Language of document : ECLI:EU:C:2013:334

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 29 maggio 2013 (1)

Causa C‑101/12

Herbert Schaible

contro

Land Baden-Württemberg

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Stuttgart (Germania)]

«Agricoltura – Regolamento (CE) n. 21/2004 – Identificazione e registrazione degli animali delle specie ovina e caprina – Articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 20 della Carta – Proporzionalità – Uguaglianza»






1.        Il controllo delle epizoozie è un obiettivo legittimo per il legislatore dell’Unione europea (in prosieguo: il «legislatore dell’Unione»). Tuttavia, il nuovo sistema di identificazione elettronica individuale degli ovini e dei caprini introdotto dal regolamento (CE) n. 21/2004 del Consiglio, del 17 dicembre 2003, che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina e che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 e le direttive 92/102/CEE e 64/432/CEE (2), non è idoneo a realizzare tale obiettivo, comporta inutili oneri e costi ed è discriminatorio. Come tale, detto regolamento viola la libertà di impresa dei detentori di animali sancita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 20 della Carta ed è, pertanto, invalido.

2.        È questo, in sostanza, l’argomento principale fatto valere dal sig. Herbert Schaible (in prosieguo: il «sig. Schaible»), un detentore di ovini tedesco con 450 pecore in allattamento, nel ricorso dal medesimo proposto dinanzi al Verwaltungsgericht Stuttgart (Tribunale amministrativo di Stoccarda) (Germania) avverso il Land Baden-Württemberg, volto ad ottenere l’esonero da diversi obblighi previsti dal regolamento n. 21/2004.

3.        Nelle presenti conclusioni cercherò di illustrare le ragioni per cui ritengo che i motivi di diritto dedotti dal sig. Schaible non siano fondati. Di conseguenza, proporrò alla Corte di rispondere al giudice nazionale che dall’esame delle questioni pregiudiziali non sono emersi elementi idonei ad inficiare la validità delle disposizioni di cui trattasi. Da ultimo, nella misura in cui la mia analisi dimostrerà come l’applicazione pratica di detto regolamento possa costituire un potenziale ostacolo alla piena realizzazione del suo obiettivo generale e all’equità complessiva del sistema, esprimerò brevemente alcune considerazioni de lege ferenda.

I –    Contesto normativo

4.         I considerando 1, 3 e 11 del regolamento n. 21/2004 sono così formulati:

«(1)      A norma dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 90/425/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, gli animali destinati agli scambi intracomunitari devono essere identificati conformemente ai requisiti della normativa comunitaria ed essere registrati in modo da poter risalire all’azienda, al centro o all’organismo di origine o di passaggio. (...)

(...)

(3)      Le regole in materia di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina in particolare sono state fissate dalla direttiva 92/102/CEE. Per quanto riguarda gli animali delle specie ovina e caprina, l’esperienza e la crisi dell’afta epizootica in particolare dimostrano che l’attuazione della direttiva 92/102/CEE non è stata soddisfacente e deve essere migliorata. È pertanto necessario stabilire norme più rigorose e specifiche (...)

(...)

(11)      Negli Stati membri in cui il patrimonio delle specie ovine o caprine è relativamente ridotto, l’introduzione di un sistema di identificazione elettronico potrebbe essere ingiustificato ed è pertanto opportuno consentire a tali Stati membri di renderlo facoltativo. (...)».

5.         L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004 così dispone:

«1. Ogni Stato membro istituisce, ai sensi delle disposizioni del presente regolamento, un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina».

6.        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004, il sistema di identificazione e di registrazione degli animali deve comprendere i seguenti elementi: «a) mezzi di identificazione di ciascun animale; b) registri aggiornati tenuti presso ciascuna azienda; c) documenti di trasporto; d) registro centrale o banca dati informatizzata».

7.         Per quanto rileva in questa sede, l’articolo 4 del regolamento n. 21/2004, dispone quanto segue:

«1. Tutti gli animali di un’azienda nati dopo il 9 luglio 2005 (...) devono essere identificati a norma del paragrafo 2, entro un termine che dev’essere fissato dallo Stato membro, a decorrere dalla nascita dell’animale e in ogni caso prima che l’animale lasci l’azienda in cui è nato. (...)

2. a) Gli animali sono identificati mediante un primo mezzo di identificazione che soddisfa i requisiti di cui all’allegato, sezione A, punti 1, 2 e 3; e

b)      mediante un secondo mezzo di identificazione approvato dall’autorità competente e conforme alle caratteristiche tecniche elencate nell’allegato, sezione A, punto 4».

8.        L’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004 stabilisce quanto segue:

«1. I detentori di animali, ad eccezione dei trasportatori, tengono un registro aggiornato contenente almeno le informazioni riportate nella sezione B dell’allegato».

9.         L’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004 dispone quanto segue:

«3. A partire dal 31 dicembre 2009, l’identificazione elettronica, secondo gli orientamenti di cui al paragrafo 1 e ai sensi delle pertinenti disposizioni della sezione A dell’allegato, è obbligatoria per tutti gli animali.

Tuttavia, gli Stati membri in cui il numero complessivo di animali delle specie ovina e caprina è inferiore o pari a 600 000 capi, possono rendere facoltativa l’identificazione elettronica per gli animali che non sono oggetto di scambi intracomunitari.

Gli Stati membri in cui il numero complessivo di animali della specie caprina è inferiore o pari a 160 000 capi, possono anch’essi rendere facoltativa l’identificazione elettronica per gli animali della specie caprina che non sono oggetto di scambi intracomunitari».

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

10.       La causa principale riguarda un ricorso proposto dal sig. Schaible, con il quale quest’ultimo ha chiesto al Verwaltungsgericht Stuttgart di dichiarare che egli non era soggetto agli obblighi dell’identificazione individuale, dell’identificazione elettronica individuale, nonché all’obbligo della tenuta del registro aziendale, previsti dal regolamento n. 21/2004.

11.      Il Verwaltungsgericht Stuttgart, nutrendo dubbi circa la validità di talune disposizioni del regolamento n. 21/2004, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte alcune questioni pregiudiziali, mediante le quali chiede se:

«a)      l’obbligo, spettante al ricorrente, dell’identificazione di ciascun animale ai sensi del combinato disposto degli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 2, del regolamento n. 21/2004,

b)      l’obbligo, spettante al ricorrente, dell’identificazione elettronica di ciascun animale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 21/2004 (...), e

c)      l’obbligo, spettante al ricorrente, della tenuta del registro aziendale C ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004, in combinato disposto con la sezione B, punto 2, dell’allegato allo stesso regolamento,

siano compatibili con il diritto dell’Unione di rango superiore e siano pertanto validi (in prosieguo: le “questioni pregiudiziali”)».

12.      Hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento il sig. Schaible, il Land Baden-Württemberg, i governi francese, olandese e polacco, il Consiglio e la Commissione. Il sig. Schaible, il governo francese, il Consiglio e la Commissione hanno altresì esposto difese orali nel corso dell’udienza tenutasi il 7 marzo 2013.

III – Analisi

A –    Questioni pregiudiziali

13.      Con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede chiarimenti circa la validità di talune disposizioni del regolamento n. 21/2004, in forza delle quali ai detentori di animali delle specie ovina e caprina vengono imposti tre obblighi specifici, e precisamente: i) identificare ciascun animale (articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 2); ii) provvedere all’identificazione elettronica di ciascun animale (articolo 9, paragrafo 3, primo comma); e iii) tenere un registro aziendale aggiornato degli animali (articolo 5, paragrafo 1, e allegato, sezione B, punto 2) (congiuntamente, gli «obblighi di cui trattasi»).

14.      Anche se il Verwaltungsgericht Stuttgart ha individuato specificamente gli obblighi di cui trattasi, sia in termini di contenuto, sia sul piano del loro fondamento normativo, esso è stato assai meno specifico con riguardo alle disposizioni del diritto primario dell’UE che potrebbero ostare a obblighi siffatti.

15.      Infatti, il giudice del rinvio si limita a chiedere alla Corte se gli obblighi di cui trattasi siano «compatibili con il diritto dell’Unione di rango superiore e siano pertanto validi».

16.       La formulazione generica ed imprecisa delle questioni avrebbe posto la Corte di fronte a un compito particolarmente difficile, se non fosse per il fatto che la restante parte dell’ordinanza di rinvio e le osservazioni presentate dal sig. Schaible e dalle altre parti hanno contribuito a chiarire tale aspetto fondamentale (3).

17.      Come spiega il Verwaltungsgericht Stuttgart, il sig. Schaible sostiene che gli obblighi di cui trattasi sono incompatibili con la sua libertà di esercitare una professione, sancita dall’articolo 15 della Carta. Il giudice nazionale rileva, tuttavia, che la disposizione della Carta in relazione alla quale devono essere esaminate le questioni sollevate nel procedimento principale è, piuttosto, l’articolo 16, concernente la libertà d’impresa: una libertà che, nella fattispecie in esame, sarebbe «più specifica». Il giudice nazionale esprime inoltre dubbi circa la legalità degli obblighi di cui trattasi, alla luce del principio della parità di trattamento.

18.      In particolare, nelle osservazioni presentate alla Corte dal sig. Schaible, sono stati addotti motivi di diritto fondati sull’articolo 16 della Carta, invece che sull’articolo 15. Nelle altre osservazioni (salvo quelle presentate dal governo polacco), l’attenzione è posta esclusivamente sulla libertà d’impresa (governo francese e Consiglio), o su entrambe le libertà esaminate congiuntamente, in base alla considerazione che dette libertà sono in larga misura identiche nella sostanza (governo olandese e Commissione). Tutte le altre parti dinanzi alla Corte (compreso il governo polacco) hanno aggiunto argomenti specifici relativi al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 20 della Carta.

19.       In tale contesto ritengo opportuno, in primo luogo, chiarire le principali questioni giuridiche emerse e, successivamente, suggerire alla Corte come, a mio parere, le tre questioni sollevate dal Verwaltungsgericht Stuttgart possano essere risolte in modo efficace.

20.      In sostanza, tali questioni sollevano due problematiche. La prima riguarda la possibile violazione degli articoli 15 e/o 16 della Carta, in ragione di un’ingerenza asseritamente sproporzionata nei diritti dei detentori di animali, e la seconda concerne la possibile violazione del principio della parità di trattamento. Mentre la prima questione viene sollevata con riferimento a tutti gli obblighi di cui trattasi, in quanto – come osservato a più riprese dallo stesso sig. Schaible – inscindibilmente collegati tra loro, la seconda riguarda solo uno degli obblighi di cui trattasi, segnatamente l’obbligo del detentore di animali di provvedere all’identificazione elettronica di ciascun animale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004, e, in particolare, le deroghe a tale obbligo, previste dal secondo e terzo comma di detto paragrafo.

