Language of document : ECLI:EU:F:2010:2

SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA

DELL’UNIONE EUROPEA (Seduta Plenaria)

13 gennaio 2010 (*)

«Funzione pubblica — Funzionari — Ricorso di annullamento — Non luogo a provvedere — Ricorso per risarcimento danni — Ricevibilità — Privilegi ed immunità — Revoca dell’immunità di giurisdizione — Riservatezza delle indagini dell’OLAF — Indagini dell’IDOC — Accesso ai documenti di natura medica — Accesso al fascicolo personale — Procedimento disciplinare — Termine ragionevole»

Nelle cause riunite F‑124/05 e F‑96/06,

aventi ad oggetto ricorsi proposti ai sensi degli artt. 236 CE e 152 EA,

A, ex funzionario della Commissione europea, residente in Port‑Vendres (Francia), rappresentato inizialmente dagli avv.ti B. Cambier e L. Cambier, successivamente dagli avv.ti B. Cambier, L. Cambier e R. Born, indi dagli avv.ti B. Cambier e A. Paternostre,

ricorrente nella causa F‑124/05,

G, ex funzionario della Commissione europea, residente in Port-Vendres (Francia), rappresentato inizialmente dagli avv.ti B. Cambier e L. Cambier, successivamente dagli avv.ti B. Cambier, L. Cambier e R. Born, indi dagli avv.ti B. Cambier e A. Paternostre,

ricorrente nella causa F‑96/06,

contro

Commissione europea, rappresentata dai sigg. J. Currall e V. Joris, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. D. Waelbroeck,

convenuta,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA

(Seduta Plenaria)

composto dai sigg. P. Mahoney (relatore), presidente, S. Gervasoni, presidente di sezione, H. Kreppel, H. Tagaras e S. Van Raepenbusch, giudici,

cancelliere: sig.ra W. Hakenberg

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° aprile 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 dicembre 2005, iscritto a ruolo con il numero F‑124/05, il ricorrente chiede, da un lato, l’annullamento in particolare della decisione della Commissione 28 febbraio 2005 che respinge la sua domanda del 22 ottobre 2004 diretta alla chiusura del procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti con decisione 16 gennaio 2004 (in prosieguo: la «decisione impugnata» o la «decisione che rifiuta la chiusura del procedimento disciplinare» e, dall’altro lato, la condanna della Commissione al risarcimento dei danni.

2        Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 10 agosto 2006 per fax (il deposito dell’originale è avvenuto il 17 agosto seguente), iscritto a ruolo con il numero F‑96/06, lo stesso ricorrente chiede la condanna della Commissione al risarcimento dei danni dovuti a numerosi illeciti in cui sarebbe incorsa.

 Contesto normativo

I —  Disposizioni relative ai privilegi e alle immunità

3        L’art. 12 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee dell’8 aprile 1965, allegato al Trattato che istituisce un Consiglio ed una Commissione unica (GU 1967, n. 152, pag. 13; in prosieguo: il «Protocollo sui privilegi e sulle immunità» o il «Protocollo»), dispone quanto segue:

«Sul territorio di ciascuno Stato membro e qualunque sia la loro cittadinanza, i funzionari ed altri agenti delle Comunità:

a)      godono dell’immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti in veste ufficiale, comprese le loro parole e i loro scritti, con riserva dell’applicazione delle disposizioni dei trattati relative, da un lato, alle regole delle responsabilità dei funzionari ed agenti nei confronti delle Comunità e, dall’altro, alla competenza della Corte per deliberare in merito ai litigi tra le Comunità ed i loro funzionari ed altri agenti. Continueranno a beneficiare di questa immunità dopo la cessazione delle loro funzioni.

b)      (…)».

4        Ai sensi dell’art. 18 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità:

«I privilegi, le immunità e le agevolazioni sono concesse ai funzionari e agli altri agenti delle Comunità esclusivamente nell’interesse di queste ultime. Ciascuna istituzione delle Comunità ha l’obbligo di togliere l’immunità concessa a un funzionario o ad un altro agente ogni qualvolta essa reputi che ciò non sia contrario agli interessi delle Comunità».

5        L’art. 19 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità così recita:

«Ai fini dell’applicazione del presente protocollo, le istituzioni delle Comunità agiranno d’intesa con le autorità responsabili degli Stati membri interessati».

6        L’art. 23, primo comma, prima frase, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea ricorda che i privilegi e le immunità di cui godono i funzionari sono conferiti esclusivamente nell’interesse delle Comunità.

II —  Disposizioni relative alle indagini in materia di lotta contro la frode

7        Il decimo ‘considerando’ del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (GU L 136, pag. 1), enuncia quanto segue:

«[C]onsiderando che tali indagini devono essere condotte in base al trattato, e in particolare al protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità, nel rispetto dello Statuto (…) nonché nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare del principio dell’equità, del diritto della persona coinvolta a esprimersi sui fatti che la riguardano e del diritto a che la conclusione dell’indagine si fondi unicamente su elementi aventi valore probatorio; (…)».

8        Ai sensi dell’art. 8, n. 2, del regolamento n. 1073/1999:

«Le informazioni comunicate o ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini interne sono coperte dal segreto d’ufficio e godono della tutela concessa dalla normativa vigente per le istituzioni delle Comunità europee.

In particolare, tali informazioni possono essere comunicate solo a coloro che, nelle istituzioni delle Comunità europee, ovvero degli Stati membri, sono tenuti a conoscerle in virtù delle loro funzioni, e non possono essere utilizzate per fini diversi dalla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita».

III —  Disposizioni relative ai procedimenti disciplinari

9        Ai sensi dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto, nella versione vigente sino al 30 aprile 2004, quando un funzionario sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti che hanno dato luogo all’apertura di un procedimento disciplinare, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria.

10      L’art. 25 dell’allegato IX allo Statuto riproduce le disposizioni dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto, nella versione vigente sino al 30 aprile 2004.

11      L’art. 1, n. 1, della decisione della Commissione 28 aprile 2004 che fissa le disposizioni generali d’attuazione concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari (in prosieguo: le «DGA concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari», che riproduce, sul punto, la decisione della Commissione 19 febbraio 2002, C (2002) 540, prevede l’istituzione di un Ufficio investigativo e disciplinare (IDOC).

12      L’art. 2, nn. 1 e 2, delle DGA concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, così recita:

«1. L’IDOC effettua le indagini amministrative. In virtù delle presenti disposizioni, per “indagini amministrative” si intendono tutte le azioni svolte dal funzionario incaricato dirette all’accertamento dei fatti e, se del caso, a stabilire se vi sia un inadempimento degli obblighi cui i funzionari della Commissione sono soggetti.

(…)

2. L’IDOC può essere incaricato di altre indagini dirette a verificare taluni fatti e ciò in particolare nell’ambito degli artt. 24, 73 e 90 dello Statuto».

IV —  Disposizioni relative alla copertura dei rischi di malattia professionale e di infortunio

13      Ai sensi dell’art. 73, nn. 1 e 2, dello Statuto:

«1. Alle condizioni fissate da una regolamentazione adottata di comune accordo dalle istituzioni delle Comunità, previo parere del comitato dello Statuto, il funzionario è coperto sin dal giorno della sua entrata in servizio contro i rischi di malattia professionale e i rischi d’infortunio. (…)

2. Le prestazioni garantite sono le seguenti:

a)      (…)

b)      in caso di invalidità permanente totale:

versamento all’interessato di un capitale pari otto volte il suo stipendio base annuo calcolato in base agli stipendi mensili attribuitigli nei dodici mesi precedenti l’infortunio;

c)      in caso di invalidità permanente parziale:

versamento all’interessato di una parte dell’indennità prevista dalla lettera b), calcolata in base alla tabella stabilita dalla regolamentazione di cui al paragrafo 1.

(…)».

14      Il 13 dicembre 2005 le istituzioni delle Comunità hanno adottato una regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale dei funzionari delle Comunità europee, entrata in vigore il 1° gennaio 2006 (in prosieguo: la «regolamentazione di copertura» o la «nuova regolamentazione di copertura»). Prima di tale data era applicabile la regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale dei funzionari delle Comunità europee, modificata da ultimo il 18 luglio 1997 (in prosieguo: la «vecchia regolamentazione di copertura»).

15      L’art. 30 della nuova regolamentazione di copertura prevede le seguenti disposizioni transitorie:

«[La vecchia regolamentazione di copertura] è abrogata.

Essa continua tuttavia ad essere applicabile a qualsiasi progetto di decisione adottato ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, prima del 1° gennaio 2006 (…)».

16      Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della nuova regolamentazione di copertura, per infortunio si intende qualsiasi avvenimento improvviso che abbia leso l’integrità fisica o psichica dell’assicurato, avente causa, o una delle cause, all’esterno dell’organismo dell’assicurato. L’art. 2, n. 1, della vecchia regolamentazione di copertura considera come infortunio qualsiasi avvenimento o fattore esterno ed improvviso o violento od anormale che abbia leso l’integrità fisica o psichica del funzionario.

17      Ai sensi dell’art. 11, n. 1, della nuova regolamentazione di copertura, la misurazione dell’invalidità permanente totale o parziale è data dalla lesione all’integrità psicofisica stabilita dalla tabella europea di valutazione a fini medici delle lesioni all’integrità psicofisica, allegata alla detta regolamentazione.

18      L’art. 11, n. 2, della nuova regolamentazione di copertura dispone che in caso di invalidità permanente totale dell’assicurato risultante da un infortunio o da una malattia professionale, la lesione all’integrità psicofisica è del 100% e viene corrisposto all’assicurato il capitale contemplato dall’art. 73, n. 2, lett. b), dello Statuto. Ai sensi dell’art. 11, n. 3, della nuova regolamentazione di copertura, in caso di invalidità permanente parziale dell’assicurato risultante da un infortunio o da una malattia professionale, all’interessato viene versato il capitale contemplato dall’articolo 73, paragrafo 2, lettera b), dello Statuto, il cui importo è fissato in base alle percentuali previste dalla tabella europea di valutazione delle lesioni all’integrità psicofisica.

19      L’art. 15 della nuova regolamentazione di copertura dispone che il funzionario che ha subito un infortunio, o i suoi aventi diritto, devono denunciare l’infortunio all’amministrazione dell’istituzione di appartenenza dell’assicurato. La denuncia dell’infortunio deve indicare in dettaglio il giorno e l’ora, le cause e le circostanze dell’infortunio, nonché i nomi degli eventuali testimoni e del terzo responsabile. Ad essa va allegato un certificato medico che specifichi la natura delle lesioni e le probabili conseguenze dell’infortunio. La denuncia dell’infortunio va presentata entro il termine dei dieci giorni lavorativi successivi alla data in cui si è verificato. Tale disposizione riproduce in sostanza l’art. 16 della vecchia regolamentazione di copertura.

20      Ai sensi dell’art. 16, n. 1, primo comma, prima frase, della nuova regolamentazione di copertura, il funzionario che chiede l’applicazione della suddetta regolamentazione per causa di malattia professionale deve presentare all’amministrazione, entro un ragionevole lasso di tempo a partire dall’inizio della malattia o dalla data della prima diagnosi medica, un’apposita denuncia. Tale disposizione riproduce l’art. 17, n. 1, primo comma, prima frase, della vecchia regolamentazione di copertura.

21      Ai sensi dell’art. 16, n. 2, della nuova regolamentazione di copertura, l’amministrazione procede a un’indagine al fine di raccogliere tutti gli elementi che consentano di determinare la natura della malattia, la sua origine professionale e le circostanze in cui essa si è manifestata. Tale disposizione riproduce l’art. 17, n. 2, primo comma, della vecchia regolamentazione di copertura.

22      L’art. 18 della nuova regolamentazione di copertura dispone che le decisioni relative al riconoscimento dell’origine infortunistica di un avvenimento, oppure al riconoscimento dell’origine professionale della malattia, nonché alla determinazione del grado di invalidità permanente, sono adottate dall’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») con la procedura prevista dall’art. 20 della stessa regolamentazione, in base alle conclusioni formulate dal medico o dai medici designati dalle istituzioni e, se l’assicurato lo richiede, previa consultazione della commissione medica di cui all’articolo 22 della detta regolamentazione. Tale disposizione riproduce in sostanza l’art. 19 della vecchia regolamentazione di copertura.

23      L’art. 20 della nuova regolamentazione di copertura così recita:

«1. Prima di adottare una decisione ai sensi dell’articolo 18, l’[APN] notifica all’assicurato o ai suoi aventi diritto il progetto di decisione, unitamente alle conclusioni del medico o dei medici designati dall’istituzione. L’assicurato o i suoi aventi diritto possono chiedere che la relazione medica completa sia trasmessa al loro medico di fiducia o che sia loro comunicata.

2. L’assicurato o i suoi aventi diritto possono chiedere, entro un termine di 60 giorni, che venga chiesto il parere della commissione medica di cui all’articolo 22. La richiesta di deferimento alla commissione medica deve comunicare sia il nome del medico rappresentante l’assicurato o i suoi aventi diritto, che la sua relazione che precisa le questioni mediche contestate al medico o ai medici designati dall’istituzione ai fini dell’applicazione delle disposizioni della presente regolamentazione.

3. Se alla scadenza del predetto termine non è stata presentata alcuna domanda di consultazione della commissione medica, l’[APN] adotta una decisione identica al progetto notificato».

24      Ai sensi dell’art. 21 della vecchia regolamentazione di copertura, il funzionario poteva chiedere che la relazione medica completa fosse trasmessa al suo medico di fiducia. Per contro, a differenza dell’art. 20 della nuova regolamentazione di copertura, l’art. 21 della vecchia regolamentazione di copertura non prevedeva la possibilità per il funzionario di chiedere che la relazione medica gli fosse comunicata direttamente.

25      L’art. 22, n. 1, della nuova regolamentazione di copertura, che riproduce in sostanza l’art. 23, n. 1, della vecchia regolamentazione di copertura, per quel che riguarda la composizione della commissione medica, così recita:

«La commissione medica è composta di tre medici designati:

—      il primo, dall’assicurato o dai suoi aventi diritto;

—      il secondo, dall’[APN];

—      il terzo, d’intesa tra i due medici suddetti.

(…)».

26      Infine, ai sensi dell’art. 19, n. 3, della nuova regolamentazione di copertura:

«La decisione che fissa il grado di invalidità è adottata dopo che le lesioni subite dall’assicurato si sono consolidate. I postumi dell’infortunio o della malattia professionale sono consolidati quando si sono stabilizzati o si attenueranno solo molto lentamente e in modo molto limitato. (…)

Se, una volta terminate le cure mediche, non è ancora possibile stabilire definitivamente il grado di invalidità, il medico o i medici di cui all’articolo 18 o, se del caso, la commissione medica di cui all’articolo 22, dovranno precisare, nel rispettivo parere o relazione, il termine ultimo entro cui andrà riesaminata la pratica dell’assicurato».

V —  Disposizioni relative alle prestazioni ricevute in caso di invalidità

A —  Statuto

27      Ai sensi dell’art. 53 dello Statuto, il funzionario che a giudizio della commissione d’invalidità si trovi nelle condizioni previste dall’art. 78 è collocato a riposo d’ufficio l’ultimo giorno del mese nel corso del quale viene adottata la decisione dell’APN con cui si constata l’incapacità definitiva del funzionario di esercitare le proprie funzioni.

28      A termini dell’art. 59, n. 4, dello Statuto, l’APN può sottoporre alla commissione d’invalidità il caso di un funzionario i cui congedi di malattia superino complessivamente dodici mesi in un periodo di tre anni.

29      L’art. 78, n. 1, dello Statuto così recita:

«(…) il funzionario ha diritto ad un’indennità di invalidità allorché sia colpito da invalidità permanente riconosciuta come totale che lo ponga nell’impossibilità di esercitare funzioni corrispondenti a un impiego del suo gruppo di funzioni».

30      Ai sensi dell’art. 78, n. 3, dello Statuto, il tasso dell’indennità di invalidità è fissato al 70% dell’ultimo stipendio base del funzionario.

31      L’art. 78, quarto comma, dello Statuto precisa che l’indennità di invalidità è soggetta ad un contributo al regime delle pensioni, calcolato sulla base della suddetta indennità.

32      Ai sensi dell’art. 78, quinto comma, dello Statuto, se l’invalidità è determinata da una malattia professionale, l’istituzione prende in carico la totalità del contributo al regime delle pensioni cui è soggetta l’indennità di invalidità.

33      A termini dell’art. 13, n. 1, dell’allegato VIII dello Statuto:

«Fatte salve le disposizioni dell’articolo 1, paragrafo 1, il funzionario di età inferiore a 65 anni e che, nel periodo in cui matura i diritti a pensione, sia riconosciuto dalla commissione di invalidità colpito da una invalidità permanente, considerata totale e che gli impedisca di esercitare funzioni corrispondenti ad un impiego della sua carriera e sia pertanto costretto a sospendere il servizio presso le Comunità, ha diritto, per tutto il periodo d’inabilità, all’indennità di invalidità di cui all’articolo 78 dello Statuto».

B —  Statuto, nella versione applicabile sino al 30 aprile 2004

34      L’art. 53 dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, è identico all’attuale art. 53 dello Statuto.

35      L’art. 78, primo comma, dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, così recita:

«(…) il funzionario ha diritto ad una pensione di invalidità allorché sia colpito da invalidità permanente riconosciuta come totale che lo ponga nell’impossibilità di esercitare funzioni corrispondenti a un impiego della sua carriera».

36      Ai sensi dell’art. 78, secondo comma, dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, se l’invalidità è dovuta ad una malattia professionale, il tasso della pensione di invalidità è fissato al 70% dello stipendio base del funzionario.

37      Ai sensi dell’art. 78, terzo comma, dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, se l’invalidità è dovuta ad una causa diversa da quelle menzionate nel secondo comma dello stesso articolo, il tasso della pensione di invalidità è pari al tasso della pensione di anzianità cui il funzionario avrebbe avuto diritto a 65 anni se fosse rimasto in servizio fino a tale età.

VI —  Disposizioni relative al fascicolo personale

38      L’art. 26 dello Statuto così recita:

«Il fascicolo personale del funzionario deve contenere:

a)      tutti i documenti relativi alla sua posizione amministrativa e tutti i rapporti concernenti la sua competenza, il suo rendimento e il suo comportamento;

b)      le osservazioni formulate dal dipendente in merito ai predetti documenti.

Ogni documento deve essere registrato, numerato e classificato senza discontinuità; l’istituzione non può opporre a un funzionario, né produrre contro di lui documenti di cui alla lettera a) che non gli siano stati comunicati prima dell’inserimento nel fascicolo personale».

La comunicazione di qualsiasi documento è comprovata dalla firma del funzionario interessato, a meno che non venga effettuata a mezzo lettera raccomandata all’ultimo indirizzo indicato dal funzionario.

(…)

Per ciascun funzionario può essere tenuto un solo fascicolo personale.

Il funzionario ha diritto, anche dopo la cessazione dal servizio, di prendere visione di tutti i documenti inseriti nel suo fascicolo e di estrarne copia.

Il fascicolo personale ha carattere riservato e può essere consultato soltanto negli uffici dell’amministrazione o su un supporto informatico protetto. Viene tuttavia trasmesso alla Corte di giustizia [dell’Unione europea], quando sia presentato un ricorso che riguardi il funzionario».

39      L’art. 26 bis dello Statuto così recita:

«Ogni funzionario ha diritto di prendere conoscenza del proprio fascicolo medico secondo le modalità adottate dalle istituzioni».

VII —  Disposizioni relative all’accesso del pubblico ai documenti

40      L’art. 4, n. 2, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43) dispone:

«Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

¾        (…)

¾        gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile,

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

 Fatti all’origine della controversia

41      Il ricorrente è un ex funzionario di grado AD 15. Entrato al servizio della Commissione nel 1979, ha occupato diversi posti in seno a tale istituzione.

42      Dal 21 dicembre 1995 sino al mese di luglio 1997, il ricorrente è stato capo di gabinetto della sig.ra Cresson, membro della Commissione, succedendo in tal posto al sig. Lamoureux.

43      Poiché la presente controversia trova origine in taluni fatti accaduti all’interno del gabinetto della sig.ra Cresson durante tale periodo, risulta necessario ricapitolarli brevemente.

I —  Il contesto del «caso Cresson»

44      La sig.ra Cresson è stata membro della Commissione dal 24 gennaio 1995 all’8 settembre 1999. La Commissione all’epoca era presieduta dal sig. Santer. Il portafoglio affidato alla sig.ra Cresson comprendeva i seguenti settori: scienza, ricerca e sviluppo, risorse umane, educazione, formazione e gioventù, nonché il Centro comune di ricerca (CCR).

45      Quando la sig.ra Cresson assunse le sue funzioni, il suo gabinetto era già costituito. Tuttavia, essa manifestò l’intenzione di avvalersi dei servizi di un suo stretto conoscente, il sig. Berthelot, in qualità di «consigliere personale». Considerata la sua età, che all’epoca dei fatti era di 66 anni, il sig. Berthelot non poteva essere assunto come agente temporaneo per svolgere funzioni all’interno del gabinetto di un membro della Commissione. Il sig. Lamoureux, capo di gabinetto della sig.ra Cresson, aveva peraltro fatto presente a quest’ultima che, vista l’età del sig. Berthelot, non vedeva come l’interessato potesse essere assunto presso la Commissione. La sig.ra Cresson, che comunque desiderava avvalersi della collaborazione del sig. Berthelot in qualità di consigliere personale, si rivolse allora ai servizi dell’amministrazione affinché studiassero le condizioni alle quali sarebbe stata possibile l’assunzione dell’interessato. Il sig. Berthelot fu assunto alla fine come ospite scientifico presso la direzione generale (DG) «Ricerca» a partire dal 1° settembre 1995, inizialmente per sei mesi. In seguito, tale periodo fu prolungato fino alla fine di febbraio 1997. Dall’aprile 1996, in applicazione di una disposizione anticumulo, la retribuzione mensile corrisposta al sig. Berthelot come ospite scientifico venne ridotta in ragione di una pensione che percepiva in Francia. Poco dopo l’applicazione di tale riduzione il gabinetto della sig.ra Cresson predispose tredici ordini di missione per il sig. Berthelot, per il periodo dal 23 maggio al 21 giugno 1996, missioni per le quali il sig. Berthelot ricevette circa EUR 6 900. Dal 1° settembre 1996 il sig. Berthelot beneficiò di un reinquadramento, passando così dal gruppo II al gruppo I degli ospiti scientifici. La sua retribuzione mensile, che all’epoca era dell’ordine di EUR 4 500, aumentò di circa EUR 1 000. Alla scadenza del suo contratto con la DG «Ricerca», il 1° marzo 1997, al sig. Berthelot fu offerto un altro contratto di ospite scientifico presso il CCR per un anno, con scadenza alla fine di febbraio 1998.

46      A seguito di talune affermazioni da parte di alcuni membri del Parlamento europeo, secondo i quali la sig.ra Cresson si era resa colpevole di favoritismo assumendo due amici personali, un certo numero di indagini furono condotte da parte di vari organi.

47      Un comitato di esperti indipendenti, istituito il 27 gennaio 1999 sotto gli auspici del Parlamento e della Commissione, fu incaricato di redigere una prima relazione per determinare in quale misura la Commissione, in qualità di collegio, o uno o più dei suoi membri a titolo individuale fossero responsabili dei recenti casi di frode, cattiva gestione o nepotismo menzionati nei dibattiti parlamentari. Nella relazione depositata il 15 marzo 1999, detto comitato concluse che, per quanto riguardava il sig. Berthelot, si era in presenza di un caso certo di favoritismo.

48      Il 16 marzo 1999 la Commissione rassegnò le proprie dimissioni collettive, pur restando in funzione sino all’8 settembre dello stesso anno.

