Language of document : ECLI:EU:C:2010:718

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 25 novembre 2010 (1)

Causa C‑434/09

Shirley McCarthy

contro

Secretary of State for the Home Department

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court (Regno Unito)]

«Cittadinanza dell’Unione – Diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Doppia cittadinanza – Art. 21 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Avente diritto – Soggiorno legale – Ricongiungimento familiare – Discriminazione a danno dei cittadini nazionali»





I –    Introduzione

1.        Può una persona che abbia la cittadinanza di due Stati membri dell’UE, ma che abbia sempre vissuto in uno solo di questi, far valere la normativa dell’Unione nei confronti di tale Stato al fine di ottenervi un diritto di soggiorno per sé e soprattutto per il proprio coniuge? Tale è in sostanza la questione che la Corte è chiamata a dirimere nel presente caso.

2.        La sig.ra McCarthy ha la cittadinanza britannica e quella irlandese, ma ha sempre vissuto soltanto in Inghilterra (2). Come è ovvio, lei è legittimata a soggiornare in Inghilterra, ma ciò non vale per suo marito, cittadino giamaicano: infatti, in base alla legislazione interna del Regno Unito in materia di immigrazione, costui non ha alcun diritto di soggiorno in Inghilterra. Attualmente la sig.ra McCarthy, al fine di rendere possibile il ricongiungimento familiare con il coniuge, sta cercando di ottenere per sé un diritto di soggiorno in Inghilterra in qualità di cittadina dell’Unione, facendo valere a tal fine la propria cittadinanza irlandese; ciò tornerebbe indirettamente a vantaggio anche del coniuge, il quale potrebbe in tal caso invocare un diritto di soggiorno derivato in forza del diritto dell’Unione.

3.        In tale contesto la Corte è chiamata a stabilire in che modo debba essere intesa la nozione di «avente diritto» di cui alla direttiva 2004/38/CE sul diritto di soggiorno (3). Si chiede inoltre alla Corte quali siano i requisiti per l’esistenza di un «soggiorno legale», che costituisce il presupposto principale per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente ai sensi della citata direttiva.

II – Contesto giuridico

4.        A livello del diritto dell’Unione, il quadro giuridico della presente controversia è definito, oltre che dall’art. 21 TFUE, dalla direttiva 2004/38. L’ambito di applicazione ratione personae di quest’ultima viene precisato al suo capo I («Disposizioni generali»), più in particolare all’art. 3, intitolato «Aventi diritto», nei seguenti termini:

«1.      La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

(...)».

5.        Nell’ambito del capo IV della direttiva 2004/38, l’art. 16 detta regole generali in materia di acquisizione del diritto di soggiorno permanente, nei termini che seguono:

«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. (...)

(...)».

6.        A complemento dell’art. 16 merita altresì di essere richiamato il diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38, il cui testo è il seguente:

«Un diritto di (…) soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento».

7.        Tra le disposizioni finali contenute nel capo VII della direttiva 2004/38 va infine evidenziato l’art. 37, intitolato «Disposizioni nazionali più favorevoli», il quale detta la seguente disciplina:

«Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva».

III – Fatti e procedimento principale

8.        La sig.ra Shirley McCarthy è cittadina britannica in virtù della sua nascita nel Regno Unito. Essa ha sempre vissuto in Inghilterra, dove il suo soggiorno in base alle norme nazionali ha avuto carattere legale per tutta la sua durata.

9.        In Inghilterra la sig.ra McCarthy riceve prestazioni sociali dallo Stato. Essa non fa valere di essere o essere stata lavoratrice dipendente o autonoma ovvero persona economicamente autosufficiente ai sensi del diritto dell’Unione.

10.      Il 15 novembre 2002 la sig.ra McCarthy ha sposato il cittadino giamaicano George McCarthy. In base alle norme nazionali in materia di immigrazione il sig. McCarthy non è legittimato a soggiornare nel Regno Unito, neppure come coniuge di una persona ivi stabilmente residente (4).

11.      La sig.ra McCarthy possiede, oltre alla cittadinanza britannica, anche quella irlandese. Dopo il suo matrimonio essa ha chiesto – per la prima volta – un passaporto irlandese. La sua domanda è stata accolta in virtù del fatto che sua madre è nata in Irlanda.

12.      In data 23 luglio 2004 la sig.ra McCarthy ha chiesto, in qualità di cittadina dell’Unione, al Secretary of State for the Home Departement (5) documenti di soggiorno ai sensi delle norme dell’Unione. Analoga istanza è stata presentata anche dal sig. McCarthy in qualità di coniuge di detta cittadina dell’Unione. Entrambe le domande sono state rigettate con decreto in data 6 dicembre 2004. Il diniego è stato motivato con il fatto che la sig.ra McCarthy non sarebbe un soggetto rispondente ai requisiti di legge; nella cerchia dei soggetti aventi diritto rientrerebbero in sostanza soltanto i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi e le persone economicamente autosufficienti. Di conseguenza, neppure il sig. McCarthy potrebbe essere considerato coniuge di una persona che soddisfa i requisiti di legge.

13.      Avverso il decreto di diniego del 6 dicembre 2004 la sig.ra McCarthy ha proposto ricorso in opposizione il 13 dicembre successivo. Il 7 settembre 2006 il suo ricorso è stato rinviato dinanzi all’Asylum and Immigration Tribunal (6).

14.       Il sig. McCarthy non ha invero presentato alcun ricorso contro il decreto di diniego del 6 dicembre 2004 che lo riguardava, ma il 16 ottobre 2006 ha nuovamente richiesto un titolo di soggiorno in qualità di coniuge della sig.ra McCarthy. Anche tale seconda istanza è stata rigettata, con decreto in data 20 aprile 2007, contro il quale il sig. McCarthy ha proposto il 4 maggio successivo un ricorso dinanzi all’Asylum and Immigration Tribunal.