21.       Alla luce delle considerazioni che precedono, e tenuto conto del principio dell’economia dei mezzi di giudizio, ritengo più opportuno trattare le tre questioni pregiudiziali in relazione a dette due problematiche, piuttosto che esaminare le questioni separatamente, in ordine successivo. Esaminerò pertanto, in primo luogo, la validità degli obblighi di cui trattasi sotto il profilo della proporzionalità. Valuterò, quindi, la fondatezza degli argomenti concernenti la natura asseritamente discriminatoria dell’obbligo oggetto della seconda questione sollevata dal Verwaltungsgericht Stuttgart.

B –    Violazione del principio di proporzionalità

1.      La libertà d’impresa

22.      Il primo problema giuridico sollevato dalle questioni pregiudiziali concerne la proporzionalità degli obblighi di cui trattasi.

23.      Come già menzionato in precedenza, per il giudice nazionale il parametro di legittimità, nella fattispecie, è la libertà d’impresa, riconosciuta dall’articolo 16 della Carta, mentre alcune delle parti che hanno presentato osservazioni alla Corte fanno riferimento anche all’articolo 15 della Carta.

24.      Dalla formulazione di dette disposizioni si evince che, mentre l’articolo 16 è incentrato sulla tutela della libertà di impresa degli imprenditori, l’articolo 15 è più focalizzato sui diritti dei lavoratori. Tale interpretazione è avvalorata dal testo completo delle «Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali», in cui si afferma che l’articolo 15, paragrafo 1, della Carta si ispira inoltre all’articolo 1, paragrafo 2, della Carta sociale europea e al punto 4 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (4).

25.      Ciò posto, ritengo che queste due libertà si sovrappongano in larga misura, in quanto entrambe riguardano il diritto dei cittadini dell’Unione di accedere ed esercitare liberamente un’attività economica.

26.      A mio parere, la giurisprudenza della Corte conferma tale sovrapposizione. Anche prima che il Trattato di Lisbona rendesse la Carta giuridicamente vincolante in tutta l’Unione europea, la Corte aveva riconosciuto entrambe le libertà come principi generali del diritto dell’Unione europea, di cui essa deve garantire l’osservanza (5). In alcune delle sue decisioni, la Corte ha espressamente dichiarato che il libero esercizio di un’attività lavorativa e la libera iniziativa privata possono «confondersi» (6). Inoltre, in diversi altri casi la Corte ha, più genericamente, fatto riferimento al «libero esercizio dell’attività professionale» (7) o al «libero esercizio di un’attività economica» (8), che indubbiamente rivestono aspetti comuni ad entrambe le libertà.

27.      Appare pertanto superfluo, nella causa in esame, delimitare l’ambito di applicazione degli articoli 15 e 16 della Carta.

28.      Dato che il giudice nazionale ritiene che l’articolo 16 della Carta sia maggiormente rilevante nel caso di cui è investito, e dal momento che il sig. Schaible è un lavoratore autonomo, fonderò il mio ragionamento su detta disposizione della Carta. Nondimeno, le conclusioni alle quali perverrò al riguardo sono valide, mutatis mutandis, con riferimento all’articolo 15 della Carta (9), in ragione degli obiettivi comuni sottesi alle due disposizioni.

29.       Ai sensi dell’articolo 16 della Carta, «[è] riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali».

30.      Il diritto primario dell’Unione riconosce quindi il valore fondamentale di tale libertà, ma, al contempo, precisa che l’esercizio di tale libertà non è un diritto assoluto. In effetti, la Carta è stata formulata in termini coerenti con la giurisprudenza consolidata della Corte, secondo la quale principi come il libero esercizio di un’attività economica o il diritto alla proprietà «vanno considerati alla luce della loro funzione sociale» (10).

31.      Ciò si riflette nell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che definisce le regole relative alle limitazioni che possono essere apportate ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Carta, come la libertà d’impresa. In forza di questa disposizione, tali limitazioni possono essere imposte a condizione che siano previste dalla legge, che rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, coerentemente con il principio di proporzionalità, solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (11).

2.      Il principio di proporzionalità

32.      Secondo una giurisprudenza costante, il principio di proporzionalità è un principio generale del diritto dell’Unione europea ed esige che gli strumenti istituiti dalle sue disposizioni «siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli» (12).

33.       Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale dell’osservanza di tali condizioni, la Corte ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura politica, economica e sociale e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse (13).

34.      Ciò è particolarmente evidente nel caso della politica agricola comune, un settore in cui il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale, consono alle responsabilità politiche che gli articoli 40 e 43 TFUE gli attribuiscono (14). Secondo la giurisprudenza della Corte, la legittimità di un provvedimento adottato in tale materia può essere inficiata solo nel caso in cui esso sia manifestamente inidoneo rispetto allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire (15). In tale contesto, non si tratta di valutare se «il provvedimento adottato dal legislatore [dell’Unione] fosse il solo o il migliore possibile, ma se esso fosse manifestamente inidoneo» (16).

35.      Vero è che l’espressione «manifesta inidoneità» utilizzata nella citata giurisprudenza della Corte potrebbe formare oggetto di critiche per due ragioni. In primo luogo, l’espressione sembra implicare che i provvedimenti i cui vizi giuridici non siano assolutamente evidenti e siano accertabili solo a seguito di una valutazione giuridica più approfondita, non possono essere annullati dalla Corte. In secondo luogo, essa sembra circoscrivere il controllo della Corte alla prima fase della tradizionale verifica di proporzionalità (adeguatezza della misura rispetto al conseguimento dell’obiettivo perseguito), precludendo l’esame completo.

36.      Tuttavia, questa non sarebbe un’interpretazione corretta della giurisprudenza.

37.       Per quanto riguarda la prima critica possibile, sono del parere che l’utilizzo dell’espressione «manifesta inidoneità» abbia meramente lo scopo di sottolineare il fatto che, qualora il legislatore sia obbligato a tenere conto di diversi interessi (potenzialmente in conflitto tra loro), deve necessariamente avere a disposizione un certo margine discrezionale. Le scelte politiche comportano inevitabilmente la ponderazione e l’equilibrio di diversi obiettivi di ordine pubblico, che non possono essere tutti perseguiti contemporaneamente e nella stessa misura. Solo il legislatore dell’Unione ha il mandato di effettuare tali valutazioni, nonché di prendere decisioni che possono incidere in vario modo su ambiti sociali ed economici della società ma che, in un determinato momento, sono considerate come nel migliore interesse della società nel suo complesso. È per questa ragione che la Corte ha dichiarato espressamente che l’importanza degli obiettivi perseguiti dal legislatore può giustificare restrizioni aventi conseguenze negative, anche notevoli, per taluni operatori economici (17).

38.       Tale limitato livello di controllo non significa, tuttavia, che la Corte non possa assoggettare le misure contestate ad un’analisi rigorosa, volta a verificarne la proporzionalità. Infatti, la Corte può determinare, in particolare, se il legislatore dell’Unione abbia basato le proprie scelte su criteri oggettivi (18), prendendo in considerazione tutti gli elementi di fatto pertinenti e dei dati tecnici e scientifici disponibili al momento dell’adozione della misura in questione (19), nonché se tali elementi e informazioni siano in grado di giustificare le conclusioni che sono state adottate (20). La Corte deve inoltre accertare se l’istituzione dell’Unione di cui trattasi abbia pienamente tenuto conto, oltre che dell’obiettivo primario perseguito, anche di tutti gli interessi in gioco (21) e – in tale contesto – abbia rivolto la dovuta attenzione agli interessi dei soggetti che hanno subito un pregiudizio (22).

39.      Di contro, allorché statuisce sull’esercizio di poteri legislativi, la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione quando siano state operate scelte politiche (23). Non rientra nel ruolo costituzionale del giudice dell’Unione effettuare valutazioni complesse in questioni in cui considerazioni politiche, economiche e sociali di carattere generale rivestono un ruolo fondamentale, essendo i procedimenti giudiziari in ogni caso manifestamente inadeguati per tale tipo di valutazione (24). Né spetta alla Corte effettuare una valutazione ex post dell’efficacia o dell’idoneità delle misure adottate dal legislatore dell’Unione. Al riguardo, la Corte ha coerentemente sostenuto che la legittimità di una misura dell’Unione non può dipendere da una valutazione retrospettiva riguardante i suoi risultati. Quando il legislatore dell’Unione deve valutare, nell’emanare una normativa, i suoi effetti futuri e questi non possono essere previsti con certezza, la sua valutazione può essere oggetto di censura solo qualora appaia manifestamente erronea alla luce degli elementi di cui il legislatore stesso disponeva al momento dell’adozione di tale normativa (25).

40.      Per quanto riguarda l’altra eventuale critica menzionata al paragrafo 38 supra, mi limito a ricordare alla Corte le recenti conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Kokopelli, nelle quali è stato sottolineato che l’espressione «manifestamente inidoneo» non implica affatto che il controllo della Corte sia limitato alla valutazione dell’idoneità di una misura alla luce del suo obiettivo. Concordo sul fatto che la competenza della Corte ad esercitare un controllo di legittimità si estende a tutte le fasi della verifica della proporzionalità, al fine di accertare che la misura di cui trattasi sia al contempo idonea e necessaria a perseguire l’obiettivo perseguito e strictu sensu proporzionata, nel senso che definisce un giusto equilibrio tra gli interessi dei soggetti a cui queste si riferiscono (26).

41.      In effetti, anche in cause concernenti misure adottate nel settore della politica agricola comune, la Corte ha di frequente ribadito la propria giurisprudenza, secondo la quale il principio di proporzionalità comporta che «qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva; e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti» (27).

3.      Valutazione

42.      È alla luce di tali principi che occorre esaminare gli argomenti vertenti sull’invalidità degli obblighi di cui trattasi.

43.      Per una migliore comprensione di tali argomenti è opportuno, innanzitutto, fornire una breve descrizione generale degli aspetti chiave del precedente sistema di identificazione e registrazione degli animali, nonché del sistema successivamente introdotto dal regolamento n. 21/2004.

