Language of document : ECLI:EU:C:2017:937

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 5 dicembre 2017(1)

Causa C‑451/16

MB

contro

Secretary of State for Work and Pensions

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema, Regno Unito)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale – Direttiva 79/7/CEE – Negato riconoscimento di una pensione statale di fine lavoro al raggiungimento dei 60 anni di età ad un transgender sottopostosi ad un intervento chirurgico di cambiamento di sesso da uomo a donna – Condizioni per il riconoscimento del cambiamento di sesso – Condizione relativa all’obbligo di annullare un matrimonio precedente»






I.      Introduzione

1.        MB è una transgender passata dal sesso maschile a quello femminile. Coniugata con una donna dal 1974, vive come persona di sesso femminile dal 1991 e si è sottoposta ad intervento chirurgico di cambiamento di sesso nel 1995. Nel 2008 ha compiuto 60 anni, età pensionabile delle donne stabilita all’epoca per legge nel Regno Unito. MB ha presentato domanda per ricevere una pensione statale di fine lavoro. La domanda è stata respinta perché l’interessata non aveva espletato la procedura prevista dalla legge per il riconoscimento del cambiamento di sesso; pertanto, secondo il diritto nazionale, era ancora un uomo.

2.        MB ha deciso di non chiedere il riconoscimento dell’identità sessuale secondo la procedura di diritto nazionale vigente all’epoca dei fatti per una semplice ragione: una delle condizioni per tale riconoscimento legale imponeva che l’interessata fosse «non coniugata», poiché all’epoca il Regno Unito non permetteva matrimoni tra persone dello stesso sesso. Per MB, tale condizione implicava ottenere un annullamento del matrimonio, al quale lei stessa e sua moglie si erano opposte.

3.        La questione sottoposta dalla Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito in tale contesto di fatto è semplice: si chiede se la condizione che una persona non debba essere coniugata sia contraria al divieto di discriminazione fondata sul sesso in materia di sicurezza sociale, come previsto dalla direttiva 79/7/CEE (2).

4.        I fatti e la rivendicazione nel caso di specie sono simili a quelli discussi nella causa Richards (3). Tuttavia, tale causa riguardava l’impossibilità per la ricorrente di ottenere il riconoscimento giuridico del mutamento di sesso. Dopo l’entrata in vigore del Gender Recognition Act 2004 (legge del 2004 sul riconoscimento dell’identità sessuale) la situazione è cambiata. Tuttavia, anche se ora è possibile ottenere tale riconoscimento, l’adozione della legge del 2004 ha fatto sorgere altresì una serie di questioni aggiuntive. La direttiva 79/7 si applica alle condizioni stabilite dalla legge nazionale per il riconoscimento del cambiamento di sesso? A partire da quale momento una persona transgender gode della tutela conferitale dalla direttiva 79/7? Il divieto di discriminazione fondata sul sesso tra persone transgender e cisgender si applica solamente qualora il cambiamento di sesso sia stato legalmente riconosciuto ai sensi del diritto nazionale?

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        A termini dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7:

«Il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:

–        il campo di applicazione dei regimi e condizioni di ammissioni ad essi,

–        l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,

–        il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni».

6.        L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 79/7 è del seguente tenore:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:

a)      la fissazione dei limiti di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni;

(…)».

B.      Normativa del Regno Unito

1.      Età di pensionamento

7.        Il Regno Unito si è avvalso della possibilità di deroga di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 79/7.

8.        Come si indica nell’ordinanza di rinvio, l’effetto combinato i) dell’articolo 44 del Social Security Contributions and Benefits Act 1992 (legge del 1992 relativa ai contributi e alle prestazioni di sicurezza sociale), con la definizione di «età pensionabile» all’articolo 122 della medesima legge, e ii) l’allegato 4, paragrafo 1, del Pensions Act 1995 (legge del 1995 in materia di pensioni) comporta che le donne nate prima del 6 aprile 1950 maturino il diritto alla pensione statale di fine lavoro al compimento del 60o anno di età, mentre gli uomini nati prima del 6 dicembre 1953 maturino tale diritto al compimento del 65o anno di età.

2.      Il Gender Recognition Act

9.        Il Gender Recognition Act (in prosieguo: il «GRA») è stato approvato nel 2004 ed è entrato in vigore il 4 aprile 2005.

10.      L’articolo 1 del GRA, nella versione applicabile ai fatti di causa, dispone che una persona che abbia compiuto almeno 18 anni possa chiedere ad un Gender Recognition Panel (comitato per il riconoscimento dell’identità sessuale) un certificato completo di riconoscimento dell’identità sessuale che registri il mutamento del suo sesso di nascita «sulla base del fatto che (…) vive secondo un’altra identità sessuale».

11.      I criteri per determinare se sia avvenuto un mutamento dell’identità sessuale sono stabiliti negli articoli 2 e 3 del GRA. L’articolo 2 prevede che il comitato per il riconoscimento dell’identità sessuale debba rilasciare il certificato qualora abbia accertato che il richiedente è o è stato affetto da disforia sessuale, che alla data della richiesta ha vissuto secondo l’identità sessuale acquisita per un periodo di almeno due anni, che intende vivere secondo detta identità fino alla sua morte e che soddisfa i requisiti probatori previsti all’articolo 3. Tali requisiti consistono in una relazione redatta da due medici o da un medico ed uno psicologo.

12.      Ai sensi dell’articolo 9 del GRA, quando è rilasciato un certificato completo di riconoscimento dell’identità sessuale, il sesso acquisito diviene ad ogni effetto il sesso di detta persona. L’allegato 5, paragrafo 7, del GRA disciplina gli effetti determinati da un certificato completo di riconoscimento dell’identità sessuale sull’accesso alla pensione statale di fine lavoro: una volta che il certificato sia stato rilasciato, qualsiasi questione relativa all’accesso alla pensione statale di fine lavoro deve essere decisa come se l’identità sessuale della persona fosse sempre stata l’identità acquisita.

13.      Il GRA prevedeva una disposizione speciale per i richiedenti coniugati poiché, alla data della sua adozione, un matrimonio valido poteva sussistere ex lege solo tra un uomo e una donna (4). Conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, del GRA, un richiedente non coniugato che soddisfi i criteri per il riconoscimento dell’identità sessuale previsti agli articoli 2 e 3 ha diritto ad un certificato completo di detto riconoscimento. Al contrario, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, un richiedente coniugato che soddisfi i medesimi criteri ha esclusivamente diritto ad un certificato provvisorio di riconoscimento dell’identità sessuale. Tale certificato consente al richiedente coniugato di chiedere l’annullamento del matrimonio dinanzi ad un giudice, conformemente all’articolo 12, lettera g), del Matrimonial Causes Act 1973 (legge del 1973 sul matrimonio) (come modificato dal GRA). I richiedenti hanno diritto al rilascio di un certificato completo di riconoscimento dell’identità sessuale soltanto dopo aver ottenuto la dichiarazione di annullamento (in Inghilterra e nel Galles).

3.      Unioni civili e matrimoni tra persone dello stesso sesso

14.      Il Civil Partnership Act (legge relativa alle unioni civili) è stato approvato nel 2004 ed è entrato in vigore il 5 dicembre 2005. Tale legge disponeva il riconoscimento legale delle unioni civili fra persone dello stesso sesso a seguito di registrazione.

15.      Il Marriage (Same Sex Couples) Act 2013 (legge del 2013 sul matrimonio tra coppie dello stesso sesso) è entrato in vigore il 10 dicembre 2014. Esso permette alle coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio. L’allegato 5 di tale legge ha modificato l’articolo 4 del GRA in modo che il comitato per il riconoscimento dell’identità sessuale debba rilasciare un certificato completo per tale riconoscimento ad un richiedente coniugato, qualora il coniuge di quest’ultimo vi acconsenta.

III. Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

16.      MB è nata nel 1948. Alla nascita è stata registrata come persona di sesso maschile e nel 1974 ha contratto matrimonio. Nel 1991 ha iniziato a vivere come una donna e nel 1995 si è sottoposta ad un intervento chirurgico di mutamento di sesso.

17.      Sebbene il GRA sia entrato in vigore nel 2005, MB non ha richiesto un certificato per il riconoscimento dell’identità sessuale, poiché lei e sua moglie continuano a vivere insieme e vogliono rimanere coniugate. Anche se il loro matrimonio può essere sostituito da un’unione civile, esse non vogliono annullarlo per motivi religiosi.

18.      Nel 2008 MB ha compiuto 60 anni, età pensionabile per le donne nate prima del 6 aprile 1950. Essa ha presentato domanda per ricevere una pensione statale di fine lavoro. Tale domanda è stata respinta poiché la richiedente, non essendo in possesso di un certificato completo di riconoscimento dell’identità sessuale, non poteva essere trattata come una donna al fine di determinare l’età alla quale avrebbe avuto accesso alla pensione.