15.      L’Asylum and Immigration Tribunal ha rinviato la trattazione del ricorso presentato dal sig. McCarthy fino alla pronuncia di una decisione definitiva su quello presentato dalla sig.ra McCarthy.

16.      Il 17 ottobre 2006 un giudice monocratico dell’Asylum and Immigration Tribunal ha respinto il ricorso presentato dalla sig.ra McCarthy. Tuttavia, in data 13 febbraio 2007 la High Court of Justice (England and Wales) ha imposto al citato Tribunal di esaminare nuovamente il ricorso della sig.ra McCarthy. A seguito di ciò, il 16 agosto dello stesso anno il Tribunal ha sottoposto a un nuovo esame tale ricorso, mantenendo però ferma la propria precedente decisione di rigetto del medesimo. Esito negativo ha avuto anche l’appello presentato dalla sig.ra McCarthy dinanzi alla Court of Appeal of England and Wales (Civil Division) (7), che è stato respinto in data 11 giugno 2008.

17.      A seguito di un’ulteriore impugnazione proposta dalla sig.ra McCarthy, la causa principale si trova attualmente pendente dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom (in precedenza: House of Lords), odierno giudice del rinvio (8).

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

18.      Con lettera in data 2 novembre 2009, pervenuta in cancelleria il 5 novembre successivo, il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali (9):

«1)      Se una persona in possesso di doppia cittadinanza, irlandese e britannica, che ha soggiornato nel Regno Unito per tutta la vita, sia un “avente diritto” ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2004/38/CE.

2)      Se tale persona abbia “soggiornato legalmente” nello Stato membro ospitante agli effetti dell’art. 16 della direttiva 2004/38/CE, nel caso in cui essa non potesse soddisfare le condizioni stabilite dall’art. 7 di quest’ultima».

19.      Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte la sig.ra McCarthy, la Danimarca, l’Irlanda, l’Estonia, i Paesi Bassi e il Regno Unito, nonché la Commissione europea. All’udienza di trattazione orale del 28 ottobre 2010 hanno preso parte la sig.ra McCarthy, la Danimarca, l’Irlanda, nonché la Commissione.

V –    Analisi

20.      A prima vista può sembrare strano che una cittadina dell’Unione invochi le norme dell’Unione dinanzi alle autorità del proprio Stato membro di appartenenza al fine di ottenere per sé stessa un diritto di soggiorno in tale paese. Non vi è alcun dubbio, infatti, che già in virtù della sua nazionalità tale cittadina dell’Unione gode, nello Stato cui essa appartiene, di un diritto di soggiorno che non può essere limitato (10).

21.      Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che nel presente caso è in gioco non tanto il personale diritto di soggiorno in Inghilterra della sig.ra McCarthy, quanto piuttosto il diritto di soggiorno da essa eventualmente trasmesso attraverso la propria persona al coniuge, il quale è cittadino di uno Stato terzo. Si tratta dunque in ultima analisi di un ricongiungimento familiare che si intende ottenere per via traversa per il tramite del diritto dell’Unione, dal momento che la normativa nazionale del Regno Unito non lo consente (11). Tale circostanza è stata più volte evidenziata anche in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte.

22.      È tuttavia controverso se il diritto dell’Unione possa trovare applicazione ratione materiae nel caso di specie, tenuto conto che la sig.ra McCarthy non ha mai esercitato il proprio diritto di libera circolazione, quale risultante dagli artt. 21, n. 1, TFUE, 45 TFUE, 49 TFUE e 56 TFUE (12) e come confermato dagli artt. 15, n. 2, e 45, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (13). L’unico momento di collegamento con il diritto dell’Unione è rappresentato nel presente caso dalla qualità di «doppia cittadina» della sig.ra McCarthy, la quale possiede, oltre alla nazionalità britannica, anche quella irlandese.

23.      Mentre la sig.ra McCarthy ritiene che la sua doppia cittadinanza sia sufficiente per creare un collegamento con il diritto dell’Unione, tutti i governi intervenuti nel procedimento, come pure la Commissione, sono di opposto parere.

A –    La nozione di «avente diritto» ai sensi della direttiva 2004/38 (prima questione pregiudiziale)

24.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede elementi per interpretare la nozione di «avente diritto» di cui all’art. 3 della direttiva 2004/38. Si tratta in sostanza di stabilire se una persona che abbia la cittadinanza di due Stati membri dell’UE, ma che abbia sempre vissuto in uno solo di questi, possa invocare la citata direttiva nei confronti di quest’ultimo Stato al fine di ottenere un diritto di soggiornare nel medesimo per sé stessa e indirettamente anche per il proprio coniuge.

25.      In base al tenore letterale dell’art. 3, n. 1, della direttiva 2004/38, tale questione deve essere risolta in senso negativo. Secondo tale norma, è avente diritto ai sensi della direttiva qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza. Pertanto, dalla disposizione citata può desumersi con ragionamento a contrario che la direttiva 2004/38 non si applica nei rapporti tra un cittadino dell’Unione e lo Stato membro del quale costui ha la cittadinanza e nel quale soggiorna da sempre.

26.      Tale interpretazione trova conferma analizzando il contesto normativo nel quale si inserisce l’art. 3, n. 1, della direttiva 2004/38, nonché la finalità di quest’ultima.

27.      Scopo della direttiva 2004/38 è di facilitare ai cittadini dell’Unione la libera circolazione nel territorio degli Stati membri. Coerentemente con ciò, la direttiva spesso menziona in modo congiunto libera circolazione e soggiorno (14); essa mira a «semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e di soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione» (15).

