Language of document : ECLI:EU:C:2013:634

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

3 ottobre 2013 (*)

«Direttiva 2005/29/CE — Pratiche commerciali sleali — Ambito di applicazione — Informazioni ingannevoli diffuse da una cassa malattia del regime legale di previdenza sociale — Cassa malattia organizzata sotto forma di organismo di diritto pubblico»

Nella causa C‑59/12,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con decisione del 18 gennaio 2012, pervenuta in cancelleria il 6 febbraio 2012, nel procedimento

BKK Mobil Oil Körperschaft des öffentlichen Rechts

contro

Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, presidente di Sezione, M. Berger, A. Borg Barthet, E. Levits e J.‑J. Kasel (relatore), giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV, da C. von Gierke, Rechtsanwältin;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da W. Ferrante, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, da M. van Beek e V. Kreuschitz, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 luglio 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la BKK Mobil Oil Körperschaft des öffentlichen Rechts (in prosieguo: la «BKK») e la Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV (associazione per la lotta contro la concorrenza sleale; in prosieguo: la «Wettbewerbszentrale») relativamente a talune informazioni diffuse dalla BKK tra i propri iscritti.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        I considerando da 5 a 8, 11, 12 e 14 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali enunciano quanto segue:

«(5)      (...) gli ostacoli alla libera circolazione di servizi e di merci transfrontaliera o alla libertà di stabilimento (...) dovrebbero essere eliminati. Ciò è possibile solo introducendo a livello comunitario norme uniformi che prevedono un elevato livello di protezione dei consumatori e chiarendo alcuni concetti giuridici, nella misura necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto.

(6)      La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi. (...)

(7)      La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. (...)

(8)      La presente direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. Essa, quindi, tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che non rispettano le regole previste dalla presente direttiva e, pertanto, garantisce nel settore da essa coordinato una concorrenza leale. (...)

(...)

(11)      L’elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso la presente direttiva dà luogo a un elevato livello comune di tutela dei consumatori. La presente direttiva introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. (...)

(12)      Dall’armonizzazione deriverà un notevole rafforzamento della certezza del diritto sia per i consumatori sia per le imprese, che potranno contare entrambi su un unico quadro normativo fondato su nozioni giuridiche chiaramente definite che disciplinano tutti gli aspetti inerenti alle pratiche commerciali sleali nell’UE. (...)

(...)

(14)      È auspicabile che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientrino quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente. (...)».

4        Ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

5        L’articolo 2 della stessa direttiva è formulato nel modo seguente:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)      “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;

b)      “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista;

c)      “prodotto”: qualsiasi bene o servizio (...);

d)      “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(...)».

6        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali così dispone:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

7        L’articolo 5 della direttiva in esame, rubricato «Divieto delle pratiche commerciali sleali», è così redatto:

«1.      Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.      Una pratica commerciale è sleale se:

a)      è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)      falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

(...)

4.      In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

a)      ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7

(...)».

8        L’articolo 6, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:

«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

(...)».

 Il diritto tedesco

9        La direttiva sulle pratiche commerciali sleali è stata trasposta nel diritto interno tedesco con la legge sulla repressione della concorrenza sleale (Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb, BGBl. 2004 I, pag. 1414; in prosieguo: l’«UWG»).

10      L’articolo 2 dell’UWG è così formulato:

«(1)      Ai fini della presente legge, s’intende per:

1.      “pratica commerciale”: qualsiasi condotta posta in essere da una persona a beneficio dell’impresa propria o di terzi prima, durante o dopo la conclusione di un negozio, che sia oggettivamente connessa alla promozione delle vendite, all’acquisto di merci o servizi o alla stipula o all’esecuzione di un contratto avente per oggetto merci e servizi; per merci si intendono anche i beni immobili e per servizi i diritti e le obbligazioni;

(...)

6.      “imprenditore”:       qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di tale persona;

(...)».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

11      La BKK è una cassa malattia del regime legale costituita come un organismo di diritto pubblico.

12      Con il suo ricorso in primo grado, la Wettbewerbszentrale chiedeva che alla BKK venisse inibita la diffusione delle seguenti affermazioni, apparse nel dicembre 2008 sul suo sito Internet:

«Chi lascia adesso [la BKK], si vincola alla nuova cassa [malattia del regime legale] per i 18 mesi successivi. Così facendo, Lei si perde le interessanti offerte che [la BKK] intende offrire il prossimo anno ed è possibile che alla fine Lei incorra in un ulteriore pagamento, qualora alla nuova cassa non sia sufficiente il denaro versato e pertanto riscuota un contributo supplementare».

13      La Wettbewerbszentrale ritiene che tali informazioni siano ingannevoli e pertanto vietate sia dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali sia dal diritto interno della concorrenza. La BKK ometterebbe infatti di indicare che, in caso di riscossione di un contributo supplementare, la legge tedesca accorda agli assicurati un diritto di recesso speciale.

