CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 19 febbraio 2009 1(1)
Causa C‑8/08
T-Mobile Netherlands BV e altri
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal College van Beroep voor het bedrijfsleven (Paesi Bassi)]
«Concorrenza – Art. 81, n. 1, CE – Pratiche concordate – Pratica concordata intesa ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza – Criteri per la valutazione dello scopo – Concertazione una tantum del comportamento – Nesso causale fra la concertazione e il comportamento sul mercato delle imprese coinvolte – Onere della prova – Presunzione di un nesso causale»
I – Introduzione
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre alla Corte di giustizia l’occasione di chiarire quali criteri devono essere imposti all’accertamento di una pratica concordata che persegue un fine anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
2. In sostanza occorre chiarire se e in che misura l’assunzione di uno scopo anticoncorrenziale esiga un esame delle concrete condizioni di mercato, del comportamento sul mercato delle imprese coinvolte e degli effetti sulla concorrenza del loro comportamento. Occorre inoltre chiarire quali precetti possono essere ricavati dal diritto comunitario in relazione al grado di intensità della prova, qualora in un procedimento nazionale debba essere accertata una violazione dell’art. 81 CE.
3. Tali questioni rivestono un’importanza da non sottovalutare per l’efficace attuazione del diritto comunitario in materia di concorrenza nel nuovo, decentralizzato sistema introdotto attraverso la modernizzazione del diritto processuale in materia di intese con il regolamento (CE) n. 1/2003 (2). Nel risolvere tali questioni occorre tenere conto dei pericoli che un indebolimento dell’efficacia delle regole sulla concorrenza del Trattato CE comporterebbe non solo per il mercato interno europeo (3), ma anche per il consumatore europeo.
II – Contesto normativo
A – Normativa comunitaria
4. Il contesto normativo di diritto comunitario della presente fattispecie è determinato dall’art. 81, n. 1, CE, il quale così recita:
«Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi».
5. Per completezza, occorre rinviare al regolamento n. 1/2003, il quale, al suo art. 2, contiene in particolare la seguente disposizione sull’onere della prova:
«In tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all’applicazione degli articoli 81 e 82 del trattato, l’onere della prova di un’infrazione dell’articolo 81, paragrafo 1, o dell’articolo 82 del trattato incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione (…)».
6. Merita inoltre di essere menzionata l’ultima frase del quinto ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003:
«Il presente regolamento non incide né sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova né sugli obblighi delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri inerenti all’accertamento dei fatti pertinenti di un caso, purché dette norme e detti obblighi siano compatibili con i principi generali del diritto comunitario».
7. Il rapporto fra l’art. 81 CE e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza è disciplinato come segue dall’art. 3 del regolamento n. 1/2003:
«1. Quando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza ad accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi di detta disposizione, esse applicano anche l’articolo 81 del trattato a siffatti accordi, decisioni o pratiche concordate (…)».
2. Dall’applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza non può scaturire il divieto di accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri che non impongono restrizioni alla concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato (…)
(…)».
B – Normativa nazionale
8. Quanto al diritto olandese, il contesto normativo del caso presente viene determinato dalla legge sulla concorrenza (Mededingingswet (4); in prosieguo: la «Mw»), nella versione modificata dalla legge 9 dicembre 2004 (5) ed entrata in vigore il 1° luglio 2005.
9. L’art. 1 Mw contiene, inter alia, la seguente definizione:
«In questa legge e nelle disposizioni su essa fondate si intende, con l’espressione:
(…)
h) pratiche concordate: pratiche concordate ai sensi dell’art. 81, n. 1, del Trattato CE»;
(…)».
10. L’art. 6, n. 1, Mw prevede quanto segue:
«Sono vietati gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate di imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato olandese o su una parte di esso».
11. In caso di violazione dell’art. 6, n. 1, Mw, il consiglio di amministrazione (6) dell’autorità olandese garante della concorrenza, la cosiddetta «NMa» (7), può, ai sensi dell’art. 56, n. 1, lett. a), Mw, infliggere un’ammenda alla persona fisica o giuridica a cui è imputabile la violazione.
III – Fatti e procedimento principale
– Il mercato olandese per i servizi di telecomunicazione
12. Nel 2001, all’epoca in cui si sono verificati i fatti di cui alla causa principale, cinque operatori disponevano di una propria rete di telefonia mobile, e precisamente la Ben Nederland BV (8) (quota di mercato: 10,6%), la KPN (42,1%), la Dutchtone NV (9) (9,7%), la Libertel-Vodafone NV (26,1%) e la Telfort Mobiel BV (10) (11,4%). La creazione di una sesta rete di telefonia mobile non era possibile, in quanto non venivano più rilasciate autorizzazioni. L’accesso al mercato dei servizi di telecomunicazione mobile era possibile solo stipulando un contratto con uno o più dei cinque operatori.
– Pacchetti prepagati e abbonamenti postpagati nei Paesi Bassi
13. All’interno dell’offerta di servizi di telecomunicazione mobile si opera una distinzione, nei Paesi Bassi, tra i cosiddetti pacchetti prepagati e gli abbonamenti postpagati. I pacchetti prepagati sono caratterizzati dal fatto che il cliente effettua un pagamento anticipato; acquistando o ricaricando una tessera prepagata lo stesso acquista un bonus di minuti di conversazione, fino ad esaurimento del bonus acquistato. Gli abbonamenti postpagati si caratterizzano invece per il fatto che al cliente il numero di minuti di conversazione telefonica viene addebitato a posteriori periodicamente; a ciò si aggiunge, in genere, un costo di abbonamento fisso, eventualmente in combinazione con un bonus di minuti di conversazione telefonica.
14. In caso di conclusione o di proroga di un abbonamento postpagato tramite un distributore, quest’ultimo fornisce il cellulare e l’operatore la tessera SIM (11). Inoltre, l’operatore riconosce al distributore un compenso per ogni abbonamento di telefonia mobile concluso. Questo compenso standard per i distributori può eventualmente venire aumentato con diversi compensi integrativi, a seconda del distributore e del tipo di abbonamento venduto.
– L’incontro del 13 giugno 2001
15. Il 13 giugno 2001 si sono incontrati i rappresentanti degli operatori di telefonia mobile che offrono sul mercato olandese servizi di telecomunicazione mobile. Nel corso di tale incontro si è parlato, inter alia, della riduzione dei compensi standard per i distributori per abbonamenti postpagati, con decorrenza dal 1º settembre 2001 o intorno a tale data. Come risulta dall’ordinanza di rinvio, fra due partecipanti all’incontro venivano discusse informazioni riservate (12).
