Language of document : ECLI:EU:C:2014:2360

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate l’11 novembre 2014 (1)

Causa C‑472/13

Andre Lawrence Shepherd

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bayerisches Verwaltungsgericht München (Germania)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi, della qualifica di rifugiato, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta – Condizioni per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato – Atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83/CE – Azioni giudiziarie e sanzioni penali nei confronti di un membro delle forze armate degli Stati Uniti d’America per il rifiuto di prestare servizio nella guerra in Iraq»





1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bayerisches Verwaltungsgericht München [Corte Amministrativa della Baviera, Monaco (Germania)] presenta alla Corte un caso singolare e inusuale.

2.        Il sig. Shepherd, cittadino degli Stati Uniti d’America (in prosieguo: gli «USA»), è entrato nelle forze armate americane nel dicembre 2003. Egli ha ricevuto una formazione come tecnico per la manutenzione di elicotteri Apache. Nel settembre 2004 è stato trasferito in Germania. All’epoca, la sua unità si trovava in Iraq già dal febbraio 2004, dove egli è stato di conseguenza inviato per raggiungerla. In Iraq, tra il settembre 2004 e il febbraio 2005, egli si è occupato di manutenzione, prevalentemente di elicotteri. Non ha partecipato direttamente ad azioni militari o di combattimento. Nel febbraio 2005 è tornato con la sua unità nel suo luogo di stanza in Germania. Ha quindi iniziato a nutrire dubbi sulla legittimità della guerra e a svolgere indagini al riguardo.

3.        All’inizio del 2007, è divenuto noto che l’unità del sig. Sheperd sarebbe stata presto reimpiegata in Iraq. Il 1° aprile 2007 egli ha ricevuto l’ordine di spiegamento. A quella data egli aveva maturato l’opinione che la guerra in Iraq fosse contraria al diritto internazionale e violasse l’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite. Riteneva che nelle operazioni militari in Iraq si assistesse a un impiego sistematico, indiscriminato e sproporzionato di armi senza tener conto della popolazione civile. In particolare, il crescente impiego di elicotteri Apache comportava l’incremento del numero di civili colpiti e ripetute violazioni del diritto umanitario internazionale. Egli si era convinto che gli elicotteri non avrebbero potuto essere impiegati in guerra se lui e gli altri manutentori meccanici non li avessero predisposti per il combattimento. (Tra il 2007 e il 2008, quando l’unità del sig. Shepherd è stata nuovamente impegnata in Iraq, sono stati effettuati ulteriori bombardamenti. Esistono numerose relazioni in cui si sostiene che le truppe americane hanno commesso crimini di guerra in Iraq, sebbene il sig. Shepherd non sappia se alle operazioni contestate abbiano partecipato proprio gli elicotteri da lui manutenuti).

4.        Il sig. Shepherd non voleva correre il rischio di prendere parte a crimini di guerra nell’ambito delle operazioni della sua unità in Iraq. Egli non ha considerato la possibilità di chiedere alle autorità USA di essere esonerato dalle operazioni sulla base dell’obiezione di coscienza (2), perché non rifiuta del tutto il ricorso alla guerra e l’uso della forza. Infatti, egli si era di nuovo arruolato alla fine del periodo iniziale di servizio. Il sig. Sheperd riteneva che una domanda di esonero dal servizio militare non lo avrebbe garantito contro un reimpiego in Iraq. Pertanto, ha deciso di lasciare l’esercito statunitense prima di iniziare un secondo periodo di servizio in Iraq e ha disertato l’11 aprile 2007. Il rifiuto di prestare servizio militare in Iraq espone il ricorrente al rischio di essere perseguito per diserzione. Nell’ottica statunitense una condanna per tale reato preclude successivamente una vita normale. Nell’agosto 2008, il sig. Shepherd ha pertanto presentato domanda d’asilo in Germania (3).

 Diritto internazionale

 La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati

5.        Ai sensi della Convenzione di Ginevra (4), sulla quale si basa la direttiva qualifiche (5), il termine «rifugiato» si applica a colui che, «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese» (6).

6.        Ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera a), la Convenzione di Ginevra non si applica a quelle persone nei confronti delle quali si hanno serie ragioni per ritenere che abbiano commesso «un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, come definito negli strumenti internazionali elaborati per stabilire disposizioni riguardo a questi crimini» (7).

 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

7.        L’articolo 9, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (8) sancisce il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, compresa la libertà di cambiare religione o credo.

 Diritto dell’Unione europea

 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

8.        L’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (9) corrisponde all’articolo 9, paragrafo 1, della CEDU. Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. L’articolo 52, paragrafo 3, stabilisce che i diritti sanciti dalla Carta devono essere interpretati coerentemente ai corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU.

 La direttiva qualifiche

9.        La direttiva qualifiche è una delle misure integranti il sistema comune europeo di asilo. Essa è basata sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra, che costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (10). La direttiva mira a fissare norme minime e criteri comuni per tutti gli Stati membri per il riconoscimento e il contenuto dello status di rifugiato, per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, e per una procedura d’asilo corretta ed efficiente (11). Sono riconosciuti e osservati i diritti fondamentali e i principi riconosciuti dalla Carta (12). Nel trattamento delle persone che rientrano nel campo di applicazione della direttiva qualifiche, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi previsti dagli strumenti di diritto internazionale (13).

10.      Riflettendo l’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, la direttiva qualifiche definisce il rifugiato come «(...) un cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12» (14).

11.      L’esame dei fatti e delle circostanze relativi alle domande per il riconoscimento dello status di rifugiato è disciplinato dall’articolo 4. Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la sua domanda. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda (15).

12.      Ai sensi della direttiva qualifiche, «i responsabili della persecuzione o del danno grave» possono essere lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato e soggetti non statuali (16).

13.      La protezione dalla persecuzione può essere offerta, inter alia, dallo Stato (17). Tale protezione è in generale fornita se lo Stato, per esempio, adotta adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, avvalendosi di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire tali atti e se il richiedente ha accesso a tale protezione (18).

14.      Un individuo che soddisfa i requisiti di cui al capo II della direttiva qualifiche relativi alla valutazione delle domande di protezione internazionale viene riconosciuto come rifugiato se è in grado di dimostrare di essere stato sottoposto ad atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, o di avere ragione di temerli. Tali atti devono essere sufficientemente gravi, per loro natura, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti inderogabili sanciti nell’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU (19) o costituire la somma di diverse misure il cui impatto sia sufficientemente grave da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali (20). Gli atti che rientrano nella definizione di persecuzione comprendono: «provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio» (21); «azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie» (22), e «azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2» (23). I motivi di persecuzione di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione descritti nell’articolo 9 della direttiva qualifiche (24).

15.      I motivi elencati nell’articolo 10, paragrafo 1, includono:

«d)      (...) [l’appartenenza a] un particolare gruppo sociale in particolare quando:

–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e

–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante;

(…);

e)      il termine “opinione politica” si riferisce, in particolare, alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti».

16.      Un cittadino di un paese terzo è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva qualifiche se rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 della stessa. Ai fini della presente causa, l’esclusione che rileva è quella di cui all’articolo 12, paragrafo 2, che riflette la formulazione dell’articolo 1, sezione F, della Convezione di Ginevra. Pertanto, una persona è esclusa dalla protezione ai sensi della direttiva ove sussistano fondati motivi per ritenere che abbia commesso «un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini» (25). L’articolo 12, paragrafo 2, «si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati» (26).

17.      Gli Stati membri devono riconoscere lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II e III della direttiva qualifiche (27).

 Normativa nazionale

18.      Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, le disposizioni nazionali che forniscono la definizione di rifugiato derivano dall’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra. Un individuo è escluso da tale definizione ove sussistano serie ragioni per ritenere che ricorra uno dei motivi di cui all’articolo 1, sezione F, di tale Convenzione (28).

19.      La normativa nazionale prevede un divieto di espulsione verso uno Stato dove la vita o la libertà di un individuo siano minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. Ove tali minacce provengano dallo Stato, esse rappresentano una persecuzione ai sensi delle disposizioni nazionali rilevanti (29).