49      Il 20 luglio 1999 l’OLAF avviò un’inchiesta interna sulle condizioni di assunzione del sig. Berthelot in qualità di ospite scientifico presso la Commissione. L’OLAF chiuse la sua relazione il 23 novembre 1999, con cui concludeva che «poiché [taluni] rapporti e (…) missioni redatti o dichiarati a firma del sig. René Berthelot erano qualificabili come falso e frode, [era] necessario trasmettere [la detta] relazione (…) alle autorità giudiziarie competenti, conformemente alle disposizioni dell’art. 10 del regolamento n. 1073/1999».

50      La relazione dell’OLAF venne trasmessa al direttore generale della DG «Personale e amministrazione» ai fini dell’eventuale apertura di procedimenti disciplinari, nonché al procureur du Roi (pubblico ministero belga) della procura di Bruxelles (Belgio). Essa portò all’apertura di diversi procedimenti disciplinari nei confronti di dipendenti e agenti della Commissione, nonché ad una procedura diretta al recupero delle somme indebitamente pagate al sig. Berthelot. Nessun procedimento disciplinare è stato aperto, in questa fase, nei confronti del ricorrente.

51      La DG «Personale e amministrazione» e poi l’IDOC, dopo la sua istituzione con decisione della Commissione 19 febbraio 2002, C (2002) 540, svolsero due indagini complementari sul sig. Berthelot, una relativa al ruolo della DG «Ricerca», l’altra sul coinvolgimento del CCR. Il 22 febbraio 2002 l’IDOC depositò una relazione di indagine amministrativa complementare relativa al periodo di lavoro del sig. Berthelot in qualità di ospite scientifico presso la DG «Ricerca» e il CCR. La relazione dell’IDOC concludeva che «il filo di Arianna che, stando a tutti gli elementi e le dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini complementari prescritte, sembra[va] soggiacente all’assunzione del sig. Berthelot presso la Commissione, [era], apparentemente, la necessità di retribuire l’interessato per l’assistenza diretta da lui prestata quale consigliere personale di cui la sig.ra Cresson intendeva avvalersi».

52      Il 21 gennaio 2003 il collegio dei commissari decise di inviare alla sig.ra Cresson una comunicazione degli addebiti a suo carico nell’ambito dell’eventuale avvio di un procedimento fondato sugli artt. 213, n. 2, CE e 126, n. 2, EA.

53      Il 18 marzo 2003, il sig. V., giudice istruttore presso il Tribunal de première instance (Tribunale di primo grado) di Bruxelles, accusò la sig.ra Cresson, il sig. Berthelot, nonché otto dipendenti e agenti della Commissione, tra cui il ricorrente, di falso, uso di atto falso, truffa o abuso di ufficio. La Commissione si costituì parte civile dinanzi al giudice penale belga l’11 settembre 2003.

54      Con ordinanza 30 giugno 2004 la camera di consiglio del Tribunal de première instance di Bruxelles, prendendo atto della requisitoria orale del procureur du Roi e rinviando ai motivi esposti nella sua requisitoria scritta del 3 febbraio 2004, dichiarò il non luogo a procedere dinanzi al tribunal correctionnel [tribunale penale]. L’ordinanza rilevava, in particolare, che il fascicolo istruttorio non lasciava adito a dubbi sulle accuse concernenti l’esistenza di falso e truffa, ma che non vi erano indizi che permettessero di rivolgersi con certezza contro uno degli indagati coinvolti dall’istruttoria.

55      Il 7 ottobre 2004 la Commissione ha proposto un ricorso chiedendo alla Corte di giustizia di accertare un comportamento di favoritismo o, per lo meno, di grave negligenza, che costituivano una violazione da parte della sig.ra Cresson degli obblighi derivanti dagli artt. 213 CE e 126 EA, e, di conseguenza, di pronunciare la decadenza, parziale o totale, di quest’ultima dal suo diritto a pensione o dagli altri vantaggi sostitutivi.

56      Con sentenza 11 luglio 2006, causa C‑432/04, Commissione/Cresson (Racc. pag. I‑6387; in prosieguo: la «sentenza Commissione/Cresson»), la Corte ha dichiarato che la sig.ra Cresson aveva violato gli obblighi derivanti dalla sua carica di membro della Commissione in occasione dell’assunzione e per quanto concerne le condizioni d’impiego del sig. Berthelot. Tuttavia, per quanto riguarda la domanda di decadenza dal diritto a pensione formulata dalla Commissione nei confronti della sig.ra Cresson, la Corte ha dichiarato che la constatazione della violazione da parte di quest’ultima costituiva, di per sé, una sanzione adeguata e che pertanto occorreva dispensare l’interessata da sanzioni.

II —  Fatti riguardanti il ricorrente

57      Il ricorrente è stato capo di gabinetto della sig.ra Cresson dal 21 dicembre 1995 fino al mese di luglio 1997. Nel dicembre 1996 è stato nominato ad un posto di consigliere principale presso la DG «Ricerca», per il quale aveva presentato la propria candidatura. Egli difatti intendeva abbandonare il gabinetto della sig.ra Cresson a causa delle tensioni che lo contrapponevano a quest’ultima a partire dal maggio 1996. Il suo allontanamento effettivo dal gabinetto ha avuto peraltro luogo solo nel luglio 1997, poiché le sue dimissioni non erano state accettate dalla sig.ra Cresson sino a quel momento, non essendo stato prescelto alcun candidato che lo sostituisse.

58      Il 15 settembre 1999 il ricorrente è stato ascoltato in via informale nell’ambito dell’indagine dell’OLAF. Il 17 novembre 1999 egli è stato informato dell’apertura di un’indagine a suo carico. Il 19 novembre 1999 è stato ascoltato in via formale. La relazione dell’OLAF del 23 novembre 1999, con riguardo al ricorrente, menzionava, alla luce di dichiarazioni di funzionari parzialmente concordanti, il probabile svolgimento di una riunione nel suo ufficio, nel corso della quale si sarebbe discussa la possibilità di reinquadrare il sig. Berthelot nel gruppo I degli ospiti scientifici (punto 4.2.2 della relazione dell’OLAF). Nei confronti del ricorrente non è stato aperto alcun procedimento disciplinare a seguito della relazione dell’OLAF.

59      Il 27 dicembre 2000 la Radio télévision belge francophone [radiotelevisione belga francofona] (in prosieguo: la «RTBF») ha mandato in onda la seguitissima trasmissione «Au nom de la loi» (Nel nome della legge), con un servizio dedicato al «caso Cresson». Durante un breve passaggio della trasmissione veniva citato il nome del ricorrente e veniva diffusa l’immagine di un documento presentato come il verbale della sua audizione da parte dell’OLAF.

60      Con nota 7 febbraio 2001 la DG «Personale e amministrazione» informava il ricorrente della decisione da parte della Commissione di revocargli l’immunità, a seguito di domanda presentata in tal senso al presidente dell’istituzione il 18 dicembre 2000 da parte del sig. V., giudice istruttore presso il Tribunal de première instance di Bruxelles.

61      La relazione dell’IDOC del 22 febbraio 2002 precisava, con riguardo al ricorrente, che l’analisi degli elementi dell’indagine lasciava pensare che nell’ufficio del ricorrente, tra il 21 e il 29 novembre 1996, si fosse svolta una riunione nel corso della quale sarebbe stata discussa la possibilità di un reinquadramento del sig. Berthelot nel gruppo I degli ospiti scientifici (punto 4.4 della relazione dell’IDOC).

62      Il 18 marzo 2003 (v. supra, punto 53) il ricorrente è stato accusato quale reo o correo, da un lato, di falso in atto pubblico, in particolare per aver redatto o fatto redigere tredici ordini di missione e tredici note di spese di missione, apponendo o facendo apporre su ognuno di essi menzioni non conformi al vero e, dall’altro lato, di truffa, in relazione al rimborso delle spese di missione di cui all’accusa sopra menzionata. Il ricorrente ha ricevuto la lettera del giudice istruttore che lo informava delle accuse il 7 aprile 2003.

63      A seguito di tale accusa il ricorrente è caduto in depressione nervosa che ha richiesto numerose assenze dal lavoro.

64      Il 25 luglio 2003 il ricorrente ha inviato alla Commissione una «dichiarazione di infortunio/malattia professionale». Tale dichiarazione, accompagnata da una relazione del medico del ricorrente, non conteneva alcun addebito esplicito contro l’istituzione di molestie psicologiche.

65      Il 31 luglio 2003 la Commissione ha confermato l’avvenuto ricevimento della dichiarazione del ricorrente del 25 luglio precedente e lo ha informato che sarebbe stata condotta un’indagine per stabilire la natura e l’origine della sua malattia.

66      Nel settembre 2003, una settimana dopo che il ricorrente aveva ripreso le sue funzioni dopo un congedo per malattia, il programma di ricerca di cui era incaricato sarebbe stato «bloccato» su richiesta della DG «Personale e amministrazione». Tale incidente ha provocato una nuova interruzione del lavoro per malattia del ricorrente, che si è protratta sino all’inizio del gennaio 2004.

67      Il 16 gennaio 2004 il direttore generale della DG «Ricerca» avrebbe informato verbalmente il ricorrente dell’intenzione dell’APN di procedere alla dispensa dal suo impiego nell’interesse del servizio, ai sensi dell’art. 50 dello Statuto. Tale informazione sarebbe stata confermata al ricorrente il 20 gennaio 2004 dal capo di gabinetto del Membro della Commissione alla Ricerca scientifica, ma è rimasta sempre priva di effetto. In seguito a tale annuncio è stata accertata una ricaduta dello stato depressivo del ricorrente, con conseguente nuova interruzione del lavoro per malattia dal 22 gennaio 2004 sino alla fine del 2004.

68      Con decisione 16 gennaio 2004, il sig. Kinnock, Membro della Commissione incaricato delle questioni del personale e dell’amministrazione, e quindi delle indagini e dei procedimenti disciplinari, ha aperto, in qualità di APN, un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, e sospeso lo stesso procedimento, ai sensi dell’art. 88, quinto comma, dello Statuto, nella versione applicabile sino al 30 aprile 2004, fino al passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria penale belga. La decisione indicava che, oltre a quanto addebitatogli in sede penale, al ricorrente si contestava, da un lato, di aver svolto un ruolo attivo, quale capo di gabinetto della sig.ra Cresson, nel reinquadramento considerato irregolare del sig. Berthelot nel gruppo I degli ospiti scientifici presso la DG «Ricerca» e, dall’altro lato, nell’assunzione, anch’essa considerata irregolare, di quest’ultimo come ospite scientifico presso il CCR.

69      La requisitoria scritta del procureur du Roi del 3 febbraio 2004 (v. supra, punto 54) conteneva, tra l’altro, le seguenti spiegazioni riguardo all’accusa di falso nei confronti del ricorrente:

«[B]enché [il ricorrente] fosse il capo di gabinetto d[ella sig.ra] Cresson, nessuna dichiarazione lo riguarda in modo esplicito o implicito; non vi sono elementi materiali, come una nota o una firma, che permettano di dimostrare la sua partecipazione ai fatti; inoltre, egli stesso fornisce gli elementi che provano la falsità degli ordini di missione dichiarando che il secondo accusato (Berthelot) arrivava il martedì a Bruxelles in compagnia della sig.ra Cresson e nell’autovettura di quest’ultima, per ripartire alla volta di Châtellerault (Francia) il giovedì, mentre questi giorni corrispondono precisamente alle date delle missioni realizzate nella direzione opposta (…)».

70      La requisitoria scritta del procureur du Roi conclude affermando che non esistevano addebiti a carico del ricorrente in merito alle imputazioni di falso e di truffa.

71      Con lettera 25 maggio 2004 il capo dell’unità «Servizio medico (Bruxelles)» della Commissione ha comunicato al ricorrente l’intenzione, a causa dei suoi giorni d’assenza per malattia, di chiedere all’APN l’apertura di un procedimento di invalidità nei suoi confronti, chiedendogli se avesse obiezioni da sollevare al riguardo.

72      Con lettera 23 giugno 2004 il ricorrente ha risposto di non opporsi all’apertura di tale procedimento, a condizione che esso fosse basato esclusivamente sull’art. 78, quinto comma, dello Statuto, relativo in particolare al caso di invalidità determinata da malattia professionale.

73      Il 29 giugno 2004 il capo dell’unità «Servizio medico (Bruxelles)» ha risposto al ricorrente di aver preso nota della sua lettera del 23 giugno precedente, indicandogli altresì che teneva ad attirare la sua attenzione sul fatto che non era possibile fare congetture sulle conclusioni della commissione di invalidità, specialmente riguardo all’origine professionale dell’invalidità, ma che la commissione di invalidità avrebbe dovuto occuparsi di tale aspetto.

74      Il 13 luglio 2004, in seguito alla decisione di non luogo a procedere pronunciata dall’autorità giudiziaria penale belga il 30 giugno 2004 a favore del ricorrente e degli altri indagati (v. supra, punto 54), la Commissione ha inviato al ricorrente una lettera del seguente tenore:

«Come Lei sa, il procedimento disciplinare che la riguarda è stato sospeso in attesa di una decisione del collegio [dei commissari] in merito al caso della sig.ra Cresson.

(…)

Non appena [l’ordinanza del giudice penale belga] sarà divenuta definitiva e avrà costituito oggetto di analisi da parte del [s]ervizio giuridico, tutte le questioni riguardanti la sig.ra Cresson verranno sottoposte a decisione del [c]ollegio [dei commissari]. Subito dopo gli altri fascicoli, tra i quali il suo, verranno riesaminati in funzione della decisione presa e nuovamente sottoposti all’APN».

75      Con decisione 20 luglio 2004, immediatamente esecutiva, l’APN riassegnava il ricorrente al posto appena creato di «consigliere principale incaricato delle questioni economiche» presso il direttore generale della DG «Ricerca» (in prosieguo: la decisione di riassegnazione»). Il primo comma di tale decisione faceva riferimento all’attuazione della politica di mobilità del personale di inquadramento superiore e all’interesse del servizio.

76      Il 14 ottobre 2004 il ricorrente ha sporto reclamo presso l’APN contestando la decisione di riassegnazione. L’APN ha respinto tale reclamo con decisione 15 marzo 2005. Contro tale ultima decisione il ricorrente non ha proposto ricorso giurisdizionale.

77      Il 22 ottobre 2004 il ricorrente ha proposto, ai sensi dell’art. 90, n. 1, dello Statuto, una domanda diretta alla chiusura del procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti. A sostegno della sua domanda egli faceva valere, in particolare, la decisione di non luogo a procedere del giudice penale belga.

78      Il 25 ottobre 2004 il ricorrente ha trasmesso alla Commissione una nuova «dichiarazione di infortunio sul lavoro e/o malattia professionale» nella quale sosteneva che la depressione nervosa di cui soffriva sarebbe stata il risultato dell’insieme delle misure adottate dalla Commissione nei suoi confronti, che testimonierebbero una volontà di arrecargli danno e di molestarlo psicologicamente.

79      Il 29 ottobre 2004 la commissione di invalidità ha presentato le sue conclusioni, nelle quali indicava che il ricorrente era affetto da invalidità permanente considerata totale che lo metteva nell’impossibilità di svolgere funzioni corrispondenti a un impiego della sua carriera. Vi veniva altresì precisato che la commissione di invalidità non si era pronunciata, in detta fase, sull’eventuale rapporto tra l’invalidità accertata e l’attività professionale del ricorrente, «in attesa che siano disponibili elementi pertinenti da parte delle apposite istanze».

80      Con decisione dell’APN 8 novembre 2004, divenuta effettiva il 30 novembre successivo, il ricorrente è stato collocato a riposo d’ufficio, in forza dell’art. 53 dello Statuto, e ammesso al beneficio di un’indennità di invalidità fissata ai sensi dell’art. 78, terzo comma, dello Statuto stesso.

81      Il 25 novembre 2004 la Commissione ha confermato l’avvenuto ricevimento della lettera del ricorrente del 25 ottobre precedente, indicandogli che il procedimento aperto nel luglio 2003, in attuazione dell’art. 73 dello Statuto, stava per concludersi. La Commissione ha inoltre informato il ricorrente che, a causa delle sue accuse di molestie psicologiche, la domanda volta al riconoscimento della natura professionale della sua malattia doveva essere trasmessa all’IDOC, unico organismo abilitato, assieme all’OLAF, ad effettuare indagini amministrative.

82      Il 24 dicembre 2004 il ricorrente ha inviato alla Commissione una lettera chiedendole di rivedere la propria decisione di affidare un’indagine all’IDOC. A sostegno della sua domanda egli invocava, da un lato, il fatto che una simile indagine non avrebbe che prolungato ulteriormente un procedimento che era già in corso da circa due anni e, dall’altro lato, la mancanza di imparzialità di tale ufficio. Nella stessa lettera il ricorrente chiedeva altresì alla Commissione di precisargli se, in primo luogo, siffatta decisione potesse essere oggetto di reclamo ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto e, in secondo luogo, se la Commissione avesse definitivamente escluso l’ipotesi che egli fosse stato vittima di un infortunio sul lavoro.

83      Con lettera 4 febbraio 2005 la Commissione ha risposto al ricorrente che la decisione di affidare il suo fascicolo all’IDOC non era impugnabile e che le critiche attinenti all’imparzialità di tale ufficio non potevano essere accolte. La Commissione ha inoltre fatto osservare al ricorrente che egli non aveva formulato alcuna dichiarazione di infortunio poiché, nella sua dichiarazione del 25 luglio 2003 aveva fatto riferimento espresso all’art. 17 (dichiarazione di malattia professionale) della vecchia regolamentazione di copertura e non all’art. 16 della stessa regolamentazione (dichiarazione di infortunio).

84      Con decisione 28 febbraio 2005 l’APN ha respinto la domanda del ricorrente del 22 ottobre 2004 diretta alla chiusura del procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti. La decisione era motivata dal fatto che il procedimento disciplinare e quello penale erano indipendenti l’uno dall’altro e che, pertanto, il fatto che il procedimento penale belga si fosse chiuso con una decisione di non luogo a procedere non implicava la chiusura del procedimento disciplinare. Essa spiegava peraltro che il procedimento disciplinare a carico del ricorrente doveva continuare a rimanere sospeso a causa del nesso che presentava con il ricorso proposto alla Corte il 7 ottobre 2004 contro la sig.ra Cresson. Il mantenimento della sospensione del procedimento disciplinare contro il ricorrente era giustificato, tra l’altro, nella maniera seguente:

«[Q]ualsiasi decisione di merito nel suo caso, che si tratti di un’eventuale archiviazione o di un’eventuale prosecuzione dell’indagine, non avrebbe carattere neutro rispetto al procedimento dinanzi alla Corte contro la sig.ra Cresson e potrebbe quindi essere considerato come un tentativo di interferenza inopportuno.

Pur tenendo conto del fatto che [il procedimento pendente dinanzi alla Corte contro la sig.ra Cresson] non ha natura penale, appare comunque opportuno applicare la giurisprudenza relativa ai motivi di sospensione di un procedimento disciplinare in caso di procedimenti penali, art. 25 dell’allegato IX dello Statuto ([…] art. 88[, quinto comma,] dello Statuto [, nella versione applicabile sino al 30 aprile 2004]). Il [Tribunale di primo grado] ha infatti dichiarato in proposito che l’obiettivo di tale articolo è anche quello di “non porre il dipendente di cui trattasi, nell’ambito dei procedimenti penali avviati a suo carico, in una situazione meno favorevole rispetto a quella in cui si sarebbe potuto trovare in assenza di tale decisione dell’autorità amministrativa” (sentenza 19 [marzo] 1998, causa T‑74/96, Tzoanos/Commissione, Racc. PI pagg. [I‑A‑129 e ]II‑343 (…)».

85      Con lettera 24 marzo 2005 il ricorrente ha proceduto ad una terza «dichiarazione di infortunio sul lavoro e/o malattia professionale».

86      Con lettera 12 maggio 2005 la Commissione ha comunicato al ricorrente che la sua nuova decisione, la quale non apportava alcun cambiamento riguardo al merito, sarebbe stata sic et simpliciter inserita nel suo fascicolo. La lettera indicava inoltre al ricorrente che il 16 marzo precedente l’IDOC aveva trasmesso al settore «Assicurazioni e malattia professionale» dell’Ufficio «gestione e liquidazione dei diritti individuali» (in prosieguo: il «PMO») un «contributo» che permetteva di chiudere il procedimento di indagine aperto ai sensi dell’art. 17 della vecchia regolamentazione di copertura (in prosieguo: il «contributo dell’IDOC»).

87      Con lettera 19 maggio 2005 il ricorrente ha chiesto che tale contributo dell’IDOC gli fosse comunicato.

88      Il 20 maggio 2005 il ricorrente ha sporto reclamo contro la decisione che negava la chiusura del procedimento disciplinare a seguito della sua domanda.

89      Con lettera 9 giugno 2005 il capo del settore «Assicurazioni e malattia professionale» del PMO ha rifiutato di trasmettere al ricorrente copia del contributo dell’IDOC all’indagine aperta ai sensi dell’art. 17 della vecchia regolamentazione di copertura. A giustificazione di tale rifiuto «fino ad ulteriore decisione» egli faceva valere due ragioni. In primo luogo, tale contributo costituiva un atto preparatorio di cui il medico nominato dall’istituzione doveva disporre senza rischiare che la sua diffusione potesse pregiudicare la conclusione della relazione che era incaricato di redigere. In secondo luogo, era applicabile l’eccezione prevista dall’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, che permette alle istituzioni di rifiutare l’accesso a un documento la cui divulgazione potrebbe arrecare pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile.

90      Con lettera datata 29 giugno 2005 il ricorrente ha proposto dinanzi all’APN, il 4 luglio seguente, una domanda di risarcimento dell’insieme dei danni che egli asseriva di aver subito a causa di diversi illeciti che egli imputava alla Commissione.

91      Il reclamo del 20 maggio 2005 è stato respinto con decisione dell’APN 26 settembre 2005.

92      La domanda del 29 giugno 2005 è stata respinta con decisione dell’APN 10 novembre 2005. Il 23 gennaio 2006 il ricorrente ha proposto reclamo, recante la data del 19 gennaio precedente, contro tale ultima decisione. Tale reclamo è stato oggetto di una decisione implicita di rigetto ai sensi dell’art. 90, n. 2, secondo comma, dello Statuto.

93      Il 16 dicembre 2005, a seguito della decisione 26 settembre 2005 che respingeva il suo reclamo del 20 maggio 2005 (v. supra, punti 88 e 91), il ricorrente ha proposto il ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑124/05.

94      La sentenza Commissione/Cresson è stata pronunciata l’11 luglio 2006.

95      Il 10 agosto 2006, a seguito della decisione implicita di rigetto del suo reclamo datato 19 gennaio 2006 (v. supra, punto 92), il ricorrente ha proposto il ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑96/06.

96      Il 16 ottobre 2006 il sig. Kallas, vicepresidente della Commissione, ha comunicato al ricorrente che, dopo un approfondito esame della sentenza Commissione/Cresson, aveva deciso di chiudere il procedimento disciplinare nei suoi confronti.

97      Il 16 marzo 2007 la Commissione ha notificato al ricorrente un progetto di decisione che negava il riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia, sulla base delle conclusioni adottate dal medico designato dall’istituzione.

98      Il 3 maggio 2007 il ricorrente ha richiesto la costituzione della commissione medica prevista dall’art. 22 della regolamentazione di copertura.

99      Il 5 dicembre 2007 la commissione medica ha presentato la sua relazione nella quale riconosceva, all’unanimità, l’origine professionale della malattia del ricorrente. Le conclusioni della relazione della commissione medica erano redatte nei seguenti termini:

«1. In seguito allo choc psicologico subito nell’ambito delle sue attività professionali il [7 aprile] 2003, [il ricorrente] si è trovato in stato di incapacità lavorativa totale temporanea, dal 10 aprile 2003 fino almeno al 31 agosto 2003.

