Language of document : ECLI:EU:T:2011:362

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

13 luglio 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato dell’installazione e della manutenzione degli ascensori e delle scale mobili – Decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE – Manipolazione delle gare d’appalto – Ripartizione dei mercati – Fissazione dei prezzi»

Nella causa T‑138/07,

Schindler Holding Ltd, con sede in Hergiswil (Svizzera),

Schindler Management AG, con sede in Ebikon (Svizzera),

Schindler SA, con sede in Bruxelles (Belgio),

Schindler Deutschland Holding GmbH, con sede in Berlino (Germania),

Schindler Sàrl, con sede in Lussemburgo (Lussemburgo),

Schindler Liften BV, con sede in L’Aia (Paesi Bassi),

rappresentate dagli avv.ti R. Bechtold, W. Bosch, U. Soltész e S. Hirsbrunner,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra K. Mojzesowicz e dal sig. R. Sauer, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dalle sig.re M. Simm e G. Kimberley, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 21 febbraio 2007, C (2007) 512 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP/E-1/38.823 – Ascensori e scale mobili), o, in subordine, di riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto dalla sig.ra M. E. Martins Ribeiro (relatore), presidente, dai sigg. N. Wahl e A. Dittrich, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 settembre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La presente causa ha ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 21 febbraio 2007, C (2007) 512 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP/E-1/38.823 – Ascensori e scale mobili) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), di cui è stato pubblicato un sunto nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 26 marzo 2008 (GU C 75, pag. 19), o, in subordine, di riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti.

2        Nella decisione impugnata la Commissione delle Comunità europee ha considerato che le seguenti società hanno violato l’art. 81 CE:

–        Kone Belgium SA (in prosieguo: «Kone Belgio»), Kone GmbH (in prosieguo: «Kone Germania»), Kone Luxembourg Sàrl (in prosieguo: «Kone Lussemburgo»), Kone BV Liften en Roltrappen (in prosieguo: «Kone Paesi Bassi») e Kone Oyj (in prosieguo: «KC») (in prosieguo indicate congiuntamente o separatamente come «Kone»);

–        Otis SA (in prosieguo: «Otis Belgio»), Otis GmbH & Co. OHG (in prosieguo: «Otis Germania»), General Technic-Otis Sàrl (in prosieguo: «GTO»), General Technic Sàrl (in prosieguo: «GT»), Otis BV (in prosieguo: «Otis Paesi Bassi»), Otis Elevator Company (in prosieguo: «OEC») e United Technologies Corporation (in prosieguo: «UTC») (in prosieguo indicate congiuntamente o separatamente come «Otis»);

–        Schindler SA (in prosieguo: «Schindler Belgio»), Schindler Deutschland Holding GmbH (in prosieguo: «Schindler Germania»), Schindler Sàrl (in prosieguo: «Schindler Lussemburgo»), Schindler Liften BV (in prosieguo: «Schindler Paesi Bassi») e Schindler Holding Ltd (in prosieguo indicate congiuntamente o separatamente come «Schindler»);

–        ThyssenKrupp Liften Ascenseurs NV (in prosieguo: «TKLA»), ThyssenKrupp Aufzüge GmbH (in prosieguo: «TKA»), ThyssenKrupp Fahrtreppen GmbH (in prosieguo: «TKF»), ThyssenKrupp Elevator AG (in prosieguo: «TKE»), ThyssenKrupp AG (in prosieguo: «TKAG»), ThyssenKrupp Ascenseurs Luxembourg Sàrl (in prosieguo: «TKAL») e ThyssenKrupp Liften BV (in prosieguo: «TKL») (in prosieguo indicate congiuntamente o separatamente come «ThyssenKrupp»); e

–        Mitsubishi Elevator Europe BV (in prosieguo: «MEE»).

3        Schindler è uno dei primi gruppi mondiali fornitori di ascensori e scale mobili. La sua società capogruppo è la Schindler Holding, con sede in Svizzera (punto 27 della decisione impugnata). Schindler esercita le sue attività nel settore degli ascensori e delle scale mobili tramite controllate nazionali. Queste ultime sono, in particolare, in Belgio Schindler Belgio, in Germania Schindler Germania, in Lussemburgo Schindler Lussemburgo e nei Paesi Bassi Schindler Paesi Bassi (punti 28‑32 della decisione impugnata).

 Procedimento amministrativo

1.     Indagine della Commissione

4        Nell’estate del 2003 sono state trasmesse alla Commissione informazioni relative alla possibile esistenza di un’intesa tra i quattro principali produttori europei di ascensori e scale mobili che esercitano attività commerciali nell’Unione, vale a dire Kone, Otis, Schindler e ThyssenKrupp (punti 3 e 91 della decisione impugnata).

 Belgio

5        A partire dal 28 gennaio 2004 e durante il mese di marzo 2004 la Commissione ha effettuato accertamenti, in applicazione dell’art. 14, nn. 2 e 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 19612, 13, pag. 204), in particolare presso i locali delle controllate di Kone, Otis, Schindler e ThyssenKrupp in Belgio (punti 92, 93, 95 e 97 della decisione impugnata).

6        Successivamente, Kone, Otis, ThyssenKrupp e Schindler hanno presentato domande a titolo della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3) (in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione del 2002»). Tali domande sono state integrate dalle imprese interessate (punti 94, 96, 98 e 103 della decisione impugnata).

7        Il 29 giugno 2004 è stata concessa a Kone un’immunità condizionata in applicazione del punto 8, lett. b), della suddetta comunicazione (punto 99 della decisione impugnata).

8        Tra settembre e dicembre 2004 la Commissione ha inviato inoltre richieste di informazioni a norma dell’art. 18 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), alle imprese partecipanti all’infrazione in Belgio, a vari clienti in tale Stato membro e all’associazione belga Agoria (punti 101 e 102 della decisione impugnata).

 Germania

9        A partire dal 28 gennaio 2004 e durante il mese di marzo 2004 la Commissione ha effettuato accertamenti, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, in particolare presso i locali delle controllate di Otis e di ThyssenKrupp in Germania (punti 104 e 106 della decisione impugnata).

10      Il 12 e il 18 febbraio 2004 Kone ha integrato la sua domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002, del 2 febbraio 2004, relativa al Belgio, con informazioni concernenti la Germania. Analogamente, tra marzo 2004 e febbraio 2005 Otis ha integrato la sua domanda relativa al Belgio con informazioni concernenti la Germania. Il 25 novembre 2004 Schindler ha presentato una domanda a titolo di detta comunicazione contenente informazioni relative alla Germania, che è stata completata tra dicembre 2004 e febbraio 2005. Infine, nel dicembre 2005 ThyssenKrupp ha trasmesso alla Commissione una domanda, relativa alla Germania, sempre a titolo della suddetta comunicazione (punti 105, 107, 112 e 114 della decisione impugnata).

11      Tra settembre e novembre 2004 la Commissione ha inviato inoltre richieste di informazioni, in applicazione dell’art. 18 del regolamento n. 1/2003, alle imprese partecipanti all’infrazione in Germania, a vari clienti in tale Stato membro e alle associazioni VDMA, VFA e VMA (punti 110, 111 e 113 della decisione impugnata).

 Lussemburgo

12      Il 5 febbraio 2004 Kone ha integrato la sua domanda del 2 febbraio 2004, relativa al Belgio, con informazioni concernenti il Lussemburgo. Otis e ThyssenKrupp hanno presentato oralmente una domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 con riferimento al Lussemburgo. Una domanda a titolo della medesima comunicazione, con riferimento al Lussemburgo, è stata presentata da Schindler (punti 115, 118, 119 e 124 della decisione impugnata).

13      A partire dal 9 marzo 2004 la Commissione ha effettuato accertamenti, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, segnatamente presso i locali delle controllate di Schindler e di ThyssenKrupp in Lussemburgo (punto 116 della decisione impugnata).

14      Il 29 giugno 2004 è stata concessa a Kone un’immunità condizionata in applicazione del punto 8, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per la parte della sua domanda relativa al Lussemburgo (punto 120 della decisione impugnata).

15      Nel settembre e nell’ottobre 2004 la Commissione ha inviato richieste di informazioni a norma dell’art. 18 del regolamento n. 1/2003 alle imprese partecipanti all’infrazione in Lussemburgo, a vari clienti in tale Stato membro e alla Fédération luxembourgeoise des ascensoristes (punti 122 e 123 della decisione impugnata).

 Paesi Bassi

16      Nel marzo 2004 Otis ha presentato una domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 con riferimento ai Paesi Bassi, che veniva successivamente completata. Nell’aprile 2004 è stata presentata da ThyssenKrupp una domanda a titolo di detta comunicazione, anch’essa successivamente completata a più riprese. Infine, il 19 luglio 2004 Kone ha integrato la sua domanda del 2 febbraio 2004, relativa al Belgio, con informazioni concernenti i Paesi Bassi (punti 127, 129 e 130 della decisione impugnata).

17      Il 27 luglio 2004 è stata concessa un’immunità condizionata ad Otis in applicazione del punto 8, lett. a), della suddetta comunicazione (punto 131 della decisione impugnata).

18      A partire dal 28 aprile 2004 la Commissione ha effettuato accertamenti, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, segnatamente presso i locali delle controllate di Kone, Schindler, ThyssenKrupp e MEE nei Paesi Bassi, nonché presso i locali dell’associazione Boschduin (punto 128 della decisione impugnata).

19      Nel settembre 2004 la Commissione ha inviato richieste di informazioni in applicazione dell’art. 18 del regolamento n. 1/2003 alle imprese partecipanti all’infrazione nei Paesi Bassi, a vari clienti in tale Stato membro e alle associazioni VLR e Boschduin (punti 133 e 134 della decisione impugnata).

2.     Comunicazione degli addebiti

20      Il 7 ottobre 2005 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti, rivolta in particolare alle società menzionate supra al punto 2. Tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti hanno trasmesso osservazioni scritte in risposta alle censure mosse dalla Commissione (punti 135 e 137 della decisione impugnata).

21      Poiché nessuno dei destinatari della comunicazione degli addebiti ne aveva fatto domanda, non si è tenuta un’audizione (punto 138 della decisione impugnata).

3.     Decisione impugnata

22      Il 21 febbraio 2007 la Commissione ha adottato la decisione impugnata, in cui ha constatato che le società destinatarie avevano partecipato a quattro infrazioni singole, complesse e continuate all’art. 81, n. 1, CE, in quattro Stati membri, ripartendosi i mercati attraverso accordi o concertazioni per l’attribuzione di appalti e di contratti relativi alla vendita, all’installazione, alla manutenzione e all’ammodernamento di ascensori e scale mobili (punto 2 della decisione impugnata).

23      Per quanto riguarda i destinatari della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che, oltre alle controllate delle imprese interessate in Belgio, in Germania, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi, le società capogruppo di dette controllate dovessero essere considerate solidalmente responsabili per le violazioni dell’art. 81 CE commesse dalle rispettive controllate, per il fatto che avevano potuto esercitare un’influenza decisiva sulla loro politica commerciale nel periodo dell’infrazione e si poteva presumere che si fossero avvalse di tale potere (punti 608, 615, 622, 627 e 634‑641 della decisione impugnata). Le società controllanti di MEE non sono state considerate solidalmente responsabili del comportamento della loro controllata, poiché non è stato possibile dimostrare che esse avessero esercitato un’influenza decisiva sul suo comportamento (punto 643 della decisione impugnata).

24      Per calcolare l’importo delle ammende, nella decisione impugnata la Commissione ha applicato il metodo descritto negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»). Essa ha inoltre esaminato se, e in quale misura, le imprese interessate soddisfacessero le condizioni previste dalla comunicazione sulla cooperazione del 2002.

25      La Commissione ha qualificato le infrazioni come «molto gravi» in considerazione della loro natura e del fatto che ciascuna di esse riguardava l’intero ambito territoriale di uno Stato membro (Belgio, Germania, Lussemburgo o Paesi Bassi), anche se il loro impatto reale non poteva essere misurato (punto 671 della decisione impugnata).

26      Per tenere conto dell’effettiva capacità economica delle imprese interessate di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza, la Commissione le ha suddivise, per ciascun paese, in varie categorie a seconda del volume d’affari realizzato sul mercato degli ascensori e/o delle scale mobili, compresi, se del caso, i servizi di manutenzione e di ammodernamento (punti 672 e 673 della decisione impugnata).

27      Per quanto riguarda l’intesa in Belgio, Kone e Schindler sono state classificate nella prima categoria, con un importo di partenza dell’ammenda, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, di EUR 40 000 000. Otis è stata classificata nella seconda categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 27 000 000. ThyssenKrupp è stata classificata nella terza categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 16 500 000 (punti 674 e 675 della decisione impugnata). All’importo di partenza dell’ammenda da infliggere a Otis è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,7 e all’importo di partenza dell’ammenda di ThyssenKrupp è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 2, per tenere conto delle loro dimensioni e delle loro risorse globali, portando così gli importi di partenza delle loro ammende rispettivamente ad EUR 45 900 000 ed EUR 33 000 000 (punti 690 e 691 della decisione impugnata). Poiché l’infrazione è durata sette anni e otto mesi (dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004), la Commissione ha aumentato del 75% l’importo di partenza dell’ammenda per le imprese interessate. L’importo di base dell’ammenda è stato quindi fissato in EUR 70 000 000 per Kone, in EUR 80 325 000 per Otis, in EUR 70 000 000 per Schindler e in EUR 57 750 000 per ThyssenKrupp (punti 692 e 696 della decisione impugnata). La Commissione ha ritenuto che ThyssenKrupp dovesse essere considerata recidiva e ha aumentato l’importo della sua ammenda del 50% a titolo di tale circostanza aggravante (punti 697, 698 e 708‑710 della decisione impugnata). Non sono state riconosciute circostanze attenuanti a favore delle imprese interessate (punti 733, 734, 749, 750 e 753‑755 della decisione impugnata). In applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, Kone ha beneficiato di un’immunità totale dalle ammende. Otis ha beneficiato, da una parte, di una riduzione del 40% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, primo trattino, della detta comunicazione e, dall’altro, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. ThyssenKrupp ha beneficiato, da un lato, di una riduzione del 20% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, secondo trattino, di tale comunicazione e, dall’altro, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Schindler ha beneficiato di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti (punti 760‑777 della decisione impugnata).