19.      MB (in prosieguo: la «ricorrente») ha impugnato tale decisione dinanzi ai giudici nazionali. La stessa ha sostenuto che la condizione di non essere coniugata costituisce una discriminazione contraria alla direttiva 79/7, in quanto le impedisce di accedere alla pensione di fine lavoro all’età pensionabile cui ha diritto come donna.

20.      In tali circostanze, la Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito, ha chiesto alla Corte «[s]e la direttiva 79/7/CEE del Consiglio osti ad una normativa nazionale ai sensi della quale una persona che ha mutato sesso, oltre a dover soddisfare criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del cambiamento di sesso, non deve essere coniugata per poter avere diritto ad una pensione statale di fine lavoro».

21.      Hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente, il governo del Regno Unito e la Commissione europea. Le parti interessate hanno altresì presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi in data 26 settembre 2017.

IV.    Valutazione

A.      Un’osservazione preliminare: quale questione?

22.      «Due in una» è un’espressione reperibile più facilmente in un messaggio pubblicitario che non nella parte introduttiva di pareri in materia giudiziaria. Tuttavia, essa è piuttosto pertinente nel contesto del presente rinvio pregiudiziale. Al di là dell’apparente semplicità della questione sottoposta dalla Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito si cela una seconda e più profonda questione. Pertanto, il caso in esame può essere considerato sotto due profili alquanto diversi.

23.      In primo luogo, in base ad un approccio restrittivo incentrato sull’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, si pone la questione se la direttiva 79/7 osti ad un requisito del diritto nazionale secondo il quale, oltre alla soddisfazione dei criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del mutamento dell’identità sessuale, una persona che abbia cambiato sesso deve altresì non essere coniugata, al fine di poter accedere ad una pensione statale.

24.      Esiste poi l’approccio, più articolato, che pone una questione di fondo e che appare diverso ma pur sempre connesso all’approccio più restrittivo. Tale questione solleva il problema della compatibilità con i diritti fondamentali al rispetto della privacy, della vita privata e del diritto di sposarsi, nel caso in cui uno Stato membro i) rifiuti di ammettere i matrimoni tra persone dello stesso sesso e di conseguenza ii) neghi il riconoscimento del mutamento di sesso, qualora comporti una situazione in cui due persone dello stesso sesso si ritrovano legate da un matrimonio (omosessuale) valido.

25.      La vera difficoltà della presente causa non deriva, a mio avviso, dalla ricerca di una risposta da fornire all’una o all’altra questione, quanto piuttosto dalla scelta della questione stessa. Una volta effettuata tale scelta, un’ulteriore difficoltà può derivare dal tentativo di conciliare le risposte ad ognuna delle suddette questioni.

26.      Tale questione emerge chiaramente dalle osservazioni presentate alla Corte. In un certo senso, ognuna delle parti ha sostenuto una posizione diversa. La ricorrente e la Commissione si sono focalizzate su un’interpretazione restrittiva della questione. Esse hanno concluso che la condizione di non essere coniugati costituisce una discriminazione vietata dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7. All’udienza, la ricorrente è stata altresì invitata ad esprimersi sulle più ampie implicazioni della causa. Tuttavia, la risposta ha ribadito che l’approccio restrittivo, come esposto nella questione sottoposta dalla Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito, costituiva il caso concreto sottoposto alla Corte. Per contro, la posizione del governo del Regno Unito poggiava su argomenti che si inseriscono in una questione più ampia sui diritti fondamentali. A sostegno della sua posizione, detto governo ha spesso invocato e fatto leva anche sulla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») (5).

27.      La questione sollevata dalla Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito riflette chiaramente l’approccio restrittivo. Malgrado le implicazioni più ampie connesse alle problematiche sollevate dalla presente causa, cui anche il giudice a quo si riferisce opportunamente nell’ordinanza di rinvio, detto giudice ha scelto di impostare la questione pregiudiziale incentrandosi sulla compatibilità con la direttiva 79/7 della condizione secondo cui la persona non deve essere coniugata.

28.      È inoltre utile sottolineare che nell’ordinanza di rinvio, e nel testo della questione stessa, il giudice a quo ha anche svolto una serie di valutazioni di fatto. In primo luogo, detto giudice dichiara espressamente all’interno della sua questione che il requisito di cui trattasi è imposto ad una persona che ha mutato sesso. In secondo luogo, lo stesso giudice conferma anche che la condizione di non essere coniugati è imposta in aggiunta all’obbligo di soddisfare i criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del mutamento dell’identità sessuale.

29.      In tali circostanze di fatto e rispondendo alla questione pregiudiziale in senso stretto, sottoposta alla Corte dal giudice del rinvio, posso solo concludere che la condizione di non essere coniugati, applicabile di fatto unicamente alle persone transgender affinché possano accedere ad una pensione statale, è contraria all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 (B). Tuttavia, devo anche rispondere agli argomenti addotti dal governo del Regno Unito in relazione ad una più ampia comprensione della questione, benché ciò non possa alterare la risposta alla questione in senso stretto (C). Porrò in evidenza i motivi per cui la presente causa ha, di fatto, anche un impatto alquanto limitato ed è più circoscritta di quanto suggeriscano gli argomenti di più ampia portata relativi ai diritti fondamentali (D).

B.      La questione in senso stretto

30.      È pacifico che la prestazione oggetto della presente causa, una pensione statale di fine lavoro, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 79/7. Tale direttiva vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in relazione alle condizioni di accesso ai regimi di sicurezza sociale che assicurano una protezione, inter alia, contro il rischio di vecchiaia (6).

31.      Nella presente causa, esiste una discriminazione vietata? Secondo la giurisprudenza usuale della Corte (7), affinché sussista una discriminazione diretta, deve esistere un trattamento meno favorevole di un gruppo di persone tutelato comparabile a un altro gruppo di persone. Tale disparità di trattamento può configurarsi sulla base di uno dei motivi che giustificano la tutela, in assenza di una possibile giustificazione oggettiva al riguardo.

32.      Ai fini della presentazione, in questa sezione esaminerò in primis se esista un motivo che giustifica la tutela (1). Successivamente rivolgerò l’attenzione alla comparabilità delle persone transgender (8) e cisgender (9) (2), nonché all’esistenza di una disparità di trattamento (3). Concluderò questa sezione illustrando l’impossibilità di giustificare una discriminazione diretta nel contesto legislativo della direttiva 79/7 (4).

1.      I motivi che formano oggetto di tutela

33.      È ormai giurisprudenza costante che il divieto di discriminazioni fondate sul sesso stabilito dal diritto dell’UE comprende le discriminazioni basate sul cambiamento di sesso (10). Inoltre, il legislatore dell’Unione ha espressamente riconosciuto tale importante evoluzione, confermando che la portata del principio della parità di trattamento tra uomini e donne «si applica anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso» (11).

34.      Il primo caso risale al 1996. Con la sentenza P./S., la Corte ha respinto l’interpretazione di discriminazione fondata sul sessoquale nozione binaria basata sull’opposizione tra due categorie che si escludono vicendevolmente (12). Tale conclusione è stata ispirata dallo scopo e dalla natura dei diritti tutelati attraverso le direttive riguardanti le discriminazioni fondate sul sesso nonché dal fatto che il diritto di non subire discriminazioni basate sul sesso costituisce un diritto fondamentale della persona umana (13). L’inclusione del mutamento di sesso nella nozione di discriminazione fondata sul sesso era inoltre legata al dovere di rispettare la dignità e la libertà delle persone transessuali (14).

35.      La Corte ha quindi confermato che la sfera d’applicazione del divieto di discriminazione fondata sul sesso non può essere ridotta «soltanto alle discriminazioni dovute all’appartenenza all’uno o all’altro sesso» (15). La discriminazione che trae origine dal mutamento di sesso è basata «essenzialmente, se non esclusivamente, sul sesso dell’interessato» (16). La Corte è stata coerente nella giurisprudenza successiva, riconoscendo la specificità della discriminazione basata sul mutamento di sesso come manifestazione della discriminazione fondata sul sesso (17).

2.      Gruppi comparabili

36.      Il fatto che il cambiamento di sesso sia stato esplicitamente incluso tra i motivi di discriminazione (o interessi che formano oggetto di tutela) non ha reso più facile la correlata questione della comparabilità, producendo piuttosto l’effetto contrario. Il mutamento di sesso è un processo che implica un notevole grado di dinamismo e che costituisce una sfida per la comparazione più tradizionale e statica tra l’uomo e la donna. Tale processo in effetti trasforma il termine della comparazione in un bersaglio mobile o rende addirittura impossibile identificare un gruppo comparabile chiaramente definito (18).

37.      La Corte ha già affrontato tale difficoltà concettuale. Riconoscendo che il mutamento di sesso rientra nella sfera di applicazione della discriminazione fondata sul sesso, ha confermato che la situazione particolare delle persone transgender non esclude queste ultime dalla tutela rendendole non comparabili (19). Il fatto di riconoscere il mutamento di sesso, una sottocategoria della discriminazione fondata sul sesso, come uno dei motivi oggetto di divieto conduce necessariamente ad una flessibilità del quadro di comparazione (20).

