Language of document : ECLI:EU:C:2019:153

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 28 febbraio 2019 (1)

Causa C254/18

Syndicat des cadres de la sécurité intérieure

contro

Premier ministre,

Ministre de l’Intérieur,

Ministre de l’Action et des Comptes publics

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Articolo 6, lettera b), e articolo 16 – Durata massima settimanale del lavoro – Deroga – Articolo 17, paragrafi 2 e 3, e articolo 19, primo comma – Funzionari di polizia – Periodo di riferimento – Carattere mobile o fisso – Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori»






1.        Il «periodo di riferimento» che, ai sensi della direttiva 2003/88/CE (2), gli Stati membri possono prevedere per il calcolo della durata media massima settimanale del lavoro deve essere inteso come periodo «mobile», ossia un periodo il cui dies a quo si sposta in funzione del decorso del tempo, oppure può anche essere determinato in modo «fisso», nel senso che detto periodo può iniziare e cessare ad una data fissa del calendario?

2.        È questa, in sostanza, la questione che la Corte è chiamata a risolvere nella presente causa, riguardante una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) relativa all’interpretazione di diverse disposizioni della direttiva 2003/88.

3.        Tale questione viene sollevata nell’ambito di un procedimento promosso dal Syndicat des cadres de la sécurité intérieure (Sindacato dei quadri della sicurezza interna; in prosieguo: il «SCSI»), un sindacato di ufficiali di polizia che chiede dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato) l’annullamento di un decreto che modifica le disposizioni derogatorie alle garanzie minime di orario di lavoro e di riposo applicabili al personale della polizia nazionale francese. Il SCSI fa valere che tale decreto viola le disposizioni della direttiva 2003/88 nella parte in cui prevede un periodo di riferimento «fisso» per il calcolo della durata media massima settimanale del lavoro.

4.        La scelta di un periodo di riferimento previsto su base «mobile» o «fissa» ha effettivamente un impatto certo sulle modalità di determinazione della durata massima settimanale del lavoro prevista dalle disposizioni della direttiva 2003/88. Infatti, l’utilizzazione di un periodo di riferimento «mobile» assicura che la durata media massima settimanale del lavoro venga rispettata in qualsiasi momento, mentre l’utilizzazione di un periodo «fisso» cristallizza il periodo da prendere in considerazione per computare le ore effettivamente prestate dal lavoratore.

5.        Nella presente causa, la Corte è dunque chiamata a precisare la portata della nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata massima settimanale del lavoro, come prevista dalla direttiva 2003/88, alla luce dell’obiettivo essenziale della medesima, ossia la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

6.        L’articolo 6 della direttiva 2003/88, intitolato «Durata massima settimanale del lavoro», prevede quanto segue:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

(…)

b)      la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

7.        L’articolo 16 della direttiva 2003/88, relativo ai periodi di riferimento, così recita:

«Gli Stati membri possono prevedere:

(…)

b)      per l’applicazione dell’articolo 6 (durata massima settimanale del lavoro), un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi (…)

(…)».

8.        Ai paragrafi 2 e 3, l’articolo 17 della stessa direttiva prevede, tra l’altro, le seguenti deroghe:

«2.      Le deroghe di cui ai paragrafi 3, 4 e 5 possono essere adottate con legge, regolamento o con provvedimento amministrativo, ovvero mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata.

3.      In conformità al paragrafo 2 del presente articolo le deroghe [all’articolo] 16 possono essere concesse:

(…)

b)      per le attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza;

c)      per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione (…)

(…)».

9.        L’articolo 19 della direttiva 2003/88, intitolato «Limiti alla facoltà di derogare ai periodi di riferimento», contiene le seguenti disposizioni:

«La facoltà di derogare all’articolo 16, lettera b), di cui all’articolo 17, paragrafo 3, (…) non può avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi (…)».

B.      Diritto francese

10.      Per quanto riguarda l’orario di lavoro nella funzione pubblica statale e nella magistratura, nel diritto francese vale la regola generale secondo la quale «la durata settimanale del lavoro effettivo, comprese le ore di lavoro straordinario, non può superare né quarantotto ore nel corso della stessa settimana, né quarantaquattro ore in media su un qualunque periodo di dodici settimane consecutive» (articolo 3, I., del decreto n. 2000-815) (3). Si può derogare a tale regola soltanto qualora, in particolare, l’oggetto stesso del servizio pubblico in questione lo richieda in via permanente, segnatamente ai fini della protezione delle persone e dei beni, tramite decreto adottato previo parere del Conseil d’État (Consiglio di Stato), sentiti taluni comitati amministrativi e il Consiglio superiore della funzione pubblica, il quale stabilisce i corrispettivi accordati alle categorie di agenti interessati [articolo 3, II., lettera a), del decreto n. 2000-815].

11.      Le deroghe alle garanzie minime di orario di lavoro e di riposo applicabili al personale della polizia nazionale sono disciplinate dal decreto n. 2002-1279, del 23 ottobre 2002. L’articolo 1 di tale decreto è stato modificato dal decreto n. 2017-109 del 30 gennaio 2017 (in prosieguo: il «decreto n. 2017-109»). Tale disposizione, nella versione modificata, così recita:

«Per l’organizzazione del lavoro del personale in servizio attivo dei servizi di polizia nazionale, si deroga alle garanzie minime di cui all’articolo 3.I del succitato decreto del 25 agosto 2000 quando lo esige l’esercizio delle funzioni di sicurezza e di pace pubbliche, di polizia giudiziaria, di intelligence e d’informazione ad esso attribuite.