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

20.      Nell’introduzione alle presenti conclusioni ho rilevato alcuni elementi di fatto riguardanti il sig. Shepherd che si ricavano dall’ordinanza di rinvio.

21.      Con provvedimento del 31 marzo 2011, il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati; in prosieguo: il «Bundesamt») respingeva la richiesta di asilo presentata dal sig. Shepherd, per i seguenti motivi: i) non sussiste alcun diritto fondamentale all’obiezione di coscienza; ii) il sig. Shepherd avrebbe potuto dimettersi dal servizio in modo legale, e iii) egli non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), letto in combinato disposto con l’articolo 12 della direttiva qualifiche. Tale direttiva presuppone che siano stati commessi atti contrari al diritto internazionale nel conflitto in questione. Le forze armate statunitensi non tollerano tali violazioni e a maggior ragione non le incoraggiano. Il sig. Shepherd era un semplice meccanico di elicotteri; non ha partecipato personalmente ai combattimenti. Non vi sono indicazioni che abbia indirettamente partecipato a crimini di guerra e/o che i «suoi» elicotteri siano stati coinvolti in tali crimini. Nemmeno una sua indiretta partecipazione a tali crimini sarebbe sufficiente per stabilire al riguardo la sua responsabilità penale ai sensi dell’articolo 25 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (30). Inoltre, quanto ad un eventuale crimine contro la pace, a prescindere dalla questione se l’invasione dell’Iraq abbia violato o meno il diritto internazionale, il sig. Shepherd non verrebbe comunque considerato come «autore», non trattandosi di un militare di alto rango. Inoltre, già in occasione della prima permanenza del sig. Shepherd in Iraq, l’intervento delle forze della coalizione in tale paese era stato legittimato dal diritto internazionale.

22.      Infine, il Bundesamt ha ritenuto che, qualora il sig. Shepherd sia perseguito dalle autorità degli Stati Uniti per violazione dei suoi obblighi militari, in particolare per diserzione, l’esercizio di tale azione nei suoi confronti sarebbe solo espressione dell’interesse legittimo del suo paese d’origine

23.      Il 7 aprile 2011 il sig. Shepherd ha impugnato la decisione del Bundesamt dinanzi al giudice del rinvio. Egli ritiene che il Bundesamt si sia erroneamente concentrato sulla nozione di atti di persecuzione, trascurando la nozione di motivi di persecuzione. Il Bundesamt avrebbe erroneamente applicato principi di diritto penale internazionale ad una richiesta di asilo e, pertanto, avrebbe erroneamente concluso che lo status di rifugiato può essere riconosciuto all’obiettore solo se questi possa provare «al di là di ogni ragionevole dubbio» che, rimanendo nelle forze armate, si sarebbe reso colpevole della commissione di un delitto sanzionato dal diritto penale internazionale. Il giudice del rinvio spiega che la richiesta del sig. Shepherd è fondata sul timore di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche, affermando che vi sono due motivi di persecuzione: i) la sua appartenenza ad un gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e/o ii) la sua opinione politica ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e). Nel corso della fase orale, questa Corte è stata informata che il sig. Shepherd si basa esclusivamente sull’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) (31).

24.      Ciò premesso, il Verwaltungsgericht sottopone le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della [direttiva qualifiche] debba essere interpretato nel senso che ricadono nell’ambito della tutela solo quelle persone i cui concreti incarichi militari consistano nella diretta partecipazione ai combattimenti e quindi a operazioni che prevedono l’impiego di armi, o che dispongano dei poteri per ordinare simili operazioni (prima alternativa), o se anche altri membri delle forze armate possano beneficiare della tutela accordata da detta disciplina quando il loro incarico si esaurisca nel sostegno logistico e tecnico alle truppe al di fuori delle operazioni militari vere e proprie e abbia effetti solo indiretti sull’effettivo andamento dei combattimenti (seconda alternativa).

2)      In caso di risposta alla prima questione nel senso della seconda alternativa:

Se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della [direttiva qualifiche] debba essere interpretato nel senso che il servizio militare prestato nell’ambito di un conflitto (internazionale o nazionale) debba indurre o obbligare, prevalentemente o in modo sistematico, a commettere crimini, reati o atti ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della [direttiva qualifiche] (prima alternativa), o se sia sufficiente che il richiedente asilo dimostri che le forze armate cui egli appartiene abbiano commesso in singoli casi, nella zona delle operazioni in cui esse sono intervenute, crimini ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), [della direttiva qualifiche], perché singoli ordini operativi sono risultati essere criminosi ai sensi di tale norma o perché si sono verificati eccessi da parte di singole persone (seconda alternativa).

3)      In caso di risposta alla seconda questione nel senso della seconda alternativa:

Se la protezione come rifugiato sia concessa solo quando sia altamente probabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si verificheranno anche in futuro violazioni del diritto umanitario internazionale o se sia sufficiente che il richiedente asilo deduca circostanze indicanti che, nel quadro dello specifico conflitto, vengono commessi (necessariamente o verosimilmente) tali crimini e che pertanto non è possibile escludere che egli possa esserne coinvolto.

4)      Se la circostanza che un tribunale militare non tolleri o sanzioni le violazioni del diritto umanitario internazionale escluda una protezione come rifugiato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della [direttiva qualifiche] o se la suddetta circostanza sia invece irrilevante.

Se occorra addirittura che sia intervenuta una sanzione da parte della Corte Penale Internazionale.

5)      Se la protezione come rifugiato sia esclusa in virtù del fatto che l’intervento delle forze armate o lo statuto di occupazione siano legittimati dalla comunità internazionale o si fondino su un mandato del [Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite].

6)      Se, ai fini del riconoscimento della protezione come rifugiato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della [direttiva qualifiche], sia necessario che il richiedente asilo possa essere condannato per l’esercizio delle sue funzioni in base allo statuto della [CPI] (prima alternativa), o se la tutela come rifugiato debba essere già accordata quando tale soglia non sia raggiunta, vale a dire quando il richiedente asilo non abbia motivo di temere una sanzione penale, ma ragioni di coscienza ostino alla prestazione del servizio militare (seconda alternativa).

7)      In caso di risposta alla sesta questione pregiudiziale nel senso della seconda alternativa:

Se il mancato ricorso da parte del richiedente asilo alla normale procedura di obiezione di coscienza, pur sussistendone la possibilità, escluda la protezione come rifugiato a norma delle succitate disposizioni o se la tutela come rifugiato sia ammissibile anche quando si tratti di una decisione di coscienza attuale.

8)      Se la degradazione militare e la condanna a una pena detentiva, con conseguente ostracismo sociale e ripercussioni negative, rappresentino un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b) o c), della [direttiva qualifiche]».

25.      Osservazioni scritte sono state depositate dal sig. Shepherd, dalla Germania, dalla Grecia, dai Paesi Bassi, dal Regno Unito e dalla Commissione europea. Ad eccezione dei Paesi Bassi, tutte le parti hanno svolto le loro difese all’udienza del 25 giugno 2014.

 Osservazioni preliminari

26.      Si può pensare che le circostanze da cui ha origine la richiesta di asilo del sig. Shepherd implichino questioni più ampie, quali le relazioni tra il diritto dell’Unione e il diritto internazionale. Tuttavia, il giudice del rinvio si è concentrato su questioni più circoscritte nella sua ordinanza di rinvio. Sostanzialmente, egli chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche si applichi alla presente fattispecie e, in caso affermativo, come debba essere valutata la domanda di asilo. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), dispone che si è in presenza di atti qualificabili come atti di «persecuzione» ove una persona sia a rischio di azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di taluni atti, compresi crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva. A mio avviso, la Corte, nel fornire risposte al giudice del rinvio, dovrebbe astenersi dall’esplorare le questioni più ampie, non adeguatamente discusse dinanzi ad essa; di conseguenza, non tratterò tali questioni nelle presenti conclusioni.

