Language of document : ECLI:EU:C:2009:674

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 29 ottobre 2009 1(1)

Causa C‑386/08

Brita GmbH

contro

Hauptzollamt Hamburg‑Hafen

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Finanzgericht Hamburg (Germania)]

«Regime preferenziale – Accordo CE-Israele – Accordo CE‑OLP – Nozione di “prodotti originari” – Prodotti originari di un insediamento israeliano situato in Cisgiordania – Controllo a posteriori dei certificati EUR.1 – Dubbio circa l’origine delle merci – Nozione di “territorio dello Stato di Israele”»





1.        Il presente procedimento pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra (2), e su quella dell’accordo euromediterraneo interinale di associazione sugli scambi e la cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall’altra (3).

2.        Il procedimento trae origine dalla contestazione da parte della società Brita GmbH (4) di dazi doganali che le hanno imposto le autorità doganali tedesche per l’importazione di apparecchi per la preparazione di acqua frizzante fabbricati in Cisgiordania per i quali le autorità doganali israeliane hanno rilasciato un certificato di circolazione attestante l’origine israeliana di tali prodotti.

3.        Il Finanzgericht Hamburg (Sezione tributaria del Tribunale di Amburgo, Germania) chiede alla Corte se, in forza dell’accordo CE‑Israele, le autorità doganali tedesche siano vincolate dal risultato del controllo dell’origine di detti prodotti effettuato a posteriori dalle autorità doganali israeliane.

4.        Il giudice del rinvio chiede anche se le autorità doganali tedesche fossero tenute a sottoporre al comitato di cooperazione doganale, istituito da tale accordo, la controversia che le oppone alle autorità doganali israeliane.

5.        Infine, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di applicare indifferentemente l’accordo CE‑Israele o l’accordo CE‑OLP a merci certificate come originarie di Israele ma che risultano originarie dei territori occupati e, più in particolare, della Cisgiordania.

6.        Nelle presenti conclusioni, proporrò alla Corte di dichiarare che, per quanto riguarda la controversia esistente tra le autorità doganali degli Stati aderenti all’accordo CE‑Israele vertente sulla portata dell’ambito di applicazione territoriale di tale accordo, le autorità doganali dello Stato di importazione non sono vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione.

7.        Inoltre, chiederò alla Corte di dichiarare che le autorità doganali tedesche non avevano l’obbligo di sottoporre al comitato di cooperazione doganale la controversia che le oppone alle autorità doganali israeliane.

8.        Infine, indicherò i motivi per cui ritengo che le merci certificate dalle autorità doganali israeliane come originarie di Israele, ma che risultano originarie dei territori occupati e, più precisamente, della Cisgiordania, non possano beneficiare né del regime preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele né di quello istituito dall’accordo CE‑OLP.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto comunitario

9.        La conferenza ministeriale euromediterranea tenutasi a Barcellona il 27 e 28 novembre 1995 ha consentito di concretizzare gli orientamenti già definiti dai precedenti Consigli europei, vale a dire istituire un partenariato con i paesi del bacino del Mediterraneo. Sono interessati pertanto dodici Stati terzi. Si tratta della Repubblica algerina democratica e popolare, della Repubblica di Cipro, della Repubblica araba d’Egitto, dello Stato di Israele, del Regno hascemita di Giordania, della Repubblica libanese, della Repubblica di Malta, del Regno del Marocco, della Repubblica araba siriana, della Repubblica tunisina, della Repubblica di Turchia e dell’Autorità palestinese.

10.      Tale nuovo partenariato si articola in tre parti. La parte «politica e sicurezza» ha come obiettivo la definizione di uno spazio comune di pace e stabilità. La seconda parte, la parte «economica e finanziaria», deve consentire la costruzione di una zona di prosperità condivisa. Infine, la parte «sociale, culturale e umana» è volta a sviluppare le risorse umane nonché a favorire la comprensione tra le culture e gli scambi tra le società civili.

11.      Vengono pertanto stipulati accordi bilaterali tra la Comunità europea e gli Stati membri, da una parte, e i paesi mediterranei, dall’altra. Tali accordi rispondono ad uno stesso schema comprendente le tre parti summenzionate nonché un Protocollo d’accordo relativo alla definizione della nozione di prodotti originari e ai metodi di cooperazione amministrativa che vertono, in particolare, sulle modalità di rilascio e sul controllo a posteriori dei certificati attestanti l’origine dei prodotti.

12.      È in questo modo che la Comunità e gli Stati membri hanno firmato, a Bruxelles, il 20 novembre 1995, l’accordo CE‑Israele e, il 24 febbraio 1997, l’accordo CE‑OLP.

13.      Tali accordi sono stati approvati, rispettivamente, con decisioni del Consiglio e della Commissione 19 aprile 2000, 2000/384/CE (5), e del Consiglio 2 giugno 1997, 97/430/CE (6).

1.      L’accordo CE‑Israele

14.      L’accordo CE‑Israele è entrato in vigore il 1° giugno 2000. Risulta dal preambolo di tale accordo che la «Comunità, i suoi Stati membri e Israele desiderano rafforzare [i legami tradizionali esistenti tra di essi] e instaurare relazioni durature basate sulla reciprocità e sul partenariato nonché promuovere l’ulteriore integrazione dell’economia israeliana in quella europea».

15.      Inoltre, il preambolo dell’accordo CE‑Israele indica che le parti hanno concluso tale accordo «considerando l’importanza [che esse] attribuiscono al principio della libertà economica e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, in particolare al rispetto dei diritti umani e della democrazia, che costituiscono il fondamento stesso dell’associazione».

16.      Ai sensi dell’art. 7 di detto accordo, le disposizioni dell’accordo CE‑Israele si applicano ai prodotti originari della Comunità e di Israele. L’art. 8 di tale accordo stabilisce che «negli scambi tra la Comunità e Israele non sono ammessi dazi doganali all’importazione e all’esportazione, né oneri di effetto equivalente. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di natura fiscale».

17.      L’art. 67 dell’accordo CE‑Israele prevede l’istituzione di un consiglio di associazione, incaricato di esaminare le questioni importanti inerenti a tale accordo e qualunque altro problema bilaterale o internazionale di reciproco interesse.

18.      Ai sensi dell’art. 75, n. 1, di detto accordo, ciascuna delle parti può sottoporre al consiglio di associazione qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione dell’accordo CE‑Israele.

19.      Risulta inoltre dall’art. 79, n. 2, di tale accordo che una parte può prendere le misure appropriate se ritiene che l’altra parte non abbia adempiuto a un obbligo previsto da detto accordo, a condizione, tuttavia, di fornire previamente al consiglio di associazione tutte le informazioni pertinenti necessarie per un esame approfondito della situazione ai fini della ricerca di una soluzione accettabile per le parti.

20.      L’ambito di applicazione territoriale dell’accordo CE‑Israele è definito all’art. 83 di quest’ultimo. Ai sensi di tale articolo, l’accordo si applica ai territori in cui si applicano i trattati che istituiscono la Comunità e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, alle condizioni in essi indicate, e al territorio di Israele.

21.      Ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a) e b), del Protocollo n. 4 di detto accordo relativo alla definizione della nozione di prodotti originari e ai metodi di cooperazione amministrativa, sono considerati come prodotti originari di Israele i prodotti totalmente ottenuti in Israele ai sensi dell’art. 4 di tale Protocollo (7) nonché i prodotti ottenuti in Israele e contenenti materiali non totalmente ottenuti sul suo territorio, a condizione che detti materiali siano stati oggetto in Israele di lavorazioni e trasformazioni sufficienti ai sensi dell’art. 5 di detto Protocollo.

