Language of document : ECLI:EU:T:2019:170

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

20 marzo 2019 (*)

«Dumping – Importazioni di piastrelle di ceramica originarie della Cina – Articolo 11, paragrafi 4 e 5, e articolo 17 del regolamento (CE) n. 1225/2009 [divenuti articolo 11, paragrafi 4 e 5, e articolo 17 del regolamento (UE) 2016/1036] – Diniego di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di esecuzione (UE) n. 917/2011 – Campionamento – Esame individuale – Riservatezza»

Nella causa T‑310/16,

Foshan Lihua Ceramic Co. Ltd, con sede in Foshan (Cina), rappresentata da B. Spinoit e D. Philippe, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da A. Demeneix, M. França e T. Maxian Rusche, successivamente da Demeneix, Maxian Rusche e N. Kuplewatzky, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

CerameUnie AISBL, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata da V. Akritidis, avvocato,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda, fondata sull’articolo 263 TFUE, diretta all’annullamento della decisione di esecuzione C(2016) 2136 final della Commissione del 15 aprile 2016, che respinge una domanda di trattamento riservato ai nuovi produttori-esportatori in relazione al dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento di esecuzione (UE) n. 917/2011 del Consiglio sulle importazioni di piastrelle di ceramica della Repubblica popolare cinese,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, J. Schwarcz (relatore) e C. Iliopoulos, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 luglio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Foshan Lihua Ceramic Co. Ltd, ricorrente, con sede in Foshan (Cina), è un produttore di piastrelle di ceramica appartenente al gruppo Foshan Lihua.

2        Il 12 settembre 2011 il Consiglio dell’Unione europea adottava il regolamento di esecuzione (UE) n. 917/2011 che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio istituito sulle importazioni di piastrelle di ceramica della Repubblica popolare cinese (GU 2011, L 238, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento definitivo»). Le aliquote di dazio antidumping venivano calcolate sulla base dei margini di dumping accertati dall’inchiesta che ha portato all’istituzione di tali misure, essendo questi ultimi inferiori ai margini di pregiudizio.

3        Nel corso dell’inchiesta iniziale, la Commissione europea ricorreva alla tecnica del campionamento ex articolo 17 del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51), come modificato da ultimo dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014, che modifica alcuni regolamenti in materia di politica commerciale comune per quanto riguarda le procedure di adozione di determinate misure (GU 2014, L 18, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di base») [sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21)]. Ai produttori-esportatori inclusi nel campione, che avevano beneficiato del trattamento individuale, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base (divenuto articolo 9, paragrafo 5, del regolamento 2016/1036), venivano imposti dazi antidumping individuali. Ai produttori-esportatori che avevano collaborato all’inchiesta, e che non erano stati inseriti nel campione, nonché a un produttore-esportatore inserito nel campione, ma che non aveva beneficiato del trattamento individuale, veniva imposto un dazio antidumping calcolato, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base (divenuto articolo 9, paragrafo 6, del regolamento 2016/1036), sulla base della media ponderata dei margini di dumping stabiliti per i produttori-esportatori inseriti nel campione, vale a dire pari al 30,6%. Richieste di esame individuale, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base (divenuto articolo 17, paragrafo 3, del regolamento 2016/1036), venivano presentate da otto produttori-esportatori che hanno collaborato. Veniva deciso di procedere ad un esame individuale per uno solo dei suddetti produttori esportatori, non trattandosi di un esame indebitamente oneroso per la Commissione. Detto produttore-esportatore era di gran lunga il più importante tra gli otto produttori-esportatori che avevano richiesto un esame individuale. Tuttavia, in seguito alla comunicazione delle conclusioni definitive, risultava che detto produttore-esportatore non aveva fornito talune informazioni necessarie, con la conseguenza che le conclusioni relative al produttore-esportatore medesimo venivano tratte in base ai dati disponibili, in forza dell’articolo 18 del regolamento di base (divenuto articolo 18 del regolamento 2016/1036). A detto produttore-esportatore e ai produttori-esportatori che non avevano collaborato all’inchiesta, veniva imposto un dazio antidumping calcolato utilizzando il margine di dumping più elevato accertato per un prodotto rappresentativo di un produttore-esportatore che aveva collaborato, vale a dire pari al 69,7%.

4        La ricorrente non partecipava al procedimento amministrativo che portava all’adozione del regolamento definitivo, cosicché il suo nome non figura all’allegato I del regolamento definitivo. Le sue importazioni del prodotto in esame sono state quindi assoggettate ad un dazio pari al 69,7%.

5        Con lettera del 7 settembre 2013, la ricorrente chiedeva alla Commissione un riesame intermedio parziale, limitato al dumping, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 3, del regolamento 2016/1036). La richiesta era motivata, da un lato, dalla creazione, da parte della ricorrente, di un nuovo sistema di distribuzione tramite un’impresa collegata e, dall’altro, dall’introduzione di un nuovo tipo di prodotto che non sarebbe esistito nel periodo compreso tra il 1o aprile 2009 e il 31 marzo 2010 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta iniziale»). Nella domanda di riesame la ricorrente faceva presente di non aver partecipato all’inchiesta iniziale, non essendo stata a conoscenza della destinazione finale dei prodotti da essa venduti, nel periodo dell’inchiesta, unicamente ad una società commerciale cinese.

6        Il 25 ottobre 2013 la Commissione rispondeva alla lettera della ricorrente, comunicando alla ricorrente informazioni al contempo generali e preparatorie, relative, in particolare, al riesame fondato sullo status di nuovo produttore-esportatore, di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo.

7        L’articolo 3 del regolamento definitivo prevede quanto segue:

«Qualora un produttore [cinese] fornisca alla Commissione elementi di prova sufficienti a dimostrare che non ha esportato le merci di cui all’articolo 1, paragrafo 1, originarie della [Cina] nel corso del periodo dell’inchiesta (dal 1o aprile 2009 al 31 marzo 2010), che non è collegato ad alcun esportatore o produttore assoggettato alle misure istituite dal presente regolamento e che, successivamente alla fine del periodo dell’inchiesta, ha effettivamente esportato le merci in esame o ha assunto un obbligo contrattuale irrevocabile di esportarne un quantitativo significativo nell’Unione, il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su proposta della Commissione, previa consultazione del comitato consultivo, può modificare l’articolo 1, paragrafo 2, al fine di assegnare a tale produttore il dazio applicabile ai produttori esportatori che hanno collaborato e non sono stati inseriti nel campione, pari al 30,6%».

8        Con lettera del 28 febbraio 2014, la ricorrente, da un lato, reiterava la propria richiesta di riesame intermedio a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base e, dall’altro, chiedeva, in subordine, l’avvio di un riesame basato sul riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo. In tale contesto, essa dichiarava, in particolare, di aver venduto, durante il periodo dell’inchiesta iniziale, tutta la propria produzione ad una sola società commerciale e di non essere a conoscenza della destinazione finale dei propri prodotti. Essa riconosceva che varie sue piastrelle potevano essere state esportate nell’Unione europea da tale società commerciale e dai suoi partner, dichiarando peraltro di non sapere in qual modo ciò fosse avvenuto. Affermava, inoltre, di non essere collegata ad un’impresa soggetta ai dazi antidumping in questione e di non avere concluso un contratto irrevocabile di fornitura futura dei propri prodotti.

9        Con lettere dell’8 aprile, del 2 e del 17 giugno 2014, la ricorrente reiterava le proprie richieste di riesame intermedio e di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore. In tale contesto dichiarava di non avere «direttamente» esportato il prodotto in questione nell’Unione e di essere vittima di un trattamento discriminatorio rispetto ad un concorrente che avesse chiesto ed ottenuto un riesame intermedio, facendo presente alla Commissione l’eventualità di futuro ricorso per carenza nei confronti dell’Istituzione medesima qualora non fosse stata adottata una decisione in tal senso.

10      Con lettera del 3 settembre 2014, la Commissione rispondeva di aver bisogno di tutte le informazioni richieste per procedere all’avvio e alla conclusione dell’inchiesta di riesame intermedio, precisando diversi punti della successiva procedura e dichiarando, in conclusione, di non disporre ancora di tutti documenti necessari. In tale contesto, chiedeva alla ricorrente di compilare il modulo di domanda dello status di impresa operante in economia di mercato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base [divenuto articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento 2016/1036]. La Commissione chiedeva altresì alla ricorrente di fornire prove in ordine alle sue affermazioni sull’assenza di esportazioni nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, all’assenza di collegamenti con imprese soggette ai dazi antidumping in questione e all’esistenza di un contratto per la fornitura del prodotto in esame dopo il periodo di esportazione. Essa riaffermava che, laddove ricorressero le condizioni di applicazione dell’articolo 3 del regolamento definitivo, la ricorrente sarebbe stata assoggettata alla stessa aliquota di dazio antidumping dei produttori-esportatori che avevano collaborato all’inchiesta iniziale senza essere stati inclusi nel campione, vale a dire il 30,6%.

11      Con lettera di risposta del 9 ottobre 2014, la ricorrente sosteneva che l’onere della prova impostole dalla Commissione andrebbe al di là dei requisiti previsti ex lege. La ricorrente chiedeva parimenti il riconoscimento dello status di parte interessata nell’ambito del riesame intermedio relativo a un concorrente.

12      Il 18 dicembre 2014, tale status veniva riconosciuto alla ricorrente ed essa riceveva i documenti informativi.

13      Con lettera dell’11 dicembre 2014 la ricorrente forniva altre informazioni in merito alla propria richiesta di riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore e, in via subordinata e alternativa, in ordine alla propria domanda di riesame intermedio. La ricorrente forniva altresì il questionario sullo status di impresa operante in economia di mercato, dichiarando di accettare, quale soluzione temporanea, l’applicazione della stessa aliquota di dazio antidumping dei produttori-esportatori che avevano collaborato all’inchiesta iniziale senza essere stati inclusi nel campione. Essa sosteneva, tuttavia, di avere diritto ad un esame individuale.

14      Con lettera del 6 febbraio 2015, la Commissione confermava che avrebbe proceduto all’esame del fascicolo inviatole dalla ricorrente l’11 dicembre 2014, chiedendo altresì alla ricorrente medesima di confermare che essa accettava di essere trattata come un nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo e che manteneva, in parallelo, la richiesta di un riesame intermedio.

15      Con lettera del 10 febbraio 2015, la ricorrente confermava di accettare di essere trattata come un nuovo esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo proponendo alla Commissione di sospendere la domanda di riesame intermedio, al fine di non ritardare l’esito del riesame ai sensi di quest’ultima disposizione.

16      Con messaggio di posta elettronica del 23 febbraio 2015, la Commissione invitava la ricorrente a completare il questionario per gli operatori facenti richiesta di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore. Essa precisava che tale domanda sarebbe stata esaminata successivamente alla ricezione della risposta al questionario stesso e che la ricorrente poteva fare riferimento alle informazioni precedentemente trasmesse alla Commissione.

17      Il 25 marzo 2015 la ricorrente chiedeva una proroga del termine per il rinvio di tale questionario, proroga che veniva concessa dalla Commissione sino al termine del 17 aprile 2015. Una versione riservata della risposta veniva inviata entro il termine impartito ed una versione non riservata in data 30 aprile 2015.

18      In risposta ad una richiesta di informazioni in merito ad una prevedibile data di adozione della sua futura decisione, la Commissione comunicava alla ricorrente, il 28 maggio 2015, che stava analizzando gli atti che le avrebbe inviato a breve una richiesta di chiarimenti.

19      Il 23 giugno 2015, la Commissione trasmetteva alla ricorrente una prima richiesta di chiarimenti riguardante le informazioni fornite in ordine alla domanda di riconoscimento dello status di produttore-esportatore di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo.

20      Il 13 luglio 2015 la ricorrente presentava una risposta riservata alla domanda della Commissione. Una versione non riservata veniva presentata il 14 e il 24 agosto 2015.

21      Il 27 agosto 2015, l’Associazione europea dell’industria della ceramica, la Cerame‑Unie AISBL (in prosieguo: l’«interveniente» o la «Cerame‑Unie»), con sede in Bruxelles (Belgio), presentava alla Commissione informazioni riguardanti la ricorrente. Tali informazioni non venivano trasmesse alla ricorrente nel corso del procedimento amministrativo. Tuttavia, in una lettera del 18 settembre 2015 (punto 23 supra), la ricorrente veniva informata del fatto che la Commissione aveva ricevuto informazioni sull’inchiesta iniziale da parte dei rappresentanti dell’industria dell’Unione.

22      Il 16 settembre 2015, la ricorrente sollecitava alla Commissione l’adozione di una decisione in merito alla propria domanda.

23      Il 18 settembre 2015, la Commissione informava la ricorrente in ordine allo stato di avanzamento della domanda di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore. Ritenendo che tale domanda fosse, ancora, non sufficientemente giustificata, essa inviava una seconda richiesta di chiarimenti unitamente ad un allegato che illustrava in dettaglio le informazioni necessarie. L’Istituzione rilevava, in particolare, discrepanze tra le informazioni pubbliche e le informazioni trasmesse dalla ricorrente chiedendo chiarimenti in merito. Quanto, in particolare, alla condizione dell’assenza di esportazioni del prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, la Commissione osservava quanto segue:

«L’unica informazione fornita finora per quanto riguarda le vendite della Foshan Lihua durante il periodo dell’inchiesta [iniziale] è un elenco mensile manoscritto delle vendite effettuate nel 2009 e nel 2010. In tale elenco non compaiono né i quantitativi venduti, né i numeri delle fatture, né le destinazioni o i nomi dei clienti. Ci sembra di comprendere che il suo cliente non disponeva di contabilità informatizzata al momento del periodo dell’inchiesta [iniziale]. Purtroppo, allo stato attuale, la scarsità di informazioni non consente di trarre conclusioni su [tale criterio]».

24      Con messaggio di posta elettronica del 29 settembre 2015, la ricorrente rispondeva alla seconda richiesta di chiarimenti. Una versione non riservata veniva trasmessa alla Commissione il 5 novembre 2015. La ricorrente riteneva che la Commissione non fosse autorizzata a chiederle le informazioni di cui trattasi e che tali domande costituissero un abuso di potere. La ricorrente concludeva chiedendo l’avvio di un riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore nonché la concessione di un margine di dumping individuale.

25      Il 4 dicembre 2015, la Commissione trasmetteva alla ricorrente, alla Cerame‑Unie e alla missione della Repubblica popolare cinese presso l’Unione il documento informativo generale che esponeva i principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione aveva proposto di respingere la richiesta di riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo. In particolare, la Commissione rilevava che la ricorrente era un produttore-esportatore del prodotto in esame e che essa aveva effettivamente esportato il prodotto medesimo nell’Unione dopo il periodo dell’inchiesta iniziale, cosicché la terza condizione per il riconoscimento dello status de quo era considerata soddisfatta. Per contro, la Commissione riteneva che la ricorrente non avesse dimostrato l’assenza di esportazioni nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, né l’assenza di collegamenti con le società soggette ai dazi antidumping in questione. Pertanto, le prime due condizioni non erano state considerate soddisfatte.

26      L’11 dicembre 2015, il documento di informazione generale veniva inviato alle delegazioni del comitato degli strumenti di difesa commerciale.

27      Con lettera del 20 dicembre 2015, la ricorrente rispondeva al documento d’informazione generale chiedendo di essere sentita dalla Commissione. Prima di presentare le proprie osservazioni su tale documento, essa faceva presente che la Commissione era tenuta ad esaminare, anzitutto, la sua domanda di riesame intermedio. Solamente in via subordinata, laddove avesse ritenuto che un riesame intermedio non fosse giustificato, la Commissione avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda di riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore. Inoltre, la ricorrente intimava alla Commissione di pronunciarsi sulla propria domanda di riesame intermedio entro il 20 gennaio 2016. La ricorrente negava altresì di aver presentato una domanda di concessione dell’aliquota di dazio antidumping del 30,6%, prevista per produttori che avevano collaborato senza essere stati inclusi nel campione. Essa avrebbe chiesto un esame individuale. Inoltre, la ricorrente sosteneva che la Commissione non conduceva la propria inchiesta (in prosieguo: l’«inchiesta di cui trattasi») in modo imparziale, che essa non si fondava su dati ma su ipotesi, e che le imponeva un onere della prova più elevato rispetto agli altri richiedenti il riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore.