2. In seguito, [il ricorrente] ha tentato due volte brevemente di riprendere il lavoro ma senza successo, con conseguenti ricadute nello stato di incapacità totale temporanea in manifesta relazione con il processo patologico iniziale.

3. Al momento della chiusura della presente perizia medica, [il ricorrente] versa sempre in stato di incapacità totale temporanea e la sua situazione non appare consolidabile.

4. Occorrerà rivedere [il ricorrente] entro un termine di circa due anni, a richiesta della parte più diligente.

(…)».

100    Inoltre, nella parte «discussione» della relazione della commissione medica veniva indicato in particolare quanto segue:

«Di conseguenza, la [c]ommissione [m]edica, all’unanimità, ritiene che lo stato psicologico [del ricorrente] debba essere considerato come tuttora in evoluzione e che il suo stato non sia quindi consolidabile nella fase attuale.

Tenuto conto di questi diversi elementi, la [c]ommissione [m]edica all’unanimità ritiene giustificato riconoscere [al ricorrente] uno stato di incapacità superiore al 66% a partire dal [18 marzo] 2003».

101    Il 28 marzo 2008 il capo del settore «Assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali» del PMO ha inviato al ricorrente una lettera nella quale spiegava che, alla luce della relazione della commissione medica del 5 dicembre 2007, era in grado di riconoscere l’origine professionale della malattia dell’interessato. Alla lettera era allegata la relazione della commissione medica del 5 dicembre 2007.

102    L’8 aprile 2008 il ricorrente ha scritto al capo del settore «Assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali» del PMO chiedendogli di statuire rapidamente sull’attuazione dell’art. 73, n. 2, lett. b), dello Statuto.

103    Il 28 aprile 2008 il capo del settore «Assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali» del PMO ha risposto al ricorrente che, poiché la relazione della commissione medica del 5 dicembre 2007 indicava che il suo stato non era ancora «consolidabile» e che egli avrebbe dovuto essere nuovamente esaminato nel giro di circa due anni, esso non poteva pronunciarsi, allo stadio presente, sull’applicazione dell’art. 73, n. 2, lett. b), dello Statuto.

104    Il 9 giugno 2008 la commissione d’invalidità si è riunita nuovamente e, alla luce della relazione della commissione medica del 5 dicembre 2007, ha concluso che l’invalidità del ricorrente era stata causata da una malattia avente origine professionale.

105    Con decisione 16 giugno 2008, che annullava e sostituiva la decisione 8 novembre 2004, l’APN, alla luce delle conclusioni della commissione di invalidità del 9 giugno 2008, ha ammesso il ricorrente al beneficio di un’indennità di invalidità stabilita in conformità delle disposizioni dell’art. 78, quinto comma, dello Statuto, con effetto dal giorno della messa in stato di invalidità dell’interessato, ossia il 30 novembre 2004.

106    Il 18 febbraio 2009 il ricorrente ha proposto dinanzi al Tribunale un terzo ricorso, iscritto a ruolo con il numero F‑12/09, A/Commissione, diretto, in particolare, da un lato, all’annullamento della decisione della Commissione 28 aprile 2008 che rifiuta di pronunciarsi sull’art. 73, n. 2, lett. b), dello Statuto e, dall’altro lato, al risarcimento del danno che egli avrebbe subito a causa di un insieme di illeciti in cui la Commissione sarebbe incorsa nella gestione della procedura di riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia.

 Procedimento

I —  Nella causa F‑124/05 prima della riunione con la causa F‑96/06

107    Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 aprile 2006, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità del ricorso, conformemente all’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, applicabile mutatis mutandis al Tribunale, in forza dell’art. 3, n. 4, della decisione del Consiglio 2 novembre 2004, 2004/752/CE, Euratom, che istituisce il Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (GU L 333, pag. 7), fino all’entrata in vigore del regolamento di procedura di quest’ultimo.

108    Con atto pervenuto nella cancelleria del Tribunale il 12 maggio 2006 tramite fax (il deposito dell’originale è intervenuto il 18 maggio successivo), il ricorrente ha presentato osservazioni sull’eccezione d’irricevibilità.

109    Con ordinanza 29 giugno 2006 il Tribunale ha riunito al merito l’eccezione di irricevibilità, conformemente all’art. 114, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado.

110    A seguito della decisione di archiviazione del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, con istanza separata pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 18 ottobre 2006 tramite fax (il deposito dell’originale è avvenuto il 19 ottobre successivo), la Commissione ha presentato una domanda di non luogo a statuire, conformemente all’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado.

111    Con istanza pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 2 novembre 2006 tramite fax (il deposito dell’originale è avvenuto il 6 novembre successivo), il ricorrente ha depositato le proprie osservazioni sulla domanda di non luogo a statuire.

112    Con ordinanza 22 novembre 2006, il Tribunale ha riunito al merito la domanda di non luogo a statuire, conformemente all’art. 114, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado.

113    La Commissione ha fatto pervenire il proprio controricorso l’8 gennaio 2007 tramite fax (il deposito dell’originale è avvenuto l’11 gennaio successivo).

114    Con ordinanza 27 marzo 2007 il Tribunale ha sospeso il procedimento, su richiesta congiunta delle parti, fino al termine del procedimento proposto dal ricorrente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto o, al più tardi, fino al 30 giugno 2007, conformemente all’art. 77, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado. Con ordinanze 24 luglio 2007 e 26 ottobre 2007 il procedimento è stato oggetto di nuove sospensioni sul medesimo fondamento, su richiesta congiunta delle parti, fino al termine del procedimento proposto dal ricorrente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto o, al più tardi, fino rispettivamente al 31 ottobre 2007 e al 1° marzo 2008.

115    Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a quesiti scritti e a produrre un certo numero di documenti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta entro i termini impartiti.

116    Il 9 luglio 2008 il Tribunale ha deciso di rinviare la causa alla seduta plenaria.

II —  Nella causa F‑96/06 prima della riunione con la causa F‑124/05

117    La Commissione ha fatto pervenire il suo controricorso il 20 novembre 2006 tramite fax (il deposito dell’originale è avvenuto il 22 novembre successivo).

118    Con ordinanza 27 marzo 2007 il Tribunale ha sospeso il procedimento, su richiesta congiunta delle parti, fino al termine del procedimento proposto dal ricorrente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto o, al più tardi, fino al 30 giugno 2007, conformemente all’art. 77, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado. Con ordinanze 24 luglio 2007 e 26 ottobre 2007 il procedimento è stato oggetto di nuove sospensioni sul medesimo fondamento, su richiesta congiunta delle parti, fino al termine del procedimento proposto dal ricorrente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto o, al più tardi, fino rispettivamente al 31 ottobre 2007 e al 1° marzo 2008.

119    Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a quesiti scritti e a produrre un certo numero di documenti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta entro i termini impartiti.

120    Il 9 luglio 2008 il Tribunale ha deciso di rinviare la causa alla seduta plenaria.

III —  Nelle cause riunite F‑124/05 e F‑96/06

121    Con ordinanza del presidente del Tribunale 22 gennaio 2009, le cause F‑124/05 e F‑96/06 sono state riunite ai fini della fase orale e della decisione che pone fine al giudizio, conformemente all’art. 46 del regolamento di procedura.

122    Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a quesiti scritti e a produrre un certo numero di documenti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta entro i termini impartiti.

 Conclusioni delle parti

I —  Nella causa F‑124/05

123    Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

¾        annullare la decisione che rifiuta la chiusura del procedimento disciplinare;

¾        annullare la decisione della Commissione 26 settembre 2005, che respinge il reclamo proposto dal ricorrente il 20 maggio 2005;

¾        dichiarare la domanda proposta dal ricorrente il 22 ottobre 2004 ricevibile e fondata;

¾        dichiarare la Commissione responsabile degli illeciti commessi adottando la decisione che rifiuta la chiusura del procedimento disciplinare e la decisione del 26 settembre 2005;

¾        condannare la Commissione a versare al ricorrente ed alla sua famiglia la somma EUR 3 163 602;

¾        ordinare che, in applicazione dell’art. 17, n. 4, delle istruzioni al cancelliere del Tribunale di primo grado del 3 maggio 1994, la sua identità venga omessa da ogni pubblicazione relativa alla presente controversia;

¾        porre le spese a carico della Commissione.

124    La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

¾        dichiarare il non luogo a statuire sul ricorso;

¾        in subordine, dichiarare il ricorso irricevibile;

¾        in ulteriore subordine, dichiarare il ricorso infondato;

¾        statuire sulle spese secondo giustizia e, in subordine, riservare le spese fino alla decisione che verrà pronunciata riguardo al ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑96/06.

II —  Nella causa F‑96/06

125    Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

¾        dichiarare la Commissione responsabile degli illeciti da essa commessi;

¾        condannare la Commissione a versare al ricorrente e alla sua famiglia la somma di EUR 3 163 602;

¾        ordinare che, in applicazione dell’art. 17, n. 4, delle istruzioni al cancelliere del Tribunale di primo grado del 3 maggio 1994, la sua identità venga omessa da ogni pubblicazione relativa alla presente controversia;

¾        porre le spese a carico della Commissione.

126    La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

¾        dichiarare il ricorso parzialmente irricevibile o quanto meno infondato;

¾        statuire sulle spese secondo giustizia.

 In diritto

I —  Sul ricorso F‑124/05

127    È opportuno, in primo luogo, esaminare la domanda di non luogo a statuire formulata dalla Commissione.

A —  Argomenti delle parti

128    La Commissione basa la sua domanda di non luogo a statuire su due argomenti. In primo luogo, l’interesse del ricorrente a chiedere l’annullamento della decisione che rifiuta la chiusura del procedimento disciplinare sarebbe venuto meno, in ragione della decisione dell’APN 16 ottobre 2006 che ha chiuso il suddetto procedimento, a seguito della sentenza Commissione/Cresson. In secondo luogo, la domanda di risarcimento di cui al ricorso F‑124/05 sarebbe in sostanza identica a quella presentata nel ricorso F‑96/06.

129    Il ricorrente precisa di non contestare il fatto che il ricorso sia divenuto privo di oggetto riguardo alla domanda di annullamento della decisione che rifiuta la chiusura del procedimento disciplinare. Egli per contro ritiene che la sua domanda di risarcimento danni conservi interamente la sua rilevanza. A suo avviso, dal momento che il ricorso F‑124/05 è stato proposto prima del ricorso F‑96/06, il Tribunale dovrebbe anzitutto statuire sul primo ricorso per poi tener conto della sua decisione nel secondo.

B —  Giudizio del Tribunale

130    La domanda proposta dal ricorrente il 22 ottobre 2004 aveva ad oggetto la chiusura del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti. Con decisione 16 ottobre 2006 l’APN ha chiuso detto procedimento. Quest’ultima decisione ha quindi procurato al ricorrente il risultato che egli perseguiva.

131    Inoltre, il ricorrente stesso ammette che la domanda di annullamento è divenuta priva di oggetto a seguito della decisione della Commissione che chiude il procedimento disciplinare aperto nei suoi confronti. Tale ammissione può essere interpretata come una rinuncia del ricorrente alla suddetta domanda.

132    Da quanto precede deriva che non vi è più luogo a statuire sulla domanda di annullamento.

133    La domanda di risarcimento danni conserva invece un oggetto.

134    Anzitutto va rilevato, in primo luogo, che l’ottava censura del ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑96/06 rinvia all’insieme dei motivi dedotti nel ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑124/05 e, in secondo luogo, che la domanda nel ricorso F‑96/06 è identica alla domanda di risarcimento danni formulata nel ricorso F‑124/05.

135    Occorre inoltre rilevare che, secondo una costante giurisprudenza, quando un ricorso presenta un’identità di parti, oggetto e motivi con un ricorso proposto precedentemente, dev’essere dichiarato irricevibile (sentenze della Corte 17 maggio 1973, cause riunite 58/72 e 75/72, Perinciolo/Consiglio, Racc. pag. 511, punti 3-5, 19 settembre 1985, cause riunite 172/83 e 226/83, Hoogovens Groep/Commissione, Racc. pag. 2831, punto 9, e 22 settembre 1988, cause riunite 358/85 e 51/86, Francia/Parlamento, Racc. pag. 4821, punto 12; ordinanza del Tribunale 19 settembre 2006, causa F‑22/06, Vienne e a./Parlamento, Racc. FP pagg. I‑A‑1‑101 e II‑A‑1-377, punto 12).

136    Nondimeno, malgrado il fatto che il ricorso F‑124/05 sia stato registrato prima del ricorso F‑96/06, e tenuto conto della riunione delle cause F‑124/05 e F‑96/06 ai fini della fase orale del procedimento e della decisione che pone fine al giudizio, il Tribunale ritiene più opportuno, nell’interesse della buona amministrazione della giustizia, non esaminare la domanda di risarcimento danni proposta dal ricorrente nell’ambito del ricorso F‑124/05, bensì esaminarla nell’ambito del ricorso F‑96/06.

137    Di conseguenza, la domanda di non luogo a statuire presentata dalla Commissione va accolta nel suo insieme.

II —  Sul ricorso F‑96/06

A —  Sulla ricevibilità

1.     Argomenti delle parti

138    In udienza la Commissione ha sostenuto che il ricorso per risarcimento danni sarebbe prematuro e, di conseguenza, irricevibile a causa del procedimento promosso dal ricorrente e diretto al riconoscimento della natura professionale della sua malattia. La Commissione si basa sulla sentenza del Tribunale di primo grado 15 dicembre 1999, causa T‑300/97, Latino/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A‑259 e II‑1263, punti 94 e 95), in cui è stata respinta in quanto prematura la domanda di un funzionario diretta al risarcimento del danno morale derivante dalla sua malattia professionale in quanto non era possibile, nella fase in cui il ricorso era stato proposto, valutare il carattere appropriato del risarcimento statutario al quale l’interessato poteva aspirare. Essa sottolinea, nella fattispecie, che la relazione della commissione medica indicava che non era possibile stabilire il tasso di invalidità del ricorrente, in mancanza del consolidamento del suo stato di salute, e che il caso dell’interessato doveva essere riesaminato circa due anni dopo. Secondo la Commissione sarebbe impossibile, prima di conoscere il risultato di tale nuovo esame, sapere quale importo il ricorrente potrebbe ottenere ai sensi dell’art. 73, n. 2, dello Statuto. Orbene, tale informazione sarebbe indispensabile al Tribunale per stabilire se l’indennizzo ottenuto dal ricorrente ai sensi di tale disposizione costituisca un risarcimento sufficiente del danno da lui subito.

139    Il ricorrente ribatte che non sarebbe necessario che la commissione medica stabilisca un tasso di invalidità perché l’APN adotti la sua decisione ai sensi dell’art. 73, n. 2, dello Statuto. Infatti, ai sensi dell’art. 11, n. 2, della nuova regolamentazione di copertura, in caso di invalidità permanente totale dell’assicurato risultante da un infortunio o da una malattia professionale, la lesione all’integrità psicofisica è del 100% e all’interessato viene corrisposto il capitale contemplato dall’articolo 73, n. 2, lettera b), dello Statuto. Orbene, il 29 ottobre 2004, la commissione di invalidità aveva accertato che il ricorrente era affetto da invalidità permanente totale.

140    Il ricorrente sostiene inoltre che nella sentenza 10 dicembre 2008, causa T‑57/99, Nardone/Commissione (Racc. FP pagg. I‑A‑2‑83 e II‑A‑2‑505) il Tribunale di primo grado ha dichiarato che la regola, derivante dalla sentenza Latino/Commissione, citata in precedenza, secondo cui l’eventuale risarcimento per illecito amministrativo rappresenta unicamente un complemento al regime statutario e va corrisposto solo quando sia possibile accertare l’insufficienza delle somme ottenute a tal titolo, non sarebbe applicabile in modo sistematico. Egli sostiene che la soluzione individuata nella sentenza Nardone/Commissione, citata in precedenza, dovrebbe trovare applicazione nel suo caso, in quanto il prolungamento ingiustificato del procedimento promosso ai sensi dell’art. 73 dello Statuto farebbe perdurare la situazione di incertezza in cui egli versa da anni, e impedirebbe il consolidamento del suo stato di salute. Orbene, la Commissione rifiuterebbe di risarcirlo finché il suo stato di salute non sia consolidato. Secondo il ricorrente, la Commissione l’avrebbe quindi costretto in un «circolo vizioso», in una «spirale infernale» che solo il Tribunale potrebbe far venir meno condannando l’istituzione a risarcirlo immediatamente.

141    La Commissione replica a tale argomento affermando che, nel caso di specie, le circostanze eccezionali che hanno dato origine alla sentenza Nardone/Commissione, citata in precedenza, non sussistono.

2.     Giudizio del Tribunale

142    Il Tribunale osserva, in via preliminare, che nel controricorso relativo alla causa F‑96/06 la Commissione non ha dedotto l’irricevibilità del ricorso in quanto prematuro, ma ha sollevato tale argomento soltanto, dapprima, nel controricorso da essa presentato relativamente alla causa F‑124/05, precisando che lo stesso argomento sarebbe stato valido anche per il ricorso F‑96/06, quindi in una lettera del 25 febbraio 2008 prodotta in risposta ad una misura di organizzazione del procedimento decisa dal Tribunale riguardo ad entrambe le cause e, infine, all’udienza comune alle due cause.

143    Tuttavia, il fatto che la Commissione non abbia sollevato questa eccezione di irricevibilità nel controricorso presentato relativamente alla causa F‑96/96 non sarebbe idoneo ad impedire al Tribunale di esaminarla, tenuto conto della natura di ordine pubblico delle condizioni di ricevibilità dei ricorsi promossi ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto (sentenza del Tribunale di primo grado 18 dicembre 2008, cause riunite T‑90/07 P e T‑99/07 P, Belgio e Commissione/Genette, Racc. pag. II‑3859, punto 87 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, nel caso di specie, occorre prendere in considerazione la riunione delle due cause (v., in tal senso, sentenza della Corte 18 marzo 1980, cause riunite 26/79 e 86/79, Forges de Thy-Marcinelle e Monceau/Commissione, Racc. pag. 1083, punto 4), e il fatto che le parti hanno potuto discutere di tale questione in contraddittorio nell’udienza comune alle due cause.

144    Nel caso di specie, i danni lamentati dal ricorrente non derivano tutti da pregiudizi alla sua salute e pertanto non si possono considerare a priori come passibili di integrale risarcimento nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia. Alcune delle censure fatte valere dal ricorrente riguardano situazioni idonee a provocare un danno morale al funzionario anche in assenza del sopraggiungere di una malattia professionale.

145    In particolare, è possibile che le numerose violazioni dei diritti della difesa denunciate dal ricorrente gli abbiano procurato un danno morale diverso da un pregiudizio per la sua salute e che non può, pertanto, essere risarcito dal capitale di cui all’art. 73 dello Statuto.

146    Il ricorrente chiede altresì, in particolare, il risarcimento del danno morale che gli sarebbe stato causato dalla lunghezza eccessiva del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti.

147    Al riguardo occorre rilevare che un procedimento disciplinare pone il funzionario in una situazione di incertezza relativamente al suo futuro professionale, che gli provoca inevitabilmente un certo stress e una certa ansia. Nel caso in cui tale incertezza perduri per una durata eccessiva, l’intensità dello stress e dell’ansia causati al funzionario aumenta al di là di quanto è giustificabile. Pertanto, si deve considerare che la durata eccessiva di un procedimento disciplinare fa presumere l’esistenza di un danno morale subito dall’interessato.

148    Di fronte a tale situazione di grave incertezza che perdura oltre un termine ragionevole, è evidente che i singoli possono reagire in maniera diversa, per esempio a seconda della loro eventuale fragilità psicologica. Pertanto, le conseguenze della durata irragionevole di un procedimento disciplinare possono consistere in una sofferenza psichica o, nei casi più gravi, nel sopraggiungere di una vera e propria malattia psichica o nell’aggravarsi di una malattia psichica preesistente.

149    In tal senso, per quanto riguarda in particolare il danno morale che può essere causato dall’eccessiva durata di un procedimento disciplinare, occorre distinguere, da un lato, il danno morale provocato a qualunque funzionario o agente, indipendentemente da un’eventuale malattia e, dall’altro lato, il danno causato da un’eventuale malattia psichica — o dall’aggravarsi di tale malattia — che trovi la sua origine nella lunghezza eccessiva del detto procedimento (v., per analogia, sentenza del Tribunale 2 maggio 2007, causa F‑23/05, Giraudy/Commissione, Racc. FP pagg. I‑A‑1‑121 e II‑A‑1‑657, punti 197-202).

150    Per esempio, una domanda di risarcimento del primo tipo di danno è ricevibile indipendentemente dallo stato di un eventuale procedimento peraltro promosso dal dipendente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto.

151    Per contro, secondo la giurisprudenza, la domanda di un funzionario diretta al risarcimento del danno materiale e morale che gli è stato causato da una malattia professionale non è ricevibile, in linea generale, fino a quando non sia concluso il procedimento avviato ai sensi dell’art. 73 dello Statuto.

152    A questo proposito va ricordato che il regime istituito in applicazione dell’art. 73 dello Statuto prevede un indennizzo forfettario in caso di infortunio o di malattia professionale, senza che l’interessato debba provare una qualsivoglia responsabilità dell’istituzione. La giurisprudenza inoltre precisa che il funzionario ha diritto di chiedere un risarcimento supplementare soltanto quando il regime statutario non consente un risarcimento adeguato del danno subito (sentenze della Corte 8 ottobre 1986, cause riunite 169/83 e 136/84, Leussink/Commissione, Racc. pag. 2801, punto 13, e 9 settembre 1999, causa C‑257/98 P, Lucaccioni/Commissione, Racc. pag. I‑5251, punto 22; sentenze del Tribunale di primo grado 14 maggio 1998, causa T‑165/95, Lucaccioni/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑203 e II‑627, punto 71, e Latino/Commissione, cit., punto 94).

153    Di conseguenza, il ricorso con cui un funzionario chiedeva il risarcimento del danno che asseriva di aver subito a causa della sua malattia professionale, promosso prima che fosse concluso il procedimento ex art. 73 dello Statuto, è stato dichiarato prematuro in quanto non era possibile, nella fase in cui il ricorso era stato proposto, valutare il carattere appropriato del risarcimento statutario cui l’interessato poteva aspirare (sentenza Latino/Commissione, cit., punti 94 e 95).

154    Tuttavia, in una recente sentenza il Tribunale di primo grado ha dichiarato che dal mancato completamento della procedura medica non si poteva sistematicamente dedurre il carattere prematuro di una domanda diretta al risarcimento dei danni a causa di un presunto illecito amministrativo commesso dall’istituzione (v., in tal senso, sentenza Nardone/Commissione, cit., punto 56). Tale sentenza precisa infatti che, benché sia di regola più rapido e meno oneroso per un funzionario dimostrare eventualmente di aver diritto ad un indennizzo forfettario ai sensi dell’art. 73 dello Statuto che non provare la sussistenza delle condizioni necessarie per invocare la responsabilità extracontrattuale della Comunità, questo non sempre è vero (sentenza Nardone/Commissione, cit., punto 56). È per ragioni di economia dei mezzi processuali, principio che impone di ponderare i diversi fattori presenti in ogni singolo caso, che nella sentenza Latino/Commissione, cit., il Tribunale di primo grado avrebbe subordinato la ricevibilità del ricorso diretto al risarcimento di diritto comune all’esaurimento della via di indennizzo statutario prevista all’art. 73 dello Statuto (sentenza Nardone/Commissione, cit., punto 56).

155    Al riguardo si può precisare che, in merito alla determinazione e alla valutazione di un danno derivante da una malattia professionale, il procedimento ai sensi dell’art. 73 dello Statuto dev’essere considerato come lex specialis rispetto al diritto comune della responsabilità extracontrattuale (v., in tal senso, sentenza Giraudy/Commissione, cit., punti 193-196).