28.      Per quanto riguarda il contesto normativo in cui si colloca l’art. 3, n. 1, della direttiva, occorre notare che numerose norme di quest’ultima parlano di «ingresso» (16) di un cittadino dell’Unione, di soggiorno del medesimo «nel territorio di un altro Stato membro» (17) ovvero di «Stato membro ospitante» (18). A questo proposito, è Stato membro ospitante ai sensi della direttiva «lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno» (19). Come emerge da tutte queste disposizioni, la direttiva 2004/38 disciplina la posizione giuridica di un cittadino dell’Unione in uno Stato membro nel quale egli soggiorna nell’esercizio del suo diritto di libera circolazione – eventualmente sin dalla nascita (20) – e del quale egli non possiede la cittadinanza.

29.      Sicuramente ciò non esclude che la direttiva 2004/38 possa talvolta trovare applicazione anche nei confronti dello Stato di appartenenza di un cittadino dell’Unione, qualora sussista un collegamento con il diritto dell’Unione. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione e intenda fare ritorno nel proprio Stato di origine è legittimato a invocare nei confronti di quest’ultimo le norme dell’Unione (21). Lo stesso vale del resto anche nel caso in cui un cittadino dell’Unione intenda lasciare il proprio Stato membro di appartenenza al fine di recarsi in un altro Stato membro nell’esercizio dei diritti di libera circolazione riconosciuti dalle norme dell’Unione (22).

30.      Tuttavia, tanto il tenore letterale quanto la finalità e il contesto normativo dell’art. 3, n. 1, della direttiva 2004/38 escludono che nell’ambito di applicazione di quest’ultima ricada una cittadina dell’Unione come la sig.ra McCarthy, la quale ha sempre soggiornato in uno Stato membro di cui è cittadina e non ha mai esercitato il proprio diritto di libera circolazione garantito dal diritto dell’Unione. Lo stesso vale per i familiari della sig.ra McCarthy (23), dal momento che i loro diritti di ingresso e di soggiorno – nonché più in generale la possibilità di ricongiungimento familiare – non trovano fondamento in un diritto di libera circolazione originario, bensì scaturiscono in via derivata dal diritto di libera circolazione della cittadina dell’Unione e sono funzionali all’attuazione di quest’ultimo (24).

31.      A mio avviso, una diversa conclusione non si ricava neppure dal diritto di libera circolazione sancito a livello di norme primarie (art. 21, n. 1, TFUE e art. 45, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali). È infatti vero che le norme di diritto secondario devono essere interpretate e applicate conformemente al diritto primario (25) – in accordo, ad esempio, con le libertà fondamentali riconosciute dai Trattati. Tuttavia, a mio parere, la direttiva 2004/38 è in sintonia con i precetti del diritto primario. In particolare, non ritengo che i cittadini dell’Unione possano far valere nei confronti del loro Stato membro di cittadinanza un diritto di soggiorno in forza dell’art. 21, n. 1, TFUE anche quando manchi – come nel caso della sig.ra McCarthy – qualsiasi elemento transfrontaliero (26).

32.      Resta da esaminare se la conclusione sin qui raggiunta possa subire modifiche in virtù del fatto che la sig.ra McCarthy possiede la cittadinanza di due Stati membri dell’UE, ossia quella britannica e quella irlandese.

33.      Al riguardo occorre anzitutto rilevare che ad una cittadina dell’Unione nella situazione della sig.ra McCarthy non può essere negata a priori la facoltà di far valere la propria seconda cittadinanza – nella fattispecie quella irlandese – limitandosi a eccepire l’eventuale non effettività di tale cittadinanza. Invero, nel presente caso tutto lascia credere che la cittadinanza britannica della sig.ra McCarthy sia quella di gran lunga più effettiva, dal momento che essa ha sempre vissuto in Inghilterra ed ha fatto richiesta di un passaporto irlandese soltanto quale passo preliminare alla sua domanda di un titolo di soggiorno fondato sul diritto dell’Unione. Tuttavia, come sottolineato dalla Corte, nell’ambito dell’Unione europea «non spetta ad uno Stato membro limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato» (27). Pertanto, ai sensi della giurisprudenza, l’esistenza di una doppia cittadinanza può, in linea di principio, essere senz’altro rilevante ai fini della valutazione della posizione giuridica dei cittadini dell’Unione nei confronti dei loro Stati membri di appartenenza (28).

34.      In particolare, la doppia cittadinanza di un cittadino dell’Unione può far sì che, allorché si tratta di stabilire il nome di questo, divenga necessario discostarsi dalle regole dettate in materia di diritto al nome dalla normativa di uno degli Stati membri del quale l’interessato possiede la cittadinanza (29). Infatti, il nome è un elemento essenziale dell’identità di una persona. Per questo motivo, ogni cittadino dell’Unione deve poter confidare nel fatto che il nome da lui legittimamente portato in uno Stato membro venga riconosciuto in tutti gli altri Stati membri (30). Qualora sorgessero dubbi sull’identità del cittadino dell’Unione per il fatto che il suo nome viene pronunciato o scritto in modo diverso a seconda dei vari Stati membri, l’interessato potrebbe subire un grave pregiudizio di natura privata o professionale (31).

35.      Tuttavia, ciò che può essere valido per materie come quella del diritto al nome, non è necessariamente trasponibile anche al diritto di soggiorno qui in discussione ed alla correlata possibilità di un ricongiungimento familiare. Piuttosto, si tratta di stabilire se anche in questo contesto la situazione di un cittadino dell’Unione con doppia cittadinanza si differenzi in modo giuridicamente rilevante, in ragione di tale particolarità, rispetto alla situazione di altri cittadini dell’Unione che posseggono unicamente la cittadinanza dello Stato membro ospitante.

36.      Gli elementi che caratterizzano situazioni diverse nonché la comparabilità di queste ultime devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo della normativa che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Devono, inoltre, essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce la normativa in questione (32).