22.      Inoltre, il Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele stabilisce le regole relative alla prova d’origine dei prodotti. In tal senso, l’art. 17, n. 1, lett. a), di tale Protocollo sancisce che i prodotti originari ai sensi di detto Protocollo sono ammessi a beneficiare delle disposizioni dell’accordo CE‑Israele su presentazione di un certificato di circolazione delle merci EUR.1 (8). In forza dell’art. 18, n. 1, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, tale certificato viene rilasciato dalle autorità doganali dello Stato esportatore su richiesta scritta compilata dall’esportatore o, sotto la sua responsabilità, dal suo rappresentante autorizzato.

23.      L’art. 32 di tale Protocollo istituisce una cooperazione amministrativa tra lo Stato di Israele e lo Stato membro interessato. È il motivo per cui qualora le autorità doganali dello Stato di importazione abbiano dubbi sull’origine del prodotto possono richiedere un controllo a posteriori dei certificati EUR.1. Tali autorità rispediscono allora i certificati interessati alle autorità doganali dello Stato di importazione ed espongono i motivi di sostanza o di forma che giustificano un’inchiesta.

24.      L’art. 32, n. 3, di detto Protocollo stabilisce che il controllo viene effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. L’art. 32, n. 6, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele enuncia che, «[q]ualora, in casi di dubbi fondati, non sia pervenuta alcuna risposta entro 10 mesi o qualora la risposta non contenga informazioni sufficienti per determinare l’autenticità del documento in questione o l’effettiva origine dei prodotti, le autorità doganali che hanno richiesto il controllo li escludono dal trattamento preferenziale, salvo casi di forza maggiore o circostanze eccezionali».

25.      Infine, ai sensi dell’art. 33, primo comma, di tale Protocollo, «[l]e controversie riguardanti le procedure di controllo di cui all’articolo 32 che non sia possibile risolvere tra le autorità doganali che richiedono il controllo e le autorità doganali incaricate di effettuarlo, o che sollevano problemi di interpretazione del presente Protocollo sono sottoposte al comitato di cooperazione doganale».

26.      La questione della regola d’origine e della portata dell’ambito di applicazione territoriale dell’accordo CE‑Israele costituisce l’oggetto, da diversi anni, di una controversia che oppone la Comunità allo Stato di Israele. La Comunità ritiene che i prodotti originari dei territori occupati della Cisgiordania e della Striscia di Gaza non possano beneficiare del regime preferenziale istituito dall’accordo CE‑Israele, mentre lo Stato di Israele reputa che sia questo il caso.

27.      Già nel 1997, la Commissione delle Comunità europee formulava, in un avviso agli importatori (9), i suoi dubbi circa la regolarità dei certificati EUR.1 presentati nella Comunità per l’importazione di succo di arancia proveniente da Israele e la mancanza di una cooperazione amministrativa tra lo Stato di Israele e la Comunità. Tali dubbi potevano, secondo la Commissione, mettere in discussione la validità di tali certificati.

28.      Il 12 maggio 1998, la Commissione, in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo (10), menzionava le difficoltà incontrate nell’applicazione del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, che si applicava nell’attesa della ratifica dell’accordo stesso da parte della Comunità.

29.      In tale comunicazione, essa osservava che sussistevano due ostacoli ad un’applicazione corretta di tale accordo. Tali ostacoli erano relativi all’esportazione nella Comunità di merci certificate come originarie di Israele, mentre erano effettivamente prodotte nei territori occupati.

30.      Peraltro, durante la seconda sessione del consiglio di associazione UE‑Israele (11), la Commissione aveva «deplorato la persistenza di divergenze di interpretazione relativa all’ambito di applicazione territoriale dell’accordo [CE‑Israele]». Inoltre, aveva sottolineato che era giuridicamente tenuta a garantire l’attuazione di tale accordo e proteggere le risorse proprie dell’Unione europea (12). Di conseguenza, la Commissione aveva annunciato la pubblicazione di un nuovo avviso (13).

31.      In tale avviso, la Commissione informa gli importatori che «sulla base dei risultati delle procedure di verifica effettuate, è confermato che Israele rilascia prove dell’origine per prodotti provenienti da territori che si trovano sotto il controllo dell’amministrazione israeliana dal 1967, i quali, secondo la Comunità, non sono ammessi a beneficiare del trattamento preferenziale previsto [nell’accordo CE‑Israele]». Essa continua osservando che «gli operatori comunitari che presentano delle prove documentali dell’origine allo scopo di ottenere un trattamento preferenziale per i prodotti originari degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella striscia di Gaza, nella parte orientale di Gerusalemme e sulle alture del Golan, sono quindi avvertiti che devono prendere tutte le necessarie precauzioni e che l’immissione in libera pratica delle suddette merci può determinare l’insorgere di un’obbligazione doganale».

2.      L’accordo CE‑OLP

32.      L’accordo CE‑OLP è entrato in vigore il 1° luglio 1997. Nel suo preambolo, viene indicato che le parti hanno concluso tale accordo «considerando l’importanza che le parti attribuiscono ai principi della Carta delle Nazioni Unite, in particolare al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e delle libertà politica ed economica, che costituiscono il fondamento stesso delle loro relazioni». Inoltre, detto accordo è stato concluso «considerando il diverso grado di sviluppo economico e sociale delle parti e la necessità di intensificare gli sforzi in atto per promuovere lo sviluppo economico e sociale in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza».

33.      Ai sensi dell’art. 1, n. 2, dell’accordo CE‑OLP, quest’ultimo ha come obiettivo, in particolare, di contribuire allo sviluppo socioeconomico della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e di incentivare la cooperazione regionale al fine di consolidare la pacifica coesistenza e la stabilità politica ed economica.

34.      L’art. 5 di tale accordo enuncia che «[n]egli scambi tra la Comunità e la Cisgiordania e la Striscia di Gaza non si introducono nuovi dazi doganali all’importazione, né alcun altro onere di effetto equivalente». L’art. 6 di detto accordo aggiunge che «[i] prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza possono essere importati nella Comunità in esenzione da dazi doganali e da qualsiasi altro onere di effetto equivalente, nonché in esenzione da restrizioni quantitative e da qualsiasi altra misura di effetto equivalente».

35.      La nozione di «prodotto d’origine» viene definita nel Protocollo n. 3 dell’accordo CE‑OLP relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa. All’art. 2, n. 2, lett. a) e b), di tale Protocollo viene stabilito che sono considerati come prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza i prodotti totalmente ottenuti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (14) nonché quelli ivi ottenuti in cui sono incorporati materiali non interamente ottenuti sul suo territorio, a condizione che detti materiali siano stati oggetto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza di lavorazioni o trasformazioni sufficienti.

36.      In caso di controversia tra le parti, vertente sull’interpretazione o l’applicazione dell’accordo CE‑OLP, l’art. 67 di tale accordo stabilisce che ciascuna delle parti può ricorrere al comitato misto affinché venga risolta la controversia.