156    Nella maggior parte dei casi, l’individuazione del nesso di causalità tra le condizioni di esercizio delle funzioni e il danno lamentato, nonché la valutazione del suddetto danno, impongono di ricorrere ad una perizia medica, cosicché l’individuazione del suddetto nesso di causalità da parte del giudice europeo e del danno stesso prima che sia terminato il procedimento promosso ai sensi dell’art. 73 dello Statuto non avrebbe alcun senso o addirittura sarebbe impossibile.

157    È quanto avviene nel caso di specie e, di conseguenza, la soluzione individuata nella citata sentenza Nardone/Commissione non è applicabile.

158    Tale soluzione era imposta da ragioni di economia dei mezzi processuali, «nelle circostanze eccezionali che caratterizzano [la suddetta] causa» (sentenza Nardone/Commissione, cit., punto 57). Infatti, in tale causa non vi era bisogno di una perizia medica per valutare il danno morale subito dal sig. Nardone e dovuto alla circostanza che egli aveva lavorato in un ambiente polveroso e insalubre (v., in tal senso, sentenza Nardone/Commissione, cit., punti 98-123).

159    Nella presente causa, invece, una perizia medica è necessaria per stabilire la portata del danno fisico e psichico che può essere ricondotto alle condizioni di svolgimento dell’attività professionale del ricorrente.

160    Inoltre, sembra che il procedimento promosso dal ricorrente ai sensi dell’art. 73 dello Statuto non sia lontano dalla conclusione, come osservato dalla Commissione in udienza. Infatti, la relazione della commissione medica del 5 dicembre 2007 specifica che il ricorrente avrebbe dovuto essere rivisto entro circa due anni, a richiesta della parte più diligente.

161    Peraltro, occorre ricordare che ai sensi dell’art. 19, n. 3, secondo comma, della regolamentazione di copertura, se, una volta terminate le cure mediche, non è ancora possibile stabilire definitivamente il grado di invalidità, la relazione della commissione medica dovrà precisare il termine ultimo entro cui andrà riesaminata la pratica dell’assicurato. Orbene, tale disposizione va necessariamente interpretata in modo restrittivo. Difatti, se la commissione medica potesse rinviare più volte la data del riesame del fascicolo dell’assicurato, alcuni assicurati non si vedrebbero mai versare il capitale previsto all’art. 73 dello Statuto mentre sono in vita. Del resto, un’interpretazione estensiva di tale disposizione sarebbe in contrasto con la nozione di consolidamento, come definita all’art. 19, n. 3, della regolamentazione di copertura, ai sensi del quale i postumi dell’infortunio o della malattia professionale sono consolidati quando si sono stabilizzati o si attenueranno solo molto lentamente e in modo molto limitato. Pertanto, la nozione di consolidamento non esclude qualsiasi evoluzione dello stato del paziente, ma implica una stabilizzazione o un’evoluzione molto lenta.

162    Da quanto precede deriva che, nel caso di specie, il principio di economia processuale esige che sia completato il procedimento speciale in esecuzione dell’art. 73 dello Statuto.

163    Pertanto, senza che sia necessario pronunciarsi sulle critiche del ricorrente relative alla condotta del procedimento promosso ai sensi dell’art. 73 dello Statuto, comprese le critiche relative alla mancata applicazione dell’art. 11, n. 2, della nuova regolamentazione di copertura, esposte al punto 139 della presente sentenza, la domanda del ricorrente, nei limiti in cui riguarda il risarcimento del danno conseguente alla malattia professionale di cui egli soffre, dev’essere considerata prematura e, di conseguenza, va dichiarata irricevibile. Per contro, la domanda risarcitoria del ricorrente, nei limiti in cui riguarda l’aspetto del danno morale che è indipendente dalla malattia di cui egli soffre, va dichiarata ricevibile.

B —  Nel merito

164    Secondo il ricorrente la Commissione avrebbe commesso numerosi illeciti che sarebbero prova di molestia psicologica nei suoi confronti. Questi diversi illeciti sarebbero all’origine dell’insorgere e delle successive ricadute della depressione nervosa di cui egli soffre e che sarebbe alla base della sua collocazione in invalidità. Il ricorrente avrebbe pertanto subito un danno materiale costituito dalla differenza tra il suo stipendio di funzionario e la sua indennità di invalidità, nonché un danno morale particolarmente grave.

165    In via preliminare, va rilevato che, nel suo ricorso, il ricorrente chiedeva la nomina di un esperto incaricato di quantificare il danno materiale e morale da lui subito. In udienza il ricorrente non ha più fatto cenno a tale richiesta ed ha fornito una valutazione aggiornata del danno, che ammonterebbe a EUR 3 163 602. Questo fatto dev’essere inteso come una rinuncia del ricorrente alla sua domanda di nomina di un esperto.

166    Secondo costante giurisprudenza, nel contesto di una domanda di risarcimento danni proposta da un funzionario, la responsabilità della Comunità presuppone il sussistere di un complesso di condizioni relative all’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni, alla realtà del danno ed all’esistenza di un nesso causale fra il comportamento e il danno asserito (sentenza della Corte 21 febbraio 2008, causa C‑348/06 P, Commissione/Girardot, Racc. pag. I‑833, punto 52 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del Tribunale di primo grado 6 maggio 2009, causa T‑12/08 P, M/EMEA, Racc. FP pagg. I‑B‑1‑31 e II‑B‑1‑159, punto 98).

167    Occorre esaminare in primo luogo se la Commissione sia incorsa in un illecito idoneo a far sorgere la sua responsabilità.

1.     Gli illeciti contestati alla Commissione

168    A sostegno del suo ricorso per responsabilità il ricorrente fa valere otto censure. Egli denuncia in sostanza:

¾        il suo coinvolgimento che asserisce essere ingiustificato nel «caso Berthelot» (prima censura);

¾        diverse carenze e violazioni dei diritti della difesa che avrebbero viziato le indagini amministrative (seconda censura);

¾        una violazione del principio di riservatezza delle indagini dell’OLAF (terza censura);

¾        l’illegittimità della revoca della sua immunità di giurisdizione (quarta censura);

¾        l’illegittimità della decisione di riassegnazione adottata nei suoi confronti (quinta censura);

¾        numerose illegalità che viziano il procedimento di riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia (sesta censura);

¾        l’illegittimità del parere reso dalla commissione di invalidità il 29 ottobre 2004 (settima censura);

¾        l’illegittimità dell’apertura e del mantenimento di un procedimento disciplinare nei suoi confronti (ottava censura).

a)     La prima censura: il coinvolgimento che si asserisce ingiustificato del ricorrente nel «caso Berthelot»

 Argomenti delle parti

169    Nella prima censura il ricorrente lamenta il suo presunto ingiustificato coinvolgimento nel «caso Berthelot». Considerandolo, in mancanza di qualsiasi prova, come il principale istigatore del «caso Berthelot» «[f]ormulando contro [di lui] accuse di tale gravità senza il minimo fondamento, occultando alle autorità giudiziarie belghe le osservazioni comunque essenziali [che egli aveva formulato], mantenendole tanto a lungo senza più assolvere al minimo dovere di indagine per verificarle e, perfino, aprendo un procedimento disciplinare nei [suoi] confronti», la Commissione sarebbe venuta meno ai propri doveri di sollecitudine e di assistenza, avrebbe violato il principio di buona amministrazione, ingannato il legittimo affidamento dell’interessato e violato il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1073/1999, che sancisce il diritto a che la conclusione di un’indagine dell’OLAF si fondi unicamente su elementi aventi valore probatorio.

170    Nella sua decisione 10 novembre 2005, che respingeva la domanda del ricorrente, l’APN ha ritenuto che gli argomenti da quest’ultimo sollevati nella prima censura riguardassero il merito del procedimento disciplinare.

171    In risposta a tale argomento, il ricorrente ha precisato nel ricorso che la presente censura sarebbe più estesa rispetto all’ottava censura del ricorso, attinente all’irregolarità del procedimento disciplinare.

 Giudizio del Tribunale

172    Nei limiti in cui gli argomenti dedotti nella presente censura si presentano strettamente connessi all’ottava censura, con cui il ricorrente critica la decisione di apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti, tali argomenti verranno esaminati nell’ambito di tale ottava censura.

173    Nei limiti in cui la presente censura possa essere intesa nel senso che contesta il fatto che le indagini dell’OLAF e dell’IDOC hanno riguardato il ricorrente, occorre precisare che un’istituzione dispone di un ampio margine di discrezionalità per quel che riguarda l’apertura e la condotta di indagini amministrative, a condizione che esista un ragionevole sospetto che sia stata commessa un’infrazione disciplinare.

174    Orbene, nel caso di specie il ricorrente era capo di gabinetto della sig.ra Cresson, membro della Commissione, nel momento in cui si sono verificati il reinquadramento illegittimo del sig. Berthelot, in termini tabellari, nonché l’assunzione, del pari illegittima, dello stesso presso il CCR. Inoltre, la testimonianza di alcuni funzionari e agenti riguardava il ricorrente. In particolare la sig.ra T., assistente presso il CCR, sosteneva di aver inviato al ricorrente, dietro sua esplicita richiesta, una nota di fattibilità relativa al reinquadramento del sig. Berthelot e alla sua assunzione eventuale come ospite scientifico presso il CCR.

175    Era pertanto legittimo che l’OLAF e l’IDOC, nel corso delle loro indagini, esaminassero se il ricorrente, in quanto capo di gabinetto, avesse avuto un ruolo nelle irregolarità accertate e, in tal caso, in che cosa tale ruolo fosse consistito.

176    Tenuto conto della presenza nell’ambito del «caso Berthelot» di elementi idonei a far sorgere un ragionevole sospetto nei confronti del ricorrente, la censura, per quanto riguarda l’apertura e lo svolgimento di indagini che hanno riguardato l’interessato, dev’essere respinta.

b)     La seconda censura: carenze e violazioni dei diritti della difesa che avrebbero viziato le indagini amministrative


 Argomenti delle parti

177    La seconda censura è divisa in due capi. Nel primo capo della censura, il ricorrente lamenta diverse carenze e violazioni dei diritti della difesa che avrebbero viziato lo svolgimento delle indagini amministrative. Nel secondo capo della censura, il ricorrente critica la mancanza di imparzialità delle autorità che hanno condotto le indagini amministrative.

178    Nel primo capo della censura il ricorrente fa valere i seguenti argomenti.

179    In primo luogo, il ricorrente sarebbe stato «spinto alla ribalta» mentre altre persone intervenute nel reinquadramento tabellare del sig. Berthelot e nella sua assunzione presso il CCR non sarebbero state chiamate in causa.

180    In secondo luogo, alcune delle istanze probatorie che il ricorrente aveva formulato non avrebbero suscitato il minimo interesse da parte delle autorità incaricate di condurre le indagini. Innanzitutto, l’OLAF avrebbe rifiutato l’agenda che il ricorrente si proponeva di consegnargli. Inoltre, la Commissione, l’OLAF e l’IDOC non avrebbero tentato di verificare la risposta data dal sig. L., direttore della direzione del personale e dell’amministrazione della DG «Ricerca», cui era stato chiesto perché l’ingresso di tre funzionari nell’edificio Breydel a Bruxelles per una riunione che si sarebbe asseritamente svolta nel novembre 1996 non fosse stato annotato nell’apposito registro. Ancora, i titolari dell’indagine non avrebbero mai interrogato la sig.ra M., responsabile della segreteria del capo di gabinetto all’epoca dei fatti controversi. Infine, non si sarebbe tenuto conto delle contraddizioni e delle differenze tra le varie testimonianze.

181    In terzo luogo, i diritti della difesa del ricorrente sarebbero stati violati dall’autorizzazione, concessa ad una squadra di giornalisti della RTBF, ad entrare nei locali dell’OLAF per filmare documenti riservati che lo chiamavano direttamente in causa, per diffonderli durante la seguitissima trasmissione «Au nom de la loi» il 27 dicembre 2000.

182    In quarto luogo, una nota del 18 marzo 2002 che conteneva le osservazioni del ricorrente non sarebbe stata allegata alla relazione dell’indagine amministrativa complementare del 22 febbraio 2002.

183    Nel secondo capo della censura il ricorrente denuncia, in particolare, l’atteggiamento della responsabile dello svolgimento dell’indagine, la sig.ra D., che anzitutto avrebbe omesso di includere la relazione dell’audizione dell’interessato in una nota del 27 marzo 2001, quindi avrebbe presentato come accertati dei fatti di peso schiacciante per lui in una lettera inviata alla sig.ra Cresson il 23 novembre 2001 e, infine, avrebbe omesso di integrare la sua nota del 18 marzo 2002 nella relazione sull’indagine amministrativa complementare del 22 febbraio 2002.

184    La Commissione ricorda, in primo luogo, che il principio della parità di trattamento tra funzionari non si può interpretare nel senso che un funzionario sanzionato aver violato talune prescrizioni dello Statuto sarebbe legittimato, per sfuggire al provvedimento di cui è stato oggetto, ad invocare il fatto che un altro funzionario che ha violato le dette prescrizioni non sia stato sanzionato. Tale principio si imporrebbe a maggior ragione nel caso di specie, in cui il ricorrente non è stato sanzionato.

185    In secondo luogo, la Commissione contesta l’affermazione del ricorrente secondo cui gli elementi di fatto da lui dedotti non sarebbero stati presi in considerazione. Infatti, le relazioni di indagine sarebbero redatte in termini ipotetici e non affermativi, e vi sarebbero menzionate tutte le divergenze tra le dichiarazioni dei diversi funzionari interrogati.

186    In terzo luogo, la Commissione sostiene che la nota del ricorrente del 18 marzo 2002 ripeteva in sostanza le affermazioni contenute nella sua dichiarazione del 12 settembre 2001, allegata alla relazione di indagine dell’IDOC. Pertanto, il progetto di relazione sottoposto al ricorrente perché presentasse osservazioni non avrebbe dovuto essere modificato in funzione di tale nota, poiché gli elementi in essa contenuti erano già stati presi in considerazione nel momento in cui è stata redatta la relazione stessa.

187    Quanto al secondo capo della censura, la Commissione ribatte che nella nota del 23 novembre 2001 inviata alla sig.ra Cresson, la sig.ra D. non prendeva posizione ma riportava una testimonianza. Non vi sarebbe dunque alcun difetto di imparzialità in tale nota. Riguardo alla nota del ricorrente del 18 marzo 2002, la Commissione rinvia agli argomenti fatti valere nell’ambito del primo capo della censura.

 Giudizio del Tribunale

188    Per quel che riguarda, in primo luogo, l’argomento secondo cui altre persone intervenute nel reinquadramento tabellare del sig. Berthelot e nella sua assunzione presso il CCR non sarebbero state chiamate in causa, occorre ricordare che un’istituzione dispone di un ampio potere discrezionale quanto all’apertura e allo svolgimento di indagini amministrative, a condizione che esista un ragionevole sospetto che sia stata commessa un’infrazione disciplinare (v. supra, punto 173).

189    Tenuto conto, da un lato, di questo ampio potere discrezionale e, dall’altro lato, dell’esistenza di elementi idonei a far sorgere un ragionevole sospetto nei confronti del ricorrente (v. supra, punto 176), l’argomento di quest’ultimo secondo cui alcuni funzionari non sono stati oggetto di indagini amministrative non è idoneo a far prova delle carenze o delle violazioni dei diritti della difesa fatte valere nel primo capo della censura.

190    Per quel che riguarda, in secondo luogo, l’argomento del ricorrente secondo cui alcune delle istanze probatorie che egli avrebbe proposto non erano state prese in considerazione dalle autorità incaricate delle indagini, l’interessato non ha dimostrato che le dette autorità avrebbero omesso di includere nel fascicolo e di prendere in esame alcuni degli elementi di prova da lui dedotti.

191    In terzo luogo, quanto all’argomento del ricorrente secondo cui la nota del 18 marzo 2002 non sarebbe stata inserita nella relazione dell’indagine amministrativa complementare dell’IDOC, va osservato che detta nota non apportava alcun elemento di fatto nuovo rispetto alla testimonianza dell’interessato allegata alla suddetta relazione. Inoltre, il diritto del funzionario di esprimersi sui fatti che lo riguardano non implica l’obbligo per gli inquirenti di modificare le conclusioni di una relazione a seconda delle domande poste dal funzionario ascoltato.

192    Infine, in quarto luogo, gli argomenti del ricorrente attinenti al difetto di imparzialità delle autorità incaricate delle indagini debbono essere respinti. Infatti, anzi tutto, la circostanza che, nella sua nota del 27 marzo 2001, la sig.ra D., responsabile dell’indagine, non abbia allegato il verbale di audizione del ricorrente, non può essere prova di tale difetto di imparzialità, in quanto il suddetto verbale era allegato alla relazione finale dell’IDOC. Inoltre, come giustamente rilevato dalla Commissione, è errato sostenere che, nella sua lettera del 23 novembre 2002, inviata alla sig.ra Cresson, la sig.ra D. avrebbe presentato come accertati fatti schiaccianti contro il ricorrente: difatti, nella suddetta lettera la sig.ra D. si limitava a chiedere all’ex membro della Commissione chiarimenti che riguardavano, in particolare, la testimonianza della sig.ra T., assistente presso il CCR. Infine, quanto all’argomento del ricorrente secondo cui la nota del 18 marzo 2002 non sarebbe stata inclusa nella relazione di indagine amministrativa complementare dell’IDOC, è stato precisato poco sopra che il diritto del funzionario di esprimersi sui fatti che lo riguardano non implica l’obbligo degli inquirenti di modificare le conclusioni della relazione a seconda delle domande poste dal funzionario ascoltato.

193    L’argomento relativo alla presunta autorizzazione che la Commissione avrebbe dato ad una squadra di giornalisti della RTBF di filmare un documento riservato che riguardava il ricorrente verrà esaminato nell’ambito della terza censura, attinente ad una violazione del principio di riservatezza delle indagini dell’OLAF, nella quale vengono dedotti i medesimi fatti.

194    Di conseguenza, salvo per quel che riguarda tale ultimo argomento, per il quale la valutazione del Tribunale è riservata sino all’esame della terza censura, le violazioni dei diritti della difesa lamentate dal ricorrente nella seconda censura sono infondate.

c)     La terza censura: violazione del principio di riservatezza delle indagini dell’OLAF

 Argomenti delle parti

195    La terza censura attiene alla violazione del principio di riservatezza delle indagini dell’OLAF. Il ricorrente sostiene che l’OLAF e/o la Commissione avrebbero autorizzato la RTBF, nel corso dell’anno 2000, ad entrare nei locali dell’OLAF, a prendervi conoscenza di documenti strettamente riservati che lo riguardavano e a filmare alcuni di essi. Difatti, il verbale della sua audizione classificato come «segreto» dall’OLAF sarebbe stato diffuso durante la seguitissima trasmissione televisiva «Au nom de la loi» del 27 dicembre 2000, chiamandolo quindi pubblicamente in causa.

196    Inoltre, la Commissione avrebbe violato il suo dovere di assistenza nei confronti del ricorrente, poiché non avrebbe assunto la minima iniziativa per trovare i responsabili all’origine della diffusione di tale documento e per ristabilire l’onorabilità del ricorrente.

197    La Commissione contesta la ricevibilità di tale censura, in quanto sarebbe stata sollevata dal ricorrente nel suo reclamo del 14 ottobre 2004, diretto contro la decisione di riassegnazione. Essa sostiene che tale reclamo è stato oggetto di una decisione di rigetto da parte dell’APN il 15 marzo 2005, contro cui il ricorrente non ha presentato ricorso entro il termine prescritto dall’art. 91 dello Statuto.

198    In subordine, la Commissione considera tale censura infondata e nega di aver autorizzato la RTBF a prendere conoscenza di documenti riguardanti il ricorrente.

199    La Commissione precisa, in primo luogo, che l’OLAF, nell’ambito dell’obiettivo di interesse generale di informazione del pubblico e della sua strategia di comunicazione, mette a disposizione dei media audiovisivi immagini generiche dei propri locali sotto forma di banca di immagini ed autorizza i media a riprendere immagini generiche all’interno dei propri locali, senza accesso a documenti o a luoghi sensibili.

200    In secondo luogo, la Commissione sostiene che il verbale dell’audizione del ricorrente da parte dell’OLAF è stato trasmesso alle autorità giudiziarie belghe e che, nei limiti in cui ne erano destinatari organismi esterni alla Commissione, non sarebbe possibile concludere che essa avrebbe dato accesso a tale documento a giornalisti della RTBF.

201    La Commissione quindi contesta l’esistenza di qualsiasi relazione tra le immagini generiche dei locali dell’OLAF e l’immagine del documento riservato di cui trattasi. Essa si rammarica delle fughe verificatesi ma nega di esserne responsabile e sottolinea che l’onere della prova incombe al ricorrente.

202    Quanto alla presunta violazione del suo dovere di assistenza, essa afferma che il ricorrente non le ha presentato una domanda formulata ai sensi dell’art. 24 dello Statuto.

 Giudizio del Tribunale

—       Sulla ricevibilità della censura

203    È vero che la diffusione di documenti riservati durante la trasmissione televisiva del 27 ottobre 2000 è stata dedotta nel reclamo del ricorrente del 14 ottobre 2004, che ha costituito oggetto di una decisione di rigetto da parte dell’APN, contro la quale il ricorrente non ha proposto ricorso ex art. 91 dello Statuto. In tale reclamo il ricorrente menzionava, in una frase, la diffusione del documento definito come riservato nel corso della trasmissione «Au nom de la loi», al fine di illustrare «i molteplici episodi di molestia» di cui egli sarebbe stato vittima in relazione al «caso Cresson», e di cui il provvedimento di riassegnazione che lo riguardava costituiva solo uno degli aspetti.

204    Tuttavia, il detto reclamo aveva come unico oggetto una domanda di revoca della decisione di riassegnazione. Esso non aveva ad oggetto una domanda di risarcimento dell’interessato, a causa di presunti illeciti da parte della Commissione.

205    Orbene, un funzionario è legittimato a far valere uno stesso motivo, uno stesso argomento, o anche uno stesso fatto a sostegno di più reclami che abbiano un oggetto giuridicamente distinto (v., per analogia, sentenza del Tribunale di primo grado 19 settembre 2008, causa T‑253/06 P, Chassagne/Commissione, Racc. FP pagg. I‑B‑1‑43 e II‑B‑1‑295, punto 149).

206    Pertanto, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione dev’essere respinta.

—       La fondatezza della censura

207    L’esame della fondatezza della presente censura richiede in via preliminare un breve resoconto del passaggio controverso della trasmissione «Au nom de la loi».

208    Durante un breve passaggio della trasmissione, è stato citato il nome del ricorrente ed è stata diffusa un’immagine che nel commento che accompagnava il filmato della trasmissione veniva presentata come il verbale dell’audizione del ricorrente da parte dell’OLAF.

209    Il nome del ricorrente è stato citato nell’ambito dell’intervista al sig. H., dirigente della società H. Questi riferisce di essersi presentato al gabinetto della sig.ra Cresson senza invito, al fine di chiedere che il gabinetto si accollasse l’affitto dell’appartamento occupato dal sig. Berthelot, fino ad allora pagato dalla società H. Spiega quindi di aver scoperto con sua sorpresa che era cambiato il titolare del posto di capo di gabinetto, e che il nuovo capo di gabinetto, ossia il ricorrente, lo aveva messo immediatamente alla porta chiedendogli cosa volesse dire quello scherzo. Seguono quindi alcune immagini dei locali dell’OLAF, poi una breve ripresa di un documento illeggibile sullo schermo, presentato dal giornalista come il verbale dell’audizione del ricorrente da parte dell’OLAF, e commentato dallo stesso giornalista nel modo seguente:

«Una relazione di indagine dell’OLAF contiene l’audizione [del ricorrente]. Essa conferma che il sig. Berthelot si è presentato una o due volte accompagnato dal sig. H. nella segreteria della sig.ra Cresson».