– Il procedimento principale
16. Con decisione 30 dicembre 2002 (in prosieguo: la «decisione originaria») la NMa ha accertato che la Ben, la Dutchtone, la KPN, l’O2 (Telfort) e la Vodafone (ex Libertel-Vodafone) avrebbero concluso fra loro un accordo ovvero avrebbero concertato una pratica comune in ordine agli abbonamenti di telefonia mobile. La NMa ha concluso che le pratiche in questione restringerebbero in maniera sensibile la concorrenza, violando così il divieto sancito dall’art. 6, n. 1, Mw. Essa ha pertanto inflitto ammende alle imprese di cui trattasi.
17. Le cinque imprese di cui trattasi hanno impugnato la decisione originaria.
18. Con decisione sull’opposizione 27 settembre 2004, la NMa ha dichiarato parzialmente fondate e parzialmente infondate le opposizioni della T-Mobile (ex Ben), della KPN, dell’Orange (ex Dutchtone), della Vodafone e dell’O2 (Telfort). Essa, da un lato, ha stralciato l’addebito di un accordo anticoncorrenziale, dall’altro, ha confermato l’addebito di una pratica concordata anticoncorrenziale e ha constatato la sussistenza, oltre che di una violazione dell’art. 6, n. 1, Mw anche di una violazione dell’art. 81, n. 1, CE (13). La NMa ha corrispondentemente ridotto le ammende.
19. Avverso tale decisione sull’opposizione, la T-Mobile, la KPN, l’Orange, la Vodafone e la Telfort hanno proposto ricorso dinanzi al Rechtbank te Rotterdam.
20. Con sentenza 13 luglio 2006, il Rechtbank te Rotterdam ha annullato la decisione sull’opposizione e ha incaricato la NMa di pronunciarsi nuovamente sull’impugnazione (14).
21. La NMa e tre delle imprese di cui trattasi – la T-Mobile, la KPN e l’Orange – hanno impugnato questa sentenza dinanzi al College van Beroep voor het bedrijfsleven, il giudice del rinvio (15). Accanto ad esse ha partecipato anche la Vodafone, quale parte della controversia iniziale, il che non si può più dire della Orange, secondo quanto indicato dal giudice del rinvio.
IV – Rinvio pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
22. In tale contesto, il College van Beroep voor het bedrijfsleven ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1) A quali criteri si debba far ricorso nell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, per valutare se una pratica concordata abbia per oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.
2) Se l’art. 81 CE debba essere interpretato nel senso che, nell’applicazione del detto articolo da parte del giudice nazionale, la prova del nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato deve essere fornita e valutata ai sensi delle norme di diritto nazionale, sempre che siffatte norme non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario.
3) Se, nell’applicazione della nozione di pratica concordata ai sensi dell’art. 81 CE, la presunzione di un nesso causale tra la concertazione e il comportamento sul mercato valga sempre, anche qualora la concertazione avvenga una tantum e l’operatore che vi partecipa resti attivo sul mercato, oppure solo nei casi in cui la concertazione abbia luogo nel corso di un lungo periodo e su base regolare.
23. Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte e orali la T-Mobile, la KPN, la Vodafone, il governo olandese e la Commissione delle Comunità europee. La NMa ha aderito alle osservazioni scritte del governo olandese.
V – Valutazione
A – Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
24. Quanto alla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, è opportuno menzionare brevemente due aspetti.
25. In primo luogo, il giudice del rinvio si interroga in ordine all’interpretazione dell’art. 81, n. 1, CE, nonostante la decisione della NMa, controversa nel procedimento a quo, si fondi principalmente sul diritto nazionale in materia di concorrenza (art. 6, n. 1, Mw).
26. È tuttavia pacifico che l’art. 6, n. 1, Mw si ispira completamente, sotto il profilo sostanziale, alla corrispondente disposizione di diritto comunitario costituita dall’art. 81, n. 1, CE. Per un siffatto caso risulta da giurisprudenza costante che esiste un interesse comunitario certo ad un’interpretazione uniforme delle disposizioni o nozioni riprese dal diritto comunitario (16).
27. Inoltre, l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1/2003 obbliga la NMa ad applicare alle pratiche concordate che possono pregiudicare il commercio tra Stati membri, accanto alla disposizione nazionale di cui all’art. 6, n. 1, Mw, anche l’art. 81, n. 1, CE. Di conseguenza, nella decisione sull’impugnazione della NMa, accanto all’art. 6, n. 1, Mw, si è fatto ricorso, quale fondamento normativo, anche all’art. 81, n. 1, CE. L’art. 81, n. 1, CE rileva pertanto, per il caso presente, non solo indirettamente quale punto di riferimento per l’interpretazione dell’art. 6, n. 1, Mw, bensì anche quale disposizione applicabile direttamente alla controversia principale.
28. Alla luce di tali circostanze, non sussistono dubbi circa la rilevanza delle questioni sollevate in relazione all’interpretazione dell’art. 81 CE nonché al rapporto fra diritto comunitario e diritto nazionale in materia di concorrenza.
29. In secondo luogo, la Vodafone afferma che una soluzione della prima questione pregiudiziale non sarebbe necessaria, in quanto la situazione di diritto sarebbe chiara già grazie alle indicazioni interpretative pubblicate dalla Commissione (17). Al riguardo occorre osservare, da un lato, che le comunicazioni della Commissione non sono giuridicamente vincolanti e non possono pertanto anticipare un’interpretazione della Corte nel procedimento ai sensi dell’art. 234 CE. Dall’altro lato, una domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe ricevibile anche se la situazione di diritto fosse chiara; in questo caso verrebbe semmai in considerazione una soluzione mediante ordinanza ai sensi dell’art. 104, n. 3, del regolamento di procedura della Corte di giustizia.
30. Infine, la Vodafone afferma che sarebbe evidente che la pratica concordata qui controversa non avrebbe perseguito alcun obiettivo anticoncorrenziale. Alla luce dell’aspra controversia portata avanti dalle parti in ordine a tale questione, sia nel procedimento principale che dinanzi alla Corte, tale valutazione non mi sembra corretta.
31. La domanda di pronuncia pregiudiziale è pertanto ricevibile in toto.
B – Valutazione nel merito delle questioni pregiudiziali
32. Le tre questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio mirano complessivamente a chiarire quali criteri devono essere imposti all’accertamento di una pratica concordata anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
33. In proposito non si tratta tanto di fornire una definizione di pratica concordata in quanto tale. Essa, secondo giurisprudenza costante, costituisce una forma di coordinamento delle attività delle imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza (18).
34. Al centro del caso presente si trova piuttosto la valutazione del carattere anticoncorrenziale di pratiche concordate e la connessa distinzione fra quelle pratiche concordate il cui carattere anticoncorrenziale risulta solo dai loro effetti e quelle che devono essere considerate anticoncorrenziali già per il loro scopo. In particolare in relazione alla seconda fattispecie, il giudice del rinvio non è infatti sicuro se e in che misura l’assunzione di uno scopo anticoncorrenziale esiga un esame della concreta congiuntura di mercato, del comportamento sul mercato delle imprese coinvolte e degli effetti sulla concorrenza del loro comportamento.