Tale deroga deve tuttavia rispettare le seguenti condizioni:

1)      La durata settimanale del lavoro calcolata, per ogni periodo di sette giorni, comprese le ore di lavoro straordinario, non può superare quarantotto ore in media su un periodo di un semestre dell’anno civile;

(…)».

II.    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12.      Il 28 marzo 2017, il SCSI ha proposto un ricorso presso il Conseil d’État (Consiglio di Stato) chiedendo l’annullamento dell’articolo 1 del decreto n. 2017-109. Il SCSI sostiene, inter alia, che detta disposizione, adottando, ai fini del computo della durata media settimanale del lavoro, un periodo di riferimento fisso, espresso in semestri dell’anno civile, e non un periodo indefinito di sei mesi espresso su base mobile, viola le disposizioni della direttiva 2003/88.

13.      Il giudice del rinvio si chiede se il combinato disposto degli articoli 6 e 16 della direttiva 2003/88 debba essere interpretato nel senso che impone un periodo di riferimento definito su base mobile oppure nel senso che esso lascia agli Stati membri la scelta di conferire a tale periodo un carattere mobile o fisso.

14.      Esso si chiede parimenti, per il caso in cui sia possibile soltanto un periodo di riferimento mobile, se detto periodo debba conservare il suo carattere mobile allorché venga esteso a sei mesi in forza della deroga prevista all’articolo 17, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2003/88.

15.      In tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le disposizioni degli articoli 6 e 16 della [direttiva 2003/88] debbano essere interpretate nel senso che esse impongono un periodo di riferimento definito su base mobile oppure nel senso che lasciano agli Stati membri la scelta di conferire a tale periodo un carattere mobile o fisso.

2)      Se, nell’ipotesi in cui dette disposizioni debbano essere interpretate nel senso che impongono un periodo di riferimento mobile, la possibilità offerta dall’articolo 17 di derogare all’articolo 16, lettera b), possa riguardare non solo la durata del periodo di riferimento, ma anche il suo carattere mobile».

III. Analisi giuridica

A.      Osservazioni preliminari

16.      Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio nella presente causa vertono sulla nozione di «periodo di riferimento» che gli Stati membri possono prevedere per l’applicazione delle disposizioni della direttiva 2003/88 concernenti la durata massima settimanale del lavoro.

17.      Per quanto attiene alla durata media massima settimanale del lavoro, occorre rilevare, in via preliminare, che la direttiva 2003/88 prevede due regimi: un regime ordinario e un regime derogatorio.

18.      Più specificamente, nell’ambito del regime ordinario, la durata massima settimanale del lavoro è definita all’articolo 6, lettera b), e all’articolo 16, lettera b), della direttiva 2003/88. In tal senso, a norma della prima di tali disposizioni, la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non supera 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario. Ai sensi della seconda, ai fini del calcolo di tale durata media massima, gli Stati membri possono prevedere un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi.

19.      Tuttavia, la direttiva 2003/88 contiene anche disposizioni che conferiscono agli Stati membri la facoltà di derogare al regime ordinario che disciplina la durata massima settimanale del lavoro. In tal senso, a norma dell’articolo 17, paragrafo 3, lettere b) e c), della direttiva 2003/88, gli Stati membri hanno la facoltà di derogare, segnatamente, all’articolo 16 della stessa direttiva per «le attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza» e «per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione». Nondimeno, ai sensi dell’articolo 19, primo comma, tale facoltà «non può avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi».

20.      Orbene, il decreto n. 2017-109, del quale viene chiesto l’annullamento nella controversia principale, riguarda una deroga al regime ordinario concernente la durata massima settimanale del lavoro per i dipendenti dello Stato e, specificamente, la deroga applicabile agli agenti della polizia nazionale in servizio attivo. Come emerge dal fascicolo a disposizione della Corte e come è stato confermato in udienza dalle diverse parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte, la Repubblica francese, adottando tale decreto, si è avvalsa della facoltà conferitale dall’articolo 17, paragrafo 3, della direttiva 2003/88 di derogare al regime ordinario in materia di durata massima settimanale del lavoro.

21.      Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2003/88 citate supra al paragrafo 19, le quali prevedono la possibilità di derogare al regime ordinario in materia di durata massima settimanale del lavoro, sono rilevanti ai fini della presente causa (4).

22.      Si deve peraltro constatare che le disposizioni della direttiva 2003/88 concernenti tanto il regime ordinario quanto il regime derogatorio in materia di durata massima settimanale del lavoro impiegano la stessa nozione di «periodo di riferimento», all’articolo 16, lettera b), e all’articolo 19, primo comma.

23.      In tali circostanze, si deve ritenere che la nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro costituisca una nozione unica nell’ambito della direttiva 2003/88 la quale, in tale contesto, ha lo stesso significato e deve essere interpretata nella stessa maniera.

24.      Inoltre, poiché queste disposizioni della direttiva 2003/88 non contengono alcun rinvio al diritto nazionale degli Stati membri, tale nozione deve parimenti essere intesa come una nozione autonoma di diritto dell’Unione, la quale va interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima, indipendentemente dalle qualificazioni utilizzate negli Stati membri (5).