38.      La giurisprudenza della Corte ha rispecchiato la complessità di questa materia adeguando il quadro di riferimento in funzione della discriminazione controversa e del contesto giuridico. La natura dinamica del cambiamento implica che la tutela conferita dal diritto dell’Unione non è intrinsecamente legata alla «destinazione finale», ossia al pieno riconoscimento legale ai sensi del diritto nazionale degli effetti giuridici del cambiamento stesso (21).

39.      Di conseguenza, la scelta dei termini della comparazione può variare a seconda del contesto specifico e della natura dei diritti rivendicati. La situazione di una persona transgender è comparabile a quella di una persona cisgender del genere cui apparteneva in precedenza, come ad esempio nel caso di un licenziamento discriminatorio (22). Tuttavia, la stessa persona sarebbe comparabile anche con un soggetto cisgender del «nuovo» genere, ad esempio all’atto di accedere alle prestazioni alle condizioni che corrisponderebbero al sesso acquisito (23).

40.      In altri termini, a seconda del contesto della causa e tenuto conto del dinamismo inerente al cambiamento di sesso, la comparazione può essere effettuata con riguardo tanto al «punto di partenza» quanto al «punto di arrivo».

41.      La presente causa rientra nell’ultima categoria. La ricorrente fa valere il diritto di accedere ad una pensione di fine lavoro a partire dall’età applicabile alle donne. Analogamente alla causa Richards, che parimenti riguardava la direttiva 79/7 e l’accesso alle prestazioni di fine lavoro (24), nella presente causa i soggetti della comparazione (termini della comparazione) sono persone transgender uomo-donna, da un lato, e le donne cisgender, dall’altro. Lo scopo della comparazione (il tertium comparationis) è l’accesso alla pensione di fine lavoro, come un tipo di regime di sicurezza sociale.

42.      Tuttavia, il governo del Regno Unito ha contestato la comparabilità delle donne transgender con le donne cisgender. Detto governo sostiene che le prime non sono in una situazione comparabile e ciò in quanto le donne cisgender non possono sposarsi con una donna ma le donne transgender possono ritrovarsi sposate con una persona dello stesso sesso dopo il riconoscimento del cambiamento di sesso. Pertanto, tali due categorie e le condizioni relative a ciascuna di esse sono del tutto incomparabili.

43.      Non condivido questa tesi. Con tale argomento, il Regno Unito tenta di evidenziare una delle caratteristiche secondarie, non essenziali, dei termini della comparazione, la questione dello stato civile, e di renderla l’elemento decisivo che determina la comparabilità. Detto in altri termini, il Regno Unito effettivamente intende ridefinire lo scopo della comparazione riconducendo la questione dell’accesso alle prestazioni pensionistiche al problema dello stato civile. Tuttavia, lo stato civile di per sé non è rilevante ai fini dell’accesso a una pensione statale di fine lavoro, nemmeno per gli uomini o le donne cisgender.

44.      È illuminante il fatto che, nell’intendere la comparazione in tal modo, il governo del Regno Unito faccia leva principalmente su una recente decisione della Corte EDU (25). Tale decisione riguardava, tuttavia, in maniera esatta e specifica, la questione dello stato civile quale condizione per il riconoscimento del cambiamento di sesso, e non già l’accesso ai regimi di sicurezza sociale. Pertanto, i termini della comparazione e lo scopo di quest’ultima erano comprensibilmente intesi in modo diverso. Per contro, nella presente causa, ai fini dell’accesso ad una pensione statale di fine lavoro, gli elementi che determinano l’importanza delle differenze e delle somiglianze con riguardo alla prestazione di cui trattasi sono principalmente l’età e l’importo dei contributi versati al sistema previdenziale (26).

45.      Su quest’ultimo punto, il governo del Regno Unito ha sostenuto all’udienza che, unitamente all’età e ai contributi, il sesso della persona interessata costituisce un altro elemento rilevante ai fini dell’accesso alla sicurezza sociale. Nel contesto specifico della causa in esame, tale argomento si scontra con un altro problema: una disparità di trattamento basata sul sesso nell’ambito delle pensioni di vecchiaia e di anzianità è ammessa solo in via eccezionale dalla direttiva 79/7 in forza della deroga esplicitamente prevista al suo articolo 7, paragrafo 1, lettera a). Tuttavia, come la Corte ha già precisato nella sentenza Richards, tale deroga non contempla una disparità di trattamento fondata sul mutamento di sesso (27). Oltre alle eccezioni contemplate dalla direttiva di cui trattasi, una conclusione nel senso della «non comparabilità» non può pertanto fondarsi sul motivo che forma oggetto di tutela (in questo caso, il mutamento di sesso).

46.      Per concludere, sono dell’avviso che ai fini dello scopo e dell’accesso ai regimi di sicurezza sociale, le donne cisgender e transgender siano comparabili nel contesto della presente causa.

47.      Su questo punto, vorrei aggiungere un paio di osservazioni più generali e conclusive. In primo luogo, nel valutare la possibilità di comparare due o più elementi (persone, gruppi di persone) al momento di considerare il divieto di discriminazione (diretta), è probabile che il livello di astrazione inerente a tale esercizio mentale sia più elevato che non nella legislazione nazionale. Complessivamente, in relazione allo scopo della comparazione, sorge la questione se i soggetti della stessa mostrino di avere più punti in comune che non differenze. Se fosse altrimenti, e la questione della comparabilità fosse già intellettualmente predeterminata dalle categorie fissate dalla normativa nazionale, allora nella maggior parte dei casi, come accade nella fattispecie (28), la normativa nazionale definirebbe direttamente l’insieme delle comparazioni possibili attraverso il suo ambito di applicazione. Un siffatto ragionamento è destinato a diventare circolare, escludendo di fatto qualsiasi possibilità di riesame (29).

48.      In secondo luogo, la necessità di un tale livello di astrazione è ulteriormente sottolineata dal fatto che il «transgenderismo» è uno status unico. Proprio tale natura unica ha reso necessario adottare in primo luogo una normativa specifica, prevedendo il riconoscimento e le relative condizioni. Tuttavia, sarebbe piuttosto curioso se si dovesse considerare che tale fatto comporta la completa esclusione di tutti gli elementi contemplati dalla normativa stessa da qualsiasi valutazione relativa alla (non) discriminazione, o se venisse utilizzato per la creazione di elementi di comparazione piuttosto singolari o bizzarri. Ancora una volta, a causa di tale status riconosciuto, unico e transitorio, è necessario un livello di astrazione ragionevolmente più elevato nella valutazione della comparabilità.

3.      Disparità di trattamento

49.      Il governo del Regno Unito nega che vi sia stata una disparità di trattamento. Le donne cisgender e transgender possono similmente beneficiare di una pensione statale di fine lavoro al compimento del sessantesimo anno di età. Tuttavia, nessuna donna appartenente alle suddette categorie può essere coniugata con un’altra donna.

50.      Questo argomento non risulta convincente.

51.      In primis, detto argomento rappresenta in una certa misura una ripetizione o un prolungamento della questione della comparabilità. Esso confonde la disparità di trattamento nell’accesso ad una pensione statale di fine lavoro con la questione del diritto a contrarre matrimonio. In secondo luogo, ignora la differenza tra il divieto di matrimoni tra persone dello stesso sesso con l’obbligo di annullare un precedente matrimonio validamente contratto, che costituisce il vero contenuto della condizione di cui si discute nella presente causa. In terzo luogo, alla seconda questione si collega il fatto che ognuno di tali divieti è semplicemente applicabile in vari momenti, nei confronti di persone diverse e con scopi differenti.

52.      Ai sensi della normativa nazionale in questione, il pieno riconoscimento legale del cambiamento di sesso è subordinato allo stato civile. Tale condizionamento produce una conseguenza specifica e concreta, che riveste una certa importanza nella presente causa: soltanto per le persone transender l’accesso ad una pensione statale di fine lavoro è legato alla circostanza di essere «single» o di porre termine al matrimonio. Al contrario, per le donne cisgender, l’accesso alle pensioni di fine lavoro non si collega in alcun modo al loro status coniugale, ma riguarda unicamente i contributi versati e l’ammissibilità basata sull’età. Ovviamente, le donne cisessuali non devono porre fine al matrimonio per poter accedere alla pensione di fine lavoro. Come ho già illustrato (30), lo stato civile non costituisce pertanto il criterio in base al quale viene valutata la disparità di trattamento, bensì la condizione che conduce a una differenza di trattamento in merito all’accesso alle pensioni di fine lavoro.

53.      Pertanto, considerando la questione del trattamento sotto il profilo dell’accesso alla pensione statale di fine lavoro, la disparità di trattamento in questo caso può essere spiegata in termini piuttosto semplici: lo stato coniugale non rileva per le persone cisgender ai fini dell’accesso a una pensione statale di fine lavoro. D’altro canto, le persone transgender precedentemente sposate sono soggette all’obbligo di annullare il loro matrimonio.

