiva OGM e articolo 12 del regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 1997, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GU 1997, L 43, pag. 1). Per quanto riguarda la qualifica di quest’ultimo come specifica applicazione del principio di precauzione, v., nello specifico, sentenza del 9 settembre 2003, Monsanto Agricoltura Italia e a. (C‑236/01, EU:C:2003:431, punto 110).


16      V., ad esempio, articoli 8 e 20 della direttiva OGM (e, per quanto riguarda la normativa precedente, sentenza del 21 marzo 2000, Greenpeace France e a. (C‑6/99, EU:C:2000:148, punto 44); o articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2000/29/CE del Consiglio, dell’8 maggio 2000, concernente le misure di protezione contro l’introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità (GU 2000, L 169, pag. 1). In relazione a quest’ultima, v. sentenza del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428).


17      V., ad esempio, sentenze del 23 settembre 2003, Commissione/Danimarca (C‑192/01, EU:C:2003:492, punti da 42 a 54); del 28 gennaio 2010, Commissione/Francia (C‑333/08, EU:C:2010:44, punti da 85 a 93); e del 19 gennaio 2017, Queisser Pharma (C‑282/15, EU:C:2017:26, punti da 45 a 47).


18      V., ad esempio, sentenze del 2 dicembre 2004, Commissione/Paesi Bassi (C‑41/02, EU:C:2004:762, punto 53), del 28 gennaio 2010, Commissione/Francia (C‑333/08, EU:C:2010:44, punto 92), e del 19 gennaio 2017, Queisser Pharma (C-282/15, EU:C:2017:26, punto 56).


19      V., ad esempio, sentenze dell’8 settembre 2011, Monsanto e a. (C‑58/10 e C‑68/10, EU:C:2011:553, punto 77), e del 13 settembre 2017, Fidenato e a. (C‑111/16, EU:C:2017:676, punto 51).


20      V., ad esempio, sentenze del 2 dicembre 2004, Commissione/Paesi Bassi (C‑41/02, EU:C:2004:762, punto 54); del 28 gennaio 2010, Commissione/Francia (C‑333/08, EU:C:2010:44, punto 93); e del 19 gennaio 2017, Queisser Pharma (C‑282/15, EU:C:2017:26, punto 57).


21      Per un esame comparativo dell’articolo 7 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU 2002, L 31, pag.1) e dell’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU 2003, L 268, pag. 1), v., ad esempio, le mie conclusioni nella causa Fidenato (C‑111/16, EU:C:2017:248).


22      V. anche le mie conclusioni nella causa Queisser Pharma (C‑282/15, EU:C:2016:589, paragrafi 53 e 54).


23      V. supra, paragrafo 43 delle presenti conclusioni.


24      V., in particolare, articolo 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003 e articolo 3, punto 2, del regolamento (CE) n. 1946/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, sui movimenti transfrontalieri degli organismi geneticamente modificati (GU 2003, L 287, pag. 1).


25      Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno presentato osservazioni soltanto in ordine alla questione della validità della direttiva OGM.


26      Direttiva 90/220.


27      Allegato I B della direttiva 90/220.


28      In tal senso v., ad esempio, sentenze del 23 aprile 2009, Commissione/Belgio (C‑287/07, non pubblicata, EU:C:2009:245, punti da 71 a 80), e del 27 ottobre 2011, Commissione/Polonia (C‑311/10, non pubblicata, EU:C:2011:702, punti 64 e 69).


29      Il contenuto del considerando 17 si poteva già rinvenire, benché in termini leggermente diversi, nel settimo considerando della proposta iniziale della Commissione che alla fine ha portato alla direttiva 90/220 [COM(88)160 def.]. Tuttavia, per quanto è possibile accertare, la deroga della mutagenesi è stata inserita solo nella versione finale di tale direttiva dal Consiglio, forse anche sotto l’influenza del Comitato economico e sociale che, per la prima volta, ha avanzato la nozione di mutagenesi e la necessità di una deroga (v. parere ECOSOC 89/C 23/15, GU C 23 del 30.1.1989, pag. 45, punto 2.2.2).


30      V. in generale supra, paragrafi da 48 a 53 delle presenti conclusioni e, inoltre, paragrafi da 146 a 148 infra.


31      Se e fino a che punto, tuttavia, le questioni di interpretazione (e l’impossibilità di raggiungere un’interpretazione soddisfacente entro i limiti testuali della disposizione in questione) possano trasferirsi nella questione della validità, sarà una questione trattata in seguito con riguardo alla quarta questione (paragrafi da 130 a 141 delle presenti conclusioni).


32      V. ad esempio, per analogia sui limiti dell’interpretazione conforme, sentenze del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 100), o del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39).


33      V., ad esempio, sentenze del 6 ottobre 2015, Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 12) e del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania (C‑74/16, EU:C:2017:496, punto 25).


34      In tal senso, v., ad esempio, sentenze del 25 marzo 1999, Commissione/Italia (C-112/97, EU:C:1999:168, punti da 55 a 58), e dell’8 maggio 2003, ATRAL (C‑14/02, EU:C:2003:265, punti 44 e 45).


35      V., ad esempio, sentenza del 16 dicembre 2008, Gysbrechts e Santurel Inter (C‑205/07, EU:C:2008:730, punti 34 e segg.). In modo più implicito, v. anche sentenza del 30 maggio 2013, F. (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358).