14      Con lettera del 17 dicembre 2008, la Wettbewerbszentrale ha quindi inibito alla BKK la diffusione di tali informazioni e ha preteso dalla medesima la sottoscrizione di un impegno in tal senso, accompagnata da una clausola penale, nonché il rimborso delle spese extragiudiziali.

15      La BKK ha dunque ritirato le dichiarazioni contestate dal suo sito Internet. Con lettera del 6 gennaio 2009, essa ha riconosciuto di aver pubblicato informazioni errate e si è impegnata a non effettuare in futuro alcuna pubblicità con le dichiarazioni contestate. Per contro, ha indicato di non essere disposta né a rilasciare alla Wettbewerbszentrale la dichiarazione richiesta, accompagnata da una clausola penale, né a farsi carico delle spese stragiudiziali.

16      Secondo la BKK, alla controversia principale non sono applicabili né le disposizioni dell’UWG né quelle della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Dall’articolo 2, lettera d), di tale direttiva risulterebbe infatti che la stessa si applica solo alle «pratiche commerciali» di un «professionista» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della stessa direttiva e l’articolo 2, paragrafo 1, punti 1 e 6, dell’UWG sarebbe formulato in modo sostanzialmente identico alle citate disposizioni della suddetta direttiva. Orbene, tali criteri non sarebbero soddisfatti nel caso di specie, dal momento che la BKK, in quanto organismo di diritto pubblico, non persegue alcuno scopo di lucro.

17      Il giudice di primo grado ha inibito alla BKK, a pena di ammenda, l’uso delle informazioni contestate a fini pubblicitari e concorrenziali nell’ambito delle proprie attività, condannandola a versare alla Wettbewerbszentrale EUR 208,65, oltre agli interessi.

18      L’appello proposto dalla BKK avverso la sentenza di primo grado è stato respinto. Con il suo ricorso per cassazione («Revision»), dichiarato ammissibile dal giudice di appello, la BKK chiede che venga respinta la domanda giudiziale della Wettbewerbszentrale.

19      Il Bundesgerichtshof ritiene che le informazioni pubblicitarie diffuse dalla BKK costituiscano una pratica ingannevole ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e che tale pratica dovrebbe essere vietata in quanto viola l’UWG.

20      Tuttavia, una simile violazione potrebbe venire accertata solo se la misura in esame potesse essere giudicata secondo le disposizioni della suddetta direttiva su cui l’UWG si fonda.

21      Orbene, non sarebbe stato stabilito in modo certo che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali debba essere interpretata nel senso che un operatore quale la BKK, che riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico per assolvere le funzioni del regime legale di assicurazione malattia, ha agito in qualità di «professionista» diffondendo le informazioni contestate. Si potrebbe infatti sostenere che un siffatto organismo non eserciti un’attività economica, bensì persegua esclusivamente uno scopo sociale.

22      Alla luce di tali considerazioni, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre la Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera d), della [direttiva sulle pratiche commerciali sleali] debba essere interpretato nel senso che l’azione di un professionista, la quale si configuri come pratica commerciale di un’impresa nei confronti dei consumatori, può ravvisarsi anche nel fatto che una cassa malattia del regime legale fornisca informazioni (ingannevoli) ai propri iscritti circa gli svantaggi derivanti agli stessi in caso di passaggio a un’altra cassa malattia del regime legale».

 Sulla questione pregiudiziale

23      In via preliminare, occorre rilevare che dal fascicolo risulta che il Bundesgerichtshof ritiene che le informazioni che hanno dato origine alla controversia principale debbano essere qualificate come pratica ingannevole ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e che esso si propone di vietare tale pratica, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva nonché ai sensi dell’UWG.

24      A tale scopo il giudice del rinvio si chiede tuttavia se l’autore di tali informazioni, nel caso di specie la BKK, rientri nell’ambito di applicazione ratione personae di detta direttiva, ove tale autore riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia.

25      Per decidere se un organismo nazionale, quale la BKK, che ha uno status di organismo di diritto pubblico ed è incaricato della gestione di un regime legale di assicurazione malattia, debba essere considerato un «professionista» ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e se, avendo tale status, sia soggetto ai requisiti stabiliti dalla direttiva stessa nel caso in cui, come nella fattispecie, fornisca ai propri iscritti informazioni ingannevoli, è importante ricordare anzitutto che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, tanto l’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto il principio di uguaglianza esigono che una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, in tutta l’Unione, ad un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi (v., in particolare, sentenze del 19 settembre 2000, Linster, C‑287/98, Racc. pag. I‑6917, punto 43; dell’11 marzo 2003, Ansul, C‑40/01, Racc. pag. I‑2439, punto 26, e del 30 giugno 2011, VEWA, C‑271/10, Racc. pag. I‑5815, punto 25).

26      Di conseguenza, la qualifica, lo status giuridico nonché le caratteristiche specifiche dell’organismo in questione a titolo del diritto nazionale sono irrilevanti ai fini dell’interpretazione di tale direttiva da parte della Corte e ai fini di consentire alla Corte stessa di rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio.