210    La trasmissione quindi passa ad un altro aspetto del caso.

211    Pertanto, durante la trasmissione controversa il nome del ricorrente e un estratto del verbale della sua audizione da parte dell’OLAF sono stati citati brevemente e in maniera incidentale, senza che l’interessato sia stato chiamato personalmente in causa.

212    Anche se il ricorrente non è stato chiamato in causa personalmente, è tuttavia riprovevole che un documento, presentato nel commento che accompagnava le immagini della trasmissione come il verbale della sua audizione da parte dell’OLAF, sia stato oggetto di divulgazione durante la trasmissione in parola.

213    Secondo la giurisprudenza, incombe al ricorrente, nell’ambito di un ricorso per risarcimento, dimostrare che sussistono tutte le condizioni cui è subordinato il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea. Questa regola, tuttavia, subisce un’attenuazione quando l’evento dannoso potrebbe essere stato provocato da più cause diverse e l’istituzione convenuta non abbia prodotto alcun elemento di prova che consenta di stabilire a quale di tali cause sia imputabile l’evento, malgrado che la medesima istituzione si trovasse nella posizione migliore per fornire prove al riguardo, motivo per cui la residua incertezza dev’essere posta a suo carico (v., in tal senso, sentenza del Tribunale di primo grado 8 luglio 2008, causa T‑48/05, Franchet e Byk/Commissione, Racc. pag. II‑1585, punti 182 e 183).

214    Tuttavia, nel caso di specie non si può considerare che la Commissione si trovasse nella posizione migliore per fornire prove che permettessero di accertare la causa della fuga verificatasi. Di conseguenza, l’incertezza sulle origini di tale fuga non può essere posta a suo carico.

215    In effetti, la Commissione sostiene a ragione che essa e l’OLAF non erano i soli organismi a possedere il verbale dell’audizione del ricorrente da parte dell’OLAF, poiché tale verbale era stato trasmesso alle autorità nazionali belghe in vista dell’eventuale avvio di azioni giudiziarie.

216    Inoltre la Commissione precisa che l’OLAF, nell’ambito dell’obiettivo di interesse generale di informazione del pubblico e della sua strategia di comunicazione, mette a disposizione dei media audiovisivi immagini generiche dei propri locali nella forma di banca di immagini e autorizza gli stessi media a riprendere immagini generiche dei suoi locali. Pertanto, nessuna relazione può essere stabilita tra le immagini dei locali dell’OLAF e l’immagine del documento presentato nel corso della trasmissione come il verbale dell’audizione del ricorrente.

217    Peraltro, per quanto riguarda la censura secondo cui la Commissione avrebbe violato il suo obbligo di assistenza, va osservato che il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di assistenza ai sensi dell’art. 24 dello Statuto. Inoltre, in assenza di circostanze eccezionali, la Commissione non era tenuta ad accordare spontaneamente la sua assistenza al ricorrente. Infatti, solo circostanze di questo tipo possono obbligare l’istituzione a procedere senza previa domanda dell’interessato, ma di sua stessa iniziativa, ad una determinata azione di assistenza (sentenza della Corte 12 giugno 1986, causa 229/84, Sommerlatte/Commissione, Racc. pag. 1805, punto 20; ordinanza del Tribunale 31 maggio 2006, causa F‑91/05, Frankin e a./Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑1‑25 e II‑A‑1‑83, punti 23 e 24).

218    La censura attinente ad una violazione, da parte dell’istituzione, del suo obbligo di assistenza dev’essere pertanto respinta.

219    Da tutto quanto sopra risulta che la terza censura deve essere respinta in quanto infondata.

d)     La quarta censura: illegittimità della revoca dell’immunità di giurisdizione del ricorrente

 Argomenti delle parti

220    In tale censura il ricorrente denuncia l’irregolarità della decisione, della quale è stato informato il 7 febbraio 2001, di revocare l’immunità di giurisdizione di cui egli beneficiava.

221    Secondo il ricorrente, la decisione di revoca dell’immunità di un funzionario costituirebbe un provvedimento grave e, pertanto, egli avrebbe dovuto essere ascoltato prima della sua adozione, come sarebbe avvenuto nel caso del sig. W., direttore generale della DG «Industria».

222    Il ricorrente sostiene inoltre che la decisione di revocargli l’immunità di giurisdizione, trasmessa al giudice istruttore belga, non gli sarebbe stata comunicata, motivo per cui egli non sarebbe stato in grado di stabilire se tale decisione fosse sufficientemente motivata.

223    Infine, il ricorrente ritiene che la decisione di revocargli l’immunità di giurisdizione sia discriminatoria nei suoi confronti e che costituisca uno sviamento di potere, in quanto vi sarebbero persone che hanno conservato l’immunità malgrado il loro coinvolgimento nel «caso Berthelot».

224    La Commissione ribatte che le istituzioni avrebbero il dovere di collaborare con la giustizia penale e che, nel caso di specie, nessun interesse delle Comunità avrebbe giustificato il rifiuto di revocare l’immunità di giurisdizione del ricorrente.

225    La Commissione ritiene che un funzionario non abbia il diritto di essere ascoltato prima di una decisione di revoca della sua immunità di giurisdizione, in quanto egli usufruisce dei diritti della difesa nell’ambito del procedimento penale che può essere avviato nei suoi confronti a seguito di tale misura. Essa sostiene che, anche supponendo che l’affermazione del ricorrente relativa alla previa audizione del direttore generale della DG «Industria» sia corretta, tale caso non avrebbe creato un precedente tale da obbligare l’istituzione ad ascoltare sistematicamente un funzionario prima di accogliere una domanda di revoca dell’immunità di giurisdizione da parte di un’autorità penale. Al riguardo, l’istituzione godrebbe di un potere discrezionale.

 Giudizio del Tribunale

226    Secondo una costante giurisprudenza, un funzionario che non abbia impugnato entro i termini previsti agli artt. 90 e 91 dello Statuto una decisione dell’APN che gli reca pregiudizio non può avvalersi dell’asserita illegittimità di detta decisione nell’ambito di un’azione per risarcimento danni (sentenza della Corte 7 ottobre 1987, causa 401/85, Schina/Commissione, Racc. pag. 3911, punto 9; sentenza del Tribunale di primo grado 27 giugno 1991, causa T‑156/89, Valverde Mordt/Corte di giustizia, Racc. pag. II‑407, punto 144).

227    Poiché il ricorrente non ha impugnato entro i termini previsti agli artt. 90 e 91 dello Statuto l’atto di revoca della sua immunità di giurisdizione, del quale egli ha avuto notizia con lettera 7 febbraio 2001 della DG «personale e amministrazione», è necessario esaminare la natura di tale atto, al fine di stabilire se esso costituisca un atto recante pregiudizio o un comportamento privo di natura decisionale.

228    Tale questione dev’essere esaminata d’ufficio da parte del Tribunale, nei limiti in cui essa attiene al rispetto della fase precontenziosa del procedimento e ai termini di ricorso.

229    Costituiscono atti che recano pregiudizio a un funzionario le misure che producono effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificandone in misura rilevante la situazione giuridica (sentenza della Corte 14 febbraio 1989, causa 346/87, Bossi/Commissione, Racc. pag. 303, punto 23).

230    È stato dichiarato che, anche se i privilegi e le immunità riconosciuti alle Comunità europee dal Protocollo assumono soltanto carattere funzionale in quanto mirano ad evitare ostacoli al funzionamento e all’indipendenza delle Comunità, tuttavia essi sono stati espressamente concessi ai funzionari ed agli altri agenti delle istituzioni delle Comunità. Il fatto che i privilegi e le immunità siano previsti nel pubblico interesse comunitario giustifica il potere attribuito alle istituzioni di revocare, se necessario, l’immunità, ma non implica che tali privilegi e immunità siano accordati alle Comunità e non direttamente ai loro funzionari e agli altri agenti. Il Protocollo attribuisce quindi alle persone alle quali si riferisce un diritto soggettivo (v. sentenza del Tribunale di primo grado 15 ottobre 2008, causa T‑345/05, Mote/Parlamento, Racc. pag. II‑2849, punti 27 e 28).

231    L’immunità di giurisdizione prevista dall’art. 12 del Protocollo sui privilegi e le immunità tutela i funzionari e gli altri agenti contro azioni penali delle autorità degli Stati membri per atti compiuti nella loro veste ufficiale. Pertanto, una decisione di revocare l’immunità di un funzionario o agente modifica la sua situazione giuridica, per il solo effetto della soppressione di tale tutela, ristabilendo il suo status di persona soggetta al diritto comune degli Stati membri ed esponendolo quindi, senza che si rendano necessarie norme intermedie, a provvedimenti disposti da tale diritto comune, in particolare detentivi e giudiziari (v., per analogia, sentenza Mote/Parlamento, cit., punto 34).

232    Il potere discrezionale attribuito alle autorità nazionali, dopo la revoca dell’immunità, in merito alla riapertura o all’abbandono del procedimento penale avviato nei confronti del funzionario o agente è ininfluente rispetto al pregiudizio arrecato alla situazione giuridica di quest’ultimo, dal momento che gli effetti collegati alla decisione di revoca dell’immunità si limitano alla rimozione della tutela di cui beneficiava in forza della sua qualità di funzionario o agente, non implicando alcun provvedimento supplementare di applicazione (v., per analogia, sentenza Mote/Parlamento, cit., punto 35).

233    Da quanto precede deriva che la decisione con cui la Commissione ha revocato l’immunità di giurisdizione del ricorrente costituisce un atto recante pregiudizio.

234    Tuttavia, non avendo impugnato la decisione di revoca della sua immunità di giurisdizione entro i termini previsti agli artt. 90 e 91 dello Statuto, il ricorrente non può più avvalersi dell’illegittimità di tale decisione nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni.

235    Di conseguenza, la quarta censura dev’essere dichiarata irricevibile.

e)     La quinta censura: illegittimità della decisione di riassegnazione del ricorrente

 Argomenti delle parti

236    Secondo il ricorrente, la decisione di riassegnazione non sarebbe sufficientemente motivata, sarebbe intervenuta in violazione dell’interesse del servizio e costituirebbe una sanzione disciplinare dissimulata.

237    La Commissione contesta la ricevibilità di tale censura. In effetti, la decisione di riassegnazione avrebbe costituito oggetto di un reclamo proposto il 14 ottobre 2004, respinto con decisione dell’APN del 15 marzo 2005. Orbene, il ricorrente non avrebbe proposto alcun ricorso giurisdizionale contro la detta decisione entro il termine prescritto dall’art. 91 dello Statuto.

238    In subordine la Commissione sostiene che la decisione di riassegnazione sarebbe basata sull’interesse del servizio e ricorda l’ampio potere discrezionale di cui godono le istituzioni nell’organizzazione dei propri servizi.

 Giudizio del Tribunale

239    Come ricordato nell’ambito della quarta censura, un funzionario che non ha impugnato entro i termini previsti agli artt. 90 e 91 dello Statuto una decisione dell’APN che gli reca pregiudizio non può invocare la presunta illegittimità di tale decisione nell’ambito di un ricorso per risarcimento.

240    Nel caso di specie, il 19 ottobre 2004 il ricorrente ha presentato un reclamo, datato al 14 ottobre precedente, sulla base dell’art. 90 dello Statuto contro la decisione di riassegnazione di cui era stato oggetto, ma non ha proposto alcun ricorso giurisdizionale, sulla base dell’art. 91 dello Statuto, dopo la decisione dell’APN del 15 marzo 2005 che ha respinto il suo reclamo.

241    Da ciò consegue che il ricorrente non può invocare la presunta illegittimità della decisione di riassegnazione nell’ambito del presente ricorso per risarcimento danni.

242    Pertanto, la quinta censura dev’essere dichiarata irricevibile.

f)     La sesta censura: irregolarità che avrebbero viziato il procedimento aperto ai sensi dell’art. 73 dello Statuto

243    La presente censura si suddivide in due capi. Il primo capo della censura è diretto contro la decisione che esclude l’ipotesi che il ricorrente abbia potuto essere vittima di un infortunio sul lavoro; il secondo capo è diretto contro la decisione di affidare all’IDOC un’indagine complementare.

244    Inoltre, in alcune lettere inviate al Tribunale e poi nel corso dell’udienza, il ricorrente ha denunciato numerose irregolarità che avrebbero viziato il procedimento condotto ai sensi dell’art. 73 dello Statuto. In particolare, ha denunciato il «circolo vizioso», la «spirale infernale» in cui la Commissione l’avrebbe costretto: in effetti, da un lato il prolungamento ingiustificato del procedimento promosso ai sensi dell’art. 73 dello Statuto farebbe perdurare la situazione di incertezza nella quale il ricorrente versa da anni e impedirebbe il consolidamento del suo stato di salute e, dall’altro lato, la Commissione rifiuterebbe di risarcirlo fino a quando il suo stato di salute non si sia consolidato.

245    Occorre ricordare che, sebbene l’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, applicabile mutatis mutandis, vieti la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento, un motivo che costituisce un’estensione di un motivo esposto in precedenza deve tuttavia essere considerato ricevibile (sentenza della Corte 26 aprile 2007, causa C‑412/05 P, Racc. pag. I‑3569, punto 38).

246    Nel caso di specie, le critiche supplementari sollevate dal ricorrente non sono basate su elementi di fatto e di diritto emersi nel corso del procedimento e, poiché sono state dedotte solo nell’ambito della questione di irricevibilità, in quanto prematura, di una domanda di risarcimento per un danno legato ad una malattia professionale, non si possono considerare costitutive di un ampliamento dei due capi della sesta censura o di altre censure precedentemente sollevate.

247    Inoltre, il 18 febbraio 2009 il ricorrente ha promosso dinanzi al Tribunale un terzo ricorso, iscritto a ruolo con il numero F‑12/09, con cui chiede, segnatamente, l’annullamento della decisione della Commissione 28 aprile 2008 che rifiuta di pronunciarsi sull’applicazione dell’art. 73, n. 2, lett. b), dello Statuto, nonché il risarcimento del danno che gli sarebbe stato causato da un insieme di illeciti che egli attribuisce alla Commissione nella gestione della procedura di riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia, tra i quali il prolungamento ingiustificato del procedimento.

248    Pertanto, le critiche suddette debbono essere dichiarate irricevibili nel presente ricorso, e di conseguenza il Tribunale è tenuto ad esaminare soltanto i due capi della censura sollevati nell’atto introduttivo.

 Il primo capo della censura, attinente alla presunta ingiustificata esclusione dell’ipotesi di un infortunio di lavoro

—       Argomenti delle parti

249    Il ricorrente sostiene di aver affermato, a partire dalla sua prima dichiarazione datata 25 luglio 2003 e poi sistematicamente durante tutto il procedimento, di essere afflitto da una malattia professionale e/o di aver subito un infortunio sul lavoro. Orbene, la Commissione non avrebbe esaminato se egli fosse stato vittima di un infortunio sul lavoro.

250    La Commissione replica di aver correttamente aperto un procedimento relativo al riconoscimento di una malattia di origine professionale e non di un infortunio, considerate le circostanze del caso di specie e le stesse dichiarazioni del ricorrente.

—       Giudizio del Tribunale

251    L’art. 2 della vecchia regolamentazione di copertura, applicabile all’epoca in cui sono state presentate le dichiarazioni del ricorrente, considera come infortunio qualsiasi avvenimento o fattore esterno ed improvviso o violento od anormale che abbia leso l’integrità fisica o psichica del funzionario.

252    Ai sensi dell’art. 16 della vecchia regolamentazione di copertura, il funzionario che ha subito un infortunio, o i suoi aventi diritto, devono denunciare l’infortunio all’amministrazione dell’istituzione di appartenenza dell’assicurato. La denuncia dell’infortunio deve indicare in dettaglio il giorno e l’ora, le cause e le circostanze dell’infortunio, nonché i nomi degli eventuali testimoni e terzi responsabili. Ad essa va allegato un certificato medico che specifichi la natura delle lesioni e le probabili conseguenze dell’infortunio. La denuncia dell’infortunio va presentata entro il termine dei dieci giorni lavorativi successivi alla data in cui si è verificato.

253    In forza dell’art. 17, n. 1, primo comma, prima frase, della vecchia regolamentazione di copertura, il funzionario che chiede l’applicazione della suddetta regolamentazione per causa di malattia professionale deve presentare all’amministrazione, entro un ragionevole lasso di tempo a partire dall’inizio della malattia o dalla data della prima diagnosi medica, un’apposita denuncia.

254    Il 25 luglio 2003 il ricorrente ha spedito alla Commissione una lettera con cui dichiarava di essere affetto da grave depressione acuta, e il cui oggetto recitava nel seguente modo: «dichiarazione di infortunio/malattia professionale (art. 17 della [vecchia regolamentazione di copertura])».

255    Il 25 ottobre 2004 il ricorrente ha inviato alla Commissione una nuova dichiarazione secondo la quale egli era stato colpito da grave depressione acuta a seguito delle molestie psicologiche di cui sarebbe stato vittima. L’oggetto della lettera era così formulato: «(...) Riconoscimento del mio stato di salute come malattia professionale e/o infortunio di lavoro — Implicazioni per l’attuazione dei procedimenti previsti dagli artt. 73 e 78 dello [s]tatuto (...)».

256    Occorre rilevare che, pur menzionando al contempo le nozioni di infortunio e di malattia professionale, la dichiarazione del ricorrente del 25 luglio 2003 si riferiva espressamente all’art. 17 della vecchia regolamentazione di copertura, relativo al procedimento applicabile al riconoscimento dell’origine professionale di una malattia, e non all’art. 16 della stessa regolamentazione, relativo al riconoscimento di un evento come infortunio. Il contenuto di tale dichiarazione menzionava la depressione di cui egli soffriva, ossia una patologia.

257    Parimenti, pur menzionando al contempo nell’oggetto le nozioni di infortunio e di malattia professionale, la dichiarazione del ricorrente del 25 ottobre 2004 faceva di nuovo riferimento alla depressione di cui egli soffriva.

258    Pertanto, alla luce delle stesse dichiarazioni del ricorrente, giustamente la Commissione ha considerato che esse non erano dirette al riconoscimento di un evento come infortunio, bensì all’origine professionale della malattia di cui egli soffriva e, di conseguenza, ha aperto il procedimento relativo al riconoscimento dell’origine professionale della detta patologia.

259    Il primo capo della censura dev’essere quindi respinto in quanto infondato.

 Il secondo capo della censura, attinente ad irregolarità del procedimento dinanzi all’IDOC

—       La presunta illegittimità del ricorso all’IDOC

260    Secondo il ricorrente la decisione di adire l’IDOC sarebbe illegittima, a prescindere dal fatto che sia stata adottata sulla base dell’art. 2, n. 1, delle DGA concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari ovvero sulla base del n. 2 del medesimo articolo. Quanto alla prima ipotesi, il ricorrente ritiene che un’indagine diretta a stabilire se vi sia stata una violazione degli obblighi cui i funzionari della Commissione sono tenuti non presenterebbe alcuna utilità per accertare, sotto un profilo medico, l’origine professionale della malattia di cui egli soffre. Per quel che riguarda la seconda ipotesi, egli sostiene che i fatti dedotti per dimostrare che sarebbe stato vittima di molestie psicologiche sarebbero stati incontestabili e non avrebbero richiesto alcuna indagine complementare.

261    La Commissione ricorda che la decisione di adire l’IDOC è stata presa sulla base dell’art. 2, n. 2, delle DGA concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, a seguito delle accuse di molestie psicologiche formulate dal ricorrente nella sua lettera del 25 ottobre 2004. Infatti, nell’ambito del procedimento aperto ai sensi dell’art. 73 dello Statuto, relativo al riconoscimento dell’origine professionale della malattia del ricorrente, sarebbe stato necessario verificare se non vi fosse stato un comportamento illecito da parte dell’istituzione.

262    Va ricordato che, ai sensi dell’art. 2, n. 2, delle DGA concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, l’IDOC può essere incaricato di indagini, in particolare nell’ambito dell’art. 73 dello Statuto.

263    La giurisprudenza ha precisato che l’oggetto di un’indagine amministrativa condotta ai sensi dell’art. 73 dello Statuto è di raccogliere, in modo obiettivo, tutti gli elementi che permettano di dimostrare l’origine professionale dell’infermità nonché le circostanze nelle quali essa si è prodotta. In un caso in cui le condizioni di lavoro del funzionario interessato si pongono al centro delle preoccupazioni relative all’origine professionale dell’infermità di cui soffre, l’indagine deve consistere in un’analisi oggettiva circostanziata sia delle condizioni di lavoro dell’interessato sia della sua patologia in quanto tale (v. sentenza del Tribunale di primo grado 3 marzo 2004, causa T‑48/01, Vainker/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑51 e II‑197, punto 129).

264    Orbene, nel caso di specie, in primo luogo un procedimento diretto al riconoscimento dell’origine professionale della depressione nervosa da cui è affetto il ricorrente è stato aperto il 31 luglio 2003, sulla base dell’art. 73 dello Statuto, in seguito alla dichiarazione prodotta dall’interessato il 25 luglio precedente e, in secondo luogo, il 25 ottobre 2004 il ricorrente ha inviato alla Commissione una nuova dichiarazione affermando che la depressione nervosa di cui soffriva sarebbe stata causata dalle molestie psicologiche di cui affermava di essere stato vittima.

265    L’istituzione era pertanto legittimata a disporre un’indagine esaustiva, avente ad oggetto sia la patologia di cui soffriva il ricorrente sia le condizioni di lavoro di quest’ultimo.

266    Pertanto giustamente, in seguito alla lettera del ricorrente del 25 ottobre 2004, la Commissione ha affidato all’IDOC un’indagine amministrativa riguardante le condizioni in cui il ricorrente ha svolto le sue funzioni e volta a stabilire se egli fosse stato effettivamente vittima di molestie psicologiche.

267    Di conseguenza, l’argomento del ricorrente dev’essere respinto in quanto infondato.

—       La presunta mancanza di imparzialità da parte dell’IDOC

268    Il ricorrente sostiene che l’IDOC difetterebbe di imparzialità e di indipendenza per effettuare un’indagine amministrativa, in quanto alcune delle persone che vi lavorano sarebbero all’origine di atti che egli avrebbe percepito come molestie psicologiche.

269    La Commissione ribatte che le affermazioni del ricorrente non permetterebbero di individuare con chiarezza gli eventi e i responsabili.

270    Il Tribunale ritiene di dover dichiarare infondata la censura relativa alla mancanza di imparzialità dell’IDOC, in assenza di indicazioni sufficientemente precise fornite dal ricorrente riguardo alle persone che comprometterebbero l’imparzialità di detto ufficio. A questo proposito, va osservato come il fatto che l’IDOC abbia prodotto una relazione che giungeva a conclusioni non condivise dal ricorrente non basta di per sé a dimostrare una mancanza di imparzialità da parte di tale ufficio.

—       Il rifiuto di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC

271    Il ricorrente contesta il fatto che l’APN si avvalga del contributo dell’IDOC del 16 marzo 2005, mentre la comunicazione di tale contributo è stata a lui negata con lettera datata 9 giugno 2005.

272    La Commissione replica che il rifiuto di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC sarebbe giustificato per due ragioni. In primo luogo, nell’ambito del procedimento stabilito dalla regolamentazione di copertura, tale contributo costituirebbe un atto preparatorio, di cui il medico designato dall’istituzione dovrebbe disporre senza rischiare che la sua divulgazione possa compromettere la conclusione della relazione medica. In secondo luogo, l’eccezione prevista dall’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 permetterebbe alle istituzioni di rifiutare l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile.