1. Sulla prima questione pregiudiziale: criteri per l’assunzione di una pratica concordata intesa ad una restrizione della concorrenza
35. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, in base a quali criteri occorre valutare se una pratica concordata sia intesa a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.
36. Com’è noto, la NMa contesta ad una serie di operatori olandesi che offrono servizi di telecomunicazione di essersi scambiati, in occasione di un incontro risalente al giugno 2001, informazioni riservate e di averle discusse fra loro, il che avrebbe a sua volta condotto ad un coordinamento del loro comportamento sul mercato in relazione alla riduzione di determinate provvigioni per i rispettivi distributori.
37. Non ogni scambio di informazioni fra concorrenti mira necessariamente ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (19).
38. La sussistenza o meno di uno scopo anticoncorrenziale deve piuttosto essere valutata sulla scorta delle circostanze che caratterizzano il caso concreto. In proposito risultano determinanti gli stessi criteri utilizzati per valutare gli accordi tra imprese e le decisioni di associazioni di imprese contemplate dall’art. 81, n. 1, CE (20). La giurisprudenza pronunciata in relazione agli accordi e alle decisioni può pertanto essere trasposta alle pratiche concordate fra imprese.
39. Il punto di partenza per l’assunzione di uno scopo anticoncorrenziale è costituito dunque dal contenuto (21) e dagli obiettivi (22) della pratica concordata; le intenzioni soggettive dei soggetti coinvolti possono tutt’al più essere prese in considerazione a titolo integrativo, ma non sono determinanti (23). Occorre parimenti tenere conto, inoltre, del contesto economico e giuridico in cui la pratica concordata si colloca (24).
40. Sono soprattutto il contenuto e il contesto economico in cui si colloca la pratica concordata fra gli operatori olandesi di telefonia mobile ad essere motivo di controversia nel presente caso. In termini semplificati, sia il giudice del rinvio sia la T-Mobile, la KPN e la Vodafone nutrono dubbi su se, alla luce dell’oggetto della pratica concordata e del contesto economico in cui essa si colloca, si possa parlare di uno scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
41. È avendo presenti siffatte perplessità che devono essere in prosieguo approfonditi i criteri in base ai quali debba essere valutato il carattere anticoncorrenziale dell’obiettivo di una pratica concordata quale quella controversa nel procedimento principale.
a) Osservazioni generali sulla nozione di scopo anticoncorrenziale
42. Occorre innanzitutto rammentare che lo scopo anticoncorrenziale e l’effetto anticoncorrenziale costituiscono requisiti non tanto cumulativi quanto alternativi in relazione al divieto sancito dall’art. 81, n. 1, CE (25). In altre parole, le pratiche concordate sono vietate, indipendentemente dal loro effetto, qualora perseguano uno scopo anticoncorrenziale (26). La considerazione degli effetti concreti di una pratica concordata è superflua quando risulta che tale pratica è intesa a restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza nel mercato comune (27). Una siffatta pratica concordata è infatti vietata anche in assenza di effetti anticoncorrenziali sul mercato (28).
43. Vietare pratiche concordate per il solo fatto del loro scopo anticoncorrenziale si giustifica in quanto talune forme di collusione tra imprese possono essere considerate per loro stessa natura nocive al buon funzionamento del normale gioco della concorrenza (29). Vietare di per sé siffatte pratiche notoriamente nocive sotto il profilo sociale (c.d. «divieti di principio») assicura la certezza del diritto e consente a tutti gli operatori di mercato di adeguare in maniera conforme il proprio comportamento. Inoltre, le risorse delle autorità nazionali garanti della concorrenza e dei giudici possono in tal modo essere protette in maniera sensata.
44. Certamente la nozione di pratica concordata a scopo anticoncorrenziale non può essere interpretata in maniera eccessivamente estensiva (30), se si considerano gli effetti restrittivi ai quali possono esporsi le imprese di cui trattasi nel caso di una violazione dell’art. 81, n. 1, CE (31). Né tantomeno tale nozione può tuttavia essere interpretata in maniera eccessivamente restrittiva, se non si vuole svuotare di significato il divieto, sancito dal diritto primario, di «infrazioni per oggetto» e sottrarre in tal modo all’art. 81, n. 1, CE una parte della sua efficacia pratica. Già dal testo dell’art. 81, n. 1, CE, risulta che sono vietate sia le pratiche concordate a scopo anticoncorrenziale che quelle ad effetto anticoncorrenziale (32).
45. Contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice del rinvio, il divieto di «infrazioni per oggetto» non può pertanto essere inteso, per esempio, nel senso che lo scopo anticoncorrenziale genera solo una sorta di presunzione di illegittimità, la quale può tuttavia essere confutata qualora non possano essere dimostrati, nel caso concreto, effetti negativi sul funzionamento del mercato (33). La conseguenza di una siffatta interpretazione sarebbe infatti quella di mescolare indebitamente due alternative che convivono l’una indipendentemente dall’altra all’interno dell’art. 81, n. 1, CE: il divieto di collusione con uno scopo anticoncorrenziale, da un lato, e il divieto di collusione con un effetto anticoncorrenziale, dall’altro.
46. Esula dunque dalla portata di queste conclusioni far dipendere l’assunzione di uno scopo anticoncorrenziale dall’accertamento effettivo dell’esistenza o dell’assenza di effetti anticoncorrenziali concreti nel singolo caso, a prescindere da se si siano con ciò intesi gli effetti per i concorrenti, per i consumatori o per la comunità. Per il divieto ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, è piuttosto sufficiente già se una pratica concordata ha il potenziale, sulla scorta di dati legati all’esperienza, per esplicare effetti negativi sulla concorrenza (34). In altre parole, è sufficiente che la pratica concordata sia concretamente – ossia tenuto conto del suo rispettivo contesto economico e giuridico – idonea (35), ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Se e in che misura un siffatto effetto anticoncorrenziale effettivamente si produca può semmai essere rilevante per calcolare l’ammontare di eventuali ammende e per pretese risarcitorie.
47. In definitiva, il divieto di «infrazioni della concorrenza per oggetto» risultante dall’art. 81, n. 1, CE, è quindi analogo ai reati di pericolo conosciuti nel diritto penale: chi guida sotto l’effetto di stupefacenti o di alcol, si espone, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici, a sanzioni penali o amministrative, e ciò del tutto a prescindere dall’avere messo effettivamente qualcuno in pericolo nella circolazione stradale o dall’avere addirittura provocato un incidente. Analogamente, le imprese violano il diritto europeo in materia di concorrenza e possono essere esposte al pagamento di ammende se esse si avvalgono sul mercato di pratiche concordate a scopo anticoncorrenziale; è irrilevante se nel caso concreto taluni operatori di mercato o la comunità risultino effettivamente danneggiati.