37.      Infine, l’art. 73 di detto accordo enuncia che quest’ultimo si applica ai territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

B –    L’accordo interinale israelo-palestinese

38.      Il processo di Madrid, avviato nel 1991, mira a istituire una pace duratura in Medio Oriente. Nell’ambito di tale processo, lo Stato di Israele e l’OLP hanno firmato, a Washington, il 28 settembre 1995, l’accordo interinale israelo-palestinese sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza (15). Tale accordo che, secondo il suo preambolo, sostituisce l’accordo sulla Striscia di Gaza e la regione di Gerico (16), l’accordo preliminare sul trasferimento dei poteri e delle responsabilità (17) e il Protocollo riguardante un trasferimento successivo dei poteri e delle responsabilità (18), ha, in particolare, come obiettivo di «istituire (…) [un] Consiglio eletto (…) e [un] capo dell’ufficio esecutivo, per il popolo palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (…) che conduca ad un regolamento permanente sulla base delle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di sicurezza [delle Nazioni Unite]» (19).

39.      Inoltre, il preambolo enuncia che le elezioni del Consiglio eletto e il capo dell’ufficio esecutivo costituiranno una «tappa preparatoria interinale importante per la realizzazione dei diritti legittimi del popolo palestinese e le loro giuste esigenze e costituiranno una base democratica per la realizzazione di istituzioni palestinesi».

40.      Per conseguire tale obiettivo, l’accordo israelo‑palestinese prevede che lo Stato di Israele trasferirà i poteri e le responsabilità del governo militare israeliano e della sua amministrazione civile al Consiglio eletto e che continuerà a esercitare i poteri e le responsabilità che non saranno stati trasferiti (20).

41.      In seguito alla prima fase di ritiro (21), sono state istituite tre zone. Si tratta delle zone A, B e C. Poiché il territorio da cui provengono i prodotti di cui trattasi nella causa principale è un territorio della zona C, mi soffermerò unicamente su tale zona.

42.      In detta zona, lo Stato di Israele conserva una competenza esclusiva in materia di sicurezza.

43.      Ai sensi dell’art. IX, n. 5, lett. b), punto 1), dell’accordo israelo‑palestinese, l’OLP può condurre negoziazioni e firmare, con Stati o organizzazioni internazionali, accordi economici.

44.      Peraltro, l’art. XI, n. 2, lett. c), di tale accordo stabilisce che «[n]ella zona C, durante la prima fase del ritiro, Israele trasferirà al Consiglio i poteri e [le] responsabilità civili che non si riferiscono al territorio, come sancito nell’allegato III».

45.      L’art. IV dell’allegato III di detto accordo prevede disposizioni speciali per i territori della zona C.

46.      In tal senso, viene stabilito che, per tali territori, durante la prima fase di ritiro, i poteri e le responsabilità in relazione ai settori elencati nell’appendice 1 saranno trasferiti e assicurati dal Consiglio eletto conformemente alle disposizioni di tale appendice.

47.      Ai sensi dell’art. 6 di detta appendice, il commercio e l’industria fanno parte dei settori trasferiti al Consiglio eletto. Viene precisato che il settore del commercio e dell’industria comprende, tra l’altro, l’importazione e l’esportazione. Gli aspetti economici di tale settore sono contenuti nell’allegato V dell’accordo israelo‑palestinese.

48.      In forza dell’art. IX (che riguarda l’industria), n. 6, di tale allegato, i palestinesi avranno il diritto di esportare senza restrizioni i loro prodotti industriali nei mercati esterni, sulla base di certificati d’origine rilasciati dall’Autorità palestinese.

II – Fatti e causa principale

49.      La Brita è una società con sede in Germania. Essa importa apparecchi per la preparazione di acqua frizzante con relativi accessori e sciroppi prodotti dalla società Soda‑Club Ltd (22) avente sede a Mishor Adumin in Cisgiordania, a est di Gerusalemme.

50.      In forza dell’accordo israelo‑palestinese, tale territorio, occupato dallo Stato di Israele nel 1967, rientra nell’ambito dei territori della zona C.

51.      Da febbraio a giugno 2002, la Brita chiedeva l’immissione in libera pratica delle merci fornite dalla Soda‑Club. A tale titolo, essa presentava 62 dichiarazioni doganali sulle quali veniva indicato che lo Stato di Israele era il paese d’origine di tali merci. Inoltre, sulle fatture presentate dalla Soda‑Club veniva iscritto che i prodotti in questione nella causa principale erano originari di Israele.

52.      L’ufficio doganale tedesco accettava, provvisoriamente, la richiesta della Brita e concedeva la preferenza tariffaria a tali prodotti, conformemente all’accordo CE‑Israele. Allo stesso tempo, chiedeva un controllo a posteriori riguardante le prove d’origine di detti prodotti.

53.      Tale richiesta veniva fatta in seguito ad una circolare ministeriale del 6 dicembre 2001, secondo cui occorreva avviare richieste di controllo a posteriori per tutti i certificati preferenziali rilasciati da Israele, dal momento che per le forniture di merci in questione sussisteva il fondato sospetto che esse potessero provenire da insediamenti costituiti da Israele in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e sulle alture del Golan.

54.      La richiesta di controllo a posteriori veniva inoltrata alle autorità doganali israeliane. Queste ultime rispondevano alle autorità doganali tedesche che «dalla [loro] verifica risulta che le merci in questione sono originarie di un’area soggetta alla competenza doganale di Israele. In quanto tali si tratta di prodotti originali ai sensi dell’accordo (…) CE‑Israele e hanno il diritto al trattamento preferenziale previsto da tale accordo».

55.      Considerando che le informazioni comunicate dalle autorità doganali israeliane erano insufficienti ai sensi dell’art. 32, n. 6, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, le autorità doganali tedesche invitavano nuovamente, con lettera del 6 febbraio 2003, le autorità doganali israeliane a fornire una comunicazione integrativa precisando se le merci elencate sui certificati preferenziali fossero state prodotte negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est o sulle alture del Golan.

56.      Le autorità doganali israeliane non davano risposta a tale richiesta. Pertanto, con avviso di accertamento a carico della Brita del 25 settembre 2003, lo Hauptzollamt Hamburg‑Hafen (Ufficio doganale centrale di Hamburg‑Hafen) revocava la concessione del trattamento preferenziale a motivo del fatto che non era possibile accertare in modo inconfutabile che le merci importate rientrassero nell’accordo CE‑Israele.

57.      Esso procedeva quindi al recupero a posteriori di dazi doganali per un importo pari a EUR 19 155,46. La Brita presentava reclamo contro tale recupero dinanzi allo Hauptzollamt Hamburg-Hafen. Tale reclamo veniva respinto con decisione del 21 giugno 2006 in quanto non fondato.

58.      Il 10 luglio 2006 la Brita presentava ricorso dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo, nutrendo dubbi circa l’interpretazione dell’accordo CE‑Israele, sospendeva il giudizio e sottoponeva alla Corte una serie di questioni pregiudiziali.

III – Le questioni pregiudiziali

59.      La Corte è invitata a pronunciarsi sulle seguenti questioni:

«1)      Se, tenuto conto del fatto che per i prodotti originari del territorio dello Stato di Israele e della Cisgiordania è previsto un trattamento preferenziale da due accordi pertinenti nella specie – vale a dire l’[accordo CE Israele] e l’[accordo CE OLP] –, all’importatore di una merce originaria della Cisgiordania debba sempre essere accordato il trattamento preferenziale richiesto, ancorché venga prodotto solo un certificato ufficiale dell’origine israeliana delle merci.