25.      In tale contesto, rilevo, tuttavia, che dalla lettura delle due questioni pregiudiziali sollevate dal Conseil d’État (Consiglio di Stato) emerge che esse presuppongono una possibile differenza di interpretazione della nozione di «periodo di riferimento», a seconda che ad una situazione sia applicabile il regime ordinario o quello derogatorio in materia di durata massima settimanale del lavoro (6).

26.      Tuttavia, alla luce del carattere unico della nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro, si deve ritenere che queste due questioni riguardino, in realtà, l’interpretazione della stessa nozione e che debbano, pertanto, essere esaminate congiuntamente.

27.      In tali circostanze, occorre a mio avviso ritenere che, con le sue due questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chieda alla Corte, in sostanza, se le disposizioni rilevanti della direttiva 2003/88 – menzionate supra ai paragrafi 18 e 19 – debbano essere interpretate nel senso che, sia che si versi nell’ambito del regime ordinario sia che si versi in quello del regime derogatorio in materia di durata massima settimanale del lavoro, gli Stati membri devono definire il periodo di riferimento da utilizzare per il calcolo di tale durata in maniera «mobile» oppure se essi abbiano la facoltà di definirlo parimenti in maniera «fissa».

28.      A tal riguardo, fra le parti che hanno partecipato al procedimento dinanzi alla Corte si sono delineate essenzialmente due posizioni.

29.      Tanto la Commissione europea e il governo francese, da un lato, quanto il SCSI, dall’altro, ritengono che le disposizioni della direttiva 2003/88 debbano essere interpretate nel senso che lasciano agli Stati membri la scelta di conferire al periodo di riferimento utilizzato per calcolare la durata settimanale dell’orario di lavoro un carattere mobile o fisso.

30.      A differenza della Commissione e del governo francese, tuttavia, il SCSI ritiene che, se lo Stato membro si è avvalso della facoltà di derogare al regime ordinario istituendo un periodo di riferimento di sei mesi ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2003/88, possa allora essere attuato soltanto un periodo di riferimento a carattere mobile.

31.      Per rispondere alla domanda posta dal giudice del rinvio, ritengo opportuno, anzitutto, analizzare il sistema della direttiva 2003/88 nel quale si inserisce la nozione di «periodo di riferimento» alla luce dei principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte in materia. Successivamente, sulla base di tale analisi, sarà possibile fornire un’interpretazione di tale nozione.

B.      La direttiva 2003/88 nella giurisprudenza della Corte

32.      Risulta da una giurisprudenza costante che la direttiva 2003/88 intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro (7).

33.      Tale armonizzazione a livello dell’Unione in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – segnatamente giornaliero e settimanale – nonché periodi di pausa adeguati e prevedendo un tetto per la durata della settimana lavorativa (8).

34.      Le disposizioni della direttiva 2003/88 citate supra ai paragrafi 18 e 19 disciplinano pertanto la materia del limite massimo della durata settimanale del lavoro. Il diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro è inoltre sancito espressamente all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

35.      A tal riguardo, la Corte ha rilevato che il limite massimo medio di 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di 7 giorni, per rispettare il quale gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88, devono prendere le misure necessarie, si fonda sulla necessità di rispettare gli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori (9).

36.      Essa ha parimenti precisato che tale limite massimo figura fra le prescrizioni della direttiva 2003/88 che costituiscono una norma del diritto sociale dell’Unione avente importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quale prescrizione minima destinata a garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute (10).

37.      In tale contesto, la Corte ha anche precisato che le prescrizioni minime della direttiva 2003/88 intese a garantire la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori impongono agli Stati membri obblighi di risultato chiari e precisi per quanto riguarda il godimento dei diritti che detta direttiva garantisce loro (11). Ciò vale in maniera specifica quanto alla regola, enunciata in detta direttiva, consistente nella previsione di un limite di 48 ore, compresi gli straordinari, per la durata media settimanale dell’orario di lavoro (12).

38.      Nella stessa ottica, fondandosi sul testo degli articoli che prevedono dette disposizioni minime, nonché sugli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/88 e sul sistema da essa istituito, la Corte ha parimenti messo in risalto la necessità che i lavoratori fruiscano effettivamente dei diritti che tale direttiva conferisce loro (13).

39.      In tal senso, la Corte ha precisato che occorre che l’effetto utile dei diritti riconosciuti ai lavoratori dalla direttiva 2003/88 venga integralmente assicurato, il che implica necessariamente l’obbligo per gli Stati membri di garantire il rispetto delle singole prescrizioni minime stabilite dalla direttiva stessa. Tale interpretazione, infatti, è l’unica conforme all’obiettivo della direttiva 2003/88 di garantire una tutela efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendoli beneficiare effettivamente dei diritti che essa conferisce loro (14).

40.      Ciò premesso, se le prescrizioni minime della direttiva 2003/88 impongono agli Stati membri obblighi di risultato al fine di garantire l’effetto utile dei diritti conferiti ai lavoratori da quest’ultima, emerge, tuttavia, dalla stessa direttiva, segnatamente dal suo considerando 15, che essa concede anche una certa flessibilità agli Stati membri nell’attuazione delle sue disposizioni (15).

41.      Ne consegue dunque che gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale quanto alle modalità di attuazione di dette prescrizioni minime, pur essendo al contempo obbligati, come si evince esplicitamente dallo stesso considerando della direttiva 2003/88, ad assicurare il rispetto dei principi della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori (16).