37.      Il diritto dei cittadini dell’Unione di ottenere per sé e per i propri familiari la facoltà di soggiorno – controverso nel presente caso – serve ad agevolare la libera circolazione dei cittadini stessi nel territorio degli Stati membri (33). A questo riguardo, la doppia cittadinanza di una cittadina dell’Unione nella situazione della sig.ra McCarthy non fa assumere alla fattispecie alcun carattere particolare. Dal punto di vista del diritto di soggiorno, costei si trova nella medesima situazione di tutti gli altri cittadini britannici che abbiano sempre vissuto in Inghilterra e che non abbiano mai lasciato il loro paese di origine: essa non fa alcun uso del proprio diritto di libera circolazione (34).

38.      Una cittadina dell’Unione come la sig.ra McCarthy non vede pregiudicata la propria libertà di circolazione (35), né subisce una discriminazione rispetto ad altri cittadini britannici che si trovano in una situazione analoga. Il semplice fatto che essa possieda, oltre a quella britannica, anche la cittadinanza irlandese non impone necessariamente di applicare a lei e ai suoi familiari le norme dell’Unione in materia di diritto di ingresso e di soggiorno.

39.      In effetti, ciò può avere la conseguenza che un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione sia legittimato in forza del diritto dell’Unione a far valere, per i propri familiari originari di Stati terzi, norme in materia di ingresso e di soggiorno più favorevoli di quelle di cui beneficia un cittadino dello Stato membro ospitante che abbia sempre soggiornato nel territorio di quest’ultimo (36). Tale problema viene comunemente designato con l’espressione discriminazione dei cittadini nazionali o altrimenti qualificato come discriminazione a rovescio.

40.      Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione non ha nulla a che fare con tale problema. Infatti, esula dalla sfera di applicazione del diritto dell’Unione il fatto che i cittadini dell’Unione eventualmente ricevano – sotto il profilo dell’ingresso e del soggiorno dei loro familiari originari di Stati terzi – un trattamento diverso a seconda che abbiano o no in precedenza esercitato il loro diritto di libera circolazione (37).

41.      Invero, in dottrina viene talvolta avanzata la proposta di desumere dalla cittadinanza dell’Unione l’esistenza di un divieto di discriminazione a danno dei cittadini nazionali (38). Anche l’avvocato generale Sharpston si è di recente espressa in tal senso (39). Tuttavia, come più volte affermato dalla Corte, la cittadinanza dell’Unione non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione a situazioni nazionali che non hanno alcun collegamento con tale diritto (40).

42.      Certo non si può escludere che la Corte a un dato momento rielabori la propria giurisprudenza e sia indotta a desumere in futuro dalla cittadinanza dell’Unione un divieto di discriminazione a danno dei cittadini nazionali. Ad ogni modo, lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere «lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi fra loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico» (41).

43.       Tuttavia, non mi pare che il presente caso offra la cornice adatta per sottoporre ad un esame approfondito la problematica della discriminazione a danno dei cittadini nazionali. Infatti, nel caso di specie una cittadina dell’Unione «statica» come la sig.ra McCarthy non subisce assolutamente alcuna discriminazione rispetto ai cittadini dell’Unione «mobili» (42). In particolare, anche se si soprassedesse al fatto che la sig.ra McCarthy non ha esercitato il proprio diritto di libera circolazione e le si consentisse in linea di principio di invocare le norme della direttiva 2004/38, essa nondimeno non soddisfarebbe i restanti presupposti che si impongono ai cittadini dell’Unione ai fini dell’acquisto di un diritto di soggiorno di lunga durata.

44.      La sig.ra McCarthy non svolge un’attività professionale, né dispone di risorse economiche sufficienti per sé e per la propria famiglia; essa non è «economicamente autosufficiente», bensì riceve nel Regno Unito aiuti sociali dallo Stato (43). Per tale motivo essa non soddisfa i presupposti sostanziali imposti dal diritto dell’Unione ai cittadini dell’Unione che intendano soggiornare per più di tre mesi nello Stato membro ospitante (44). Neppure sussistono elementi per ritenere che la sig.ra McCarthy abbia in passato, per un periodo ininterrotto di cinque anni, esercitato un’attività professionale nel Regno Unito oppure avuto qui la disponibilità di sufficienti risorse economiche per sé e per la propria famiglia, ciò che costituirebbe il presupposto fondamentale per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente (45). Di conseguenza, neanche come cittadina dell’Unione «mobile» la sig.ra McCarthy potrebbe far valere un diritto di soggiorno fondato sulle norme dell’Unione.

45.      Stanti tali premesse, resto complessivamente dell’idea che si debba dare risposta negativa alla prima questione sollevata dal giudice del rinvio. La risposta dovrebbe essere nel senso che una cittadina dell’Unione che abbia la cittadinanza di due Stati membri dell’UE, ma che abbia sempre vissuto in uno solo di questi, non può far valere in quest’ultimo Stato alcun diritto di soggiorno fondato sulla direttiva 2004/38.

46.      Nel caso in cui però la Corte meditasse nel presente caso di ampliare la portata dello status di cittadino dell’Unione (46), riterrei opportuno riaprire la fase orale del procedimento. Infatti, le parti intervenute hanno sinora avuto modo di esprimere soltanto in via marginale – verso la fine della fase dibattimentale – i propri argomenti in ordine a tale problematica. A mio avviso, esse dovrebbero avere l’ulteriore possibilità di confrontarsi in maniera più approfondita con tale questione. In tal caso sarebbe poi assai probabile che altri Stati membri si vedrebbero indotti a presentare le proprie osservazioni orali dinanzi alla Corte.