In caso di soluzione negativa della prima questione:

2)      Se, ai sensi dell’[accordo CE Israele], l’autorità doganale di uno Stato membro che non abbia avviato il procedimento di controllo di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 di tale accordo sia tenuta, nei confronti di un importatore che chieda la concessione del trattamento preferenziale per merci importate nel territorio della Comunità, ad accettare la prova d’origine fornita dalle autorità israeliane, nel caso in cui non nutra altri dubbi sul carattere originario dei prodotti se non quello che la merce provenga da un territorio che è solo sotto il controllo israeliano – vale a dire in base all’accordo [israelo-palestinese del 1995] –, e sempreché non sia stato attuato un procedimento ai sensi dell’art. 33 del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE Israele].

In caso di soluzione negativa della seconda questione:

3)      Se l’autorità doganale dello Stato membro di importazione, nel caso in cui, in seguito alla sua richiesta di controllo ai sensi dell’art. 32, n. 2, del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE Israele], le autorità israeliane abbiano (solo) confermato che le merci sono state prodotte in un territorio soggetto alla competenza doganale israeliana e che, quindi, sono di origine israeliana, e allorché l’ulteriore richiesta di precisazioni dell’autorità doganale dello Stato di importazione sia rimasta senza risposta, possa già per questo motivo negare il trattamento preferenziale, restando irrilevante, in particolare, l’effettiva origine della merce.

In caso di soluzione negativa della terza questione:

4)      Se, ai sensi dell’[accordo CE Israele], l’autorità doganale [dello Stato membro di importazione] possa senz’altro negare il trattamento preferenziale qualora – come nel frattempo accertato – la merce sia originaria della Cisgiordania, ovvero se il trattamento preferenziale debba essere accordato ai sensi dell’[accordo CE Israele] anche per merci di tale origine, quantomeno finché non sia stato esperito il procedimento di composizione delle controversie ai sensi dell’art. 33 del Protocollo n. 4 dell’[accordo CE Israele] in merito all’interpretazione della nozione, contenuta nell’accordo, di “territorio dello Stato di Israele”».

IV – Analisi

60.      In primo luogo, per quanto riguarda la competenza della Corte ai fini dell’interpretazione degli accordi di associazione di cui trattasi in tale causa, vorrei sottolineare che la Corte ha dichiarato, riguardo all’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (23), nella sentenza 30 settembre 1987, Demirel (24), che un accordo concluso dal Consiglio, ai sensi degli artt. 228 e 238 del Trattato CE (25), costituisce, per quanto riguarda la Comunità, un atto compiuto da una delle sue istituzioni, ai sensi dell’art. 177, primo comma, lett. b), del Trattato CE (26), che le disposizioni di un siffatto accordo formano parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario e che, nell’ambito di questo ordinamento, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’accordo stesso (27).

61.      A mio parere, le questioni pregiudiziali possono essere trattate nel modo seguente.

62.      Con la seconda e terza questione, il giudice del rinvio chiede se, nell’ambito dell’art. 32 del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, le autorità doganali dello Stato di importazione siano vincolate dal risultato del controllo a posteriori della prova d’origine effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione.

63.      Inoltre, egli chiede se, per dirimere la controversia che le oppone alle autorità doganali dello Stato di esportazione, le autorità doganali dello Stato di importazione dovessero, ai sensi dell’art. 33 di tale Protocollo, sottoporre tale controversia al comitato di cooperazione doganale prima di adottare misure in modo unilaterale.

64.      Infine, con la prima e quarta questione, la Corte è invitata a pronunciarsi sulla questione se una merce certificata come originaria di Israele dalle autorità doganali israeliane e prodotta sul territorio occupato della Cisgiordania possa indifferentemente beneficiare sia del trattamento preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele sia di quello istituito dall’accordo CE‑OLP.

A –    Sulla questione di stabilire se le autorità doganali dello Stato di importazione siano vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione

65.      In primo luogo, occorre, a mio parere, ricordare le disposizioni pertinenti dell’accordo CE‑Israele relative al controllo dell’origine di un prodotto.

66.      Per poter beneficiare del trattamento preferenziale, l’esportatore deve, ai sensi dell’art. 17, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, presentare un certificato EUR.1. Tale certificato è rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione, che devono prendere tutte le misure necessarie per verificare il carattere originario del prodotto e l’adempimento degli altri obblighi previsti da tale Protocollo (28).

67.      Detto certificato viene in seguito presentato alle autorità doganali dello Stato di importazione del prodotto. Se queste ultime hanno fondati dubbi sull’autenticità del certificato EUR.1, sul carattere originario del prodotto interessato o sull’adempimento delle altre condizioni previste da tale Protocollo, viene effettuato un controllo a posteriori di tale certificato (29).

68.      Le autorità doganali dello Stato di importazione rispediscono allora tale certificato alle autorità doganali dello Stato di esportazione indicando, eventualmente, i motivi di sostanza e di forma che giustificano un’inchiesta. Queste ultime effettuano il controllo e devono informare i loro omologhi, entro il termine massimo di 10 mesi, del risultato di tale controllo. Le autorità doganali devono indicare se i documenti sono autentici, se il prodotto in questione può essere considerato originario e se risponde agli altri requisiti previsti da tale Protocollo (30).

69.      In caso di dubbi fondati, ove non sia pervenuta alcuna risposta entro 10 mesi o qualora la risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione non contenga informazioni sufficienti per determinare l’autenticità del certificato in questione o l’effettiva origine dei prodotti, le autorità doganali dello Stato di importazione li escludono dal trattamento preferenziale (31).

70.      La cooperazione amministrativa di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele è stata pertanto istituita per controllare l’esattezza delle indicazioni riguardanti l’origine di un prodotto. Il controllo a posteriori può, ad esempio, essere diretto a garantire che il valore di un elemento non originario dello Stato di Israele, che compone il prodotto finale, per il quale è stato rilasciato un certificato EUR.1, non superi il 10% del prezzo franco fabbrica del prodotto (32) o vertere sulla verifica delle trasformazioni che il prodotto ha potuto subire (33).

71.      Occorre ora chiedersi se, nel caso che ci viene sottoposto, il risultato del controllo a posteriori dell’origine di un prodotto, effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione, vincoli le autorità doganali dello Stato di importazione.

72.      La Corte ha già avuto modo, nell’ambito di altri accordi tra la Comunità e Stati terzi, di rispondere a tale questione.

73.      Infatti, nella sentenza Les Rapides Savoyards e a. (34), che verteva sull’interpretazione dell’accordo di libero scambio tra la Comunità economica europea e la Confederazione svizzera (35), e che contiene un Protocollo simile a quello dell’accordo CE‑Israele, la Corte ha dichiarato che la «determinazione dell’origine delle merci (…) si basa sulla ripartizione delle competenze fra le autorità doganali delle parti dell’accordo di libero scambio nel senso che l’origine viene accertata dalle autorità dello Stato d’esportazione, mentre il controllo del funzionamento di tale regime viene garantito dalla collaborazione fra le competenti amministrazioni delle due parti» (36).

74.      La Corte prosegue indicando che tale meccanismo può funzionare solo qualora le autorità doganali dello Stato importatore accettino le valutazioni effettuate legalmente dalle autorità doganali dello Stato esportatore (37).

75.      Più di recente, la Corte ha dichiarato che «le autorità doganali dello Stato di importazione non possono, unilateralmente, invalidare un certificato EUR.1 regolarmente rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione. Del pari, in caso di controllo a posteriori, queste stesse autorità sono vincolate dai risultati di un controllo siffatto» (38).

76.      Il meccanismo di cooperazione amministrativa instaurato in maniera generale da un accordo di associazione, e in particolare dall’art. 32 del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele, si basa quindi sulla fiducia reciproca tra le autorità doganali degli Stati aderenti all’accordo e su un riconoscimento reciproco degli atti da esse emanati.