28      L’11 gennaio 2016 la ricorrente presentava una versione non riservata delle proprie osservazioni.

29      Il 13 gennaio 2016 aveva luogo l’audizione della ricorrente presso la Commissione, alla quale partecipavano altresì due rappresentanti della camera di commercio internazionale della Cina. Non esiste alcun verbale o resoconto di tale audizione. Il 15 gennaio 2016 la ricorrente inviava una sintesi della propria interpretazione della posizione adottata dalla Commissione nel corso dell’audizione.

30      Il 18 gennaio 2016 la ricorrente trasmetteva alla Commissione una lettera che faceva seguito all’audizione. Essa affermava, segnatamente, che, a norma dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 4, del regolamento 2016/1036), l’avviso di apertura di un riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore dovrebbe essere ufficialmente pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, il che non sarebbe avvenuto. La ricorrente faceva altresì valere che la Commissione non le aveva presentato alcun documento che potesse far sorgere dubbi quanto al fatto che le prime due condizioni per il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore risultassero soddisfatte.

31      Con messaggio di posta elettronica del 19 gennaio 2016, la Commissione precisava che il fondamento normativo che disciplina il riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, nei casi in cui, come nel caso di specie, le istituzioni non avevano fatto ricorso al campionamento nell’ambito dell’inchiesta iniziale, non era l’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, bensì una disposizione speciale stabilita dal regolamento istitutivo delle misure antidumping definitive. Essa ribadiva che, in caso di esito positivo del riesame, sarebbe stata applicata alla ricorrente la stessa aliquota di dazio antidumping prevista per i produttori-esportatori che avevano collaborato all’inchiesta iniziale senza essere stati inclusi nel campione, e non un’aliquota individuale.

32      Con lettera del 22 gennaio 2016, la ricorrente dichiarava di non accettare che, in seguito ad un riesame ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo, le venisse applicata la stessa aliquota di dazio antidumping prevista per i produttori-esportatori che avevano collaborato nell’inchiesta iniziale senza essere stati inclusi nel campione, ritenendo che fosse discriminatorio applicare condizioni di apertura diverse ai nuovi produttori-esportatori a seconda se la tecnica del campionamento fosse stata utilizzata o meno. La ricorrente sosteneva di aver dedotto elementi di prova da cui risultava, prima facie, che essa non aveva esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale e che non era collegata a società soggette ai dazi antidumping in questione. La ricorrente contestava la legittimità della procedura alla luce delle disposizioni dell’accordo sull’applicazione dell’articolo VI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), di cui all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3). Nella medesima lettera la ricorrente forniva precisazioni sulla struttura del gruppo e sull’uso pratico che essa aveva fatto della certificazione «CE» dei propri prodotti.

33      Il 15 aprile 2016, la Commissione adottava la decisione di esecuzione C(2016) 2136 final, che respinge la domanda di trattamento riservato ai nuovi produttori-esportatori in relazione al dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento definitivo sulle importazioni di piastrelle di ceramica della Repubblica popolare cinese (in prosieguo: la «decisione impugnata»). In limine, rilevava che l’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base non poteva fungere da fondamento normativo laddove fosse stata utilizzata per l’inchiesta iniziale la tecnica del campionamento e che il fondamento normativo della domanda era costituito dall’articolo 3 del regolamento definitivo.

34      Per quanto riguarda le condizioni ai fini del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, ai sensi di detta disposizione, la Commissione rilevava, anzitutto, che la ricorrente era un produttore-esportatore del prodotto in esame e che essa aveva effettivamente esportato tale prodotto nell’Unione dopo il periodo dell’inchiesta iniziale. Di conseguenza, la terza condizione per la concessione dello status in questione è stata considerata soddisfatta.

35      Per quanto concerne, poi, la seconda condizione, secondo cui l’impresa richiedente il riconoscimento dello status in questione non deve essere collegata ad una società assoggettata ai dazi antidumping di cui trattasi, la Commissione riteneva, per contro, che le informazioni fornite dalla ricorrente fossero incomplete e in contraddizione con i dati disponibili al pubblico. Di conseguenza, non avendo l’inchiesta consentito alla Commissione di confermare che la ricorrente non fosse collegata ad una siffatta impresa, veniva ritenuto, in conclusione, che la ricorrente non soddisfacesse la seconda condizione.

36      In ultimo, quanto alla prima condizione, secondo cui l’impresa richiedente il riconoscimento dello status in questione non deve aver esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, la Commissione, ritenendo le informazioni fornite dalla ricorrente incomplete e in contraddizione con altre informazioni a sua disposizione, non poteva escludere che, nel corso di tale periodo, la ricorrente avesse esportato il prodotto in esame nell’Unione, direttamente o indirettamente tramite società collegate ovvero nell’ambito di accordi di fabbricazione conclusi con altre società indipendenti. La Commissione concludeva, quindi, che la ricorrente non soddisfaceva nemmeno il primo criterio.

37      A fronte del rilievo che la ricorrente non aveva dimostrato di soddisfare la prima e la seconda condizione ai fini del riconoscimento dello status di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo, sebbene avesse avuto, a più riprese, la possibilità di fornire informazioni aggiuntive, la Commissione respingeva la richiesta di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore.

38      Con decisione dell’11 luglio 2016, la Commissione rigettava peraltro la richiesta della ricorrente di riesame intermedio ex articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base, rigetto che costituisce l’oggetto della causa sfociata nella sentenza dell’11 settembre 2018, Foshan Lihua Ceramic/Commissione (T‑654/16, EU:T:2018:525).

 Procedimento e conclusioni delle parti

39      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 giugno 2016, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

40      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 ottobre 2016, la Cerame‑Unie ha chiesto di intervenire a sostegno della Commissione.

41      Nella replica del 7 dicembre 2016, la ricorrente ha chiesto la riunione della presente causa con la causa all’origine della sentenza dell’11 settembre 2018, Foshan Lihua Ceramic/Commissione (T‑654/16, EU:T:2018:525), chiedendo altresì che le informazioni riservate che la riguardano non fossero comunicate alla Cerame‑Unie e presentando una versione non riservata dei documenti di cui trattasi.

42      Il 16 dicembre 2016 la Commissione si è opposta alla riunione della presente causa con la causa all’origine della sentenza dell’11 settembre 2018, Foshan Lihua Ceramic/Commissione (T‑654/16, EU:T:2018:525).

43      Con decisione del 23 gennaio 2017 il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha deciso di non procedere alla riunione delle due cause.

44      Con ordinanza del 7 aprile 2017 il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento della Cerame‑Unie a sostegno della Commissione.

45      L’interveniente non ha sollevato obiezioni sull’istanza di trattamento riservato della ricorrente.

46      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

47      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

48      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

49      La ricorrente deduce otto motivi, vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 11, paragrafo 4, e dell’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 5, del regolamento 2016/1036) e degli articoli 6.1 e 9.5 dell’accordo antidumping; il secondo, sulla violazione del principio di non discriminazione; il terzo, su un errore manifesto di valutazione dei fatti; il quarto, sulla violazione dei diritti della difesa; il quinto, su uno sviamento di potere e su un errore di diritto; il sesto, su un errore di diritto manifesto; il settimo, sulla violazione del diritto di essere sentiti e su una motivazione basata non su fatti, ma su ipotesi e, l’ottavo, sulla violazione dell’articolo 9.5 dell’accordo antidumping.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 11, paragrafi 4 e 5, del regolamento di base e degli articoli 6.1 e 9.5 dell’accordo antidumping

50      Con il primo motivo, la ricorrente contesta il punto 8 della decisione impugnata, che così recita:

«[La ricorrente] ha sostenuto [che] avrebbe dovuto esser[l]e concesso un dazio individuale nell’ambito di un riesame relativo a un nuovo produttore-esportatore a norma dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. La Commissione ha respinto tale argomento sottolineando che l’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base non poteva fungere da fondamento normativo laddove fosse stata utilizzata per l’inchiesta iniziale la tecnica del campionamento e che il fondamento normativo della domanda era costituito dall’articolo 3 del regolamento definitivo».

51      La ricorrente deduce, in sostanza, che l’applicazione, da parte della Commissione, della procedura di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo, invece di quella prevista all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, produrrebbe conseguenze pregiudizievoli nei suoi confronti. Infatti, anche se l’articolo 5, paragrafo 10, del regolamento di base (divenuto articolo 5, paragrafo 10, del regolamento 2016/1036), che prevede la pubblicazione dell’avviso di apertura di un’inchiesta antidumping, fosse applicabile, a norma dell’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base, nel contesto delle procedure di riesame, nessun avviso di apertura della procedura di riesame sarebbe stato pubblicato nel caso di specie, di modo che gli interessati di cui all’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base (divenuto articolo 6, paragrafo 7, del regolamento 2016/1036), ossia gli importatori e il governo cinese non sarebbero potuti intervenire durante il procedimento amministrativo. Orbene, il governo cinese avrebbe potuto presentare informazioni idonee a confermare che la ricorrente rispondesse a tutte le condizioni per il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo.

52      Nulla giustificherebbe che, in caso di ricorso al campionamento nell’ambito dell’inchiesta iniziale, i terzi interessati non abbiano il diritto di intervenire nel procedimento di riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, mentre sarebbero invitati a farlo nell’ambito del procedimento ex articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. Ciò sarebbe tanto più vero che la Commissione avrebbe ammesso che i criteri per il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore erano, sostanzialmente, identici, a prescindere dal fatto che si trattasse di un’inchiesta ex articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base o di un’inchiesta ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo. I richiedenti del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo, risulterebbero quindi discriminati rispetto a quelli richiedenti il medesimo status ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. L’articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento 2016/1036) non costituirebbe una lex specialis rispetto all’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base.

53      Nella replica, la ricorrente sostiene che la prassi della Commissione, seguita anche nella decisione impugnata, adottata sulla base dell’articolo 3 del regolamento definitivo, consistente nel non informare tutte le parti interessate elencate all’articolo 5, paragrafo 11, del regolamento base (divenuto articolo 5, paragrafo 11, del regolamento 2016/1036) e all’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base, è contraria all’articolo 6.1 dell’accordo antidumping.

54      Per quanto riguarda l’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, esso sarebbe stato trasposto nel diritto dell’Unione per mezzo dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, che lo ricalca quasi letteralmente. Pertanto, trattandosi di un’attuazione nel diritto dell’Unione di un obbligo assunto nell’ambito del diritto dell’OMC, esso produrrebbe effetti diretti nel diritto dell’Unione. Orbene, l’articolo 9.5 dell’accordo antidumping non consentirebbe di applicare un trattamento derogatorio alle società in funzione del fatto che siano o meno incluse nel campione. Esso dovrebbe applicarsi a tutti i nuovi produttori esportatori.

55      Peraltro, anche le società non incluse nel campione avrebbero diritto, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base e dell’articolo 6.10.2 dell’accordo antidumping, munito di effetto diretto nel diritto dell’Unione, ad un esame individuale e non dovrebbe pertanto essere loro applicata l’aliquota del dazio antidumping calcolata utilizzando il margine di dumping più elevato accertato per un prodotto rappresentativo di un produttore-esportatore che abbia collaborato, ossia al 69,7%. Dal momento che la ricorrente era l’unico esportatore ad aver chiesto il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore e che i motivi per il ricorso al campionamento sarebbero venuti meno, la Commissione avrebbe dovuto concederle un esame individuale.

56      La Commissione e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

57      A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che l’argomento della ricorrente equivale, in sostanza, a ritenere la decisione impugnata contraria all’articolo 11, paragrafi 4 e 5, del regolamento di base e all’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, considerato che l’inchiesta che ha portato alla sua adozione non è stata resa pubblica mediante la pubblicazione di un avviso di apertura nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

58      Orbene, come sostenuto dalla Commissione, la decisione impugnata non avrebbe potuto essere adottata ex articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. Infatti, dall’articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento di base, risulta che le disposizioni di tale articolo non si applicano allorché i dazi siano istituiti a norma dell’articolo 9, paragrafo 6, di detto regolamento, vale a dire quando, nell’inchiesta iniziale, le istituzioni abbiano fatto ricorso al campionamento, come avvenuto nel caso di specie.

59      Pertanto, l’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base, che traspone soltanto alle procedure di riesame di cui all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 2, del regolamento 2016/1036) e all’articolo 11, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base, le pertinenti disposizioni del regolamento di base relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste, tra cui l’articolo 5, paragrafi 10 e 11 del regolamento di base e l’articolo 6, paragrafo 7, del medesimo regolamento, non è applicabile nel contesto di un’inchiesta basata sull’articolo 3 del regolamento definitivo.

60      La volontà del legislatore dell’Unione di escludere l’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 4, commi dal primo al terzo, del regolamento di base (divenuto articolo 11, paragrafo 4, commi dal primo al terzo, del regolamento 2016/1036) in caso di ricorso al campionamento nell’ambito dell’inchiesta iniziale, al pari dell’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 5, del medesimo regolamento ai riesami distinti da quelli previsti dall’articolo 11, paragrafi da 2 a 4, del regolamento di base, appare confermata dall’assenza di modifiche a queste due disposizioni, successivamente all’introduzione, con il regolamento (CE) n. 285/97 del Consiglio, del 17 febbraio 1997, che modifica il regolamento (CEE) n. 738/92, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di filati di cotone originari del Brasile e della Turchia (GU 1997, L 48, pag. 1), della prassi del Consiglio e della Commissione di concedere, a determinate condizioni, ai nuovi produttori esportatori, il margine di dumping calcolato a norma dell’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base.

61      Risulta peraltro dimostrato che la ricorrente ha chiesto l’applicazione dell’articolo 3 del regolamento definitivo e che essa è stata debitamente informata del tasso del dazio antidumping che le sarebbe stato applicato in caso di esito positivo dell’inchiesta de qua.

62      La decisione impugnata è stata adottata sulla base dell’articolo 3 del regolamento definitivo, che istituisce una procedura specifica di estensione del dazio antidumping del 30,6%, applicabile ai produttori che abbiano collaborato senza essere stati inclusi nel campione, agli operatori che dimostrino, attraverso le tre condizioni previste dalla suddetta disposizione, di essere nuovi produttori esportatori. Orbene, l’articolo 3 del regolamento definitivo non prevede la pubblicazione di un avviso di apertura di inchiesta di riesame o la notifica della sua apertura alle altre parti interessate ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 10 e 11, e dell’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base.

63      Nella parte in cui la ricorrente sostiene, nella replica, che la prassi della Commissione, seguita anche nella decisione impugnata, adottata sulla base dell’articolo 3 del regolamento definitivo, consistente nel non informare tutte le parti interessate di cui all’articolo 5, paragrafo 11, e all’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base, sarebbe contraria all’articolo 6.1 dell’accordo antidumping, si deve necessariamente rilevare che si tratta di un argomento nuovo, dedotto per la prima volta in sede di replica. Tuttavia, come la ricorrente ha essenzialmente sostenuto all’udienza, esso costituisce un’estensione di altri argomenti presentati nel ricorso volti a contestare l’assenza di pubblicazione dell’avviso di apertura della procedura di riesame in questione e l’assenza di comunicazione a tutte le parti interessate. Tale argomento è quindi ricevibile. Per quanto riguarda la fondatezza dell’argomento medesimo, si deve rilevare che l’articolo 6.1 dell’accordo antidumping, a termini del quale «a tutte le parti interessate da un’inchiesta antidumping viene data notifica delle informazioni richieste dalle autorità e ampie possibilità di presentare in forma scritta tutti gli elementi di prova che esse ritengano pertinenti rispetto all’inchiesta in questione», è stato trasposto nel diritto dell’Unione dall’articolo 5, paragrafo 10, del regolamento di base. Orbene, è già stato rilevato al punto 59 supra, che l’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento di base, che traspone soltanto alle procedure di ricorso di cui ai paragrafi da 2 a 4 dell’articolo 11 del regolamento di base le pertinenti disposizioni del regolamento di base relative alle procedure e allo svolgimento delle inchieste, tra cui l’articolo 5, paragrafo 10, del regolamento di base, non è applicabile nell’ambito di un’inchiesta ex articolo 3 del regolamento definitivo.