27.      La Convenzione di Ginevra è uno strumento di diritto vivente, che dovrebbe essere interpretato alla luce delle condizioni attuali e degli sviluppi del diritto internazionale (32). L’UNHCR svolge un ruolo particolare ai sensi della Convenzione, offrendo preziose indicazioni agli Stati membri all’atto di decidere se riconoscere lo status di rifugiato (33). La Convenzione di Ginevra è la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati, e la direttiva qualifiche deve essere interpretata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di tale Convenzione (34). Inoltre, come chiarito dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, l’interpretazione della direttiva qualifiche deve essere effettuata nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti nonché dei diritti riconosciuti dalla Carta (35).

28.      L’interpretazione delle singole disposizioni della direttiva qualifiche deve, inoltre, tenere in considerazione il significato ordinario del linguaggio usato, il suo scopo, l’impianto sistematico e il contesto legislativo. Quanto a quest’ultimo, l’articolo 4 (nel capo II della direttiva) disciplina la valutazione delle domande di protezione internazionale (36). Tale processo di valutazione mira a un bilanciamento di interessi. I veri rifugiati necessitano e meritano protezione; ma agli Stati membri deve essere consentito attuare procedure per distinguere i richiedenti onesti dagli impostori. Indubbiamente si deve tenere conto del fatto che i richiedenti sono spesso persone che hanno sofferto esperienze traumatiche. Tuttavia, il richiedente deve fornire un resoconto chiaro e credibile a sostegno della sua richiesta di asilo.

29.      Nel caso del sig. Shepherd, il giudice del rinvio ha sollevato otto questioni interconnesse e con parziali sovrapposizioni. La questione principale è se una persona nella posizione del sig. Shepherd possa dedurre un atto di persecuzione, come descritto nell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), a sostegno della sua domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della direttiva qualifiche. Pertanto mi concentrerò, in primo luogo, sull’ambito di applicazione di tale disposizione e sul suo collegamento con i «motivi di persecuzione» menzionati all’articolo 10, paragrafo 1, lettere d) ed e).

 Prima questione

30.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti in merito all’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche, in particolare in merito al significato dei termini «(…) quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2» (37). Egli chiede se tale disposizione riguardi solo coloro che partecipano direttamente ai combattimenti oppure si estenda a tutto il personale militare, compresi coloro che forniscano supporto tecnico e logistico, come nel caso di meccanici addetti alla manutenzione di elicotteri.

 L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche

31.      Il sig. Shepherd, la Germania, il Regno Unito e la Commissione ritengono che tutto il personale militare rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche. La Grecia adotta un approccio differente. Essa ritiene che il giudice del rinvio stia indagando sui limiti in cui la persona che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato debba essere coinvolta nella commissione di atti quali crimini di guerra, al fine di stabilirne al riguardo una responsabilità personale. I Paesi Bassi rilevano che il personale che ha un ruolo di supporto generalmente non partecipa ad azioni militari o a combattimenti. Non è però del tutto chiaro se essi ritengano che tale personale possa comunque rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e).

32.      A mio parere, l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche ricomprende tutto il personale militare, compreso quello di supporto logistico e tecnico, quale un meccanico per la manutenzione degli elicotteri.

33.      Nel definire una particolare categoria di «atti di persecuzione», l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), opera un riferimento espresso all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva qualifiche, che dovrebbe essere letto in combinato disposto con l’articolo 12, paragrafo 3 (38). Non vi sono elementi testuali della direttiva qualifiche che circoscrivano l’espressione «quando questo comporterebbe la commissione» al personale di combattimento. La formulazione chiara dell’articolo 12, paragrafo 3 («altrimenti concorrono alla commissione dei»), conferma che le persone non direttamente coinvolte nella commissione delle azioni effettive e che rientrano nell’articolo 12, paragrafo 2, possono tuttavia essere escluse dalla protezione ai sensi della direttiva qualifiche in forza di tale disposizione. Se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), deve essere letto in combinato con l’articolo 12, paragrafi 2 e 3, ne consegue che il timore, da parte della persona interessata, di un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche non può dipendere dalla funzione, qualifica o profilo professionale designato della stessa.

34.      L’inclusione del personale di supporto nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) è, inoltre, coerente con l’obiettivo di fondo della direttiva qualifiche di identificare quelle persone che sono costrette dalle circostanze a cercare protezione nell’Unione europea e che ne hanno effettivamente bisogno (39). Ove una persona sia in grado di dimostrare che, se avesse servito nelle forze armate, sarebbe stata coinvolta nella commissione di uno degli atti identificati come motivo di esclusione nell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva, non vi sono ragioni plausibili per escluderla dall’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche (vi sono, infatti, buone ragioni per ritenere che abbia effettivamente bisogno di protezione).

35.      Inoltre, non trovo alcuna ragione per cui ad una persona sia, o debba essere, precluso invocare l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva per il fatto di essere entrato volontariamente nell’esercito e non in forza di un obbligo. La formulazione «(…) rifiuto di prestare servizio militare (…)» è sufficientemente ampia per ricomprendere chiunque presti servizio militare. Non viene fatta alcuna distinzione tramite riferimento alla modalità con cui la persona interessata sia stata reclutata, il che è pertanto irrilevante.

36.      La fase successiva dell’analisi è più delicata. Occorre accertare se la persona interessata sarebbe indotta a partecipare alla commissione di atti, quali i crimini di guerra di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva qualifiche. Ciò comporta la valutazione delle condizioni di cui all’articolo 12, paragrafo 2, nell’ottica dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e). L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), richiede una valutazione ex ante della posizione del richiedente, e perciò della probabilità della commissione di un atto. L’articolo 12, paragrafo 2, riguarda una valutazione ex post di atti che si sono già verificati.

37.      In primo luogo, ritengo che, sancendo «(…) comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2 (…)», l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), debba essere interpretato nel senso che la persona interessata, nel prestare servizio militare, istigherebbe o altrimenti concorrerebbe alla commissione di tali atti. Tale interpretazione è coerente con la versione francese dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva, e da essa suffragata, «(…) en cas de conflit lorsque le service militaire supposerait de commettre des crimes ou d’accomplir des actes (…)» (40). Il punto focale è quali atti implichi o possa implicare il servizio militare. In secondo luogo, l’uso del modo condizionale indica che la commissione di atti quali quelli elencati nell’articolo 12, paragrafo 2, dipende dalla persona interessata che presta servizio militare (41). In terzo luogo, il condizionale indica anche che la persona interessata non ha ancora commesso tali atti, facendo pertanto riferimento ad eventuali azioni future piuttosto che ad atti compiuti nel passato.

38.      Tale valutazione è pertanto sostanzialmente diversa dall’indagine ex post condotta ove un procedimento penale venga avviato o uno Stato membro voglia dimostrare che una determinata persona dovrebbe essere esclusa dalla protezione fornita dalla direttiva qualifiche perché rientrante nelle categorie escluse delineate dall’articolo 12, paragrafo 2. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), non può essere ragionevolmente interpretato nel senso che impone al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato di dimostrare di rientrare nell’ambito dell’articolo 12, paragrafo 2. Se potesse farlo, per definizione non avrebbe diritto alla protezione.

39.      L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva qualifiche deriva dall’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra. Solo l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a) è rilevante nel caso del sig. Shepherd. Spiegherò brevemente perché sono di questa opinione.

40.      L’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva fa riferimento a persone che hanno commesso un «reato grave di diritto comune». Nell’ordinanza di rinvio nulla suggerisce che il sig. Shepherd rientri in tale categoria. Pertanto non vi è l’esigenza di considerare ulteriormente l’articolo 12, paragrafo 2, lettera b). L’articolo 12, paragrafo 2, lettera c), riguarda persone che si sono rese colpevoli di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite (42). Solo persone che hanno avuto una posizione di potere in uno Stato o in un’entità paragonabile allo Stato possono, a mio avviso, commettere tali atti. Il sig. Shepherd non si trovava in una siffatta posizione.

41.      Tornando pertanto all’articolo 12, paragrafo 2, lettera a): gli atti elencati in tale disposizione e nell’articolo 1, sezione F, lettera a), della Convenzione di Ginevra sono identici. Includono crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, come definiti negli strumenti internazionali elaborati per stabilire disposizioni riguardo a questi crimini (non vi è una separata definizione nella direttiva).