77.      Tuttavia, tale riconoscimento reciproco non è assoluto. Infatti, la Corte ha ammesso in taluni casi che le autorità doganali dello Stato di importazione non sono vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione.

78.      In tal senso, la Corte ha riconosciuto che, in circostanze particolari, in cui le autorità doganali dello Stato di esportazione non siano in grado di effettuare regolarmente il controllo a posteriori previsto dal Protocollo di cui trattasi, le autorità doganali dello Stato di importazione possono esse stesse procedere alla verifica dell’autenticità e dell’esattezza del certificato EUR.1 prendendo in considerazione altre prove relative all’origine delle merci (39).

79.      La Corte ha anche dichiarato che, in caso di ragionevole dubbio sull’origine delle merci e in assenza di risposta delle autorità doganali dello Stato di esportazione entro 10 mesi dalla data della richiesta di controllo o qualora la risposta fornita da tali autorità non contenga informazioni sufficienti per consentire di determinare l’origine, i certificati che hanno rilasciato possono essere revocati dalle autorità doganali dello Stato di importazione (40).

80.      Inoltre, allorché il regime preferenziale è introdotto non da un accordo internazionale fra la Comunità e uno Stato terzo basato su obblighi reciproci, ma da un provvedimento comunitario autonomo, le autorità doganali dello Stato di esportazione non hanno il potere di vincolare la Comunità e i suoi Stati membri nella loro interpretazione di una normativa comunitaria. Nella fattispecie, le valutazioni fatte dalla Commissione sull’origine delle merci nell’ambito di una missione d’inchiesta devono prevalere su quelle delle autorità doganali dello Stato terzo esportatore (41).

81.      La Corte ha anche dichiarato, a proposito dell’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (42), che le autorità doganali dello Stato di importazione conservano la facoltà di effettuare un recupero a posteriori fondandosi sui risultati di controlli effettuati successivamente alle operazioni di importazione da parte della Commissione, senza avere l’obbligo di ricorrere al meccanismo di composizione delle controversie previsto da tale accordo (43).

82.      Pertanto, è solo in caso di inadempimento da parte delle autorità doganali dello Stato di esportazione o qualora si tratti di un provvedimento comunitario autonomo che l’obbligo di riconoscimento delle decisioni adottate da tali autorità non si impone alle autorità doganali dello Stato di importazione.

83.      Ciò trova spiegazione nel fatto che esiste una presunzione secondo cui sono le autorità doganali dello Stato di esportazione quelle che possono più agevolmente accertare direttamente i fatti che condizionano l’origine del prodotto (44).

84.      Le autorità doganali dello Stato di importazione sono quindi, in linea di principio, vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione.

85.      Tuttavia, ritengo che il caso che ci viene sottoposto nella presente causa si distingua dai casi finora giudicati dalla Corte.

86.      Infatti, nella causa principale, non si tratta di controllare l’esattezza delle indicazioni relative all’origine del prodotto che dà diritto al regime preferenziale, in quanto tale origine è nota e non contestata. Si tratta in realtà di sapere se detta origine rientri nell’ambito di applicazione dell’accordo CE‑Israele.

87.      Come ho rilevato (45), la controversia che oppone le autorità doganali dello Stato di importazione a quelle dello Stato di esportazione è già stata menzionata durante la seconda sessione del consiglio di associazione UE‑Israele del 20 novembre 2001. Ricordo che quest’ultimo dispone, in forza dell’art. 75 dell’accordo CE‑Israele, di una competenza a conoscere delle controversie vertenti sull’applicazione o l’interpretazione di detto accordo.

88.      Durante tale sessione la Commissione ha, in quanto membro del consiglio di associazione (46), evocato la controversia relativa alle regole d’origine e alle difficoltà connesse quindi all’applicazione dell’accordo CE‑Israele e ha comunicato che avrebbe adottato le opportune misure. La Commissione ha deplorato la persistenza di divergenze di interpretazione circa l’ambito di applicazione territoriale di tale accordo e ha comunicato che avrebbe pubblicato quindi un nuovo avviso agli importatori nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea diretto a precisare e sostituire l’avviso del 1997.

89.      A tutt’oggi, la controversia che oppone la Comunità allo Stato di Israele non ha ancora trovato una soluzione.

90.      Il giudice del rinvio è ora posto di fronte a tale problema nell’ambito della controversia che oppone una società tedesca, che importa prodotti originari dei territori occupati, alle autorità doganali tedesche. È il motivo per cui il giudice del rinvio si rivolge oggi alla Corte, affinché fornisca una soluzione a detto problema.

91.      Infatti, la controversia che oppone la Comunità allo Stato di Israele perdura da diversi anni, lasciando così gli operatori economici nell’incertezza giuridica quanto all’eventuale applicazione dell’accordo CE‑Israele ai prodotti originari dei territori occupati.

92.      Peraltro, se si ammettesse che le autorità doganali di una delle parti di tale accordo, oppure i loro giudici, interpretino in maniera unilaterale la questione se detto accordo si applichi ai prodotti originari dei territori occupati, ciò comporterebbe senza alcun dubbio un’applicazione non uniforme dell’accordo CE‑Israele che, ricordo, fa parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario.

93.      Concretamente, ciò avrebbe come conseguenza di riconoscere ai prodotti provenienti dai territori occupati il beneficio, qualora vengano esportati in uno Stato membro, del regime preferenziale instaurato dall’accordo CE‑Israele, mentre per gli stessi prodotti, esportati in un altro Stato membro, tale regime preferenziale non sarebbe concesso.

94.      Di conseguenza, ritengo che la presunzione relativa alla verifica dell’esattezza dei fatti da parte delle autorità doganali dello Stato di esportazione non possa operare in un caso come quello di cui alla causa principale, in quanto nessuna delle parti dell’accordo CE‑Israele è nella migliore posizione per fornire un’interpretazione unilaterale dell’ambito di applicazione di tale accordo.

95.      Di conseguenza, non vedo come le autorità doganali tedesche potrebbero essere vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali israeliane.

96.      Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, ritengo che, poiché la controversia esistente tra le autorità doganali degli Stati aderenti all’accordo CE‑Israele verte non su una questione di fatto ma sulla portata dell’ambito di applicazione territoriale di tale accordo, le autorità doganali dello Stato di importazione non siano vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione nell’ambito del procedimento di controllo di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 di detto accordo.

B –    Sull’obbligo di ricorrere al comitato di cooperazione doganale

97.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio si chiede se le autorità doganali tedesche avessero l’obbligo, prima di adottare la loro decisione di recupero a posteriori dei dazi doganali, di ricorrere al comitato di cooperazione doganale, ai sensi dell’art. 33, primo comma, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele il quale stabilisce che, le controversie riguardanti le procedure di controllo a posteriori o che sollevano problemi di interpretazione di tale protocollo sono sottoposte al comitato di cooperazione doganale.

98.      L’interesse è, in realtà, di sapere se le autorità doganali tedesche avessero il diritto di adottare una misura in maniera unilaterale, vale a dire il recupero dei dazi doganali a posteriori, senza ricorrere previamente al comitato di cooperazione doganale.

99.      Ritengo che la procedura istituita dall’art. 33, primo comma, di detto Protocollo costituisca il contesto adeguato per risolvere un conflitto relativo all’ambito di applicazione dell’accordo CE‑Israele.