27      Per fornire una siffatta risposta occorre necessariamente constatare che, sebbene la direttiva sulle pratiche commerciali sleali utilizzi invariabilmente il termine «consumatore», essa designa la controparte in una transazione commerciale vertente su un prodotto o con il termine «impresa» o con il termine «professionista».

28      Pertanto, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, tale direttiva «si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori (...) poste in essere prima, durante e dopo un’operazione».

29      Per quanto riguarda l’articolo 2, lettera d), della stessa direttiva, esso prevede che la nozione di «pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori» riguardi «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori». Il termine «prodotto» è definito allo stesso articolo, lettera c), come relativo a qualsiasi bene o servizio, non escludendo quindi nessun settore di attività.

30      Tale articolo 2, lettera b), definisce la nozione di «professionista» come «qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto [di tale] direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista».

31      Alla luce dei suesposti rilievi occorre considerare che, ai fini dell’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, i due termini «impresa» e «professionista» hanno un significato ed una portata giuridica identici. Ad ogni modo, è l’ultimo termine che viene utilizzato più frequentemente nelle disposizioni di tale direttiva.

32      A tale riguardo, dal tenore letterale dell’articolo 2, lettera b), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali risulta anzitutto che il legislatore dell’Unione ha sancito un concetto particolarmente ampio della nozione di «professionista», la quale comprende «qualsiasi persona fisica o giuridica» in quanto eserciti un’attività remunerata e non esclude dal suo ambito di applicazione né gli enti incaricati di una missione di interesse generale né quelli che abbiano uno status di diritto pubblico.

33      Inoltre, per quanto riguarda il tenore letterale stesso delle definizioni di cui all’articolo 2, lettere a) e b), di tale direttiva, il senso e la portata della nozione di «professionista» di cui alla direttiva medesima devono essere determinati a seconda della nozione, correlativa ma antinomica, di «consumatore», che designa ogni privato non impegnato in attività commerciali o professionali (v., per analogia, sentenza del 19 gennaio 1993, Shearson Lehman Hutton, C‑89/91, Racc. pag. I‑139, punto 22).

34      Orbene, come risulta in particolare dal suo articolo 1 e dal suo considerando 23, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali mira al conseguimento di un elevato livello comune di tutela dei consumatori mediante un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali, ivi compresa la pubblicità sleale dei professionisti nei confronti dei consumatori, lesive degli interessi economici di questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, C‑540/08, Racc. pag. I‑10909, punto 27).

35      Tale obiettivo perseguito dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, consistente nel tutelare pienamente i consumatori contro pratiche di tal genere, si basa sul fatto che, rispetto ad un professionista, il consumatore si trova in una posizione di inferiorità, in quanto parte contraente che dev’essere considerata economicamente più debole e meno esperta sul piano giuridico della controparte (v., per analogia, sentenza Shearson Lehman Hutton, cit., punto 18).

36      Anche la Corte ha statuito che, ai fini dell’interpretazione della direttiva in esame, la nozione di consumatore riveste un’importanza fondamentale e che le sue disposizioni sono concepite essenzialmente nell’ottica del consumatore quale destinatario e vittima di pratiche commerciali sleali (v., in tal senso, sentenze del 12 maggio 2011, Ving Sverige, C‑122/10, Racc. pag. I‑3903, punti 22 e 23, nonché del 19 settembre 2013, CHS Tour Services, C‑435/11, punto 43).

37      Orbene, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli iscritti alla BKK, che devono evidentemente essere ritenuti consumatori ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, rischiano di essere indotti in errore dalle informazioni ingannevoli diffuse da tale organismo, che impediscono loro di scegliere in modo consapevole (v. considerando 14 di tale direttiva) e li inducono così ad assumere una decisione che non avrebbero preso in mancanza di tali informazioni, come previsto all’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva. In tale contesto sono irrilevanti sia la natura pubblica o privata dell’organismo in questione sia la specifica missione da esso perseguita.

38      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre riconoscere ad un organismo quale la BKK lo status di «professionista» ai sensi della suddetta direttiva.

39      L’interpretazione suesposta è infatti l’unica tale da garantire la piena efficacia della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, assicurando che, conformemente all’esigenza di un elevato livello di protezione dei consumatori, le pratiche commerciali sleali siano contrastate in modo efficace.

40      Un’interpretazione siffatta è altresì in armonia con la portata particolarmente ampia che è già stata riconosciuta alla medesima direttiva quanto al suo ambito di applicazione ratione materiae (v., in tal senso, sentenza Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, cit., punto 21).

41      Alla luce del complesso delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali dev’essere interpretata nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione ratione personae un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia.

 Sulle spese

42      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), dev’essere interpretata nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione ratione personae un organismo di diritto pubblico incaricato di una missione di interesse generale, quale la gestione di un regime legale di assicurazione malattia.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.