C.      L’interpretazione della nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro

42.      È nel contesto descritto ai paragrafi precedenti che occorre definire la nozione di «periodo di riferimento» come impiegata nella direttiva 2003/88 ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro, e, specificamente, stabilire se, ai sensi di tale direttiva, gli Stati membri debbano definire tale periodo come avente un carattere «mobile» o se possano definirlo anche in maniera «fissa».

43.      Ai sensi della giurisprudenza, una nozione autonoma di diritto dell’Unione, come quella di «periodo di riferimento», deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio dell’Unione, indipendentemente dalle qualificazioni utilizzate negli Stati membri, secondo caratteristiche oggettive, prendendo in considerazione il tenore letterale delle disposizioni che l’utilizzano, nonché il suo contesto e gli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui tale nozione fa parte (17). Soltanto un’interpretazione autonoma può infatti assicurare la piena efficacia della direttiva 2003/88, nonché l’applicazione uniforme di tale nozione in tutti gli Stati membri (18).

44.      A tal riguardo, per quanto concerne, in primo luogo, i termini «periodo di riferimento», nonché il dettato delle disposizioni della direttiva 2003/88 che impiegano tale nozione ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro, occorre constatare che essi non consentono di stabilire se tale periodo debba avere un carattere «mobile» o «fisso».

45.      Infatti, né la locuzione «periodo di riferimento» in quanto tale, né il testo, segnatamente, dell’articolo 16, lettera b), e dell’articolo 19, primo comma, della direttiva 2003/88, forniscono elementi che consentono di stabilire se l’inizio di tale periodo debba essere fisso o debba spostarsi in funzione del tempo. Detta direttiva non specifica dunque in che modo tale periodo dovrebbe essere preso in considerazione ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro. L’analisi delle diverse versioni linguistiche di tale locuzione e di tali disposizioni non altera tale constatazione.

46.      Orbene, se il silenzio della citata direttiva su tale punto non consente di trarre conclusioni definitive, tale silenzio mi sembra tuttavia deporre piuttosto a favore di un’interpretazione che conferisca un certo margine di discrezionalità agli Stati membri, lasciando loro la libertà di scegliere se definire il periodo di riferimento ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro su base «fissa» o su base «mobile».

47.      Per quanto riguarda, in secondo luogo, il contesto, nel quale si inserisce la nozione di «periodo di riferimento», occorre anzitutto rilevare che il legislatore dell’Unione ha impiegato in diverse disposizioni della direttiva 2003/88 tale nozione al fine di fissare il periodo all’interno del quale la durata media massima settimanale del lavoro deve essere calcolata.

48.      Così avviene all’articolo 16, lettera b), della direttiva 2003/88, il quale stabilisce che gli Stati membri possono prevedere un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi per l’applicazione della durata massima settimanale del lavoro ai sensi dell’articolo 6 della stessa direttiva, nonché all’articolo 19, primo comma, della medesima, ai sensi del quale la facoltà di derogare all’articolo 16, lettera b), prevista segnatamente all’articolo 17, paragrafo 3, non può avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi.

49.      Nella direttiva 2003/88, la nozione di «periodo di riferimento» viene esplicitamente impiegata ai fini del calcolo della durata massima settimanale del lavoro in particolare all’articolo 17, paragrafo 5, con riferimento alle deroghe relative ai medici in formazione, all’articolo 20, paragrafo 2, con riferimento ai lavoratori che svolgono prevalentemente lavoro offshore, all’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma, con riferimento ai lavoratori che prestano servizio a bordo di una nave da pesca marittima battente bandiera di uno Stato membro, e all’articolo 22, paragrafo 1, lettere a) ed e), concernente la facoltà concessa, nel rispetto di rigorose condizioni, agli Stati membri di non applicare l’articolo 6 della direttiva 2003/88. Tuttavia, tali disposizioni non forniscono alcuna indicazione precisa quanto al carattere «mobile» o «fisso» della nozione di «periodo di riferimento».

50.      Sotto il profilo contestuale, occorre parimenti rilevare che la direttiva 2003/88 impiega la nozione di «periodo di riferimento» anche a fini diversi dal calcolo della durata media massima settimanale del lavoro. Così, da un lato, l’articolo 16, lettera a), di tale direttiva determina il periodo di riferimento che gli Stati membri possono prevedere per l’applicazione dell’articolo 5 della stessa direttiva, relativo al riposo settimanale minimo e, dall’altro, l’articolo 16, lettera c), della stessa direttiva utilizza la stessa nozione ai fini dell’applicazione dell’articolo 8 di detta direttiva, relativo alla durata del lavoro notturno.

51.      Per quanto attiene, specificamente, alla nozione di periodo di riferimento relativa al calcolo del periodo minimo di riposo settimanale, ai sensi dell’articolo 5 e dell’articolo 16, lettera a), della direttiva 2003/88, occorre rilevare che, nella sentenza della Corte del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844), segnatamene al punto 43, la Corte ha dichiarato che «un periodo di riferimento può essere definito, in tale contesto, come un periodo fisso nell’ambito del quale deve essere concesso un certo numero di ore consecutive di riposo, indipendentemente dal momento in cui le stesse sono concesse» (19).

52.      Fondandosi su tale definizione adottata dalla Corte, la quale, tuttavia, riguardava il periodo minimo di riposo settimanale ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/88, la Repubblica francese fa valere che il periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b), di tale direttiva per il calcolo della durata media massima settimanale dovrebbe essere definito, per analogia, come un periodo fisso.