44.       Inizialmente, le norme in materia di identificazione e registrazione del bestiame, compresi gli ovini e i caprini, erano disciplinate dalla direttiva 92/102/CEE del Consiglio (28). Il sistema precedente era basato sulla possibilità di identificare gli animali per azienda (in prosieguo: «identificazione per partite»). Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, i detentori di animali dovevano tenere un registro indicante il numero complessivo di ovini e caprini presenti nell’azienda ogni anno. Il registro doveva inoltre contenere, tra l’altro, l’indicazione di taluni dati riguardanti i flussi di ovini e caprini in entrata e uscita dall’azienda. L’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva, imponeva ai detentori di marchiare i loro animali con un marchio auricolare o con un tatuaggio, al fine di consentire l’immediata individuazione dell’azienda di provenienza.

45.      Il sistema introdotto dal regolamento n. 21/2004, al contrario, si basa sull’identificazione individuale di ciascun animale per mezzo di due identificatori. Salvo alcune eccezioni, tali due identificatori sono il (tradizionale) marchio auricolare e un dispositivo elettronico nella forma di un marchio auricolare, di un bolo ruminale, di un transponder iniettabile o di un marchio elettronico sul pastorale, leggibili mediante lettore elettronico. L’identità di ciascun animale deve inoltre essere iscritta in un registro aziendale. Oltre a ciò, i flussi degli animali in uscita dall’azienda devono essere registrati in un documento di accompagnamento dell’animale. In aggiunta, ogni Stato membro è tenuto a predisporre un registro centrale o una banca dati centralizzata in cui registrare tutte le aziende situate sul proprio territorio e ad effettuare un censimento degli animali detenuti in tali aziende a scadenze regolari.

46.      Alla luce di quanto precede, cercherò di spiegare perché gli argomenti dedotti dal sig. Schaible contro gli obblighi di cui trattasi non sono convincenti.

a)      Adeguatezza degli obblighi di cui trattasi

47.      In primo luogo, passerò ad esaminare se gli obblighi di cui trattasi siano idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 21/2004.

48.      Secondo il considerando 1 di detto regolamento, il regolamento n. 21/2004 è stato adottato nella prospettiva della realizzazione del mercato interno negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e di prodotti di origine animale. La necessità di un sistema coordinato ed efficace per l’identificazione la registrazione di animali era sorta quando il legislatore dell’Unione aveva deciso, per mezzo della direttiva 90/425/CEE, di abolire i controlli zootecnici e veterinari alle frontiere nazionali al fine di garantire la libera circolazione degli animali nell’allora Comunità economica europea (29). Al riguardo, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 90/425 prevedeva, ad esempio, che gli animali vivi potessero essere destinati agli scambi soltanto se identificati e registrati in modo da permettere di risalire all’azienda d’origine o di passaggio.

49.       Un sistema normativo per l’identificazione e la registrazione di animali costituisce pertanto un corollario del mercato unico degli animali e dei prodotti di origine animale. Un siffatto sistema è particolarmente importante per il controllo della diffusione di malattie infettive tra animali oggetto di scambi transfrontalieri. Difatti, il regolamento n. 21/2004 è stato adottato in seguito alla crisi dell’afta epizootica del 2001, come precisato espressamente nel considerando 3 di detto regolamento.

50.      Il sig. Schaible non nega che l’obiettivo alla base del regolamento n. 21/2004 – controllare la proliferazione delle epizoozie – è legittimo. Né egli mette in dubbio la necessità di un sistema efficace di rintracciabilità degli animali in questo contesto. Egli sostiene, tuttavia, che gli obblighi di cui trattasi non sono idonei a realizzare l’obiettivo di controllare le epizoozie. In particolare, egli afferma che il sistema è inefficace, in quanto la percentuale di transponder che nel tempo vengono persi, o che diventano difettosi, non è irrilevante. A tale riguardo, il sig. Schaible cita uno studio condotto in Germania dal Bayerische Landesanstalt für Landwirtschaft (Centro nazionale bavarese di ricerca per l’agricoltura), il quale ha concluso che circa il 5% dei transponder viene perso, o non funziona correttamente, già poco tempo dopo essere stato applicato all’animale.

51.      Non posso concordare con tali affermazioni.

52.      In primo luogo, gli obblighi di cui trattasi mi sembrano particolarmente idonei a controllare la diffusione delle epizoozie e, come tali, essi danno un efficace contributo alla realizzazione del mercato interno in tale settore dell’economia.

53.      L’obbligo di identificare tutti gli ovini e i caprini individualmente è stato scelto come metodo affidabile che consente tanto ai detentori di animali quanto alle autorità veterinarie ed amministrative di risalire all’origine e all’ubicazione di ciascun animale. Ritengo importante poter rintracciare sistematicamente tutti i luoghi attraverso i quali un animale è passato e nei quali sarebbe potuto venire in contatto con altri animali. Mi sembra indubbio che dati di questo tipo consentano alle autorità competenti di adottare le misure necessarie per prevenire o contenere le malattie contagiose.

54.      Inoltre, mi sembra ragionevole esigere un mezzo di identificazione elettronico, dato che probabilmente esso assicura maggiore affidabilità e rapidità nella trasmissione dei dati, rendendo più efficace la lotta alle malattie contagiose. Ciò è particolarmente vero nel caso di animali come gli ovini e i caprini, che sono solitamente oggetto di molteplici transazioni nel corso della loro vita e che spesso vengono spostati in grandi gruppi, talvolta in mercati di bestiame o in centri di raccolta dove la composizione delle greggi può facilmente cambiare (30). In siffatte circostanze, sarebbe molto difficile rintracciare gli spostamenti di ciascun animale senza l’ausilio di mezzi di identificazione e registrazione individuale.

55.      Da ultimo, per quanto concerne l’obbligo di tenuta di un registro presso ciascuna azienda, concordo con il governo francese sul fatto che il sistema di identificazione elettronica individuale degli animali crea automaticamente la necessità di tali registri. Chiaramente, i dati registrati dagli identificatori devono essere inseriti in un documento che possa essere aggiornato rapidamente e che, su richiesta, sia facilmente accessibile alle autorità competenti. Di conseguenza, al fine di assicurare l’adozione delle misure necessarie senza ritardi ingiustificati, è fondamentale che taluni dati relativi agli animali detenuti da ciascun detentore di animali (quali razza, data della nascita e del decesso e spostamenti) siano forniti alle autorità competenti tempestivamente e in un formato standard (31). Ad esempio, solo confrontando le informazioni relative a due o più aziende le autorità sono in grado di accertare se – e, in caso affermativo, precisamente quando e dove – i percorsi di specifici animali si siano incrociati.

56.      Procederò ora ad esaminare gli argomenti del sig. Schaible relativi ai difetti tecnici del sistema di identificazione. Non sorprende che un radicale cambiamento di sistema, come quello introdotto dal regolamento n. 21/2004, sia tutt’altro che ineccepibile nella sua fase iniziale. A mio avviso, una certa percentuale di errori e difetti è inevitabile quando viene lanciato un nuovo progetto di questo tipo, specialmente se esso è largamente fondato sull’impiego di nuove tecnologie. Tuttavia, tali disfunzioni non sono di per sé indicative del fatto che un sistema sia del tutto inadeguato, a meno che esse compromettano chiaramente l’obiettivo perseguito.

57.       Quest’ultima ipotesi non si verifica nella fattispecie.

58.      In effetti, la Commissione ha fatto eseguire diversi studi sulla fattibilità e l’affidabilità dei sistemi basati sull’identificazione degli animali. Un primo progetto di studio (il progetto «FEOGA»), intrapreso tra il 1993 e il 1994 da tre gruppi in diversi Stati membri e concernente, fra l’altro, un totale di 5 000 ovini e 2 000 caprini, ha avvallato la conclusione che il sistema era sufficientemente sviluppato per essere ulteriormente sperimentato su larga scala e in condizioni di utilizzo sul campo (32). Un secondo progetto (il «progetto AIR 2304»), svolto tra il 1995 e il 1998, ha coinvolto dieci gruppi di ricerca in sei diversi Stati membri. Esso era volto ad appurare se la percentuale di perdite complessive degli identificatori elettronici sarebbe aumentata nel corso di un periodo di tempo più lungo (quattro anni). Le conclusioni finali di tale ricerca hanno dimostrato che i sistemi di identificazione elettronica utilizzati (marchi auricolari elettronici, transponder iniettabili, boli ruminali) presentavano tassi di ritenzione e valori di leggibilità più elevati rispetto ai sistemi tradizionali di identificazione del bestiame (marchi auricolari, tatuaggi, e così via) (33).

59.       Un progetto successivo, il progetto IDEA («Identification électronique des animaux») concerneva l’applicazione su vasta scala del sistema e comprendeva l’applicazione di identificatori elettronici in condizioni molto varie (ad esempio, specie animali diverse, metodi di allevamento diversi, mezzi di trasporto o metodi di macellazione diversi, nonché condizioni ambientali differenti). Nell’insieme, sono stati sottoposti al test oltre 500 000 ovini e quasi 30 000 caprini tra il marzo 1998 e il dicembre 2001 (34). Tale studio era volto a valutare scrupolosamente le prestazioni (leggibilità, corretto funzionamento, tasso di perdita, tasso di recupero, e così via) degli identificatori elettronici con riferimento a una serie di parametri (tipo di dispositivo, tipo di animale, età dell’animale, e così via). Tra le conclusioni presentate nella relazione finale del 30 aprile 2002, le seguenti sono degne di nota: il progetto aveva «conseguito risultat[i] molto positivi con riferimento alla fattibilità dell’impiego dell’identificazione elettronica» (traduzione libera); «l’identificazione di elementi mediante la tecnologia dei transponder [era] ben sviluppata, disponibile sul mercato ed applicata normalmente in molte aree industriali» (traduzione libera); e «l’industria [era] (...) in condizione di produrre, nell’arco di poco tempo, un notevole numero di identificatori elettronici e di corrispondenti lettori per l’identificazione del bestiame» (traduzione libera) (35).

60.       Infine, nel corso della sua progressiva attuazione del regolamento n. 21/2004, nel 2007 la Commissione ha valutato le informazioni ad essa fornite dagli Stati membri che avevano attuato l’identificazione elettronica su base volontaria o durante progetti pilota prima che il sistema diventasse obbligatorio in tutta l’Unione europea. Secondo la Commissione, i dati risultanti confermavano in generale che «l’identificazione elettronica degli ovini e dei caprini funziona in condizioni di produzione molto varie» (36).