48. Non diversamente risulta dalla sentenza GlaxoSmithKline Services/Commissione delle Comunità europee (36), a cui si richiama la KPN. È pacifico che al punto 147 di questa sentenza, punto formulato in maniera estremamente equivoca, si legge che il carattere anticoncorrenziale di un accordo non può essere desunto dalla mera lettura del relativo testo, effettuata nel suo specifico ambito, bensì dovrebbero essere «necessariamente» previsti anche i suoi effetti. A mio avviso con ciò si intende solamente che lo scopo di un accordo (o di una pratica) non deve essere valutato astrattamente bensì concretamente – ossia tenendo conto del contesto giuridico ed economico in cui di volta in volta si colloca – e che devono essere prese in considerazione le particolarità del rispettivo mercato; nella causa GlaxoSmithKline Services esse consistevano, secondo il Tribunale, nel fatto che i prezzi, a causa dell’esistenza di una regolamentazione statale, erano sottratti in ampia misura al libero gioco della domanda e dell’offerta ed erano fissati o controllati dalle pubbliche autorità. In base a tale interpretazione non sussiste alcuna contraddizione fra il punto 147 della sentenza GlaxoSmithKline Services/Commissione e quanto da me affermato al paragrafo 46 di queste conclusioni. Qualora invece il punto 147 della sentenza GlaxoSmithKline Services/Commissione debba essere inteso nel senso che per ritenere sussistente uno scopo anticoncorrenziale occorre in ogni caso («necessariamente») anche l’accertamento di effetti concreti sulla concorrenza, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto.
49. Correttamente, infatti, l’assunzione di uno scopo anticoncorrenziale non presuppone, come già esposto, un esame degli effetti concreti di una pratica concordata, bensì esclusivamente la concreta idoneità di tale pratica ad esplicare effetti anticoncorrenziali.
b) Lo scopo anticoncorrenziale in un caso quale quello in oggetto
50. La NMa riconduce la pratica concordata accertata nel caso presente al fatto che fra più operatori olandesi di servizi di telecomunicazione si era verificato uno scambio di informazioni in ordine alla progettata riduzione di determinate provvigioni per i rispettivi distributori.
51. Un siffatto scambio di informazioni commerciali riservate fra concorrenti in ordine al comportamento sul mercato che gli stessi intendono adottare è in linea di principio idoneo a determinare effetti anticoncorrenziali, in quanto esso può comportare la diminuzione o addirittura l’annullamento del grado d’incertezza sul funzionamento del mercato, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese coinvolte (37). In tale contesto è irrilevante se un siffatto scambio di informazioni abbia costituito l’oggetto principale del contatto o se lo stesso si sia verificato solo in occasione (ovvero con il pretesto) di un contatto che di per sé non aveva alcuno scopo anticoncorrenziale (38).
– La problematica dello scambio di informazioni fra concorrenti alla luce dell’esigenza di autonomia nel settore della concorrenza
52. Occorre ricordare che l’autonomia degli operatori economici rientra fra i principi fondamentali per una concorrenza funzionante. Di conseguenza, anche le disposizioni in materia di concorrenza del Trattato CE presuppongono che ogni operatore economico deve determinare autonomamente la politica che intende seguire sul mercato comune. Siffatta esigenza di autonomia vieta che fra gli operatori economici abbiano luogo contatti diretti o indiretti attraverso i quali un’impresa influenzi il comportamento tenuto sul mercato dai suoi concorrenti oppure riveli loro il comportamento che ha deciso, o prevede, di tenere essa stessa sul mercato, qualora in tal modo possano crearsi condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato di cui trattasi (39).
53. Tale è a maggior ragione il caso qualora lo scambio di informazioni riguardi un mercato oligopolistico fortemente concentrato (40). Proprio una siffatta struttura sembra caratterizzare il mercato olandese per i servizi di telecomunicazione nel 2001: come risulta dall’ordinanza di rinvio, solo cinque imprese disponevano ivi, a suo tempo, di proprie reti di telefonia mobile e una di loro – la KPN – si era addirittura assicurata una quota di mercato di oltre il 40%, mentre la creazione di ulteriori reti indipendenti non era possibile, in assenza di autorizzazioni disponibili (41).
54. È irrilevante, in tale contesto, se solo un’impresa informi unilateralmente i propri concorrenti in merito al comportamento che intende adottare sul mercato oppure se tutte le imprese coinvolte si scambino informazioni in ordine alle rispettive considerazioni e intenzioni. Infatti, basta una sola impresa che esce allo scoperto e fornisce ai suoi concorrenti informazioni riservate concernenti la propria politica commerciale futura per ridurre per tutti i soggetti coinvolti l’incertezza sul futuro funzionamento del mercato e per generare il pericolo di una diminuzione della concorrenza e di un comportamento collusivo fra tali soggetti.
– Non necessità di un collegamento diretto con i prezzi al dettaglio
55. Il giudice nazionale, la KPN e la Vodafone eccepiscono che, nel caso presente, lo scambio di informazioni e la pratica concordata riguarderebbero solo le provvigioni dei distributori e non avrebbero alcuna influenza diretta sui prezzi al dettaglio. I prezzi al dettaglio verrebbero determinati solo nel rapporto fra il rispettivo operatore di servizi di telecomunicazione e i suoi clienti, senza che i distributori esercitino una qualsivoglia influenza al riguardo.
56. Tale argomento non è convincente. Le pratiche concordate possono perseguire uno scopo anticoncorrenziale anche senza esercitare un’influenza diretta sui consumatori e sui prezzi che questi devono pagare.
57. Secondo il suo stesso disposto, l’art. 81, n. 1, CE, si dirige in generale contro l’impedimento, la restrizione o la distorsione della concorrenza all’interno del mercato comune. Fra i diversi esempi di cui all’art. 81, n. 1, lett. a)‑e), CE, non si trova parimenti alcuna restrizione consistente nel vietare solo pratiche commerciali anticoncorrenziali con effetti diretti sui consumatori finali.
58. Piuttosto, l’art. 81 CE costituisce parte di un sistema inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno [art. 3, n. 1, lett. g), CE]. Di conseguenza l’art. 81 CE, come anche le altre norme sulla concorrenza del Trattato, non è soltanto e prioritariamente destinato a tutelare gli interessi immediati di singoli concorrenti o consumatori, bensì la struttura del mercato e, pertanto, la concorrenza in quanto tale (come istituto). In questo modo, naturalmente, viene indirettamente tutelato anche il consumatore. Infatti, se la concorrenza in quanto tale subisce un pregiudizio, alla fine sono da temere svantaggi anche per il consumatore (42).