100. Tale procedura è prevista qualora una controversia sorga in seguito al controllo a posteriori di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 di tale accordo, controllo che consente la verifica dell’esattezza delle indicazioni riguardanti l’origine di un prodotto (47).

101. Orbene, ritengo che la controversia che oppone le autorità doganali dello Stato di importazione alle autorità doganali dello Stato di esportazione non verta sui fatti che condizionano l’origine dei prodotti di cui trattasi nella causa principale, ma sull’interpretazione dell’ambito di applicazione di detto accordo.

102. Penso che la procedura da seguire in caso di controversia come quella nella causa principale, e che, del resto, è quella che è stata seguita, sia la procedura di cui all’art. 75, n. 1, dell’accordo CE‑Israele.

103. Risulta da tale disposizione che «[c]iascuna delle parti può sottoporre al consiglio di associazione qualsiasi controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione del presente accordo». Infatti, ricordo che il consiglio di associazione è incaricato, in forza dell’art. 67 di tale accordo, di esaminare le questioni importanti inerenti a detto accordo e qualunque altro problema bilaterale o internazionale di reciproco interesse.

104. Pertanto, alla luce di quanto precede, ritengo che le autorità doganali tedesche non avessero l’obbligo di sottoporre al comitato di cooperazione doganale la controversia che le oppone alle autorità doganali israeliane.

C –    Sulla possibilità di procedere al concorso di qualificazioni

105. Con la prima e quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se merci certificate come di origine israeliana, ma che risultano originarie dei territori occupati e, più precisamente, della Cisgiordania, possano indifferentemente beneficiare sia del regime preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele sia di quello istituito dall’accordo CE‑OLP.

106. Infatti, il giudice del rinvio ritiene che sia irrilevante in definitiva accertare quali siano le autorità doganali competenti per il rilascio di un certificato EUR.1 e che occorra, in ogni caso, concedere il beneficio del regime preferenziale ai prodotti originari dei territori occupati, in quanto sia l’accordo CE‑Israele che l’accordo CE‑OLP prevedono tale regime preferenziale.

107. Non condivido tale parere.

108. Anzitutto, ricordo che l’art. 83 dell’accordo CE‑Israele enuncia che «[quest’ultimo] si applica (…) al territorio dello Stato di Israele».

109. Le frontiere dello Stato di Israele sono state delimitate dal piano di spartizione della Palestina, elaborato dall’Unscop (48) e approvato il 29 novembre 1947 con la risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il 14 maggio 1948, il capo del governo provvisorio dello Stato di Israele proclamò la nascita di tale Stato sulla base delle frontiere che erano state definite dal Piano di spartizione della Palestina (49).

110. Peraltro, il preambolo dell’accordo CE‑Israele stabilisce quanto segue:

«Considerando l’importanza che le parti attribuiscono al principio della libertà economica e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, in particolare al rispetto dei diritti umani e della democrazia, che costituiscono il fondamento stesso dell’associazione».

111. Orbene, in forza della risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 22 novembre 1967, indicata nel preambolo dell’accordo CE‑OLP, è stato chiesto alle truppe israeliane di ritirarsi dai territori occupati, di cessare ogni pretesa o stato di belligeranza e di rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di ogni Stato della regione. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto l’applicazione di tale risoluzione in un’altra risoluzione, vale a dire la risoluzione 338 del 22 ottobre 1973.

112. Alla luce di quanto precede, la Corte può, mi sembra, solo dichiarare che i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza non fanno parte del territorio dello Stato di Israele.

113. Aggiungo che, in seguito ad un’interrogazione scritta P‑2747/00 dell’on. Lipietz, parlamentare europeo (50), vertente sulla portata territoriale dell’accordo CE‑Israele, il Consiglio ha osservato che «[p]er quanto riguarda l’applicazione territoriale di [tale accordo], l’articolo 83 si applica soltanto al territorio dello Stato di Israele [e che] [i]l termine Israele include le acque territoriali, che circondano Israele e sotto certe condizioni anche alcuni veicoli marittimi. L’accordo [CE‑Israele] non contiene alcun’altra definizione. La [Comunità] ritiene che [tale] accordo si applichi soltanto al territorio dello Stato di Israele all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti, conformemente alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU» (51).

114. Inoltre, in forza dell’art. XI, n. 1, dell’accordo israelo‑palestinese, lo Stato di Israele e l’OLP considerano entrambi la Cisgiordania e la Striscia di Gaza come un’unità territoriale unica.

115. Alla luce di quanto precede, mi sembra difficile affermare che un prodotto originario della Cisgiordania e, più in generale, dei territori occupati, possa beneficiare del trattamento preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele.

116. È certo che le tensioni esistenti nelle relazioni tra lo Stato di Israele e l’OLP non dovrebbero penalizzare i produttori di tali territori e impedire a questi ultimi di beneficiare di un regime preferenziale.

117. La soluzione prevista dal giudice del rinvio, per quanto pragmatica sia, non è tuttavia, a mio parere, soddisfacente e ciò per i seguenti motivi.

118. Anzitutto, la Corte ha dichiarato che il sistema di regime preferenziale è fondato sul principio della concessione unilaterale, da parte della Comunità, di vantaggi tariffari per determinati prodotti originari di taluni paesi in via di sviluppo, allo scopo di agevolare le correnti commerciali provenienti da questi ultimi. Il beneficio di detto regime preferenziale è pertanto connesso all’origine del prodotto e il controllo di questa costituisce, di conseguenza, un elemento necessario del sistema (52).

119. Il certificato rilasciato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione deve quindi poter certificare senza ambiguità che il prodotto in questione proviene proprio da uno Stato determinato, affinché il regime preferenziale che si riferisce a tale Stato sia applicato a tale prodotto.

120. Pertanto, a mio parere, non si può ammettere che si applichi il regime preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele a un prodotto originario della Cisgiordania.

121. Inoltre, mi sembra che se la Comunità si è premurata, anni dopo la conclusione dell’accordo CE‑Israele e dopo l’annessione dei territori occupati nel 1967, di concludere l’accordo CE‑OLP per la concessione di una preferenza tariffaria per i prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, è perché riteneva che tali prodotti non potessero beneficiare di una siffatta preferenza in forza dell’accordo CE‑Israele.

122. Risulta peraltro chiaramente da una nota redatta dal gruppo «Mashreq/Maghreb» del Consiglio la quale definisce la posizione dell’Unione in vista della quinta riunione del consiglio di associazione UE‑Israele che, ai sensi di un accordo tecnico negoziato tra lo Stato di Israele e la Commissione, le autorità doganali israeliane sono obbligate a indicare il luogo di produzione su tutti i certificati di origine rilasciati in Israele per i prodotti che beneficiano di dazi preferenziali ed esportati nell’Unione. Ciò ha l’obiettivo di distinguere le merci originarie di Israele che possono beneficiare di un dazio preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele da quelle provenienti dagli insediamenti occupati che non possono beneficiarne (53).

123. Inoltre, è manifesto che la Comunità cercava, nel concludere l’accordo CE‑OLP, di sviluppare i flussi commerciali da e verso la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Infatti, risulta dall’art. 1 di tale accordo che esso ha come obiettivo, in particolare, di contribuire allo sviluppo socioeconomico della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e di incentivare la cooperazione regionale al fine di consolidare la pacifica coesistenza e la stabilità politica ed economica.

124. Nella sua comunicazione del 12 maggio 1998 (54), la Commissione ricorda che l’oggetto dell’instaurazione di un regime preferenziale per i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza era di rettificare un’anomalia, vale a dire che gli Stati vicini di tali territori beneficiavano già di un tale regime mentre lo stesso non valeva per i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (55).