273    In via preliminare, il Tribunale osserva, ad ogni buon fine, che l’argomento relativo al rifiuto di comunicare il contributo dell’IDOC del 16 marzo 2005, se dovesse essere considerato come diretto a contestare la legittimità della decisione adottata il 9 giugno 2005 dal capo del settore «Assicurazioni e malattia professionale» del PMO, la quale negava la comunicazione del detto contributo al ricorrente, decisione che costituisce un atto lesivo per il ricorrente, dovrebbe essere dichiarato irricevibile. Infatti, come ricordato nell’ambito della quarta censura, un funzionario che non abbia impugnato entro i termini previsti agli artt. 90 e 91 dello Statuto una decisione che gli reca pregiudizio non può far valere la presunta illegittimità di tale decisione nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni.

274    Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente contesta il fatto che la Commissione ha perseverato nel ritenere di potergli rifiutare l’accesso a tale documento, mentre al tempo stesso se ne avvaleva contro di lui. Pertanto, tale argomento dev’essere inteso come diretto contro la legittimità di un comportamento dell’amministrazione. Di conseguenza, esso è ricevibile a sostegno delle conclusioni dirette al risarcimento danni.

275    L’art. 26 dello Statuto prevede per ciascun funzionario la costituzione di un fascicolo personale contenente tutti i documenti relativi alla sua posizione amministrativa e tutti i rapporti concernenti la sua competenza, il suo rendimento e il suo comportamento, nonché le osservazioni formulate dal funzionario in merito ai predetti documenti. L’istituzione non può opporre a un dipendente, né produrre contro di lui documenti che non gli siano stati comunicati prima dell’inserimento nel fascicolo personale. Secondo la giurisprudenza, tali disposizioni hanno lo scopo di garantire i diritti della difesa del funzionario (v. sentenze della Corte 28 giugno 1972, causa 88/71, Brasseur/Parlamento, Racc. pag. 499, punto 11; 7 ottobre 1987, causa 140/86, Strack/Commissione, Racc. pag. 3939, punto 7, e 1° ottobre 1991, causa C‑283/90 P, Vidrányi/Commissione, Racc. pag. I‑4339, punti 20 e 21).

276    Per quanto riguarda l’accesso ai documenti d’indole medica, nell’ambito di un procedimento per il riconoscimento di una malattia professionale, la regolamentazione di copertura ha istituito una procedura particolare che comporta la trasmissione al medico di fiducia del funzionario, se quest’ultimo ne fa richiesta, dopo la notificazione del progetto di decisione previsto dall’art. 21 della regolamentazione di copertura, della relazione medica completa su cui è basata la decisione che l’APN intende adottare, nonché l’esame del caso da parte di una commissione medica di cui fa parte il medico designato dal funzionario (v. sentenze Strack/Commissione, cit., punto 9, e Vidrányi/Commissione, cit., punto 22).

277    Infatti, il rispetto dei diritti del funzionario esige che a quest’ultimo sia consentito l’accesso ai documenti di indole medica (v. sentenza Strack/Commissione, cit., punto 10). Detta facoltà riconosciuta al funzionario deve però essere contemperata con le esigenze del segreto medico che rendono ciascun medico giudice della possibilità di rendere edotte le persone che cura o visita della natura delle infermità da cui esse possono essere affette (sentenza Strack/Commissione, cit., punto 11, e giurisprudenza ivi citata). La regolamentazione, contemplando l’accesso indiretto ai documenti di natura medica, tramite l’intervento di un medico di fiducia designato dal funzionario, contempera i diritti del funzionario o dei suoi aventi causa con le esigenze del segreto medico (sentenza Strack/Commissione, cit., punto 12; sentenza Vainker/Parlamento, cit., punto 137).

278    La giurisprudenza ha precisato che il rispetto dei diritti del funzionario esige che a quest’ultimo sia consentito l’accesso non solo ai documenti d’indole medica, ma altresì all’accertamento dei fatti che servono da base alla decisione da adottare ai sensi dell’art. 73 dello Statuto (v. sentenza Strack/Commissione, cit., punto 10). In tal senso, anche ai documenti relativi agli accertamenti fattuali connessi con un incidente verificatosi nell’esercizio dell’attività lavorativa, che possono servire da base per un procedimento inteso all’accertamento dell’esistenza di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale ai sensi della regolamentazione di copertura, deve essere attribuita indole medica (sentenza Strack/Commissione, cit., punto 13; sentenze del Tribunale di primo grado 12 luglio 1990, causa T‑154/89, Vidrányi/Commissione, Racc. pag. II‑445, punto 33, e Vainker/Parlamento, cit., punto 136).

279    In tale contesto, il Tribunale di primo grado ha sottolineato che è indispensabile che la relazione medica completa, di cui il funzionario può chiedere la trasmissione al medico di sua scelta e che dev’essere trasmessa ai membri della commissione medica prevista dalla regolamentazione di copertura, comprenda l’eventuale relazione di indagine amministrativa. In tal modo, se ha presentato domanda in tal senso, il funzionario può prendere posizione sugli accertamenti contenuti nella relazione dell’indagine, tramite l’intervento di un medico di sua fiducia, e valutare l’opportunità di chiedere che la commissione medica dia il proprio parere (sentenza del Tribunale di primo grado Vidrányi/Commissione, cit., punti 34 e 35).

280    Inoltre, l’indole medica di taluni documenti non osta a che essi possano, eventualmente, riguardare anche la posizione amministrativa del funzionario. In tal caso, tali documenti debbono figurare nel fascicolo personale dell’interessato (v. sentenza Strack/Commissione, cit., punto 13; sentenza del Tribunale di primo grado Vidrányi/Commissione, cit., punto 36).

281    Dunque, da un lato, il fascicolo che funge da base per il medico designato dall’istituzione o per la commissione medica per valutare il carattere professionale di una malattia è di natura medica e può quindi essere consultato solo indirettamente tramite un medico designato dal funzionario; dall’altro, gli elementi di natura amministrativa che possono figurare in tale fascicolo e influire sulla posizione amministrativa del funzionario debbono figurare anche nel fascicolo personale dove, a norma dell’art. 26 dello Statuto, il funzionario può consultarli direttamente (v. sentenza della Corte Vidrányi/Commissione, cit., punto 24).

282    L’insieme dei documenti presentati al medico designato dall’istituzione o alla commissione medica rientra così nell’ambito del regime previsto dalla regolamentazione di copertura. L’inserimento nel fascicolo personale del funzionario di alcuni di questi documenti, nonché la possibilità, per quest’ultimo, di prenderne conoscenza, sono obbligatori quindi solo se tali documenti sono utilizzati per la valutazione o la modifica della posizione amministrativa del funzionario da parte dell’istituzione da cui dipende (v. sentenza della Corte Vidrányi/Commissione, cit., punto 25).

283    Nel caso di specie va rilevato che, quando il ricorrente con lettera 19 maggio 2005 ha formulato la sua domanda per ottenere la comunicazione del contributo dell’IDOC, la Commissione non gli aveva ancora notificato alcun progetto di decisione relativa alla sua richiesta di riconoscimento di malattia professionale. In effetti, tale notifica è stata effettuata al ricorrente solo il 16 marzo 2007. Prima di tale data il contributo dell’IDOC si poteva dunque considerare come un atto preparatorio, alla luce della regolamentazione di copertura.

284    Tuttavia, nella decisione del 10 novembre 2005 con cui respingeva la domanda di risarcimento del ricorrente, l’APN si avvale del contributo dell’IDOC a sostegno del suo argomento diretto al rigetto di tale domanda.

285    Infatti nella decisione del 10 novembre 2005 l’APN spiega che «del resto, [i]l 16 marzo 2005 l’IDOC ha concluso che nessuno dei capi invocati [dal ricorrente] a sostegno delle suddette affermazioni presenta obiettivamente il carattere abusivo che egli lamenta e che costituisce una delle caratteristiche essenziali della molestia psicologica come definita dall’art. 12 bis dello Statuto» e che «le decisioni adottate nei suoi confronti sono state pronunciate nell’interesse delle istituzioni e in un ambito rigorosamente regolamentare».

286    Nei limiti in cui l’APN si avvale del contributo dell’IDOC nell’ambito dell’adozione di un atto lesivo per il ricorrente, si può considerare che tale contributo costituisse un documento riguardante la posizione amministrativa dell’interessato ai sensi dell’art. 26 dello Statuto.

287    Di conseguenza, l’interessato doveva avere accesso al contributo dell’IDOC sulla base dell’art. 26 dello Statuto (v., in tal senso, sentenze della Corte Strack/Commissione, cit., punto 13, e Vidrányi/Commissione, cit., punti 24 e 25; sentenza del Tribunale di primo grado Vidrányi/Commissione, cit., punto 36).

288    Pertanto, la Commissione ha violato l’art. 26 dello Statuto rifiutando di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC, mentre questo riguardava la posizione amministrativa dell’interessato, come dimostrato dalla decisione della Commissione del 10 novembre 2005.

289    Tale conclusione non può essere messa in discussione dagli argomenti, fatti valere dalla Commissione, secondo i quali, in primo luogo, il contributo dell’IDOC costituiva un atto preparatorio nell’ambito della procedura medica e, in secondo luogo, dovrebbe essere applicata l’eccezione prevista dall’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, che permette alle istituzioni di rifiutare l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile.

290    Infatti, quanto al primo argomento dedotto dalla Commissione, avendo scelto di utilizzare il contributo dell’IDOC al di fuori dell’ambito della procedura medica, per adottare una decisione relativa alla posizione amministrativa del ricorrente, tale istituzione non può invocare la natura preparatoria del detto contributo nell’ambito della procedura medica.

291    Quanto all’argomento attinente alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile, dal titolo stesso del regolamento n. 1049/2001 deriva che il suo ambito di applicazione è relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione.

292    Orbene, i diritti di un funzionario o agente che chiede la comunicazione di un documento riguardante la sua posizione amministrativa non sono gli stessi di un membro del pubblico che chieda l’accesso ai documenti di un’istituzione.

293    Infatti, i diritti dei funzionari e degli agenti in materia derivano dalle disposizioni speciali dell’art. 26 dello Statuto, che impongono obblighi particolari alle istituzioni, allo scopo di garantire i diritti della difesa dell’interessato, come sottolineato dalla giurisprudenza. I funzionari beneficiano dunque di un diritto proprio, basato sull’art. 26 dello Statuto.

294    Inoltre, la domanda di un funzionario può entrare, se del caso, nell’ambito di applicazione di disposizioni speciali in materia di funzione pubblica, che sono relative all’accesso a tipi particolari di documenti, come per esempio i documenti di natura medica.

295    Da quanto precede deriva che l’eccezione prevista dall’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, invocata dalla Commissione, non osta all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 26 dello Statuto. Tale eccezione non autorizzava dunque la Commissione a negare al ricorrente la comunicazione del contributo dell’IDOC.

296    La Commissione ha quindi commesso un illecito amministrativo, omettendo di concedere al ricorrente accesso al contributo dell’IDOC, mentre tale documento riguardava la posizione amministrativa del ricorrente stesso.

g)     La settima censura: illegittimità del parere della commissione di invalidità del 29 ottobre 2004

 Argomenti delle parti

297    Nella presente censura il ricorrente contesta la legittimità del parere reso dalla commissione di invalidità il 29 ottobre 2004. Egli ritiene che la commissione di invalidità avrebbe dovuto pronunciarsi sull’eventuale relazione tra l’invalidità del ricorrente da essa accertata e le condizioni di esercizio della sua attività professionale.

298    Secondo il ricorrente, la Commissione avrebbe violato l’art. 78 dello Statuto subordinando l’istruzione del procedimento previsto da tale disposizione al previo espletamento del procedimento di cui all’art. 73 dello Statuto. Il ricorrente sottolinea di aver chiesto, nella sua lettera del 23 giugno 2004, che venisse accertato, in conformità all’art. 78, quinto comma, dello Statuto, che la sua invalidità trovava origine nell’esercizio delle sue funzioni. A sostegno del suo argomento egli invoca la sentenza del Tribunale di primo grado 27 febbraio 1992, causa T‑165/89, Plug/Commissione (Racc. pag. II‑367).

299    La Commissione sostiene che la commissione di invalidità esercita la propria competenza in modo da disporre dei risultati dell’indagine svolta ai sensi dell’art. 73 dello Statuto nel momento in cui si pronuncia sul nesso tra l’invalidità di un funzionario e la sua attività professionale. I lavori della commissione di invalidità sarebbero quindi organizzati in due fasi. Nella prima fase, la commissione di invalidità si limiterebbe a pronunciarsi sull’invalidità dell’interessato. In seguito essa sospenderebbe i lavori fino al momento in cui le vengono comunicati gli elementi dell’indagine svolta ai sensi dell’art. 73 dello Statuto. In una seconda fase essa si riunirebbe di nuovo e si pronuncerebbe sul nesso tra le circostanze dell’attività professionale del funzionario e la sua invalidità. La Commissione sostiene che il Tribunale di primo grado avrebbe convalidato tale svolgimento della procedura nella citata sentenza Lucaccioni/Commissione.

300    La Commissione sottolinea che siffatta organizzazione del procedimento non avrebbe privato il ricorrente dell’indennità di invalidità prevista dall’art. 78, terzo comma, dello Statuto, in attesa dell’esito della procedura seguita ai sensi dell’art. 73 dello Statuto. La sola questione lasciata in sospeso avrebbe riguardato le prestazioni di cui all’art. 78, quinto comma, dello Statuto e, in particolare, la presa in carico da parte dell’istituzione dei contributi al regime delle pensioni. Nei propri atti la Commissione ha sottolineato che, nel caso in cui venisse riconosciuta l’origine professionale dell’invalidità del ricorrente, quest’ultimo si vedrebbe accordare il beneficio di cui all’art. 78, quinto comma, dello Statuto, retroattivamente alla data della decisione che lo colloca in stato di invalidità. A seguito della decisione del 28 marzo 2008, che riconosceva l’origine professionale della malattia del ricorrente, la Commissione ha fornito al Tribunale, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, la decisione del 16 giugno 2008 che annullava e sostituiva la decisione dell’8 novembre 2004, con cui l’APN, alla luce delle conclusioni della commissione di invalidità datate 9 giugno 2008, aveva riconosciuto al ricorrente il beneficio di un’indennità di invalidità fissata conformemente al disposto dell’art. 78, quinto comma, dello Statuto, con effetto dal giorno della messa in invalidità del ricorrente stesso, ossia il 30 novembre 2004.

 Giudizio del Tribunale

301    Come ricordato nell’ambito della quarta censura, un funzionario che non ha impugnato entro i termini di cui agli artt. 90 e 91 dello Statuto una decisione dell’APN che gli reca pregiudizio non può invocare la presunta illegittimità di tale decisione nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni.

302    Pertanto, non avendo sporto reclamo contro la decisione dell’APN dell’8 novembre 2004, che lo aveva collocato in pensione con il beneficio di un’indennità di invalidità fissata conformemente all’art. 78, terzo comma, dello Statuto, e non conformemente al quinto comma della medesima disposizione, il ricorrente non può dedurre l’illegittimità di tale decisione nell’ambito del presente ricorso per risarcimento danni.

303    Nel presente motivo il ricorrente tuttavia non contesta la legittimità della decisione dell’APN dell’8 novembre 2004, limitandosi invece a contestare il parere reso dalla commissione di invalidità il 29 ottobre 2004, nella parte in cui non si pronuncia sull’eventuale relazione tra l’accertata invalidità che lo riguarda e la sua attività professionale, tenuto conto dell’indagine già avviata in base all’art. 73 dello Statuto.

304    Occorre pertanto esaminare se, con la presente censura relativa all’illegittimità del parere della commissione di invalidità, il ricorrente non tenti di aggirare l’irricevibilità della censura attinente all’illegittimità della decisione dell’APN dell’8 novembre 2004, in mancanza di reclamo e di ricorso giurisdizionale proposti contro tale ultima decisione.

305    Tale questione, che riguarda il rispetto della fase precontenziosa del procedimento e i termini di ricorso, dev’essere sollevata d’ufficio dal giudice.

306    Secondo la giurisprudenza, il parere pronunciato dalla commissione di invalidità dev’essere considerato come un atto preparatorio che si inserisce nel procedimento di pensionamento (sentenza del Tribunale di primo grado 3 giugno 1997, causa T‑196/95, H/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑133 e II‑403, punto 48; ordinanza del Tribunale di primo grado 15 novembre 2006, causa T‑115/05, Jiménez Martínez/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑2‑269 e II‑A‑2‑1409, punti 29 e 30).

307    Pur non potendo escludersi che un atto preparatorio arrechi pregiudizio a un funzionario indipendentemente dalla decisione finale che tale atto prepara, va rilevato che, nel caso di specie, il ricorrente non sostiene che il parere della commissione di invalidità gli ha recato un pregiudizio diverso da quello che avrebbe potuto provocargli la decisione presa in base ad esso, ossia la decisione dell’APN dell’8 novembre 2004.

308    Secondo il ricorrente, infatti, il parere della commissione di invalidità sarebbe illegittimo perché tale commissione non si sarebbe pronunciata sull’origine della sua invalidità, in attesa dei dati dell’indagine aperta ai sensi dell’art. 73 dello Statuto.

309    Orbene, è la decisione dell’APN dell’8 novembre 2004, la quale, collocando il ricorrente a riposo e attribuendogli il beneficio di un’indennità di invalidità sulla base dell’art. 78, terzo comma, dello Statuto, e non sulla base dell’art. 78, quinto comma, dello Statuto stesso, può eventualmente aver arrecato un pregiudizio al ricorrente.

310    Poiché la censura attinente all’illegittimità del parere della commissione di invalidità è diretta contro un atto preparatorio, e non avendo il ricorrente spiegato perché tale atto gli avrebbe arrecato un pregiudizio diverso da quello della decisione finale, mentre in ogni caso egli non ha richiesto l’annullamento della decisione dell’8 novembre 2004 né introdotto un ricorso per risarcimento danni entro i termini prescritti per contestare le conseguenze di tale decisione, la censura di cui trattasi dev’essere dichiarata irricevibile.

h)     Ottava censura: illegittimità dell’apertura e del mantenimento di un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente

 Osservazione preliminare

311    Nella presente censura il ricorrente critica il fatto che dei procedimenti disciplinari siano stati aperti e mantenuti nei suoi confronti mentre, a suo parere, gli elementi sui cui tali procedimenti si basano non sarebbero mai stati accertati. Tale censura richiama l’insieme dei motivi formulati nell’ambito del ricorso F‑124/05.

312    Secondo la giurisprudenza, il rinvio, in un ricorso, ad un atto introduttivo che il ricorrente ha depositato in un’altra causa, non produce l’effetto di incorporare nella prima causa i motivi fatti valere nella seconda (v. sentenza del Tribunale di primo grado 5 dicembre 2006, causa T‑424/04, Angelidis/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑2‑323 e II‑A‑2‑1649, punto 42).

313    Occorre pertanto, in via preliminare, esaminare se la censura, nei limiti in cui consiste in un richiamo all’insieme dei motivi sollevati nel ricorso F‑124/05, sia ricevibile alla luce dei requisiti stabiliti dalle disposizioni dell’art. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e dell’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, applicabile mutatis mutandis al Tribunale al momento del deposito del ricorso.

314    La finalità dell’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado è di permettere al giudice di statuire sui motivi sollevati con sufficiente precisione.

315    Tale disposizione non deve peraltro essere interpretata in una maniera che abbia come conseguenza quella di imporre alle parti un formalismo eccessivo che non farebbe altro che appesantire il procedimento giurisdizionale (v., per analogia, sentenza del Tribunale di primo grado 11 giugno 2009, causa T‑318/01, Othman/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑1627, punto 57).

316    Nelle particolari circostanze del caso di specie, il rinvio operato dal ricorrente è finalizzato ad evitargli, tenuto conto della connessione delle cause F‑124/05 e F‑96/06, di ripetere nel ricorso F‑96/06 le analisi di una trentina di pagine già esposte nel ricorso F‑124/05, nonché di fornire nuovamente gli allegati di centinaia di pagine annessi a tale ultimo ricorso.

317    Inoltre, le cause F‑124/05 e F‑96/06 sono state riunite con ordinanza del Presidente del Tribunale 22 gennaio 2009.

318    Di conseguenza, il fatto che l’ottava censura consista in un rinvio all’insieme dei motivi esposti nel ricorso F‑124/05 non può comportare l’irricevibilità di tale censura.

319    Nel prosieguo della presente sentenza, i sei motivi del ricorso F‑124/05 saranno esaminati uno dopo l’altro, considerando ciascuno di essi come un capo dell’ottava censura del presente ricorso. I capi in cui si articolano i motivi del ricorso F‑124/05 verranno presi in esame come dei sotto-capi dei capi dell’ottava censura del presente ricorso.

320    Inoltre, il primo motivo del ricorso F‑124/05, attinente al rifiuto dell’APN di trarre le conseguenze della decisione di non luogo a procedere pronunciata dal giudice belga, malgrado il nesso che l’APN stessa avrebbe accertato tra il procedimento penale e quello disciplinare, nonché il secondo motivo di tale ricorso, attinente ad un pregiudizio per l’autorità di cosa giudicata della suddetta decisione di non luogo a procedere, vanno trattati congiuntamente in quanto entrambi relativi alle conseguenze della decisione del giudice penale belga sul procedimento disciplinare.

 Il primo e il secondo capo della censura, attinenti alla violazione delle conseguenze della decisione di non luogo a procedere pronunciata dal giudice belga

—       Argomenti delle parti

321    Secondo il ricorrente, il procedimento disciplinare che lo riguarda sarebbe stato aperto esclusivamente a causa dei procedimenti penali avviati dalle autorità belghe. Questo emergerebbe dalla decisione dell’APN di aprire un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, adottata il 16 gennaio 2004, la quale collegherebbe inequivocabilmente il procedimento disciplinare al procedimento penale. I fatti su cui si basa l’accusa penale e quelli su cui si basa il procedimento disciplinare sarebbero identici e differirebbero soltanto nella qualifica, penale o disciplinare. Inoltre, la concomitanza tra i due procedimenti non lascerebbe dubbi quanto allo stretto legame che li unisce. Pertanto, il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere chiuso, per trarre le conseguenze della decisione definitiva di non luogo a procedere resa il 30 giugno 2004 dal giudice penale belga, il quale avrebbe dichiarato non accertati i fatti sui quali si basava l’accusa. Decidere in modo diverso vorrebbe dire negare l’autorità di cosa giudicata della suddetta decisione nonché la sovranità degli Stati membri.

322    La Commissione replica che l’argomentazione del ricorrente sarebbe erronea in fatto, dal momento che la decisione di aprire il procedimento disciplinare preciserebbe esplicitamente che, oltre all’accusa in sede penale, le censure mosse contro l’interessato si baserebbero sulla relazione riguardante le indagini amministrative complementari dell’IDOC del 22 febbraio 2002. Essa sostiene che il giudice penale belga era competente solo a pronunciarsi sui capi d’accusa alla luce del codice penale belga e che, nella qualificazione disciplinare dei fatti, l’APN non sarebbe vincolata dalla qualificazione operata dal giudice penale in base ad altre disposizioni. In ogni caso, le censure attinenti ad una violazione del principio secondo cui il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova e ad un pregiudizio per l’autorità di cosa giudicata sarebbero incoerenti nel caso di specie, in mancanza di una decisione disciplinare finale.