28      Per quanto riguarda l’intesa in Germania, Kone, Otis e ThyssenKrupp sono state classificate nella prima categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 70 000 000. Schindler è stata classificata nella seconda categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 17 000 000 (punti 676‑679 della decisione impugnata). All’importo di partenza dell’ammenda da infliggere a Otis è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,7 e all’importo di partenza dell’ammenda di ThyssenKrupp è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 2, per tenere conto delle loro dimensioni e delle loro risorse globali, portando così gli importi di partenza delle loro ammende rispettivamente ad EUR 119 000 000 ed EUR 140 000 000 (punti 690 e 691 della decisione impugnata). Poiché l’infrazione commessa da Kone, Otis e ThyssenKrupp è durata otto anni e quattro mesi (dal 1° agosto 1995 al 5 dicembre 2003), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per tali imprese dell’80%. Poiché l’infrazione commessa da Schindler è durata cinque anni e quattro mesi (dal 1° agosto 1995 al 6 dicembre 2000), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per tale impresa del 50%. L’importo di base dell’ammenda è stato così portato ad EUR 126 000 000 per Kone, ad EUR 214 200 000 per Otis, ad EUR 25 500 000 per Schindler e ad EUR 252 000 000 per ThyssenKrupp (punti 693 e 696 della decisione impugnata). La Commissione ha ritenuto che ThyssenKrupp dovesse essere considerata recidiva e ha aumentato l’importo della sua ammenda del 50% a titolo di tale circostanza aggravante (punti 697‑707 della decisione impugnata). Non è stata applicata alcuna circostanza attenuante a favore delle imprese interessate (punti 727‑729, 735, 736, 742‑744, 749, 750 e 753‑755 della decisione impugnata). Kone ha beneficiato, da una parte, della riduzione massima del 50% dell’importo dell’ammenda prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e, dall’altra, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Otis ha beneficiato, da una parte, di una riduzione del 25% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, secondo trattino, della detta comunicazione e, dall’altra, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Schindler ha beneficiato, da una parte, di una riduzione del 15% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, terzo trattino, di tale comunicazione e, dall’altra, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. ThyssenKrupp ha beneficiato di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti (punti 778‑813 della decisione impugnata).

29      Per quanto riguarda l’intesa in Lussemburgo, Otis e Schindler sono state classificate nella prima categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 10 000 000. Kone e ThyssenKrupp sono state classificate nella seconda categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 2 500 000 (punti 680-683 della decisione impugnata). All’importo di partenza dell’ammenda da infliggere a Otis è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,7 e all’importo di partenza dell’ammenda di ThyssenKrupp è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 2, per tenere conto delle loro dimensioni e delle loro risorse globali, portando così gli importi di partenza delle loro ammende rispettivamente ad EUR 17 000 000 ed EUR 5 000 000 (punti 690 e 691 della decisione impugnata). Poiché l’infrazione è durata otto anni e tre mesi (dal 7 dicembre 1995 al 9 marzo 2004), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per le imprese interessate dell’80%. L’importo di base dell’ammenda è stato così portato ad EUR 4 500 000 per Kone, ad EUR 30 600 000 per Otis, ad EUR 18 000 000 per Schindler e ad EUR 9 000 000 per ThyssenKrupp (punti 694 e 696 della decisione impugnata). La Commissione ha ritenuto che ThyssenKrupp dovesse essere considerata recidiva e ha aumentato l’importo della sua ammenda del 50% a titolo di tale circostanza aggravante (punti 697, 698 e 711‑714 della decisione impugnata). Non è stata applicata alcuna circostanza attenuante a favore delle imprese interessate (punti 730, 749, 750 e 753‑755 della decisione impugnata). In applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, Kone ha beneficiato dell’immunità totale dalle ammende. Otis ha beneficiato, da una parte, di una riduzione del 40% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, primo trattino, della detta comunicazione e, dall’altro, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Schindler e ThyssenKrupp hanno beneficiato soltanto di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti (punti 814‑835 della decisione impugnata).

30      Per quanto concerne l’intesa nei Paesi Bassi, Kone è stata classificata nella prima categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 55 000 000. Otis è stata classificata nella seconda categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 41 000 000. Schindler è stata classificata nella terza categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 24 500 000. ThyssenKrupp e MEE sono state classificate nella quarta categoria, con un importo di partenza dell’ammenda di EUR 8 500 000 (punti 684 e 685 della decisione impugnata). All’importo di partenza dell’ammenda da infliggere a Otis è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,7 e all’importo di partenza dell’ammenda di ThyssenKrupp è stato applicato un coefficiente moltiplicatore di 2, per tenere conto delle loro dimensioni e delle loro risorse globali, portando così gli importi di partenza delle loro ammende rispettivamente ad EUR 69 700 000 ed EUR 17 000 000 (punti 690 e 691 della decisione impugnata). Poiché l’infrazione commessa da Otis e ThyssenKrupp è durata cinque anni e dieci mesi (dal 15 aprile 1998 al 5 marzo 2004), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per tali imprese del 55%. Poiché l’infrazione commessa da Kone e Schindler è durata quattro anni e nove mesi (dal 1° giugno 1999 al 5 marzo 2004), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per tali imprese del 45%. Poiché l’infrazione commessa da MEE è durata quattro anni e un mese (dall’11 gennaio 2000 al 5 marzo 2004), la Commissione ha aumentato l’importo di partenza dell’ammenda per tale impresa del 40%. L’importo di base dell’ammenda è stato così portato ad EUR 79 750 000 per Kone, ad EUR 108 035 000 per Otis, ad EUR 35 525 000 per Schindler, ad EUR 26 350 000 per ThyssenKrupp e ad EUR 11 900 000 per MEE (punti 695 e 696 della decisione impugnata). La Commissione ha ritenuto che ThyssenKrupp dovesse essere considerata recidiva e ha aumentato l’importo della sua ammenda del 50% a titolo di tale circostanza aggravante (punti 697, 698 e 715‑720 della decisione impugnata). Non è stata applicata alcuna circostanza attenuante a favore delle imprese interessate (punti 724‑726, 731, 732, 737, 739‑741, 745-748 e 751-755 della decisione impugnata). In applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, Otis ha beneficiato dell’immunità totale dalle ammende. ThyssenKrupp ha beneficiato, da una parte, di una riduzione del 40% dell’importo dell’ammenda entro la forcella prevista dal punto 23, lett. b), primo comma, primo trattino, della detta comunicazione e, dall’altra, di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Schindler e MEE hanno beneficiato di una riduzione dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti (punti 836‑855 della decisione impugnata).

31      Il dispositivo della decisione impugnata così recita:

«Articolo 1

1.      Per quanto riguarda il Belgio, le seguenti imprese hanno violato l’articolo 81 [CE], accordandosi regolarmente e collettivamente, nei periodi indicati, nell’ambito di accordi e pratiche concordate a livello nazionale concernenti gli ascensori e le scale mobili, al fine di ripartirsi i mercati ed attribuirsi gli appalti pubblici e privati nonché altri contratti per la vendita e l’installazione di ascensori e scale mobili conformemente alle quote preconcordate, e di non farsi concorrenza per i contratti di manutenzione e di ammodernamento:

–        Kone: [KC] e [Kone Belgio]: dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Belgio]: dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Belgio]: dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE] e [TKLA]: dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004.

2.      Per quanto riguarda la Germania, le seguenti imprese hanno violato l’articolo 81 [CE], accordandosi regolarmente e collettivamente, nei periodi indicati, nell’ambito di accordi e pratiche concordate a livello nazionale concernenti gli ascensori e le scale mobili, al fine di ripartirsi i mercati ed attribuirsi gli appalti pubblici e privati nonché altri contratti per la vendita e l’installazione conformemente alle quote preconcordate:

–        Kone: [KC] e [Kone Germania]: dal 1° agosto 1995 al 5 dicembre 2003;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Germania]: dal 1° agosto 1995 al 5 dicembre 2003;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Germania]: dal 1° agosto 1995 al 6 dicembre 2000; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE], [TKA] e [TKF]: dal 1° agosto 1995 al 5 dicembre 2003.

3.      Per quanto riguarda il Lussemburgo, le seguenti imprese hanno violato l’articolo 81 [CE], accordandosi regolarmente e collettivamente, nei periodi indicati, nell’ambito di accordi e pratiche concordate a livello nazionale concernenti gli ascensori e le scale mobili, al fine di ripartirsi i mercati ed attribuirsi gli appalti pubblici e privati nonché altri contratti per la vendita e l’installazione conformemente alle quote preconcordate, e di non farsi concorrenza per i contratti di manutenzione e di ammodernamento:

–        Kone: [KC] e [Kone Lussemburgo]: dal 7 dicembre 1995 al 29 gennaio 2004;

–        Otis: [UTC], [OEC], [Otis Belgio], [GTO] e [GT]: dal 7 dicembre 1995 al 9 marzo 2004;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Lussemburgo]: dal 7 dicembre 1995 al 9 marzo 2004; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE] e [TKAL]: dal 7 dicembre 1995 al 9 marzo 2004.

4.      Per quanto riguarda i Paesi Bassi, le seguenti imprese hanno violato l’articolo 81 [CE], accordandosi regolarmente e collettivamente, nei periodi indicati, nell’ambito di accordi e pratiche concordate a livello nazionale concernenti gli ascensori e le scale mobili, al fine di ripartirsi i mercati ed attribuirsi gli appalti pubblici e privati nonché altri contratti per la vendita e l’installazione conformemente alle quote preconcordate, e di non farsi concorrenza per i contratti di manutenzione e di ammodernamento:

–        Kone: [KC] e [Kone Paesi Bassi]: dal 1° giugno 1999 al 5 marzo 2004;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Paesi Bassi]: dal 15 aprile 1998 al 5 marzo 2004;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Paesi Bassi]: dal 1° giugno 1999 al 5 marzo 2004;

–        ThyssenKrupp: [TKAG] e [TKL]: dal 15 aprile 1998 al 5 marzo 2004; e

–        [MEE]: dall’11 gennaio 2000 al 5 marzo 2004.

Articolo 2

1.      Per le infrazioni in Belgio di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sono inflitte le seguenti ammende:

–        Kone: [KC] e [Kone Belgio], in solido: 0 EUR;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Belgio], in solido: 47 713 050 EUR;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Belgio], in solido: 69 300 000 EUR; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE] e [TKLA], in solido: 68 607 000 EUR.

2.      Per le infrazioni in Germania di cui all’articolo 1, paragrafo 2, sono inflitte le seguenti ammende:

–        Kone: [KC] e [Kone Germania], in solido: 62 370 000 EUR;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Germania], in solido: 159 043 500 EUR;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Germania], in solido: 21 458 250 EUR; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE], [TKA] e [TKF], in solido: 374 220 000 EUR.

3.      Per le infrazioni in Lussemburgo di cui all’articolo 1, paragrafo 3, sono inflitte le seguenti ammende:

–        Kone: [KC] e [Kone Lussemburgo], in solido: 0 EUR;

–        Otis: [UTC], [OEC], [Otis Belgio], [GTO] e [GT], in solido: 18 176 400 EUR;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Lussemburgo], in solido: 17 820 000 EUR; e

–        ThyssenKrupp: [TKAG], [TKE] e [TKAL], in solido: 13 365 000 EUR.

4.      Per le infrazioni nei Paesi Bassi di cui all’articolo 1, paragrafo 4, sono inflitte le seguenti ammende:

–        Kone: [KC] e [Kone Paesi Bassi], in solido: 79 750 000 EUR;

–        Otis: [UTC], [OEC] e [Otis Paesi Bassi], in solido: 0 EUR;

–        Schindler: Schindler Holding (…) e [Schindler Paesi Bassi], in solido: 35 169 750 EUR;

–        ThyssenKrupp: [TKAG] e [TKL], in solido: 23 477 850 EUR; e

–        [MEE]: 1 841 400 EUR.

(…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

32      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 maggio 2007, Schindler Holding, Schindler Management AG, Schindler Belgio, Schindler Germania, Schindler Lussemburgo e Schindler Paesi Bassi, ricorrenti, hanno proposto il ricorso in esame.

33      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 luglio 2007, il Consiglio dell’Unione ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza 8 ottobre 2007, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha accolto tale istanza di intervento.

34      Il 26 novembre 2007, il Consiglio ha depositato la sua memoria di intervento. Le parti principali hanno presentato le loro osservazioni su detta memoria.