42.      La Carta del Tribunale militare internazionale (43) definisce i «crimini contro la pace» come quelli che implicano la progettazione, la preparazione, lo scatenamento e la continuazione di una guerra d’aggressione, o di una guerra in violazione di trattati o di altri accordi internazionali. Un siffatto crimine, per la sua stessa natura, può essere commesso soltanto da persone che occupano una posizione di rilievo in autorità che rappresentano uno Stato o un’entità paragonabile allo Stato (44). Il sig. Shepherd non si è mai trovato in tale posizione. Pertanto è improbabile che possa aver corso il rischio di commettere un tale atto. I «crimini contro l’umanità» ricomprendono atti quali il genocidio, l’omicidio, lo stupro e la tortura compiuti come parte di un attacco diffuso o sistematico diretto contro la popolazione civile (45). In mancanza di accertamenti in tal senso nell’ordinanza di rinvio, non esaminerò ulteriormente tale questione (46).

43.      Numerosi strumenti internazionali definiscono i «crimini di guerra» (47). Tali crimini includono gravi violazioni di norme di diritto umanitario internazionale che mirano a proteggere persone che non prendono parte, o non prendono più parte, a conflitti e a circoscrivere i metodi e i mezzi di guerra impiegati. È riconosciuto che i crimini di guerra ricomprendono atti di uccisione e di tortura intenzionali di civili (48). Il materiale presente nell’ordinanza di rinvio suggerisce che tale categoria (e solo tale categoria) di presunti crimini di guerra rileva nel caso del sig. Shepherd.

44.      Ho già affermato che il personale militare che non partecipa direttamente ai combattimenti non è escluso dall’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche. Se tali persone dovessero commettere crimini di guerra nell’adempimento dei loro doveri militari, è una questione che deve essere valutata dalle autorità nazionali competenti. Tale valutazione è ardua perché richiede che le suddette autorità considerino atti e conseguenze di azioni che non hanno ancora avuto luogo. La questione quindi diviene se sia plausibile che gli atti della persona interessata rendano possibile la commissione di crimini di guerra (49).

45.      La Corte non può ragionevolmente proporre criteri esaustivi da applicare da parte delle autorità nazionali. Per esempio, il personale militare che lavora presso il barbiere di una base dell’esercito degli Stati Uniti per garantire che tutto il personale in servizio abbia il taglio di capelli standard è estraneo alle operazioni di combattimento e, pertanto, potrebbe difficilmente dimostrare un siffatto collegamento diretto. Tuttavia, una persona che arma un aereo con bombe o che si occupa della manutenzione dei jet da combattimento ha maggiori probabilità di dimostrare che il suo ruolo è direttamente connesso a tali operazioni e, pertanto, alla possibilità di commettere crimini di guerra. A tal proposito, un membro delle forze armate che pilota o fa parte dell’equipaggio di un aereo o un elicottero che lancia un missile o spara a raffica su una colonna di rifugiati civili è chiaramente più vicino nella catena di eventi alla commissione di un crimine di guerra rispetto alla persona che ha armato l’aereo o l’elicottero e che si è assicurata che fosse pronto per il combattimento. Tuttavia, non ne consegue che il meccanico per la manutenzione non possa essere «coinvolto» (o che non vi sia alcuna possibilità che possa essere coinvolto) nella commissione di tale crimine.

46.      In sostanza, ritengo che le autorità nazionali debbano considerare se vi sia una connessione diretta tra gli atti della persona interessata e la ragionevole probabilità che possano essere commessi crimini di guerra, tale che la persona interessata possa essere indotta a partecipare alla commissione di crimini di guerra perché le sue azioni integrano un elemento necessario di tali crimini. Sostanzialmente, occorre accertare se, senza tale contributo o senza tutti i contributi forniti da coloro che si trovino nella situazione della persona interessata, i crimini di guerra o gli atti non sarebbero possibili.

 Qualifica di rifugiato

47.      Ad una persona che abbia il timore fondato di essere perseguitato per motivi quali l’appartenenza a un particolare gruppo sociale [articolo 10, paragrafo 1, lettera d)] o la sua opinione politica [articolo 10, paragrafo 1, lettera e)] e che soddisfa i requisiti di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva qualifiche deve essere riconosciuto lo status di rifugiato (50). Vi deve essere una connessione tra i motivi elencati nell’articolo 10 e gli atti di persecuzione definiti dall’articolo 9 della direttiva qualifiche. Secondo il giudice del rinvio, la domanda del sig. Shepherd volta al riconoscimento dello status di rifugiato si fonda sull’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), letto in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), e con l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e). Tuttavia, all’udienza dinanzi alla Corte, il difensore del sig. Shepherd ha indicato che la sua causa era stata proposta esclusivamente sulla base degli articoli 9, paragrafo 2, lettera e), e 10, paragrafo 1, lettera d) [in altre parole, non si era basata sull’articolo 10, paragrafo 1, lettera e)]. Il giudice del rinvio non ha chiesto alla Corte di interpretare l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva qualifiche. Ciononostante, ritengo necessario esaminare anche tale disposizione alla luce delle difese orali svolte dal sig. Shepherd.

48.      Ritengo che il sig. Shepherd rientri chiaramente nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva qualifiche. La professione di un’opinione politica include la professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ad uno Stato e alle sue politiche o metodi, e deve ricomprendere la convinzione che una persona non debba prestare servizio militare in un conflitto ove ciò possa condurre alla commissione di crimini di guerra.

49.      Tuttavia, la questione è meno chiara in relazione all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) (appartenenza a un particolare gruppo sociale).

50.      Il sig. Shepherd afferma che la sua convinzione relativa al fatto che partecipare alla guerra in Iraq avrebbe significato correre il rischio di commettere atti elencati nell’articolo 12, paragrafo 2, è così fondamentale per la sua coscienza che non dovrebbe essere obbligato ad agire in contrasto con essa [ipotesi quindi rientrante nella previsione di cui al primo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d)]; egli è pertanto membro di un gruppo che ha un’identità distinta all’interno degli Stati Uniti perché vi è percepito come diverso dalla società circostante [ai sensi del secondo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d)].

51.      Se ciò sia vero, dipende da numerosi fattori.

52.      L’espressione «obiettore di coscienza» non è presente nel testo dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, che riflette minuziosamente l’articolo 9, paragrafo 1, della CEDU. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha cionondimeno stabilito che l’opposizione al servizio militare – ove sia motivata da un conflitto grave e insormontabile tra l’obbligo di prestare servizio militare e la coscienza di una persona – costituisce una convinzione di sufficiente rigore, serietà, fermezza e rilevanza da essere tutelata dall’articolo 9, paragrafo 1, della CEDU (51). L’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dovrebbe pertanto essere interpretato in maniera analoga. L’articolo 10, paragrafo 2, della Carta individua e riconosce il diritto all’obiezione di coscienza conformemente alla normativa nazionale che disciplina l’esercizio di tale diritto (52).

53.      Tuttavia, il termine «obiezione di coscienza» ha più di un significato. Viene inteso nel senso che ricomprende i pacifisti (come i quaccheri), per i quali l’obiezione alle azioni militari è assoluta (53). Esso può anche fare riferimento a persone che oppongono obiezione ad un determinato conflitto sulla base di motivi giuridici, morali o politici o che oppongono obiezione rispetto ai mezzi e ai metodi utilizzati per tale conflitto.

54.      Capisco che si possa piuttosto facilmente considerare che coloro che oppongono un’obiezione assoluta alle azioni militari «condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). La loro posizione è chiara e univoca. Non sono disponibili, in nessuna circostanza, a contemplare l’uso della forza. La loro posizione è facilmente credibile poiché chiaramente delineata.

55.      Coloro che formulano un’obiezione meno marcata all’uso della forza sono in una posizione più difficile. È proprio l’oggetto della loro obiezione di coscienza che varia da una persona all’altra. Una persona potrebbe fare obiezione ad una determinata guerra; un’altra ai mezzi e ai metodi impiegati in un dato conflitto; una terza potrebbe obiettare sulla base di motivi estremamente personali in quanto le viene imposto di combattere contro il suo gruppo etnico. Poiché non vi è un’obiezione assoluta all’uso della forza, bensì solo un’obiezione parziale, tali individui possono di conseguenza trovare difficile rendere credibile la loro posizione e dimostrare che la loro obiezione individuale è di coscienza e di principio piuttosto che di convenienza. Potrebbe pertanto essere più difficile giustificarne l’inclusione nell’ambito dell’applicazione del primo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d).