—       Giudizio del Tribunale

323    Come precisato dalla giurisprudenza del Tribunale di primo grado, l’art. 88, quinto comma, dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, divenuto art. 25 dell’allegato IX dello Statuto, risponde a una duplice ratio. Da un lato, tale articolo soddisfa l’esigenza di non incidere sulla posizione del funzionario interessato nell’ambito di azioni penali che vengano avviate nei suoi confronti in relazione a fatti che sono peraltro oggetto di un procedimento disciplinare in seno alla sua istituzione di appartenenza. Dall’altro, la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale consente di prendere in considerazione, nell’ambito del detto procedimento disciplinare, constatazioni di fatto operate dal giudice penale, una volta che la decisione di quest’ultimo sia passata in giudicato. Infatti, l’art. 25 dell’allegato IX dello Statuto sancisce il principio secondo cui «il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova», il che si giustifica in particolare con il fatto che i giudici penali nazionali dispongono di poteri di indagine più ampi rispetto a quelli dell’APN. Pertanto, nel caso in cui i medesimi fatti possano configurare un illecito penale e una violazione degli obblighi statutari incombenti al funzionario, l’amministrazione è vincolata dagli accertamenti fattuali compiuti dal giudice nell’ambito del procedimento penale. Una volta che quest’ultimo abbia accertato l’esistenza dei fatti in questione nella fattispecie, l’amministrazione può procedere in seguito alla loro qualificazione giuridica alla luce della nozione di illecito disciplinare, verificando in particolare se essi costituiscano violazioni degli obblighi statutari (sentenza del Tribunale di primo grado 10 giugno 2004, causa T‑307/01, François/Commissione, Racc. pag. II‑1669, punto 75).

324    Nel caso di specie, dalla motivazione della decisione che nega la chiusura del procedimento disciplinare risulta che l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente non si basava unicamente sulle azioni penali promosse in Belgio per falso in atto pubblico e frode, in relazione con gli ordini di missione e le distinte delle spese di missione del sig. Berthelot, ma si basava altresì sul ruolo attivo che il ricorrente avrebbe svolto nell’irregolare reinquadramento di quest’ultimo e nella sua altrettanto irregolare assunzione presso il CCR.

325    La requisitoria scritta del procureur du Roi indicava che nessuna dichiarazione riguardava esplicitamente o implicitamente il ricorrente, che nessun elemento materiale permetteva di stabilire la partecipazione dell’interessato ai fatti e che lo stesso ricorrente forniva gli elementi che dimostravano la falsità degli ordini di missione. La decisione di non luogo a procedere, che faceva rinvio alla requisitoria scritta del procureur du Roi, ha accertato che il fascicolo istruttorio permetteva di non dubitare circa le accuse sull’esistenza di falso e di frode, ma che nessun indizio permetteva di rivolgersi a colpo sicuro contro uno degli accusati chiamati in causa dall’istruttoria.

326    La decisione di non luogo a procedere impedisce pertanto alle autorità disciplinari solo di muovere contro il ricorrente le accuse di falso e di frode così come punite dal diritto penale belga, per quel che riguarda la compilazione degli ordini e delle spese di missione del sig. Berthelot. Essa non osta a che l’autorità disciplinare muova nei confronti dell’interessato eventuali censure disciplinari legate al reinquadramento tabellare del sig. Berthelot e alla sua assunzione presso il CCR.

327    Pertanto, i primi due capi dell’ottava censura debbono essere respinti in quanto privi di fondamento.

 Il terzo capo della censura, attinente al presunto ingiustificato nesso tra il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente e il procedimento nei confronti dell’ex membro della Commissione

—       Argomenti delle parti

328    In via subordinata il ricorrente sostiene che la decisione che rifiuta di chiudere il procedimento disciplinare sarebbe illegittima in quanto mantiene detto procedimento in sospeso, collegando erroneamente tale sospensione all’esito del procedimento pendente dinanzi alla Corte di giustizia nei confronti della sig.ra Cresson.

329    In particolare il ricorrente critica l’analogia con l’art. 25 dell’allegato IX dello Statuto cui l’APN ha proceduto per giustificare la decisione impugnata e fa osservare che la sentenza Tzoanos/Commissione, citata in precedenza, non sarebbe affatto pertinente nel caso di specie, poiché quest’ultima sentenza riguarda l’ipotesi di un funzionario alle prese con due procedimenti, uno penale e l’altro disciplinare, mentre nel caso di specie esistono due procedimenti a carico di due diverse persone. Il ricorrente denuncia la contraddittorietà del ragionamento effettuato dall’APN, poiché quest’ultima ricorda che lo scopo dell’art. 25 dell’allegato IX dello Statuto sarebbe di non collocare il funzionario in una situazione meno favorevole adottando una decisione disciplinare prima della conclusione del procedimento penale mentre, nel caso di specie, la decisione impugnata lo penalizzerebbe anziché tutelare i suoi interessi.

330    Infine, il ricorrente contesta il carattere incomprensibile della motivazione della decisione impugnata, in quanto essa indica che «ogni decisione sul merito del Suo caso, che si tratti di un’eventuale chiusura o di un eventuale proseguimento della pratica, non sarebbe neutrale rispetto al procedimento pendente dinanzi alla Corte nei confronti della sig.ra Cresson e potrebbe pertanto essere considerato come un tentativo inopportuno di influenza». Il ricorrente rileva di non capire che cosa si potrebbe influenzare: l’APN stessa, la Corte di giustizia, il Tribunale? Nel proporre tale argomento l’APN avrebbe violato l’obbligo di motivazione di cui all’art. 25, secondo comma, dello Statuto, cosa che renderebbe illegittima la decisione impugnata.

331    La Commissione replica agli argomenti del ricorrente sostenendo in sostanza che nessuna disposizione imponeva all’APN di sospendere il procedimento, ma che non si poteva ragionevolmente perseguire un funzionario prima di aver definito la posizione della persona nel cui interesse questi aveva apparentemente agito. Essa aggiunge che la decisione di sospensione non avrebbe pregiudicato gli interessi del ricorrente i quali, al contrario, sarebbero stati tutelati dalla decisione stessa. Prova ne sarebbe il fatto che, alla luce della mancanza di sanzione pronunciata dalla Corte nei confronti dell’ex membro della Commissione, l’istituzione convenuta avrebbe deciso di chiudere il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente.

—       Giudizio del Tribunale

332    Secondo il ricorrente, da un lato, l’incoerenza della motivazione della decisione che rifiuta di chiudere il procedimento disciplinare vizierebbe la detta decisione alla luce del requisito di motivazione delle decisioni di cui all’art. 25 dello Statuto; dall’altro lato, la suddetta decisione sarebbe viziata da un errore di diritto.

333    In primo luogo, va rilevato che la motivazione deve consentire al giudice di esercitare il suo sindacato di legittimità sulla decisione impugnata e fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se la decisione sia fondata oppure se sia inficiata da un vizio che consente di contestarne la legittimità (sentenze del Tribunale di primo grado 23 aprile 2002, causa T‑372/00, Campolargo/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑49 e II‑223, punto 49, e 17 ottobre 2006, causa T‑406/04, Bonnet/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I‑A‑2‑213 e II‑A‑2‑1097, punto 67).

334    Il principale argomento invocato dal ricorrente per giustificare la sua domanda di chiusura del procedimento disciplinare nei suoi confronti è la pronuncia della decisione di non luogo a procedere da parte del giudice penale belga.

335    La decisione di rifiuto della chiusura del procedimento disciplinare precisa che il procedimento disciplinare e quello penale sono distinti e indipendenti l’uno dall’altro. Il tribunal de première instance di Bruxelles avrebbe qualificato i fatti tenendo unicamente conto del diritto penale belga e non delle censure formulate dalla Commissione basate su obblighi comunitari. Di conseguenza, l’esito del procedimento penale belga non avrebbe alcuna influenza sul procedimento disciplinare, e il fatto che il procedimento penale belga sia sfociato in un non luogo a procedere non significherebbe che il procedimento disciplinare debba essere chiuso.

336    Da quanto precede deriva che la decisione impugnata fornisce al ricorrente indicazioni sufficienti per valutare la fondatezza dei motivi che hanno portato al rigetto della sua domanda diretta alla chiusura del procedimento disciplinare, nonché al Tribunale per poter esercitare il suo controllo.

337    Peraltro, indipendentemente dalla risposta alla richiesta di chiusura presentata dal ricorrente, la decisione impugnata precisa che il procedimento disciplinare nei confronti dell’interessato doveva continuare a rimanere in sospeso.

338    L’APN giustificava il mantenimento di tale sospensione con il nesso tra il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente e il procedimento proposto dinanzi alla Corte nei confronti della sig.ra Cresson.

339    Siffatta motivazione, malgrado il riferimento, invero impreciso, ad un «tentativo di influenza inopportuno», fornisce al ricorrente indicazioni sufficienti per valutare la fondatezza dei motivi che giustificano il mantenimento della sospensione del procedimento disciplinare, nonché al Tribunale per poter esercitare il suo controllo.

340    La censura attinente all’insufficiente motivazione della decisione impugnata deve pertanto essere respinta in quanto infondata.

341    Per quel che riguarda la censura attinente all’errore di diritto, anche se nessuna disposizione imponeva all’APN di sospendere il procedimento in attesa della pronuncia della sentenza Commissione/Cresson, il caso del ricorrente era legato a quello della sig.ra Cresson poiché egli era il capo del gabinetto di quest’ultima durante il periodo in cui sono state commesse alcune delle frodi contestate all’interessata, e tale legame rappresentava una circostanza che la Commissione poteva legittimamente prendere in considerazione.

342    Di conseguenza, a prescindere dalla circostanza che tale sospensione produceva l’effetto di prolungare la durata del procedimento disciplinare, la decisione di non perseguire il ricorrente prima che fosse definito il caso dell’ex membro della Commissione appariva di per sé legittima e ragionevole.

343    Da tutto quanto precede deriva che il terzo capo dell’ottava censura dev’essere respinto in quanto infondato.

 Il quarto capo della censura, attinente all’insufficienza di elementi di prova che giustificassero l’apertura del procedimento disciplinare

—       Argomenti delle parti

344    Il ricorrente sostiene che contro di lui sarebbero stati avviati procedimenti disciplinari mentre gli elementi materiali che li giustificavano «non [sarebbero] mai stati dimostrati e [sarebbero] stati perfino dichiarati infondati [nell’ordinanza resa dal Tribunal de première instance di Bruxelles]».

345    La Commissione ritiene che la decisione di aprire un procedimento disciplinare potrebbe costituire un illecito amministrativo soltanto nell’ipotesi eccezionale di un’intenzione di nuocere, ossia in una situazione in cui non esistesse alcun indizio contro l’interessato nel momento in cui la decisione viene adottata. Orbene, questo non sarebbe avvenuto nel caso di specie, poiché il ricorrente era stato oggetto di pesanti accuse riguardo al suo coinvolgimento in gravi irregolarità.

—       Giudizio del Tribunale

346    Il presente capo della censura attiene all’illegittimità della decisione di apertura del procedimento disciplinare.

347    Dagli argomenti presentati dalle parti risulta che esse sono in disaccordo riguardo alla portata del potere discrezionale di cui un’istituzione gode in merito alla decisione di aprire un procedimento disciplinare e, di conseguenza, all’intensità del controllo che il giudice europeo deve esercitare sulla legittimità di una tale decisione.

348    Infatti, secondo il ricorrente, la decisione di aprire un procedimento disciplinare sarebbe illegittima quando le accuse in base alle quali il procedimento è stato avviato non sono comprovate, il che porta a ritenere che il giudice debba esercitare un controllo normale su tale decisione. Secondo la Commissione, invece, simile decisione potrebbe dar luogo a un illecito amministrativo solo nell’ipotesi eccezionale di un’intenzione di nuocere, il che equivale a ritenere che il controllo del giudice dovrebbe limitarsi allo sviamento di potere.

349    Pertanto, in primo luogo, occorre precisare la portata del potere discrezionale di cui dispone l’APN quando adotta la decisione di aprire un procedimento disciplinare e l’intensità del controllo giurisdizionale che ne deriva, prima di esaminare, in secondo luogo, se nella fattispecie in esame la decisione con cui la Commissione ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente non fosse viziata da illegittimità.

350    Prima di occuparci di tali questioni occorre procedere a due osservazioni preliminari.

351    Anzitutto, la legittimità dell’atto impugnato deve essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti alla data in cui l’atto è stato adottato (sentenza della Corte 7 febbraio 1979, cause riunite 15/76 e 16/76, Francia/Commissione, Racc. pag. 321, punto 7). Eventuali elementi emersi dal procedimento disciplinare successivamente all’adozione della decisione di avviare il suddetto procedimento non possono pregiudicare la legittimità di detta decisione, dato che lo scopo dell’indagine era proprio accertare se i sospetti iniziali fossero fondati (v., per analogia, sentenza Giraudy/Commissione, cit., punto 145).

352    In secondo luogo, il fatto che il procedimento disciplinare sia stato chiuso senza che fosse inflitta alcuna sanzione disciplinare al funzionario di cui trattasi non può impedire al giudice di esercitare un controllo sulla legittimità della decisione che apre un procedimento disciplinare nei confronti dell’interessato.

353    Infatti, vi sarebbe un rischio di arbitrio se si ammettesse che l’APN dispone di un potere assoluto e illimitato di aprire un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario, e poi di chiuderlo non adottando alcuna sanzione, senza che il detto funzionario abbia la possibilità, al momento opportuno, di contestare la decisione di avviare il procedimento stesso perché manca una sanzione contro cui poter promuovere un eventuale ricorso.

354    Deve dunque esistere una limitazione giuridica al potere discrezionale dell’APN nel momento in cui adotta una decisione di apertura di un procedimento disciplinare. Tale limitazione dev’essere soggetta al controllo del giudice.

355    Del resto, l’argomento della Commissione non contrasta con siffatta constatazione. La tesi dell’istituzione, infatti, non consiste nel sostenere che dovrebbe essere escluso qualsiasi controllo giurisdizionale della decisione di aprire un procedimento disciplinare, ma che siffatto controllo dovrebbe essere limitato all’ipotesi dello sviamento di potere.

356    Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 86, n. 1, dello Statuto, nella versione applicabile sino al 30 aprile 2004, sotto il cui vigore è stata adottata la decisione che ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, qualsiasi mancanza agli obblighi cui il funzionario è soggetto, commessa volontariamente o per negligenza, lo espone a una sanzione disciplinare.

357    La scelta del termine «esporre» nel testo di tale disposizione implica che, in caso di mancanza ad uno degli obblighi cui è soggetto, il funzionario interessato non è sanzionato in maniera sistematica e obbligatoria, ma semplicemente può essere sanzionato.

358    Pertanto, la disposizione di cui all’art. 86, n. 1, dello Statuto, nella versione applicabile fino al 30 aprile 2004, implica necessariamente un ampio potere discrezionale dell’APN sia riguardo all’opportunità di avviare un procedimento disciplinare sia riguardo alla scelta di un’eventuale sanzione a conclusione di tale procedimento.

359    Come precisato dalla giurisprudenza del Tribunale di primo grado, lo scopo di una decisione di aprire un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario è quello di permettere all’APN di esaminare la veridicità e la gravità dei fatti contestati al funzionario interessato e di ascoltarlo al riguardo, al fine di formarsi un’opinione, da un lato, circa l’opportunità di chiudere senza seguito il procedimento disciplinare oppure di adottare una sanzione disciplinare nei confronti del funzionario e, dall’altro lato, ove necessario, riguardo alla necessità di rinviarlo o meno, prima di adottare tale sanzione, dinanzi alla commissione di disciplina, secondo il procedimento previsto dall’allegato IX dello Statuto (sentenze del Tribunale di primo grado 13 marzo 2003, causa T‑166/02, Pessoa e Costa/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑89 e II‑471, punto 36, e 5 ottobre 2005, causa T‑203/03, Rasmussen/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑279 e II‑1287, punto 41).

360    Di conseguenza, tenuto conto dell’oggetto e della finalità di un procedimento disciplinare, così come precisati dalla giurisprudenza del Tribunale di primo grado, non è necessario, contrariamente alla tesi sostenuta dal ricorrente, che i fatti contestati all’interessato siano «dimostrati» affinché un procedimento disciplinare venga validamente aperto. Il procedimento disciplinare ha per l’appunto lo scopo di far luce sui fatti contestati all’interessato.

361    Pertanto, l’argomento del ricorrente secondo cui dei procedimenti disciplinari sarebbero stati avviati e mantenuti nei suoi confronti, mentre gli elementi di fatto che li giustificavano non erano stati «dimostrati», non può essere accolto.

362    All’altra estremità dello spettro occorre esaminare l’argomento della Commissione secondo cui la decisione di aprire un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario sarebbe illegittima solo nel caso eccezionale di uno sviamento di potere.

363    Secondo una costante giurisprudenza, la nozione di sviamento di potere ha una portata ben precisa e riguarda la situazione in cui un’autorità amministrativa esercita i suoi poteri per uno scopo diverso da quello per cui le sono stati conferiti. Una decisione è viziata da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottata per raggiungere scopi diversi da quelli dichiarati (sentenze del Tribunale di primo grado 11 giugno 1996, causa T‑118/95, Anacoreta Correia/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑283 e II‑835, punto 25, e 6 luglio 1999, cause riunite T‑112/96 e T‑115/96, Séché/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑115 e II‑623, punto 139).

364    Lo sviamento di potere costituisce pertanto un’ipotesi di illegittimità particolarmente grave.

365    Ebbene, continuerebbe a sussistere un rischio di arbitrio se si ammettesse che le ipotesi di illegittimità di una decisione che apre un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario siano limitate a quelle dello sviamento di potere. Infatti, negligenze gravi da parte dell’APN nella materia non potrebbero essere sanzionate.

366    Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono e al fine di tutelare i diritti del funzionario interessato, si deve ritenere che l’APN eserciti i propri poteri in modo illegittimo non solo qualora sia dimostrato uno sviamento di potere, ma altresì in mancanza di elementi sufficientemente precisi e pertinenti che indichino che l’interessato avrebbe commesso un illecito disciplinare (v., in tal senso, sentenza Franchet e Byk/Commissione, cit., punto 352).

367    Tenuto conto dell’ampio potere discrezionale di cui gode l’APN e dei limiti che occorre imporre ad esso, il controllo giurisdizionale deve limitarsi ad una verifica dell’esattezza materiale degli elementi presi in considerazione dall’amministrazione per aprire un procedimento disciplinare, della mancanza di errore manifesto di valutazione dei fatti contestati e dell’assenza di sviamento di potere (v., per analogia, in materia di sanzione disciplinare, sentenze del Tribunale di primo grado 15 maggio 1997, causa T‑273/94, N/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑97 e II‑289, punto 125, e 17 maggio 2000, causa T‑203/98, Tzikis/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑91 e II‑393, punto 50).

368    Nel caso di specie, va osservato che le relazioni dell’OLAF e dell’IDOC non escludevano la possibilità che il ricorrente fosse intervenuto nel reinquadramento tabellare irregolare del sig. Berthelot.

369    Infatti, la relazione dell’OLAF del 23 novembre 1999 menziona, sulla base di dichiarazioni di funzionari parzialmente concordanti, la probabilità che si fosse svolta una riunione nell’ufficio del ricorrente, durante la quale si sarebbe discusso della possibilità di reinquadrare il sig. Berthelot nel gruppo I degli ospiti scientifici. La relazione dell’IDOC del 22 febbraio 2002 precisa che l’analisi degli elementi dell’indagine fa pensare che una simile riunione abbia effettivamente avuto luogo tra il 21 e il 29 novembre 1996.

370    Esistevano pertanto elementi sufficientemente seri che indicavano che il ricorrente era intervenuto in maniera attiva perlomeno nel reinquadramento tabellare del sig. Berthelot, reinquadramento considerato illegittimo al momento della decisione di aprire un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, e ciò anche se non esistevano indizi scritti a supporto delle dichiarazioni dei diversi funzionari e anche se il ricorrente contestava la veridicità di un certo numero di testimonianze. La decisione di aprire un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente è stata dunque basata su un fondamento di fatto sufficientemente preciso e pertinente.

371    In tali circostanze, aprendo un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente l’APN non ha violato i limiti posti al suo potere discrezionale.

372    Da quanto precede deriva che il quarto capo dell’ottava censura dev’essere respinto in quanto infondato.

 Il quinto capo della censura, attinente a violazioni del dovere di sollecitudine, dell’obbligo di assistenza e del principio di legittimo affidamento

—       Argomenti delle parti

373    Il ricorrente contesta alla Commissione di aver aperto e mantenuto un procedimento disciplinare «che [sarebbe] stato condotto in maniera parziale e durante il quale l’APN non [avrebbe] fatto tutto ciò che era in suo potere per comprendere l’esatto svolgimento dei fatti». In tal modo la Commissione avrebbe violato il suo dovere di sollecitudine, il suo obbligo di assistenza nonché il principio del legittimo affidamento. A sostegno di tale motivo il ricorrente ricorda le numerose carenze e violazioni dei diritti della difesa che avrebbero viziato le diverse indagini amministrative e che priverebbero di qualunque credibilità il procedimento disciplinare aperto su basi del genere.

374    La Commissione nega di essere venuta meno ai suoi doveri di sollecitudine e di assistenza. Essa sottolinea, da un lato, che in presenza di elementi gravi che indichino la violazione da parte di un funzionario dei propri obblighi statutari il dovere di sollecitudine non può in alcun caso impedire all’APN di aprire un procedimento disciplinare nei confronti dell’interessato e, dall’altro lato, che non si può contestare all’istituzione di non aver adottato tutte le misure necessarie per verificare se le accuse formulate a carico del ricorrente fossero fondate o meno.

—       Giudizio del Tribunale

375    Occorre valutare se, aprendo e mantenendo un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, la Commissione abbia violato il suo dovere di sollecitudine, il suo obbligo di assistenza e il principio di legittimo affidamento.

376    In primo luogo, secondo una costante giurisprudenza, il dovere di sollecitudine rispecchia l’equilibrio dei diritti e dei doveri reciproci che lo Statuto ha istituito nei rapporti fra la pubblica amministrazione e gli agenti della funzione pubblica. Tale dovere implica in particolare che, quando si pronuncia sulla situazione di un funzionario, l’APN deve prendere in considerazione il complesso degli elementi atti a determinare la propria decisione e in tal contesto deve tener conto non solo dell’interesse del servizio ma anche di quello del funzionario di cui trattasi (sentenze del Tribunale di primo grado 20 giugno 1990, causa T‑133/89, Burban/Parlamento, Racc. pag. II‑245, punto 27, e Séché/Commissione, cit., punto 147).

377    Le esigenze del dovere di sollecitudine non si possono interpretare nel senso che di per se stesse impediscono all’APN di avviare e di istruire un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario. Infatti, una tale decisione è presa prima di tutto nell’interesse che è proprio dell’istituzione a che eventuali mancanze da parte di un funzionario ai propri obblighi statutari siano accertate ed eventualmente sanzionate.

378    Pertanto, alla Commissione non può essere contestata alcuna violazione del suo dovere di sollecitudine per il semplice fatto di aver aperto un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente.

379    Quanto alle altre censure del ricorrente relative all’apertura e al mantenimento di un procedimento disciplinare nei suoi confronti, da un lato esse sono state respinte nell’ambito degli altri capi dell’ottava censura e, dall’altro lato, la specifica censura attinente al carattere irragionevole della durata del suddetto procedimento verrà esaminata poco oltre.

380    In secondo luogo, per giurisprudenza costante, l’obbligo di assistenza, sancito all’art. 24 dello Statuto, contempla la tutela dei funzionari, da parte dell’istituzione, contro comportamenti lesivi da parte di terzi nonché di colleghi o superiori gerarchici, nella loro qualità personale, e non contro gli atti emanati dall’istituzione stessa, il cui controllo rientra in altre disposizioni dello Statuto (sentenze del Tribunale di primo grado 18 febbraio 1993, causa T‑45/91, Mc Avoy/Parlamento, Racc. pag. II‑83, punto 60, e 13 luglio 1995, causa T‑44/93, Saby/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑175 e II‑541, punto 54).