64      In secondo luogo, nella parte in cui la ricorrente fa valere, sostanzialmente, che la decisione impugnata è contraria all’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, essendo lo stesso articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base contrario a tale disposizione, per il fatto che esclude dalla sfera d’applicazione del riesame le fattispecie in cui le istituzioni hanno utilizzato il campionamento nell’inchiesta iniziale, il che avrebbe obbligato la Commissione a ricorrere all’articolo 3 del regolamento definitivo, si deve anzitutto verificare, come sostiene la Commissione, se l’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, possieda efficacia diretta nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

65      A tal riguardo, è sufficiente rilevare che, sebbene la formulazione dei primi tre commi dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, ad eccezione della terza condizione relativa all’esistenza delle esportazioni successivamente al periodo dell’inchiesta iniziale, sia analoga a quella dell’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, l’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base contiene parimenti un quarto comma, ai sensi del quale tale articolo non si applica ai dazi istituiti a norma dell’articolo 9, paragrafo 6, del medesimo regolamento, ossia quando le istituzioni, nell’ambito dell’inchiesta iniziale, abbiano fatto ricorso al campionamento. Tale eccezione persegue lo scopo di non mettere i nuovi produttori-esportatori in una situazione più favorevole di quella di coloro che abbiano collaborato all’inchiesta iniziale senza essere stati peraltro inclusi nel campione. Tale esigenza non è stata presa in considerazione nell’accordo antidumping. Infatti, l’articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento di base costituisce l’espressione della volontà del legislatore dell’Unione di seguire, in tale settore, un approccio proprio dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Pertanto, non si può ritenere che detta disposizione costituisca una misura diretta a garantire nell’ordinamento giuridico dell’Unione l’esecuzione di un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC. Il legislatore dell’Unione ha esercitato la propria competenza regolamentare, per quanto riguarda le condizioni di avvio del riesame per i nuovi produttori esportatori, adottando un approccio proprio all’ordinamento giuridico dell’Unione e, pertanto, l’intento del legislatore dell’Unione di dare esecuzione, con l’adozione dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento base, agli specifici obblighi derivanti dall’articolo 9.5 dell’accordo antidumping non può essere dimostrato (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal, C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punti 48, 50 e 53). Ne consegue che l’articolo 9.5 dell’accordo antidumping non possiede effetti diretti nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

66      In terzo luogo, poiché gli obiettivi dell’inchiesta condotta a norma dell’articolo 3 del regolamento definitivo sono più limitati di quelli dell’inchiesta condotta a norma dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, è giustificato che un numero inferiore di persone siano informate dell’avvio di un’inchiesta ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo. Mentre l’inchiesta condotta a norma dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base intende determinare non solo se l’operatore in questione sia un nuovo produttore-esportatore ma anche, in caso di risposta affermativa a tale prima questione, il suo margine di dumping individuale, l’inchiesta condotta a norma dell’articolo 3 del regolamento definitivo è unicamente volta a verificare se l’operatore in questione sia effettivamente un nuovo produttore-esportatore. Nell’ambito di tale inchiesta, quest’ultimo deve dimostrare di non aver esportato i prodotti di cui all’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento definitivo, originari della Cina durante il periodo dell’inchiesta iniziale, di non essere collegato ad alcun esportatore o produttore soggetto alle misure istituite dal regolamento medesimo nonché di aver effettivamente esportato le merci in esame o di aver assunto un obbligo contrattuale irrevocabile di esportarne un quantitativo considerevole nell’Unione successivamente alla fine del periodo dell’inchiesta iniziale. Considerato che tali circostanze attengono alla situazione dell’operatore in questione, è chiaramente quest’ultimo, ad esclusione di qualsiasi terzo, a trovarsi nella posizione migliore per fornire le informazioni necessarie.

67      In quarto luogo, e in ogni caso, anche se si dovesse ritenere che la Commissione fosse vincolata, nell’ambito dell’adozione della decisione impugnata, dall’articolo 5, paragrafi 10 e 11, e dall’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento di base, un’irregolarità procedurale implica l’annullamento in toto o in parte di una decisione solo laddove risulti provato che, in mancanza dell’irregolarità, la decisione impugnata avrebbe potuto avere un contenuto diverso [ordinanza del 24 settembre 2007, Torres/UAMI e Bodegas Muga (C‑405/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:546, punto 29; v. altresì, in tal senso, sentenze del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione, da 209/78 a 215/78 e 218/78, non pubblicata, EU:C:1980:248, punto 47, e del 6 febbraio 2013, Bopp/UAMI (Raffigurazione di un ottagono verde), T‑263/11, non pubblicata, EU:T:2013:61, punto 49].

68      È la parte che fa valere tale irregolarità procedurale che è tenuta a dimostrare che, in mancanza dell’irregolarità, la decisione impugnata avrebbe potuto avere un contenuto diverso.

69      Nel ricorso, la ricorrente ha affermato che, nella specie, gli importatori e, soprattutto, il governo cinese, avrebbero potuto esprimere commenti in favore della ricorrente e che lo avrebbero probabilmente fatto. Essa ha quindi ribadito più volte l’affermazione che il governo cinese sarebbe intervenuto a sostegno della ricorrente nel procedimento amministrativo se ne fosse stato informato e che, in particolare, avrebbe fornito informazioni atte a fornire chiarimenti alla Commissione. Infine, nella replica, la ricorrente ha sostenuto che nessuna associazione di esportatori, importatori o consumatori, nonché nessun operatore commerciale, così come nemmeno il pubblico, era stato informato e che, di conseguenza, l’ipotesi di una loro partecipazione al procedimento amministrativo non potrebbe essere esclusa.

70      Tuttavia, si deve osservare che il governo cinese ha ricevuto il documento di informazione generale, ma non ha presentato osservazioni in merito a tale questione e ancor meno dati precisi. Per quanto riguarda la Camera di commercio internazionale cinese, è pacifico che uno dei suoi rappresentanti, in occasione dell’audizione orale, ha effettuato una dichiarazione generale a nome della ricorrente, senza peraltro fornire alcuna precisazione relativa al merito della controversia. Per quanto riguarda le associazioni di esportatori, importatori o consumatori, gli operatori commerciali e il pubblico, la ricorrente non ha minimamente indicato esattamente in quali termini essi avrebbero potuto integrare le informazioni delle quali la Commissione aveva rilevato l’assenza nella pratica della ricorrente o chiarire quelle che essa aveva ritenuto contraddittorie. Peraltro, la ricorrente non si è avvalsa della facoltà, di cui essa disponeva a norma degli articoli da 91 a 102 del regolamento di procedura del Tribunale, di chiedere che i rappresentanti di tali associazioni fossero citati dinanzi al Tribunale al fine di confermare le sue asserzioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 101). Inoltre, come menzionato al punto 66 supra, poiché le condizioni di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo attengono alla situazione personale dell’operatore interessato, è chiaramente quest’ultimo che si trova nella posizione migliore per fornire le necessarie informazioni, ad esclusione di qualsiasi terzo.

71      Ne consegue che la ricorrente non è stata in grado di dimostrare che, in assenza della presunta irregolarità procedurale, la decisione impugnata avrebbe potuto assumere un contenuto diverso.

72      In quinto luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base e l’articolo 6.10.2 dell’accordo antidumping, che prevedono la possibilità per un produttore-esportatore non incluso nel campione di chiedere l’esame individuale al fine di ottenere un margine di dumping individuale, non sono pertinenti nella specie. Come sostenuto, in sostanza, dall’interveniente, è la norma speciale, vale a dire l’articolo 11, paragrafo 4, commi dal primo, secondo e terzo, del regolamento di base, che prevede, nell’ambito del riesame dello status di nuovo produttore esportatore, la possibilità della determinazione del margine di dumping individuale. Orbene, come già esposto supra, l’articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento medesimo prevede una deroga a tale regola nel caso in cui sia stato utilizzato il campionamento nell’inchiesta iniziale.

73      In sesto luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non vi è discriminazione degli operatori che chiedano il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ex articolo 3 del regolamento definitivo, rispetto a quelli che possono chiederlo, a norma dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. Infatti, l’articolo 3 del regolamento definitivo e l’articolo 11, paragrafo 4, quarto comma, del regolamento di base garantiscono che, in caso di ricorso al campionamento, da un lato, non sia concesso ai nuovi produttori-esportatori un trattamento processuale privilegiato rispetto ai produttori-esportatori che abbiano collaborato all’inchiesta iniziale senza essere stati inclusi nel campione, e, dall’altro, che essi possano beneficiare della stessa aliquota antidumping di questi ultimi. Pertanto, qualsiasi differenza di trattamento tra i tipi di produttori-esportatori evidenziata dalla ricorrente è inerente all’uso della tecnica del campionamento, espressamente prevista dall’articolo 17 del regolamento di base. Orbene, la ricorrente non ha sollevato nessuna eccezione di illegittimità di tale disposizione alla luce del principio di non discriminazione.

74      Ne consegue che il primo motivo dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione del principio di non discriminazione

75      La ricorrente afferma che, recentemente, nel regolamento di esecuzione (UE) 2015/2179 della Commissione del 25 novembre 2015, che avvia un riesame del regolamento di esecuzione (UE) n. 102/2012 del Consiglio, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cavi d’acciaio originari, tra l’altro, della Repubblica popolare cinese esteso alle importazioni di cavi d’acciaio spediti dalla Repubblica di Corea, anche se non dichiarati originari della Repubblica di Corea, allo scopo di determinare la possibilità di concedere l’esenzione da tali misure ad un esportatore coreano, che abroga il dazio antidumping sulle importazioni in provenienza da detto esportatore e che dispone la registrazione di tali importazioni (GU 2015, L 309, pag. 3), la Commissione ha correttamente applicato ad un produttore-esportatore coreano la disposizione del regolamento di base relativa ai nuovi esportatori, ovvero l’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. Emergerebbe dai considerando da 6 a 13 del regolamento di esecuzione 2015/2179, che il produttore-esportatore in questione avrebbe dovuto fornire solo elementi di prova atti a dimostrare, prima facie, che questi rispondeva alle tre condizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, che la Commissione avrebbe quindi esentato tutte le importazioni effettuate dal medesimo esportatore coreano da tutti i dazi antidumping nel corso dell’inchiesta e che avrebbe invitato le parti interessate a manifestare il loro punto di vista. Inoltre, il procedimento sfociato all’adozione del regolamento di esecuzione 2015/2179 sarebbe durata solo due mesi.

76      Orbene, nella specie, un trattamento discriminatorio sarebbe stato riservato alla ricorrente per effetto del ricorso al campionamento nell’ambito dell’inchiesta iniziale e, di conseguenza, alla procedura di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo. Al pari del produttore-esportatore coreano, essa avrebbe fornito nella propria domanda del settembre 2013, elementi di prova prima facie sufficienti, ma non avrebbe beneficiato dell’esenzione dai diritti durante l’inchiesta in questione e avrebbe dovuto attendere più di due anni e mezzo l’adozione di una decisione. Inoltre, nella replica, la ricorrente fa valere che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento di base (divenuto articolo 16, paragrafo 2, del regolamento 2016/1036), nella controversia all’origine del regolamento di esecuzione 2015/2179, la Commissione non ha cercato di integrare le informazioni fornitele dalla ricorrente mediante una visita in loco.

77      Poiché essa sarebbe già stata assoggettata a dazi antidumping del 69,7% nel corso di tutta l’inchiesta di cui trattasi, che sarebbe durata più di due anni e mezzo, la ricorrente si sarebbe trovata nell’impossibilità di sviluppare la propria attività all’interno dell’Unione, il che avrebbe comportato conseguenze economiche molto gravi.

78      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

79      A tal proposito, si deve rilevare che, richiamandosi al regolamento di esecuzione 2015/2179, che avvia un riesame del regolamento di esecuzione (UE) n. 102/2012 del Consiglio, del 27 gennaio 2012, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cavi d’acciaio originari della Repubblica popolare cinese e dell’Ucraina, esteso alle importazioni di cavi d’acciaio spediti dal Marocco, dalla Moldova e dalla Repubblica di Corea, anche se non dichiarati originari di tali paesi, successivamente ad un riesame in vista della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base e che chiude il procedimento di riesame in vista della scadenza relativo alle importazioni di cavi d’acciaio originari del Sud Africa a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base (GU 2012, L 36, pag. 1), la ricorrente deduce di essere stata discriminata rispetto al produttore-esportatore coreano oggetto di tale procedimento. Essa sostiene, in sostanza, che, contrariamente a quanto avvenuto nel procedimento che ha condotto all’adozione di detto regolamento di apertura, il procedimento sfociato nell’adozione della decisione impugnata non è stato reso pubblico mediante un avviso di apertura, che perfino le parti interessate non ne sono state informate, che l’inchiesta in questione ha avuto una durata eccessiva, che essa non ha beneficiato di una sospensione dei dazi antidumping in vigore per la durata dell’inchiesta e che il grado di prova che essa doveva fornire era più elevato.

80      Secondo costante giurisprudenza, il rispetto dei principi di eguaglianza e di non discriminazione richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenza del 13 dicembre 2007, Asda Stores, C‑372/06, EU:C:2007:787, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

81      Orbene, come sostenuto dalla Commissione, le situazioni che caratterizzano le due cause comparate dalla ricorrente sono differenti, cosicché non è possibile ravvisare una discriminazione.

82      Infatti, in primo luogo, la ricorrente ha chiesto il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo. Per contro, il produttore-esportatore coreano cui si richiama la ricorrente ha chiesto di essere incluso nell’elenco dei produttori-esportatori che beneficiano dell’esenzione dal pagamento del dazio antidumping esteso alle importazioni del prodotto de quo operate dalla Repubblica di Corea, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, quinto comma, del regolamento di base (divenuto articolo 13, paragrafo 4, quinto comma, del regolamento 2016/1036), che rinvia, ai fini dell’applicazione di tale paragrafo, all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, per quanto riguarda le imprese che abbiano chiesto l’esenzione dei dazi antidumping a seguito dell’adozione di un regolamento di estensione dei dazi antidumping. Orbene, nel contesto di tale procedura, non è sufficiente dimostrare la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base. L’impresa interessata deve inoltre dimostrare, conformemente all’articolo 13, paragrafo 4, terzo comma, del regolamento di base (divenuto articolo 13, paragrafo 4, del regolamento 2016/1036), di non aver posto in essere pratiche di elusione. È, peraltro, questo il motivo per cui i considerando 6 e 8 del regolamento di esecuzione 2015/2179 precisano che il produttore-esportatore coreano ha fornito elementi di prova sufficienti, che dimostrano, prima facie, che questi non aveva eluso le misure applicabili al prodotto in esame in tale causa. La portata di questo tipo di inchiesta è pertanto più ampia di quella dell’inchiesta prevista dall’articolo 3 del regolamento definitivo.

83      In secondo luogo, il regolamento di esecuzione 2015/2179 non ha concesso l’esenzione chiesta dal produttore-esportatore coreano, ma ha unicamente avviato l’inchiesta in questione. Di conseguenza, il fatto che la Commissione si sia accontentata, in tale fase del procedimento di esenzione, di prove secondo le quali il produttore-esportatore coreano rispondeva, prima facie, a tutte le condizioni richieste, non significa che tale impresa sia stata assoggettata ad un onere probatorio inferiore rispetto a quello imposto alla ricorrente. Ciò significa solo che gli elementi forniti da tale impresa erano sufficientemente concludenti per avviare l’inchiesta, il cui obiettivo era confermare in via definitiva le affermazioni di quest’ultima. Peraltro, sebbene la ricorrente asserisca ripetutamente che dovrebbe esserle riconosciuto lo status di nuovo produttore-esportatore, avendo essa fornito elementi di prova atti a dimostrare, prima facie, il soddisfacimento delle condizioni necessarie, nessuna disposizione dell’articolo 3 del regolamento definitivo, e ancor meno dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, lascia intendere che sia sufficiente che l’impresa interessata fornisca tali elementi per liberarsi dell’onere della prova a suo carico. In entrambi i casi, il legislatore ha previsto che è l’impresa interessata allo status di nuovo produttore-esportatore che deve dimostrare la sussistenza delle condizioni necessarie.