B –    La nozione di «soggiorno legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 (seconda questione pregiudiziale)

47.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede delucidazioni in merito al concetto di «soggiorno legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 (47). In sostanza, occorre chiarire se in tale nozione debba ricadere anche il soggiorno di una cittadina dell’Unione che abbia sempre vissuto soltanto nello Stato membro ospitante, con l’ulteriore particolarità che il diritto di soggiorno di costei in tale Stato è stato fondato, per tutta la durata della sua permanenza, unicamente sul fatto che essa possiede appunto la cittadinanza di tale Stato.

48.      Tale questione è logicamente subordinata alla prima. Nel caso in cui la prima questione venisse risolta, come da me proposto, in senso negativo (48), la cittadina dell’Unione non ricadrebbe affatto nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 e non sarebbe necessario rispondere alla seconda questione. Per tale motivo analizzo qui di seguito tale seconda questione in via meramente subordinata.

49.      Il concetto di soggiorno legale, che l’art. 16, n. 1, eleva a presupposto per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, non viene meglio specificato nell’ambito della direttiva 2004/38.

50.      Anche nella recente sentenza Lassal la Corte non ha a mio avviso risolto definitivamente tale problema, limitandosi a chiarire che devono essere presi in considerazione «periodi di soggiorno ininterrotto (...) conclusi (...) conformemente a strumenti di diritto dell’Unione [precedentemente in vigore]» (49). Ciò non esclude affatto che si possa tener conto anche di altri periodi di soggiorno, che siano stati compiuti unicamente in base alle norme nazionali in materia di immigrazione.

51.      In verità, il preambolo della direttiva 2004/38 contiene un accenno al fatto che per soggiorno legale deve intendersi anzitutto un soggiorno effettuato «conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva», vale a dire un soggiorno cui l’interessato era legittimato in forza del diritto dell’Unione (50). Tuttavia, considerato il contesto e la finalità della direttiva 2004/38, le disposizioni di quest’ultima non debbono essere interpretate in senso restrittivo (51).

52.      Attraverso il diritto di soggiorno permanente di cui all’art. 16 della direttiva 2004/38, il legislatore dell’Unione si è prefisso la «promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione» (52), e la costituzione di «un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante» (53). Corrisponde a tale obiettivo il fatto di ampliare la cerchia dei soggetti legittimati al soggiorno permanente, comprendendovi anche quei cittadini dell’Unione il cui diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante derivi soltanto dalle norme interne di quest’ultimo in materia di immigrazione (54); infatti, per valutare il grado di integrazione di un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante è di secondaria importanza stabilire la fonte del suo diritto di soggiorno.

53.      Che ci possano essere casi nei quali un diritto di soggiorno sussiste unicamente in virtù di norme nazionali dello Stato membro ospitante in materia di immigrazione è dimostrato dall’art. 37 della direttiva 2004/38, in forza del quale restano espressamente impregiudicate eventuali disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli. Anche nella giurisprudenza si rinvengono casi nei quali il soggiorno di cittadini dell’Unione nel rispettivo Stato membro ospitante poteva risultare legittimato non da norme dell’Unione, bensì unicamente da norme nazionali in materia di immigrazione (55). La Corte non ha assolutamente ritenuto irrilevante un soggiorno di questo tipo, bensì, al contrario, vi ha ricollegato conseguenze sul piano del diritto dell’Unione (56).

54.      Tuttavia, per «soggiorno legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 può intendersi unicamente un soggiorno fondato su disposizioni della normativa in materia di immigrazione, e non anche un soggiorno la cui legittimità derivi dal semplice fatto che l’interessato è cittadino dello Stato membro ospitante. Infatti, la direttiva 2004/38 mira – come si è già rilevato (57) – a realizzare e ad agevolare il diritto di libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Il suo scopo non è quello di contribuire a che i cittadini dello Stato membro ospitante che non hanno mai esercitato il proprio diritto di libera circolazione raggiungano una maggiore integrazione nella società di tale Stato.

55.      Tra un diritto di soggiorno conferito dalle norme in materia di immigrazione ed un diritto di soggiorno derivante dalla cittadinanza dell’interessato nello Stato membro ospitante sussistono differenze qualitative sostanziali. Mentre infatti, in forza di principi di diritto internazionale, gli Stati membri non possono in alcun modo limitare il diritto di soggiorno dei loro cittadini (58), tali Stati sono legittimati a consentire il soggiorno degli stranieri nel loro territorio soltanto in presenza di determinate condizioni. Ciò vale anche per il soggiorno di cittadini dell’Unione originari di altri Stati membri, nel qual caso però vanno rispettati i limiti dettati dal diritto dell’Unione (59).

56.      Qualora si consentisse ad una cittadina dell’Unione nella situazione della sig.ra McCarthy, che non ha mai esercitato il proprio diritto di libera circolazione, di invocare la direttiva 2004/38, ciò si tradurrebbe in ultima analisi in un «cherry picking» (60): la cittadina dell’Unione potrebbe in tal caso beneficiare dei vantaggi offerti dalla direttiva 2004/38 in relazione al ricongiungimento familiare con il marito, senza soddisfare le finalità della direttiva – realizzazione e agevolazione della libera circolazione – e senza essere assoggettata ad alcuna delle condizioni dettate dalla direttiva medesima – ad esempio il requisito dell’autosufficienza economica di cui all’art. 7, n. 1, di quest’ultima. Come giustamente sottolineato da varie parti intervenute nel procedimento, ciò non corrisponde allo spirito ed alla finalità delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione e diritto di soggiorno.

57.      La seconda questione sollevata dal giudice del rinvio dovrebbe dunque essere risolta come segue:

La legalità del soggiorno, la quale, ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, costituisce un presupposto per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, può derivare dalle norme dell’Unione oppure dalle norme interne dello Stato membro ospitante in materia di immigrazione.