61.      In tale contesto, sono convinto che, nel momento in cui ha deciso di adottare il regolamento n. 21/2004, il legislatore dell’Unione era in condizione di fondare la sua decisione su un’ampia e dettagliata mole di dati tecnici e scientifici a sostegno della tesi secondo cui un sistema fondato sull’identificazione elettronica individuale degli animali fosse sia fattibile, sia idoneo a realizzare l’obiettivo di combattere le epizoozie. Inoltre, e si tratta di un aspetto particolarmente rilevante ai fini del presente procedimento, tali informazioni indicavano che, malgrado alcuni problemi pratici, un sistema siffatto si sarebbe dimostrato più affidabile ed efficace rispetto al sistema in essere all’epoca della direttiva 92/102. In ogni caso, i marchi auricolari tradizionali sono tuttora prescritti e pertanto, nel caso di transponder difettosi, l’identificazione degli animali può essere effettuata mediante ispezione visiva, come avveniva sotto il sistema precedente.

62.       Nei documenti ai quali fa riferimento il sig. Schaible, compreso lo studio realizzato dal Bayerische Landesanstalt für Landwirtschaft, non risultano elementi idonei a contraddire tali conclusioni.

63.      Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che gli obblighi di cui trattasi sono concretamente idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 21/2004. Inoltre, essi appaiono particolarmente adeguati nella lotta contro le malattie contagiose di animali delle specie ovina e caprina.

b)      Necessità degli obblighi di cui trattasi

64.      In secondo luogo, è necessario considerare se gli obblighi di cui trattasi eccedano quanto necessario per realizzare gli obiettivi perseguiti.

65.      Una delle censure mosse dal sig. Schaible con riferimento agli obblighi di cui trattasi attiene alla ratio stessa del regolamento n. 21/2004: secondo il sig. Schaible, il precedente sistema di identificazione di ovini e caprini si era dimostrato idoneo a controllare la diffusione di malattie contagiose. L’epizoozia di afta epizootica del 2001 che ha portato all’adozione del regolamento n. 21/2004 si è verificata, secondo il sig. Schaible, solo perché le norme all’epoca vigenti non avevano avuto un’adeguata applicazione, e non a causa di un difetto nel sistema in quanto tale. Di conseguenza, non era necessario che il legislatore dell’Unione desse avvio a una revisione totale del sistema, dal momento che la corretta attuazione ed applicazione delle norme meno restrittive previste dalla direttiva 92/102 sarebbe stata sufficiente a garantire la realizzazione degli obiettivi dichiarati.

66.      Non ritengo convincenti le affermazioni del sig. Schaible circa l’adeguatezza del sistema precedente.

67.      Come menzionato al paragrafo 49 supra, il nuovo sistema è stato istituito in quanto l’esperienza e, in particolare, l’epidemia di afta epizootica del 2001, avevano dimostrato che le regole sull’identificazione e la registrazione degli animali della specie ovina e caprina previste dalla direttiva 92/102 non avevano ricevuto un’applicazione soddisfacente e dovevano essere migliorate. Pertanto, pur riconoscendo che le regole precedenti non avevano avuto applicazione adeguata, il legislatore dell’Unione ha rilevato altresì la necessità di riesaminare tali regole.

68.      L’afta epizootica è una malattia virale grave e altamente contagiosa che, sebbene non direttamente trasmissibile agli esseri umani, può colpire diverse specie di animali, compresi gli ovini e i caprini (37). Non serve sottolineare l’impatto economico e sociale dell’epidemia del 2001 nel Regno Unito. Basti in questa sede ricordare che in tale Stato membro oltre 2 000 aziende agricole sono state interessate dalla malattia, con perdite stimate in diversi miliardi di euro (38). È stato necessario adottare numerosi interventi d’urgenza a livello nazionale ed europeo, che hanno comportato, in particolare, l’abbattimento su larga scala di allevamenti infetti (e addirittura di animali solo sospettati di essere infetti) (39) e una serie di restrizioni alle esportazioni all’interno dell’Unione europea, nonché un divieto mondiale su tutte le esportazioni di bestiame, carne e prodotti animali provenienti dal Regno Unito (40). Nonostante tali misure, il virus si è diffuso ad altri Stati membri (Francia, Irlanda e Paesi Bassi), sebbene al loro interno siano stati segnalati complessivamente pochi casi.

69.      In tali circostanze, diversamente dal sig. Schaible, trovo ragionevole che in quel momento il legislatore dell’Unione abbia deciso di riformare il sistema di identificazione e di registrazione di animali nel suo complesso, piuttosto che cercare semplicemente di rivedere il quadro normativo, i cui limiti erano divenuti evidenti. Ritengo non solo legittimo, ma anche prudente che, dopo un disastro di tale portata, l’Unione europea abbia intrapreso un progetto di portata e natura così ampie.

70.      Tra l’altro, nel 2001 era già in corso un vasto progetto sull’identificazione e la registrazione degli animali (il progetto IDEA, sopra menzionato), coordinato dal Centro comune di ricerca dell’Unione europea (in prosieguo: il «JRC») (41). Pertanto, quando il 30 aprile 2002 è stata redatta la relazione finale di tale progetto, è stato solo prudente da parte del legislatore dell’Unione prestare molta attenzione ai risultati di tale studio e ai suggerimenti ivi formulati.

71.       Una delle conclusioni contenute nella relazione finale IDEA era che i diversi focolai di malattie del bestiame all’interno dell’Unione europea avevano rivelato che i sistemi di identificazione del bestiame all’epoca utilizzati «non erano sufficientemente efficaci ed affidabili per poter assicurare una corretta rintracciabilità e i controlli veterinari delle specie animali» (traduzione libera). In effetti, l’identificazione degli animali veniva effettuata manualmente e mediante ispezione visiva dei marchi auricolari esistenti, modalità considerate «soggette ad errori e frodi» (traduzione libera). Un controllo più rigoroso dei singoli animali e dei loro spostamenti è stato pertanto ritenuto «una questione chiave per (...) i controlli sanitari e il monitoraggio delle malattie» (traduzione libera). A tal fine, è stata ritenuta fondamentale ai fini di una «gestione efficiente ed affidabile degli allevamenti nell’Unione europea» (traduzione libera) la possibilità di rintracciare in qualsiasi momento il percorso dei singoli animali. Con riguardo a tale profilo, la relazione finale IDEA suggeriva «l’identificazione univoca di ciascun animale durante il suo intero ciclo di vita, mediante applicazione di un identificatore elettronico» (traduzione libera), in modo da rendere più efficiente il controllo dei singoli animali (42).

72.      All’indomani della crisi del 2001, la relazione finale IDEA non era affatto l’unica relazione di esperti a suggerire una revisione più approfondita del quadro normativo concernente l’identificazione di animali. Ad esempio, la relazione finale dell’International Conference on Control and Prevention of Foot and Mouth Disease, tenutasi a Bruxelles il 12 e 13 dicembre 2001, raccomandava che «[t]utti gli spostamenti [di animali] fossero registrati e rintracciabili» (traduzione libera) allo scopo di impedire la diffusione del virus dell’afta epizootica tra aziende diverse (43). Analogamente, la relazione Anderson, commissionata dalla UK House of Commons (Camera dei comuni del Regno Unito) in seguito alla crisi del 2001, ha raccomandato lo sviluppo di «un sistema globale di rintracciamento del bestiame mediante l’utilizzo di marchi elettronici per bovini, ovini e suini» (44).

73.      Con il regolamento n. 21/2004, il legislatore dell’Unione ha inoltre risposto a istanze provenienti dal quadro istituzionale dell’Unione europea. Ad esempio, una relazione speciale redatta dalla Corte dei Conti, nel rilevare che il precedente sistema di identificazione e di registrazione degli animali non era stato adeguatamente applicato, ha anche sottolineato i limiti intrinseci di tale sistema. La relazione indicava, tra l’altro, che: «[i]l fatto che la normativa comunitaria non prevedesse l’identificazione individuale degli ovini e che, inoltre, l’identificazione per lotto presentasse lacune ha reso difficile la tracciabilità degli animali sospetti, ritardandone pertanto l’abbattimento (...)» (45).

74.      Di conseguenza, una serie di indizi portano a ritenere che il problema del precedente sistema di identificazione e di registrazione degli animali fosse intrinseco al sistema stesso e non alle modalità della sua applicazione.

75.      Tenendo conto delle condizioni in cui ovini e caprini formano spesso oggetto di scambi commerciali (46) e del modo in cui le epizoozie vengono trasmesse (47), non ritengo irragionevole che il legislatore dell’Unione abbia successivamente deciso che gli animali debbano essere rintracciabili individualmente. È inoltre evidente che le autorità competenti devono essere in condizione di avere all’occorrenza accesso a dati che, grazie agli identificatori elettronici e ai registri aziendali, sono disponibili e utili ai fini dell’adozione delle misure necessarie a prevenire o limitare la diffusione di malattie contagiose.

76.       Le misure alternative di identificazione e di registrazione cui fa riferimento il sig. Schaible – che sostanzialmente sono quelle già previste dalla direttiva 92/102 – sono probabilmente meno invasive, per quanto concerne la libertà d’impresa dei detentori di animali, rispetto agli obblighi di cui trattasi. Nondimeno, come inequivocabilmente dimostrato dagli studi sopra menzionati, esse hanno una portata più limitata e, di conseguenza, sono molto meno efficaci.

77.      In considerazione di quanto precede, ritengo che gli obblighi di cui trattasi non eccedono quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito dal regolamento n. 21/2004.

c)      Proporzionalità in senso stretto

78.      Infine, è necessario accertare la proporzionalità in senso stretto degli obblighi di cui trattasi. A tal scopo, passerò ad esaminare se il legislatore abbia commesso errori nel ponderare i diversi interessi che possono essere coinvolti da tali obblighi.

79.      A tale riguardo, le censure mosse dal sig. Schaible sono, in sostanza, due. Da un lato, egli sostiene che gli obblighi di cui trattasi sono incompatibili con i principi guida sul benessere degli animali, poiché l’applicazione dei transponder causa lesioni a un elevato numero di animali. Dall’altro lato, egli afferma che tali obblighi sono eccessivamente onerosi e dispendiosi per i detentori di animali, non solo a causa del materiale supplementare che viene loro imposto di acquistare (transponder, scanner, ecc.), ma anche per il notevole apporto di manodopera che l’impiego di tale materiale richiede (applicazione del transponder, riproduzione dei codici nel registro d’azienda, manutenzione degli scanner, ricorso più frequente a personale specializzato, come specialisti in tecnologie dell’informazione, veterinari, ecc.).