84      In terzo luogo, contrariamente all’inchiesta che ha portato all’adozione del regolamento definitivo, quella che ha portato all’adozione del regolamento di esecuzione n. 102/2012 non prevedeva il ricorso al campionamento, cosicché è stato possibile ricorrere all’articolo 11, paragrafo 4, primo, secondo e terzo comma, del regolamento di base per il produttore-esportatore coreano. Orbene, è stato già rilevato nell’ambito del primo motivo che non si può affermare l’esistenza di una discriminazione a fronte dell’impossibilità per i nuovi produttori-esportatori di ottenere un riesame ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base nei casi in cui sia stato fatto ricorso al campionamento nell’inchiesta iniziale e laddove possa esser loro conseguentemente concessa solo l’aliquota del dazio antidumping applicabile ai produttori-esportatori che abbiano collaborato senza essere stati inclusi nel campione.

85      In quarto luogo, lo stesso ragionamento vale per la questione delle divergenze in termini di notifica dell’avvio dell’inchiesta alle parti interessate, che varia a seconda del ricorso all’articolo 3 del regolamento definitivo, o all’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, e che dipende anche dal ricorso al campionamento nell’inchiesta iniziale.

86      In quinto luogo, poiché l’inchiesta avviata dal regolamento di esecuzione 2015/2179 è stata altresì condotta sulla base dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, essa è accompagnata, conformemente al terzo comma, dall’esenzione dei dazi antidumping in vigore e dalla registrazione delle importazioni nel corso della stessa inchiesta. Nessuna disposizione simile è prevista dall’articolo 3 del regolamento definitivo, sul quale si fonda l’inchiesta in questione.

87      In sesto luogo, si deve rilevare che la ricorrente pone a raffronto il tempo necessario alla Commissione per aprire un’inchiesta ex articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base con la durata del procedimento di decisione nel merito relativo al riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo. Orbene, queste due fattispecie non sono comparabili. Peraltro, le due controversie si distinguono per il carattere sufficientemente documentato del fascicolo del produttore-esportatore coreano, contrariamente al fascicolo non sufficientemente documentato della ricorrente, nonché per il fatto che la ricorrente aveva inizialmente chiesto un riesame intermedio a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento di base e che, per un certo periodo, sussistevano dubbi quanto al tipo di riesame voluto da quest’ultima ovvero all’ordine di priorità da seguire nella valutazione delle richieste di riesame intermedio e di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore.

88      In settimo luogo, quanto riguarda all’argomento vertente sulla violazione dell’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento di base e dedotto per la prima volta nella replica, occorre anzitutto esaminarne la ricevibilità. Interrogata all’udienza al riguardo, la ricorrente non ha voluto formulare osservazioni. La Commissione, da parte sua, ha sostenuto che tale argomento rappresenta un motivo nuovo, per cui dev’essere dichiarato irricevibile. A tal riguardo, se è vero che, nel ricorso, la ricorrente contesta alla Commissione di non aver effettuato una visita in loco, da ciò non discende chiaramente che si trattasse di un motivo di annullamento piuttosto che di un’osservazione generale. Di conseguenza, è solo in sede di replica che la ricorrente ha dedotto per la prima volta dinanzi al Tribunale la violazione della disposizione de qua. Si tratta, quindi, di un motivo nuovo e, pertanto, irricevibile.

89      In ogni caso, è sufficiente rilevare che l’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento di base, relativo alle visite di verifica, prevede che, «[s]e necessario, la Commissione può svolgere inchieste nei paesi terzi». Pertanto, anche in caso di dubbi sulle informazioni contenute nel fascicolo di un produttore esportatore, la Commissione non ha l’obbligo di effettuare controlli in loco, come ha, peraltro, sostenuto all’udienza. La ricorrente non ha indicato alcun obbligo in tal senso per la Commissione. Ciò vale, a maggior ragione, nel contesto dei procedimenti di riesame, considerato che l’onere della prova del soddisfacimento delle relative condizioni è chiaramente a carico dell’operatore economico che chiede il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, o dell’articolo 3 del regolamento definitivo.

90      Ne consegue che la ricorrente non può fondatamente sostenere di essere stata vittima di una discriminazione, cosicché il secondo motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, vertente su un manifesto errore di valutazione dei fatti

91      Con il terzo motivo, la ricorrente censura i punti 11, 12 e 16 della decisione impugnata, i quali così recitano:

«(11)      Per quanto riguarda il criterio b), vale a dire che [la ricorrente] non è [collegata] a un esportatore o a un produttore soggetto alle misure antidumping istituite dal regolamento iniziale, la Foshan Lihua ha dichiarato, nella sua risposta al questionario, che essa faceva parte di un gruppo di sei società collegate. Le due risposte alle richieste di informazioni supplementari hanno rivelato l’esistenza di altre due società collegate che non erano state menzionate nella risposta al questionario. Tuttavia, non è stato precisato nelle risposte in quali date tali due società fossero state costituite, né se esse avessero investito in altre entità giuridiche.

(12)      Dopo la comunicazione delle conclusioni, la Foshan Lihua ha indicato che tali due società non erano state incluse nella risposta iniziale perché non fabbricavano né vendevano il prodotto in esame e avevano cessato le loro attività. Tuttavia, la società non ha presentato prove supplementari atte a dimostrare tali affermazioni, in particolare sull’esistenza e sulle attività della sua società d’investimento con sede a Hong Kong.

(…)

(16)      [La ricorrente] ha sostenuto che, durante il periodo dell’inchiesta [iniziale], solo due società del gruppo hanno partecipato attivamente alla produzione e alla vendita del prodotto in esame: La Foshan Lihua ha fabbricato il prodotto in questione e lo ha venduto esclusivamente nel mercato interno, mentre l’operatore commerciale collegato, la Foshan Henry (in prosieguo: la «Henry») aveva esportato il prodotto in esame in altri paesi, ma non nell’Unione. Tuttavia, gli elementi di prova forniti da[lla ricorrente] erano incompleti, poiché i registri delle vendite della Foshan Lihua relativi al periodo dell’inchiesta [iniziale] non contenevano informazioni sulle condizioni di consegna, sugli indirizzi dei clienti o sulle destinazioni di invio e che nei registri delle vendite della Foshan Henry non figuravano nominativi di clienti per l’anno 2009. Pertanto, la Commissione non ha potuto stabilire se la Foshan Lihua avesse esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta [iniziale]. Inoltre, [la ricorrente] non ha fornito i registri di vendite dettagliati della Foshan Lihua per gli anni successivi al periodo dell’inchiesta [iniziale]».

92      Nella misura in cui i punti 11 e 12 della decisione impugnata, da un lato, e il punto 16 della stessa, dall’altro, riguardano, rispettivamente, la seconda e la prima condizione per il riconoscimento dello status di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo, tale motivo si articola su due capi, che occorre quindi esaminare separatamente.

 Sul primo capo, vertente su un manifesto errore di valutazione dei fatti, ai punti 11 e 12 della decisione impugnata

93      Nei punti 11 e 12 della decisione impugnata, la Commissione contesta, in sostanza, alla ricorrente di averle fornito informazioni incomplete in ordine alla struttura del suo gruppo ed alle attività delle società che lo compongono. Tali motivi rientrano nell’esame della seconda condizione di applicazione dell’articolo 3 del regolamento definitivo, relativa all’assenza di collegamenti con produttori-esportatori soggetti a dazi antidumping. In particolare, la Commissione ha rilevato che, contrariamente alle informazioni inizialmente fornitele dalla ricorrente, le risposte alle richieste di chiarimenti hanno rivelato che una delle società del gruppo, ossia la Foshan Nanhai Huachangsheng Textile Co. Ltd era detenuta da due altre società non menzionate nella risposta iniziale, vale a dire la Lihua International (HK) Holding Ltd. e la Foshan Huachang Textile Development Co. Ltd, detenute a loro volta dai membri di una stessa e unica famiglia e delle quali la ricorrente non è stata in grado di stabilire, mediante elementi di prova, le date di costituzione, le attività precise, compresi eventuali investimenti in altre società, e l’attuale status.

94      La ricorrente contesta tali conclusioni e sostiene di aver fornito tutte le informazioni necessarie in merito all’organizzazione interna delle società ed al suo gruppo nelle lettere dell’11 dicembre 2014 e del 22 gennaio 2016.

95      Nell’allegato 3 alla lettera dell’11 dicembre 2014, essa avrebbe già indicato, mediante la sua licenza di esercizio, la data di costituzione della Foshan Nanhai Huachangsheng Textile nonché i suoi azionisti.

96      Le due società individuate nella lettera del 22 gennaio 2016 sarebbero state attive nella produzione di tessili e cartone e non sarebbero state inizialmente menzionate non presentando alcun collegamento con la produzione o la commercializzazione del prodotto de quo. In particolare, la ricorrente ha informato la Commissione, in tale lettera, che la Lihua International (HK) Holding era attiva nel settore tessile e che la sua esistenza nel periodo compreso tra il 2006 e il 1o gennaio 2015 rispondeva a scopi meramente commerciali. Tale lettera conteneva anche una sintesi delle società del gruppo in questione, con le loro date di costituzione.

97      Le licenze di esercizio fornite alla Commissione e che figurano agli allegati A 9 e A 10 al ricorso indicherebbero le date di creazione delle società del gruppo nonché l’assenza di collegamenti con altre società.

98      La Commissione non avrebbe mai contestato il fatto che, secondo il diritto cinese, fosse formalmente vietato ad una società titolare di una licenza di gestione nel settore tessile, del cartone o di investimenti, di produrre piastrelle di ceramica e di commercializzarle in qualsiasi modo, salvo commettere un reato. Pertanto, sarebbe escluso che tali imprese abbiano esportato piastrelle di ceramica nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, o che siano collegate a esportatori del prodotto medesimo.

99      La ricorrente è dunque sorpresa del fatto che la decisione impugnata sia basata su una «mancanza di elementi supplementari» che la Commissione non le avrebbe mai chiesto.

100    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

101    A tal riguardo, l’articolo 3 del regolamento definitivo prevede, in sostanza, che, qualora un nuovo produttore-esportatore cinese fornisca alla Commissione elementi di prova sufficienti a dimostrare, in primo luogo, di non aver esportato il prodotto de quo durante il periodo dell’inchiesta iniziale, in secondo luogo, di non esser collegato ad alcun esportatore o produttore soggetto alle misure istituite dal regolamento definitivo e, in terzo luogo, di aver effettivamente esportato le merci in esame o di aver assunto un obbligo contrattuale irrevocabile di esportarne un quantitativo considerevole nell’Unione successivamente alla fine del periodo dell’inchiesta iniziale, il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su proposta della Commissione, può, dopo aver sentito il comitato consultivo, modificare l’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento definitivo al fine di assegnare a tale produttore il tasso del 30,6%, applicabile ai produttori che abbiano collaborato senza essere stati peraltro inseriti nel campione.

102    Detta disposizione assoggetta, quindi, la concessione del trattamento riservato ai nuovi produttori-esportatori alla dimostrazione, da parte dell’operatore interessato, di soddisfare le tre condizioni menzionate al punto 101 supra. Poiché tali condizioni si applicano cumulativamente, il mancato soddisfacimento di una comporta il diniego del riconoscimento dello status in questione.

103    Occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, nel settore delle misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare. Ne deriva che il controllo del giudice dell’Unione sulle valutazioni delle istituzioni dev’essere limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errore manifesto di valutazione di tali fatti o di sviamento di potere. Tuttavia, quando le istituzioni dell’Unione dispongono di un potere discrezionale, il rispetto delle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi riveste un’importanza ancor più fondamentale. Fra queste garanzie si annoverano, in particolare, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie, il diritto dell’interessato a far conoscere il proprio punto di vista e il diritto a una decisione sufficientemente motivata [v. sentenza del 28 febbraio 2017, Yingli Energy (China) e a./Consiglio, T‑160/14, non pubblicata, EU:T:2017:125, punto 203 e giurisprudenza ivi citata].

104    È alla luce di tali elementi che occorre valutare se la ricorrente sia riuscita a dimostrare che la Commissione sia incorsa, ai punti 11 e 12 della decisione impugnata, in un manifesto errore di valutazione dei fatti.

105    Risulta acclarato che, nell’ambito dell’esame della condizione secondo cui l’operatore interessato al riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore deve dimostrare di non essere collegato ad alcun esportatore o produttore soggetto alle misure istituite dal regolamento definitivo, la Commissione ha chiesto, nel questionario inviato alla ricorrente, di illustrare la composizione del suo gruppo, precisando che tale illustrazione doveva consentirle d’individuare chiaramente la natura precisa dei possibili rapporti tra la ricorrente ed altre società. Nella risposta a detto questionario, la ricorrente ha segnalato cinque società collegate, ovvero un gruppo composto complessivamente da sei società. La Commissione, non ritenendosi soddisfatta della completezza delle informazioni fornite, ha, in particolare, invitato la ricorrente, nella prima richiesta di chiarimenti, a fornire l’elenco degli azionisti della Foshan Nanhai Huachangsheng Textile.

106    La risposta a tale richiesta ha rivelato che quest’ultima impresa era detenuta da due altre società che non erano state menzionate nella risposta al questionario, vale a dire la Lihua International (HK) Holding e la Foshan Huachang Textile Development.

107    Nella lettera del 18 settembre 2015, la Commissione ha informato, segnatamente, la ricorrente che la sua domanda non era sufficientemente motivata e le ha inviato la seconda richiesta di chiarimenti. Essa le ha chiesto, inter alia, di fornire maggiori informazioni in ordine al documento di cui all’allegato B 15 del controricorso, secondo cui azionisti della Foshan Nanhai Huachangsheng Textile erano la Lihua International (HK) Holding e la Foshan Huachang Textile Development. In concreto, la Commissione ha invitato la ricorrente a descrivere le attività commerciali di tali due società.

108    Nella sua risposta del 29 settembre 2015, la ricorrente si è limitata ad affermare, per quanto riguarda le attività commerciali delle due società, attività di «finanziamento e [di] investimento» per la Lihua International (HK) Holding e di «produzione e [di] vendita di prodotti tessili» per la Foshan Huachang Textile Development.

109    Al considerando 9 del documento di informazione generale, la Commissione ha precisato che le risposte della ricorrente non l’avevano edotta né sulle date di costituzione delle due imprese né sui loro eventuali investimenti in altre società. Infatti, e come sostenuto, sostanzialmente, dalla Commissione, se è dimostrato che tali due società hanno investito in un’altra società dello stesso gruppo, vale a dire la Foshan Nanhai Huachangsheng Textile, la ricorrente non ha fornito informazioni tali da dimostrare che tali società non avessero investito in altre imprese. Si deve rilevare che la questione riveste particolare importanza per quanto riguarda la Lihua International (HK) Holding, una società di finanziamento e di investimento. In mancanza di tali informazioni, non è possibile verificare se tale società e, quindi, l’intero gruppo non avesse alcun collegamento con le società soggette ai dazi antidumping in vigore.

110    Nella lettera del 20 dicembre 2015, contenente osservazioni sul documento di informazione generale nonché all’udienza, la ricorrente ha dichiarato che queste due società avevano cessato la propria attività nel 2008. Tuttavia, la ricorrente non ha indicato alcun documento, negli atti depositati dinanzi al Tribunale, idoneo a dimostrare che essa avesse fornito alla Commissione elementi di prova sulle date di cessazione dell’attività delle due società, nonché sulle loro partecipazioni in altre società. Come indicato al precedente punto 109, tale mancanza d’informazione è particolarmente rilevante per quanto concerne la Lihua International (HK) Holding.

111    Come osservato, in sostanza, dalla Commissione, la ricorrente ha poi modificato la propria posizione, per sostenere, nella lettera del 22 gennaio 2016, in primo luogo, che la cessazione delle attività della Lihua International (HK) Holding aveva avuto luogo il 1o gennaio 2015 e che, in secondo luogo, la Foshan Huachang Textile Development era stata creata nel 2001 e che i suoi azionisti appartenevano alla famiglia cui appartengono anche la Lihua International (HK) Holding e la Foshan Huachang Textile Development (v. punto 93 supra), e, in terzo luogo, che la Foshan Nanhai Huachansheng Textile era ancora in attività e non operava né nella commercializzazione né nella compravendita, ma unicamente nel finanziamento. Tuttavia, la ricorrente non ha indicato alcun documento, negli atti depositati dinanzi al Tribunale, idoneo a dimostrare che essa avesse fornito alla Commissione elementi di prova a sostegno di tali affermazioni.