53.      A tal riguardo, occorre tuttavia rilevare che la questione che era in discussione dinanzi alla Corte nella causa Maio Marques da Rosa era diversa da quella sollevata nella presente causa. In detta causa, la Corte era infatti chiamata a stabilire se il periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di ventiquattro ore, al quale un lavoratore ha diritto ai sensi dell’articolo 5, primo comma, della direttiva 2003/88, dovesse o meno essere concesso entro il giorno successivo a un periodo di sei giorni di lavoro consecutivi.

54.      In tale contesto, la Corte ha ritenuto che il periodo di sette giorni di cui all’articolo 5 potesse essere considerato un «periodo di riferimento» e ha definito, come si evince dal paragrafo 51 delle presenti conclusioni, la nozione di «periodo di riferimento» a tali fini impiegando i termini «periodo fisso».

55.      Tuttavia, ritengo che, utilizzando il termine «fisso» in tale definizione, la Corte non abbia inteso decidere che la nozione di «periodo di riferimento» dovrebbe essere interpretata nel senso che l’inizio di tale periodo deve necessariamente essere fisso, deve cioè corrispondere ad una data prefissata. Tale questione, peraltro, non era oggetto della causa pendente dinanzi alla medesima. Utilizzando il termine «fisso», la Corte ha per contro voluto dire, a mio avviso, che il periodo di riferimento è un periodo fisso nel senso che ha una durata determinata, vale a dire, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/88, una durata di sette giorni. Aggiungo inoltre che, al punto 43 di detta sentenza Maio Marques da Rosa, la Corte ha espressamente limitato la portata della definizione a «tale contesto», ossia al contesto della disposizione in materia di riposo settimanale.

56.      In tali circostanze, contrariamente a quanto addotto dalla Repubblica francese, non è dunque possibile, a mio avviso, trarre conclusioni definitive dalla definizione della nozione di «periodo di riferimento» adottata dalla Corte al punto 43 della sentenza Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844) in materia di riposo settimanale minimo in relazione alla questione se il periodo di riferimento che, ai sensi della direttiva 2003/88, gli Stati membri possono utilizzare ai fini del calcolo della durata massima settimanale del lavoro debba avere un carattere «fisso» o «mobile».

57.      Per contro, è possibile ispirarsi alla definizione accolta dalla Corte nella citata sentenza Maio Marques da Rosa per definire il periodo di riferimento in materia di durata massima settimanale del lavoro come un periodo determinato all’interno del quale la durata media settimanale del lavoro non può superare un certo numero di ore.

58.      Come risulta dalle considerazioni che precedono, neanche l’analisi contestuale consente di stabilire in maniera conclusiva se la nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro debba essere intesa nel senso che obbliga gli Stati membri a definirla in maniera «mobile» oppure se, per contro, gli Stati membri abbiano anche la facoltà di definirla in maniera «fissa».

59.      Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obiettivo della direttiva 2003/88, come richiamato ai paragrafi 32 e 33 supra, quest’ultima è intesa a proteggere in maniera efficace la sicurezza e la salute dei lavoratori.

60.      Il ruolo centrale di tale obiettivo essenziale della direttiva 2003/88 nell’ambito della normativa relativa alla durata massima settimanale del lavoro è confermata sia dalla previsione esplicita, all’articolo 6 della direttiva 2003/88, secondo la quale gli Stati membri prendono le misure necessarie concernenti la durata massima settimanale del lavoro «in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori» (20), sia dalla qualificazione dell’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88, effettuata dalla Corte a più riprese, come disposizione la cui piena efficacia deve essere rispettata dagli Stati membri, i quali devono impedire ogni superamento della durata massima settimanale del lavoro fissata dall’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88 (21).

61.      È dunque alla luce di tale obiettivo essenziale della direttiva 2003/88 e dell’obbligo incombente agli Stati membri, ai fini del suo conseguimento, di garantire la piena efficacia delle prescrizioni della direttiva 2003/88 concernenti la durata massima settimanale dell’orario di lavoro che occorre interpretare la nozione di «periodo di riferimento» in questione.

62.      A tal riguardo, occorre rilevare che, come ha correttamente messo in evidenza la Commissione, un metodo di calcolo della durata massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento su base mobile risponde in maniera ottimale all’obiettivo essenziale della direttiva 2003/88 di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

63.      Infatti, da un lato, applicando un siffatto metodo di calcolo, l’inizio del periodo di riferimento non è prefissato, bensì si sposta in funzione del decorso del tempo, cosicché, in un caso del genere, il rispetto della durata media massima settimanale del lavoro è garantito a prescindere dalla scelta del momento di inizio del periodo. In altre parole, un siffatto metodo garantisce che la durata media massima settimanale del lavoro venga rispettata in qualsiasi momento.

64.      Dall’altro, la scelta di un siffatto metodo consente di evitare che i periodi di lavoro intensi siano concatenati dal lavoratore nel corso di due periodi di riferimento consecutivi e sopprime pertanto il rischio che il lavoratore superi, in media, il limite settimanale di 48 ore di lavoro su lunghi periodi nonché il rischio che si verifichino situazioni nelle quali, nonostante il rispetto formale della durata massima del lavoro, la sicurezza e la salute del lavoratore sono messe a repentaglio (22).