80.      A mio parere, anche tali argomenti sono privi di fondamento.

81.      Contrariamente a quanto sostenuto dal sig. Schaible, l’influenza dell’identificazione elettronica sul benessere di ovini e caprini è stata tenuta in debito conto nel corso dei progetti di studio effettuati prima dell’adozione del regolamento n. 21/2004. Il progetto IDEA, per esempio, ha esaminato le principali cause di «ferimento e morte a seguito dell’applicazione di identificatori elettronici» e ha fornito al legislatore informazioni utili sui modi in cui i vari tipi di dispositivi potrebbero influenzare la salute degli animali (48). Inoltre, in fase di attuazione si è tenuto conto di considerazioni sul benessere degli animali (49).

82.      Benché sia vero che i marchi auricolari elettronici possono talvolta causare lesioni agli orecchi degli animali, lo stesso si può dire dei marchi auricolari tradizionali, come quelli previsti dalla direttiva 92/102. Va detto che i dati disponibili sui marchi auricolari elettronici sembrano indicare che il problema si pone molto più spesso nel caso di questi ultimi, in quanto più pesanti. Nondimeno, la differenza tra i due tipi di dispositivi alla quale fa riferimento il sig. Schaible non sembra essere significativa al punto da mettere in discussione la valutazione complessiva del sistema per il benessere degli animali (50). Dopotutto, i vantaggi del sistema in termini di maggiore sicurezza per la società nel suo insieme sono considerevoli. Inoltre, è possibile prevedere che, con i futuri sviluppi tecnologici volti alla riduzione delle dimensioni e del peso dei transponder, nonché con la maggiore esperienza del personale agricolo nell’applicazione e nell’utilizzo di tali dispositivi, la situazione migliorerà necessariamente.

83.      Da ultimo, il nuovo sistema, nella misura in cui consente una più precisa identificazione degli animali che sono venuti in contatto in occasione dell’insorgenza di focolai di malattia, è destinato a limitare la diffusione delle malattie e, di conseguenza, a permettere di evitare la sofferenza degli animali infetti. Da questo punto di vista, gli obblighi di cui trattasi sembrano contribuire positivamente alla protezione del benessere degli animali.

84.      Inoltre, non mi appaiono convincenti gli argomenti del sig. Schaible circa gli asseriti costi e manodopera eccessivi che gli obblighi di cui trattasi comportano per i detentori di animali.

85.      Come sottolineato sia dal Consiglio che dalla Commissione nelle rispettive osservazioni, tali aspetti sono stati oggetto di studi approfonditi e sono stati discussi a lungo con gli Stati membri e gli altri soggetti portatori di interessi. Ad esempio, nel 2009 il JRC ha pubblicato una relazione dal titolo «Economic Analysis of Electronic Identification of Small Ruminants in Member States» (Analisi economica dell’identificazione elettronica dei piccoli ruminanti negli Stati membri). Detto studio ha analizzato tutti i costi relativi ai vari dispositivi elettronici disponibili sul mercato, in termini sia di acquisto degli strumenti, sia del loro utilizzo quotidiano (come le operazioni di etichettatura e di lettura, o l’addestramento del personale). Sono state prese in esame numerose possibili modalità di attuazione dell’obbligo di identificazione elettronica di ciascun animale. Per ciascun’opzione sono stati messi a confronto i risparmi in termini di costi e i vantaggi, con l’obiettivo di individuare compromessi ragionevoli (51).

86.       Gli stessi aspetti sono stati altresì oggetto di un sondaggio effettuato nel 2010 dal Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali (52), nel quale gli Stati membri hanno fornito dati relativi ai costi.

87.      Ritengo pertanto che il legislatore dell’Unione ha tenuto in debita considerazione anche tutte le informazioni attinenti a tali aspetti, inclusa la valutazione delle diverse opzioni disponibili, e che abbia di conseguenza adottato una decisione definitiva in piena conoscenza dei diversi interessi in gioco. A mio parere, il legislatore dell’Unione non può essere criticato per avere deciso che, in quel contesto, la tutela della salute pubblica dovesse assumere un’importanza preponderante rispetto alle considerazioni di ordine economico (53).

88.      La mia conclusione su questo punto è ulteriormente avvalorata da altre tre considerazioni.

89.      In primo luogo, oltre a perseguire l’obiettivo principale della lotta contro le epizoozie, il legislatore dell’Unione ha tenuto in considerazione anche il fatto che gli obblighi di cui trattasi potrebbero comportare per la società una serie di ulteriori vantaggi economici e non; ad esempio, per quanto concerne la gestione delle aziende, l’allevamento degli animali, i controlli ufficiali e la sicurezza alimentare (54). Come affermato nella relazione del JRC del 2009, il nuovo sistema di identificazione e registrazione degli animali «non deve essere considerato solo come [un] fattore di costo, in quanto il suo utilizzo polivalente genera anche benefici, non solo a livello di azienda agricola, ma anche in termini di controlli ufficiali e a valle della catena di produzione, ad esempio, per i mercati del bestiame, i macelli, ed eventualmente anche per i consumatori (...). [S]e pienamente applicato, potrebbe [anche] ridurre (...) i costi connessi alle misure di eradicazione delle malattie» (traduzione libera) (55).

90.      In secondo luogo, il legislatore dell’Unione ha contestualmente adottato diversi provvedimenti volti ad alleggerire l’onere imposto ai detentori di animali dagli obblighi di cui trattasi.

91.      Per cominciare, il regolamento n. 21/2004 ha previsto che il nuovo sistema fosse attuato in modo graduale e progressivo. Per diverse misure introdotte da tale regolamento è stato quindi previsto un periodo di transizione, in modo da lasciare ai detentori di animali (nonché alle autorità degli Stati membri) il tempo sufficiente per adattarsi ai nuovi requisiti e pianificare in anticipo gli investimenti necessari. In particolare, il termine ultimo per l’introduzione obbligatoria del sistema generale di identificazione elettronica a livello dell’Unione, originariamente fissato al 1° gennaio 2008, è stato successivamente differito al 31 dicembre 2009 (56). Inoltre, l’obbligo per i detentori di animali di tenere un registro d’azienda (57) e l’obbligo di produrre documenti di trasporto (58) non sono divenuti pienamente applicabili fino al 9 luglio 2005.

92.      Oltre a ciò, nei casi in cui l’impatto delle nuove misure appaia sproporzionato o i rischi supplementari siano considerati non significativi, il regolamento n. 21/2004 consente delle deroghe. Tali deroghe riguardano, in particolare, tutti gli obblighi di cui trattasi: l’obbligo di identificare ciascun animale (59), l’obbligo di utilizzare identificatori elettronici (60) e l’obbligo di tenere un registro aziendale (61).

93.      In terzo luogo, il legislatore dell’Unione ha ulteriormente ridotto i costi aggiuntivi per i detentori di animali, consentendo agli Stati membri e alle regioni di concedere loro, se del caso, aiuti finanziari da fondi UE. Di conseguenza, il regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti (62), è stato modificato poco prima dell’adozione delle nuove norme in materia di identificazione degli animali (63). In particolare, il nuovo articolo 21 ter, paragrafo 1, di detto regolamento prevede che «[u]n sostegno temporaneo finalizzato alla copertura parziale dei costi sostenuti e delle perdite di reddito può essere concesso agli agricoltori, che devono applicare le norme rigorose basate sulla normativa comunitaria e di recente introdotte nella legislazione nazionale». Tale disposizione si applica, tra l’altro, ai detentori di animali interessati dagli obblighi di cui trattasi. È importante segnalare che l’articolo 31 del regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (64), che ha abrogato il regolamento n. 1257/1999 ed è attualmente in vigore, ha conservato la sostanza di tale norma. Inoltre, l’articolo 20, lettera a), del regolamento n. 1698/2005 prevede una serie di misure di sostegno volte a migliorare la competitività del settore agricolo e include misure «intese a promuovere la conoscenza e sviluppare il potenziale umano, in particolare: (...) azioni nel campo della formazione professionale e dell’informazione, inclusa la diffusione di conoscenze scientifiche e pratiche innovative».

94.      Sulla scorta di tali considerazioni, sono del parere che il legislatore dell’Unione abbia tenuto in debita considerazione tutti gli interessi toccati dagli obblighi in questione, compresi gli interessi relativi al benessere degli animali e gli interessi finanziari dei soggetti, come i detentori di animali, che sono tenuti a sopportare costi aggiuntivi per conformarsi alle nuove regole. Pertanto, non ritengo che il legislatore dell’Unione abbia commesso alcun errore nel ponderare tali interessi gli uni con gli altri e nel trovare un giusto equilibrio fra loro.

4.      Conclusione sulla presunta violazione della proporzionalità

95.      In conclusione, sulla questione della proporzionalità ritengo che gli obblighi di cui trattasi non violano il principio di proporzionalità. Essi sono idonei a realizzare l’obiettivo dichiarato e al contempo non eccedono quanto necessario per perseguirlo. Inoltre, non vi è alcun indice del fatto che il legislatore dell’Unione abbia commesso un errore, tanto meno un errore manifesto, allorché ha considerato i vantaggi e gli svantaggi degli obblighi di cui trattasi con riferimento a tutti gli interessi coinvolti.

96.      Per tali ragioni, a mio giudizio gli obblighi di cui trattasi sono giustificati e, di conseguenza, non costituiscono una violazione della libertà d’impresa dei detentori di animali.

C –    Violazione del principio di uguaglianza

97.      L’altra questione giuridica principale sollevata nel presente procedimento è se gli obblighi di cui trattasi siano compatibili con il principio di uguaglianza.

98.       In via preliminare, sembra utile ricordare che il principio di uguaglianza, un principio generale di diritto dell’Unione, ora espressamente previsto nell’articolo 20 della Carta, impone che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (65). Al riguardo, la Corte ha dichiarato che un trattamento dissimile è giustificato quando è fondato su un criterio oggettivo e ragionevole (66).

99.      Nella misura in cui il sig. Schaible chiede alla Corte di effettuare un controllo sul potere discrezionale esercitato dal legislatore dell’Unione in un settore in cui sono coinvolte scelte di natura politica ed economica, la competenza della Corte a sindacare la legittimità è necessariamente limitata, come illustrato in precedenza. La Corte ha precisato che, in tale ipotesi, il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione e, di conseguenza, deve limitarsi ad esaminare se la valutazione effettuata dal quest’ultimo non sia viziata da un errore manifesto o da uno sviamento di potere o se, di fatto, l’autorità in questione non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo margine di valutazione in materia legislativa (67).