Tuttavia, qualora un cittadino dell’Unione abbia la nazionalità dello Stato membro ospitante ed abbia sempre soggiornato in quest’ultimo unicamente sulla base di tale nazionalità, senza esercitare il proprio diritto di libera circolazione, non sussiste un «soggiorno legale» nel senso di cui all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38.

C –    Considerazioni conclusive

58.      In base alla soluzione da me proposta, una cittadina dell’Unione nella situazione della sig.ra McCarthy non può invocare il diritto dell’Unione al fine di ottenere per sé e per i propri familiari un diritto di soggiorno nello Stato membro nel quale essa ha sempre vissuto e di cui è cittadina.

59.      Tuttavia, come la Corte ha già indicato nella sentenza Metock e a. (61), tutti gli Stati membri sono parti contraenti della CEDU (62). Anche nel caso in cui la CEDU non garantisse ad uno straniero in quanto tale il diritto di fare ingresso in un determinato paese o di soggiornarvi, può configurare una lesione del diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’art. 8, n. 1, della citata convenzione il fatto che ad una persona venga negato l’ingresso o il soggiorno in un paese nel quale abitano i suoi familiari prossimi (63).

60.      Stanti tali premesse, non si può escludere del tutto che il Regno Unito sia eventualmente obbligato, in quanto parte contraente della CEDU, a concedere un diritto di soggiorno al sig. McCarthy in qualità di coniuge di una cittadina britannica che vive in Inghilterra. Tuttavia, ciò non costituisce una questione ricadente nella sfera del diritto dell’Unione, ma soltanto un problema riguardante il vincolo di osservanza della CEDU gravante sul Regno Unito, per la valutazione del quale sono competenti in via esclusiva i giudici nazionali ed eventualmente la Corte europea dei diritti dell’uomo.

VI – Conclusione

61.      Alla luce delle suesposte osservazioni, propongo pertanto alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dichiarando quanto segue:

Una cittadina dell’Unione che abbia la cittadinanza di due Stati membri dell’UE, ma che abbia sempre vissuto in uno soltanto di questi, non può far valere in tale Stato alcun diritto di soggiorno sulla base della direttiva 2004/38/CE.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Nelle presenti conclusioni utilizzo i termini «cittadinanza britannica» e soggiorno «in Inghilterra» conformandomi a quelli analoghi contenuti nella domanda di pronuncia pregiudiziale.


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e, per rettifica, GU 2004, L 229, pag. 35, nonché GU 2007, L 204, pag. 28).


4 – Secondo le indicazioni fornite dal rappresentante processuale della sig.ra McCarthy all’udienza dinanzi alla Corte, ciò dovrebbe dipendere dal fatto che il sig. McCarthy aveva originariamente fatto ingresso nel Regno Unito come «visitor» (visitatore).


5 – Ministro dell’Interno del Regno Unito.


6 – Tribunale per gli affari di immigrazione e di asilo.


7 – Corte di appello per l’Inghilterra e il Galles (Sezione civile).


8 – L’impugnazione nell’ambito della causa principale era stata autorizzata il 13 novembre 2008 dalla House of Lords, competente a quel tempo. Tuttavia, a seguito della legge di riforma costituzionale del 2005 (Constitutional Reform Act 2005), i poteri giurisdizionali della House of Lords sono stati trasferiti nell’ottobre 2009 alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), organo di nuova creazione.


9 – Tali quesiti erano stati all’epoca deliberati dalla House of Lords. Tuttavia, la loro trasmissione è avvenuta già ad opera della Registrar of the Supreme Court of the United Kingdom (Cancelliera della Corte Suprema del Regno Unito). Peraltro, il fatto che la decisione di rinvio rechi il titolo «Draft Reference» (Proposta di domanda di pronuncia pregiudiziale) non comporta alcun pregiudizio per la sua ricevibilità. Infatti, come si desume dalla lettera di accompagnamento del 2 novembre 2009, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata ufficialmente presentata dalla Supreme Court dinanzi alla Corte di giustizia.


10 – Come la Corte ha constatato nella sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn (Racc. pag. 1337, punto 22), esiste un principio di diritto internazionale il quale «impedisce ai singoli Stati di negare ai propri cittadini l’ingresso ed il soggiorno nel proprio territorio»; v. inoltre sentenze 7 luglio 1992, causa C‑370/90, Singh (Racc. pag. I‑4265, punto 22), e 11 dicembre 2007, causa C‑291/05, Eind (Racc. pag. I‑10719, punto 31), nonché l’art. 3 del Protocollo n. 4 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, presentato per la firma il 16 settembre 1963 a Strasburgo ed entrato in vigore il 2 maggio 1968 (ETS n. 46).


11 – Per tale motivo anche la decisione sul ricorso proposto dal sig. McCarthy riguardante il suo diritto di soggiorno è stata rinviata (v. supra, paragrafo 15 delle presenti conclusioni).


12 – Già artt. 18, n. 1, CE, 39 CE, 43 CE e 49 CE.


13 – La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000, C 364, pag. 1) e poi nuovamente il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (GU 2007, C 303, pag. 1).


14 – Artt. 1, lett. a), 3, n. 2, e 5, n. 4, nonché terzo e ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38.


15 – Terzo ‘considerando’ della direttiva 2004/38; in termini analoghi il titolo della direttiva stessa nonché il suo quinto ‘considerando’, dove si parla del diritto dei cittadini dell’Unione «di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». V. anche sentenze 25 luglio 2008, causa C‑127/08, Metock e a. (Racc. pag. I‑6241, punto 59); 23 febbraio 2010, causa C‑310/08, Ibrahim (Racc. pag. I‑1065, punto 49), e causa C‑480/08, Teixeira (Racc. pag. I‑1107, punto 60), nonché 7 ottobre 2010, causa C‑162/09, Lassal (Racc. pag. I‑9217, punto 30).