65.      La questione risulta meno chiara, per contro, per quanto attiene all’utilizzazione di un metodo di calcolo della durata media massima settimanale del lavoro che impieghi un periodo di riferimento «fisso», il cui inizio corrisponde dunque ad una data prefissata. Al fine di valutare la compatibilità dell’utilizzazione di un siffatto metodo con la direttiva 2003/88, ritengo che occorra prendere le mosse da due riflessioni.

66.      In primo luogo, come ho rilevato ai paragrafi 40 e 41 supra, la direttiva 2003/88 riconosce agli Stati membri una certa flessibilità nell’attuazione delle sue disposizioni, cosicché questi ultimi dispongono di un certo margine discrezionale per quanto riguarda le modalità di tale attuazione. Tale flessibilità consente agli Stati membri di tenere conto, nelle disposizioni nazionali di trasposizione di detta direttiva, di esigenze connesse, segnatamente, alla protezione di interessi di carattere generale, come la protezione dell’ordine pubblico, o di specificità proprie di attività particolari, le quali esigono un certo grado di flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro. È peraltro in tale ottica che il capo 5 della direttiva 2003/88 prevede possibilità di deroga ed eccezioni a determinate disposizioni di detta direttiva.

67.      È vero che, come risulta esplicitamente dal considerando 15 della direttiva 2003/88, tale flessibilità incontra un limite assoluto nella necessità di rispettare l’obiettivo primario della direttiva 2003/88, e non può pertanto dare luogo a situazioni di violazione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore garantiti da detta direttiva.

68.      In secondo luogo, la scelta di un metodo di calcolo della durata media massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento «fisso» non comporta automaticamente una violazione di siffatti imperativi. Infatti, la scelta del carattere «fisso» o «mobile» del periodo di riferimento da utilizzare nel calcolo della durata media massima settimanale del lavoro è soltanto uno dei vari elementi – come il numero massimo di ore settimanali di lavoro o la lunghezza del periodo di riferimento – che vengono presi in considerazione nelle disposizioni nazionali concernenti l’organizzazione dell’orario di lavoro. Pertanto, un sistema di organizzazione dell’orario di lavoro che utilizzi un periodo di riferimento calcolato su base mobile non sempre è necessariamente più protettivo dei lavoratori rispetto ad un sistema che utilizzi un periodo di riferimento calcolato su base fissa, come emerso da alcuni degli esempi addotti nel corso del procedimento dinanzi alla Corte (23).

69.      È vero che, se lo Stato membro opta per un sistema di organizzazione dell’orario di lavoro che utilizza un periodo di riferimento «fisso», specificamente di lunga durata e nell’ambito di un regime derogatorio, esiste il rischio che si verifichino situazioni come quella ipotetica menzionata in udienza (24), nelle quali il rispetto degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore non è garantito. Orbene, come si evince dai paragrafi da 35 a 39 e 60 delle presenti conclusioni, lo Stato membro ha l’obbligo di assicurare che situazioni di questo genere non si verifichino. Esso è infatti soggetto ad un obbligo di risultato, consistente nel garantire la piena efficacia della norma della direttiva 2003/88 che prevede un limite massimo di 48 ore per la durata media settimanale nonché nel garantire i diritti che tale norma conferisce ai lavoratori.

70.      Consegue, a mio avviso, dalle considerazioni che precedono che, se è vero che un metodo di calcolo della durata massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento su base mobile garantisce in maniera ottimale il rispetto degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute e costituisce, pertanto, la prima scelta per la trasposizione delle disposizioni rilevanti della direttiva 2003/88 nell’ordinamento giuridico nazionale, soprattutto nel caso di un regime derogatorio in applicazione dell’articolo 17 della stessa direttiva, ciò non significa tuttavia che, nell’ambito del margine discrezionale di cui dispongono gli Stati membri, essi non possano prevedere l’utilizzazione di un periodo di riferimento fisso, a condizione che sia assicurato il rispetto degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

71.      In una situazione del genere, il rispetto di tali imperativi implica a mio avviso il soddisfacimento di un duplice requisito.

72.      Da un lato, allorché lo Stato membro sceglie di prevedere un metodo di calcolo della durata massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento su base fissa, è particolarmente importante che esso provveda a istituire e a predisporre strumenti di organizzazione del lavoro, di controllo e di garanzia effettivi di natura preventiva che consentano di impedire che si verifichino situazioni di violazioni di detti imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori a causa dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Spetta allo Stato membro scegliere i meccanismi preventivi che reputa idonei a tal fine. Tali strumenti devono tuttavia garantire l’effetto utile del diritto ad una durata media massima settimanale che la direttiva 2003/88 – e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali – conferiscono ai lavoratori.

73.      Dall’altro, lo Stato membro deve anche assicurarsi che, nel caso in cui tali meccanismi preventivi non risultino efficaci e, nonostante la loro esistenza, si verifichi comunque una situazione di violazione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore, quest’ultimo possa disporre, ex post, di possibilità effettive di ricorsi, sia interni o ammnistrativi sia giurisdizionali, tramite i quali egli possa far cessare tempestivamente un’eventuale situazione che comporti una violazione di detti imperativi.