35      Sulla base della relazione del giudice relatore il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’art. 64 del suo regolamento di procedura, ha sottoposto quesiti per iscritto alle ricorrenti ed ha chiesto alla Commissione di presentare un documento. Le parti hanno ottemperato a tali misure nei termini impartiti.

36      Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali loro posti dal Tribunale nel corso dell’udienza del 17 settembre 2009.

37      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, ridurre l’ammontare dell’ammenda inflitta;

–        accertare, in conformità all’art. 113 del regolamento di procedura, il non luogo a provvedere sul ricorso, per quanto riguarda Schindler Management;condannare la Commissione alle spese, comprese quelle risultanti dal non luogo a provvedere, per quanto riguarda il ricorso come proposto da Schindler Management.

38      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

39      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        pronunciarsi equamente sulle spese.

 Sulla domanda di non luogo a provvedere nei confronti di Schindler Management

40      Nella versione anteriore alla presentazione del ricorso, l’art. 4 della decisione impugnata menzionava Schindler Management tra i destinatari della stessa.

41      Con decisione 4 settembre 2007, comunicata al Tribunale il 30 giugno 2009, la Commissione ha rettificato l’art. 4 della decisione impugnata e ha notificato tale rettifica a Schindler Holding e a Schindler Management. L’art. 4 rettificato della decisione impugnata non menziona più Schindler Management.

42      Secondo le ricorrenti, la rettifica della decisione impugnata ha privato il ricorso del suo oggetto nei limiti in cui è stato proposto da Schindler Management.

43      Si deve constatare, in base alle conclusioni delle ricorrenti, che il presente ricorso è divenuto privo di oggetto nella parte relativa a Schindler Management a seguito della rettifica della decisione impugnata.

44      Pertanto, non occorre più statuire sul ricorso nei limiti in cui è stato proposto da Schindler Management.

 Nel merito

1.     Osservazioni preliminari

45      A sostegno del ricorso, nelle loro memorie le ricorrenti hanno sollevato argomenti nell’ambito di tredici motivi, che esse hanno presentato come segue. Il primo motivo verte sulla violazione del principio di legalità delle pene, in ragione del fatto che l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 conferirebbe alla Commissione un potere discrezionale illimitato per il calcolo delle ammende. Il secondo motivo verte sulla violazione del principio di irretroattività nell’applicazione degli orientamenti del 1998 e della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Il terzo motivo verte sulla violazione del principio di legalità delle pene e sulla carenza di competenza della Commissione ad adottare gli orientamenti del 1998. Il quarto motivo verte sull’illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, per violazione dei principi nemo tenetur se ipsum accusare, nemo tenetur se ipsum prodere (in prosieguo, congiuntamente, «il principio nemo tenetur»), in dubio pro reo e di proporzionalità. Il quinto motivo verte sulla violazione del principio della separazione dei poteri e del diritto ad un procedimento fondato sul rispetto dei principi dello Stato di diritto. Il sesto motivo verte sulla natura confiscatoria delle ammende inflitte alle ricorrenti. Il settimo e l’ottavo motivo vertono sulla violazione degli orientamenti del 1998 nella fissazione dell’importo di partenza delle ammende e nella valutazione delle circostanze attenuanti. Il nono motivo verte sulla violazione degli orientamenti del 1998 e della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende per le infrazioni in Belgio, in Germania e in Lussemburgo. Il decimo motivo verte sul carattere sproporzionato dell’importo delle ammende. L’undicesimo motivo verte sulla mancanza di valida notifica della decisione impugnata a Schindler Holding. Il dodicesimo motivo verte sull’inesistenza della responsabilità di Schindler Holding. Infine, il tredicesimo motivo verte sulla violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

46      Anche se il ricorso proposto dalle ricorrenti presenta un duplice oggetto, vale a dire, in via principale, una domanda di annullamento della decisione impugnata e, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo delle ammende, le ricorrenti, nelle loro memorie, hanno dedotto i singoli motivi, senza che fossero precisate le rispettive pretese. In udienza, le ricorrenti hanno sostanzialmente indicato, in risposta ad un quesito del Tribunale, che i primi dieci motivi e il tredicesimo motivo hanno ad oggetto l’annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata, che l’undicesimo motivo ha ad oggetto l’annullamento della decisione impugnata in toto, nella parte in cui riguarda Schindler Holding, e che il dodicesimo motivo ha ad oggetto l’annullamento degli artt. 1, 2 e 3 della decisione impugnata, nella parte in cui riguarda Schindler Holding.

47      A tal proposito, si deve osservare che varie censure delle ricorrenti riguardano la legittimità della decisione impugnata nel suo complesso e verranno quindi esaminate per prime. Ciò vale per la censura delle ricorrenti formulata nell’ambito del loro quinto motivo, vertente, in sostanza, su una violazione dell’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Tra le censure concernenti la legittimità della decisione impugnata nel suo complesso rientrano anche quelle sollevate nell’ambito dell’undicesimo e del dodicesimo motivo, vertenti rispettivamente sull’illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui riguarda Schindler Holding per la mancanza di una valida notifica e sull’illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui vi si afferma la responsabilità in solido di Schindler Holding.

48      Verranno poi esaminate le censure relative alla legittimità dell’art. 2 della decisione impugnata, sollevate nell’ambito degli altri motivi di ricorso. A tal proposito, il Tribunale ritiene opportuno esaminare le censure delle ricorrenti nel modo seguente. Anzitutto, saranno analizzati il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo, nell’ambito dei quali le ricorrenti sollevano varie eccezioni di illegittimità relative all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, agli orientamenti del 1998 e alla comunicazione sulla cooperazione del 2002. Il Tribunale esaminerà poi il sesto motivo, secondo cui la decisione impugnata avrebbe natura confiscatoria. Infine, il Tribunale esaminerà il settimo, l’ottavo, il nono, il decimo e il tredicesimo motivo, nell’ambito dei quali le ricorrenti hanno invocato varie censure relative alla determinazione dell’importo delle loro ammende.

2.     Sulla domanda di annullamento in toto della decisione impugnata

 Sul motivo vertente sulla violazione dell’art. 6, n. 1, della CEDU

49      Le ricorrenti sostengono che, dal momento che le infrazioni alle disposizioni del Trattato CE in materia di diritto della concorrenza rientrano nell’ambito del diritto penale, il procedimento dinanzi alla Commissione deve soddisfare i requisiti di cui all’art. 6, n. 1, della CEDU. Orbene, le autorità amministrative potrebbero infliggere sanzioni penali solo qualora le stesse possano essere sottoposte a sindacato giurisdizionale, ipotesi che non ricorrerebbe nel caso di specie. Infatti, un ricorso di annullamento dinanzi al giudice dell’Unione sarebbe solo un procedimento di cassazione amministrativo, limitato ai motivi concretamente addotti dal ricorrente, che non soddisferebbe i requisiti definiti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), in particolare nella sentenza 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania (serie A n. 73). Inoltre, il procedimento dinanzi alla Commissione non potrebbe essere considerato un procedimento dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale, dato che l’amministrazione della prova da parte della Commissione nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, consistente nel basarsi su descrizioni dei fatti ottenute nel contesto di un’«autoincriminazione», non risponde ai requisiti di un procedimento in uno Stato di diritto, tanto più che le imprese non avrebbero alcuna possibilità di verificare la rilevanza degli addebiti, ad esempio ponendo domande ai testimoni a carico.

50      L’art. 6, n. 1, della CEDU così recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti».

51      Si deve ricordare che la Corte ha riconosciuto il principio generale di diritto dell’Unione in forza del quale ogni persona ha diritto ad un processo equo (v. sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑411/04 P, Salzgitter Mannesmann/Commissione, Racc. pag. I‑959, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Tale principio, peraltro riaffermato dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, p. 1) (in prosieguo: la «Carta»), si ispira ai diritti fondamentali che fanno parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione dei quali la Corte garantisce l’osservanza ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite in particolare dalla Corte EDU (sentenza Salzgitter Mannesmann/Commissione, cit., punto 41).

52      In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui il procedimento dinanzi alla Commissione non soddisferebbe i requisiti di cui all’art. 6, n. 1, della CEDU, va rilevato che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, affinché sia applicabile l’art. 6 della CEDU è sufficiente che l’infrazione di cui trattasi abbia natura penale o abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per natura e grado di gravità, rientri in generale nella materia penale (v. Corte EDU, sentenza 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, Recueil des arrêts et décisions, 2006‑XIII, § 31 e la giurisprudenza ivi citata). A tal proposito, come risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU, adottando un’interpretazione autonoma della nozione di «accusa penale», gli organi della CEDU hanno gettato le basi per una progressiva estensione dell’applicazione della parte penale dell’art. 6 a settori che formalmente non rientrano nelle categorie classiche del diritto penale, quali le sanzioni pecuniarie inflitte per violazione delle norme in materia di concorrenza. Tuttavia, per quanto riguarda le categorie che non fanno parte del nucleo centrale del diritto penale, la Corte EDU ha precisato che le garanzie penalistiche scaturenti dall’art. 6 non devono essere necessariamente applicate in tutto il loro rigore (v., in tal senso, Corte EDU, sentenza Jussila c. Finlandia, cit., § 43 e la giurisprudenza ivi citata).

53      Inoltre, secondo la giurisprudenza del giudice dell’Unione e, come espressamente affermato all’art. 23, n. 5, del regolamento n. 1/2003, le decisioni della Commissione mediante le quali vengono inflitte ammende per violazione del diritto della concorrenza non hanno carattere penale (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 6 ottobre 1994, T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 235; 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, T‑30/95‑T‑32/95, T‑34/95‑T‑39/95, T‑42/95‑T‑46/95, T‑48/95, T‑50/95‑T‑65/95, T‑68/95‑T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 717, e 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 390).

54      Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, si deve rilevare che un procedimento nel quale la Commissione adotta una decisione con cui constata un’infrazione e infligge ammende che può essere successivamente sottoposta al controllo del giudice dell’Unione soddisfa i requisiti di cui all’art. 6, n. 1, della CEDU. È vero che la Commissione non è un tribunale ai sensi dell’art. 6 della CEDU (v., in tal senso, sentenze della Corte 29 ottobre 1980, cause riunite 209/78‑215/78 e 218/78, van Landewyck e a./Commissione, Racc. pag. 3125, punto 81, e 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 7). Tuttavia, la Commissione ha l’obbligo di rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico dell’Unione durante il procedimento amministrativo (sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑11/89, Shell/Commissione, Racc. pag. II‑757, punto 39; Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. al punto 53 supra, punto 718, e HFB e a./Commissione, cit. al punto 53 supra, punto 391).

55      Peraltro, il controllo esercitato dal giudice dell’Unione sulle decisioni della Commissione garantisce che siano soddisfatti i requisiti di un processo equo, quale previsto dall’art. 6, n. 1, della CEDU (v. punto 50 supra).

56      A tal riguardo, secondo la Corte EDU, occorre che l’impresa interessata possa impugnare qualsiasi decisione presa nei suoi confronti dinanzi ad un organo giurisdizionale dotato di una competenza anche di merito, che possa in particolare riformare in qualunque punto, in fatto come in diritto, la decisione adottata (v., per analogia, Corte EDU, sentenza 23 luglio 2002, Janosevic c. Svezia, Recueil des arrêts et décisions, 2002‑VII, § 81 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, allorché verifica la legittimità di una decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE, il Tribunale può essere invitato dai ricorrenti a procedere ad un esame esaustivo sia della ricostruzione materiale dei fatti, sia della loro valutazione giuridica da parte della Commissione. Inoltre, per quanto concerne le ammende, esso dispone di una competenza giurisdizionale estesa anche al merito, in forza dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. al punto 53 supra, punto 719).

57      In secondo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti per cui le imprese interessate non avrebbero avuto la possibilità di verificare la rilevanza delle censure sollevate dalla Commissione, ad esempio interrogando gli eventuali testimoni a carico. Infatti, secondo la giurisprudenza, nessuna disposizione né alcun principio generale del diritto dell’Unione vieta alla Commissione di avvalersi, nei confronti di un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate. Se ciò non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, che incombe alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato CE. Tuttavia, la dichiarazione di un’impresa accusata di avere preso parte ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie imprese sottoposte ad indagine, non può essere considerata una prova sufficiente dei fatti controversi qualora non sia confermata da altri elementi probatori (v. sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 285 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, è giocoforza constatare che, in ogni caso, nella fattispecie le ricorrenti hanno espressamente riconosciuto i fatti risultanti dalla comunicazione degli addebiti.

58      In terzo luogo, riguardo al resto del motivo, per quanto concerne l’amministrazione della prova da parte della Commissione nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, la censura delle ricorrenti si confonde con quella relativa all’illegittimità di detta comunicazione per violazione dei principi nemo tenetur e in dubio pro reo, che deve essere respinta per i motivi esposti ai punti 146‑164 infra.

59      Ne consegue che va respinto il motivo concernente la violazione dell’art. 6, n. 1, della CEDU.

 Sul motivo vertente sull’illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui è indirizzata a Schindler Holding, in ragione della mancanza di valida notifica

60      Le ricorrenti riconoscono che la decisione impugnata è stata comunicata a Schindler Holding, che ha sede in Svizzera. Tuttavia, essa non sarebbe stata notificata conformemente all’art. 254, n. 3, CE. Il comportamento della Commissione violerebbe il diritto penale svizzero e sarebbe in contrasto con il diritto internazionale. Infatti, la notifica in Svizzera presupporrebbe l’esistenza di una convenzione di diritto internazionale con la Svizzera, convenzione che non esisterebbe, di modo che, in mancanza di notifica, la decisione impugnata, nella parte in cui è indirizzata a Schindler Holding, non sarebbe valida e pertanto sarebbe giuridicamente inesistente.