4.      Giustificazione

54.      La condizione di non essere coniugati crea una disparità di trattamento direttamente fondata sul sesso. Tale condizione è applicabile unicamente alle persone che si sono sottoposte ad un intervento per il mutamento del sesso. Come ha dichiarato la Corte nella sentenza P./S., una disparità di trattamento che ha origine nel mutamento del sesso si basa «essenzialmente, se non esclusivamente, sul sesso dell’interessato» (31).

55.      La discriminazione diretta fondata sul sesso è ammessa solo ed esclusivamente nei casi specifici elencati all’articolo 7 della direttiva 79/7 (32). In particolare, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), autorizza gli Stati membri a mantenere diversi limiti di età tra uomini e donne per la concessione della pensione di fine lavoro. Tuttavia, nella fattispecie, la disparità di trattamento non è sussumibile in tale eccezione o negli altri possibili motivi di deroga dal principio della parità di trattamento ammessi dalla direttiva (33). In particolare, la Corte ha già negato il ricorso alla deroga contenuta nell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), per giustificare una disparità di trattamento tra persone transessuali e altre persone la cui identità sessuale non sia il risultato di un mutamento di sesso (34).

56.      In tali circostanze, la disparità di trattamento oggetto della presente causa costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso, che non può essere giustificata per motivi oggettivi (tale giustificazione è riservata ai casi di discriminazione indiretta) (35).

5.      Conclusione intermedia

57.      Alla luce di quanto precede, risulta che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 deve essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una condizione che, in aggiunta alla soddisfazione dei criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del mutamento dell’identità sessuale, impone ad una persona che ha cambiato sesso di non essere coniugata al fine di avere accesso a una pensione statale di fine lavoro.

C.      Il paesaggio più ampio

58.      La precedente valutazione, per quanto chiara possa essere, non rende completamente giustizia alla complessità degli argomenti giuridici sottesi alla presente causa.

59.      In effetti, si può sostenere che il vero fulcro della causa in esame non è costituito dall’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, quanto piuttosto dalle condizioni per il riconoscimento del cambiamento di sesso stabilite dal diritto nazionale. La condizione di essere «non coniugati» non è un requisito di accesso alla pensione statale di fine lavoro, bensì una delle condizioni richieste per il rilascio del certificato di cambiamento di sesso. Tale certificato costituisce nondimeno una decisione relativa allo stato civile, un passaggio intermedio e indipendente per poter presentare, in un momento successivo, una domanda di pensione di fine lavoro. In altri termini, omettendo tale passaggio intermedio viene creata una falsa causalità: la condizione che una persona non debba essere coniugata con una persona dello stesso sesso è richiesta non ai fini della pensione di fine lavoro, ma del rilascio di un certificato di cambiamento di sesso.

60.      Siffatta linea argomentativa, avanzata dal governo del Regno Unito, poggia su diversi elementi. In primo luogo, la fissazione di condizioni per il riconoscimento del cambiamento di sesso rientra nella competenza degli Stati membri (1). In secondo luogo, la condizione di essere non coniugati è intesa ad evitare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Si tratta di un obiettivo di ordine pubblico che gli Stati membri possono legittimamente perseguire, dato che godono di una competenza esclusiva in relazione allo stato civile (2). In terzo luogo, il fatto di precludere la condizione di essere non coniugati unicamente ai fini della direttiva 79/7 pregiudicherebbe la chiarezza e la coerenza delle norme nazionali riguardanti lo stato civile e il cambiamento di sesso (3). In quarto luogo, la condizione di cui trattasi è conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Convenzione»), come interpretata dalla Corte EDU (4).

61.      Tali argomenti meritano di essere approfonditi. Essi colgono la particolare complessità e sensibilità delle questioni sollevate dalla presente causa. Tuttavia, per quanto possano essere rilevanti in via generale, per le ragioni che espongo più dettagliatamente di seguito, detti argomenti suscitano notevoli difficoltà nello specifico contesto della causa di cui trattasi, e precisamente, dal punto di vista della valutazione della questione circoscritta alla compatibilità della condizione in questione con la direttiva 79/7.

1.      Primo argomento: il potere discrezionale degli Stati membri di fissare le condizioni per il riconoscimento del cambiamento di sesso

62.      Le parti interessate che hanno presentato osservazioni hanno generalmente riconosciuto che gli Stati membri sono tenuti a predisporre procedure ai sensi del diritto nazionale per permettere il pieno riconoscimento legale del cambiamento di sesso. Tale requisito deriva non soltanto dagli obblighi degli Stati membri quali parti della Convenzione (36), ma anche, e più in particolare, dalle disposizioni del diritto dell’Unione e della direttiva 79/7 (37).

63.      Pertanto, la fissazione di talune condizioni è inerente all’istituzione di tale procedura. La complessità del caso in questione deriva dal fatto che esso riguarda una delle condizioni specifiche imposte da una procedura già posta in essere da uno Stato membro. A quanto mi consta, esso esorta la Corte, per la prima volta, ad esaminare il divieto di discriminazione fondata sul sesso con riferimento ad un prerequisito per il riconoscimento del cambiamento di sesso. I precedenti casi riguardanti persone transgender vertevano tutti su situazioni in cui le procedure nazionali di riconoscimento non esistevano o non erano applicabili alle circostanze del caso (38).

64.      La sentenza Richards costituisce il precedente rilevante al riguardo. In tale causa, la Corte ha accertato che vi era stata una discriminazione fondata sul sesso (cambiamento di sesso) in relazione all’accesso ad una pensione di fine lavoro. Ciò si era verificato in quanto la sig. ra Richards (una transessuale passata da uomo a donna in seguito ad un intervento chirurgico) non poteva ottenere il riconoscimento legale dell’avvenuto cambiamento di sesso nel Regno Unito. Perciò, la causa Richards riguardava l’impossibilità per una persona transessuale di ottenere il riconoscimento legale del sesso acquisito. A seguito delle sentenze Richards e Goodwin, il Regno Unito ha posto in essere una procedura per il riconoscimento del cambiamento di sesso.

65.      Come sostiene il governo del Regno Unito, nella sentenza Richards la Corte ha espressamente dichiarato che «spetta agli Stati membri determinare le condizioni del riconoscimento giuridico del mutamento di sesso di una persona» (39).

66.      Tenendo presenti tali considerazioni, si potrebbe sostenere che, contrariamente alla situazione di impossibilità che si verificava nella causa Richards, qualora una procedura per il riconoscimento del cambiamento di sesso esista, gli Stati membri possono discrezionalmente stabilire le relative condizioni. Il potere discrezionale di stabilire le condizioni del riconoscimento giuridico di tale cambiamento avrebbe come corollario che, una volta che la procedura è in essere, le persone che si sottopongono al cambiamento di sesso risulterebbero tutelate dal divieto di discriminazione fondata sul sesso unicamente dopo che il sesso acquisito sia stato giuridicamente riconosciuto conformemente alla procedura nazionale.

67.      Seguendo tale logica argomentativa, nel presente caso si giungerebbe alla conclusione che la condizione di essere non coniugati non costituisce un requisito diretto per l’accesso alla pensione statale di fine lavoro, ma un requisito per il riconoscimento del cambiamento di sesso. La disparità di trattamento colpirebbe «indirettamente» l’accesso alla pensione e deriverebbe dal fatto che la ricorrente non ha soddisfatto i requisiti per il riconoscimento del cambiamento di sesso.

68.      Tuttavia, tale linea di ragionamento incorre almeno in tre ordini di problemi.

69.      In primo luogo, la Corte ha già respinto tale argomento relativo alla «lontananza» nella sentenza K.B. (40). Tale causa riguardava una persona transessuale che non poteva accedere ad una pensione di reversibilità in quanto (1) non era coniugata, (2) era impossibile per un transessuale sposare una persona del sesso al quale egli o ella apparteneva e (3) il cambiamento di sesso non era legalmente consentito. In tale occasione, la Corte doveva pertanto esaminare una situazione in cui la disparità di trattamento riguardava non il riconoscimento della pensione stessa, ma una condizione preliminare indispensabile alla concessione di questa, ossia la capacità di contrarre matrimonio (41). Tale circostanza non ha impedito alla Corte di esaminare la questione della compatibilità della normativa nazionale con l’articolo 157 TFUE (ex articolo 141 CE). La Corte ha quindi concluso che «una normativa nazionale che impedisce che un transessuale, a causa del mancato riconoscimento del suo sesso acquisito, possa soddisfare una condizione necessaria all’esercizio di un diritto tutelato dal diritto [dell’Unione] dev’essere considerata in linea di principio incompatibile con le prescrizioni del diritto [dell’Unione]» (42).