112    Se è vero che è stato fornito il certificato d’immatricolazione della Lihua International (HK) Holding, questo non fornisce le informazioni menzionate supra al paragrafo 111. Nella replica, la ricorrente deduce, inoltre, che da tale certificato risultava che la sua validità era scaduta nel 2007. A tal riguardo, si deve necessariamente rilevare che tale argomento, se interpretato nel senso di essere volto a dimostrare una data di cessazione dell’attività di tale impresa, rappresenta un’ulteriore cambiamento della posizione della ricorrente ed è, quindi, privo di ogni credibilità. In ogni caso, non è in alcun modo dimostrato che la data di scadenza della validità del certificato, esattamente un anno dopo la registrazione della società, costituisca la data effettiva di cessazione dell’attività dell’impresa stessa.

113    Inoltre, dev’essere respinta la tesi della ricorrente secondo cui la decisione impugnata sarebbe basata su una «mancanza di elementi supplementari» che la Commissione non le avrebbe mai chiesto.

114    Nella lettera del 18 settembre 2015, la Commissione ha chiesto alla ricorrente di descrivere le attività svolte dalle due società la cui esistenza era stata rivelata nella risposta alla prima richiesta di chiarimenti. Il considerando 9 del documento di informazione generale indica che le informazioni fornite non contengono indicazioni sulle date di costituzione delle due imprese né sulla questione se esse abbiano compiuto investimenti in altre società. Peraltro, il questionario relativo alla domanda di nuovo produttore-esportatore precisava già che la risposta della ricorrente doveva consentire alla Commissione di individuare chiaramente la natura precisa dei possibili rapporti tra la ricorrente ed altre società. Spettava, quindi, alla ricorrente fornire prove idonee a rispondere ai quesiti che la Commissione considerava ancora senza risposta. Inoltre, risulta dalla lettera del ricorrente «[s]i trasmettono in allegato le ulteriori informazioni richieste», utilizzata nella lettera del 22 gennaio 2016, che la ricorrente era ben consapevole del fatto che la Commissione le avesse chiesto ulteriori informazioni in merito.

115    La ricorrente sostiene, inoltre, che, non essendo stato redatto alcun verbale dell’audizione, essa non ricorda se fosse stata sollevata la questione della data di cessazione delle due società. La Commissione non avrebbe mai chiesto informazioni dettagliate sulle «date di cessazione». Tali affermazioni sono contraddette dai documenti trasmessi dalla ricorrente stessa alla Commissione nell’ambito della presentazione in occasione dell’audizione, nei quali essa ha affermato che la Lihua International (HK) Holding aveva cessato la propria attività nel 2008.

116    Ne deriva che, alla luce della contraddittorietà ed incompletezza delle informazioni presentate dalla ricorrente alla Commissione quanto alla condizione de qua, la ricorrente sostiene erroneamente che i punti 11 e 12 della decisione impugnata sarebbero viziati da un manifesto errore di valutazione.

117    Il primo capo del terzo motivo dev’essere quindi respinto.

 Sul secondo capo, vertente su un manifesto errore di valutazione dei fatti al punto 16 della decisione impugnata

118    Secondo il punto 16 della decisione impugnata, in sostanza, la ricorrente, sebbene abbia sostenuto che, durante il periodo dell’inchiesta iniziale, solo due società del gruppo avevano partecipato attivamente alla produzione e alla vendita del prodotto in esame, nel senso che la Foshan Lihua aveva fabbricato il prodotto in questione vendendolo esclusivamente nel mercato interno, mentre l’operatore commerciale collegato, la Foshan Henry Trading, aveva esportato il prodotto stesso verso altri paesi al di fuori dell’Unione, non ha fornito alla Commissione elementi di prova che le consentissero di ritenere con certezza che la ricorrente stessa e le società del gruppo non avessero esportato il prodotto de quo nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale. Infatti, secondo la Commissione, gli elementi di prova presentati erano incompleti, poiché, da un lato, i registri delle vendite della Foshan Lihua relativi al periodo dell’inchiesta non contenevano alcuna informazione per quanto riguarda le modalità di consegna, i recapiti dei clienti o le destinazioni di invio e, dall’altro, nel registro delle vendite della Foshan Henry Trading non figuravano nominativi di clienti per l’anno 2009. Inoltre, la ricorrente non ha fornito i registri delle vendite dettagliati della Foshan Lihua per gli anni successivi al periodo dell’inchiesta iniziale.

119    La ricorrente sostiene che, a causa dell’andamento non positivo degli affari della Foshan Lihua nel 2013, vale a dire che solo pochi clienti avevano acquistato prodotti e che la Foshan Henry Trading aveva un modesto volume di vendite, la Foshan Henry Trading aveva ritenuto che non fosse necessario mantenere l’elenco di nomi e recapiti dei propri clienti, cosicché essi non figuravano nel registro trasmesso alla Commissione. Nella replica la ricorrente sostiene che ciò si era verificato a causa del ristretto numero di clienti. In effetti, nel 2009, essa avrebbe commercializzato i propri prodotti ad un operatore commerciale indipendente in Malesia. Tuttavia, nel ricorso la ricorrente ha dichiarato che, durante il periodo dell’inchiesta iniziale, essa aveva venduto quasi tutti i suoi prodotti tramite la Foshan Guangchengda Import & Export Co. Ltd, società commerciale cinese alla quale essa non era collegata, percependo il corrispettivo delle vendite alla consegna. Queste vendite sarebbero state «nazionali».

120    La ricorrente sostiene, in sostanza, che, a partire dal 2013, le proprie vendite sono aumentate e che la Foshan Henry Trading ha deciso di attenersi a norme contabili più severe e di tenere un elenco dei nomi, dei recapiti dei propri clienti e dei termini di consegna. Essa non avrebbe più avuto alcun legame commerciale con le società commerciali indipendenti indicate supra al paragrafo 119. I registri delle vendite e delle esportazioni della Foshan Henry Trading trasmessi alla Commissione per gli esercizi fiscali 2009 e 2010 conterrebbero effettivamente la menzione del numero di contratto e della fattura, del metodo di pagamento, della destinazione della spedizione, dei quantitativi e dei valori delle vendite, nonché della destinazione finale.

121    Nella replica, la ricorrente sostiene che l’assenza dell’indicazione di nomi e recapiti di clienti è dovuta alla mancata informatizzazione degli archivi nel 2009 e 2010 e al loro mancato aggiornamento.

122    Ciò nondimeno, l’asserita insufficiente contabilità prima del 2013 e i registri commerciali della Foshan Henry Trading avrebbero rispettato le norme cinesi applicabili alle piccole imprese.

123    Secondo la ricorrente, la Commissione non aveva mai contestato tali circostanze.

124    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

125    A tale proposito, si deve rilevare che la ricorrente non ha dimostrato di avere fornito nell’ambito dell’inchiesta in questione i documenti dei quali la Commissione ha rilevato l’assenza al punto 16 della decisione impugnata. In particolare, essa non ha dedotto alcun argomento o apportato elementi idonei a dimostrare la manifesta erroneità dei rilievi della Commissione contenuti nel menzionato punto della decisione impugnata, riguardanti la società Foshan Lihua. La ricorrente ha, invece, riconosciuto la mancanza delle informazioni di cui trattasi e ha presentato argomenti per giustificarla. Tuttavia, tali argomenti non sono tali da opporsi alla conclusione, nello stesso punto, secondo la quale, in sostanza, la Commissione non poteva essere certa, sulla base dei documenti che la ricorrente le aveva fornito, che quest’ultima e le società del gruppo non avessero esportato il prodotto de quo nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale.

126    In primo luogo, l’argomento della ricorrente secondo cui la società esportatrice Foshan Henry Trading non avrebbe tenuto, fino al 2013, alcun elenco dei propri clienti e dei rispettivi recapiti a causa del minimo volume delle vendite o del loro numero limitato, non appare convincente al Tribunale. Anzitutto, la Commissione ha ricordato che i dati delle vendite forniti per Foshan Henry Trading contenevano tutte le informazioni necessarie, compresi i nomi dei clienti, per gli anni dal 2010 al 2014, ma che i nomi dei clienti erano mancanti per il 2009. Inoltre, come sostiene la Commissione, il volume di vendite della ricorrente effettuate tramite la Foshan Henry Trading esposto nel suo registro per gli anni 2009 e 2010 e riprodotto all’allegato B 12 del controricorso non può assolutamente essere considerato trascurabile. La ricorrente non ha, peraltro, contestato l’esattezza degli importi di cui trattasi rammentati dalla Commissione, tanto nei suoi scritti difensivi, quanto nel corso dell’udienza. Infine, si deve rilevare che l’argomento secondo cui la mancanza delle informazioni necessarie sarebbe invece dovuta all’esistenza di un numero limitato di clienti (punto 119 supra), non è suffragato da alcuna prova e rafforza l’assenza di credibilità delle informazioni presentate dalla ricorrente al Tribunale. Infatti, tale argomento costituisce un ulteriore cambiamento della posizione della ricorrente.

127    In secondo luogo, l’argomento della ricorrente secondo cui tutte o quasi tutte le sue esportazioni anteriori all’anno 2013 avrebbero avuto luogo tramite la società commerciale Foshan Guangchengda Import & Export è contraddetto tanto dai documenti presentati negli allegati B 19 e B 29 del controricorso, dai quali si evince che la ricorrente ha venduto notevoli quantità di prodotti anche ad altre imprese di esportazione, quanto dalle dichiarazioni della stessa ricorrente, secondo cui essa ha venduto nel 2009 i suoi prodotti ad un operatore commerciale indipendente in Malesia.

128    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente relativo alla conformità della contabilità e dei registri trasmessi alla Commissione alle norme cinesi applicabili alle piccole imprese, è sufficiente rilevare che ciò non è stato dimostrato in termini sufficientemente validi. Poiché la massima iura novit curia non si estende al diritto degli Stati membri e ancor meno al diritto di paesi terzi, si tratta di una questione di fatto che dev’essere dimostrata, se necessario, dalla parte che se ne avvale [v., in tal senso, sentenza del 12 ottobre 2017, Moravia Consulting/EUIPO – Citizen Systems Europe (SDC‑444S), T‑318/16, non pubblicata, EU:T:2017:719, punto 72]. Orbene, la ricorrente non ha dedotto alcun elemento a sostegno della propria affermazione. In particolare, la ricorrente non ha fatto riferimento ad alcuna specifica pagina degli atti di causa per dimostrare tale affermazione. In ogni caso, il rispetto della normativa nazionale sulla contabilità non possiede, di per sé, valore probatorio nell’ambito di un procedimento antidumping, come quello qui in esame, che persegue obiettivi diversi da quelli di tale normativa.

129    Va ricordato, peraltro, al pari della Commissione, che non può essere contestato alla Commissione di non aver tenuto conto di eventuali elementi di fatto o di diritto che avrebbero potuto esserle presentati nel corso del procedimento amministrativo ma che non lo sono stati, non avendo essa l’obbligo di verificare d’ufficio e in via presuntiva quali elementi avrebbero potuto esserle sottoposti. Analogamente, la legittimità di una decisione amministrativa dev’essere valutata alla luce delle informazioni di cui l’organismo dell’Unione, autore di tale decisione, poteva disporre al momento dell’adozione della decisione (v., in tal senso, sentenze del 24 settembre 2002, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione, C‑74/00 P e C‑75/00 P, EU:C:2002:524, punto 168, e del 14 gennaio 2004, Fleuren Compost/Commissione, T‑109/01, EU:T:2004:4, punto 49). Orbene, la ricorrente ha ammesso che la questione della pretesa conformità alle norme applicabili alle piccole imprese della contabilità e dei registri da essa trasmessi alla Commissione non era stata sollevata nel corso del procedimento amministrativo.

130    In quarto luogo, se è pur vero che la ricorrente sostiene che i registri delle vendite e delle esportazioni della Foshan Henry Trading, trasmessi alla Commissione per gli esercizi fiscali 2009 e 2010, contenevano la menzione del numero di contratto e della fattura, del metodo di pagamento, della destinazione della spedizione, dei quantitativi e dei valori delle vendite, nonché della destinazione finale, essa non ha dimostrato che essi contenevano anche i nominativi dei clienti per l’anno 2009. Orbene, si tratta di un fatto sul quale è fondato il punto 16 della decisione impugnata.

131    Ne consegue che il secondo capo del terzo motivo dev’essere respinto e, di conseguenza, il terzo motivo in toto.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa

132    Con il suo quarto motivo, la ricorrente censura i punti 13, 14 e 22 della decisione impugnata, i quali così recitano:

«(13)      Peraltro, taluni elementi mostrano l’esistenza di succursali e/o filiali che non sono state dichiarate da[lla ricorrente] nelle sue risposte successive alla Commissione. Informazioni supplementari sulla natura di tali elementi, quali l’esistenza di una succursale [situata a] Shiwan, menzionata nell’organigramma interno della società nonché in altre informazioni disponibili al pubblico sono state trasmesse [alla ricorrente] nel corso di un’audizione organizzata con i servizi della Commissione il 13 gennaio 2016. Tali informazioni non sono state né confermate né smentite da[lla ricorrente].

(14)      In considerazione di quanto precede, la Commissione ritiene che le informazioni fornite da[lla ricorrente] in merito al presente criterio siano incomplete e in contraddizione con le informazioni disponibili al pubblico. L’inchiesta [iniziale] non è stata in grado di confermare che [la ricorrente] non era collegata a nessun esportatore o produttore cinese soggetto alle misure in vigore. Di conseguenza, [la ricorrente] non soddisfa tale criterio.

(…)

(22)      La Commissione ritiene che, poiché le informazioni fornite dalla ricorrente sono incomplete e in contraddizione con altre informazioni a sua disposizione, non si può escludere che, durante il periodo dell’inchiesta [iniziale], la Foshan Henry Trading abbia esportato il prodotto in esame nell’Unione sia direttamente, sia tramite società collegate o nell’ambito di accordi di fabbricazione con altre società indipendenti. L’inchiesta non ha pertanto potuto stabilire che [la ricorrente] non aveva esportato nell’Unione piastrelle di ceramica originarie della [Repubblica popolare cinese] nel periodo dell’inchiesta [iniziale]. Di conseguenza, [la ricorrente] non soddisfa tale criterio».

133    I punti 13 e 14 della decisione impugnata, al pari dei punti 11 e 12 della stessa che il Tribunale ha esaminato nell’ambito del primo capo del terzo motivo, si collocano nell’analisi della condizione secondo cui è l’operatore che chiede il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore a dover dimostrare di non essere collegato a un’altra impresa soggetta ai dazi antidumping in vigore. Da un lato, al punto 13 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che la ricorrente non aveva rivelato l’intera struttura del suo gruppo omettendo di segnalarle società controllate o collegate e che sarebbero state, per contro, rivelate da informazioni pubbliche. La Commissione avrebbe fatto presente tali circostanze alla ricorrente nell’audizione e l’avrebbe specificamente interrogata in merito ad una filiale situata a Shiwan (Cina). Dall’altro lato, al successivo punto 14, l’Istituzione ha concluso che le informazioni fornite dalla ricorrente al fine di dimostrare la sussistenza della condizione de qua erano incomplete e in contraddizione con le informazioni accessibili al pubblico, con la conseguenza che tale condizione non poteva essere considerata soddisfatta.

134    Al punto 22 della decisione impugnata, che si colloca, al pari del precedente punto 16 che il Tribunale ha esaminato nell’ambito del secondo capo del terzo motivo, nell’analisi della condizione relativa all’assenza di esportazioni nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale da parte del gruppo di società della ricorrente, la Commissione rileva, sostanzialmente, che l’incompletezza e la contraddittorietà delle informazioni fornite dalla ricorrente le impedisce di concludere che quest’ultima o il suo gruppo non hanno realizzato le esportazioni in questione.

135    Poiché tale motivo si articola, in sostanza, su due capi, uno diretto contro i punti 13 e 14 della decisione impugnata, attinenti alla seconda condizione, e l’altro contro il punto 22 della decisione medesima, riguardante la prima condizione, è necessario esaminarli separatamente.