125. Nel 2007, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza occupavano solo il 168° posto nella classifica degli importatori partner commerciali dell’Unione (56). L’accordo CE‑OLP ha giustamente come obiettivo di stimolare gli scambi tra tali territori e l’Unione. Ammettere che i prodotti originari di detti territori possano beneficiare del trattamento preferenziale CE‑Israele e siano così considerati come prodotti d’origine israeliana avrebbe come conseguenza di privare l’accordo CE‑OLP di una parte del suo effetto utile.

126. Infine, la Brita ritiene che le autorità doganali palestinesi fossero, in ogni caso, nell’impossibilità di rilasciare i certificati EUR.1 per i prodotti provenienti dalla Cisgiordania. Vero è che, tenuto conto della situazione nei territori occupati, può sembrare difficile per gli esportatori di tali territori ottenere tali certificati dalle autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Si potrebbe pertanto ammettere, come sembra sostenere il giudice del rinvio, che le autorità doganali israeliane rilascino detti certificati e che gli esportatori di prodotti originari di detti territori beneficino del regime preferenziale istituito dall’accordo CE‑OLP.

127. Tuttavia, ai sensi dell’art. 16, n. 4, del Protocollo n. 3 dell’accordo CE‑OLP, sono le autorità doganali della Cisgiordania e della Striscia di Gaza a dover rilasciare il certificato EUR.1.

128. Inoltre, risulta dall’allegato V dell’accordo israelo‑palestinese, relativo alle relazioni economiche tra le due parti, che le autorità palestinesi non sono prive di ogni potere e ogni responsabilità per quanto riguarda il commercio e la sfera doganale (57).

129. Infatti, ai sensi degli artt. VIII, n. 11, e IX, n. 6, di detto allegato, i palestinesi devono essere in grado di esportare i loro prodotti agricoli e industriali senza nessuna restrizione, sulla base di certificati di origine rilasciati dalle autorità palestinesi (58).

130. Esistono quindi effettivamente autorità competenti incaricate di rilasciare i certificati EUR.1 per i prodotti originari della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Sembra persino che l’operatore economico possa chiedere tali certificati alla camera di commercio palestinese (59).

131. Di conseguenza, per beneficiare del regime preferenziale instaurato dall’accordo CE‑OLP, ritengo che i certificati EUR.1 comprovanti l’origine della merce debbano essere unicamente rilasciati dalle autorità doganali palestinesi. Non sarebbe coerente applicare il regime preferenziale instaurato da tale accordo a un prodotto per il quale un certificato EUR.1 è stato rilasciato da autorità diverse dalle autorità palestinesi.

132. Ritengo, del resto, che tale analisi sia confermata dalla sentenza del 5 luglio 1994, Anastasiou e a. (60), nella quale la Corte ha dovuto occuparsi di un caso che può, a mio parere, essere equiparato a quello di cui trattasi nella causa principale.

133. Infatti, in tale causa, riguardante l’accordo del 19 dicembre 1972 che istituisce un’associazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Cipro (61) e il cui meccanismo della prova dell’origine di una merce è analogo a quelli istituiti dall’accordo CE‑Israele e dall’accordo CE‑OLP, la Corte doveva pronunciarsi sulla questione se, da una parte, l’accordo CEE‑Cipro ostasse all’accettazione da parte delle autorità doganali dello Stato di importazione di certificati EUR.1 rilasciati da autorità diverse dalle competenti autorità della Repubblica di Cipro o se, invece, imponesse tale accettazione e, dall’altra, se la soluzione fosse diversa qualora risultassero o meno accertate talune circostanze connesse alla situazione particolare della Repubblica di Cipro.

134. La situazione era la seguente. Alcuni produttori ed esportatori di agrumi stabiliti nella parte settentrionale di Cipro hanno esportato i loro prodotti nel Regno Unito. I certificati EUR.1 allegati a tali prodotti sono stati rilasciati da autorità diverse da quelle della Repubblica di Cipro.

135. La Corte ha dichiarato che «[s]ebbene la spartizione di fatto del territorio cipriota, conseguenza dell’intervento dell’esercito turco nel 1974, in una zona in cui le autorità della Repubblica di Cipro continuano ad esercitare tutti i loro poteri e una zona in cui de facto non possono esercitarli, sollevi problemi di difficile soluzione nell’ambito dell’applicazione dell’accordo [CEE‑Cipro] a Cipro nel suo complesso, non ne deriva però che debbano essere disapplicate le disposizioni chiare, precise e incondizionate del protocollo [relativo alla definizione della nozione di “prodotti originari” ed ai metodi di cooperazione amministrativa del 1977] [(62)]» (63).

136. La Corte ha altresì precisato che «[l]’accettazione dei certificati da parte delle autorità doganali dello Stato di importazione dimostra un completo affidamento di queste ultime nel sistema di controllo dell’origine dei prodotti attuato dalle competenti autorità dello Stato di esportazione. Ciò dimostra altresì che lo Stato di importazione non dubita che il controllo a posteriori, le consultazioni e la soluzione di eventuali controversie sull’origine dei prodotti o sull’esistenza di frodi potranno svolgersi efficacemente grazie alla collaborazione delle amministrazioni interessate» (64).

137. Una siffatta cooperazione è, secondo la Corte «esclusa con le autorità di un’entità come quella stabilita nella parte settentrionale di Cipro, che non è riconosciuta dalla Comunità né dagli Stati membri, i quali riconoscono unicamente la Repubblica di Cipro» (65). Essa afferma anche che «l’ammissione di certificati [d’origine] non rilasciati dalla Repubblica di Cipro costituirebbe, in mancanza della possibilità di controllo e di collaborazione, la negazione stessa dell’oggetto e della finalità del sistema istituito dal protocollo del 1977» (66).

138. È pertanto chiaro, tenuto conto dell’analisi della Corte nella citata sentenza Anastasiou e a., che non si può accettare la validità di certificati rilasciati da autorità diverse da quelle specificamente indicate in un accordo di associazione. Se è vero che situazioni difficili nei territori come quelli della parte settentrionale di Cipro o della Cisgiordania e della Striscia di Gaza potrebbero corroborare una soluzione come quella proposta dal giudice del rinvio, ritengo tuttavia che compiere tale scelta equivarrebbe, in definitiva, ad annullare gli sforzi compiuti per instaurare un sistema di cooperazione amministrativa tra le autorità doganali degli Stati membri e quelle della Cisgiordania nonché della Striscia di Gaza e per incoraggiare il commercio con tali territori.

139. Di conseguenza, in base a tutti i suesposti elementi, ritengo che le merci certificate dalle autorità doganali israeliane come di origine israeliana, ma che risultano originarie dei territori occupati, e, più precisamente, della Cisgiordania, non possano beneficiare né del regime preferenziale in forza dell’accordo CE‑Israele né di quello instaurato dall’accordo CE‑OLP.

V –    Conclusioni

140. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottoposte dal Finanzgericht Hamburg nel modo seguente:

«1)      Le autorità doganali dello Stato di importazione non sono vincolate dal risultato del controllo a posteriori effettuato dalle autorità doganali dello Stato di esportazione nell’ambito del procedimento di controllo di cui all’art. 32 del Protocollo n. 4 dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, qualora la controversia esistente tra le autorità doganali degli Stati aderenti a tale accordo verta sulla portata dell’ambito di applicazione territoriale di detto accordo.