56.      Vedo meno difficoltà in relazione al secondo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). Dal punto di vista concettuale, è perfettamente plausibile che tanto coloro la cui obiezione all’uso della forza sia assoluta quanto coloro la cui obiezione sia più sfumata possano (separatamente o congiuntamente) formare un gruppo che «possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi» (nella fattispecie, gli Stati Uniti) «perché vi è percepito come diverso dalla società circostante». Spetta alle autorità competenti accertare se tale ipotesi ricorra sulla base degli elementi di prova ad esse presentati, accertamento sottoposto al controllo dei giudici nazionali.

57.      Si pone quindi la questione se, sulla base di tali criteri, il caso del sig. Shepherd rientri nell’ambito di applicazione dei due trattini (cumulativi) dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d).

58.      Il giudice del rinvio ha spiegato che l’obiezione del sig. Shepherd alle azioni militari non è assoluta. Egli era arruolato nell’esercito degli Stati Uniti, e non rifiuta del tutto l’uso della forza armata. La sua obiezione riguarda piuttosto lo svolgimento di una determinata guerra con determinate modalità (modalità che egli ritiene abbiano ricompreso, e/o possano ricomprendere in futuro, la commissione di crimini di guerra); egli temeva di potersi trovare coinvolto in tali attività se fosse rimasto nelle forze armate e avesse obbedito agli ordini di tornare in Iraq.

59.      In primo luogo, le autorità nazionali devono stabilire se qualificare il sig. Shepherd come obiettore di coscienza o come disertore. Ai fini di tale accertamento, esse devono considerare se il sig. Shepherd professi una convinzione di sufficiente rigore, serietà, fermezza e rilevanza in relazione al conflitto in questione da considerare ricorrente l’ipotesi di cui al primo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d): in altre parole, se il sig. Shepherd sia un semplice disertore o, come afferma con veemenza, abbia opposto un’obiezione di coscienza a prestare di nuovo servizio militare in Iraq. Qualora le autorità nazionali lo considerino un puro e semplice disertore, è altamente improbabile che egli possa far valere l’ipotesi di cui al primo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). Dal momento che le condizioni di entrambi i trattini dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), devono essere soddisfatte, sarebbe poi irrilevante accertare se coloro che disertano dal servizio militare siano considerati come un singolo gruppo uniforme dalla società.

60.      Se, al contrario, le autorità nazionali decidessero che il sig. Shepherd ha rifiutato di proseguire il servizio militare in Iraq a causa di un conflitto grave e insormontabile tra le conseguenze dell’obbligo di servire nelle forze armate da lui ragionevolmente previste e la sua coscienza, ricorrerebbe l’ipotesi di cui al primo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d). Le autorità nazionali dovrebbero quindi considerare se, sulla base del materiale di cui dispongono, sia ragionevole supporre che, negli Stati Uniti, le persone nella posizione specifica del sig. Shepherd siano percepite come diverse e siano soggette ad un particolare trattamento da parte della società in generale. Se così è, anche le condizioni di cui al secondo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), sarebbero soddisfatte. Ritengo che non vi siano informazioni sufficienti a disposizione della Corte perché essa sia in grado di offrire una maggiore assistenza su tale punto.

 Seconda questione

61.      Il giudice del rinvio formula la sua questione ponendo due alternative. Egli chiede se, affinché l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche sia applicabile, il conflitto in questione debba implicare prevalentemente o in modo sistematico la commissione dei crimini o degli atti elencati all’articolo 12, paragrafo 2, della stessa o se sia sufficiente che il richiedente dimostri che le forze armate cui egli appartiene abbiano commesso in singoli casi tali atti.

62.      A mio avviso, nessuna delle due alternative è determinante rispetto alla questione se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche si applichi o meno. Ciò che rileva è la probabilità che il richiedente corra il rischio di commettere crimini di guerra. La persona interessata deve dimostrare perché ritiene che correrebbe il rischio di commettere tali crimini se adempisse ai suoi obblighi militari.

63.      Nel caso di un conflitto rispetto al quale si dichiari che tali atti sono già stati compiuti in modo sistematico e il materiale probatorio sia di pubblico dominio, potrebbe essere (in termini relativi) meno difficile per un richiedente soddisfare tale requisito. In mancanza di cambiamenti politici prima del suo invio sul teatro di guerra, egli avrebbe motivi ragionevoli per affermare che tali atti potrebbero plausibilmente essere compiuti in futuro e che egli potrebbe essere coinvolto in essi. Ove affermi che tali atti siano stati compiuti in un conflitto in casi singoli e isolati, il richiedente deve affrontare un compito più difficile. Dovrà dimostrare perché ritiene probabile che le sue azioni, se prestasse servizio militare, lo esporrebbero al rischio di essere coinvolto nella commissione di crimini di guerra (l’elemento soggettivo). Pertanto (per esempio) dovrebbe spiegare perché, dato il luogo in cui sarebbe stato inviato e gli atti che gli sarebbe stato imposto di compiere, potrebbe plausibilmente ritenere di essere coinvolto in tali crimini. Vi è anche un elemento oggettivo: sulla base delle informazioni disponibili, è ragionevole concludere che il richiedente possa trovarsi in tale situazione? Pertanto, è necessario valutare se vi siano ragioni obiettive per ritenere che la persona interessata possa essere coinvolta nella commissione di crimini di guerra.

 Terza questione

64.      Ritengo che la risposta alla terza questione sia necessariamente ricompresa nella risposta che ho proposto in relazione alla seconda questione. Non è necessario stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio che ci si possa aspettare che si verifichino violazioni del diritto umanitario internazionale.

 Sesta questione

65.      È opportuno trattare poi la sesta questione, con la quale il giudice del rinvio chiede se sia necessario tenere conto delle disposizioni dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (in prosieguo: la «CPI») nel considerare l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche.

66.      Non ritengo che le disposizioni dello Statuto della CPI siano pertinenti. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche non riguarda coloro che potrebbero subire azioni giudiziarie per la commissione di crimini internazionali. Al contrario, il suo fine è accordare protezione alle persone che intendono evitare di commettere tali atti nel prestare servizio militare. L’utilizzo, come criterio di riferimento, delle probabilità che il soldato X sia sottoposto con successo ad azione giudiziaria per un crimine di guerra, al fine di decidere se detto soldato debba essere protetto come rifugiato perché vuole evitare di trovarsi in una posizione in cui rischierebbe di essere sottoposto con successo ad azione giudiziaria, si pone direttamente in contrasto con tale fine. L’articolo 4 della direttiva qualifiche descrive l’esame dei fatti e delle circostanze richiesti per valutare una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. In definitiva, la questione è se, in un determinato caso, la richiesta del richiedente sia credibile. Le norme stabilite dal diritto penale internazionale per perseguire efficacemente i crimini di guerra sono completamente differenti (sono molto più esigenti) e non rivestono alcun ruolo in tale valutazione (54).

 Quarta questione

67.      Il giudice del rinvio chiede con detta questione se il riconoscimento dello status di rifugiato sia escluso in talune circostanze. Nello specifico, chiede: a) se il fatto che le autorità nel paese di nazionalità di un richiedente perseguano penalmente crimini di guerra escluda la possibilità per il richiedente di invocare l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche, e b) se l’azione giudiziaria dinanzi alla CPI sia rilevante. Nel suo commento, il giudice del rinvio suggerisce che, ove esistano tali strumenti per perseguire e sanzionare coloro che commettono crimini di guerra, si potrebbe ritenere improbabile che crimini di guerra vengano commessi in quanto non tollerati dallo Stato in questione. Il fatto stesso che i crimini di guerra siano perseguiti – tale è l’argomentazione – significa che lo Stato fornisce protezione da atti persecutori ai sensi dell’articolo 7 della direttiva qualifiche.