59. Una pratica concordata non persegue dunque uno scopo anticoncorrenziale solo se è idonea ad esplicare direttamente effetti sui consumatori e sui prezzi che questi devono pagare oppure – per riprendere le parole della T-Mobile – sul «consumer welfare». Piuttosto, si deve assumere uno scopo anticoncorrenziale già se la pratica concordata è idonea a impedire, restringere o falsare laconcorrenza all’interno del mercato comune. In tal modo si indica infatti che la pratica concordata può in ogni caso esplicare indirettamente anche effetti negativi sui consumatori.
60. Restringere il divieto sancito dall’art. 81, n. 1, CE solo alle pratiche che influiscono direttamente sui prezzi al dettaglio priverebbe questa disposizione, di importanza centrale per il mercato interno, di gran parte della sua efficacia pratica.
– Anche lo scambio di informazioni su singoli parametri della concorrenza è sufficiente
61. Contrariamente alla posizione accennata dal giudice del rinvio, non è peraltro necessario che una pratica concordata si estenda a tutti i parametri della concorrenza. Uno scopo anticoncorrenziale può essere insito in una pratica concordata anche essa riguarda solo singoli parametri della concorrenza, quale per esempio, nel caso di specie, i compensi standard per i distributori.
62. Se infatti un’impresa riduce unilateralmente le provvigioni che accorda ai suoi distributori, ne consegue, in genere, un minore incentivo per il rispettivo distributore a fare da intermediario nella conclusione di abbonamenti fra quell’impresa e i consumatori finali. Ciò può eventualmente costituire un fattore che mette in pericolo la quota di mercato dell’impresa di cui trattasi, tanto più che da questo momento in poi può essere più conveniente per i distributori indipendenti (43) incrementare la vendita ai consumatori finali di prodotti di altre imprese (44). Le imprese si sottraggono o comunque riducono questo rischio commerciale – sussistente in ogni caso in presenza di condizioni concorrenziali normali – allorché le stesse diminuiscono le rispettive provvigioni non unilateralmente bensì, come nel caso di specie, più o meno contemporaneamente nell’ambito di una pratica concordata; così facendo, infatti, esse riducono l’incertezza sul comportamento che i propri concorrenti terranno sul mercato. Ciò può comportare un impedimento o perlomeno una restrizione o una distorsione della concorrenza all’interno del mercato comune. Di conseguenza, una siffatta pratica commerciale è caratterizzata da uno scopo anticoncorrenziale.
63. A ciò si aggiunge, nel caso presente, che le provvigioni per i distributori rappresentano, dal punto di vista degli operatori di telefonia mobile, il prezzo di acquisto per i servizi prestati dai rispettivi distributori nell’intermediazione della vendita di abbonamenti postpagati. Come correttamente sottolineato dalla Commissione, dall’esempio tipico di cui all’art. 81, n. 1, lett. a), CE, risulta che una pratica concordata, avuto riguardo ai «prezzi d’acquisto», persegue un scopo anticoncorrenziale vietato dal diritto comunitario.
– Sull’influenza delle condizioni di mercato sul comportamento dei concorrenti
64. La Vodafone sostiene inoltre che i compensi standard per i distributori avrebbero dovuto comunque essere ridotti a causa delle condizioni di mercato in cui si versava all’epoca. Un parallelismo dei comportamenti delle imprese non potrebbe far supporre uno scopo anticoncorrenziale qualora tale comportamento sia spiegabile sulla scorta della struttura del mercato e dei rapporti economici che lo caratterizzano.
65. Anche ammettendo la correttezza della valutazione delle condizioni di mercato di allora da parte della Vodafone, neanche questo argomento mi persuade.
66. È pacifico che non ogni parallelismo dei comportamenti dei concorrenti sul mercato deve essere necessariamente riconducibile alla circostanza che i concorrenti hanno concertato il loro comportamento a scopo anticoncorrenziale (45). Anche la situazione generale di mercato può comportare che tutte le imprese che operano su un mercato procedano in maniera analoga a taluni adeguamenti del proprio comportamento sul mercato (46).
67. Possono tuttavia permanere delle incertezze considerevoli in relazione al momento esatto, alla portata e alle modalità dell’adeguamento che le rispettive imprese devono effettuare. Uno scambio di informazioni, il quale è idoneo ad eliminare appunto tali rimanenti incertezze fra i soggetti coinvolti, persegue uno scopo anticoncorrenziale. Esattamente a questo tipo di scambio di informazioni si era pervenuti, secondo i dati a disposizione, nel caso presente, il quale si distingue così in maniera essenziale dal caso Zellstoff, richiamato dalla Vodafone (47).
68. Oggetto dello scambio di informazioni avvenuto in occasione dell’incontro del giugno 2001 era infatti non tanto la circostanza che si sarebbe verificato un adeguamento di talune provvigioni – ciò sembra, perlomeno nel caso di uno dei concorrenti, essere già stato risaputo in precedenza – quanto piuttosto la questione di come l’adeguamento avrebbe di volta in volta avuto luogo, ossia quando, in che misura e in base a quali modalità sarebbe stata effettuata da ciascuna impresa la progettata riduzione dei compensi standard per i distributori.
69. Non vi sono elementi per assumere che il contesto economico nel 2001 avesse escluso qualsiasi possibilità di un’efficace concorrenza in relazione al momento, alla portata e alle modalità di un’eventuale riduzione dei compensi standard per i distributori (48).
70. L’art. 81 CE non impedisce agli operatori economici di adeguare il proprio comportamento alle condizioni del rispettivo mercato e di reagire così in maniera intelligente sia ad eventuali cambiamenti delle condizioni quadro economiche e giuridiche sia ad eventuali cambiamenti nel comportamento sul mercato tenuto da altre imprese (49). L’art. 81 CE vieta però di procedere a siffatti adeguamenti mettendo da parte le regole del gioco di una libera concorrenza, per esempio allorché dei concorrenti decidano di concerto il loro futuro comportamento sul mercato, sottraendosi così in parte alla pressione concorrenziale e ai rischi del mercato ad essa connessi.
71. Qualora non si intenda applicare l’art. 81 CE a siffatte pratiche, si proteggerebbe in definitiva i concorrenti dalla concorrenza e si accorderebbe la priorità agli interessi delle imprese coinvolte a scapito dell’interesse generale ad un gioco della concorrenza non falsato [art. 3, n. 1, lett. g), CE]. L’obiettivo del diritto europeo in materia di concorrenza deve tuttavia consistere nel tutelare la concorrenza e non i concorrenti, in quanto di ciò beneficiano indirettamente anche i consumatori e la comunità.
c) Conclusione parziale
72. Quale conclusione parziale si può dunque asserire quanto segue:
Una pratica concordata persegue uno scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE se, in base al suo oggetto e al suo obiettivo nonché tenuto conto del contesto giuridico ed economico in cui si colloca, essa è concretamente idonea ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Al riguardo, il momento effettivo in cui l’impedimento, la restrizione o la distorsione della concorrenza si verifica rileva altrettanto poco quanto un collegamento diretto della pratica concordata ai prezzi al dettaglio.