61      A tal proposito, si deve ricordare che la Corte ha già dichiarato che le irregolarità nel procedimento di notifica di una decisione sono estranee all’atto e non possono quindi inficiarne la legittimità (sentenza della Corte 14 luglio 1972, causa 48/69, Imperial Chemical Industries/Commissione, Racc. pag. 619, punto 39). Irregolarità del genere possono solo ostacolare, in talune circostanze, la decorrenza del termine d’impugnazione di cui all’art. 230, quinto comma, CE. Nella fattispecie Schindler Holding ha incontestabilmente preso conoscenza del contenuto della decisione impugnata e si è avvalsa del proprio diritto di ricorso entro il termine di cui all’art. 230, quinto comma, CE.

62      Si deve quindi respingere il presente motivo.

 Sul motivo vertente sull’illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui vi si afferma la responsabilità in solido di Schindler Holding

63      Con questo motivo le ricorrenti mettono in discussione la responsabilità in solido di Schindler Holding, la società capogruppo del gruppo Schindler, per le condotte anticoncorrenziali delle sue controllate in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi.

64      Per quel che riguarda la responsabilità in solido di una società controllante per il comportamento della sua controllata, occorre rammentare che la circostanza che la società controllata abbia personalità giuridica distinta non basta ad escludere la possibilità di imputare alla società controllante il suo comportamento (sentenza Imperial Chemical Industries/Commissione, cit. al punto 61 supra, punto 132).

65      Infatti, il diritto dell’Unione in materia di concorrenza riguarda le attività delle imprese e la nozione di impresa abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza della Corte 10 settembre 2009, causa C-97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. I-8237, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).

66      Il giudice dell’Unione ha inoltre precisato che la nozione di impresa, nell’ambito di tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce ad un’unità economica anche qualora, sotto il profilo giuridico, questa unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche (v. sentenze della Corte 12 luglio 1984, causa 170/83, Hydrotherm Gerätebau, Racc. pag. 2999, punto 11, e Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale 29 giugno 2000, causa T‑234/95, DSG/Commissione, Racc. pag. II-2603, punto 124). Esso ha infatti sottolineato che, ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza, la formale separazione tra due società, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, non è decisiva, mentre è decisiva l’unità o meno del loro comportamento sul mercato. Può quindi risultare necessario accertare se due società aventi personalità giuridiche distinte formino, ovvero appartengano ad una sola ed unica impresa o soggetto economico che attui un comportamento unitario sul mercato (sentenza Imperial Chemical Industries/Commissione, cit. al punto 61 supra, punto 140, e sentenza del Tribunale 15 settembre 2005, causa T‑325/01, DaimlerChrysler/Commissione, Racc. pag. II‑3319, punto 85).

67      Qualora tale soggetto economico violi le norme in materia di concorrenza, è tenuto, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere di tale infrazione (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).

68      L’infrazione al diritto dell’Unione in materia di concorrenza deve essere imputata in maniera inequivocabile alla persona giuridica alla quale potranno essere inflitte ammende e la comunicazione degli addebiti dev’essere inviata a quest’ultima. È parimenti necessario che la comunicazione degli addebiti indichi in che qualità a una persona giuridica vengano addebitati i fatti invocati (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

69      Secondo costante giurisprudenza, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra i due soggetti giuridici (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata).

70      Infatti, in una simile situazione la società madre e la sua affiliata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa, ai sensi della giurisprudenza menzionata ai precedenti punti 65 e 66. Così, il fatto che una società controllante e la propria controllata costituiscano una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende alla società controllante, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione (sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 59).

71      Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata, la quale abbia infranto le norme dell’Unione in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

72      In simili circostanze, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’intero capitale di una controllata è detenuto dalla sua società controllante per presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di confutare la suddetta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 61 e la giurisprudenza ivi citata).

73      Inoltre, se è pur vero che, ai punti 28 e 29 della sentenza 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. I‑9925), la Corte ha menzionato altre circostanze diverse dalla detenzione del 100% del capitale della controllata, quali la mancata contestazione dell’influenza esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della propria controllata e la rappresentanza comune delle due società durante il procedimento amministrativo, ciò non toglie che tali circostanze siano state rilevate solo con l’obiettivo di mostrare tutti gli elementi su cui il Tribunale aveva fondato il suo ragionamento e non per subordinare l’applicazione della presunzione menzionata supra al punto 71 alla produzione di indizi supplementari relativi all’effettivo esercizio di un’influenza della società controllante (sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 62).

74      Alla luce dei principi sopra ricordati, occorre esaminare il presente motivo.

75      Al punto 627 della decisione impugnata la Commissione ha affermato che Schindler Holding doveva essere considerata responsabile in solido del comportamento illecito delle sue controllate Schindler Belgio, Schindler Germania, Schindler Lussemburgo e Schindler Paesi Bassi, dato che, «in quanto unica proprietaria e società al vertice del gruppo, [essa] aveva potuto esercitare un’influenza decisiva sulla politica commerciale di ciascuna delle controllate per la durata dell’infrazione e si poteva presumere che si fosse avvalsa di tale potere».

76      Ai punti 628 e 629 della decisione impugnata, la Commissione ha osservato che l’argomento di Schindler Holding secondo cui dette controllate esercitano la loro attività sul mercato come entità giuridiche autonome che determinano da sé gli elementi essenziali della loro politica commerciale, così come l’argomento secondo cui essa non aveva alcuna influenza sulle attività correnti di tali controllate, «non [erano] sufficient[i] per confutare la presunzione secondo cui le controllate di Schindler Holding non determinavano in piena autonomia la loro condotta sul mercato».

77      La Commissione ha inoltre rilevato, al punto 630 della decisione impugnata, che, «durante il procedimento amministrativo, [Schindler Holding] avrebbe potuto fornire prove atte a dimostrare che essa non aveva esercitato un’influenza decisiva sulle proprie controllate (…)». Secondo la Commissione, «tuttavia, [Schindler Holding] e le sue controllate [non le] hanno fornito (…) elementi di prova che chiarissero i loro rapporti societari, la struttura gerarchica e gli obblighi di relazione al fine di smentire [la] presunzione [secondo cui] (…) [Schindler Holding], in quanto proprietaria unica delle sue controllate, destinatarie [della] decisione [impugnata], ha esercitato i suoi diritti di controllo e ha utilizzato tutti gli altri strumenti di cui disponeva per esercitare la propria influenza decisiva».

78      Al punto 631 della decisione impugnata la Commissione ha considerato che «la mera esistenza di un programma di adeguamento alle regole di concorrenza in seno a Schindler non consent[iva] di stabilire se [Schindler Holding] [avesse] o meno impartito istruzioni relativamente all’infrazione». Pertanto, secondo la Commissione, «[r]esta valida la presunzione secondo cui la controllata al 100% di [Schindler Holding] non determinava autonomamente la propria politica commerciale sul mercato».

79      Alla luce di quanto precede, al punto 632 della decisione impugnata la Commissione ha concluso che «[Schindler Holding] e le sue controllate al 100% non [avevano] confutato la presunzione di responsabilità per le infrazioni commesse in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi [e che,] [p]ertanto, [Schindler Holding] [doveva] essere considerata responsabile in solido con le sue controllate interessate delle infrazioni all’articolo 81 CE che formano oggetto [della] decisione [impugnata]».

80      Anzitutto, è pacifico che, durante il periodo dell’infrazione, Schindler Holding deteneva direttamente il 100% del capitale di Schindler Belgio, Schindler Germania e Schindler Paesi Bassi e, indirettamente, tramite Schindler Belgio, il 100% del capitale di Schindler Lussemburgo. Sussisteva quindi una presunzione secondo la quale Schindler Holding esercitava un’influenza determinante sul comportamento delle sue controllate (v. punto 72 supra).

81      Schindler non può sostenere che la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che le attività operative di dette controllate, compreso il loro comportamento contrario all’art. 81 CE, sono state realmente influenzate da Schindler Holding e che quest’ultima ha causato o sostenuto l’infrazione.

82      Infatti, ai fini dell’imputazione del comportamento illecito di una controllata alla sua società controllante non occorre la prova che la società controllante influenzi la politica della propria controllata nel settore specifico oggetto dell’infrazione. Per contro, i vincoli organizzativi, economici e giuridici esistenti tra la società controllante e la sua controllata possono provare l’esistenza di un’influenza della prima sulla strategia della seconda e, pertanto, giustificare il fatto di considerarle come un’unica entità economica (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T‑112/05, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. II‑5049, punto 83). Pertanto, se la Commissione dimostra che tutto il capitale di una controllata è detenuto dalla sua controllante, può considerare la società controllante come responsabile in solido per il pagamento dell’ammenda inflitta alla sua controllata, salvo quando la società controllante dimostri che la sua controllata agisce autonomamente sul mercato (v. punto 72 supra). Occorre anche sottolineare che non è una relazione di istigazione a commettere l’illecito tra la controllante e la sua controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in tale illecito, ma il fatto che esse costituiscono un’unica impresa ai sensi dell’art. 81 CE che permette alla Commissione di adottare la decisione che impone ammende nei confronti della società controllante di un gruppo di società (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione, cit., punto 58).

83      Le ricorrenti non possono nemmeno basarsi su un’asserita violazione del principio di colpevolezza (Schuldprinzip) o sull’esclusione del principio della responsabilità dell’azionista di una società a responsabilità limitata o di una società per azioni per i debiti della società e gli atti dei suoi organi direttivi. Al riguardo è sufficiente constatare che tale argomento si fonda sulla premessa erronea secondo la quale non sarebbe stata accertata alcuna infrazione a carico della società controllante, ipotesi che non ricorre nel caso di specie, posto che dal punto 632 e dagli artt. 1 e 2 della decisione impugnata risulta che Schindler Holding è stata personalmente condannata per infrazioni che si reputa abbia commesso essa stessa in ragione degli stretti vincoli economici e giuridici che la uniscono alle sue controllate (v., in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑294/98 P, Metsä-Serla e a./Commissione, Racc. pag. I‑10065, punti 28 e 34, e sentenza del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑69/04, Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, Racc. pag. II‑2567, punto 74).

84      Occorre poi analizzare gli argomenti addotti dalle ricorrenti, che mirano a confutare la presunzione citata al precedente punto 71, secondo i quali le controllate di Schindler Holding avrebbero stabilito la propria politica commerciale in modo autonomo.

85      In primo luogo, il fatto addotto dalle ricorrenti per cui Schindler Holding non ha fornito alle proprie controllate istruzioni che, nel caso di specie, avrebbero consentito o favorito contatti contrari all’art. 81 CE e non ha avuto conoscenza di simili contatti, ammesso che sia accertato, non costituisce un elemento idoneo a dimostrare l’autonomia di queste ultime. Come rammentato supra al punto 82, ai fini dell’imputazione del comportamento illecito di una controllata alla sua società controllante non occorre infatti che la società controllante influenzi la politica della propria controllata nel settore specifico dell’oggetto dell’infrazione.

86      In secondo luogo, dev’essere respinto anche l’argomento secondo cui le controllate di Schindler Holding operavano sempre in modo autonomo nei loro rispettivi paesi, senza subire l’influenza di Schindler Holding sulle loro attività correnti, sulle «acquisizioni di appalti», sulla conclusione di contratti o sulla loro politica di prezzo, in quanto Schindler Holding veniva informata solo degli appalti che potevano provocare perdite. Infatti, da un lato, le ricorrenti interessate non hanno presentato elementi di prova a sostegno di tali affermazioni e, dall’altro, in ogni caso, dette affermazioni, anche ammesso che siano dimostrate, non sarebbero sufficienti per confutare la presunzione esposta al punto 71 supra, poiché dalla giurisprudenza risulta che nella nozione di politica commerciale di una controllata ai fini dell’applicazione dell’art. 81 CE nei confronti della società controllante rientrano anche elementi diversi da quelli menzionati dalle ricorrenti. A tale titolo, è necessario menzionare che, nell’ambito dell’analisi dell’esistenza di un’entità economica unica tra diverse società che fanno parte di un gruppo, il giudice dell’Unione ha esaminato in particolare se la società controllante potesse esercitare un’influenza per quanto riguarda la politica dei prezzi, le attività di produzione e di distribuzione, gli obiettivi di vendita, i margini lordi, le spese di vendita, la liquidità, le scorte e il marketing. Tuttavia, non può dedursene che solo tali aspetti rientrino nella nozione della politica commerciale di una controllata ai fini dell’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE nei confronti della società controllante (v. sentenza 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 82 supra, punto 64 e la giurisprudenza ivi citata).