2)      Inoltre, le autorità doganali tedesche non avevano l’obbligo di sottoporre al comitato di cooperazione doganale la controversia che le oppone alle autorità doganali israeliane.

3)      Le merci certificate dalle autorità doganali israeliane come di origine israeliana, ma che risultano originarie dei territori occupati, e, più precisamente, della Cisgiordania, non possono beneficiare né del regime preferenziale in forza dell’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, né di quello instaurato dall’accordo di associazione euromediterraneo interinale relativo agli scambi e alla cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell’Autorità palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall’altra».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU 2000, L 147, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo CE‑Israele».


3 – GU 1997, L 187, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo CE‑OLP».


4 – In prosieguo: la «Brita».


5 – GU L 147, pag. 1.


6 – GU L 187, pag. 1.


7 – Tale art. 4 elenca i prodotti considerati come totalmente ottenuti nella Comunità o in Israele. Si tratta, ad esempio, di prodotti minerali estratti dal suolo di tali territori o dal loro fondo marino o oceanico, di prodotti del regno vegetale ivi raccolti o animali vivi ivi allevati.


8 – In prosieguo: il «certificato EUR.1».


9 – Avviso agli importatori – Importazioni da Israele nella Comunità, 8 novembre 1997 (GU C 338, pag. 13).


10 – Implementation of the interim agreement on trade and trade‑related matters between the European Community and Israël [SEC(1998) 695 def.].


11 – V. progetto di verbale della seconda sessione del consiglio di associazione UE‑Israele, 20 novembre 2001 (disponibile sul sito Internet del Consiglio dell’Unione europea).


12 – Pag. 4.


13 – Avviso agli importatori – Importazioni da Israele nella Comunità, 23 novembre 2001 (GU C 328, pag. 6).


14 – Ai sensi dell’art. 4 del protocollo n. 3 all’accordo CE‑OLP, sono in particolare considerati come prodotti totalmente ottenuti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza i prodotti minerali estratti dal suolo di tali territori o dal loro fondo marino o oceanico, i prodotti del regno vegetale ivi raccolti o i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati.


15 – In prosieguo: l’«accordo israelo‑palestinese».


16 – Accordo firmato a Il Cairo il 4 maggio 1994.


17 – Accordo firmato a Erez il 29 agosto 1994.


18 – Protocollo firmato a Il Cairo il 27 agosto 1995.


19 – V. il preambolo dell’accordo israelo‑palestinese.


20 – V. art. 1, n. 1, di tale accordo.


21 – L’art. X di detto accordo stabilisce che «[l]a prima fase del ritiro delle forze militari israeliane riguarderà le zone abitate della Cisgiordania – località, città, villaggi, campi di rifugiati e frazioni – indicate nell’allegato I [dell’accordo israelo‑palestinese], e sarà completata 22 giorni prima dello svolgimento delle elezioni palestinesi», dato che le elezioni del Consiglio eletto si sono svolte il 20 gennaio 1996 [v. il sito Internet dell’Istituto europeo di ricerca per la cooperazione mediterranea e euroaraba (http://www.medea.be) nonché quello delle Nazioni Unite (http://www.un.org)].


22 – In prosieguo: la «Soda‑Club».


23 – Accordo firmato il 12 settembre 1963 a Ankara dalla Repubblica di Turchia, da una parte, e dagli Stati membri della CEE e la Comunità, dall’altra. Tale accordo è stato «concluso approvato e confermato» a nome della Comunità con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685).


24 – Causa 12/86 (Racc. pag. 3719).


25 – Art. 228 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 300 CE) e art. 238 del Trattato CE (divenuto art. 310 CE).


26 – Divenuto art. 234, primo comma, lett. b), CE.


27 – V. sentenza Demirel, cit. (punto 7). V. anche sentenza 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, punto 41).


28 – Art. 18, nn. 1 e 6, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele.


29 – Art. 32, n. 1, di tale Protocollo.


30 – V. art. 32, nn. 2, 3 e 5, di detto Protocollo.


31 – V. art. 32, n. 6, del Protocollo n. 4 dell’accordo CE‑Israele.


32 – V. art. 5, n. 2, lett. a), di tale Protocollo.


33 – V. art. 6 di detto Protocollo.


34 – Sentenza 12 luglio 1984, causa 218/83 (Racc. pag. 3105).


35 – Accordo firmato il 22 luglio 1972 a Bruxelles, concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2840 (GU L 300, pag. 188).


36 – V. sentenza Les Rapides Savoyards e a., cit. (punto 26).


37 – Ibidem (punto 27).


38 – V. sentenza 9 febbraio 2006, cause riunite da C‑23/04 a C‑25/04, Sfakianakis (Racc. pag. I‑1265, punto 49).


39 – Sentenza 7 dicembre 1993, causa C‑12/92, Huygen e a. (Racc. pag. I‑6381, punto 27).


40 – Sentenza Sfakianakis, cit. (punto 38).


41 – V. sentenza 14 maggio 1996, cause riunite C‑153/94 e C‑204/94, Faroe Seafood e a. (Racc. pag. I‑2465, punti 24 e 25).


42– V. nota 23 delle presenti conclusioni.


43 – V. sentenza 14 novembre 2002, causa C‑251/00, Ilumitrónica (Racc. pag. I‑10433, punto 74).


44 – V. sentenza Les Rapides Savoyards e a., cit. (punto 26).


45 – Paragrafi 26-31 delle presenti conclusioni.


46 – V. art. 68 dell’accordo CE‑Israele.


47 – V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.


48 – United Nations Special Committee On Palestine. Composto da undici Stati, tale comitato, creato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1947, fu incaricato di trovare una soluzione al conflitto in Palestina, in particolare elaborando un piano di spartizione.


49 – V. il sito internet delle Nazioni Unite (http://www.un.org) e quello del Ministero degli Affari esteri dello Stato di Israele (http://www.mfa.gov.il).


50 – GU 2001, C 113 E, pag. 163.


51 – Punto 2 della risposta del Consiglio.


52 – V., in tal senso, sentenza 11 dicembre 1980, causa 827/79, Acampora (Racc. pag. 3731, punto 5).


53 – V. nota del Consiglio del 3 dicembre 2004 (15638/04, punto 40).


54 – V. nota 10 delle presenti conclusioni.


55 – Pag. 9 della comunicazione.


56 – V. sito Internet della Commissione (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2006/september/tradoc_113382.pdf).


57 – V. art. 3 di tale allegato.


58 – Il corsivo è mio. Ricordo che tali articoli sono applicabili ai territori della zona C in forza dell’art. XI, n. 2, lett. c), dell’accordo israelo‑palestinese, che rinvia all’allegato III di tale accordo. Ora, ai sensi dell’art. 6 dell’appendice I di tale allegato, gli aspetti economici della sfera commerciale e industriale riferiti ai territori della zona C sono contenuti nell’allegato V dell’accordo israelo‑palestinese.


59 – V. punto 17 delle osservazioni della Commissione.


60 – Causa C‑432/92 (Racc. pag. I‑3087).


61 – Accordo allegato al regolamento (CEE) del Consiglio 14 maggio 1973, n. 1246 (GU L 133, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo CEE‑Cipro»).


62 – Protocollo allegato al Protocollo dell’accordo CEE‑Cipro, a sua volta allegato al regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1977, n. 2907 (GU L 339, pag. 1).


63 – V. sentenza Anastasiou e a., cit. (punto 37).


64 – Ibidem (punto 39).


65 – Ibidem (punto 40).


66 – Ibidem (punto 41).