70.      In secondo luogo, su un piano più concettuale, tale approccio farebbe dipendere l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione relativo al divieto di discriminazione fondata sul sesso dalle diverse condizioni stabilite a livello nazionale. Il godimento dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione dipenderebbe dal margine discrezionale illimitato degli Stati membri. Dette condizioni potrebbero non limitarsi a regolare le questioni tecniche di natura medico/fisiologica o psico-sociale, ma includere anche svariati requisiti miranti a tutelare i principi o i valori morali. Una discrezionalità illimitata in proposito comporterebbe il rischio che la discriminazione basata sul cambiamento di sesso e vietata dalla direttiva sia fatta rientrare per vie traverse sotto forma di prerequisiti o condizioni connessi al riconoscimento dello status, a prescindere dal loro contenuto (43).

71.      Estendendo tale logica per assurdo, un requisito legale di indossare un abito rosa per almeno due giorni alla settimana affinché una persona sia (socialmente e culturalmente) riconosciuta come una donna sarebbe ammissibile come precondizione legalmente richiesta per il riconoscimento del cambiamento di sesso. Riconosco senza difficoltà che la condizione stabilita nella presente causa è di tutt’altra natura. Ma dove e come andrebbe tracciata la linea di demarcazione tra le condizioni «accettabili» (sottratte a qualsiasi verifica) e quelle «inaccettabili» (soggette a verifica)? Inoltre, le condizioni considerate di per sé e in astratto «accettabili» potrebbero comunque produrre, in determinati contesti di fatto o di diritto, risultati piuttosto inaccettabili.

72.      In terzo luogo, occorre tenere presente che una logica secondo cui le condizioni per il cambiamento di sesso sarebbero escluse da qualsiasi verifica non rispetterebbe inoltre il dinamismo del riconoscimento dell’identità sessuale come processo, come ho già esposto nei precedenti paragrafi da 36 a 38 delle presenti conclusioni. In altri termini, a causa delle dinamiche inerenti alla transessualità, la tutela è richiesta non soltanto dopo che una persona abbia ottenuto il pieno riconoscimento dell’identità sessuale, ma anche (e talvolta proprio in particolare) durante il percorso per giungere a tale riconoscimento.

73.      Sottolineo che la determinazione di condizioni per il riconoscimento giuridico del cambiamento di sesso rimane un compito degli Stati membri (44). Ciò non significa tuttavia che, al momento di adottare tali procedure e di definire le condizioni, gli Stati membri agiscano completamente al di fuori dell’ambito del diritto dell’Unione sfuggendo dunque ad ogni tipo di controllo. Dopo tutto, gli Stati membri devono esercitare le loro competenze in modo conforme al diritto dell’Unione e, in particolare, alle disposizioni relative al principio di non discriminazione (45).

74.      Ciò mi porta all’ultimo argomento, connesso a quello precedentemente discusso, ossia: lo stadio o il momento in cui una persona transgender matura il diritto alla parità di trattamento e può beneficiare del divieto di discriminazione in forza del diritto dell’Unione (46). Ancora una volta, non esiste una regola generale o fissa. Ogni singolo caso deve essere esaminato alla luce della situazione specifica in cui si inserisce e della questione sollevata.

75.      Per quanto riguarda la situazione specifica di cui si discute, nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo ha esposto a chiare lettere che essa riguarda una persona che ha già de facto cambiato sesso. Inoltre, il giudice nazionale ha sostenuto che la ricorrente ha soddisfatto tutti i criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del mutamento dell’identità sessuale.

76.      Osservando la questione specifica sollevata nella presente causa, occorre sottolineare che l’elemento in discussione non è costituito dal requisito di non essere coniugati quale condizione generale per il riconoscimento dello status, quanto dall’effetto dello stesso sull’accesso ad una pensione statale di fine lavoro contemplata dalla direttiva 79/7. Qualora, come ho sostenuto nei precedenti paragrafi da 69 a 73 delle presenti conclusioni, venga riconosciuta l’esigenza di sottoporre a riesame le condizioni per il cambiamento di sesso onde verificarne la conformità al diritto dell’Unione, la possibilità di invocare la tutela garantita dalla direttiva è necessariamente estesa agli individui i quali sostengono che sono esattamente dette condizioni a ostacolare il loro accesso ai diritti conferitigli dal diritto dell’Unione.

77.      Di conseguenza, nel contesto della causa in esame, né il potere degli Stati membri di definire le condizioni per il cambiamento di sesso, né il fatto che tali condizioni non riguardino direttamente l’accesso ad una pensione di previdenza sociale conducono a conclusioni diverse da quelle cui sono pervenuto nella parte B delle presenti conclusioni.

2.      Secondo argomento: lo stato civile come materia rientrante nel diritto nazionale

78.      Il governo del Regno Unito ha sostenuto che l’accertamento dell’incompatibilità con la direttiva 79/7 della condizione di essere non coniugati costringerebbe gli Stati membri a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso anche nel caso in cui tali matrimoni non fossero (nel periodo rilevante) ammessi dal diritto nazionale.

79.      Non condivido questa tesi. In un’ottica pratica, se la condizione in esame dovesse essere dichiarata incompatibile con la direttiva 79/7, l’unico obbligo che ne deriverebbe sarebbe quello di svincolare l’accesso alla particolare prestazione di cui si discute da tale condizione specifica. Ciò indubbiamente non significa che siffatta condizione non possa più far parte del diritto nazionale. Ovviamente può essere mantenuta, ma non potrebbe essere applicata quale presupposto per l’accesso alle prestazioni contemplate dalla direttiva e non collegate allo stato civile, come una pensione di fine lavoro.

80.      La causa in questione riguarda una prestazione (una pensione statale di fine lavoro) che non è subordinata in alcun modo allo stato coniugale o a vincoli giuridici tra i partner. Come ho già spiegato in precedenza (47), il diritto a una pensione statale di fine lavoro è generalmente fondato, nell’ambito dei regimi applicabili sia agli uomini che alle donne, sui contributi e sull’età dei richiedenti.

81.      Tale risultato non contraddice affatto l’asserzione che le questioni relative allo stato civile rientrano nella sfera di competenza degli Stati membri. Nella sentenza Parris la Corte ha dichiarato che «lo stato civile e le prestazioni che ne derivano costituiscono materie rientranti nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell’Unione non pregiudica tale competenza» (48). Gli Stati membri rimangono liberi di consentire o meno i matrimoni tra persone del medesimo sesso o, se lo desiderano, di prevedere una forma alternativa di riconoscimento legale delle relazioni tra persone dello stesso sesso (49). Tuttavia, si deve ricordare ancora una volta che, nell’esercizio delle loro competenze relative allo stato civile, gli Stati membri devono comunque rispettare il diritto dell’Unione (50).

82.      Di conseguenza, nei limiti in cui a tale argomento non si sia già replicato nell’ambito della risposta data all’argomento precedente, con cui si sovrappone parzialmente, sono dell’avviso che la risposta che la Corte deve fornire, come sostenuto dalla ricorrente e dalla Commissione, non pregiudica le questioni relative allo stato civile delle persone interessate.

3.      Terzo argomento: chiarezza e coerenza

83.      Il governo del Regno Unito ha sostenuto che, se gli argomenti della ricorrente venissero accolti, lo Stato membro interessato sarebbe obbligato a riconoscere legalmente il sesso acquisito della ricorrente, anche se quest’ultima rimanesse coniugata, per tutti i fini previsti dalla direttiva 79/7. Il potere degli Stati membri di imporre e applicare tali condizioni diventerebbe allora effettivamente condizionato dall’area in cui viene esercitato: sarebbe limitato negli ambiti coperti dal diritto dell’Unione, e in particolare, dalla direttiva 79/7, ma rimarrebbe lo stesso in altri settori, come quelli che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Ciò pregiudicherebbe chiaramente la capacità degli Stati membri di garantire la chiarezza e la coerenza della normativa nazionale e di avere un unico regime (universalmente applicabile) nella loro legislazione, riguardante il riconoscimento del cambiamento di sesso e lo stato civile.

84.      Condivido pienamente il desiderio di uno Stato membro di adempiere le proprie funzioni regolamentari nella maniera più chiara e coerente possibile. Tuttavia, nel caso particolare pendente dinanzi alla Corte, non riesco a ravvisare come una conclusione nel senso che la direttiva 79/7 osta alla condizione contestata nella presente causa possa ostacolare tali sforzi.

85.      Sembra che la situazione giuridica delle persone transgender nel Regno Unito sia caratterizzata da un approccio particolarmente flessibile per quanto riguarda l’espressione dell’identità di genere nei diversi ambiti del diritto e dell’amministrazione.

86.      Come sostenuto dalla ricorrente e non contestato dal governo del Regno Unito, la ricorrente è stata riconosciuta come donna nel passaporto e nella patente di guida, emessi dalle autorità del Regno Unito dopo il 1991. Nondimeno, all’udienza tale governo ha sostenuto che il rilascio di tali documenti avviene secondo una «prassi amministrativa» puramente interna e senza alcuna rilevanza giuridica. Pur non volendo sembrare un amante del formalismo relativo ai documenti identificativi personali, devo ammettere che trovo difficile capire come documenti ufficiali rilasciati da uno Stato membro non abbiano rilevanza giuridica.