87      In terzo luogo, non è atto a confutare tale presunzione di responsabilità nemmeno il fatto che le controllate di Schindler Holding abbiano partecipato nei quattro paesi interessati dall’infrazione ad infrazioni distinte, di natura diversa, il che deporrebbe contro l’esistenza di un’effettiva influenza di detta impresa sulle attività operative delle sue controllate. Infatti, dai punti 627‑632 della decisione impugnata risulta che la Commissione non si è basata su un eventuale parallelismo tra le infrazioni accertate nei quattro paesi interessati per imputare a Schindler Holding la responsabilità del comportamento delle sue controllate. Inoltre, l’affermazione delle ricorrenti secondo cui le infrazioni sarebbero di natura diversa è errata, dato che le controllate di Schindler Holding hanno partecipato, nei quattro paesi interessati, per periodi in ampia misura coincidenti (dal 9 maggio 1996 al 29 gennaio 2004 in Belgio, dal 1° agosto 1995 al 6 dicembre 2000 in Germania, dal 7 dicembre 1995 al 9 marzo 2004 in Lussemburgo e dal 1° giugno 1999 al 5 marzo 2004 nei Paesi Bassi), ad infrazioni aventi un analogo oggetto, consistente in «un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili (tranne in Germania, in cui l’attività di manutenzione e di ammodernamento non è stata oggetto di discussioni tra i membri dell’intesa)» (punto 658 della decisione impugnata).

88      In quarto luogo, il fatto che Schindler Holding possa aver fatto tutto il possibile per impedire i comportamenti delle sue controllate contrari all’art. 81 CE, in particolare adottando un codice di condotta diretto ad impedire le violazioni da parte loro del diritto della concorrenza e degli orientamenti ad esso relativi, da un lato, non muta in nulla la realtà dell’infrazione rilevata nei suoi confronti (v., per analogia, sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, C‑205/02 P‑C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 373) e, dall’altro, non consente di dimostrare che dette controllate determinassero autonomamente la loro politica commerciale. Al contrario, l’applicazione in seno alle controllate di Schindler Holding del menzionato codice di condotta sembra indicare semmai che la società controllante esercitava un controllo effettivo sulla politica commerciale delle sue controllate, tanto più che le stesse ricorrenti hanno affermato che il rispetto del codice di condotta veniva controllato mediante verifiche periodiche ed altre misure adottate da un dipendente di Schindler Holding incaricato dell’applicazione di detto codice (compliance officer).

89      In quinto luogo, per quanto concerne i rapporti all’interno del gruppo, la struttura gestionale e le linee direttive sulle relazioni che dovevano essere trasmesse in seno a Schindler Holding, al punto 630 della decisione impugnata la Commissione ha affermato che Schindler Holding e le sue controllate non le hanno fornito elementi di informazione che chiarissero i loro rapporti societari. È vero che dagli atti emerge che durante il procedimento amministrativo le ricorrenti hanno effettivamente fornito alla Commissione alcune informazioni sui rapporti all’interno del gruppo, la struttura gestionale e le linee direttrici concernenti le relazioni che dovevano essere trasmesse (reporting lines).

90      Tuttavia, tali informazioni non consentono di concludere che le controllate di Schindler fossero autonome. Infatti, le informazioni fornite, che peraltro non sono accompagnate da elementi di prova, presentano varie lacune, poiché riguardano essenzialmente le responsabilità e gli obblighi di relazione (reporting obligations) di taluni dipendenti di Schindler Lussemburgo e di Schindler Belgio nonché di un dipendente di Schindler Germania e non forniscono maggiori chiarimenti in merito ai rapporti societari tra Schindler Holding e le sue controllate attive nei paesi interessati o all’influenza esercitata su queste ultime da Schindler Holding.

91      Tenuto conto della presunzione di responsabilità esposta al punto 72 supra e del fatto che, come risulta dai punti 84‑90 supra, tale presunzione non è stata confutata dalle ricorrenti, la Commissione ha giustamente imputato a Schindler Holding le infrazioni commesse dalle sue controllate.

92      Occorre pertanto respingere il presente motivo.

3.     Sulla domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata

 Sull’eccezione di illegittimità relativa all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, vertente sulla violazione del principio di legalità delle pene

93      Le ricorrenti sostengono che l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 conferisce alla Commissione un potere discrezionale quasi illimitato per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende, il che sarebbe in contrasto con il principio di legalità delle pene, definito all’art. 7, n. 1, della CEDU, principio che deriverebbe anche dai principi generali di diritto alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

94      Si deve ricordare il testo dell’art. 7, n. 1, della CEDU:

«Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

95      Dalla giurisprudenza risulta che il principio di legalità delle pene è un corollario del principio della certezza del diritto, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione ed esige, segnatamente, che la normativa dell’Unione, in particolare quando impone o consente di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano essere inequivocabilmente consapevoli dei diritti e degli obblighi che ne derivano e possano agire in modo adeguato (v. sentenze del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punto 66, e 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata).

96      Il principio della legalità delle pene, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione e che fonda le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato anche riconosciuto da molteplici trattati internazionali e, in particolare, dall’art. 7 della CEDU. Detto principio postula che la legge definisca chiaramente gli illeciti e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, sulla base del testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale. Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la chiarezza della legge si valuta con riguardo non solo al tenore della disposizione rilevante, ma anche alle precisazioni apportate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v. sentenza della Corte 22 maggio 2008, causa C‑266/06 P, Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, non pubblicata nella Raccolta, punti 38‑40 e la giurisprudenza ivi citata).

97      Detto principio si impone sia alle disposizioni penali che agli strumenti amministrativi specifici che impongono o consentono di imporre sanzioni amministrative (v., in tal senso, sentenza della Corte 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena e a., Racc. pag. 4587, punto 15 e la giurisprudenza ivi citata). Esso si applica non soltanto alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma altresì a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da una violazione delle prime (v. sentenze Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 67, e Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

98      Risulta, peraltro, da una giurisprudenza costante che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali il giudice dell’Unione garantisce l’osservanza (parere della Corte 28 marzo 1996, 2/94, Racc. pag. I‑1759, punto 33, e sentenza della Corte 29 maggio 1997, causa C‑299/95, Kremzow, Racc. pag. I‑2629, punto 14). A tal fine la Corte e il Tribunale s’ispirano alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un significato particolare (sentenze della Corte 22 ottobre 2002, causa C‑94/00, Roquettes Frères, Racc. pag. I‑9011, punto 23, e Kremzow, cit., punto 14). Peraltro, ai sensi dell’art. 6, n. 2, TUE, «[l]’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [CEDU] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto [dell’Unione]».

99      Come ha già ricordato il Tribunale (sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 71), l’art. 7, n. 1, della CEDU non esige una precisione dei termini delle disposizioni a norma delle quali queste sanzioni vengono inflitte tale da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze potenzialmente risultanti da un’infrazione alle disposizioni stesse. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il fatto che una legge conferisca un potere discrezionale non è di per sé incompatibile con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio (v. Corte EDU, sentenza 25 febbraio 1992, Margareta e Roger Andersson c. Svezia, serie A n. 226, § 75). Al riguardo, oltre al testo normativo stesso, la Corte EDU tiene conto del fatto se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v. Corte EDU, sentenza 27 settembre 1995, G. c. Francia, serie A, n. 325‑B, § 25).

100    La presa in considerazione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri non induce a fornire al principio generale del diritto dell’Unione costituito dal principio di legalità una interpretazione diversa da quella risultante dai suddetti rilievi (sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 73). L’argomento delle ricorrenti secondo cui, a livello nazionale, nessuna autorità disporrebbe di poteri tali da consentire a quest’ultima di infliggere ammende in modo «quasi illimitato» deve quindi essere respinto.

101    Nella fattispecie, per quanto riguarda la legittimità dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 rispetto al principio di legalità delle pene, si deve rilevare anzitutto che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, il legislatore dell’Unione non ha attribuito alla Commissione un potere discrezionale eccessivo o arbitrario per la determinazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza (sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 74).

102    Infatti, in primo luogo, occorre evidenziare che, se è vero che l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 lascia alla Commissione un ampio potere discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio, stabilendo criteri oggettivi ai quali essa deve attenersi. A tal proposito, da un lato, deve ricordarsi che l’importo dell’ammenda applicabile è soggetta ad un limite massimo calcolabile e assoluto, calcolato in rapporto a ciascuna impresa e per ciascuna ipotesi di infrazione, di talché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a un’impresa è determinabile anticipatamente. Dall’altro, questa disposizione impone alla Commissione di stabilire le ammende in ciascuna fattispecie prendendo in considerazione, oltre alla gravità dell’infrazione, la durata della stessa (sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 50, e sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 75).

103    Le ricorrenti non possono sostenere che la sentenza Degussa/Commissione, citata al punto 95 supra (punti 66‑88), o la sentenza Jungbunzlauer/Commissione, citata al punto 95 supra (punti 69‑92), nella quale l’interpretazione del principio di legalità delle pene adottata corrisponde a quella accolta nella sentenza Degussa/Commissione (cit. al punto 95 supra), si basano su una «concezione giuridica erronea». Infatti, nella sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, citata al punto 96 supra (punti 36‑63), la Corte ha confermato l’interpretazione data dal Tribunale al principio di legalità delle pene nella sentenza Degussa/Commissione, citata al punto 95 supra.

104    È vero che le sentenze menzionate al punto precedente riguardano l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, mentre le ammende inflitte dalla decisione impugnata sono basate sull’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Tuttavia, poiché i criteri e il tetto massimo per l’imposizione delle ammende sono identici in queste due disposizioni, la giurisprudenza citata al punto precedente è trasponibile all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

105    In secondo luogo, nell’esercizio del suo potere discrezionale per quanto riguarda le ammende inflitte in forza dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione deve rispettare i principi generali del diritto, e particolarmente i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale (sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 51, e sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 77).

106    In terzo luogo, per garantire la prevedibilità e la trasparenza della sua azione, l’esercizio da parte della Commissione del suo potere discrezionale è limitato altresì dalle regole di condotta che essa si è imposta con la comunicazione sulla cooperazione del 2002 e con gli orientamenti del 1998. Al riguardo occorre rilevare che tale comunicazione e tali orientamenti, da un lato, enunciano regole di condotta dalle quali la Commissione non può discostarsi, pena una sanzione a titolo di violazione dei principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento, e, dall’altro, garantiscono la certezza del diritto nei confronti delle imprese interessate stabilendo la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte in forza dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenze della Corte Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punti 52 e 53, e 19 marzo 2009, causa C‑510/06 P, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. I‑1843, punto 60; sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punti 78 e 82). Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, l’adozione da parte della Commissione degli orientamenti del 1998 e successivamente, nel 2006, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU C 210, pag. 2), dal momento che rientra nel contesto normativo stabilito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, ha soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione già risultante da tali disposizioni, senza che se ne possa dedurre l’insufficiente determinazione iniziale, da parte del legislatore dell’Unione, dei limiti della competenza della Commissione nel settore in parola (v., in tal senso, sentenza Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 44).

107    In quarto luogo, occorre aggiungere che, ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, la Corte e il Tribunale hanno competenza giurisdizionale estesa anche al merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa un’ammenda e possono, quindi, non solo annullare queste ultime, ma anche eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Conseguentemente, la prassi amministrativa nota e accessibile della Commissione è sottoposta al sindacato anche nel merito del giudice dell’Unione. Tale controllo ha permesso, secondo giurisprudenza costante e pubblicata, di precisare le nozioni indeterminate che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e successivamente l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 potevano contenere (v., in tal senso, sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 54, e sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 79).

108    Alla luce dei diversi elementi sopra rilevati, quindi, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può prevedere con sufficiente precisione il metodo di calcolo e l’ordine di grandezza delle ammende nelle quali può incorrere per un dato comportamento. La circostanza che detto operatore non possa conoscere in anticipo l’importo delle ammende che la Commissione infliggerà in ciascuna fattispecie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene (sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 55, e sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 83).

109    Pertanto, le ricorrenti non possono sostenere che il dettato dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non garantisca il grado di prevedibilità richiesto dai principi fondamentali del diritto penale e dello Stato di diritto. Infatti, detta disposizione consente di prevedere in modo sufficientemente preciso il metodo di calcolo e il livello delle ammende inflitte (v., in tal senso, sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 58).

110    Inoltre, contrariamente a quanto asserito dalle ricorrenti, la prassi decisionale della Commissione in tema di ammende non si è evoluta in maniera imprevedibile o aleatoria.

111    In primo luogo, nel periodo per il quale sono state constatate nella decisione impugnata le quattro infrazioni, ha avuto luogo solo una riorganizzazione del metodo di determinazione delle ammende, attraverso la pubblicazione degli orientamenti del 1998, che è stata dichiarata dalla Corte ragionevolmente prevedibile (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 231).

112    In secondo luogo, per quanto riguarda l’aumento del livello delle ammende a seguito dell’adozione degli orientamenti del 1998, secondo costante giurisprudenza la Commissione può adattare in ogni momento il livello delle ammende qualora l’efficace applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione lo richieda (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 54 supra, punto 109, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 237) e una siffatta modificazione di una prassi amministrativa può essere considerata oggettivamente giustificata dall’obiettivo di prevenzione generale delle infrazioni alle regole di concorrenza dell’Unione. Il recente aumento dell’entità delle ammende sottolineato e contestato dalle ricorrenti non può pertanto, di per sé, essere considerato illegittimo rispetto al principio di legalità delle pene, poiché esso rimane all’interno del contesto normativo definito nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e nell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, quali interpretati dai giudici dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 81, e Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 43).

113    In terzo luogo, deve essere considerato infondato l’argomento secondo il quale, nell’adottare l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, il Consiglio sarebbe venuto meno al proprio obbligo di indicare chiaramente i limiti della competenza attribuita alla Commissione e, di fatto, avrebbe trasferito a quest’ultima una competenza ad esso appartenente in forza del Trattato CE, in violazione dell’art. 83 CE.