100. È alla luce di detti principi che esaminerò gli argomenti del sig. Schaible in ordine al principio della parità di trattamento. In sostanza, egli fa valere due diversi argomenti. In primo luogo, il sig. Schaible sottolinea che ai detentori di bovini e suini non è imposto l’obbligo di identificare ciascun animale elettronicamente, sebbene anche tali animali siano esposti a numerose malattie contagiose. In secondo luogo, il sig. Schaible contesta la deroga prevista dall’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004 (in prosieguo: la «deroga di cui trattasi») che consente agli Stati membri con un patrimonio contenuto di bovini o caprini di rendere facoltativo il sistema di identificazione elettronica. Egli sostiene che ciò è potenzialmente in grado di procurare a detentori di animali ubicati in ben quattordici Stati membri un vantaggio concorrenziale rispetto a quelli ubicati in altri Stati membri aventi un patrimonio più elevato di ovini o caprini.

101. Per altre ragioni, il governo polacco sostiene inoltre che l’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n 21/2004 è illegittimo. Secondo detto governo, la limitazione della possibilità di avvalersi della deroga di cui trattasi unicamente nel caso di animali «che non sono oggetto di scambi intracomunitari» non è giustificata.

102.  Non posso condividere alcuno degli argomenti che precedono.

103.  Per quanto concerne il primo argomento fatto valere dal sig. Schaible, non mi pare che dal confronto con le norme applicabili alle specie animali bovina e suina si possano inferire argomenti decisivi.

104. A mio avviso, è innegabile che l’allevamento, il trasporto e la commercializzazione dei suddetti diversi tipi di animali hanno luogo in condizioni che non sono assimilabili a tutti gli effetti: sussistono diverse peculiarità con riferimento a ciascuno di detti tipi di animali (68). Inoltre, tali animali sono solitamente soggetti a diversi tipi di malattie e il profilo dei rischi individuato per i diversi tipi di animali può differire (69).

105. Siffatte differenze giustificano un quadro normativo diverso per ciascun tipo di animale (70). Il fatto che il legislatore dell’Unione abbia basato la sua scelta su un criterio obiettivo e ragionevole, non può, pertanto, essere messo in discussione.

106. In ogni caso, come giustamente osservato dal Consiglio, la Corte ha costantemente affermato che, quando il legislatore dell’Unione è chiamato a ristrutturare e creare un sistema complesso, può scegliere di ricorrere ad un approccio per fasi (71) e procedere in funzione dell’esperienza acquisita (72).

107. Considero tale giurisprudenza di grande rilevanza per la causa in esame. Ciò non significa, tuttavia, che al legislatore dell’Unione non sia richiesto un certo grado di coerenza e di uniformità quando, in un determinato periodo di tempo, esso adotti misure volte a disciplinare situazioni che presentano alcune caratteristiche in comune, come potrebbe essere nel caso dell’identificazione di diversi animali da allevamento.

108. Da ultimo, non sono nemmeno convinto che i detentori di animali situati in quegli Stati membri che dispongono di un più elevato patrimonio di animali delle specie ovina e caprina subirebbero una discriminazione. Alla luce degli argomenti sollevati dal sig. Schaible, occorre stabilire se la deroga di cui trattasi determini uno svantaggio per alcuni operatori agricoli nei confronti di altri, senza che la differenza di trattamento sia giustificata dall’esistenza di differenze sostanziali e oggettive (73).

109. È chiaro che la deroga di cui trattasi presuppone un trattamento giuridico diverso per i detentori di animali a seconda dello Stato membro in cui sono ubicati. Tuttavia, non ritengo che ciò configuri una discriminazione inammissibile. Tale affermazione si fonda su due motivi: il criterio che attiva la deroga di cui trattasi non è passibile di censure circa la sua mancanza di oggettività o di ragionevolezza; la deroga non pone alcuno dei detentori di animali in una posizione di svantaggio concorrenziale rispetto ad altri loro concorrenti.

110. Per quanto riguarda il primo punto, è incontestabile che il criterio che consente di avvalersi della deroga di cui trattasi – il patrimonio zootecnico complessivo di un paese – è del tutto oggettivo. Gli Stati membri possono o meno soddisfare tale criterio, indipendentemente dalla loro dimensione assoluta. Inoltre, la situazione di alcuni Stati membri potrebbe cambiare nel tempo, dal momento che il loro patrimonio zootecnico è necessariamente soggetto a variazioni. Pertanto, agli Stati membri che in linea di principio rientrano nell’ambito di applicazione della deroga di cui trattasi in un dato momento può ancora essere imposta l’introduzione dell’identificazione elettronica in futuro, in caso di variazione delle circostanze rilevanti.

111. Né il suddetto criterio appare irragionevole. Anche volendo censurare che il regolamento n. 21/2004 non spiega il motivo in base al quale il legislatore dell’Unione ha ritenuto che l’introduzione di un sistema di identificazione elettronica negli Stati membri in cui il patrimonio delle specie ovine o caprine sia relativamente ridotto «potrebbe essere ingiustificata» (74), i chiarimenti forniti nel corso del presente procedimento dai governi francese e polacco e dal Consiglio mi sembrano persuasivi.

112. Come osservato dal sig. Schaible, la creazione di un sistema di identificazione elettronica pienamente operativo richiede notevoli investimenti da parte sia dei detentori di animali che delle amministrazioni nazionali. Negli Stati membri in cui il patrimonio zootecnico è ridotto e i singoli detentori di animali posseggono per lo più pochi animali, un simile investimento può essere eccessivo. Ciò è vero, a fortiori, se considerato alla luce di un’analisi costi/benefici. In caso di comparsa di un focolaio in uno di tali Stati membri, i costi connessi alle misure di eradicazione della malattia (attraverso, ad esempio, l’abbattimento o la vaccinazione di massa) e, laddove previsti, i costi per gli indennizzi agli operatori che hanno subito pregiudizi, sarebbero con tutta probabilità inferiori all’investimento richiesto per mettere in piedi il sistema. In questo caso, potrebbe essere più ragionevole mantenere lo status quo o, quantomeno, appoggiare un’introduzione più equilibrata e progressiva delle nuove regole.

113. È altresì evidente che, qualora le aziende siano in prevalenza di dimensioni ridotte, con un numero limitato di animali, è possibile raccogliere i dati in maniera relativamente rapida ed affidabile in risposta alle richieste urgenti delle autorità competenti, anche malgrado l’assenza di un sistema di identificazione elettronica. Il fatto che il codice di ciascun animale debba essere ispezionato visivamente e quindi annotato manualmente sui documenti pertinenti probabilmente non comporterebbe eventuali ritardi ingiustificati. Tuttavia, le stesse considerazioni non valgono nell’ipotesi in cui tali azioni debbano essere eseguite da un numero considerevole di aziende, con un patrimonio zootecnico cospicuo.

114. Pertanto, non ritengo irragionevole che agli Stati membri in possesso dei relativi requisiti sia stata lasciata la libertà di scegliere se fosse più opportuno introdurre un nuovo sistema di identificazione elettronica di ovini e caprini oppure avvalersi della deroga di cui trattasi.

115.  Ovviamente, tale linea di ragionamento si applica solo nella misura in cui l’esonero di alcuni Stati membri non comporti un rischio più elevato nell’ambito del mercato interno. Tuttavia, a mio avviso ciò non si verifica nella fattispecie. Infatti, la deroga in questione consente agli Stati membri di rendere facoltativa l’identificazione elettronica solo per quanto riguarda gli animali «che non sono oggetto di scambi intracomunitari». Di conseguenza, qualsiasi animale che attraversi i confini nazionali e possa quindi entrare in contatto con animali situati in altri Stati membri richiede necessariamente l’identificazione elettronica, a prescindere dal fatto che il suo Stato membro d’origine abbia o meno deciso di avvalersi della deroga di cui trattasi.

116. In tal modo, un eventuale maggiore rischio di contagio è di norma circoscritto entro i confini degli Stati membri che hanno deciso di avvalersi della deroga di cui trattasi. Tali Stati membri accettano il fatto che essi (e i detentori di animali situati sul loro territorio) potrebbero dover affrontare conseguenze economiche più significative in caso di comparsa di un focolaio.

117.  Il criterio di attivazione della deroga di cui trattasi assicura inoltre – e qui passo ad esaminare il secondo aspetto di cui al paragrafo 112 supra – che la concorrenza tra i detentori di animali situati in diversi Stati membri non venga falsata in maniera apprezzabile. Infatti, ogni detentore di animali che intenda vendere i propri ovini e caprini al di là del territorio del proprio paese di origine deve conformarsi alle stesse regole. Ciò significa che non sussiste distorsione della concorrenza tra detentori operanti nel commercio intracomunitario. Inoltre, un detentore di animali situato in uno Stato membro che si sia avvalso della deroga di cui trattasi non può far leva sul suo vantaggio potenziale in termini di costi in nessun altro Stato membro.

118.  L’unica ipotesi nella quale potrei effettivamente riconoscere uno svantaggio concorrenziale è quella dei detentori di animali situati in Stati membri senza deroga che esportano bestiame verso Stati membri che applicano la deroga di cui trattasi. È vero che, in un caso del genere, i detentori locali di animali potrebbero beneficiare di un vantaggio in termini di costi rispetto ai loro concorrenti nello Stato di esportazione. Interrogati al riguardo nel corso dell’udienza, né il Consiglio, né la Commissione hanno contestato tale fatto. Ciò posto, considerate le dimensioni solitamente più ridotte degli allevamenti nelle aziende situate negli Stati membri che applicano la deroga di cui trattasi e il fatto che gli esportatori tendono ad avere dimensioni maggiori e beneficiano pertanto di economie di scala, qualsiasi distorsione all’interno dei mercati locali sarebbe probabilmente trascurabile. In ogni caso, tale limitata differenza di trattamento mi appare giustificata per le ragioni oggettive sopra menzionate.

119.  Infine, passo ad esaminare l’argomento fatto valere dal governo polacco, concernente l’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004. Basti rilevare, al riguardo, che la deroga di cui trattasi è fondamentale per assicurare sia che il rischio complessivo per la salute pubblica nell’Unione europea non aumenti indebitamente, sia che la concorrenza nel mercato interno non sia falsata in misura significativa. Di conseguenza, la critica del governo polacco su questo punto è manifestamente infondata.

120. In conclusione, sono del parere che la deroga di cui trattasi si applica in situazioni oggettivamente diverse da quelle che rientrano nella regola generale. Di conseguenza, i motivi che deducono la violazione del principio di parità di trattamento vanno respinti.