381    Orbene, è giocoforza constatare che l’OLAF, la DG «Personale e amministrazione» e l’IDOC, dei quali il ricorrente denuncia le indagini, non sono soggetti terzi rispetto all’istituzione. Né peraltro il ricorrente apporta alcun principio di prova di azioni lesive da parte di colleghi o di superiori gerarchici che avrebbero giustificato l’assistenza da parte dell’istituzione.

382    Di conseguenza, la violazione del dovere di assistenza invocata dal ricorrente è infondata.

383    In terzo luogo, secondo una giurisprudenza costante, benché il diritto di invocare la tutela del legittimo affidamento si estenda a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione gli ha dato aspettative fondate, nessun funzionario può invocare una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento in assenza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione (sentenze del Tribunale di primo grado 27 marzo 1990, causa T‑123/89, Chomel/Commissione, Racc. pag. II‑131, punto 26, e Séché/Commissione, cit., punto 160).

384    Nel caso di specie, l’amministrazione non ha fornito al ricorrente alcuna assicurazione precisa che egli possa far valere. Pertanto alla Commissione non può essere contestata alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.

385    Da quanto precede deriva che il quinto capo della censura dev’essere respinto in quanto infondato.

 Il sesto capo della censura, attinente alla violazione da parte dell’autorità disciplinare del suo obbligo di agire entro un termine ragionevole

—       Argomenti delle parti

386    Il ricorrente sostiene che il termine ragionevole entro il quale l’APN doveva pronunciarsi sarebbe stato superato. Egli richiama la sentenza François/Commissione, citata in precedenza, nella quale è stato dichiarato che anche in assenza di un termine di prescrizione, le autorità disciplinari hanno l’obbligo di agire in modo che l’avvio del procedimento destinato a concludersi con l’inflizione di una sanzione intervenga entro un termine ragionevole. Nel caso di specie, egli rileva che i fatti controversi risalgono agli anni tra il 1995 e il 1997 e che l’amministrazione è venuta a conoscenza dei fatti e dei comportamenti che potevano costituire violazioni degli obblighi statutari con il deposito della relazione dell’OLAF nel novembre 1999 o, quanto meno, dal 2002. Ebbene, l’APN avrebbe aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti solo il 16 febbraio 2004. Dopo la decisione di non luogo a procedere resa il 30 giugno 2004 dal giudice belga, il principio secondo cui il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova non avrebbe più rilevanza, e nessun atto istruttorio sarebbe stato più compiuto nell’ambito del procedimento disciplinare. Il principio che impone all’APN di statuire entro un termine ragionevole sarebbe quindi stato violato.

387    Secondo la Commissione, le circostanze del caso di specie sarebbero state molto particolari. Il «caso Berthelot» si sarebbe inserito in un contesto più ampio di indagini svolte allo scopo di stabilire in che misura la Commissione, in quanto organo collegiale, o alcuni dei suoi membri singolarmente considerati, fossero responsabili di frode, di cattiva gestione o di nepotismo. Indagini di tale portata non avrebbero potuto essere effettuate entro i termini normalmente applicabili ai procedimenti disciplinari. In totale, sarebbero state realizzate tre indagini amministrative e sarebbe stato aperto un procedimento penale, il che dimostrerebbe la complessità dei fatti in parola.

388    La Commissione ritiene inoltre che i periodi di sospensione regolare del procedimento disciplinare non debbano essere presi in considerazione in sede di esame della durata del procedimento disciplinare, in quanto la durata del procedimento dinanzi ad un organo giurisdizionale sfugge al controllo dell’istituzione.

389    Infine, la Commissione sottolinea che l’argomento attinente alla durata eccessiva del procedimento, sollevato dalla sig.ra Cresson nella causa che ha dato origine alla sentenza Commissione/Cresson, è stato respinto dalla Corte ai punti 90-92 della suddetta sentenza.

—       Giudizio del Tribunale

390    Dal principio di buona amministrazione consegue che le autorità disciplinari hanno l’obbligo di gestire diligentemente il procedimento disciplinare e di agire in modo che ciascun atto inerente all’esercizio dell’azione disciplinare intervenga in un termine ragionevole rispetto all’atto precedente (sentenza François/Commissione, cit., punto 47; sentenza del Tribunale 8 novembre 2007, causa F‑40/05, Andreasen/Commissione, Racc. FP pagg. I‑A‑1‑337 e II‑A‑1‑1859, punto 194, e la giurisprudenza ivi citata, oggetto d’impugnazione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, causa T‑17/08 P).

391    Tale dovere di diligenza e di rispetto di un termine ragionevole si impone anche in relazione all’avvio del procedimento disciplinare, segnatamente nel caso ed a partire dal momento in cui l’amministrazione abbia acquisito conoscenza dei fatti e dei comportamenti idonei a configurare violazioni degli obblighi incombenti a un funzionario in forza dello Statuto. Infatti, anche in assenza di un termine di prescrizione, le autorità disciplinari hanno l’obbligo di agire in modo che l’avvio del procedimento destinato a concludersi con l’inflizione di una sanzione intervenga entro un termine ragionevole (sentenza François/Commissione, cit., punto 48, e la giurisprudenza ivi citata).

392    Difatti, la durata irragionevole di un procedimento disciplinare può risultare sia dallo svolgimento delle indagini amministrative preliminari sia dal procedimento disciplinare in quanto tale. Il periodo da prendere in considerazione per valutare il carattere ragionevole della durata di un procedimento disciplinare non è solo quello che inizia con la decisione di aprire il detto procedimento. Il problema di sapere se il procedimento disciplinare, una volta aperto, sia stato condotto con la diligenza necessaria, sarà influenzato dal fatto che un periodo più o meno lungo sia trascorso tra il verificarsi della presunta infrazione disciplinare e la decisione di aprire il procedimento disciplinare.

393    La ragionevolezza della durata del procedimento dev’essere valutata alla luce delle circostanze proprie di ciascuna causa e, in particolare, della rilevanza della lite per l’interessato, della complessità della causa nonché del comportamento del ricorrente e di quello delle autorità competenti (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

394    Nessun fattore particolare è determinante. Occorre esaminare ciascuno di essi separatamente e quindi valutare il loro effetto cumulativo. Alcuni esempi di ritardi imputabili all’APN possono non apparire irragionevoli se considerati isolatamente, ma esserlo se valutati congiuntamente. Le esigenze in materia di diligenza procedurale non vanno tuttavia oltre quelle che sono compatibili con il principio di buona amministrazione.

395    Quando, a causa delle decisioni prese dell’APN, un procedimento ha superato quella che normalmente si considererebbe come una durata ragionevole, è a tale autorità che spetta di dimostrare l’esistenza di circostanze particolari idonee a giustificare tale ritardo (v., per analogia, riguardo alla compilazione di rapporti informativi, sentenza della Corte 5 maggio 1983, causa 207/81, Ditterich/Commissione, Racc. pag. 1359, punto 26).

396    Alla luce dei suddetti principi, occorre verificare se il procedimento disciplinare sia stato condotto entro un termine ragionevole. Questo implica, in primo luogo, richiamare i principali avvenimenti che hanno portato all’apertura del procedimento stesso, nonché le sue fasi principali prima di esaminare, in secondo luogo, se la durata obiettivamente accertata possa essere considerata ragionevole.

397    Nella decisione del 16 gennaio 2004 che ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, a quest’ultimo veniva contestato di aver svolto un ruolo attivo nel reinquadramento tabellare del sig. Berthelot e nella sua assunzione presso il CCR.

398    Orbene, il sig. Berthelot ha beneficiato di un reinquadramento con effetto al 1° settembre 1996 e si è visto offrire un contratto come ospite scientifico presso il CCR con effetto al 1° marzo 1997. La decisione di aprire il procedimento disciplinare è stata quindi adottata più di sette anni dopo i fatti contestati al ricorrente. Per quel che riguarda il perseguimento di un funzionario sul piano disciplinare, si tratta indiscutibilmente di un termine anormalmente lungo.

399    L’OLAF ha chiuso la sua relazione di indagine relativa alle condizioni di assunzione del sig. Berthelot come ospite scientifico presso la Commissione il 23 novembre 1999, mentre l’IDOC ha concluso la sua relazione di indagine amministrativa complementare riguardo al periodo di lavoro del sig. Berthelot in qualità di ospite scientifico presso la DG «Ricerca» il 22 febbraio 2002. Tra la consegna di tale ultima relazione e l’apertura del procedimento disciplinare non è stata svolta alcuna indagine supplementare. La decisione di aprire il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente è stata dunque adottata circa due anni dopo l’ultima relazione di indagine amministrativa. Nel contesto di un procedimento disciplinare nei confronti di un funzionario, anche questo è un termine anormalmente lungo.

400    Dopo la consegna dell’ultima relazione di indagine, il solo evento che possa essere considerato pertinente riguardo al procedimento disciplinare è la messa in stato d’accusa del ricorrente da parte delle autorità penali belghe il 18 marzo 2003. Tra questo avvenimento e l’apertura del procedimento disciplinare è trascorso comunque un periodo di dieci mesi, anche questo anormalmente lungo.

401    Con decisione dell’APN 16 gennaio 2004, il procedimento disciplinare è stato aperto e immediatamente sospeso, conformemente all’art. 88, quinto comma, dello Statuto, nella sua versione applicabile fino al 30 aprile 2004, ai sensi del quale quando il funzionario sia già sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria adita. Dopo la pronuncia della decisione di non luogo a procedere del giudice penale belga il 30 giugno 2004, la Commissione ha informato il ricorrente, con lettera 13 luglio 2004, che il procedimento disciplinare nei suoi confronti era stato sospeso in attesa di una decisione del collegio dei commissari riguardo al caso della sig.ra Cresson.

402    Il procedimento disciplinare è stato chiuso alla fine con decisione 16 ottobre 2006, ossia circa dieci anni dopo i fatti contestati.

403    Occorre pertanto esaminare, in secondo luogo, se la Commissione apporti elementi che permettono di dimostrare che una durata già tanto lunga obiettivamente, e di primo acchito eccessiva, si possa comunque considerare ragionevole nelle circostanze particolari del caso di specie.

404    In via preliminare va ricordato che, nella causa che ha dato origine alla sentenza Commissione/Cresson, la sig.ra Cresson aveva sollevato un argomento analogo a quello presentato dal ricorrente nella presente causa. Infatti essa aveva sostenuto che l’avvio di un procedimento disciplinare tramite una comunicazione degli addebiti il 21 gennaio 2003, ossia più di sette anni dopo i fatti considerati dalla Commissione, era inaccettabile, in considerazione, in particolare, dell’esistenza di varie relazioni vertenti sui fatti addebitati, disponibili da parecchio tempo, e della mancanza di complessità del caso (v. sentenza Commissione/Cresson, punto 78).

405    La Corte ha respinto tale argomento considerando che, poiché l’art. 213, n. 2, CE non era mai stato utilizzato per avviare un procedimento contro un membro della Commissione a causa del comportamento di questo durante il suo mandato, l’istituzione aveva potuto ritenere necessario comportarsi in maniera particolarmente prudente.

406    Anche se, come rilevato dalla Corte, la Commissione ha potuto validamente ritenere necessario comportarsi in maniera particolarmente prudente riguardo all’instaurazione di un procedimento nei confronti della sig.ra Cresson, la conseguenza di tale circostanza non poteva necessariamente essere un esonero dell’istituzione dal proprio obbligo di avviare un eventuale procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente entro un termine ragionevole.

407    Vero è che il caso del ricorrente era legato a quello della sig.ra Cresson in quanto l’interessato era il suo capo di gabinetto durante il periodo nel corso del quale è stata commessa una parte delle frodi a lei contestate. Come già dichiarato dal Tribunale nell’ambito del terzo capo della presente censura (v. supra, punti 341 e 342), tale nesso rappresentava una circostanza che la Commissione poteva legittimamente prendere in considerazione.

408    Tra le due cause esistevano tuttavia differenze determinanti, differenze che impedivano all’istituzione convenuta di applicare automaticamente e senza distinzione al ricorrente le decisioni prese nei confronti dell’ex membro della Commissione.

409    In primo luogo, il ricorrente, in quanto funzionario, si trovava in una situazione statutaria diversa da quella della sig.ra Cresson. Quest’ultima infatti, essendo stata oggetto in quanto membro della Commissione di una nomina politica per un mandato di durata determinata, da un lato era responsabile politicamente delle sue azioni e di quelle delle persone che avevano agito per suo conto e conformemente alle sue istruzioni e, dall’altro lato, era soggetta al procedimento speciale previsto dagli artt. 213 CE e 126 EA. La sig.ra Cresson aveva abbandonato le sue funzioni da più di tre anni quando è stato aperto nei suoi confronti un procedimento basato sui detti articoli. Il ricorrente invece, in quanto funzionario, era tenuto in forza dello Statuto ad un obbligo di lealtà nei confronti delle Comunità europee e si presumeva che proseguisse la sua carriera in seno alla Commissione. Orbene, è difficile aspettarsi che un funzionario continui a lavorare normalmente e conservi la lealtà nei confronti delle Comunità che lo Statuto esige da lui se, nel corso degli anni, il suo comportamento nel servizio costituisce oggetto di successive indagini e su di lui grava quindi il rischio di procedimenti disciplinari.

410    In secondo luogo, pur essendo stato per un certo periodo di tempo capo di gabinetto della sig.ra Cresson, il ricorrente era cronologicamente a margine degli eventi all’origine delle accuse mosse nei confronti di quest’ultima. Infatti, quando il ricorrente è stato nominato capo di gabinetto della sig.ra Cresson il 21 dicembre 1995, l’assunzione irregolare del sig. Berthelot era già avvenuta, poiché quest’ultimo godeva dello status di ospite scientifico presso la DG «Ricerca» dal 1° settembre precedente.

411    Vero è che al ricorrente sono state contestate la sua partecipazione al reinquadramento tabellare del sig. Berthelot e all’irregolare assunzione di quest’ultimo presso il CCR, ma il fatto che il sig. Berthelot fosse già stato assunto presso la sig.ra Cresson nel momento in cui il ricorrente è arrivato nel gabinetto di questa indicava che il ruolo eventualmente svolto dal ricorrente nelle irregolarità accertate non poteva essere stato quello di un catalizzatore ed era al massimo accessorio. La stessa Commissione, in udienza, ha osservato che «affermare che [il ricorrente] fosse stato il principale istigatore di tutto il caso è falso».

412    Queste significative differenze tra la situazione dell’ex membro della Commissione e quella del ricorrente costituiscono considerazioni determinanti quando si tratta di valutare se la durata anormalmente lunga e a prima vista eccessiva (v. supra punti 398-402) di tale procedimento possa comunque essere qualificata come ragionevole.

413    Vero è che sullo sfondo delle accuse specifiche mosse contro il ricorrente esisteva lo stesso interesse generale importante, ossia la fiducia del pubblico nel buon funzionamento delle istituzioni europee al più alto livello e nel fatto che non vi fosse corruzione sotto forma di commercio di favori o dissimulazione di tale commercio. Al riguardo, il caso del ricorrente sul piano disciplinare non derivava da un incidente isolato ma si inseriva in una situazione più generale che, a causa dei problemi che faceva emergere, aveva implicazioni che si spingevano ben oltre la situazione dell’interessato.

414    Tuttavia, nelle particolari circostanze del caso di specie, ponderando tutti i fattori precedentemente citati e in particolare le differenze determinanti tra il caso del ricorrente e quello dell’ex membro della Commissione, e senza trascurare l’interesse pubblico più ampio che era in gioco, va rilevato che la Commissione non ha dimostrato che la durata anormalmente lunga sia del periodo precedente all’apertura del procedimento disciplinare sia del detto procedimento poteva comunque essere considerata ragionevole.

415    Dall’insieme delle considerazioni che precedono deriva che la Commissione è incorsa in illeciti amministrativi, da un lato omettendo di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC e dall’altro lato aprendo e mantenendo un procedimento disciplinare in violazione del suo obbligo di diligenza.

2.     Il pregiudizio e il nesso di causalità

416    In primo luogo, il fatto che la Commissione abbia omesso di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC si può considerare come causa per quest’ultimo di un danno morale derivante dall’impressione di aver dovuto far fronte ad un atteggiamento caratterizzato da opacità su un documento essenziale per l’esercizio dei suoi diritti della difesa (v., per un danno morale causato da una violazione dei diritti della difesa, sentenza del Tribunale 11 settembre 2008, causa F‑51/07, Bui Van/Commissione, Racc. FP pagg. I‑A‑1‑289 e II‑A‑1‑1533, punti 93 e 94, oggetto d’impugnazione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, causa T‑491/08 P).

417    Alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale ritiene, ex aequo et bono, che l’assegnazione di un importo di EUR 5 000 costituisca per il ricorrente un congruo risarcimento.

418    In secondo luogo, la violazione da parte dell’istituzione del suo obbligo di agire entro un termine ragionevole quanto all’avvio e allo svolgimento del procedimento disciplinare ha posto il ricorrente in uno stato di incertezza prolungata, che costituisce un danno morale risarcibile. Tenuto conto del fatto che, da un lato, la decisione di avviare un procedimento disciplinare è stata adottata più di sette anni dopo i fatti contestati al ricorrente e che, dall’altro lato, una volta avviato, il procedimento è stato mantenuto per circa tre anni, il che significa che in totale sono trascorsi circa dieci anni tra i fatti contestati e la chiusura del procedimento disciplinare, è opportuno fissare il risarcimento del ricorrente ex aequo et bono ad un importo di EUR 25 000.

419    Da quanto precede deriva che la Commissione dev’essere condannata a versare al ricorrente la somma di EUR 30 000 a titolo di risarcimento del danno morale da questi subito a causa degli illeciti da essa commessi.

 Sulle spese

420    Conformemente all’art. 122 del regolamento di procedura, le disposizioni del capo VIII del titolo secondo dello stesso regolamento, relative alle spese di giudizio, si applicano esclusivamente alle cause intentate dinanzi al Tribunale dalla data dell’entrata in vigore di tale regolamento di procedura, ossia dal 1° novembre 2007. Le disposizioni del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado pertinenti in materia restano applicabili mutatis mutandis alle cause pendenti dinanzi al Tribunale anteriormente a tale data.

421    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, in forza dell’art. 88 dello stesso regolamento, nelle cause tra le Comunità e i loro dipendenti, le spese sostenute dalle istituzioni restano a loro carico.

422    Inoltre, ai sensi dell’art. 87, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie.

423    Infine, a tenore dell’art. 87, n. 6, del regolamento di procedura, in caso di non luogo a provvedere, il Tribunale decide sulle spese in via equitativa.

424    Quanto alla domanda di annullamento contenuta nel ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑124/05, il Tribunale osserva che detta domanda è divenuta priva di oggetto in seguito alla decisione del 16 ottobre 2006 che chiude il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, decisione con cui l’istituzione convenuta ha procurato all’interessato il risultato da egli perseguito con la suddetta domanda.

425    Per contro, quanto alla domanda di risarcimento di cui ai ricorsi iscritti a ruolo con i numeri F‑124/05 e F‑96/06, occorre rilevare che soltanto due dei numerosi illeciti che il ricorrente ha denunciato sono stati giudicati dimostrati e che quest’ultimo ha ottenuto un risarcimento danni di importo nettamente meno elevato rispetto a quanto richiesto.

426    Tenuto conto dell’insieme degli elementi che precedono, il Tribunale considera che si operi una giusta valutazione delle circostanze della causa decidendo che la Commissione dovrà sopportare, oltre alle proprie spese, la metà delle spese del ricorrente. Il ricorrente sopporterà la metà delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA (Seduta Plenaria)

dichiara e statuisce:

1)      Non vi è più luogo a statuire sulla domanda presentata dal ricorrente nel ricorso iscritto a ruolo con il numero F‑124/05, A/Commissione.

2)      La Commissione europea è condannata a versare al ricorrente la somma di EUR 30 000, a titolo di risarcimento del danno morale da questi subito.

3)      La Commissione europea sopporta, oltre alle proprie spese, la metà delle spese del ricorrente relative ai ricorsi iscritti a ruolo con i numeri F‑124/05, A/Commissione, e F‑96/06, G/Commissione.

4)      Il ricorrente sopporta la metà delle proprie spese relative ai ricorsi iscritti a ruolo con i numeri F‑124/05, A/Commissione, e F‑96/06, G/Commissione.

Mahoney

 

      Gervasoni

Kreppel

Tagaras

Van Raepenbusch

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 gennaio 2010.

Il cancelliere

 

       Il presidente

Indice


Contesto normativo

I — Disposizioni relative ai privilegi e alle immunità

II — Disposizioni relative alle indagini in materia di lotta contro la frode

III — Disposizioni relative ai procedimenti disciplinari

IV — Disposizioni relative alla copertura dei rischi di malattia professionale e di infortunio

V — Disposizioni relative alle prestazioni ricevute in caso di invalidità

A — Statuto

B — Statuto, nella versione applicabile sino al 30 aprile 2004

VI — Disposizioni relative al fascicolo personale

VII — Disposizioni relative all’accesso del pubblico ai documenti

Fatti all’origine della controversia

I — Il contesto del «caso Cresson»

II — Fatti riguardanti il ricorrente

Procedimento

I — Nella causa F‑124/05 prima della riunione con la causa F‑96/06

II — Nella causa F‑96/06 prima della riunione con la causa F‑124/05

III — Nelle cause riunite F‑124/05 e F‑96/06

Conclusioni delle parti

I — Nella causa F‑124/05

II — Nella causa F‑96/06

In diritto

I — Sul ricorso F‑124/05

A — Argomenti delle parti

B — Giudizio del Tribunale

II — Sul ricorso F‑96/06

A — Sulla ricevibilità

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio del Tribunale

B — Nel merito

1. Gli illeciti contestati alla Commissione

a) La prima censura: il coinvolgimento che si asserisce ingiustificato del ricorrente nel «caso Berthelot»

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) La seconda censura: carenze e violazioni dei diritti della difesa che avrebbero viziato le indagini amministrative

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c) La terza censura: violazione del principio di riservatezza delle indagini dell’OLAF

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

— Sulla ricevibilità della censura

— La fondatezza della censura

d) La quarta censura: illegittimità della revoca dell’immunità di giurisdizione del ricorrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

e) La quinta censura: illegittimità della decisione di riassegnazione del ricorrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

f) La sesta censura: irregolarità che avrebbero viziato il procedimento aperto ai sensi dell’art. 73 dello Statuto

Il primo capo della censura, attinente alla presunta ingiustificata esclusione dell’ipotesi di un infortunio di lavoro

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

Il secondo capo della censura, attinente ad irregolarità del procedimento dinanzi all’IDOC

— La presunta illegittimità del ricorso all’IDOC

— La presunta mancanza di imparzialità da parte dell’IDOC

— Il rifiuto di comunicare al ricorrente il contributo dell’IDOC

g) La settima censura: illegittimità del parere della commissione di invalidità del 29 ottobre 2004

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

h) Ottava censura: illegittimità dell’apertura e del mantenimento di un procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente

Osservazione preliminare

Il primo e il secondo capo della censura, attinenti alla violazione delle conseguenze della decisione di non luogo a procedere pronunciata dal giudice belga

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

Il terzo capo della censura, attinente al presunto ingiustificato nesso tra il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente e il procedimento nei confronti dell’ex membro della Commissione

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

Il quarto capo della censura, attinente all’insufficienza di elementi di prova che giustificassero l’apertura del procedimento disciplinare

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

Il quinto capo della censura, attinente a violazioni del dovere di sollecitudine, dell’obbligo di assistenza e del principio di legittimo affidamento

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

Il sesto capo della censura, attinente alla violazione da parte dell’autorità disciplinare del suo obbligo di agire entro un termine ragionevole

— Argomenti delle parti

— Giudizio del Tribunale

2. Il pregiudizio e il nesso di causalità

Sulle spese


* Lingua processuale: il francese.