87.      Inoltre, come afferma la ricorrente, la stessa si è legalmente sottoposta ad un intervento chirurgico di cambiamento di sesso in Inghilterra, nell’ambito del servizio sanitario nazionale (51).

88.      Sembra inoltre che il GRA disciplini separatamente, in allegati diversi, il regime giuridico e le conseguenze specifiche del cambiamento di sesso, a seconda della materia (52). Per di più, dalle spiegazioni fornite alla Corte si deduce che la procedura per il riconoscimento dell’identità sessuale, ove applicata a persone sposate, sia divisa in due fasi. La prima fase, in cui vengono valutati tutti i requisiti medici, psicologici e fisici, si conclude con il rilascio di un certificato di riconoscimento provvisorio. Ciò equivarrebbe già ad un pieno riconoscimento per le persone non coniugate. La seconda fase conduce all’annullamento del matrimonio (in Inghilterra e nel Galles). Perciò, gli elementi tecnici e scientifici riguardanti il riconoscimento del cambiamento di sesso sono valutati indipendentemente dalla condizione supplementare relativa allo stato coniugale. Tale suddivisione della procedura in due fasi amministrative chiaramente distinte mostra la possibilità di pervenire a fasi amministrative di valutazione separate in relazione a diverse condizioni, senza nuocere alla chiarezza o alla coerenza.

89.      Tutte queste osservazioni rilevano la difficoltà di sostenere che esisterebbe un unico regime universale dal quale dipenderebbero tutti gli altri effetti nel diritto nazionale. Piuttosto, sembra che esistano in realtà diversi regimi giuridici paralleli e in qualche modo indipendenti. Ancora una volta, spetta esclusivamente allo Stato membro decidere come desidera disciplinare le questioni relative allo stato civile sul piano interno. Se, tuttavia, la flessibilità in funzione dell’ambito (di norma alquanto lodevole e comprensibile) costituisce la regola, allora è difficile sostenere nel contempo l’importanza fondamentale e l’imperativo di un unico regime e della sua complessiva coerenza.

90.      Infine, volendo aggiungere una nota conclusiva e piuttosto sussidiaria, manca l’elemento temporale. La condizione controversa nella presente causa non è una regola ferrea, ma è stata modificata più volte. Ciò è dimostrato dal fatto che la ricorrente, pur essendo coniugata, avrebbe avuto diritto alla pensione di fine lavoro al compimento del sessantesimo anno di età prima dell’entrata in vigore del GRA, nel 2005 (per effetto dell’applicazione della sentenza Richards). Ma la situazione sarebbe stata in questi termini anche dopo l’entrata in vigore del Marriage Act, nel 2013. Di conseguenza, è solo un gruppo (basato sull’età) di persone transgender che, in un certo senso, ricade nel vuoto formatosi tra due diversi regimi di regolamentazione. Nemmeno tale aspetto corrobora l’affermazione relativa all’importanza della coerenza complessiva del sistema, questa volta con riguardo alla sua dimensione temporale.

91.      In sintesi, le preoccupazioni relative alla chiarezza e alla coerenza formulate dal governo del Regno Unito, pur essendo valide sul piano dei principi, non convincono nel contesto della presente fattispecie.

4.      Quarto argomento: la condizione non è contraria ai diritti fondamentali

92.      Nelle sue osservazioni, il governo del Regno Unito si è ampiamente basato su considerazioni relative ai diritti umani nonché sulla giurisprudenza della Corte EDU per sostenere che la tesi secondo cui la condizione che una persona non debba essere coniugata non è contraria al diritto dell’Unione. In particolare, detto governo ha invocato le sentenze della Corte EDU nelle cause Parry c. Regno Unito, R e F. c. Regno Unito (53), e Hämäläinen c. Finlandia (54). In tali cause la condizione attinente al matrimonio è stata dichiarata compatibile con gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 12 (diritto al matrimonio) della Convenzione.

93.      Nelle cause Parry c. Regno Unito e F. c. Regno Unito la Corte EDU ha esaminato specificamente la condizione secondo cui una persona non deve essere coniugata, come prevista dal GRA. I ricorsi sono stati dichiarati manifestamente infondati. Nell’interpretare l’articolo 8 della Convenzione nel contesto di tali cause, la Corte EDU ha attribuito grande importanza al fatto che i ricorrenti potevano mantenere la loro relazione sotto forma di un’unione civile con pressoché gli stessi diritti ed obblighi giuridici. Di conseguenza, era stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. Gli effetti della condizione che una persona non debba essere coniugata stabilita dal GRA non sono stati considerati sproporzionati. Relativamente all’asserita violazione dell’articolo 12 della Convenzione, la Corte EDU ha rammentato che tale disposizione contempla la nozione tradizionale del matrimonio tra un uomo e una donna. Essa ha quindi concluso che la questione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso rientra nel potere discrezionale delle parti contraenti.

94.      La materia relativa a una condizione simile a quella in esame è stata sottoposta all’attenzione della Grande Sezione della Corte EDU nella causa Hämäläinen c. Finlandia. Tale causa riguardava una persona transgender che, in seguito a intervento chirurgico, era passata dal sesso maschile a quello femminile e che era coniugata con una donna. Ai sensi del diritto finlandese, la stessa era obbligata a convertire il suo matrimonio in un’unione civile al fine di ottenere il riconoscimento legale del suo cambiamento di sesso. La Corte EDU ha rilevato la mancanza di consenso a livello europeo nonché le relative e delicate questioni di ordine etico e morale. Essa ha conferito allo Stato un ampio margine discrezionale (55) e ha considerato attentamente le possibilità offerte al ricorrente di convertire il proprio matrimonio in un’unione civile. Nondimeno, detta Corte ha concluso asserendo che il sistema finlandese non era sproporzionato e che era stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi confliggenti in gioco. Essa è pervenuta alla medesima conclusione relativamente all’articolo 12 della Convenzione. Anche il ricorso della ricorrente basato sull’articolo 14 della Convenzione (non discriminazione), in combinato disposto con gli articoli 8 e 12 di quest’ultima, è stato respinto in quanto, ai fini di tali disposizioni, le situazioni delle persone cisessuali e transessuali non erano considerate abbastanza simili da consentire una comparazione.

95.      L’importanza della summenzionata giurisprudenza della Corte EDU in un’ottica generale è indiscutibile. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione, il significato e la portata degli stessi sono uguali.

96.      Tuttavia, come ho chiaramente sottolineato nella precedente sezione B, la questione esaminata nella presente causa non riguarda il diritto alla vita familiare (articolo 7 della Carta) o il diritto di sposarsi (articolo 9 della Carta), che corrispondono ai diritti sanciti negli articoli 8 e 12 della Convenzione.

97.      Di conseguenza, non è necessario discutere se il diritto dell’Unione offra un livello di tutela superiore rispetto a quello della Convenzione o se l’ampio margine discrezionale lasciato dalla Corte EDU a fronte del «difetto di consenso a livello europeo» nell’area europea allargata, con riguardo ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, sia interamente trasferibile nel contesto dell’Unione. La questione se la condizione che una persona non debba essere coniugata sia compatibile con tali diritti fondamentali non è, semplicemente, quella sollevata nella fattispecie.

98.      La presente causa riguarda il divieto di discriminazione fondata sul sesso nel settore della sicurezza sociale, come stabilito dalla direttiva 79/7. Il diritto di non subire discriminazioni in base al sesso è garantito come uno dei diritti fondamentali sia dalla Carta, sia dal più ampio sistema del diritto dell’Unione (56). Esso ha trovato espressione specifica in una serie di strumenti di diritto derivato e, in particolare, per quanto di rilievo nella fattispecie, nella direttiva 79/7. Questo è il quadro normativo di analisi della presente causa, così come svolta nelle sezioni precedenti.

99.      Gli argomenti addotti dal governo del Regno Unito si fondavano su diritti fondamentali diversi, vale a dire il diritto alla vita privata e familiare e il diritto al matrimonio. Il dibattito concernente la conformità con tali diritti fondamentali è certamente rilevante ai fini della potenziale valutazione della normativa nazionale in relazione al matrimonio e allo stato civile. Tuttavia, tale discussione è semplicemente irrilevante ai fini della precisa questione formulata nella presente causa, la quale riguarda l’accesso alle pensioni statali di fine lavoro ai sensi della direttiva 79/7.

100. In definitiva, il fatto che una disposizione sia compatibile con determinati diritti fondamentali (nella fattispecie, presumibilmente, il diritto alla vita familiare e al matrimonio) è poco rilevante al fine di valutare la conformità delle stesse disposizioni con gli strumenti di diritto derivato dell’Unione che disciplinano diritti e rivendicazioni specifici degli individui (in questo caso, il diritto di non subire discriminazioni fondate sul sesso in materia di sicurezza sociale).