D –     Osservazioni finali de lege ferenda

121. Sebbene la mia analisi non abbia rilevato alcun motivo per affermare che gli obblighi di cui trattasi sono illegittimi, essa ha tuttavia dimostrato che l’applicazione pratica della deroga di cui trattasi può costituire un ostacolo alla piena realizzazione dello scopo generale perseguito dal regolamento, nonché alla garanzia dell’equità complessiva del sistema.

122. Per quanto concerne la realizzazione dell’obiettivo generale perseguito dal regolamento, devo ribadire che il regolamento n. 21/2004 è stato adottato allo scopo di combattere la epizoozie in maniera più efficace, in modo da facilitare la realizzazione del mercato interno in tale settore dell’economia. Tuttavia, in conseguenza della deroga di cui trattasi, è impedita la libera circolazione di alcuni animali all’interno dell’Unione europea e, inoltre, l’efficacia del nuovo sistema di identificazione e di registrazione degli animali è limitata negli Stati membri che applicano la deroga di cui trattasi. Oltre a ciò, non possono essere esclusi taluni effetti di ricaduta per il resto dell’Unione europea.

123. Come giustamente evidenziato dal sig. Schaible, negli Stati membri con un patrimonio zootecnico ridotto il rischio di una propagazione incontrollabile di epizoozie non è necessariamente inferiore rispetto agli Stati membri con un vasto patrimonio zootecnico. Dato che le malattie vengono trasmesse principalmente per contatto tra animali, ritengo che le probabilità di rapido e massiccio contagio dipendano da una serie di fattori, come ad esempio il numero di transazioni e di spostamenti; a prescindere dal fatto che gli animali siano venduti in lotti di piccole o grandi dimensioni, e che i lotti di animali vengano mescolati o rimangano sostanzialmente gli stessi. Aspetto ancora più importante, almeno se si considera la varietà di conformazione geografica degli Stati membri dell’Unione europea, ciò che conta è la densità di animali all’interno di un paese, piuttosto che il numero assoluto di animali situati in detto paese.

124. Benché la deroga di cui trattasi sia condizionata all’esercizio di attività di scambio intracomunitario al fine di assicurare che l’aumento del rischio derivante dalla circolazione di animali non identificati elettronicamente resti circoscritto ai mercati nazionali, non si può escludere che, in circostanze eccezionali, tale condizione non sia sufficiente a garantire la sicurezza del sistema. In effetti, il fatto che per gli animali identificati elettronicamente siano disponibili diversi tipi di dati rispetto agli animali identificati tramite marchi auricolari tradizionali potrebbe, in caso di focolaio, ritardare o ostacolare gli sforzi intrapresi dalle autorità per seguire gli spostamenti e confrontare i dati al fine di rilevare tutti gli spostamenti transfrontalieri a rischio effettuati dagli animali.

125. Rimarrà comunque sempre un certo margine di rischio laddove – fraudolentemente o semplicemente per errore – alcuni animali siano oggetto di scambi transfrontalieri anche se non identificati elettronicamente. Dopotutto, ovini e caprini vengono spesso venduti in grandi greggi e potrebbe non sempre essere facile garantire che tutti gli animali in un gregge rispettino pienamente tali condizioni.

126. In effetti, con riguardo all’equità complessiva del sistema di identificazione, devo riconoscere che il sistema di identificazione elettronica previsto dal regolamento n. 21/2004 non rappresenta una soluzione perfetta. Come ho già osservato, attraverso la deroga di cui trattasi, alcuni detentori di animali potrebbero beneficiare, nei loro mercati nazionali, di un vantaggio in termini di costi rispetto ai concorrenti di altri Stati membri. Inoltre, non è escluso che la deroga di cui trattasi possa indirettamente comportare ulteriori ripercussioni economiche per i detentori di animali che hanno l’obbligo di utilizzare l’identificazione elettronica. In effetti, anche se tali detentori di animali non esportano bestiame verso gli Stati membri che applicano la deroga di cui trattasi, è possibile che, a valle della catena di produzione, i prodotti derivati dai loro animali (come carne, lana o latte) possano, ad un certo punto, entrare in concorrenza con quelli fabbricati negli Stati in cui si applica la deroga di cui trattasi. È lecito ritenere che i costi più elevati sostenuti dai detentori di animali degli Stati membri più grandi potrebbero, in una certa misura, incidere sul prezzo dei prodotti finali immessi sul mercato e, di conseguenza, rendere tali prodotti in qualche modo meno competitivi.

127.  La distinzione risultante dalla deroga di cui trattasi potrebbe essere giustificata allo stato attuale, ma potrebbe esserlo meno in futuro. In effetti, come è stato osservato da molte delle parti nel presente procedimento, la tecnologia imposta dal regolamento n. 21/2004 sta diventando sempre più economica, in virtù del rapido sviluppo tecnologico e delle economie di scala. La ratio alla base della deroga di cui trattasi potrebbe pertanto diventare sempre meno certa.

128. In questa sede è importante notare che il regolamento n. 21/2004 contiene, di fatto, una disposizione che consente alla Commissione di modificare i livelli demografici per la deroga di cui trattasi (75). Tuttavia, alla luce di quanto precede, ritengo che il legislatore dell’Unione sarà indotto a riflettere sull’eventualità di sopprimere del tutto la deroga di cui trattasi. A mio parere, ciò farebbe ulteriormente progredire la lotta contro le epizoozie, migliorerebbe la libera circolazione di ovini e caprini all’interno dell’Unione europea e garantirebbe condizioni di parità concorrenziale per tutti i detentori di animali nell’Unione europea, a prescindere dalle circostanze.

IV – Conclusione

129. In conclusione, propongo alla Corte di risolvere la questione sollevata in via pregiudiziale dal Verwaltungsgericht Stuttgart (Germania) come segue:

L’esame della questione pregiudiziale non ha evidenziato elementi atti ad inficiare la validità dei seguenti obblighi:

–        obbligo, spettante ai detentori di animali, dell’identificazione di ciascun animale ai sensi del combinato disposto degli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 21/2004 del Consiglio, del 17 dicembre 2003, che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina e che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 e le direttive 92/102/CEE e 64/432/CEE;

–        obbligo, spettante ai detentori di animali, dell’identificazione elettronica di ciascun animale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 21/2004,

–        obbligo, spettante ai detentori di animali, della tenuta di un registro aziendale C, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004, in combinato disposto con la sezione B, punto 2, dell’allegato al regolamento.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – GU 2004, L 5, pag. 8.


3 – Come risulta da una giurisprudenza consolidata, la Corte può desumere dal complesso dei dati forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione del provvedimento di rinvio, i punti di diritto dell’Unione che devono essere interpretati, tenuto conto dell’oggetto del contendere. V., in tal senso, sentenze dell’8 dicembre 1987, Gauchard (20/87, Racc. pag. 4879, punto 7), e del 20 marzo 1986, Tissier (35/85, Racc. pag. 1207, punto 9).


4 – GU 2007, C 303, pag. 23. Ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 7 della Carta e dell’articolo 6, paragrafo 1, TUE, i giudici dell’Unione europea e i giudici nazionali degli Stati membri devono tenere tali spiegazioni «nel debito conto» per l’interpretazione della Carta.


5 – Per quanto concerne la libertà professionale e il diritto di lavorare, v., in particolare, sentenze del 14 maggio 1974, Nold (4/73, Racc. pag. 491, punto 14), e del 10 gennaio 1992, Kühn (C‑177/90, Racc. pag. I‑35, punto 16). Per quanto concerne la libertà d’impresa, v. in particolare, sentenza del 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, Racc. pag. I‑7829, punto 51).


6 – V. sentenza Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio, cit. (punto 51). La Corte sembra sottintendere la sovrapposizione delle due libertà nella sentenza del 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (C‑143/88 e C‑92/89, Racc. pag. I‑415, punti da 72 a 78). V. inoltre conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nella causa Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio, cit, (paragrafo 105), e le conclusioni dell’avvocato generale Mázak nella causa Deutsches Weintorn (C‑544/10, paragrafo 64).


7 –      V., in particolare, sentenze del 13 dicembre 1979, Hauer (44/79, Racc. pag. 3727, punto 31); dell’8 ottobre 1986, Keller (234/85, Racc. pag. 2897, punto 8), e dell’11 luglio 1989, Schräder HS Kraftfutter (265/87, Racc. pag. 2237, punto 15).


8 –      V, tra molte, sentenze del 6 dicembre 2005, ABNA e a. (C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, Racc. pag. I‑10423, punto 87), nonché del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, Racc. pag. I‑6451, punto 126).


9 –      L’articolo 15 della Carta, dal titolo «Libertà professionale e diritto di lavorare», dispone quanto segue:


«1. Ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata.


2. Ogni cittadino dell’Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro».


10 –      V., tra l’altro, sentenze dell’11 luglio 1989, Schräder HS Kraftfutter, cit. (punto 15); del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, Racc. pag. I‑4973, punto 78), e del 12 luglio 2012, Kokopelli (C‑59/11, punto 77).


11 –      V., per tutte, sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (C‑92/09 e C‑93/09, Racc. pag. I‑11063, punto 65).


12 –      V. sentenza ABNA e a., cit. (punto 68); nonché sentenze del 7 luglio 2009, S.P.C.M. e a. (C‑558/07, Racc. pag. I‑5783, punto 41), e dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C‑58/08, Racc. pag. I‑4999, punto 51).


13 –      V., in tal senso, sentenze del 12 luglio 2001, Jippes e a. (C‑189/01, Racc. pag. I‑5689, punti 82 e 83); del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, Racc. pag. I‑11453, punto 123), e del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a., cit. (punto 52).


14 –      V., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2013, Agrargenossenschaft Neuzelle (C‑545/11, punto 43), e del 17 marzo 2011, AJD Tuna (C‑221/09, Racc. pag. I‑1655, punto 80).


15 –      V., in particolare, sentenze del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, Racc. pag. I‑4973, punti 89 e 90); del 13 dicembre 1994, SMW Winzersekt (C‑306/93, Racc. pag. I‑5555, punto 21), e del 2 luglio 2009, Bavaria e Bavaria Italia (C‑343/07, Racc. pag. I‑5491, punto 81).


16 –      V. Sentenze del 28 luglio 2011, Agrana Zucker (C‑309/10, Racc. pag. I‑7333, punto 44), e del 21 luglio 2011, Beneo‑Orafti (C‑150/10, Racc. pag. I‑6843, punto 77).


17 –      V. sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, Racc. pag. I‑4023, punto 17); del 17 luglio 1997, Affish (C‑183/95, Racc. pag. I‑4315, punto 42), e Kokopelli, cit. (punto 40).


18 –      V. sentenza Vodafone, cit. (punto 53).