74.      In breve, se lo Stato membro sceglie di prevedere, nella sua legislazione nazionale, un metodo di calcolo della durata massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento su base fissa, specialmente in situazioni in cui tale periodo è lungo e riguarda un regime derogatorio, esso deve allora garantire l’esistenza di meccanismi organizzativi, procedurali e giurisdizionali che siano idonei ad assicurare, in concreto, che gli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore siano effettivamente rispettati nell’organizzazione dell’orario di lavoro e che situazioni di violazioni di tali imperativi nell’organizzazione dell’orario di lavoro non si verifichino oppure, qualora si verifichino comunque, siano eliminate tempestivamente.

75.      Spetta in definitiva al giudice del rinvio valutare, nella causa dinanzi ad esso pendente, se, qualora lo Stato membro abbia scelto di utilizzare un periodo di riferimento determinato su base «fissa», siffatti meccanismi effettivi esistano o meno e se il duplice requisito menzionato supra sia rispettato o meno, di modo che la legislazione nazionale contestata dinanzi al medesimo possa essere considerata compatibile con il diritto dell’Unione e, specificamente, con la direttiva 2003/88.

D.      Sulle questioni pregiudiziali

76.      Alla luce delle considerazioni che precedono e dell’interpretazione che propongo di dare alla nozione di «periodo di riferimento» ai fini del calcolo della durata media massima settimanale del lavoro impiegata nella direttiva 2003/88, ritengo che le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio debbano essere risolte nel senso che, nell’ambito della flessibilità loro conferita da tale direttiva, gli Stati membri sono liberi di scegliere un metodo di calcolo della durata media massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento definito su base «mobile» o su base «fissa».

77.      Tuttavia, nel caso in cui uno Stato membro dovesse decidere di utilizzare un periodo di riferimento definito su base «fissa», esso è tenuto a garantire la predisposizione di meccanismi organizzativi, procedurali e giurisdizionali che siano idonei ad assicurare, in concreto, che gli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore siano effettivamente rispettati nell’organizzazione dell’orario di lavoro e che non si verifichino situazioni di violazioni di tali imperativi oppure, qualora si verifichino, che esse possano essere eliminate tempestivamente in maniera efficace.

78.      Spetta al giudice del rinvio, il solo competente ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se la normativa nazionale soddisfi tali requisiti.

79.      Tuttavia, nella valutazione che esso è chiamato ad intraprendere, detto giudice potrà tenere conto degli elementi interpretativi che la Corte gli fornisce. In tale ottica, al fine di dare al giudice del rinvio la risposta più utile possibile per dirimere la controversia, le poche considerazioni seguenti potrebbero risultare pertinenti.

80.      Infatti, sulla base delle informazioni fornite nel corso delle fasi scritta e orale del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte, è lecito dubitare del fatto che, nella specie, il duplice requisito concernente il rispetto degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori sia osservato. In tal senso, da un lato, non sembrerebbe esistere un sistema di controllo preventivo efficace che possa assicurare che, nell’ambito di un regime derogatorio come quello della normativa contestata dinanzi al giudice del rinvio, non si verifichino situazioni nelle quali il rispetto degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori interessati non è garantito. Infatti, è stato fatto valere che, contrariamente a quanto avviene nel settore privato, non esiste un organismo indipendente che possa intervenire direttamente ed ingiungere al datore di lavoro di far cessare situazioni di violazione di detti imperativi e che, in sostanza, è impossibile far cessare siffatte situazioni.

81.      Dall’altro, è stato sostenuto che neanche i sistemi di ricorsi amministrativi e giurisdizionali ex post per la cessazione di situazioni che comportano violazioni di detti imperativi sono efficaci. Sembrerebbe, infatti, che i ricorsi gerarchici non ricevano generalmente una risposta; che i provvedimenti d’urgenza siano soggetti a requisiti molto restrittivi e che vengano concessi raramente, e che i ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi vengano esaminati entro termini che vanno da uno a quattro anni, cosicché l’unica forma di protezione della quale i lavoratori in realtà dispongono è, in sostanza, un eventuale indennizzo ex post.

82.      Spetta ovviamente al giudice del rinvio valutare se siano predisposti meccanismi organizzativi, procedurali e giurisdizionali adeguati che siano idonei ad assicurare, in concreto, che gli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori siano effettivamente rispettati. Tuttavia, in assenza di siffatte garanzie, la previsione di un periodo di riferimento definito su base «fissa», come nella normativa nazionale in questione, risulta incompatibile con il diritto dell’Unione.

IV.    Conclusione

83.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni pregiudiziali proposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia):

L’articolo 6, lettera b), l’articolo 16, lettera b), l’articolo 17, paragrafo 3, e l’articolo 19, primo comma, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri sono liberi di scegliere un metodo di calcolo della durata media massima settimanale del lavoro che utilizzi un periodo di riferimento definito su base «mobile» o su base «fissa». Tuttavia, nel caso in cui uno Stato membro decida di utilizzare un periodo di riferimento definito su base «fissa», esso è tenuto a garantire che siano predisposti meccanismi organizzativi, procedurali e giurisdizionali idonei ad assicurare, in concreto, che gli imperativi di protezione della sicurezza e della salute del lavoratore siano effettivamente rispettati nell’organizzazione dell’orario di lavoro e che non si verifichino situazioni di violazioni di tali imperativi oppure, qualora si verifichino, che esse possano essere eliminate tempestivamente in maniera efficace. Spetta al giudice del rinvio, il solo competente ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se la normativa nazionale soddisfi tali requisiti.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9).