 Sul primo capo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa ai punti 13 e 14 della decisione impugnata

136    In primo luogo, la ricorrente fa valere che non è stato redatto alcun verbale né effettuata una registrazione dell’audizione e che non le è stata fornita alcuna informazione circa la controllata con sede a Shiwan. Pertanto, la ricorrente non sarebbe in grado di verificare quanto avvenuto durante l’audizione stessa e se la Commissione abbia correttamente compreso le dichiarazioni effettuate dalla ricorrente in tale occasione. Nella replica, la ricorrente precisa che la questione relativa a tale controllata è stata sollevata dalla Commissione in occasione dell’audizione. Tuttavia, la ricorrente non ricorda con precisione le osservazioni formulate dalla Commissione. In mancanza di un verbale o di una registrazione sui quali la ricorrente avrebbe avuto il diritto di esprimersi e, eventualmente, di apportare rettifiche, la Commissione non potrebbe richiamarsi, a fondamento della decisione impugnata, alle pretese dichiarazioni effettuate nel corso dell’audizione. L’audizione avrebbe riguardato il documento di informazione generale, ma quest’ultimo non avrebbe menzionato la controllata situata a Shiwan.

137    Sarebbe, quindi, nel contesto della decisione impugnata, che la Commissione avrebbe informato la ricorrente, per la prima volta per iscritto, dell’esistenza di tale controllata con sede a Shiwan e della sua rilevanza ai fini della sua decisione futura. Essa non sarebbe stata menzionata né nel documento di informazione né in un qualsiasi altro documento, cosicché la ricorrente ignora a quali dati accessibili al pubblico si sarebbe riferita la Commissione. La Commissione non avrebbe mai posto la ricorrente in grado di presentare osservazioni su tali dati accessibili al pubblico o persino di prenderne atto.

138    La ricorrente sostiene che, se avesse avuto la possibilità di esprimersi in merito alla controllata situata a Shiwan, avrebbe chiarito che non si trattava di una società commerciale, bensì di una cooperativa alla quale tutti i produttori di piastrelle di ceramica nella regione di Foshan, compresa la ricorrente, sono obbligati ad aderire e che sarebbe destinata ad assicurare, sotto il controllo dello Stato, programmi comuni di ricerca e tecnologia in materia di piastrelle di ceramica a beneficio dei suoi membri. Essa non avrebbe alcuna attività operativa, di produzione, vendita o commercializzazione, circostanza che il governo cinese avrebbe potuto confermare se fosse stato informato dell’inchiesta de qua. È assolutamente escluso che, durante il periodo dell’inchiesta iniziale, tale società con sede a Shiwan abbia esportato i prodotti in questione nell’Unione o si potesse ritenere che essa avesse stabilito con gli altri esportatori un legame di diritto societario.

139    In secondo luogo, nel corso dell’inchiesta de qua, la Commissione non avrebbe indicato alla ricorrente a quali dati accessibili al pubblico si sarebbe riferita a fondamento del punto 14 della decisione impugnata. Essa non ha nemmeno esposto i motivi per i quali le varie informazioni fornite dalla ricorrente sarebbero incomplete e contraddittorie.

140    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

141    L’Istituzione riconosce di non aver redatto il verbale dell’audizione. Tuttavia, in occasione dell’audizione sarebbe stata effettuata una presentazione e la ricorrente avrebbe redatto una sintesi dei punti discussi nel corso dell’audizione stessa, cui avrebbe fatto, inoltre, seguito uno scambio di corrispondenza. In tal modo, la ricorrente avrebbe avuto la possibilità di presentare proprie osservazioni durante e dopo l’audizione.

142    Per quanto riguarda la controllata situata a Shiwan, a rivelarla sarebbe stato l’organigramma dell’impresa (allegato B 30 del controricorso). Nessuna spiegazione in proposito sarebbe stata fornita, se non che essa si troverebbe sotto il controllo del direttore generale delle vendite. La Commissione avrebbe presentato gli elementi di prova alla ricorrente in occasione dell’audizione, ma la ricorrente non avrebbe formulato alcuna osservazione in merito.

143    Parimenti, la sezione «Attualità» del sito Internet della ricorrente si riferisce al salone «China Import & Export», svoltosi a Canton (Cina) nel 2015 (allegato B 32 del controricorso), nel quale figurerebbe soltanto una controllata denominata Meta, Inc., nonché prodotti pubblicizzati con il nome di Meta Tiles, Inc. La Commissione avrebbe ignorato se la Meta Tiles fosse solo un marchio commerciale o se si trattasse di un’entità giuridica distinta. Tali informazioni sarebbero state comunicate, inoltre, alla ricorrente in occasione dell’audizione, ma non sarebbero state né smentite né confermate.

144    Di conseguenza, le spiegazioni della ricorrente relative alla società con sede a Shiwan, menzionata al punto 75 del ricorso, conterebbero elementi nuovi non comunicati nell’ambito dell’inchiesta de qua. Fornendo tali spiegazioni, la ricorrente confermerebbe, in realtà, che tale controllata a Shiwan è una persona giuridica e che la Foshan Lihua detiene una partecipazione nella medesima. Da tale nuova informazione risulterebbe ancora una volta che le informazioni fornite dalla ricorrente riguardo alle entità collegate si sono rivelate incomplete fin dall’inizio, e che le dichiarazioni ottenute dalla ricorrente non sono affidabili. Le informazioni di cui al punto 75 del ricorso non fanno altro che avvalorare le conclusioni della decisione impugnata.

145    In ogni caso, la questione della controllata situata a Shiwan non sarebbe, di per sé, determinante per l’esito del riesame del riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore Sarebbe piuttosto la somma di tutte le carenze e contraddizioni nelle informazioni fornite dalla ricorrente che avrebbe portato al rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore.

146    Per quanto riguarda le informazioni accessibili al pubblico, menzionate al punto 14 della decisione impugnata, si tratterebbe di diversi siti Internet che fanno riferimento a una società denominata «Foshan Lihua» situata a Shiwan (allegato B 31 del controricorso), del sito Internet dell’impresa che ha fornito informazioni sulla Meta Tiles (allegato B 32 del controricorso) nonché dei risultati di una ricerca nel registro delle imprese di Hong Kong (Cina) (allegato B 34 al controricorso).

147    A tal proposito, secondo costante giurisprudenza, il diritto ad essere sentiti costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa e garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui propri interessi (v., in tal senso, sentenze del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 46, e del 9 febbraio 2017, M, C‑560/14, EU:C:2017:101, punto 25).

148    La regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva dev’essere posto in condizione di far valere le proprie osservazioni prima dell’adozione della decisione medesima è diretta, in particolare, a consentire a costui di correggere un errore o presentare gli elementi relativi alla sua situazione personale che depongono nel senso che la decisione venga adottata o non venga adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro (v., in tal senso, sentenze del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 47, e dell’11 dicembre 2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

149    Inoltre, come risulta, in sostanza, dall’articolo 6, paragrafo 6, quarto comma, del regolamento di base (divenuto articolo 6, paragrafo 6, quarto comma, del regolamento 2016/1036), la parte che intende richiamarsi ad informazioni fornite oralmente deve fornire la prova della loro esistenza.

150    In primo luogo, per quanto la Commissione sostenga di aver interrogato la ricorrente in occasione dell’audizione in merito alla controllata situata a Shiwan, circostanza che la ricorrente riconosce nella replica, essa non ha redatto né un verbale dell’audizione stessa né ha sostenuto di averne fatto una registrazione. La Commissione non è stata nemmeno in grado di individuare negli atti di causa un qualsiasi documento nel quale apparissero i quesiti che sono stati posti alla ricorrente in merito a tale controllata durante l’audizione.

151    Per quanto riguarda la questione della pretesa esistenza della Meta Tiles, la ricorrente nega che essa sia stata sollevata da parte della Commissione durante l’audizione.

152    Per quanto riguarda le informazioni disponibili al pubblico, ossia i diversi siti Internet, la Commissione non ha neppure dimostrato di averli menzionati nel corso dell’audizione, o in seguito, e di aver posto la ricorrente in posizione di esprimere il proprio parere in merito.

153    Pertanto, la ricorrente ha dimostrato che la Commissione non poteva fondarsi, ai punti 13 e 14 della decisione impugnata, sulle dichiarazioni fatte nel corso dell’audizione, o su informazioni sulle quali la ricorrente non poteva esprimersi utilmente.

154    Peraltro, l’organigramma della Foshan Lihua, contenente l’indicazione di una controllata situata a Shiwan, è stato fornito alla Commissione già nella lettera della ricorrente datata 7 settembre 2013, di cui all’allegato B 2 al controricorso. Di conseguenza, la Commissione poteva interrogare la ricorrente in merito molto prima dell’audizione.

155    In secondo luogo, occorre esaminare se la conclusione esposta al precedente punto 153 abbia l’effetto di invalidare quella esposta alla fine del punto 14 della decisione impugnata, secondo la quale l’inchiesta in questione non avrebbe potuto confermare che la ricorrente non fosse collegata ad alcun esportatore o produttore cinese soggetto alle misure in vigore.

156    Dal punto 14 della decisione impugnata risulta che quest’ultimo si basa su due tipi di vizi contestati alla ricorrente. Da un lato, la contraddittorietà delle informazioni dalla stessa fornite in merito ai dati accessibili al pubblico e riguardante le conclusioni esposte al punto 13 della decisione impugnata, il quale, come rilevato al punto 153 supra, era viziato da una violazione dei diritti della difesa della ricorrente.

157    Dall’altro lato, il punto 14 della decisione impugnata è altresì fondato sull’incompletezza delle informazioni fornite dalla ricorrente. Se è pur vero che può contenere anche riferimenti all’assenza di dettagli sulla controllata situata a Shiwan, esso riguarda soprattutto i fatti rilevati ai punti 11 e 12 della decisione impugnata, e la cui validità è stata dimostrata nell’ambito del primo capo del terzo motivo.

158    Ai punti 11 e 12 della decisione impugnata, la Commissione si è richiamata, in particolare, all’assenza di elementi di prova dell’esistenza e delle attività delle due imprese scoperte attraverso le richieste di chiarimenti e, segnatamente, delle attività di investimento della Lihua International (HK) Holding, che è una società commerciale e di investimento. In mancanza di informazioni precise e verificabili in merito a tali questioni, la Commissione non poteva essere certa che la ricorrente non avesse collegamenti con altre società soggette a dazi antidumping in vigore.

159    Di conseguenza, la fondatezza degli argomenti della ricorrente quanto al punto 13 della decisione impugnata, non implica l’invalidazione della conclusione finale contenuta al punto 14 della decisione attinente alla condizione in esame. Ciò vale a maggior ragione in quanto dall’espressione «peraltro», contenuta all’inizio del punto 13 della decisione impugnata, risulta che il ragionamento ivi esposto ha carattere accessorio e secondario rispetto a quelli di cui ai punti 11 e 12 della decisione impugnata. Pertanto, tali argomenti sono inoperanti e devono, in ogni caso, essere respinti, nonostante la loro fondatezza.

160    Il primo capo del quarto motivo dev’essere pertanto respinto.

 Sul secondo capo, vertente sulla violazione dei diritti della difesa con riguardo al punto 22 della decisione impugnata

161    Nella replica, la ricorrente ha affermato di non essere mai stata informata del fatto che il rappresentante dell’industria dell’Unione fosse stato invitato dalla Commissione a partecipare al procedimento. La ricorrente lo avrebbe scoperto solo al momento dell’intervento del medesimo al presente procedimento. Risulta dall’allegato B 16 del controricorso che la Cerame‑Unie aveva inviato alla Commissione un fascicolo voluminoso contenente affermazioni relative alla struttura del gruppo della ricorrente e alle sue attività di esportazione. Secondo tale documento, sarebbe stato essenziale che la Commissione verificasse attentamente se la ricorrente e una delle sue controllate esportassero o meno piastrelle in ceramica durante il periodo dell’inchiesta iniziale. Orbene, tale documento non sarebbe mai stato messo a disposizione della ricorrente, cosicché essa non avrebbe avuto la possibilità di presentare osservazioni. Inoltre, il punto 22 della decisione impugnata riprenderebbe la formulazione utilizzata dalla Cerame‑Unie, indicando che «non [poteva] essere escluso» che le esportazioni avessero avuto luogo durante il periodo dell’inchiesta iniziale. La Commissione ha pertanto fondato la propria decisione su informazioni sulle quali la ricorrente non avrebbe avuto la possibilità di presentare osservazioni.

162    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

163    A tal riguardo, occorre, in limine, esaminare la ricevibilità di tale motivo, che è stato presentato solo in sede di replica.

164    Interrogata in merito all’udienza, la ricorrente ha sostenuto che il fatto di non aver presentato gli argomenti in questione nel ricorso era giustificato dal fatto che essi si basavano su informazioni delle quali la ricorrente era venuta a conoscenza solo nel corso del presente procedimento giurisdizionale.

165    Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dalla lettera del 18 settembre 2015 risulta che essa era stata avvertita del fatto che la Commissione avesse ricevuto da parte dell’industria dell’Unione, le informazioni relative a tale inchiesta. Per quanto la Commissione non le avesse comunicato spontaneamente tali informazioni, la ricorrente era, tuttavia, del tutto legittimata a chiederne la comunicazione al fine di presentare proprie osservazioni, cosa che non ha fatto [v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2017, Yingli Energy (China) e a./Consiglio, T‑160/14, non pubblicata, EU:T:2017:125, punto 252].

166    Di conseguenza, l’argomento in esame dovrebbe essere considerato nuovo e, quindi, essere respinto in quanto irricevibile.

167    In ogni caso, l’argomento deve essere altresì respinto nel merito.

168    La ricorrente non ha dimostrato che le conclusioni cui era giunta la Cerame‑Unie fossero state riprese come tali dalla Commissione nella decisione impugnata. Il punto 22 della decisione impugnata, contestato dalla ricorrente, è il risultato di un’inchiesta condotta dalla Commissione. Vero è che esso impiega una formulazione simile o addirittura identica a quella contenuta nella lettera della Cerame‑Unie, vale a dire che «non si può escludere» che le esportazioni abbiano avuto luogo durante il periodo dell’inchiesta iniziale. Tuttavia, ciò deriva unicamente dal fatto che l’onere della prova relativo alla questione della sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 3 del regolamento definitivo incombe alla ricorrente, e non alla Commissione.

169    Pertanto, il secondo capo del quarto motivo dev’essere respinto, con conseguente rigetto del motivo in toto.

 Sul quinto motivo, vertente su uno sviamento di potere e su un errore di diritto

170    Con il quinto motivo, la ricorrente censura i punti 11, 12 e da 16 a 19 della decisione impugnata. I punti 11, 12 e 16 di tale decisione sono stati già riportati al punto 91 supra. I punti 17 e 19 di detta direttiva così recitano:

«(17)      Peraltro, sussistono altresì seri dubbi circa l’esattezza dei dati sulla produzione forniti dal[la ricorrente]. La capacità di produzione media nel corso degli anni 2009-2015 indicata nella risposta al questionario è molto inferiore rispetto alla produzione dichiarata pubblicamente dalla Foshan Lihua sul proprio sito [Internet] nonché su altri siti [Internet] commerciali.

(18)      [La ricorrente] ha anche fornito dati interni mensili sulla produzione di nuovi tipi di prodotti introdotti nel 2013. Tuttavia, quando tali dati sono estrapolati su un anno, la produzione totale annua della nuova gamma di prodotti è superiore alla capacità totale di produzione indicata nella risposta al questionario, anche se questi dati non comprendono i prodotti classici e non tengono conto di tutti i tipi di prodotti all’interno della nuova gamma.

(19)      Inoltre, il totale delle vendite all’esportazione della [Foshan Henry Trading] per gli anni 2011 e 2012, quali emergono dai dati di vendita, sono superiori alla capacità di produzione totale dichiarata dalla Foshan Lihua. Nel 2013, le esportazioni realizzate dalla [Foshan Henry Trading] rappresentavano ancora oltre il 90% della capacità di produzione dichiarata. [La ricorrente] ha sostenuto che ciò era dovuto a differenze nelle date di contabilizzazione e di vendita delle giacenze da parte della [Foshan Henry Trading]. Tuttavia le giacenze non possono spiegare una tendenza continua su un periodo di tre anni».

171    Nei punti da 17 a 19 della decisione impugnata, la Commissione rileva, in sostanza, incoerenze nei dati forniti dalla ricorrente o contraddizioni con i dati visualizzati su Internet per quanto riguarda la sua capacità produttiva, la sua produzione effettiva e le vendite all’esportazione della Foshan Henry Trading.