16 – V. ad esempio gli artt. 3, n. 2, 5, 8, n. 2, 15, n. 2, 27, n. 3, 29, nn. 2 e 3, e 31, n. 4, nonché il sesto e il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38.


17 – V. artt. 6, n. 1, e 7, n. 1, della direttiva 2004/38; in termini analoghi l’undicesimo ‘considerando’ di quest’ultima, dove si fa menzione del «diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro».


18 – Artt. 2, 3, n. 2, 5, n. 3, 7, 8, 14‑18, 22, 24, 28, 29, 31 e 33, nonché i ‘considerando’ quinto, sesto, nono, decimo, quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo, ventunesimo, ventitreesimo e ventiquattresimo della direttiva 2004/38.


19 – Art. 2, punto 3, della direttiva 2004/38.


20 – V. art. 3, n. 1, e ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38; nel medesimo senso le sentenze 19 ottobre 2004, causa C‑200/02, Zhu e Chen (Racc. pag. I‑9925, punto 19), e Teixeira, cit. alla nota 15 (punto 45).


21 – Sentenze Singh (punti 19‑23) e Eind (punti 32‑36), entrambe citate alla nota 10; similmente la sentenza 11 luglio 2002, causa C‑60/00, Carpenter (Racc. pag. I‑6279, in particolare punto 46).


22 – Sentenza 10 luglio 2008, causa C‑33/07, Jipa (Racc. pag. I‑5157, in particolare punti 17 e 18).


23 – In tal senso si era già pronunciata la sentenza 27 ottobre 1982, cause riunite 35/82 e 36/82, Morson e Jhanjan (Racc. pag. 3723, punti 11‑18).


24 – In tal senso, sentenza Eind, cit. alla nota 10 (punto 23).


25 – V., ad esempio, sentenze 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Racc. pag. I‑5305, punto 28), e 19 novembre 2009, cause riunite C‑402/07 e C‑432/07, Sturgeon e a. (Racc. pag. I‑10923, punto 48).


26 – Una tesi opposta viene difesa dall’avvocato generale Sharpston nelle conclusioni da lei presentate il 30 settembre 2010 nella causa C‑34/09, Ruiz Zambrano (non ancora pubblicate nella Raccolta, segnatamente paragrafi 91‑97 e 122, prima frase).


27 – Sentenze 7 luglio 1992, causa C‑369/90, Micheletti e a. (Racc. pag. I‑4239, punto 10); 2 ottobre 2003, causa C‑148/02, Garcia Avello (Racc. pag. I‑11613, punto 28), nonché Zhu e Chen, cit. alla nota 20 (punto 39).


28 – Sentenza Garcia Avello, cit. alla nota 27 (in particolare, punti 32‑37). Anche la sentenza Micheletti e a., cit. alla nota 27, evidenzia la rilevanza della doppia cittadinanza nel diritto dell’Unione, ma ciò nei confronti di uno Stato membro del quale il cittadino dell’Unione interessato non possiede la cittadinanza.


29 – Sentenza Garcia Avello, cit. alla nota 27 (in particolare, punti 36, 37 e 45).


30 – In tal senso, sentenza 14 ottobre 2008, causa C‑353/06, Grunkin e Paul (Racc. pag. I‑7639, in particolare punti 23 e 31).


31 – Sentenze Garcia Avello, cit. alla nota 27 (punto 36), e Grunkin‑Paul, cit. alla nota 30 (punti 23‑28 e 32); similmente si era espressa già la sentenza 30 marzo 1993, causa C‑168/91, Konstantinidis (Racc. pag. I‑1191, punto 16).


32 – Sentenza 16 dicembre 2008, causa C‑127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (Racc. pag. I‑9895, punto 26).


33 – Sentenza Metock e a., cit. alla nota 15 (punto 82); v. anche supra, paragrafo 27 delle presenti conclusioni.


34 – In ciò il presente caso si distingue dalla fattispecie esaminata nella causa Zhu e Chen (sentenza cit. alla nota 20), nella quale la cittadina dell’Unione Catherine Zhu non possedeva la cittadinanza dello Stato membro ospitante, bensì soltanto quella di un altro Stato membro, sicché essa viveva nel suddetto Stato ospitante sin dalla nascita nell’esercizio del suo diritto di libera circolazione ai sensi dell’art. 21, n. 1, TFUE (già art. 18, n. 1, CE). Il presente caso si distingue inoltre dalla fattispecie oggetto della sentenza Eind (cit. alla nota 10), nella quale il cittadino dell’Unione interessato possedeva sì la cittadinanza dello Stato membro ospitante (Paesi Bassi), ma aveva fatto ritorno in quest’ultimo dopo aver esercitato il proprio diritto di libera circolazione.


35 – Come giustamente sottolineato dall’Irlanda, nulla impedisce alla sig.ra McCarthy di esercitare il proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in un altro Stato membro, ad esempio proprio in Irlanda, dove potrà essere accompagnata anche dal marito in qualità di familiare.


36 – V., al riguardo, sentenza Metock e a., cit. alla nota 15 (punti 76‑78).


37 – Sentenza Metock e a., cit. alla nota 15 (punti 77 e 78); nel medesimo senso la costante giurisprudenza riguardante le libertà fondamentali riconosciute dai Trattati (v., ad esempio, sentenza 1° aprile 2008, causa C‑212/06, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, Racc. pag. I‑1683, punto 33).


38 – Borchardt, K.-D., «Der sozialrechtliche Gehalt der Unionsbürgerschaft», Neue Juristische Wochenschrift, 2000, pagg. 2057 e, in particolare, 2059; Edward, D., «Unionsbürgerschaft – Mythos, Hoffnung oder Realität?», in «Grundrechte in Europa» – Münsterische Juristische Vorträge, Münster, 2002, pagg. 35 e, in particolare, 41; Edward, D., «European Citizenship – Myth, Hope or Reality?», in «Problèmes d’interprétation» – à la mémoire de Constantinos N. Kakouris, Atene/Bruxelles, 2004, pagg. 123 e, in particolare, 131‑133; Spaventa, E., «Seeing the Wood despite the Trees? On the Scope of Union Citizenship and its Constitutional Effects», Common Market Law Review 45 (2008), pagg. 13 e, in particolare, 30‑39.