114    Da un lato, come già precedentemente esposto, anche se l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 lasciano alla Commissione un ampio potere discrezionale, essi ne limitano tuttavia l’esercizio, stabilendo criteri oggettivi ai quali la Commissione deve attenersi. Dall’altro, si deve ricordare che il regolamento n. 17 ed il regolamento n. 1/2003 sono stati adottati in base all’art. 83, n. 1, CE, il quale prevede che «[i] regolamenti e le direttive utili ai fini dell’applicazione dei principi contemplati dagli articoli 81 [CE] e 82 [CE] sono stabiliti dal Consiglio (…) su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo». Tali regolamenti o direttive hanno in particolare lo scopo, ai sensi dell’art. 83, n. 2, lett. a) e d), CE, di «garantire l’osservanza dei divieti di cui all’articolo 81, paragrafo 1, [CE] e all’articolo 82 [CE], comminando ammende e penalità di mora» e di «definire i rispettivi compiti della Commissione e della Corte di giustizia nell’applicazione delle disposizioni contemplate dal presente paragrafo». Occorre ricordare, peraltro, che, in forza dell’art. 211, primo trattino, CE, la Commissione «vigila sull’applicazione delle disposizioni del presente trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del trattato stesso» e dispone, in forza del terzo trattino dello stesso articolo, di un «proprio potere di decisione» (sentenze Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 86, e Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 48).

115    Ne consegue che il potere di infliggere ammende in caso di violazione degli artt. 81 CE e 82 CE non può essere considerato come appartenente originariamente al Consiglio, il quale l’avrebbe trasferito o ne avrebbe delegato l’esecuzione alla Commissione, ai sensi dell’art. 202, terzo trattino, CE. In conformità alle disposizioni del Trattato CE precedentemente citate, tale potere è infatti connaturato al ruolo, proprio della Commissione, di vigilare sull’applicazione del diritto dell’Unione, ruolo che è stato precisato, delimitato e formalizzato, relativamente all’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, dai regolamenti n. 17 e n. 1/2003. Il potere di infliggere sanzioni, che tali regolamenti attribuiscono alla Commissione, proviene quindi dalle previsioni del Trattato CE stesso ed è diretto a consentire l’applicazione effettiva dei divieti previsti nei detti articoli (v., in tal senso, sentenze Degussa/Commissione, cit. supra al punto 95, punto 87, e Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. supra al punto 83, punto 49).

116    Da queste considerazioni discende che l’eccezione di illegittimità sollevata nei confronti dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, vertente sulla violazione del principio di legalità delle pene, deve essere respinta.

 Sull’eccezione di illegittimità degli orientamenti del 1998, vertente sulla violazione del principio di irretroattività

117    Le ricorrenti ricordano che un atto dell’Unione non è applicabile prima della sua pubblicazione e che l’art. 49, n. 1, seconda frase, della Carta prevede che non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Nella fattispecie, gli orientamenti del 1998 violerebbero il principio di irretroattività, poiché supererebbero i limiti della prevedibilità. Le ricorrenti sottolineano al riguardo che l’inasprimento della politica decisionale in materia di ammende è opera della Commissione, e non del legislatore.

118    Dalla giurisprudenza risulta che il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della CEDU, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione il cui rispetto si impone ove vengano inflitte ammende per violazione delle norme sulla concorrenza e che tale principio richiede che le sanzioni irrogate corrispondano a quelle che erano state fissate all’epoca in cui la violazione è stata commessa (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 202; sentenze del Tribunale LR AF 1998/Commissione, cit. al punto 112 supra, punti 218‑221, e 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punti 39‑41).

119    Inoltre, è stato già dichiarato che l’adozione di orientamenti atti a modificare la politica generale della Commissione in materia di concorrenza per quanto riguarda le ammende può rientrare, in linea di principio, nell’ambito di applicazione del principio di irretroattività (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 222).

120    Infatti, da un lato, gli orientamenti del 1998 possono produrre effetti giuridici. Tali effetti giuridici derivano non già da una forza normativa propria degli orientamenti del 1998, bensì dalla loro adozione e pubblicazione da parte della Commissione. Tale adozione e tale pubblicazione degli orientamenti del 1998 implica un’autolimitazione del potere discrezionale di valutazione della Commissione, che non può discostarsi da essi, pena, se del caso, la sanzione a titolo di violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento, la tutela del legittimo affidamento e la certezza del diritto (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punti 209‑212).

121    Dall’altro, secondo la giurisprudenza della Corte EDU relativa all’art. 7, n. 1, della CEDU, tale disposizione osta all’applicazione retroattiva, a scapito dell’accusato, di una nuova interpretazione di una norma che prevede un’infrazione (v., in tal senso, Corte EDU, sentenze 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, serie A n. 335‑B, §§ 34‑36; 22 novembre 1995, C.R. c. Regno Unito, serie A n. 335‑C, §§ 32‑34; 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, Recueil des arrêts et décisions, 1996‑V, §§ 29‑32, e 22 giugno 2000, Coëme e a. c. Belgio, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑VII, § 145). Secondo tale giurisprudenza, ciò vale in particolare nel caso di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non fosse ragionevolmente prevedibile nel momento in cui è stata commessa l’infrazione, tenuto conto, in particolare, dell’interpretazione data dalla giurisprudenza nel momento considerato alla disposizione di legge di cui trattasi. Si deve tuttavia precisare che da questa stessa giurisprudenza risulta che la portata della nozione di prevedibilità dipende in ampia misura dal contenuto del testo in esame, dal settore nel quale esso si colloca nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. Pertanto, la prevedibilità della legge non impedisce che l’interessato sia portato a ricorrere a consulenti esperti in materia al fine di valutare, in misura ragionevole, in base alle circostanze del caso, le possibili conseguenze risultanti da un atto determinato. Più nello specifico, secondo la sentenza Cantoni c. Francia (cit., § 35), ciò vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dar prova di grande prudenza nello svolgimento del loro lavoro. Ci si può quindi attendere dai medesimi una cura particolare nel valutare i rischi che esso comporta.

122    Alla luce di quanto precede, e al fine di verificare il rispetto del principio di irretroattività, occorre esaminare se la modifica in questione, costituita dall’adozione degli orientamenti del 1998, fosse ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni interessate sono state commesse (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 224).

123    A tal proposito, si deve anzitutto constatare che l’asserito aumento dell’entità delle ammende conseguente all’applicazione degli orientamenti del 1998 rimane nel contesto normativo definito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, dato che gli orientamenti prevedono espressamente, al punto 5, lett. a), che le ammende irrogate non possono in alcun caso superare il limite del 10% del fatturato previsto da dette disposizioni.

124    Si deve poi constatare che la principale innovazione degli orientamenti del 1998 consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base determinato a partire da forcelle a tale riguardo previste nei detti orientamenti, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Questo metodo essenzialmente si fonda quindi su di una tariffazione, per quanto relativa e flessibile, delle ammende (sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 225, e Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 61).

125    Deve infine ricordarsi che il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dai regolamenti n. 17 e n. 1/2003, se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione, ma che, al contrario, l’efficace applicazione delle norme della concorrenza dell’Unione implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (v., in tal senso, sentenza della Corte Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 54 supra, punto 109; 2 ottobre 2003, causa C‑196/99 P, Aristrain/Commissione, Racc. pag. I‑11005, punto 81, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 227; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 309, e 14 maggio 1998, causa T‑304/94, Europa Carton/Commissione, Racc. pag. II‑869, punto 89).

126    Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né nel metodo di calcolo di queste ultime (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 228).

127    Di conseguenza, tali imprese devono tenere conto della possibilità che, in qualsiasi momento, la Commissione decida di aumentare il livello delle ammende rispetto a quello praticato nel passato. Questo vale non soltanto allorché la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende pronunciando ammende in decisioni individuali, ma anche quando tale innalzamento viene operato applicando a casi specifici regole di condotta aventi portata generale, come gli orientamenti del 1998 (sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punti 229 e 230, e Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 59).

128    Le ricorrenti ritengono dunque erroneamente che gli orientamenti del 1998 contravvengano al principio di irretroattività in quanto avrebbero condotto all’imposizione di ammende più elevate rispetto a quelle irrogate in passato, o che nella fattispecie siano stati superati i limiti della prevedibilità. Gli orientamenti e, in particolare, il nuovo metodo di calcolo delle ammende da essi previsto, supposto che esso abbia un effetto aggravante sul livello delle ammende inflitte, difatti, erano ragionevolmente prevedibili per imprese quali le ricorrenti nel momento in cui le infrazioni di cui trattasi sono state commesse (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 231). Per gli stessi motivi, la Commissione non era nemmeno tenuta a spiegare negli orientamenti del 1998 che l’aumento del livello delle ammende era necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza.

129    Per quanto concerne l’argomento secondo cui l’inasprimento della politica decisionale in materia di ammende sarebbe opera della Commissione e non del legislatore, tale argomento si confonde con quello invocato nell’ambito dell’eccezione di illegittimità basata sulla carenza di competenza della Commissione e sarà esaminato ai punti 131‑137 infra.

130    Da tutto quel che precede risulta che anche la presente eccezione di illegittimità deve essere respinta.

 Sull’eccezione di illegittimità degli orientamenti del 1998, vertente sulla carenza di competenza della Commissione e, in subordine, sulla mancanza di trasparenza e prevedibilità degli stessi

131    Le ricorrenti sostengono che il notevole potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 deve concretizzarsi in maniera astratta e generale, vale a dire in una norma di diritto sostanziale. Orbene, a differenza del Consiglio, la Commissione non sarebbe competente ad adottare una norma del genere. Inoltre, quand’anche la concretizzazione dell’«ambito dell’ammenda» da parte della Commissione fosse legittima, gli orientamenti del 1998 sarebbero comunque inefficaci, dato che non sono atti a garantire il livello minimo di trasparenza e prevedibilità necessario nel contesto della fissazione dell’importo dell’ammenda.

132    In primo luogo, va rilevato che, nelle loro memorie, le ricorrenti non hanno precisato quale disposizione sarebbe stata violata dalla Commissione in occasione dell’adozione degli orientamenti del 1998. Interrogate al riguardo in udienza, le ricorrenti hanno indicato che, secondo il principio di legalità delle pene, sarebbe spettato al Consiglio adottare le norme astratte per il calcolo delle ammende.

133    Orbene, l’adozione degli orientamenti del 1998 da parte della Commissione, rientrando nel contesto normativo imposto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e, da ultimo, dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, ha soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione già risultante da tali disposizioni (v., in tal senso, sentenza Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 44). Premesso ciò, l’argomento vertente sull’incompetenza della Commissione ad adottare gli orientamenti deve essere respinto.

134    In secondo luogo, anche gli argomenti vertenti sulla mancanza di trasparenza e di prevedibilità degli orientamenti del 1998 devono essere respinti.

135    Invero, da un lato, è per ragioni di trasparenza e di maggior certezza del diritto nei confronti delle imprese interessate che la Commissione ha pubblicato i suddetti orientamenti e vi ha indicato il metodo di calcolo che la stessa si è imposta in ciascuna fattispecie. Al riguardo, la Corte ha peraltro considerato che, adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate alle fattispecie cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali quali la parità di trattamento e la tutela del legittimo affidamento. La Corte ha inoltre dichiarato che gli orientamenti stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punti 211 e 213; v. anche sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 60).

136    Dall’altro, un operatore accorto può, ricorrendo eventualmente ad un legale, prevedere in modo sufficientemente preciso il metodo di calcolo e l’ordine di grandezza delle ammende in cui egli incorre per un determinato comportamento (sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. al punto 96 supra, punto 55). È vero che un operatore non può prevedere in base agli orientamenti del 1998 l’importo esatto dell’ammenda che la Commissione infliggerà in ogni singolo caso. Tuttavia, in ragione della gravità delle infrazioni che la Commissione è chiamata a sanzionare, gli obiettivi di repressione e dissuasione giustificano la volontà di evitare che le imprese siano in grado di valutare i benefici che trarrebbero dalla loro partecipazione ad un’infrazione, tenendo conto, a monte, dell’importo della sanzione che sarebbe loro inflitta a causa di tale comportamento illecito (sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 83).

137    Da quanto precede discende che l’eccezione di illegittimità degli orientamenti del 1998, vertente sulla carenza di competenza della Commissione e, in subordine, sulla loro mancanza di trasparenza e prevedibilità, non è fondata.

 Sull’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, vertente sulla violazione del principio di irretroattività e del principio di tutela del legittimo affidamento

138    Le ricorrenti sostengono che l’applicazione nel caso di specie della comunicazione sulla cooperazione del 2002, mentre la maggior parte dei fatti indicati nella decisione impugnata era anteriore alla sua entrata in vigore, contravviene al principio di irretroattività. Secondo le ricorrenti, la Commissione avrebbe dovuto applicare la sua comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996 C 207, pag. 4) (in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione del 1996»), il che avrebbe consentito loro di beneficiare di una riduzione dell’ammenda dal 10 al 50% per la mancata contestazione dei fatti anziché della riduzione simbolica dell’1% di cui hanno beneficiato nella decisione impugnata (punti 777, 806, 835 e 854 della decisione impugnata). Applicando la comunicazione sulla cooperazione del 2002, la Commissione avrebbe inoltre violato il principio del legittimo affidamento.