36      V. paragrafi da 90 a 97 supra. A fini di chiarezza, desidero sottolineare che questa affermazione non implica in alcun modo che il legislatore dell’Unione non abbia tenuto conto della sicurezza o della scienza quando ha redatto la direttiva OGM in quanto tale. L’affermazione sostenuta in tale contesto è molto più precisa e ristretta: segnatamente, non vi è alcun collegamento specifico ed esplicito a tale riguardo fra il considerando 17 e l’articolo 3, paragrafo 1, e l’allegato I B.


37      V. supra, nota 29.


38      V. paragrafo 100 supra.


39      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio (GU 2015, L 68, pag. 1).


40      «Per quanto riguarda la possibilità di addurre elementi nuovi, intervenuti successivamente all’adozione di un atto comunitario, per contestare la legittimità di quest’ultimo, occorre ricordare che, in ogni caso, la legittimità di un atto deve essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato» ‑ v. sentenze del 7 febbraio 1979, Francia/Commissione (15/76 e 16/76, EU:C:1979:29, punto 7), e del 22 ottobre 2002, National Farmers’ Union (C‑241/01, EU:C:2002:604, punto 37). Tuttavia, «la validità di un atto p[uò], in taluni casi, essere valutata in relazione ad elementi nuovi intervenuti dopo la sua adozione» ‑ v. sentenze del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, EU:C:1997:377, punto 47), e del 1o ottobre 2009, Gaz de France - Berliner Investissement (C‑247/08, EU:C:2009:600, punto 50).


41      Nella sentenza del 22 ottobre 2002, National Farmers’ Union (C‑241/01, EU:C:2002:604, punto 38), la Corte ha ammesso soltanto la possibilità di ricorrere in giudizio per non aver agito in una situazione che riguardava la mancata adozione da parte della Commissione di una nuova decisione amministrativa, nel contesto delle misure di emergenza adottate durante la crisi della BSE. Tuttavia, la mancanza dell’aggiornamento (potenzialmente necessario) della normativa generale è una situazione del tutto diversa.


42      V. paragrafo 100 supra.


43      Conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella causa National Farmers’ Union (C‑241/01, EU:C:2002:415, paragrafo 51), quando afferma che «in campo giuridico, niente è intangibile e che, in particolare, ciò che è giustificato oggi forse non lo sarà più domani, con la conseguenza che è dovere di ogni legislatore, da una parte, verificare, se non continuamente almeno periodicamente, che le norme che egli ha stabilito rispondano ancora alle esigenze della società e, dall’altra, modificare o anche abrogare le norme che hanno perso ogni giustificazione e sono divenute non più adeguate rispetto al nuovo contesto nel quale devono produrre i loro effetti».


44      Nelle mie conclusioni nella causa Lidl (C‑134/15, EU:C:2016:169, paragrafo 90) ho suggerito che «l’ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni dell’Unione in determinati ambiti non possa essere inteso come un “assegno in bianco”, temporalmente illimitato, in virtù del quale le scelte normative sull’organizzazione dei mercati adottate in passato debbano essere percepite come una giustificazione permanente e adeguata della loro costante applicazione in contesti sociali e di mercato notevolmente cambiati. Per usare una metafora, il legislatore, al pari di una guardia forestale, deve regolarmente prestare attenzione allo stato della “foresta legislativa”. Non solo egli deve continuare a piantare nuovi alberi, ma deve anche, ad intervalli regolari, sfoltire la foresta e tagliare i rami secchi. In caso contrario, il legislatore non potrebbe sorprendersi se qualcun altro si vedesse obbligato a intervenire».


45      V., in tal senso, anche sentenza del 12 gennaio 2006, Agrarproduktion Staebelow (C‑504/04, EU:C:2006:30, punto 40).


46      Direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, che modifica la direttiva 2001/18 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU 2008, L 81, pag. 45).


47      Direttiva 2015/412.


48      V. paragrafi da 81 a 82 supra.


49      Come esposto supra, paragrafi da 48 a 53.


50      V., ad esempio, sentenze dell’8 settembre 2011, Monsanto e a. (da C‑58/10 a C‑68/10, EU:C:2011:553, punto 77), e del 13 settembre 2017, Fidenato e a. (C‑111/16, EU:C:2017:676, punto 51). Il corsivo è mio.


51      V. anche paragrafi da 139 a 142 supra.


52      V. paragrafi da 108 a 124 supra.


53      V. paragrafi da 57 a 67 supra.


54      V. articolo 2, punto 5, del regolamento n. 1829/2003 e articolo 3, punto 2, del regolamento n. 1946/2003.


55      Direttiva 98/95/CE del Consiglio, del 14 dicembre 1998, che modifica, per quanto riguarda il consolidamento del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle piante, le direttive 66/400/CEE, 66/401/CEE, 66/402/CEE, 66/403/CEE, 69/208/CEE, 70/457/CEE e 70/458/CEE concernenti la commercializzazione delle sementi di barbabietole, delle sementi di piante foraggere, delle sementi di cereali, dei tuberi-seme di patate, delle sementi di piante oleaginose e da fibra e delle sementi di ortaggi e il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (GU 1999, L 25, pag. 1).


56      Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio (GU 2005, L 70, pag. 1); regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (GU 2009, L 309, pag. 1).