3      Decreto n. 2000-815, del 25 agosto 2000, relativo alla riorganizzazione e riduzione del tempo di lavoro nella funzione pubblica statale e nella magistratura (in prosieguo: il «decreto n. 2000-815»).


4      V., a tal riguardo, sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844, punti 35 e 36).


5      V. sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).


6      Infatti, la seconda questione pregiudiziale implica la possibilità che la nozione di «periodo di riferimento» utilizzata nell’ambito del regime derogatorio possa avere un carattere fisso nel caso in cui quella impiegata per il regime ordinario dovesse avere un carattere mobile.


7      V., segnatamente, sentenze del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).


8      Ibidem.


9      V., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 33).


10      V., segnatamente, sentenze del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 33, e la giurisprudenza ivi citata), e del 23 dicembre 2015, Commissione/Grecia (C‑180/14, non pubblicata, EU:C:2015:840, punto 34). Sull’obbligo degli Stati membri di garantire l’effetto utile della direttiva 2003/88, v. le considerazioni contenute ai paragrafi da 45 a 54 delle mie conclusioni del 31 gennaio 2019 nella causa CCOO (C‑55/18, ECLI:EU:C:2019:87 e la giurisprudenza ivi citata).


11 _      V., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, Commissione/Regno Unito (C‑484/04, EU:C:2006:526, punto 37), per quanto riguarda la direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 1993, L 307, pag. 18), come modificata dalla direttiva 2000/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 2000 (GU 2000, L 195, pag. 41; in prosieguo: la «direttiva 93/104»), le cui disposizioni rilevanti erano redatte in termini sostanzialmente identici a quelli della direttiva 2003/88. Il corsivo è mio.


12      V., in tal senso, per quanto attiene alla direttiva 93/104, sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 104).


13      V., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, Commissione/Regno Unito (C‑484/04, EU:C:2006:526, punto 39); il corsivo è mio.


14      V., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, Commissione/Regno Unito (C‑484/04, EU:C:2006:526, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata).


15      V. sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 46).


16      Per quanto attiene al margine discrezionale conferito agli Stati membri dalla direttiva 2003/88, v. parimenti i paragrafi 86 e segg. delle mie conclusioni nella causa CCOO cit. supra, nota 10.


17      V., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa (C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).


18      V., in tal senso, ordinanza del 4 marzo 2011, Grigore (C‑258/10, non pubblicata, EU:C:2011:122, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata), nonché, per quanto riguarda la direttiva 93/104, sentenza del 1o dicembre 2005, Dellas e a. (C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata).


19      Il corsivo è mio.


20      A tal riguardo, rilevo che, sebbene la direttiva 2003/88, al suo articolo 22, paragrafo 1, riconosca allo Stato membro la facoltà di non applicare l’articolo 6, esso è comunque esplicitamente tenuto a rispettare «i principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori». V. anche sentenza del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 34 in fine).


21      V. sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 118), e del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 51). È in tal senso che, in vista della realizzazione di tale obiettivo fondamentale, la Corte ha dichiarato che gli Stati membri non possono determinare unilateralmente la portata di detta disposizione, subordinando a qualsiasi condizione o restrizione l’applicazione del diritto dei lavoratori a che la durata media settimanale del lavoro non superi le 48 ore (ibidem, rispettivamente, punto 99 e punto 52) e che essa ha riconosciuto che l’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88 conferisce direttamente diritti, il cui effetto utile deve essere integralmente garantito nell’ordinamento giuridico interno [sentenza del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 64 e la giurisprudenza ivi citata)]. V. anche paragrafi da 35 a 39 delle presenti conclusioni e la giurisprudenza ivi citata.


22      V. l’esempio menzionato alla nota 24 infra.


23      A tal riguardo, nelle sue osservazioni, la Commissione ha correttamente rilevato che, ad esempio, un lavoratore soggetto ad una norma di diritto nazionale che fissa una durata massima settimanale del lavoro molto inferiore al limite massimo di 48 ore previsto dall’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88 e che deve essere calcolata su un periodo di riferimento fisso di tre settimane sarebbe più tutelato del lavoratore soggetto al limite massimo di 48 ore settimanali calcolato sulla base di un periodo di riferimento mobile di sei mesi.


24      In udienza, il dibattito fra le parti partecipanti alla fase orale dinanzi alla Corte si è svolto intorno ad un esempio di una situazione ipotetica, nella quale, su un periodo fisso di sei mesi di calendario (1o gennaio-30 giugno), un lavoratore lavori 36 ore settimanali nel corso dei primi tre mesi e 60 ore settimanali nel corso degli ultimi tre mesi, il che significa una media di 48 ore settimanali sui sei mesi e, nel corso del periodo fisso del calendario successivo (1o luglio-31 dicembre), il lavoratore lavori 60 ore settimanali nel corso dei primi tre mesi e 36 ore settimanali nel corso degli ultimi tre mesi (anche in tal caso per una durata media di 48 ore settimanali sui sei mesi). In un caso del genere, nel corso di ciascuno di questi due periodi fissi di calendario successivi, la durata media settimanale sarebbe effettivamente di 48 ore a settimana. Tuttavia, se si prende in considerazione il numero di ore lavorate dal 1o aprile al 30 settembre, ci si accorgerebbe che il lavoratore avrebbe prestato 60 ore a settimana per sei mesi. Tutte le parti concordano sul fatto che una situazione del genere darebbe luogo ad una violazione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori ipoteticamente interessati.