19 –      V., in tal senso, sentenze del 14 luglio 1998, Safety Hi‑Tech (C‑284/95, Racc. pag. I‑4301, punto 51), e del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, Racc. pag. I‑9895, punto 58).


20 –      V., per analogia, sentenza del 18 luglio 2007, Industriale Químicas del Vallés/Commissione (C‑326/05 P, Racc. pag. I‑6557, punto 77).


21 –       Sentenze citate Kokopelli (punto 40) e Jippes (punto 85).


22 –      Affish, cit. (punto 43).


23 –      V., in questo senso, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott, relative alla causa S.P.C.M. (paragrafo 72).


24 –      V., in tal senso, de Búrca, G., «The Principle of Proportionality and its Application in EC Law», (1993) YbEL, pag. 112.


25 –      V., inter alia, sentenze Jippes, cit. (punto 84), e del 5 ottobre 1994, Crispoltoni e a. (C‑133/93, C‑300/93 e C‑362/93, Racc. pag. I‑4863, punto 43).


26 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Kokopelli, cit. (paragrafo 61).


27 –      V., da ultimo, sentenza Agrana Zucker, cit. (punto 42 e giurisprudenza ivi citata).


28 –      Direttiva 92/102/CEE relativa all’identificazione e alla registrazione degli animali (GU L 355, pag. 32).


29 –      Direttiva 90/425/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29). V., in particolare, il primo ed il quinto considerando della direttiva.


30 –      V. la relazione presentata dalla Commissione al Consiglio, sull’attuazione del sistema di identificazione elettronica degli animali della specie ovina e caprina, COM (2007) 771 def. (in prosieguo: la «relazione della Commissione del 2007»), pagg. 6 e 10.


31 –      A tale riguardo, l’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004 dispone quanto segue: «Il registro, il cui formato dev’essere approvato dall’autorità competente, è tenuto manualmente o in modo informatizzato ed è disponibile in qualsiasi momento presso l’azienda e accessibile, su richiesta, all’autorità competente per un periodo minimo che dev’essere determinato dall’autorità medesima, ma che non può essere inferiore a tre anni».


32 –      Progetto di ricerca CCAM da 93 a 342: V. «Project on the electronic identification of animals (IDEA)» (progetto pilota riguardante l’identificazione elettronica degli animali, IDEA), relazione finale del 30 aprile 2002 (in prosieguo: la «relazione finale IDEA») pag. 6.


33 –      Ibidem (pag. 7).


34 –      Ibidem (pag. 9 e segg.).


35 –      Ibidem (pag. 114).


36 –      V. relazione della Commissione del 2007, pagg. 5 e 12. Gli Stati membri in questione erano Cipro, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito.


37 –      V. «Foot & Mouth disease – General Disease Information Sheets» pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE), pag. 1.


38 –      V., ad esempio, lo studio condotto nel 2002 da Thompson, D., e a.: «Economic costs of the foot and mouth disease outbreak in the United Kingdom in 2001», RevSciTech. 21(3) dicembre 2002, pagg. da 675 a 687.


39 –      Il Department for Environment, Food and Rural Affairs of the UK Government (ministero per l’ambiente, l’alimentazione e gli affari rurali del governo del Regno Unito) ha stimato che, solo nell’anno 2001, in detto Stato sono stati macellati oltre 3 milioni di ovini e più di 2 500 caprini, oltre a bovini e suini. V. http://www.defra.gov.uk/


40 –      V., in particolare, decisioni della Commissione 2001/145/CE (GU L 53, pag. 25), 2001/172/CE (GU L 62, pag. 22), 2001/208/CE (GU L 73, pag. 38), 2001/223/CE (GU L 82, pag. 29), 2001/234/CE (GU L 84, pag. 62), 2001/263/CE (GU L 93, pag. 59) e 2001/327/CE (GU L 115, pag. 12) recanti talune misure di protezione contro l’afta epizootica nei rispettivi Stati membri.


41 –      V. il considerando 7 del regolamento n. 21/2004.


42 –      V. relazione finale IDEA, pag. 4.


43 –      V. Allegato 2 – Relazioni delle sessioni di lavoro.


44 –      «Foot and Mouth Disease 2001: Lessons to be Learned Inquiry Report», Relazione del 22 luglio 2002, pag. 165.


45 –      Corte dei Conti, relazione speciale n. 8/2004, sulla gestione e la supervisione, da parte della Commissione, delle misure di lotta e delle spese relative all’afta epizootica (corredata delle risposte della Commissione), punto 36 (GU 2005 C 54, pag. 1). Analogamente, v. relazione del Parlamento europeo – «Risoluzione sulla lotta contro l’afta epizootica nell’Unione europea nel 2001 e sulle future misure di prevenzione e di lotta alle epizoozie nell’Unione europea» (A5‑0405/2002 def.), paragrafo 116.


46 – Come già rilevato supra, tali condizioni comprendono spostamenti frequenti e in lotti di grandi dimensioni, nonché spesso la fusione con altri gruppi in mercati e centri di raccolta.


47 – Ad esempio, la trasmissione dell’afta epizootica avviene generalmente per contatto diretto tra animali infetti e sensibili. V. OIE, «Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals» 2012, Capitolo 2.1.5, disponibile all’indirizzo URL: http://www.oie.int/fileadmin/Home/fr/Health_standards/tahm/2.01.05_FMD.pdf


48 –      Cfr. Relazione finale IDEA, paragrafo 4.1.2.2.


49 –      V. relazione della Commissione del 2007, pagg. 6 e 8.


50 –      Secondo le osservazioni del sig. Schaible, alcuni studi condotti in Germania mostrano che, nel caso dei marchi auricolari elettronici, il 72,8% delle ferite guarisce entro quattro settimane dall’applicazione, mentre tale percentuale arriverebbe al 91,7% nel caso dei marchi auricolari tradizionali.


51 –      JRC, «Economic Analysis of Electronic Identification of Small Ruminants in Member States» (in prosieguo: la «relazione del JRC del 2009»).


52 –       Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004, ai fini dell’attuazione di tale strumento, la Commissione «è assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali istituito dal regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio».


53 –      V., in tal senso, sentenze del 19 aprile 2012, Artegodan/Commissione e Germania (C‑221/10 P, punto 99), e Affish, cit. (punto 43).


54 –      V. Relazione della Commissione del 2007, pag. 11.


55 –      V. relazione del JRC del 2009, pag. 42.


56 –      V. articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 21/2004 nella sua versione originale e come modificato dal regolamento (CE) n. 1560/2007 del Consiglio, del 17 dicembre 2007 (GU L 340, pag. 25).


57 –      V. articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004 e sezione B, punto 1 del relativo allegato.


58 –      V. articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 21/2004 e, inoltre, sezione C, punti 2 e 3 del relativo allegato.


59 –      V. articolo 4, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 21/2004 e punto A.8 del relativo allegato.


60 –      V. articoli 4, paragrafo 3, e 9, paragrafo 3, secondo e terzo comma, del regolamento n. 21/2004 e sezione A, punto 8 del relativo allegato.


61 –      V. articolo 5, paragrafo 4, del regolamento n. 21/2004.


62 –      GU L 160, pag. 80.


63 –      Mediante il regolamento (CE) n. 1783/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che modifica il regolamento (CE) n. 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) (GU L 270, pag. 70).


64 –      GU L 277, pag. 1.


65 –      V., tra l’altro, sentenze dell’11 luglio 2006, Franz Egenberger (C‑313/04, Racc. pag. I‑6331, punto 33), e Arcelor Atlantique, cit. (punto 23).


66 –      V. sentenza Arcelor Atlantique, cit. (punto 47).


67 –      V., in tal senso, sentenze del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, Racc. pag. I‑4475, punto 24); del 12 marzo 2002, Omega Air e a. (C‑27/00 e C‑122/00, Racc. pag. I‑2569, punto 64), e Lussemburgo/Parlamento e Consiglio (C‑176/09, Racc. pag. I‑3727, punto 35).


68 –      Ad esempio, gli animali delle specie ovina e caprina sono, in media, sottoposti ad un maggior numero di spostamenti rispetto agli animali delle specie bovina e suina, o quantomeno a circuiti commerciali più corti, prima di raggiungere la loro destinazione finale ed inoltre, diversamente dagli animali della specie bovina e suina, vengono spesso venduti all’asta in lotti di grandi dimensioni. Ancora, come già rilevato in precedenza, i gruppi di ovini e caprini oggetto di scambi commerciali possono spesso cambiare composizione. Tali circostanze rendono evidentemente più difficile identificare e rintracciare ciascun animale e, pertanto, indispensabile un sistema più rapido e preciso di comunicazione dei dati.


69 –      Ad esempio, il Consiglio rileva che, nel caso dell’afta epizootica, il rischio di contagio è più elevato tra ovini e caprini che tra suini.


70 –      Per una recente analisi costi/benefici dell’identificazione elettronica dei bovini, v. Commissione Europea «Study on the introduction of electronic identification (EID) as official method to identify bovine animals within the European Union – Final Report [Studio sull’introduzione dell’identificazione elettronica (EID) come metodo ufficiale per identificare i bovini nell’UE – relazione finale]» del 3 maggio 2009, pag. 22 e segg.


71 –      V., in tal senso, sentenze del 18 aprile 1991, Assurances du crédit/Consiglio e Commissione (C‑63/89, Racc. pag. I‑1799, punto 11), e del 13 maggio 1997, Germania/Parlamento e Consiglio (C‑233/94, Racc. pag. I‑2405, punto 43).


72 –      V. sentenza Arcelor Atlantique, cit. (punto 57).


73 –      V., in tal senso, sentenze del 26 settembre 2002, Spagna/Commissione (C‑351/98, Racc. pag. I‑8031, punto 57), e del 22 maggio 2003, Connect Austria (C‑462/99, Racc. pag. I‑5197, punto 115).


74 –      V. considerando 11 del regolamento n. 21/2004.


75 –      V. articolo 10, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 21/2004. All’udienza, in risposta a una mia domanda, il Consiglio ha spiegato che, in base alle informazioni a sua disposizione al momento dell’adozione di detto regolamento, i livelli indicati all’articolo 10, paragrafo 2, lettera b), sono stati considerati i più adatti per distinguere tra Stati membri con un’industria dell’allevamento animale prevalentemente intensivo e quelli in cui la detenzione degli animali è di tipo estensivo. Devo rilevare che l’importante differenza tra i livelli demografici fissati per gli ovini (600 000) e quelli fissati per i caprini (160 000) mi lascia piuttosto perplesso.