172    La ricorrente sostiene che la Commissione non è legittimata a porre domande non attinenti allo status di nuovo produttore-esportatore. Sebbene la ricorrente ne abbia fatto richiesta nella propria risposta al documento di informazione generale, la Commissione non ha mai spiegato per quale ragione i dati commerciali di una società attiva nel settore tessile, del cartone o dei finanziamenti sarebbero rilevanti in una causa in materia di piastrelle di ceramica.

173    Laddove, al punto 16 della decisione impugnata, la Commissione ha fatto riferimento ai registri delle vendite posteriori al periodo dell’inchiesta iniziale e la sua decisione si basa su tale elemento, essa sarebbe incorsa altresì in un errore di diritto, non presentando tali vendite alcun rapporto con il riesame in questione.

174    Il punto 17 della decisione impugnata conterrebbe, dal canto suo, una dichiarazione «irrilevante» nel contesto dell’esame del nuovo produttore esportatore, che riguarderebbe unicamente le esportazioni effettuate durante il periodo dell’inchiesta iniziale e i collegamenti con esportatori. I dati di produzione e i dati successivi al periodo dell’inchiesta iniziale non avrebbero alcun rapporto con tale riesame.

175    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

176    A tal proposito, occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenza del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 24; v., altresì, in tal senso, sentenza del 15 luglio 1994, Matra Hachette/Commissione, T‑17/93, EU:T:1994:89, punto 173). Orbene, è sufficiente rilevare, al pari della Commissione, che, non avendo la ricorrente dimostrato, né tantomeno affermato, che la Commissione avrebbe adottato la decisione impugnata per fini diversi da quelli dichiarati, tale motivo deve essere respinto.

177    Laddove la ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore di diritto per essersi basata, al punto 16 della decisione impugnata, sui registri delle vendite della Foshan Lihua per gli anni successivi al periodo dell’inchiesta iniziale, si deve rilevare che la ricorrente censura un motivo dedotto ad abundantiam introdotto dall’espressione «inoltre». Tale argomento è dunque inconferente.

178    Inoltre, sebbene lo abbia sostenuto insistentemente, la ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che i dati successivi al periodo dell’inchiesta iniziale e quelli sulle imprese attive nei settori del cartone, tessile e di investimento non presentassero alcun collegamento con l’inchiesta in questione (v. giurisprudenza richiamata supra al punto 103).

179    Orbene, come sostiene, in sostanza, la Commissione, i dati indicati al paragrafo 178 supra possono essere utilizzati per verificare, in particolare, le informazioni sulle attività del gruppo durante il periodo dell’inchiesta iniziale, incluse le imprese attive nei settori del prodotto in esame. Pertanto, la Commissione non si è manifestamente spinta oltre quanto era necessario nell’istruzione della pratica.

180    Ne consegue che il quinto motivo dev’essere respinto.

 Sul sesto motivo, vertente su un manifesto errore di diritto

181    Con il sesto motivo, la ricorrente censura i punti da 16 a 22 della decisione impugnata. Tali punti sono già stati richiamati supra ai punti 91 e 132.

182    Per quanto riguarda il punto 16 della decisione impugnata, secondo cui «la Commissione non ha potuto stabilire se la Foshan Lihua aveva esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta [iniziale]», la ricorrente sostiene, in primo luogo, che nessuno è in grado di dimostrare con certezza che essa abbia effettuato esportazioni verso l’Unione durante il periodo dell’inchiesta [iniziale], poiché non vi sarebbe stata alcuna esportazione. L’operatore che intenda ottenere il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore dovrebbe limitarsi a fornire elementi che dimostrino, prima facie, di non aver esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo de quo e di non aver avuto alcun legame con altri esportatori del prodotto medesimo soggetti ai dazi antidumping in vigore, come sarebbe avvenuto nel caso del produttore-esportatore coreano nel procedimento che ha condotto all’adozione del regolamento di esecuzione 2015/2179. In secondo luogo, in qualità di autorità obiettiva, la Commissione non potrebbe essere obbligata, ai sensi del regolamento di base, a cercare di dimostrare l’esistenza di tali esportazioni.

183    Per quanto riguarda il punto 22 della decisione impugnata, la ricorrente sostiene che l’espressione «non si può escludere» non ha alcun fondamento normativo nel regolamento di base o nel regolamento definitivo. Si tratterebbe di una conclusione arbitraria, fondata su un’ipotesi. In primo luogo, la Commissione non dedurrebbe alcun indizio di esportazioni del prodotto in esame nell’Unione, sia direttamente, sia tramite società collegate o nell’ambito di accordi di fabbricazione conclusi con altre società indipendenti. In secondo luogo, considerato che l’onere della prova incombente alla ricorrente l’obbligherebbe a fornire elementi di prova che dimostrino, prima facie, di non aver esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale e di non aver avuto alcun legame con altri esportatori del prodotto medesimo soggetti ai dazi antidumping in vigore, sarebbe del tutto logico che l’esistenza di esportazioni o di collegamenti non possa mai essere del tutto esclusa.

184    Conseguentemente, le due conclusioni in questione sarebbero viziate da manifesti errori di valutazione.

185    Nella replica, la ricorrente sostiene peraltro che gli argomenti richiamati ai punti 182 e 183 supra dimostrano altresì una chiara violazione del potere discrezionale della Commissione.

186    La Commissione e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

187    A tal riguardo, il sesto motivo attiene a questioni relative all’onere della prova e al grado della prova che deve fornire la parte cui incombe tale onere. Esse sono state ampiamente discusse ed esaminate nell’ambito del secondo motivo.

188    In primo luogo, va ricordato (v. punto 83 supra) che, sebbene la ricorrente affermi a più riprese che avrebbe dovuto esserle riconosciuto lo status di nuovo produttore-esportatore, avendo essa fornito elementi di prova atti a dimostrare, prima facie, di soddisfare le condizioni necessarie, nessuna disposizione dell’articolo 3 del regolamento definitivo, e ancor meno dell’articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base suggerisce che questo sia il grado di prova richiesto dal legislatore. In entrambi i casi, il legislatore ha semplicemente previsto che è l’impresa interessata al riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore a dover dimostrare che siano soddisfatte le condizioni necessarie.

189    Come affermato ai punti da 82 a 90 supra, da un lato, nulla di diverso si deduce dal regolamento di esecuzione 2015/2179 e, dall’altro, la ricorrente non ha subìto alcuna discriminazione rispetto al menzionato produttore-esportatore coreano.

190    In secondo luogo, sebbene la ricorrente ritenga che le sia stata richiesta una prova impossibile, si deve osservare che è vero che la dimostrazione di un fatto inesistente può non essere possibile. Tuttavia, l’onere della prova incombente a colui che chieda il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, tanto ex articolo 3 del regolamento definitivo quanto ex articolo 11, paragrafo 4, del regolamento di base, non è, di per sé, affatto impossibile da soddisfare. La messa a disposizione d’informazioni e prove complete, coerenti e verificabili, in particolare sul complesso delle sue vendite e sulla struttura del relativo gruppo, come richiesto nel questionario di riesame e nelle eventuali richieste di chiarimenti, consente alla Commissione di escludere, se ciò effettivamente non è avvenuto, che il prodotto in esame sia stato esportato nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, o di concludere che la ricorrente non sia collegata ad alcun produttore-esportatore soggetto ai dazi antidumping in questione.

191    In terzo luogo, nella parte in cui la ricorrente censura le espressioni «la Commissione non ha potuto stabilire se la Foshan Lihua avesse esportato il prodotto in esame nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta [iniziale]» e «non si può escludere che, nel corso di tale periodo, la Foshan Lihua abbia esportato il prodotto de quo nell’Unione sia direttamente, sia tramite società collegate o nell’ambito di accordi di fabbricazione con altre società indipendenti», esse derivano direttamente dall’attribuzione dell’onere della prova richiesto al fine di accertare se le tre condizioni per il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore all’operatore economico interessato siano soddisfatte e, dall’altro, dal grado della prova richiesto in tale contesto (v. punto 188 supra). Infatti, contrariamente a quanto pretende la ricorrente, non spetta alla Commissione né dimostrare l’esistenza di esportazioni del prodotto in esame nell’Unione da parte della ricorrente o collegamenti con società soggette ai dazi antidumping in questione, né fornire indizi in tal senso. Per respingere una domanda di riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, è sufficiente, in sostanza, che gli elementi di prova forniti dall’operatore in questione non siano sufficienti ad avvalorare le sue affermazioni, come è avvenuto nel caso di specie. Come sostiene giustamente la Commissione, nel contesto del suo ruolo nelle inchieste sul riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, spetta alla Commissione stessa verificare, con tutti i mezzi a sua disposizione, l’esattezza delle affermazioni e degli elementi di prova forniti da tale operatore (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2012, GLS, C‑338/10, EU:C:2012:158, punto 32). Avendo agito in tal modo nell’ambito dell’inchiesta che ha condotto all’adozione della decisione impugnata, la Commissione non ha in alcun modo ecceduto i propri poteri, non ha commesso un manifesto errore di valutazione e non si è discostata dalla propria posizione di autorità obiettiva.

192    In quarto luogo, per quanto riguarda l’affermazione, contenuta nella replica, secondo cui gli argomenti esposti ai punti 182 e 183 supra dimostrerebbero, altresì, una chiara violazione del potere discrezionale della Commissione, è sufficiente rilevare che tale affermazione non aggiunge nulla agli argomenti già dedotti nel contesto del presente motivo, e rigettati ai precedenti punti da 188 a 191.

193    Ne consegue che il sesto motivo dev’essere respinto.

 Sul settimo motivo, vertente sulla violazione del diritto di essere sentiti e su una motivazione basata non su fatti, ma su ipotesi

194    Con il settimo motivo, la ricorrente censura i punti da 17 a 22 della decisione impugnata. I punti da 17 a 19 di tale decisione sono già stati richiamati supra al punto 170 e il successivo punto 22 supra al punto 132. Per quanto riguarda i punti 20 e 21 della decisione impugnata, essi così recitano:

«(20)      Infine, [la ricorrente] ha segnalato su diversi siti web che l’Unione è un mercato di riferimento per la società e le sue piastrelle di ceramica sono definite “certificate CE dal 2004” e “popolari in Europa”. Pertanto, [la ricorrente] ha potuto esportare piastrelle di ceramica nell’Unione europea almeno dal 2004. Risulta dunque poco probabile che dopo aver ottenuto il certificato CE necessario per esportare il prodotto in esame nell’Unione, [la ricorrente] non lo abbia fatto fino al 2012, vale a dire otto anni dopo aver ottenuto il certificato.

(21)      [La ricorrente] ha sostenuto che l’esistenza di un certificato CE non costituiva la prova che vi erano state esportazioni durante il periodo dell’inchiesta [iniziale] e che tale certificato CE era stato utilizzato per vendite a clienti dell’Africa nonché della Corea, della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina, i quali vedono nel marchio CE una garanzia di qualità. Tuttavia, ciò non modifica il ragionamento della Commissione esposto al punto 20 supra. Anche se è vero che il certificato CE può essere un utile strumento di commercializzazione in alcuni paesi, sembra poco probabile che ciò abbia di per sé giustificato l’oneroso procedimento per ottenere il certificato CE, se non vi fosse stata l’intenzione di iniziare a esportare nell’Unione. Infatti, tale procedimento comporta, tra l’altro, un adeguamento del processo di produzione, nuovi metodi di test, eventuali modifiche alla progettazione ai fini dell’applicazione del marchio nonché la certificazione da parte di un organismo terzo. Peraltro, il certificato CE è obbligatorio per le vendite all’esportazione nell’Unione, in quanto le piastrelle di ceramica sono prodotti da costruzione che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione e che abroga la direttiva 89/106/CEE del Consiglio (GU 2011, L 88, pag. 5). Tale argomento è stato, quindi, respinto».

195    Richiamandosi, in particolare, all’ordinanza del 18 giugno 1986, British American Tobacco e Reynolds Industries/Commissione (142/84, non pubblicata, EU:C:1986:250, punto 13), alle sentenze del 17 novembre 1987, British American Tobacco e Reynolds Industries/Commissione (142/84 e 156/84, EU:C:1987:490), e del 1o ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio (C‑141/08 P, EU:C:2009:598, paragrafo 83), e alle conclusioni dell’avvocato generale Slynn nella causa Hasselblad/Commissione (86/82, EU:C:1983:204), la ricorrente sostiene, in limine, che il diritto di essere sentiti è un diritto fondamentale che garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista nell’ambito del procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui propri interessi. La Commissione dovrebbe tener conto degli elementi risultanti dalla risposta dell’impresa interessata diretti vuoi a desistere da censure infondate, vuoi a rettificare ed integrare, sia in fatto che in diritto, gli argomenti a sostegno delle censure sulle quali essa intende insistere. La Commissione avrebbe, pertanto, dovuto riesaminare le conclusioni sviluppate nel corso dell’inchiesta de qua, soprattutto, nel documento di informazione generale, alla luce dei chiarimenti e degli argomenti dedotti dalla ricorrente. Anche se, a parere della ricorrente, la Commissione non era tenuta, nella propria decisione finale, a replicare a tutti gli argomenti dedotti dalla ricorrente stessa, essa doveva essere ricettiva, aperta a tali argomenti e disposta a lasciarsi convincere e inserire, nella propria decisione finale, almeno i suoi principali argomenti. Infatti, la Commissione è tenuta ad esaminare tutti gli elementi di fatto e di diritto che la ricorrente sottopone alla sua attenzione.

196    Orbene, la Commissione non avrebbe rispettato, nella specie, il diritto ad essere sentiti e il diritto ad una buona amministrazione, che sia leale ed efficace. Infatti, pur avendo autorizzato e invitato la ricorrente a difendersi per iscritto e oralmente, la Commissione avrebbe, in realtà, ignorato completamente tutti i fatti esposti e gli argomenti dedotti. Pertanto, la ricorrente non sarebbe stata sentita in modo efficace.

197    Quanto al punto 17 della decisione impugnata, la ricorrente sostiene che la Commissione non ha tenuto conto delle sue ampie controdeduzioni esposte al punto 3 della parte II della sua risposta del 20 dicembre 2015 al documento di informazione generale. Infatti, la formulazione di questo punto riprende testualmente il considerando 14 del documento di informazione generale. La Commissione non avrebbe indicato a quali «altri siti Internet commerciali» fa riferimento al punto 17 della decisione impugnata, il che ha impedito alla ricorrente di difendersi.

198    La ricorrente fa valere di aver spiegato che i dati sulla produzione forniti alla Commissione erano fondati sui propri conti sottoposti a revisione, che figuravano nel fascicolo della Commissione. Per contro, le informazioni provenienti da siti Internet, il cui obiettivo sarebbe di impressionare i futuri clienti, perseguirebbero uno scopo completamente diverso dai conti sottoposti a revisione e non dovrebbero essere tanto precisi come i rendiconti finanziari sottoposti a revisione. Solo i dati sottoposti a revisione sono, quindi, determinanti.

199    Quanto ai punti 18 e 19 della decisione impugnata, le differenze di cui trattasi si spiegherebbero agevolmente e la Commissione ne sarebbe stata informata ai punti 3 e 4 della risposta della ricorrente stessa al documento di informazione generale. Esse sarebbero dovute al fatto che la Foshan Lihua e la Foshan Henry Trading sono due diverse società del medesimo gruppo e alle differenze nelle date di contabilizzazione. Secondo il diritto cinese, un produttore quale la ricorrente avrebbe dovuto necessariamente emettere fatture recanti l’imposta sul valore aggiunto (IVA) alla Foshan Henry Trading quando le merci sono state caricate e hanno lasciato la Cina, il che potrebbe verificarsi diverse settimane dopo che le merci abbiano fisicamente lasciato la Cina. Per contro, un esportatore quale la Foshan Henry Trading dovrebbe dichiarare le merci alle autorità doganali cinesi al momento esatto della loro esportazione, ossia quando le merci hanno fisicamente lasciato la Cina, con la conseguenza che risulterebbero spesso notevoli differenze tra le date di contabilizzazione della ricorrente e della Foshan Henry Trading, in particolare alla fine dell’anno, quando vengono esportate quantità di merci talvolta molto ingenti. La Foshan Henry Trading caricherebbe ed esporterebbe spesso merci durante gli ultimi due mesi dell’anno, ma le fatture recanti l’IVA verrebbero emesse dalla Foshan Lihua l’anno seguente. Pertanto, la Foshan Henry Trading stoccherebbe ed esporterebbe talune merci solo l’anno successivo. È per tale ragione che le esportazioni della Foshan Henry Trading rappresenterebbero a volte il 90% della capacità di produzione. Orbene, tale situazione si sarebbe ripetuta negli anni senza interruzione fino al 2013 incluso.