Lo scambio fra concorrenti di informazioni commerciali riservate è caratterizzato da uno scopo anticoncorrenziale se esso è idoneo ad eliminare le incertezze sussistenti in ordine al comportamento che le imprese coinvolte intendono tenere sul mercato, eludendo così le regole del gioco di una libera concorrenza.
2. Sulla seconda questione pregiudiziale: presunzione di un nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato
73. Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i requisiti inerenti alla prova del nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato debbano essere ricavati solo dal diritto comunitario oppure – nel rispetto di determinati limiti di diritto comunitario – dal diritto nazionale.
74. La nozione di pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE esige il soddisfacimento di tre condizioni: in primo luogo, una concertazione tra le imprese interessate; in secondo luogo, un comportamento sul mercato da parte di tali imprese che dia seguito a tale concertazione; in terzo luogo, un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato (50), senza che tuttavia tale comportamento debba ripercuotersi in quanto tale in una concreta restrizione della concorrenza (51).
75. Secondo la giurisprudenza della Corte si deve tuttavia presumere, salvo prova contraria che spetta alle imprese interessate fornire, che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato (52).
76. La questione del College van Beroep voor het bedrijfsleven è intesa a chiarire se tale presunzione di un nesso causale assunta a livello comunitario debba essere fatta propria anche dalle autorità e dai giudici nazionali, quando applicano l’art. 81 CE.
77. Se e a quali condizioni si può presumere un nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato è una questione probatoria. È vero che le questioni relative alle prove vengono spesso considerate un problema di diritto sostanziale (53). Nel caso presente, tuttavia, dalla nozione di pratica concordata in quanto tale risulta soltanto che una concertazione deve essere la causa del comportamento sul mercato delle imprese coinvolte. Per contro, la nozione di pratica concordata ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, diversamente da quanto ritengono il governo olandese e la Commissione, non consente di stabilire a quali condizioni possa essere considerato dimostrato il nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato.
78. Nei procedimenti in cui sono state sottoposte ad esame decisioni della Commissione in materia di intese, i giudici comunitari, in assenza di espresse disposizioni, hanno sempre risolto le questioni relative alle prove facendo ricorso a principi generalmente riconosciuti. È in definitiva riconducibile al brocardo «necessitas probandi incumbit ei qui agit» il principio secondo il quale, in caso di controversia sulla sussistenza di infrazioni alle regole in materia di concorrenza, spetta alla Commissione dimostrare le infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (54). Al riguardo la Corte ha ritenuto ammissibili anche le prove indiziarie (55).
79. La Corte ha invece chiarito che l’applicazione dell’art. 86 del Trattato CE (ora art. 82 CE) da parte delle autorità nazionali è disciplinata, in linea di principio, dal diritto nazionale (56), anche quando si tratta di provare una violazione dell’art. 86 del Trattato CE (57). Non è rinvenibile alcun motivo per cui debba valere una regola diversa nel caso dell’art. 81 CE (ex art. 85 del Trattato CE) (58), e ciò indipendentemente dalla classificazione delle questioni in materia di prova come questioni di diritto sostanziale o come questioni di diritto processuale.
80. È vero che nel frattempo l’art. 2 del regolamento n. 1/2003 contiene una previsione comunitaria esplicita in materia di onere della prova, la quale disciplina anche nei procedimenti nazionali l’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE. Una presunzione di un nesso di causalità come quella qui controversa costituisce tuttavia, diversamente da quanto ritiene la Commissione, non una questione di onere della prova o di inversione dell’onere della prova (59), bensì una questione di grado di intensità della prova (60).
81. Il grado di intensità della prova richiesto nei procedimenti nazionali continua a non essere disciplinato dal diritto comunitario. Ciò emerge in maniera particolarmente evidente se si considera l’art. 2 alla luce del preambolo del regolamento n. 1/2003. Come chiarito infatti dal suo quinto ‘considerando’, tale regolamento non incide sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova. Il diritto comunitario non impedisce pertanto ai giudici nazionali, nell’applicare gli artt. 81 CE e 82 CE, di determinare il grado di intensità della prova sulla base del rispettivo diritto nazionale, e ciò a prescindere da se le questioni inerenti al grado di intensità della prova vengano considerate parte del diritto sostanziale o invece parte del diritto processuale.
82. Il giudice nazionale è tuttavia soggetto, nell’applicare le disposizioni e i principi del proprio diritto nazionale in materia di grado di intensità della prova, a certi requisiti minimi di diritto comunitario, risultanti in primo luogo dal principio di equivalenza, in secondo luogo dal principio di effettività, e in terzo luogo dai principi generali di diritto comunitario (61).
83. Per quanto riguarda innanzitutto il principio di equivalenza, i principi nazionali in materia di grado di intensità della prova non possono essere meno favorevoli di quelli che vengono applicati in procedimenti analoghi secondo il diritto nazionale in materia di concorrenza. Per un caso come quello di specie ciò significa che l’autorità nazionale della concorrenza non può, quanto alla dimostrazione di una violazione dell’art. 81 CE, essere assoggettata a criteri più rigorosi in materia di prove rispetto al caso in cui debba essere dimostrata una violazione dell’art. 6 Mw. Nel caso presente, il principio di equivalenza non pone, per quanto è dato vedere, alcuna difficoltà.
84. Quanto poi al principio di effettività, i principi nazionali in materia di grado di intensità della prova non possono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione delle disposizioni in materia di concorrenza previste dal Trattato CE. Inoltre, il diritto nazionale, in caso di violazioni del diritto comunitario, deve predisporre sanzioni effettive, proporzionali e dissuasive (62).
85. In tale contesto occorre in particolare riflettere sul fatto che le regole in materia di concorrenza sancite dagli artt. 81 CE e 82 CE sono state applicate, a partire dal 1° maggio 2004 (63), in un sistema decentrato che dipende in maniera determinante dalla collaborazione delle autorità e dei giudici nazionali (64). Essenziale al riguardo è che continui ad essere assicurata l’applicazione uniforme delle regole in materia di concorrenza nella Comunità. Divergenze eccessivamente ampie fra le autorità e i giudici degli Stati membri nell’attuazione delle regole in materia di concorrenza ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE violerebbero non solo il fondamentale obiettivo di condizioni di concorrenza identiche per le imprese sul mercato interno europeo, bensì anche il fine di una tutela uniforme degli interessi dei consumatori in tutta la Comunità. Per questo motivo l’obiettivo di un’applicazione uniforme degli artt. 81 CE e 82 CE compare anche come un filo conduttore attraverso il regolamento n. 1/2003 (65).