D.      Considerazioni finali

101. Desidero aggiungere cinque considerazioni conclusive.

102. Sotto un primo profilo, dalla discussione svolta nelle precedenti parti delle presenti conclusioni è emerso chiaramente (spero) che la causa di cui trattasi non riguarda il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Come ho ricordato supra, secondo una giurisprudenza costante della Corte, gli Stati membri rimangono liberi di decidere se intendono riconoscere o meno i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Nel caso di specie il problema consiste, in breve, nel fatto che una serie di condizioni di vario genere, se applicate congiuntamente, finiscono per creare una struttura piuttosto peculiare (e, dal punto di vista del diritto dell’Unione, problematica).

103. Sotto un secondo profilo, la risposta fornita incide unicamente sulle prestazioni contemplate dalla direttiva 79/7 e si applica soltanto a quelle non collegate allo stato coniugale.

104. Sotto un terzo profilo, la causa de qua attiene a un’unica e singolare realtà, che difficilmente si inquadra nelle tradizionali divisioni binarie sulle quali si basa il divieto delle discriminazioni fondate sul sesso. Le circostanze del caso devono essere considerate in tale prospettiva, che riguarda un numero piuttosto limitato di individui i quali devono affrontare sfide importanti, trovandosi spesso in situazioni di vulnerabilità. La stessa ha a che fare con una complessa realtà umana cui i singoli sistemi giuridici hanno cercato faticosamente di adeguarsi nel corso del tempo e nella quale gli individui spesso vedono la loro situazione personale profondamente condizionata dai costanti cambiamenti a livello legislativo.

105. Sotto un quarto profilo, l’elemento trasversale tra la prima e la terza considerazione è costituito anche dalla natura della condizione controversa. Si è detto molto nelle presenti conclusioni a proposito della comparabilità. Tuttavia, tale discussione – talvolta piuttosto tecnica ‑ non dovrebbe oscurare l’impatto profondo che potrebbe avere la necessità di annullare il proprio matrimonio, al fine di ottenere il riconoscimento di una nuova situazione che non si è creata per volontà e libera scelta dell’interessato, sulla vita privata e la personalità di quest’ultimo, probabilmente già provata in conseguenza di tali cambiamenti.

106. Sotto un quinto e ultimo profilo, probabilmente il più importante per il futuro, le difficili questioni sollevate nella presente causa derivano proprio dal fatto che, nel particolare campo di cui trattasi, segnatamente quello delle pensioni di fine lavoro, persiste una deroga al principio della parità di trattamento, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 79/7. Tale circostanza non è eccezionale soltanto perché comporta una deroga ad uno dei principi più basilari del diritto dell’Unione, ammettendo una discriminazione fondata sul sesso, ma anche perché già ci si attendeva che sparisse progressivamente 38 anni fa, attraverso la convergenza delle età pensionabili per gli uomini e per le donne.

107. Come dichiarato dal giudice del rinvio, nel Regno Unito l’età pensionabile per gli uomini e per le donne convergerà gradualmente e arriverà a coincidere. Pertanto, anche in tale paese come in altri Stati membri, la radice del problema è destinata a scomparire.

V.      Conclusione

108. Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla questione sottoposta dalla Supreme Court (Corte suprema) del Regno Unito nei seguenti termini:

«L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una condizione che, in aggiunta alla soddisfazione dei criteri fisici, sociali e psicologici per il riconoscimento del cambiamento di sesso, impone ad una persona che ha cambiato sesso di non essere coniugata al fine di avere accesso a una pensione statale di fine lavoro».


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).


3      Sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256).


4      Come confermato dall’articolo 11, lettera c), del Matrimonial Causes Act 1973.


5      Discussa dettagliatamente infra, nei paragrafi da 92 a 94 delle presenti conclusioni.


6      Articoli 3, paragrafo 1, lettera a), e 4, paragrafo 1, primo trattino, della direttiva 79/7.


7      V., in generale, e con riguardo a strumenti diversi, ad esempio, sentenze del 21 luglio 2005, Vergani (C‑207/04, EU:C:2005:495); del 18 novembre 2010, Kleist (C‑356/09, EU:C:2010:703); del 12 settembre 2013, Kuso (C‑614/11, EU:C:2013:544), e del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, EU:C:2013:823).


8      La terminologia impiegata nel complesso ambito dell’identità di genere non è semplice. Generalmente la dottrina identifica le «persone transgender» come quelle che passano da un genere all’altro senza tuttavia necessariamente mutare la propria identità sessuale fisiologica (attraverso un intervento chirurgico). La nozione di «transessuale» è usata con riferimento alle persone che adeguano il proprio genere all’identità sessuale attraverso una trasformazione fisiologica ricorrendo a pratiche mediche di mutamento del sesso. Per un chiarimento terminologico, v. Zimman, L., ‘Transsexuality’, in The Wiley Blackwell Encyclopedia of Gender and Sexuality Studies, 2016, pagg. 2360‑2362. In tali conclusioni viene generalmente utilizzato il termine «transgender». Tuttavia, laddove si fa riferimento ai specifici fatti della causa, in considerazione della terminologia di cui si è avvalso il giudice del rinvio, si ricorrerà al termine «transessuale». Quest’ultimo termine è altresì ripreso in sede di citazioni della giurisprudenza di tale Corte che utilizza detta nozione.


9      I termini «cisgender» e «cisessuale» sono usati in senso opposto a transgender e transessuale, e si riferiscono essenzialmente alle persone la cui identità di genere corrisponde al sesso assegnato loro alla nascita. Per una discussione sull’uso di tali termini, v., ad esempio, Cava, P., «Cisgender and Cissexual», in The Wiley Blackwell Encyclopedia of Gender and Sexuality Studies, 2016, pagg. 267‑271.


10      Sentenze del 30 aprile 1996, P./S.(C‑13/94, EU:C:1996:170); del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256).


11      Considerando 3 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU 2006, L 204, pag. 23).


12      Tale causa verteva sulla direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU 1976, L 39, pag. 40). Utilizzando i termini dell’avvocato generale Tesauro, l’obiezione secondo cui «non può parlarsi (…) di discriminazione tra due sessi» nell’ipotesi di un cambiamento di sesso, sarebbe «un cavilloso formalismo ermeneutico», conclusioni nella causa P./S. (C‑13/94, EU:C:1995:444, paragrafo 20). È inoltre generalmente riconosciuto che un siffatto approccio giuridico binario non è compatibile con la realtà scientifica. V., in generale, Greenberg, J.A., «Defining Male and Female: Intersexuality and the Collision between Law and Biology», in Arizona Law Review,1999, vol. 41, pagg. 265‑328.


13      Sentenze del 30 aprile 1996, P./S.(C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 20), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punto 24).


14      Sentenza del 30 aprile 1996, P./S. (C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 22).


15      Sentenze del 30 aprile 1996, P./S.(C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 20), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punto 24).


16      Sentenza del 30 aprile 1996, P./S. (C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 21).


17      Sentenze del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punto 36), con riferimento all’articolo 157 TFUE (ex articolo 141 CE), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punto 38), in relazione alla direttiva 79/7.


18      La dottrina accademica ha identificato quale origine di tali difficoltà il fatto che i casi di cambiamento di sesso sono trattati conformemente alle disposizioni relative alla discriminazione fondata sul sesso e non a motivi specifici basati sull’identità di genere. V., ad esempio, Tobler, C., «Equality and Non-Discrimination under the ECHR and EU Law. A Comparison Focusing on Discrimination against LGBTI Persons» in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht 2014,vol. 74, pagg. 521‑561, in particolare, pagg. 543 e segg.


19      Sentenze del 30 aprile 1996, P./S.(C‑13/94, EU:C:1996:170); del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256). In merito a tale discussione, v., per esempio, Mulder, J., EU Non-Discrimination Law in the Courts.Approaches to Sex and Sexualities Discrimination in EU Law, Hart Publishing, Oxford, 2017, pag. 49, o Agius, S., e Tobler, C., Trans and Intersex People, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea) 2012, pagg. 35 e segg.


20      Il salto concettuale è simile a quello prodotto dall’inserimento della discriminazione connessa alla gravidanza nella nozione di discriminazione fondata sul sesso; v., ad esempio, sentenza dell’8 novembre 1990, Dekker (C‑177/88, EU:C:1990:383, punto 17). Tuttavia, anziché avere eliminato l’elemento della comparabilità, nel caso delle persone transgender, quest’ultima è anzi ampliata. Sulla discussione in materia v., ad esempio, Skidmore, P., «Sex, gender and Comparators in Employment Discrimination» in Industrial Law Journal, 1997 vol. 26, pagg. 51‑61, a pag. 60; Wintemute, R., «Recognising New Kinds of Direct Sex Discrimination: Transsexualism, Sexual Orientation and Dress Codes», in Modern Law Review 1997, vol. 60, pagg. 334‑359, a pag. 340; Bell, M., «Shifting conceptions of Sexual Discrimination at the Court of Justice: from P v S to Grant v SWT» in European Law Journal, 1999, vol. 5, pagg. 63‑81.


21      Ad esempio, nelle controversie all’origine della sentenza del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7), e della sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256), i ricorrenti non avevano ottenuto il riconoscimento legale del genere acquisito.