200    La Commissione avrebbe omesso di spiegare come sia giunta alla conclusione, formulata al punto 19 della decisione impugnata, secondo cui i ritardi nella preparazione degli inventari non potevano spiegare una tendenza continua su un periodo di tre anni. Sembrerebbe che, in Cina, ritardi del genere siano alquanto frequenti a causa delle pratiche contabili e di iscrizione nei pubblici registri.

201    La Commissione avrebbe ignorato tali argomenti, in quanto i punti 18 e 19 della decisione riproducono testualmente i punti 15 e 16 del documento di informazione generale.

202    Quanto ai punti da 20 a 22 della decisione impugnata, la Commissione, pur avendo riconosciuto che il certificato «CE» rappresenti uno strumento di sicurezza e un marchio di qualità utilizzato in mercati diversi da quello dell’Unione, affermerebbe, tuttavia, che sarebbe sembrato poco probabile che ciò giustificasse, di per sé, l’oneroso procedimento per ottenere la certificazione «CE» se non vi era l’intenzione di iniziare ad esportare nell’Unione.

203    Al punto 22 della decisione impugnata la Commissione ha concluso, a tal proposito, che, poiché le informazioni fornite dalla ricorrente erano incomplete e in contraddizione con altre informazioni a sua disposizione, non si poteva escludere che, durante il periodo dell’inchiesta iniziale, la Foshan Henry Trading avesse esportato il prodotto de quo nell’Unione sia direttamente, sia tramite società collegate o accordi di fabbricazione con altre società indipendenti. L’inchiesta di cui trattasi non avrebbe, quindi, potuto accertare che la ricorrente non avesse esportato il prodotto in esame nell’Unione nel corso del periodo dell’inchiesta iniziale. Riproducendo testualmente i punti da 17 a 19 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe ignorato le controdeduzioni della ricorrente di cui ai punti 5 e 6 della sua risposta a tale documento e all’allegato A 5 del ricorso. La ricorrente avrebbe dimostrato a qual punto il certificato «CE» fosse importante, anche per i clienti coreani. Il rispetto delle norme di sicurezza dell’Unione costituirebbe un importante strumento di promozione per vendere al di fuori dell’Unione, circostanza che la Commissione avrebbe ignorato, mantenendo ferma la propria posizione secondo cui gli elevati costi del certificato rilasciato nel 2004 dimostrerebbero l’intento della ricorrente di iniziare ad esportare nell’Unione.

204    Se è pur vero che la ricorrente aveva sempre voluto esportare nell’Unione, essa non sarebbe, sfortunatamente, riuscita a farlo prima del 2013 e la Commissione non disporrebbe di alcuna prova circa la realizzazione di tale intento. Inoltre, essa avrebbe sostenuto i costi necessari ai fini dell’ottenimento del certificato «CE» non solo per poter esportare nell’Unione, ma anche in altri mercati, nei quali tale certificato poteva costituire un vantaggio commerciale.

205    Al punto 22 della decisione impugnata la Commissione qualifica le informazioni fornite dalla ricorrente come incomplete e contraddittorie, pur non essendo in grado di specificare quali informazioni siano incomplete o contraddittorie, né perché lo siano.

206    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

207    A tal proposito, e come già rilevato nell’ambito del quarto motivo, da consolidata giurisprudenza risulta che il diritto di essere sentiti costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa e che esso garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui propri interessi (v. punto 147 supra).

208    La regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva dev’essere posto in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la decisione stessa sia adottata ha, in particolare, lo scopo di consentire a costui di correggere un errore o presentare gli elementi relativi alla propria situazione personale che depongano nel senso che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro (v. punto 148 supra).

209    Tuttavia, il fatto che i punti da 17 a 20 e 22 della decisione impugnata siano di tenore identico ai punti da 14 a 18 del documento di informazione generale non significa ancora, come sostiene la Commissione, che l’Istituzione abbia omesso di tenere conto dei chiarimenti forniti dalla ricorrente violando, quindi, il diritto di quest’ultima ad essere sentiti nel corso del procedimento amministrativo. Al pari delle parti principali, occorre ricordare le conclusioni dell’avvocato generale Slynn nella causa Hasselblad/Commissione (86/82, EU:C:1983:204), secondo cui tale circostanza indica piuttosto che gli argomenti e gli elementi di prova dedotti dalla ricorrente non erano stati in grado di convincere la Commissione, la quale li ha, pertanto, respinti. Dalla lettera della ricorrente del 15 gennaio 2016, inviata alla Commissione al fine di riassumere il contenuto dell’audizione del 13 gennaio 2016, si evince peraltro che la ricorrente ha preso atto che gli argomenti e i documenti forniti alla Commissione, compresi quelli presentati successivamente alla diffusione del documento di informazione generale, non erano tali da convincere la Commissione che le due condizioni controverse, necessarie per il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento definitivo, fossero soddisfatte. Di conseguenza, la ricorrente non può sostenere che la Commissione avrebbe semplicemente ignorato le informazioni ricevute.

210    Tale conclusione è coerente con la giurisprudenza secondo la quale la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’argomentazione dell’istituzione da cui emana l’atto considerato, onde consentire agli interessati di prendere conoscenza delle ragioni del provvedimento adottato per tutelare i propri diritti e al giudice di esercitare il proprio controllo. Tuttavia, non si può richiedere che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto l’accertamento se la motivazione soddisfi le condizioni di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia considerata. Peraltro, la motivazione dell’atto impugnato dev’essere valutata tenendo conto, in particolare, delle informazioni comunicate alla ricorrente e delle osservazioni da essa presentate nell’ambito del procedimento amministrativo. In particolare, non è necessario che la motivazione delle decisioni antidumping specifichi i vari elementi di fatto e di diritto, talora molto numerosi e complessi, che ne costituiscono l’oggetto, in quanto tali decisioni rientrano nell’impianto sistematico di tutte le misure di cui fanno parte. A tal riguardo, è sufficiente che l’iter logico seguito dalle istituzioni in tali decisioni risulti chiaramente e inequivocabilmente (v., in tal senso, sentenza del 22 maggio 2014, Guangdong Kito Ceramics e a./Consiglio, T‑633/11, non pubblicata, EU:T:2014:271, punto 120 e giurisprudenza ivi citata).

211    Inoltre, il punto 21 della decisione impugnata risponde specificamente alle osservazioni presentate dalla ricorrente a seguito della comunicazione del documento di informazione generale.

212    Ne deriva che gli argomenti della ricorrente, volti a dimostrare la violazione del suo diritto di essere sentiti alla luce della mera identicità delle motivazioni accolte nella decisione impugnata e nel documento di informazione generale, devono essere respinti.

213    Occorre ora esaminare le specifiche censure formulate dalla ricorrente con riguardo a singoli punti della decisione impugnata.

214    In primo luogo, quanto alla censura nei confronti del punto 17 della decisione impugnata (v. punti 197 e 198 supra), l’argomento della ricorrente secondo cui essa non avrebbe potuto pronunciarsi sulle fonti d’informazione richiamate dalla Commissione, è contraddetto dalla seconda richiesta di chiarimenti di cui all’allegato B 18 al controricorso. La Commissione indica chiaramente che le sue fonti di informazione sono i siti Internet della ricorrente stessa e quello della Global Manufacturer Certification (in prosieguo: la «GMC»), una società di fama internazionale che ha effettuato un audit della ricorrente nel 2009 nell’ambito di una procedura di certificazione. Tale argomento dev’essere quindi respinto.

215    Anche se la ricorrente sostiene di aver presentato, nella propria risposta al documento di informazione generale, spiegazioni in merito, si deve rilevare che le due lettere di cui all’allegato A 6 del ricorso non contengono alcuna informazione idonea a spiegare le differenze esistenti in termini di capacità di produzione tra la risposta data al questionario e i dati che emergono tanto dal suo sito Internet quanto da quello della GMC. L’argomento dev’essere quindi respinto.

216    Quanto all’argomento secondo cui le risposte della ricorrente al questionario si baserebbero sulle proprie relazioni sottoposte a revisione e presentate alla Commissione, è evidente che la ricorrente non individua con precisione dove si trovino le necessarie informazioni negli atti depositati dinanzi al Tribunale. Essa, inoltre, non contesta l’argomento della Commissione secondo cui tali audit non contengono le informazioni in questione.

217    Non è neppure credibile tentare di giustificare discordanze così significative, come quelle individuate dalla Commissione, sostenendo che le informazioni fornite sul proprio sito Internet, o sul sito Internet della GMC, non sarebbero precise in quanto non sarebbero scaturite da analisi rigorose. Tale argomento non può, quindi, essere accolto.

218    In ogni caso, si deve sottolineare che, dinanzi al Tribunale, la ricorrente si è limitata a formulare affermazioni generiche. La ricorrente non ha prodotto alcuna analisi volta a dimostrare l’erroneità delle cifre accolte dalla Commissione o il carattere manifestamente erroneo delle conclusioni cui l’Istituzione è giunta.

219    In secondo luogo, sebbene il punto 18 della decisione impugnata sia menzionato tra i punti contestati, la ricorrente ha ammesso all’udienza di non aver formulato alcuna specifica censura nei confronti del punto medesimo. Si deve, pertanto, rilevare che la ricorrente non ha dimostrato che gli elementi di motivazione ivi accolti fossero viziati dall’illegittimità asserita nell’ambito del presente motivo.

220    In terzo luogo, quanto al punto 19 della decisione impugnata, è sufficiente rilevare che la ricorrente non dimostra l’esistenza della norma di diritto cinese in materia di IVA invocata [v., in tal senso, sentenza del 12 ottobre 2017, Moravia Consulting/EUIPO – Citizen Systems Europe (SDC‑444S), T‑318/16, non pubblicata, EU:T:2017:719, punto 72]. La ricorrente non ha nemmeno dimostrato che la maggior parte delle proprie esportazioni avessero effettivamente avuto luogo alla fine dell’anno. Dall’allegato B 12 del controricorso emerge inoltre che, tra il 2009 e il 2015, le vendite della Foshan Henry Trading durante gli ultimi due mesi di ciascuno di tali anni non superavano affatto le vendite realizzate nel corso degli altri mesi. Peraltro, la Commissione sostiene giustamente che le differenze nelle date di registrazione non possono spiegare uno slittamento del volume delle vendite se non su un solo anno. Orbene, la ricorrente ha dichiarato che tale situazione si sarebbe ripetuta ininterrottamente per anni, fino al 2013 incluso. Se lo stesso slittamento si verifica quindi nel corso di diversi anni, non vi è più alcuna differenza, considerato che il volume non contabilizzato in un dato anno dev’essere contabilizzato nell’anno seguente e il volume complessivo nel corso dei diversi anni rimarrà identico o del tutto analogo. Gli argomenti dedotti contro il punto 19 della decisione impugnata devono essere, quindi, respinti.

221    In quarto luogo, quanto agli argomenti relativi agli effetti derivanti dal possesso da parte della ricorrente del certificato «CE» sulla valutazione della condizione secondo cui colui che richieda il riconoscimento dello status di nuovo produttore-esportatore deve dimostrare di non aver esportato il prodotto de quo nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale, le conclusioni della Commissione devono essere valutate nel contesto del procedimento stesso. La Commissione riconosce che tale certificato possa costituire uno strumento di commercializzazione in alcuni paesi terzi. Tuttavia, i costi e gli sforzi che devono essere sostenuti per ottenerlo sono tali che sarebbe privo di senso volerlo ottenere in assenza di un chiaro intento di esportare altresì il prodotto stesso nell’Unione. Orbene, la ricorrente ha espressamente ammesso nel ricorso di aver sempre voluto esportare il prodotto in esame nell’Unione. Vero è che tale circostanza non dimostra che la ricorrente abbia effettivamente effettuato esportazioni nell’Unione durante il periodo dell’inchiesta iniziale. Tuttavia, l’intento di esportare nell’Unione a partire dal 2002, unitamente all’ottenimento di tale certificato, rappresenta un elemento che, alla luce della contraddittorietà di talune informazioni fornite dalla ricorrente e della sua omissione nel fornire le informazioni necessarie, è tale da avvalorare la conclusione, formulata al punto 22 della decisione impugnata, secondo cui essa non ha dimostrato l’assenza di esportazioni nell’Unione durante il periodo in questione.

222    Poiché tale conclusione emerge già sufficientemente dai punti da 16 a 19 della decisione impugnata, le considerazioni esposte ai punti 20 e 21 della stessa devono essere considerate svolte ad abundantiam. Ciò è tanto più vero che la ricorrente, nella propria lettera del 15 gennaio 2016, che sintetizza il contenuto dell’audizione del 13 gennaio 2016, ha sostanzialmente dichiarato di aver preso atto del fatto che il motivo della Commissione relativo al certificato «CE» costituisse un motivo aggiuntivo.

223    Pertanto, l’eventuale fondatezza degli argomenti della ricorrente diretti avverso i punti 20 e 21 della decisione impugnata non può determinare l’annullamento delle conclusioni esposte al punto 22 della decisione impugnata, riguardanti la condizione in esame. Inoltre, si deve rilevare ancora una volta che tale punto è basato anche sul fatto, già menzionato al punto 18 del documento di informazione generale, che non si può escludere che la ricorrente avesse esportato il prodotto in esame nell’Unione nell’ambito di accordi di fabbricazione conclusi con altre società indipendenti. Orbene, è stato dimostrato che l’argomento della ricorrente secondo cui tutte o quasi tutte le sue esportazioni prima dell’anno 2013 avevano avuto luogo tramite la società commerciale Foshan Guangchengda Import & Export è contraddetto tanto dal documento presentato negli allegati B 19 e B 29 del controricorso, dai quali si evince che la ricorrente aveva venduto notevoli quantità di prodotti anche ad altre imprese di esportazione, quanto dalle dichiarazioni della stessa ricorrente, secondo cui essa aveva venduto nel 2009 i propri prodotti a un operatore commerciale indipendente in Malesia. Orbene, la ricorrente non ha fornito alcun elemento atto a dimostrare che i suoi prodotti non fossero stati successivamente esportati dalle società in questione nell’Unione. Essa ha ammesso, al contrario, di averne perso le tracce dopo la loro vendita ai commercianti.

224    Pertanto, il settimo motivo dev’essere respinto.

 Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 9.5 dell’accordo antidumping

225    La ricorrente fa valere che, avendole chiesto la prova del volume rappresentativo o di qualsiasi altro volume di esportazioni nell’Unione successivamente al periodo dell’inchiesta iniziale, la Commissione le ha imposto una condizione illegittima, in quanto non prevista all’articolo 9.5 dell’accordo antidumping.

226    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

227    A tal riguardo, il punto 10 della decisione impugnata dichiara che la ricorrente era un produttore-esportatore del prodotto in esame e che essa aveva effettivamente effettuato esportazioni nell’Unione successivamente al periodo dell’inchiesta iniziale. Pertanto, dall’eventuale accertamento della non conformità della terza condizione prevista dall’articolo 3 del regolamento definitivo alla luce dell’articolo 9.5 dell’accordo antidumping, non deriverebbe un miglioramento della situazione giuridica della ricorrente. Tale motivo è dunque inconferente.

228    L’ottavo motivo dev’essere, quindi, respinto, con conseguente reiezione del ricorso in toto.

 Sulle spese

229    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

230    Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione.

231    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ordinare che una parte interveniente diversa da quelle indicate ai paragrafi 1 e 2 di tale articolo sopporti le proprie spese. Nella specie, occorre disporre che l’interveniente sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Foshan Lihua Ceramic Co. Ltd sopporterà le proprie spese nonché le spese sostenute dalla Commissione europea.

3)      La CerameUnie AISBL sopporterà le proprie spese.

Kanninen

Schwarcz

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 marzo 2019.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.