68.      A mio avviso, ad entrambe le questioni va data una secca risposta negativa. L’esistenza di strumenti nazionali o internazionali per perseguire i crimini di guerra può, in via di principio, essere un deterrente rispetto alla loro commissione. Tuttavia, è un fatto triste ma innegabile che, sebbene tali strumenti esistano, vengano talvolta commessi crimini di guerra nel fervore di un conflitto (55) (così come la presenza in ordinamenti giuridici civilizzati di leggi che perseguono e puniscono lo stupro e l’omicidio purtroppo non garantiscono che non si verifichino stupri o omicidi). Se si intende attribuire all’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche il valore di mezzo atto a tutelare coloro che rischiano di essere costretti a partecipare alla commissione di crimini di guerra, esso deve spiegare la sua efficacia indipendentemente dal fatto che esistano e vengano impiegati strumenti nazionali o internazionali per perseguire e punire i crimini di guerra.

 Quinta questione

69.      Con tale questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), possa essere invocato nonostante l’azione militare sia autorizzata dalla comunità internazionale o intrapresa ai sensi di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

70.      Non sono sicuro di comprendere cosa si intenda precisamente, dal punto di vista giuridico, con l’espressione «autorizzata dalla comunità internazionale». La Carta delle Nazioni Unite non definisce la nozione di guerra legittima; né sono a conoscenza di un altro strumento internazionale che colmi tale lacuna (se di lacuna si tratta) (56). Non vedo come tentare di definire l’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche tramite riferimento ad un’espressione indefinita possa aiutare a risolvere la questione. Poiché l’esistenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non costituisce un prerequisito per dare inizio a una guerra o per difendersi da un atto di aggressione, la sua esistenza o meno non può essere determinante per stabilire se ci si trovi in presenza degli atti elencati nell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva qualifiche. Pertanto, anche ove un conflitto sia preceduto da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi l’uso della forza in determinate circostanze e a determinate condizioni, ciò non può significare che «per definizione» non possano essere commessi e non saranno commessi crimini di guerra.

71.      Concludo pertanto, in risposta alla presente questione, che l’esistenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relativo al conflitto in questione non sopperisce all’esigenza della valutazione condotta ai sensi dell’articolo 4 della direttiva qualifiche e non influisce sul suo risultato, né esclude di per sé la possibilità che gli atti elencati nell’articolo 12 della direttiva qualifiche siano stati o possano essere commessi.

 Settima questione

72.      Nell’ultima delle sue questioni relative all’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche, il giudice del rinvio chiede se, prima di potersi basare su tale disposizione, un richiedente debba avvalersi della normale procedura di obiezione di coscienza presso le autorità nazionali.

73.      Devo innanzitutto ricordare che, se il sig. Shepherd dovesse fare ritorno negli Stati Uniti, potrebbe essere sottoposto ad azioni o a sanzioni penali per diserzione e non per obiezione di coscienza.

74.      Non è chiaro cosa intenda il giudice del rinvio con «la normale procedura di obiezione di coscienza». Nei limiti in cui l’espressione sia riferita a procedure disponibili nell’ordinamento giuridico degli Stati Uniti per presentare una siffatta domanda, questa Corte non possiede elementi per stabilire se il sig. Shepherd possa accedere a una siffatta procedura ai sensi della normativa degli Stati Uniti o se essa gli sia preclusa perché (come rileva il giudice del rinvio) la sua obiezione all’uso della forza armata non è assoluta. Richiamo qui l’attenzione sul paragrafo 1-5, lettera a), punto 4, dell’Army Regulation (Regolamento delle Forze armate) 600‑43, che stabilisce che «le domande del personale dirette ad ottenere il riconoscimento dell’obiezione di coscienza dopo l’ingresso nelle forze armate non saranno valutate in modo favorevole ove (…) [f]ondate sull’obiezione ad una determinata guerra». Ovviamente, non so come tale disposizione sia stata interpretata nella pratica dai tribunali militari degli Stati Uniti.

75.      Spetta alle autorità nazionali verificare (se necessario, con l’ausilio di perizie) se il sig. Shepherd sia nel giusto nel ritenere che non avrebbe potuto essere riconosciuto come obiettore di coscienza ai sensi della normativa degli Stati Uniti. Se avesse potuto invocare tale procedura con ragionevoli prospettive di successo, ma non lo ha fatto, non vedo alcun motivo per cui dovrebbe essergli riconosciuto lo status di rifugiato a causa di persecuzione, che (sulla base di tale presunzione) avrebbe potuto evitare senza compromettere le sue convinzioni. Al contrario, se in quanto membro del personale militare gli sarebbe stato precluso il riconoscimento dello status di obiettore di coscienza sulla base della sua obiezione ad un suo nuovo intervento in Iraq, il fatto che non abbia presentato una richiesta per il riconoscimento di tale status non può incidere in nessun modo sulla sua domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva qualifiche.

 Ottava questione

76.      Con l’ottava questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti in merito a due diversi tipi di «atti di persecuzione» individuati nella direttiva qualifiche, vale a dire, da un lato, «provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio» [articolo 9, paragrafo 2, lettera b)] e, dall’altro, «azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie» [articolo 9, paragrafo 2, lettera c)]. Il giudice del rinvio chiede se la degradazione militare che segue una condanna ad una pena detentiva, l’ostracismo sociale e le ripercussioni negative associate ad una siffatta pena rappresentino atti di persecuzione ai sensi di tali disposizioni.

77.      L’ottava questione è indipendente dalle altre. Nell’affrontarla, ricordo che il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato sorge soltanto ove un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9 sia collegato ad un motivo di persecuzione di cui all’articolo 10 (57). Tutte le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte, compreso il sig. Shepherd, accettano che gli Stati possano imporre sanzioni al personale militare che si rifiuti di prestare servizio militare ove la diserzione non sia fondata su valide ragioni di coscienza e a condizione che qualsiasi sanzione e i procedimenti associati osservino gli standard internazionali. A mio parere, l’ottava questione è quindi rilevante solo se le autorità nazionali concludano che il sig. Shepherd non riteneva plausibilmente che avrebbe corso il rischio di commettere crimini di guerra in caso di un suo reimpiego in Iraq [perciò, di conseguenza, egli non sarebbe interessato dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera e)], ma ritengano che nel suo caso siano tuttavia soddisfatte le condizioni di entrambi i trattini dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d) (appartenenza ad un particolare gruppo sociale) o che si applichi l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), a causa delle convinzioni politiche che professa in relazione allo svolgimento della guerra in Iraq. Si potrebbe forse descrivere tale posizione del sig. Shepherd come quella di un «disertore per motivi di coscienza».

78.      Si pone la questione se sottoporre a corte marziale e punire una siffatta persona sia discriminatorio o sproporzionato, così da rientrare nell’ambito dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), o dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera c).

79.      I procedimenti di corte marziale e/o degradazione militare rientrano chiaramente nell’espressione «provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari» di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettera b). Tuttavia, un richiedente deve dimostrare che tali misure siano di per se stesse discriminatorie o siano applicate in modo discriminatorio. Poiché il sig. Shepherd si basa sull’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva (appartenenza ad un particolare gruppo sociale), nell’effettuare tale valutazione è necessario considerare se vi siano gruppi sociali negli Stati Uniti comparabili a quello al quale il sig. Shepherd dichiara di appartenere, nei limiti in cui tali gruppi si trovino in una situazione analoga, se sia più probabile che il suo gruppo, rispetto al gruppo comparabile, subisca discriminazioni e se possa essere giustificata una disparità di trattamento apparente. In assenza di elementi, nel fascicolo, che dimostrino l’esistenza, nel caso di specie, di siffatta discriminazione, spetta alle autorità nazionali la necessaria dettagliata valutazione dei fatti e delle circostanze al fine di accertarne la realtà.

80.      È altrettanto impossibile affermare in astratto se un’eventuale azione penale sia sproporzionata o discriminatoria, o se la probabile sanzione penale in cui incorrerebbe il sig. Shepherd, se condannato per diserzione (58), sarebbe sproporzionata; e pertanto se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), entrerebbe in gioco. In termini generali, nel valutare se l’azione o sanzione penale per diserzione sia sproporzionata, è necessario considerare se tali atti vadano oltre quanto necessario allo Stato interessato per esercitare il suo legittimo diritto di mantenere una forza armata. Le condanne descritte dal giudice del rinvio non sembrano essere sproporzionate in modo evidente. In definitiva, anche tali questioni devono essere valutate dalle autorità nazionali alla luce delle circostanze del caso.