139    Occorre rammentare che la comunicazione sulla cooperazione del 1996 stabiliva alla sezione D che un’impresa poteva beneficiare «di una riduzione dal 10 al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione (…) se (…), dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, [essa] informa[va] la Commissione che non contesta[va] i fatti materiali sui quali la Commissione fonda[va] le sue accuse». La comunicazione sulla cooperazione del 2002, da parte sua, non prevede più riduzioni di ammenda per tale motivo.

140    Per quanto riguarda l’asserita retroattività della comunicazione sulla cooperazione del 2002, si deve rilevare che il punto 28 di detta comunicazione dispone che, «[d]al 14 febbraio 2002 la presente comunicazione sostituisce la comunicazione [sulla cooperazione] del 1996 per tutti i casi in cui nessuna impresa abbia contattato la Commissione al fine di beneficiare del trattamento favorevole previsto da tale comunicazione». Tenuto conto del fatto che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 è stata pubblicata il 19 febbraio 2002, è quindi vero che detta comunicazione prevede l’applicazione retroattiva delle sue disposizioni, ma essa è limitata al periodo dal 14 febbraio 2002 al 18 febbraio 2002 compreso. Poiché nessuno dei partecipanti all’intesa ha presentato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 prima del 2 febbraio 2004 (punti 94, 105, 115 e 127 della decisione impugnata), l’eventuale illegittimità risultante da tale retroattività della comunicazione sulla cooperazione del 2002 non può avere inficiato la legittimità della decisione impugnata.

141    Tuttavia, nel caso di specie, le ricorrenti contestano l’applicazione immediata della comunicazione sulla cooperazione del 2002 ai fini del calcolo delle ammende per fatti, in parte, anteriori al 2002.

142    In primo luogo, come risulta dal fascicolo, occorre notare che, almeno a sei riprese nel corso del procedimento amministrativo, le ricorrenti hanno esplicitamente chiesto l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

143    In secondo luogo, e in ogni caso, dalla giurisprudenza risulta che il principio di irretroattività non osta all’applicazione di orientamenti che abbiano, per ipotesi, un effetto aggravante sul livello delle ammende inflitte per infrazioni commesse prima della loro adozione, a condizione che la politica che essi attuano sia ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni in questione sono state commesse (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punti 202‑232; sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF e UCB/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punto 233; v. anche sentenza Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 66). Orbene, le ricorrenti non hanno sostenuto che il cambiamento intervenuto in occasione dell’adozione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 non fosse prevedibile.

144    Quanto all’asserita violazione del legittimo affidamento delle ricorrenti derivante dall’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 ad infrazioni parzialmente commesse prima della sua entrata in vigore, è sufficiente constatare che, secondo una costante giurisprudenza, gli operatori economici non possono riporre il loro legittimo affidamento nella conservazione di una situazione in atto che può essere modificata dalle istituzioni nell’ambito del loro potere discrezionale (v. sentenze della Corte 5 ottobre 1994, causa C‑280/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I‑4973, punto 80, e 30 giugno 2005, causa C‑295/03 P, Alessandrini e a./Commissione, Racc. pag. I‑5673, punto 89 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, in ogni caso, le ricorrenti avrebbero potuto far scattare l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 1996 in qualsiasi momento presentando una domanda a titolo di tale comunicazione alla Commissione prima dell’entrata in vigore della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Ne consegue che tale censura deve essere respinta.

145    Di conseguenza, l’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, vertente sulla violazione del principio di irretroattività, e la censura vertente sulla violazione del principio di legittimo affidamento devono essere respinte.

 Sull’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, vertente sulla violazione dei principi generali del diritto nemo tenetur, in dubio pro reo e di proporzionalità, nonché sull’abuso di potere discrezionale

146    Le ricorrenti sostengono che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 è illegittima in quanto contravviene ai principi generali del diritto e travalica i limiti del potere discrezionale conferito alla Commissione. Così, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 violerebbe il principio nemo tenetur, il principio in dubio pro reo e il principio di proporzionalità. La sua adozione costituirebbe un abuso del potere discrezionale della Commissione ed essa sarebbe quindi inapplicabile alla presente causa, sicché gli elementi di prova forniti nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002 non potrebbero essere utilizzati, stante il divieto di utilizzare prove acquisite illegittimamente.

147    Occorre analizzare separatamente le diverse censure formulate nel contesto della presente eccezione.

 Sulla prima censura, vertente sulla violazione del principio nemo tenetur

148    Le ricorrenti ricordano che, conformemente al principio nemo tenetur, nessuno può essere costretto ad autoaccusarsi o a testimoniare contro sé stesso. La comunicazione sulla cooperazione del 2002 violerebbe tale principio, dato che, in pratica, costringerebbe le imprese a collaborare con la Commissione e a fornirle una confessione. Infatti, da un lato, solo la prima impresa che presenti prove rispondenti ai requisiti di cui al punto 8, lett. a) o b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002 potrebbe pretendere l’immunità da un’ammenda, di modo che tutte le imprese, in «corsa per il primo posto», fornirebbero confessioni complete (e talora esagerate) alla Commissione, senza che possa confrontarsi l’utilità di una cooperazione che riveste la forma della riduzione sperata dell’ammenda con gli svantaggi che tale cooperazione comporta. Dall’altro, cooperando nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, un’impresa si priverebbe della possibilità di contestare i fatti, anche erronei, presentati da altre imprese, poiché la Commissione considererebbe qualsiasi contestazione come una mancanza di cooperazione ai sensi dei punti 11 e 23 della comunicazione sulla cooperazione del 2002, il che comporterebbe il grave rischio di non beneficiare di una riduzione dell’ammenda a titolo di tale comunicazione.

149    Dalla giurisprudenza risulta, da un lato, che in virtù dei principi generali del diritto dell’Unione, dei quali i diritti fondamentali costituiscono parte integrante e alla luce dei quali vanno interpretate tutte le norme di diritto dell’Unione, le imprese hanno il diritto di non essere costrette dalla Commissione ad ammettere la loro partecipazione ad un’infrazione (v., in tal senso, sentenze della Corte 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punto 35, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, C‑250/99 P‑C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 273).

150    Dall’altro lato, se la Commissione non può costringere un’impresa ad ammettere la sua partecipazione a un’infrazione, non per questo le viene impedito di tener conto, nella fissazione dell’importo dell’ammenda, dell’aiuto che tale impresa, di sua iniziativa, le ha fornito al fine di accertare l’esistenza dell’infrazione (sentenze della Corte 14 luglio 2005, causa C‑57/02 P, Acerinox/Commissione, Racc. pag. I‑6689, punto 87, e cause riunite C‑65/02 P e C‑73/02 P, ThyssenKrupp/Commissione, Racc. pag. I‑6773, punto 50).

151    Le ricorrenti non possono sostenere che la giurisprudenza citata ai punti 149 e 150 supra è «superata». Al contrario, la Corte l’ha espressamente confermata dopo aver preso conoscenza degli sviluppi intervenuti nella giurisprudenza della Corte EDU, in particolare delle sentenze 25 febbraio 1993, Funke c. Francia (serie A n. 256 A), e 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito (Recueil des arrêts et décisions, 1996‑VI), alle quali fanno riferimento le ricorrenti (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 149 supra, punti 273‑280).

152    La legittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002 con riguardo al principio nemo tenetur va quindi esaminata alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza citata ai punti 149 e 150 supra.

153    A tal proposito, si deve rilevare che la cooperazione a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 riveste un carattere puramente volontario da parte dell’impresa interessata. Infatti, quest’ultima non è in alcun modo costretta a fornire elementi di prova relativi alla presunta intesa. Il grado di cooperazione che l’impresa intende offrire nel corso del procedimento amministrativo dipende dunque esclusivamente dalla sua libera scelta e non è, in nessun caso, imposto dalla comunicazione sulla cooperazione del 2002 (v., in tal senso, sentenza ThyssenKrupp/Commissione, cit. al punto 150 supra, punto 52, e conclusioni dell’avvocato generale Léger relative a detta causa, Racc. pag. I‑6777, paragrafo 140).

154    L’argomento secondo cui, cooperando, un’impresa si priverebbe della possibilità di contestare i fatti, anche se falsi, presentati da altre imprese, si fonda su di una lettura erronea della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

155    Da un lato, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, né il punto 11 di tale comunicazione, che esige dall’impresa interessata la «piena collaborazione, permanente e tempestiva, per tutta la durata del procedimento amministrativo», né il punto 23 della stessa, secondo cui la Commissione «potrà (…) tenere conto dell’entità e della continuità della cooperazione dimostrata dall’impresa a partire della data del suo contributo», esigono che l’impresa interessata si astenga dal contestare o dal rettificare i fatti erronei presentati da un’altra impresa. Inoltre, l’affermazione delle ricorrenti si basa sulla premessa errata secondo cui le dichiarazioni unilaterali erronee di un’unica impresa che ha partecipato ad un’intesa, non corroborate da elementi di prova, sarebbero sufficienti per dimostrare un’infrazione.

156    Dall’altro, diversamente dalla comunicazione sulla cooperazione del 1996, la comunicazione del 2002 non prevede alcuna riduzione dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti. Pertanto, non si può ritenere che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 «obblighi» le imprese che intendano beneficiare dell’applicazione della stessa a non contestare i fatti presentati da altre imprese.

157    In ogni caso, il presunto obbligo di un’impresa di non contestare fatti ai quali è estranea riposa sull’ipotesi puramente teorica di un’impresa che accusa se stessa di un’infrazione che non ha commesso, nella speranza di beneficiare di una riduzione dell’ammenda che, ciononostante, essa teme di vedersi infliggere. Un tale pronostico non può fondare un argomento attinente alla violazione del principio nemo tenetur (v., in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 58).

158    Ne consegue che la prima censura sollevata nell’ambito dell’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002 deve essere respinta.

 Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del principio in dubio pro reo

159    Le ricorrenti sostengono che, conformemente al principio in dubio pro reo o al principio della presunzione di innocenza, spetta alla Commissione produrre la prova del comportamento illecito e della colpevolezza di un’impresa. La comunicazione sulla cooperazione del 2002 violerebbe il principio della presunzione di innocenza, dato che, in pratica, farebbe sì che siano le imprese a fornire la prova della propria infrazione e della propria colpevolezza nonché delle infrazioni e della colpevolezza delle altre imprese.

160    Si deve rilevare che il principio della presunzione di innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della CEDU, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dall’art. 6, n. 2, UE e dall’art. 48 della Carta, sono riconosciuti nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Tenuto conto della natura delle infrazioni in parola, nonché della natura e del grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione di innocenza si applica in particolare ai procedimenti relativi a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possano sfociare nella pronuncia di ammende o penalità di mora (v. sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 115 e la giurisprudenza ivi citata).

161    Contrariamente a quanto asseriscono le ricorrenti, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non contravviene al principio della presunzione di innocenza.

162    Anzitutto, come si è ricordato al punto 153 supra, la cooperazione ai sensi di tale comunicazione riveste un carattere puramente volontario da parte dell’impresa interessata. Essa non comporta alcun obbligo per l’impresa di fornire elementi di prova dell’infrazione cui avrebbe partecipato.

163    Inoltre, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non incide sull’obbligo che incombe alla Commissione, la quale ha l’onere di provare le infrazioni da essa accertate, di addurre elementi di prova idonei a dimostrare in modo giuridicamente valido l’esistenza dei fatti che costituiscono l’infrazione. Tuttavia, per dimostrare l’esistenza di un’infrazione, la Commissione può basarsi su ogni elemento utile di cui dispone. Così, senza violare il principio della presunzione di innocenza, essa può basarsi non solo sui documenti raccolti in occasione di accertamenti ai sensi dei regolamenti nn. 17 e 1/2003 o che le siano pervenuti in risposta a richieste di informazioni a norma di detti regolamenti, ma anche sugli elementi di prova che un’impresa le abbia fornito volontariamente a titolo della suddetta comunicazione.

164    Da quanto precede risulta che neppure la censura vertente sull’illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, in quanto violerebbe il principio della presunzione di non colpevolezza, può essere accolta.

 Sulla terza censura, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

165    Le ricorrenti sostengono che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non è né necessaria né adeguata e, pertanto, contravviene al principio di proporzionalità. Essa non sarebbe necessaria in quanto il regolamento n. 1/2003, in particolare agli artt. 18‑21, fornirebbe alla Commissione mezzi sufficienti per svolgere indagini sulle intese. Inoltre non sarebbe né adeguata né proporzionata. Infatti, quand’anche detta comunicazione consentisse di meglio dimostrare l’esistenza di intese, promuovendo così l’interesse comunitario, essa ricompenserebbe le imprese che hanno violato l’art. 81 CE e porrebbe in una situazione di svantaggio le imprese oneste, in quanto osterebbe a che vengano inflitte ammende ad imprese che hanno partecipato ad un’intesa e ne hanno tratto vantaggio. La comunicazione sulla cooperazione del 2002 lederebbe anche l’interesse comunitario consistente nella repressione delle infrazioni al diritto delle concorrenza.

166    Occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza della Corte 12 luglio 2001, C‑189/01, Jippes e a., Racc. pag. I‑5689, punto 81 e la giurisprudenza ivi citata).

167    Si deve inoltre ricordare che la Commissione dispone, nell’ambito del regolamento n. 1/2003, di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 57 supra, punto 134 e la giurisprudenza ivi citata). Poiché la comunicazione sulla cooperazione del 2002 si colloco nell’ambito della politica della Commissione relativa alla fissazione di ammende per le intese orizzontali che contravvengono all’art. 81 CE, occorre tenere conto di tale margine di discrezionalità nell’esame della censura relativa al principio di proporzionalità.