86. Certamente tutto ciò non si tramuta in un obbligo per gli Stati membri di adeguare in ogni singolo elemento il grado di intensità della prova richiesto dal rispettivo diritto nazionale per accertare una violazione dell’art. 81 CE al grado di intensità della prova promosso dai giudici comunitari quando esaminano decisioni della Commissione ai sensi dell’art. 81 CE sotto il profilo della loro legittimità. Come mostra il quinto ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003, il legislatore comunitario ha dunque messo consapevolmente in conto talune divergenze nella prassi degli Stati membri (66). Esse sono, come sottolineato a ragione dalla KPN, immanenti in un sistema decentrato di applicazione della legge.
87. Sarebbe tuttavia incompatibile con il principio di effettività il fatto che i giudici nazionali imponessero requisiti talmente rigorosi in relazione alla prova, da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza o di parti private, di una violazione degli artt. 81 CE o 82 CE (67), da rendere una siffatta prova eccessivamente difficile o addirittura praticamente impossibile. In particolare, i giudici nazionali non possono ignorare le specificità della produzione delle prove nell’accertare violazioni delle regole sulla concorrenza.
88. Fra queste specificità rientra il fatto che l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza (68). Le attività e le riunioni intese a siffatti accordi o pratiche, infatti, sono di regola segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo (69).
89. Non da ultimo, ciascuna specificità della produzione delle prove in caso di violazioni delle regole sulla concorrenza ha come corollario che l’autorità o il soggetto privato al quale rispettivamente incombe l’onere della prova deve, sulla base di principi fondati sull’esperienza, poter trarre determinate conclusioni da una successione tipica di eventi. Incombe poi alla controparte – di regola l’impresa accusata di un’infrazione della concorrenza – controbattere appunto queste conclusioni tratte prima facie sulla base di principi fondati sull’esperienza e su una successione tipica di eventi, producendo prove contrarie concludenti, pena il soddisfacimento, da parte di siffatte conclusioni, dei requisiti in punto di onere della prova (70). Si perviene, in altri termini, ad un meccanismo di alternanza degli oneri di allegazione che viene anteposto alla questione dell’onere della prova obiettivo (71).
90. Anche la presunzione di un nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato, riconosciuta dalla Corte in relazione alle pratiche concordate, altro non è se non una conclusione ammissibile ricavata da una successione tipica di eventi sulla base di principi fondati sull’esperienza. Qualora venga infatti dimostrato che fra due o più imprese abbia avuto luogo una concertazione e che queste imprese abbiano successivamente posto in essere un comportamento sul mercato conforme appunto a tale concertazione, è ovvio supporre l’esistenza di un nesso causale fra concertazione e comportamento sul mercato, a meno che le imprese non forniscano un’altra spiegazione plausibile per il loro comportamento sul mercato, producendo prove contrarie (72).
91. Se dunque, come nel caso presente, i concorrenti si scambiano informazioni in ordine ad una possibile riduzione dei compensi da essi accordati ai distributori e procedano successivamente, più o meno parallelamente, a siffatte riduzioni, sarebbe improbabile, in assenza di altre spiegazioni plausibili, ritenere che il suddetto scambio di informazioni non abbia perlomeno contribuito a causare il loro comportamento sul mercato (73). Di regola si deve infatti partire dal presupposto che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato (74).
92. Occorre infine rammentare che le autorità e i giudici nazionali, nel perseguire e reprimere le violazioni degli artt. 81 CE e 82 CE, sono vincolati ai principi generali di diritto comunitario e in particolare ai principi fondamentali riconosciuti a livello comunitario (75). Fra questi principi fondamentali applicabili in procedimenti intesi a perseguire violazioni delle regole in materia di concorrenza rientra la presunzione di innocenza (76); essa è parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed è desumibile inoltre dall’art. 6, n. 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (77); recentemente essa è stata anche ripresa nell’art. 48, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (78).
93. Non si può tuttavia considerare una violazione della presunzione d’innocenza il fatto che, in procedimenti in materia di concorrenza, da una successione di eventi tipica vengano tratte determinate conclusioni sulla base di principi fondati sull’esperienza, e le imprese di cui trattasi abbiano la possibilità di inficiare tali conclusioni (79). Anche il processo penale classico riconosce in definitiva la prova indiziaria e il ricorso a principi fondati sull’esperienza.
94. In sintesi concludo nel modo seguente:
Nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, il grado di intensità della prova per dimostrare una violazione dell’art. 81 CE si determina in base al rispettivo diritto nazionale, e devono essere rispettati i principi di equivalenza e di effettività nonché i principi generali di diritto comunitario.
Secondo il principio di effettività, non possono essere imposti requisiti talmente rigorosi in relazione alla dimostrazione di una violazione dell’art. 81 CE da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile una siffatta dimostrazione. I giudici nazionali non possono in particolare ignorare le specificità della produzione delle prove nell’accertare violazioni delle regole in materia di concorrenza e devono consentire il ricorso a principi fondati sull’esperienza nel valutare successioni di eventi tipiche.
Salvo prova contraria che incombe sulle imprese di cui trattasi, anche dinanzi ai giudici nazionali si deve partire dal presupposto che le imprese partecipanti ad una concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato.
3. Sulla terza questione pregiudiziale: presunzione di un nesso causale in caso di concertazione una tantum.
95. A titolo integrativo della seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza, con la terza questione, se la presunzione di un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato valga solo per una concertazione che ha luogo nel corso di un periodo considerevole o invece anche per una concertazione che è avvenuta una tantum, a condizione che le imprese che vi partecipano restino attive sul mercato.
96. All’origine di tale questione vi è la circostanza che nel caso presente ha avuto luogo solo un unico incontro fra i rappresentanti degli operatori olandesi di servizi di telecomunicazione, e precisamente nel giugno 2001.
97. La T-Mobile, la KPN e la Vodafone vedono nella presunzione di un nesso causale un’eccezione che deve essere interpretata restrittivamente, la quale dovrebbe restare confinata al caso della concertazione regolare fra imprese e non potrebbe essere estesa al caso di una concertazione avvenuta una sola volta.
98. Non condivido questa tesi.
99. Dalle sentenze in cui la Corte di giustizia ha riconosciuto la presunzione di un nesso causale non si può ricavare né che essa costituisca un’eccezione alla regola né che essa valga esclusivamente per il caso della regolare o comunque ripetuta concertazione fra imprese. Piuttosto, la presunzione di un nesso causale può essere considerata la regola, secondo la formulazione scelta dalla Corte di giustizia. La presunzione costituisce infatti la regola e subisce una sola limitazione: essa può essere superata da una prova contraria che incombe all’impresa di cui trattasi (80).