81.      A fini di completezza, aggiungo che i criteri sarebbero gli stessi ove venisse dedotto il motivo di persecuzione di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera e) (opinione politica). Tuttavia, poiché la nozione di gruppo sociale non è rilevante ai fini di tale motivo, sarebbe molto difficile per una persona nella posizione del sig. Shepherd dimostrare la discriminazione esclusivamente sulla base della sua posizione individuale. Egli incontrerebbe anche difficoltà a identificare il gruppo adatto a fungere da necessario riferimento.

82.      L’ostracismo sociale non è individuato come tale nell’articolo 9, paragrafo 2, come un «atto di persecuzione» e, a mio avviso, non rientra naturalmente nell’articolo 9, paragrafo 2, lettere b) o c). Ciò posto, è certamente vero che l’elenco di cui all’articolo 9, paragrafo 2, non è esaustivo. Il fatto che l’ostracismo sociale sia il risultato delle azioni di «soggetti non statuali» [come definiti nell’articolo 6, lettera c), della direttiva] non preclude di per sé che venga considerato quale (ulteriore) atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2.

83.      Tuttavia, al fine di poter giustificare una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato meritevole di accoglimento, gli atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, devono «essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali» [articolo 9, paragrafo 1, lettera a)] (59) o «costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo» [articolo 9, paragrafo 1, lettera b)]. La Corte non dispone di informazioni da cui poter evincere se un’eventuale azione o sanzione penale, o un eventuale ostracismo sociale cui il sig. Shepherd potrebbe essere soggetto ove facesse ritorno negli Stati Uniti, sarebbe sufficientemente grave da oltrepassare tale soglia. Si tratta (ancora una volta) di questioni che devono essere determinate dalle autorità nazionali competenti, con decisione poi soggetta al controllo del giudice nazionale competente.

 Conclusioni

84.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele dal Bayerisches Verwaltungsgericht München (Germania) come segue:

–        L’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, si estende al personale militare che non partecipa direttamente ai combattimenti, ove tale personale possa, nel prestare servizio militare, essere indotto ad istigare o altrimenti concorrere alla commissione di crimini o atti analoghi menzionati in tale disposizione.

–        Nel valutare se ciò si sia verificato, le autorità nazionali devono considerare: i) se vi sia una connessione diretta tra gli atti della persona interessata e la ragionevole probabilità che possano essere commessi crimini di guerra, in quanto le sue azioni costituiscono un elemento necessario di tali crimini e senza il suo contributo, o tutti gli altri contributi forniti da coloro che si trovino nella sua situazione, i crimini o gli atti di guerra non potrebbero verificarsi; ii) se vi siano ragioni obiettive per ritenere che la persona interessata possa essere coinvolta nella commissione di crimini di guerra. A tal proposito, è in contrasto con l’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83 l’applicazione di: a) un grado di rilevanza penale della prova (quale «al di là di ogni ragionevole dubbio»), o b) principi derivati dal diritto penale internazionale.

–        Il fatto che le autorità del paese di cittadinanza del richiedente perseguano crimini di guerra non preclude a quest’ultimo di invocare l’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2004/83; è altrettanto irrilevante, al riguardo, che un’azione giudiziaria penda dinanzi alla Corte penale internazionale.

–        L’esistenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relativo al conflitto in questione non preclude la proposizione di domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato fondate sull’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83.

–        Una persona che rifiuta di prestare servizio militare non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83 senza avere previamente esperito, senza successo, ogni procedura disponibile per ottenere il riconoscimento dello status di obiettore di coscienza, o a meno che tali procedure non fossero plausibilmente disponibili.

–        Nel valutare se una persona che rifiuta di prestare servizio militare possa essere considerata membro di un particolare gruppo sociale ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83, è necessario prendere in considerazione: i) se professi una convinzione di sufficiente rigore, serietà, fermezza e rilevanza; ii) se, in forza di tale convinzione, soddisfi i requisiti del primo trattino di tale disposizione nel senso che la sua obiezione sorge da una convinzione fondamentale per la sua coscienza, e iii) se le persone che professano tale convinzione siano percepite come diverse nel loro paese di origine ai sensi del secondo trattino dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d).

–        Nei limiti in cui il richiedente si basi sull’articolo 9, paragrafo 2, lettera b) e sull’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83, è necessario che le autorità nazionali competenti valutino se la degradazione militare e la condanna ad una pena detentiva siano discriminatorie in quanto egli è membro di un particolare gruppo sociale. Nell’effettuare tale valutazione è necessario considerare se vi siano gruppi sociali nel paese interessato comparabili a quello cui il richiedente afferma di appartenere, ossia che si trovino in una situazione analoga, e se è probabile che il gruppo del richiedente sia soggetto ad un trattamento diverso per la ragione che questi potrebbe essere sottoposto a un procedimento di corte marziale e/o alla degradazione militare e se possa essere giustificata un’apparente disparità di trattamento.

–        Nei limiti in cui il richiedente si basi sull’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2004/83, è necessario che le autorità nazionali competenti valutino se l’azione giudiziaria o la sanzione penale per diserzione siano sproporzionate. A tal proposito è necessario considerare se tali atti vadano oltre quanto necessario allo Stato interessato per esercitare il suo legittimo diritto di mantenere le forze armate.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      V. infra, paragrafi da 48 a 59.


3 –      V. infra, paragrafi da 20 a 23, ove espongo sommariamente la controversia nel procedimento principale.


4 –      La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, è entrata in vigore il 22 aprile 1954 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»). Essa è stata completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967. Tale protocollo non è rilevante per rispondere alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale.


5 –      Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12) (in prosieguo: la «direttiva qualifiche» o la «direttiva»). Tale direttiva è stata abrogata e sostituita, in forma di rifusione, dalla direttiva 2011/95/EU (GU L 337, pag. 9). Il testo delle disposizioni rilevanti non ha subìto modifiche sostanziali.


6 –      Primo sottoparagrafo dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra.


7 –      L’articolo 1, sezione F, lettere b) e c), della Convenzione di Ginevra prevede, rispettivamente, che essa non si applichi a quelle persone che abbiano commesso un crimine grave di diritto comune al di fuori del paese di accoglimento; o che si siano rese colpevoli di azioni contrarie ai principi delle Nazioni Unite.


8 –      Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).


9 –      GU 2010, C 83, pag. 389.


10 –      Considerando da 1 a 4. V. anche direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13) (in prosieguo: la «direttiva procedure»), che si applica a tutte le domande d’asilo presentate nel territorio dell’Unione.


11 –      Considerando da 1 a 4, 6, 7, 8, 10, 11 e 17.


12 –      Considerando 10.


13 –      Considerando 11.


14 –      Articolo 2, lettera c).


15 –      Articolo 4, paragrafo 1.


16 –      Articolo 6.


17 –      Articolo 7, paragrafo 1.


18 –      Articolo 7, paragrafo 2.


19 –      I diritti inderogabili di cui all’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU sono il diritto alla vita (articolo 2), al rispetto dei divieti di tortura, schiavitù e lavori forzati (rispettivamente articoli 3 e 4) e il diritto a non essere punito senza un previo regolare procedimento giudiziario (articolo 7).


20 –      Articolo 9, paragrafo 1.


21 –      Articolo 9, paragrafo 2, lettera b).


22 –      Articolo 9, paragrafo 2, lettera c).


23 –      Articolo 9, paragrafo 2, lettera e). La versione inglese di tale disposizione non menziona la commissione di crimini o atti. Ritengo singolare l’utilizzo nel testo inglese della parola «include». Il testo francese stabilisce: «(…) en cas de conflit lorsque le service militaire supposerait de commettre des crimes ou d’accomplir des actes (…)». Tale versione sembra riflettere meglio il significato della disposizione. V. infra, paragrafi 35 e 37.


24 –      Articolo 9, paragrafo 3.