22      Ciò si verificava nella controversia all’origine della sentenza del 30 aprile 1996, P./S.(C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 21). In tale causa, la discriminazione fondata sul sesso si è verificata durante il processo di cambiamento del sesso. La Corte ha dichiarato che «una persona, se licenziata in quanto ha l’intenzione di subire o ha subito un cambiamento di sesso, riceve un trattamento sfavorevole rispetto alle persone del sesso al quale era considerata appartenere prima di detta operazione».


23      Ciò si verificava nella controversia all’origine della sua sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256).


24      Sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punto 29).


25      Sentenza della Corte EDU del 16 luglio 2014, Hämäläinenc. Finlandia (CE:ECHR:2014:0716JUD003735909, §§ 65 e 66).


26      Invero, l’esame della comparabilità non dovrebbe essere condotto in maniera globale o astratta, ma con riferimento specifico e concreto alla prestazione richiesta e con la dovuta considerazione della finalità e dei presupposti di concessione di quest’ultima. V., in tal senso, sentenze del 10 maggio 2011, Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, punti 42 e 43), e del 12 dicembre 2013, Hay(C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 33).


27      Sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punti da 35 a 37).


28      In tal caso, la valutazione sarebbe piuttosto rapida: poiché il Gender Recognition Act 2004 è applicabile soltanto alle persone transgender, la loro condizione non potrebbe essere naturalmente comparata con quella delle persone cisgender, in quanto ai fini di tutti gli elementi connessi al cambiamento di sesso o derivanti da esso, come definiti dalla normativa nazionale, i due gruppi suddetti sono chiaramente incomparabili.


29      Tale problema non è circoscritto all’ambito del diritto antidiscriminazione, ma è inerente anche ad altri ambiti del diritto dell’Unione europea in cui la comparazione è un elemento della valutazione, come nel caso della nozione di «selettività» nell’area degli aiuti di Stato. Per una discussione su problemi analoghi v. le mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C‑270/15 P, EU:C:2016:289, paragrafi da 40 a 46).


30      V. supra, paragrafi 43 e 44 delle presenti conclusioni.


31      Sentenza del 30 aprile 1996, P./S. (C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 21).


32      Secondo la giurisprudenza della Corte, ai sensi della direttiva 79/7, la discriminazione direttamente fondata sul sesso può essere giustificata soltanto in base alle deroghe specifiche ivi enunciate. In tal senso v., ad esempio, sentenze del 30 marzo 1993, Thomas e a.(C‑328/91, EU:C:1993:117, punto 7); del 1o luglio 1993, van Cant (C‑154/92, EU:C:1993:282, punto 12); del 30 gennaio 1997, Balestra (C‑139/95, EU:C:1997:45, punto 32), e del 3 settembre 2014, X (C‑318/13, EU:C:2014:2133, punti 34 e 35), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa X (C‑318/13, EU:C:2014:333, paragrafi da 32 a 34). Ciò è coerente con l’approccio riguardo alla discriminazione diretta contemplato da altre disposizioni (v. giurisprudenza citata alla nota 7 delle presenti conclusioni). Inoltre, la Corte ha ripetutamente dichiarato che, a causa dell’importanza fondamentale del principio della parità di trattamento, le eccezioni al divieto di discriminazioni fondate sul sesso devono essere interpretate restrittivamente (sentenza del 18 novembre 2010, Kleist, C‑356/09, EU:C:2010:703, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).


33      L’articolo 4, paragrafo 2, riguarda le disposizioni sulla tutela delle donne a motivo della maternità. L’articolo 7, paragrafo 1, permette agli Stati membri di escludere dal proprio ambito di applicazione un determinato numero di norme, vantaggi e prestazioni in materia di sicurezza sociale.


34      Sentenza del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punti da 34 a 37).


35      Ad abundantiam si potrebbe aggiungere che, in subordine, la ricorrente, basandosi su statistiche ufficiali, ha sostenuto che la condizione di non essere coniugati costituisce anche una discriminazione indiretta tra le persone transgender uomo-donna e quelli donna-uomo, e ciò in quanto colpisce in maggior misura il primo gruppo rispetto al secondo. Alla luce della conclusione secondo cui la condizione di essere non coniugati comporta, nella presente causa, una discriminazione diretta, non è necessario esaminare tale argomento.


36      Sentenze della Corte EDU dell’11 luglio 2002, Goodwin c. Regno Unito (CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, § 93), e I c. Regno Unito (CE:ECHR:2002:0711JUD002568094, § 73), e del 23 maggio 2006, Grant c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:0523JUD003257003, §§ 39 e 40).


37      Sentenze del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punti da 33 a 35) in relazione all’articolo 157 TFUE (ex-articolo 141 CE), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punti da 28 a 30).


38      Sentenza del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punto 35). La Corte ha formulato un’importante riserva: «Poiché spetta agli Stati membri determinare le condizioni per il riconoscimento giuridico del cambiamento di sesso di una persona nella situazione di R., come peraltro riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Goodwin c. Regno Unito, cit., § 103), spetta al giudice nazionale verificare se, in un’ipotesi quale quella di cui alla causa principale, una persona nella situazione di K.B. possa invocare l’art. 141 CE affinché le si riconosca il diritto di far beneficiare il proprio convivente di una pensione di reversibilità».


39      Sentenze del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punto 35), e del 27 aprile 2006, Richards (C‑423/04, EU:C:2006:256, punto 21).


40      Sentenza del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7).


41      Sentenza del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punto 30).


42      Sentenza del 27 aprile 2006, Richards, C‑423/04 (EU:C:2006:256, punto 31). Tale sentenza fa riferimento a quella del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punti da 30 a 34).


43      Questo è anche il caso delle condizioni relative allo stato matrimoniale che è espressamente individuato dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva come un esempio di elemento riguardo al quale gli Stati membri devono vigilare con particolare attenzione per non commettere discriminazioni indirette.


44      Sentenza del 7 gennaio 2004, K.B. (C‑117/01, EU:C:2004:7, punto 35).


45      Relativamente allo stato civile, v., in particolare, sentenze del 1o aprile 2008, Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 59); del 10 maggio 2011, Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, punto 38); del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 26), e del 24 novembre 2016, Parris (C‑443/15, EU:C:2016:897, punto 58).


46      Secondo le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Richards (C‑423/04, EU:C:2005:787, paragrafo 57), tale questione è stata già discussa all’udienza in tale causa. Tuttavia, l’avvocato generale non ha preso posizione in merito, in quanto ha ritenuto che in caso di transessuali che si sono già sottoposti a un’operazione di cambiamento di sesso il loro diritto fosse fuori discussione.


47      Paragrafi 44 e 52 delle presenti conclusioni.


48      Sentenza del 24 novembre 2016, Parris (C‑443/15, EU:C:2016:897, punto 59). V., inoltre, sentenze del 1o aprile 2008, Maruko (C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 59); del 10 maggio 2011, Römer (C‑147/08, EU:C:2011:286, punto 38), e del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 26).


49      Sentenza del 24 novembre 2016, Parris (C‑443/15, EU:C:2016:897, punto 59).


50      V. supra, paragrafo 73 e nota 45.


51      Un analogo difetto di coerenza è stato esplicitamente sottolineato dalla Corte EDU nella sentenza dell’11 luglio 2002, Goodwin c. Regno Unito, (CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, § 78). «Nella fattispecie, come in molti altri casi, il cambiamento di sesso della ricorrente è stato effettuato dal servizio sanitario nazionale, che riconosce la condizione della disforia di genere e offre, tra le altre prestazioni, l’intervento chirurgico per il cambiamento del sesso, al fine di raggiungere, quale uno degli obiettivi principali, la migliore assimilazione possibile al genere cui la persona transessuale sente di appartenere effettivamente. La Corte è sorpresa del fatto che, ciononostante, il cambiamento di sesso che è stato legalmente effettuato non trovi pieno riconoscimento giuridico, che potrebbe essere considerata la fase finale e conclusiva del lungo processo di trasformazione subito dalla persona transessuale. La coerenza delle prassi amministrativa e giuridica nei sistemi nazionali dev’essere considerata un fattore importante nell’ambito della valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione».


52      V., ad esempio, articoli da 10 a 21 e allegati da 1 a 6. In particolare, l’allegato 5 disciplina gli aspetti specifici delle prestazioni previdenziali e delle pensioni.


53      V. decisioni della Corte EDU sulla ricevibilità del 28 novembre 2006, Parry c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:1128DEC004297105), e R. e F. c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:1128DEC003574805).


54      Sentenza del 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia (CE:ECHR:2014:0716JUD003735909).


55      Sentenza del 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia (CE:ECHR:2014:0716JUD003735909, §§ 74 e 75).


56      Come la stessa Corte ha dichiarato in epoca anteriore alla Carta; v., ad esempio, sentenze del 15 giugno 1978, Defrenne (149/77, EU:C:1978:130, punti 26 e 27) e del 30 aprile 1996, P./S. (C‑13/94, EU:C:1996:170, punto 19).