100. Il successivo riferimento della Corte di giustizia ad una concertazione che ha luogo su base regolare nel corso di un periodo considerevole non rappresenta un’ulteriore limitazione della presunzione di un nesso causale. Al contrario, esso deve essere inteso nel senso che la presunzione di un nesso causale viene ulteriormente rafforzata se le imprese hanno concordato il loro comportamento regolarmente nel corso di un periodo considerevole. Questo è indicato già dalla formulazione scelta dalla Corte «ciò a maggior ragione allorché (…)» (81).
101. Non posso ricavare alcuna limitazione generale della presunzione di un nesso causale neanche dalla giurisprudenza del Tribunale di primo grado (82), citata dalla T-Mobile, giurisprudenza che, avuto riguardo ai fatti, concerneva la partecipazione a più riunioni a scopo anticoncorrenziale.
102. Anche qualora l’avvocato generale Cosmas, nella causa Anic Partecipazioni, abbia inteso sostenere, con la sua distinzione fra partecipazione ad una sola riunione e la partecipazione a più riunioni (83), una presunzione di un nesso causale meno ampia, la sua posizione su questo punto non è stata comunque condivisa dalla Corte.
103. A ciò aggiungo che una limitazione della presunzione di un nesso causale ai casi di concertazione su base regolare nel corso di un periodo considerevole è esclusa nel caso di specie. Non esiste infatti, a mio avviso, alcun principio generale fondato sull’esperienza secondo il quale uno scambio di informazioni fra concorrenti avvenuto una tantum non potrebbe condurre ad alcuna concertazione anticoncorrenziale del loro comportamento sul mercato, e che ciò sarebbe possibile solo attraverso contatti regolari nel corso di un periodo considerevole (84). Di conseguenza, anche la presunzione di innocenza, invocata da alcune delle parti intervenute nel procedimento, non impone di trattare diversamente, in relazione al nesso di causalità, il caso della concertazione una tantum rispetto al caso della concertazione avvenuta su base regolare nel corso di un periodo considerevole.
104. Come affermato correttamente dal governo olandese, la frequenza, la periodicità e la forma dei contatti fra concorrenti necessari affinché abbia luogo una concertazione del loro comportamento sul mercato dipendono dall’oggetto della concertazione e dalle corrispondenti condizioni di mercato.
105. Qualora le imprese coinvolte istituiscano un’intesa con un sistema complesso e sofisticato caratterizzato da una concertazione che si estende su un lungo periodo ed è relativa ad una pluralità di aspetti del loro comportamento sul mercato, può essere necessario un contatto regolare nel corso di un periodo considerevole. Qualora invece, come nel caso presente, si miri solo ad una concertazione puntuale in relazione ad un adeguamento una tantum del comportamento sul mercato in riferimento ad un unico parametro concorrenziale, anche il contatto una tantum fra concorrenti può già offrire una base sufficiente per attuare lo scopo anticoncorrenziale perseguito dalle imprese coinvolte ed essere così la causa del successivo comportamento sul mercato.
106. La mera circostanza che ha avuto luogo solo un unico contatto non significa dunque necessariamente che le prove sono deboli. Decisivo è piuttosto esclusivamente se l’avvenuto contatto – anche se consistito solo in un unico scambio di informazioni in occasione di una sola riunione – abbia, nel caso concreto, consentito alle imprese coinvolte di coordinare di fatto il rispettivo comportamento sul mercato, sostituendo così consapevolmente una cooperazione pratica ai rischi della concorrenza. Nel caso presente tutte le informazioni a disposizione della Corte depongono in tal senso, in quanto già a seguito dell’unico contatto si è effettivamente verificata una riduzione dei compensi standard dei distributori.
107. Il numero e la frequenza dei contatti fra i concorrenti possono tuttavia costituire un indizio per la durata e la gravità della violazione delle regole in materia di concorrenza. Di questi si deve dunque tenere conto nel calcolare l’ammontare di un’eventuale ammenda (85); essi possono, se del caso, rilevare anche per l’ammontare di eventuali pretese risarcitorie di terzi, inter alia, qualora il diritto nazionale applicabile preveda la concessione di indennizzi a carattere sanzionatorio (86).
108. In sintesi concludo nel modo seguente:
Anche qualora abbia avuto luogo solo una concertazione una tantum fra concorrenti che restano attivi sul mercato, si può presumere, fino a prova contraria, che tale concertazione abbia esplicato effetti sul loro comportamento sul mercato. Una siffatta presunzione sussiste in particolare se l’oggetto della controversia è costituito solo da una concertazione puntale relativa ad un adeguamento una tantum del comportamento sul mercato dei soggetti coinvolti in riferimento ad un unico parametro concorrenziale.
VI – Conclusione
109. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sottoposte dal College van Beroep voor het bedrijfsleven:
1) a) Una pratica concordata persegue uno scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, se, in base al suo oggetto e al suo obiettivo nonché tenuto conto del contesto giuridico ed economico in cui si colloca, essa è concretamente idonea ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Al riguardo, il momento effettivo in cui l’impedimento, la restrizione o la distorsione della concorrenza si verifica rileva altrettanto poco quanto un collegamento diretto della pratica concordata ai prezzi al dettaglio.
b) Lo scambio fra concorrenti di informazioni commerciali riservate è caratterizzato da uno scopo anticoncorrenziale se esso è idoneo ad eliminare le incertezze sussistenti in ordine al comportamento che le imprese coinvolte intendono tenere sul mercato, eludendo così le regole del gioco di una libera concorrenza.
2) a) Nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali il grado di intensità della prova per dimostrare una violazione dell’art. 81 CE si determina in base al rispettivo diritto nazionale, e devono essere rispettati i principi di equivalenza e di effettività nonché i principi generali di diritto comunitario.
b) Secondo il principio di effettività, non possono essere imposti requisiti talmente rigorosi in relazione alla dimostrazione di una violazione dell’art. 81 CE da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile una siffatta dimostrazione. I giudici nazionali non possono in particolare ignorare le specificità della produzione delle prove nell’accertare violazioni delle regole in materia di concorrenza e devono consentire il ricorso a principi fondati sull’esperienza nel valutare successioni di eventi tipiche.
c) Salvo prova contraria che incombe alle imprese di cui trattasi, anche dinanzi ai giudici nazionali si deve partire dal presupposto che le imprese partecipanti ad una concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato.
3) Anche qualora abbia avuto luogo solo una concertazione una tantum fra concorrenti che restano attivi sul mercato, si può presumere, fino a prova contraria, che tale concertazione abbia esplicato effetti sul loro comportamento sul mercato. Una siffatta presunzione sussiste in particolare se l’oggetto della controversia è costituito solo da una concertazione puntale relativa ad un adeguamento una tantum del comportamento sul mercato dei soggetti coinvolti in riferimento ad un unico parametro concorrenziale.