25 –      Articolo 12, paragrafo 2, lettera a). La formulazione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettere b) e c), è analoga a quella dell’articolo 1, sezione F, lettera b), della Convenzione di Ginevra. V. nota 7 supra.


26 –      Articolo 12, paragrafo 3.


27 –      Articolo 13.


28 –      V. articolo 3, paragrafi 1 e 2, dell’Asylverfahrensgesetz (legge sulla procedura d’asilo).


29 –      Articolo 60, paragrafo 1, dell’Aufenthaltsgesetz (legge relativa al soggiorno).


30 –      Statuto della Corte penale internazionale, firmato a Roma il 17 luglio 1998, entrato in vigore il 1° luglio 2002 (in prosieguo: lo «Statuto di Roma»). Il giudice del rinvio espone che il Bundesamt ritiene che la partecipazione alla commissione di un crimine presupponga di norma una condotta intenzionale e consapevole (v. articolo 30 dello Statuto di Roma).


31 –      V. infra, paragrafi da 47 a 60.


32 –      V. la Nota introduttiva alla Convenzione di Ginevra dell’ufficio dell’UNHCR, datata dicembre 2010; v., inoltre, l’articolo 35 della Convenzione di Ginevra, gli articoli 8, paragrafo 2, lettera b, e 21 della direttiva procedure nonché il considerando 15 del preambolo della direttiva qualifiche. L’UNHCR ha redatto documenti di ausilio comprese le Linee guida in materia di protezione internazionale n. 10: richieste di riconoscimento dello status di rifugiato con riferimento al servizio militare nell’ambito dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra (in prosieguo: le «Linee guida dell’UNHCR n. 10») e le Linee guida sull’applicazione delle clausole di esclusione: articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra (in prosieguo: le «Linee guida dell’UNHCR sulle clausole di esclusione»). Nessuno di tali documenti è giuridicamente vincolante, ma essi ciononostante riflettono principi consolidati di diritto internazionale.


33 –      V. considerando 15 del preambolo della direttiva qualifiche.


34 –      Sentenze Salahadin Abdulla e a. (C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punto 52); Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punto 47), nonché X (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 39).


35 –      Sentenza X, EU:C:2013:720, punto 40. V. anche articolo 10 della Carta.


36 –      Gli elementi menzionati nell’articolo 4, paragrafo 1, sono elencati nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva qualifiche. V. anche sentenza M.M. (C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 73).


37 –      Il corsivo è mio.


38 –      L’articolo 12, paragrafo 3, indica che l’articolo 12, paragrafo 2, si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione di crimini di guerra o atti in esso menzionati.


39 –      V. considerando 1 e 6 del preambolo della direttiva qualifiche.


40 –      V. precedente nota 23.


41 –      La direttiva qualifiche è stata adottata il 29 aprile 2004. Al momento della sua adozione, le lingue ufficiali dell’Unione europea erano il danese, il neerlandese, l’inglese, il francese, il finlandese, il tedesco, il greco, l’italiano, il portoghese, lo spagnolo e lo svedese. L’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) è formulato al modo condizionale nelle suddette lingue (anche se non in tutte le versioni linguistiche, in quanto nel testo neerlandese viene usato il modo indicativo presente).


42 –      Le finalità e i principi delle Nazioni Unite (in prosieguo: l’«ONU») sono stabiliti nel capitolo I della Carta delle Nazioni Unite [la Carta delle Nazioni Unite e lo Statuto della Corte internazionale di giustizia firmati a San Francisco il 26 giugno 1945 (in prosieguo: la «Carta delle Nazioni Unite»)]. In relazione ai membri dell’ONU, tali principi includono il riconoscimento della sovrana uguaglianza, la risoluzione di controversie internazionali con mezzi pacifici e l’astensione dalla minaccia e dall’uso della forza nelle loro relazioni internazionali (articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite).


43 –      Carta del tribunale militare internazionale, firmata a Londra l’8 agosto 1945.


44 –      V., ad esempio, paragrafo 11 delle Linee guida dell’UNHCR sulle clausole di esclusione.


45 –      V., ad esempio, paragrafo 13 delle Linee guida dell’UNHCR sulle clausole di esclusione.


46 –      Il giudice del rinvio rileva che il sig. Shepherd riteneva la guerra in Iraq contraria al diritto internazionale (v. paragrafo 3). Non spetta a questa Corte o alle autorità nazionali decidere sulla questione della legittimità di tale guerra nel caso del sig. Shepherd. Tale questione rimane oggetto di un dibattito aperto tra esperti giuristi in diritto internazionale e leader politici. Il 16 settembre 2004 Kofi Annan (il Segretario Generale delle Nazioni Unite al tempo) ha affermato che l’invasione dell’Iraq nel 2003 era contraria alla Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, successivamente a tale dichiarazione sono state adottate numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in relazione all’Iraq.


47 –      V. considerando 11 del preambolo della direttiva qualifiche; v., inoltre, articolo 8 dello Statuto di Roma.


48 –      V., ad esempio, paragrafo 12 delle Linee guida dell’UNHCR sulle clausole di esclusione.


49 –      V. paragrafo 37 supra.


50 –      V. articolo 13 della direttiva qualifiche.


51 –      Sentenza Corte Eur. D.U., Bayatyan c. Armenia [GC], n. 23459/03, punto 110, CEDU 2011.


52 –      Se l’articolo 10, paragrafo 2, della Carta sia rilevante nel caso del sig. Shepherd dipende pertanto dalla normativa nazionale che disciplina l’obiezione di coscienza nello Stato membro (la Germania) dove ha chiesto asilo. Trattasi di questione che spetta alle relative autorità nazionali valutare e che è soggetta al controllo dei giudici nazionali. Quanto alla posizione del sig. Shepherd come cittadino degli Stati Uniti ed ex membro delle forze armate degli Stati Uniti, v. infra, paragrafi 74 e 75.


53 –      V., ad esempio, paragrafo 3 delle Linee guida dell’UNHCR n. 10.


54 –      Rilevo che, dal momento che gli Stati Uniti non sono parte contraente nella CPI, le clausole dello Statuto della CPI non si possono in alcuna circostanza applicare al caso del sig. Shepherd.


55 –      Un esempio tristemente noto è il massacro di Mÿ Lai compiuto durante la guerra del Vietnam. Dei 26 soldati americani perseguiti penalmente per aver commesso crimini a Mÿ Lai, solo il tenente William Calley Jr. è stato condannato. Più recentemente, il Pubblico Ministero della CPI ha avviato azioni penali in relazione a casi verificatisi in Uganda e nella Repubblica democratica del Congo. In relazione a quest’ultima, è stata ottenuta una condanna nella causa Pubblico Ministero c. Thomas Lubanga Dyilo.


56 –      In effetti, molto è stato speso nell’esaminare se e in quali circostanze una guerra possa essere qualificata «legittima» o «giusta». La teoria della guerra giusta (ius bellum iustum), inizialmente esplorata da Sant’Agostino d’Ippona (vissuto tra il 354 e il 430), è stata notoriamente elaborata da San Tommaso d’Aquino (vissuto tra il 1225 e il 1274) in Summa Teologica. L’analisi successiva ha gradualmente distinto tra le norme che disciplinano la giustizia della guerra (ius ad bellum), quelle che disciplinano la condotta giusta e leale (ius in bello) nonché la responsabilità delle parti in guerra e la loro imputabilità dopo la guerra (ius post bellum). I principi su cui si fonda la guerra giusta sono comunemente considerati i seguenti: avere una giusta causa, essere l’ultima ratio, essere dichiarata da un’autorità competente, avere un giusto scopo e una ragionevole probabilità di successo, ed avere un risultato proporzionato ai mezzi utilizzati. Ciascuno di tali elementi è soggetto a critiche.


57 –            Articolo 9, paragrafo 3.


58 –      L’ordinanza di rinvio afferma che, «[i]n base agli accertamenti del Bundesamt, il ricorrente rischia una pena detentiva tra i 100 giorni e i 15 mesi per diserzione, benché sia prevista la pena massima di 5 anni».


59 –      In particolare, i diritti inderogabili individuati nell’articolo 15, paragrafo 2, della CEDU: v. nota 19 supra.