39 – Conclusioni nella causa Ruiz Zambrano, citate alla nota 26 (segnatamente paragrafi 139‑150).


40 – Sentenze 5 giugno 1997, cause riunite C‑64/96 e C‑65/96, Uecker e Jacquet (Racc. pag. I‑3171, punto 23); Garcia Avello, cit. alla nota 27 (punto 26); 12 luglio 2005, causa C‑403/03, Schempp (Racc. pag. I‑6421, punto 20); Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, cit. alla nota 37 (punto 39), e 22 maggio 2008, causa C‑499/06, Nerkowska (Racc. pag. I‑3993, punto 25).


41 – Sentenze 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I‑6193, punto 31), e 16 dicembre 2008, causa C‑524/06, Huber (Racc. pag. I‑9705, punto 69); in termini analoghi la sentenza 12 settembre 2006, causa C‑300/04, Eman e Sevinger (Racc. pag. I‑8055, in particolare punti 57, 58 e 61). In merito allo status di cittadino dell’Unione quale «status fondamentale», v. inoltre sentenze 17 settembre 2002, causa C‑413/99, Baumbast e R (Racc. pag. I‑7091, punto 82); Garcia Avello, cit. alla nota 27 (punto 22), e 2 marzo 2010, causa C‑135/08, Rottmann (Racc. pag. I‑1449, punto 43).


42 – In questo senso anche le conclusioni presentate dall’avvocato generale Sharpston nella causa Ruiz Zambrano, citate alla nota 26 (paragrafo 146), ad avviso della quale le situazioni dei cittadini «statici» e di quelli «mobili» devono essere paragonabili.


43 – V. supra, paragrafo 9 delle presenti conclusioni.


44 – Art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38.


45 – Art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38; in proposito, v. più dettagliatamente le considerazioni che svolgo infra in merito alla seconda questione pregiudiziale (paragrafi 47‑57 delle presenti conclusioni).


46 – In tal senso le conclusioni presentate dall’avvocato generale Sharpston nella causa Ruiz Zambrano, citate alla nota 26.


47 – Diverse questioni relative all’interpretazione dell’art. 16 della direttiva 2004/38, in particolare alla nozione di «soggiorno legale», si presentano anche nelle cause C‑325/09 (Dias), C‑424/10 (Ziolkowski) e C‑425/10 (Szeja), attualmente pendenti. Queste però non riguardano, a quanto consta, il caso di un cittadino dell’Unione che possegga la cittadinanza dello Stato membro ospitante.


48 – V. supra, in particolare paragrafi 25 e 45 delle presenti conclusioni.


49 – Sentenza Lassal, cit. alla nota 15 (punto 40).


50 – V. diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38.


51 – Sentenze Metock e a. (punti 84 e 93) e Lassal, entrambe citate alla nota 15 (punto 31).


52 – Diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38.


53 – Diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38; v. inoltre la sentenza Lassal, cit. alla nota 15 (punto 32; in merito all’idea di integrazione, v. anche punto 37).


54 – V. già, in tal senso, le conclusioni da me presentate il 20 ottobre 2009 nella causa Teixeira (sentenza cit. alla nota 15, paragrafo 119); di diverso parere sembra essere l’avvocato generale Trstenjak (conclusioni presentate l’11 maggio 2010 nella causa Lassal, sentenza cit. alla nota 15, paragrafo 88, ultima frase).


55 – Sentenza 7 settembre 2004, causa C‑456/02, Trojani (Racc. pag. I‑7573, in particolare punti 36 e 37); in termini simili, sentenza 12 maggio 1998, causa C‑85/96, Martínez Sala (Racc. pag. I‑2691, in particolare punti 14 e 15 nonché 60 e 61), là dove però in quest’ultimo caso sembra trattarsi piuttosto di una tolleranza de facto del soggiorno della cittadina dell’Unione.


56 – Sentenze Martínez Sala (punti 64 e 65) e Trojani (punto 39), entrambe citate alla nota 55.


57 – V. le considerazioni da me svolte sopra in ordine alla prima questione pregiudiziale (in particolare, paragrafi 27 e 28 delle presenti conclusioni).


58 – V. supra, paragrafo 20 e nota 10 delle presenti conclusioni.


59 – V., in particolare, artt. 7, 8 e 27‑33 della direttiva 2004/38.


60 – Nella stessa direzione si muovono le espressioni utilizzate dall’Irlanda all’udienza dinanzi alla Corte, ossia «à la carte approach» e «the best of both worlds».


61 – Cit. alla nota 15 (punto 79).


62 – Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ETS n. 5)


63 – V., ad esempio, sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 18 febbraio 1991, Moustaquim/Belgio (Serie A, n. 193, pag. 18, § 36); 2 agosto 2001, Boultif/Svizzera (Recueil des arrêts et décisions 2001-IX, § 39), e 22 aprile 2004, Radovanovic/Austria (ricorso n. 42703/98, § 30). La Corte di giustizia delle Comunità europee ha per parte sua riconosciuto in relazione all’Unione europea che il diritto alla convivenza con i familiari prossimi implica per gli Stati membri obblighi che possono essere di carattere negativo, qualora uno di essi sia tenuto a non espellere una persona, ovvero di carattere positivo, quando l’obbligo di uno Stato sia quello di consentire ad una persona di fare ingresso e di risiedere nel suo territorio (sentenza 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio, cosiddetta sentenza «ricongiungimento familiare», Racc. pag. I‑5769, punto 52).