168    Orbene, è giocoforza constatare che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 rappresenta uno strumento adeguato e indispensabile per accertare l’esistenza delle intese orizzontali segrete e, pertanto, per orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza.

169    Infatti, sebbene gli strumenti previsti agli artt. 18‑21 del regolamento n. 1/2003, vale a dire le richieste di informazioni e gli accertamenti, costituiscano misure indispensabili nell’ambito della repressione delle infrazioni al diritto della concorrenza, si deve rilevare che le intese segrete sono spesso difficili da scoprire e da investigare senza la cooperazione delle imprese interessate. Anche se esiste sempre il rischio, per un partecipante a un’intesa, che quest’ultima venga scoperta, in particolare a seguito di una denuncia alla Commissione o ad un’autorità nazionale, il soggetto che intenda porre fine alla propria partecipazione può essere dissuaso dall’informarne la Commissione in ragione dell’ammenda elevata che rischia di vedersi infliggere. Prevedendo la concessione di un’immunità dalle ammende o di una riduzione significativa dell’ammenda per le imprese che forniscano alla Commissione elementi di prova dell’esistenza di un’intesa orizzontale, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 tende ad evitare che tale soggetto rinunci ad informare la Commissione dell’esistenza di un’intesa.

170    L’argomento per cui la comunicazione sulla cooperazione del 2002 consente di ricompensare talune imprese che hanno partecipato ad intese vietate dall’art. 81 CE deve essere respinto. Infatti, come sottolinea la Commissione al punto 4 della suddetta comunicazione, «[i]l vantaggio che i consumatori e i cittadini traggono dalla certezza che le intese segrete siano scoperte e sanzionate è primario rispetto all’interesse d’infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che consentono alla Commissione di scoprire e vietare pratiche di questo tipo».

171    Pertanto, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non supera in modo manifesto il limite di quanto è appropriato e necessario al conseguimento dell’obiettivo legittimo che la stessa persegue.

172    Da quanto precede risulta che la censura vertente sull’illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, in quanto la stessa violerebbe il principio di proporzionalità, non è fondata.

 Sulla quarta censura, relativa ad un abuso di potere discrezionale

173    Secondo le ricorrenti, adottando la comunicazione sulla cooperazione del 2002, la Commissione avrebbe travalicato i limiti del potere discrezionale conferitole dall’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003. Tale disposizione imporrebbe alla Commissione, nell’ambito della fissazione dell’importo dell’ammenda, di prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione, il che sarebbe impossibile nell’ambito di una «riduzione totale della pena». Pertanto, il titolo A della comunicazione sulla cooperazione del 2002 sarebbe illegittimo, il che comporterebbe l’illegittimità della comunicazione in toto.

174    Occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese (…) quando, intenzionalmente o per negligenza[,] (…) commettano un’infrazione alle disposizioni dell’art. 81 CE o dell’art. 82 [CE]». Ne consegue che dal tenore stesso di detta disposizione risulta che la Commissione ha la facoltà, ma non l’obbligo, di imporre un’ammenda ad un’impresa autrice di una violazione dell’art. 81 CE.

175    Inoltre, l’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 non elenca in modo tassativo i criteri di cui la Commissione può tenere conto per fissare l’importo dell’ammenda. Il comportamento dell’impresa nel corso del procedimento amministrativo può quindi far parte degli elementi di cui si deve tenere conto in sede di tale fissazione (v., in tal senso, sentenza Finnboard/Commissione, cit. al punto 157 supra, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).

176    Pertanto, la Commissione non ha superato i limiti dei poteri ad essa conferiti dal regolamento n. 1/2003 dotandosi delle regole di condotta nella comunicazione sulla cooperazione del 2002 destinate a guidarla nell’esercizio del suo potere discrezionale in materia di fissazione delle ammende, per tenere conto in particolare del comportamento delle imprese nel corso del procedimento amministrativo e, così, meglio garantire la parità di trattamento fra le imprese interessate (v., in tal senso, sentenza Finnboard/Commissione, cit. al punto 157 supra, punto 57).

177    Ne consegue che nemmeno quest’ultima censura è fondata.

178    Da quanto precede discende che l’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002 deve essere respinta in toto.

 Sul motivo vertente sulla natura confiscatoria, in violazione del diritto internazionale, della decisione impugnata

 Sulla ricevibilità

179    La Commissione sottolinea che il motivo concernente la natura confiscatoria, in violazione del diritto internazionale, della decisione impugnata non soddisfa i requisiti di cui all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura ed è quindi irricevibile. Dal punto di vista fattuale, il ricorso non spiega in alcun modo perché le ammende inflitte avrebbero effettivamente ripercussioni drammatiche sulla capacità di sopravvivenza economica delle controllate di Schindler Holding. Dal punto di vista giuridico, le ricorrenti non identificherebbero i trattati applicabili né le norme che sarebbero state violate.

180    Occorre ricordare che, in forza dell’art. 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale in conformità all’art. 53, primo comma, del medesimo Statuto e all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura del Tribunale, qualsiasi ricorso deve contenere, in particolare, un’esposizione sommaria dei motivi invocati. Tali indicazioni devono essere sufficientemente chiare e precise al fine di consentire alla parte convenuta di predisporre le proprie difese e al Tribunale di decidere sul ricorso, se del caso, senza altre informazioni a sostegno. Al fine di garantire la certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo stesso (sentenze del Tribunale 6 maggio 1997, causa T‑195/95, Guérin automobiles/Commissione, Racc. pag. II‑679, punto 20, 25 maggio 2004, causa T‑154/01, Distilleria Palma/Commissione, Racc. pag. II‑1493, punto 58, e 12 marzo 2008, causa T‑332/03, European Service Network/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 229).

181    Nel caso di specie, le ricorrenti, nel proprio ricorso, hanno esposto in modo sufficientemente chiaro e preciso che l’imposizione delle ammende a Schindler, tramite la decisione impugnata, è confiscatoria e viola il diritto internazionale.

182    La Commissione non può criticare il fatto che il ricorso non identifica i trattati applicabili. Infatti, le ricorrenti non hanno invocato nel ricorso alcuna violazione di un accordo bilaterale o multilaterale concernente la tutela dell’investimento. Esse fanno riferimento all’esistenza di tali accordi solo al fine di dimostrare l’esistenza di una norma di diritto consuetudinario internazionale che sarebbe stata violata nel caso di specie. Così, nel loro ricorso, le ricorrenti spiegano che, sebbene non esista alcuna convenzione generale per la tutela dell’investimento tra la Comunità europea e la Svizzera, il divieto di espropriazione senza indennizzo degli investitori stranieri sancito dal diritto consuetudinario internazionale non può essere rimesso seriamente in discussione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la norma violata, ossia una norma di diritto consuetudinario internazionale, è chiaramente indicata nel ricorso.

183    Le ricorrenti spiegano inoltre che la natura confiscatoria delle ammende irrogate va rapportata alla grave svalutazione degli investimenti di Schindler in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Secondo le ricorrenti, la gravità del pregiudizio ai valori patrimoniali di Schindler Holding emergerebbe dal confronto tra le ammende e i capitali propri, il fatturato annuo e il risultato di esercizio di Schindler Belgio, Schindler Lussemburgo e Schindler Paesi Bassi.

184    Da quanto precede risulta che il presente motivo soddisfa le esigenze delle disposizioni menzionate al precedente punto 180. Di conseguenza, il presente motivo è ricevibile.

 Nel merito

185    Le ricorrenti rilevano che la tutela degli investitori stranieri è prevista da numerosi accordi bilaterali e multilaterali per la tutela dell’investimento. In base a tali convenzioni, la detenzione transfrontaliera di quote di un’impresa di un altro Stato membro rientrerebbe nella nozione di investimento e godrebbe di una tutela che, da un lato, consentirebbe l’espropriazione solo nel rispetto di condizioni molto rigorose e, dall’altro, esigerebbe che gli investitori stranieri vengano trattati in modo equo e leale nello Stato in cui effettuano investimenti. Tale protezione sarebbe riconosciuta anche dal diritto consuetudinario internazionale.

186    Le ammende inflitte a Schindler Holding, società di diritto svizzero, equivarrebbero, dal punto di vista del loro effetto economico, ad un’espropriazione, in violazione del diritto internazionale, degli investimenti di Schindler Holding in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Quand’anche la condanna ad un’ammenda non costituisse un’espropriazione formale, essa costituirebbe comunque un’espropriazione materiale, in quanto gli investimenti di Schindler Holding in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi avrebbero subito una notevole svalutazione. La gravità del pregiudizio ai valori patrimoniali di Schindler Holding emergerebbe soprattutto dal confronto tra le ammende e i capitali propri, il fatturato annuo e il risultato di esercizio di Schindler Belgio, Schindler Lussemburgo e Schindler Paesi Bassi.

187    Occorre rammentare che le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (v. sentenza della Corte 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6351, punto 291 e la giurisprudenza ivi citata).

188    Il diritto di proprietà non è solo protetto dal diritto internazionale, ma fa anche parte dei principi generali del diritto dell’Unione (v. sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cit. al punto 187 supra, punto 355 e la giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, poiché la prevalenza del diritto internazionale sul diritto dell’Unione non si estende al diritto primario e, in particolare, ai principi generali nel cui novero vi sono i diritti fondamentali (sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cit. al punto 187 supra, punto 308), occorre esaminare, nell’ambito del presente motivo, se le ammende inflitte a Schindler Holding ledano il diritto fondamentale al rispetto della proprietà.

189    A tal riguardo, deve ricordarsi che il diritto di proprietà non è una prerogativa assoluta, ma deve essere valutato alla luce della sua funzione sociale. Conseguentemente, possono essere apportate restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà, a condizione che esse rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto garantito (v. sentenze della Corte 11 luglio 1989, 265/87, Schräder HS Kraftfutter, Racc. pag. 2237, punto 15, Germania/Consiglio, cit. al punto 144 supra, punto 78, e Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cit. al punto 187 supra, punto 355).

190    L’art. 3, n. 1, lett. g), CE prevede che, per conseguire gli obiettivi della Comunità, l’azione della stessa comporta «un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno». Ne deriva che l’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE costituisce uno degli aspetti dell’interesse pubblico comunitario. Di conseguenza, possono essere apportate restrizioni, in applicazione di questi articoli, all’uso del diritto di proprietà, a condizione che non siano sproporzionate e non pregiudichino la sostanza stessa di tale diritto (sentenza del Tribunale 23 ottobre 2003, causa T‑65/98, Van den Bergh Foods/Commissione, Racc. pag. II‑4653, punto 170).

191    Occorre quindi accertare se le ammende inflitte alla Schindler Holding costituiscano un intervento eccessivo ed intollerabile che arreca pregiudizio alla sostanza stessa del diritto fondamentale al rispetto della proprietà.

192    In primo luogo, deve constatarsi come la decisione controversa non pregiudichi la struttura della proprietà in seno alla Schindler.

193    In secondo luogo, se è vero che il pagamento dell’ammenda incide sul valore patrimoniale della società debitrice, tuttavia nella fattispecie non si può ritenere che le ammende inflitte a Schindler Holding e alle sue controllate abbiano azzerato il valore di tali società. Infatti, dal fascicolo risulta che l’insieme delle ammende inflitte alle società del gruppo Schindler nella decisione impugnata non raggiunge il tetto massimo del 10% del fatturato consolidato di Schindler Holding nell’esercizio sociale precedente alla data della decisione impugnata. Orbene, il tetto massimo del 10% previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 mira, inter alia, a proteggere le imprese da ammende di importo eccessivo che potrebbe distruggerle dal punto di vista commerciale (sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 389).

194    In terzo luogo, poiché le ricorrenti criticano l’imposizione di un’ammenda eccessiva alle controllate nei quattro paesi interessati, si deve rilevare che, nella decisione impugnata, per ciascuna infrazione Schindler Holding è stata condannata in solido con la controllata interessata al pagamento dell’ammenda (v. anche punti 63‑91 supra). Come sottolineato dalla Commissione, la determinazione del rispettivo contributo delle società appartenenti ad un medesimo gruppo, tenute in solido al pagamento di una medesima ammenda, spetta a queste ultime. Pertanto, la decisione impugnata non incide necessariamente sul valore degli investimenti detenuti da Schindler Holding nelle sue controllate.

195    In quarto luogo, nei limiti in cui le ricorrenti lamentano l’imposizione di ammende per le infrazioni che risulterebbero eccessive se confrontate con il fatturato e l’utile annuo delle controllate interessate, tale argomento si confonde con il motivo concernente l’illegittimità della decisione impugnata nella parte in cui dichiara la responsabilità in solido di Schindler Holding. Infatti, le ammende inflitte nel caso di specie potrebbero recare pregiudizio al diritto di proprietà solo se fosse vero che le controllate nazionali non costituiscono con Schindler Holding un’unica impresa, nel senso di entità economica responsabile delle infrazioni sanzionate. Tali ammende sarebbero comunque illegittime in quanto violerebbero l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Tuttavia, dai punti 63‑91 supra risulta che la Commissione ha giustamente imputato a Schindler Holding le infrazioni delle controllate nazionali interessate.

196    Ne consegue che il presente motivo dev’essere respinto.

 Sul motivo vertente sulla violazione degli orientamenti del 1998 e dell’obbligo di motivazione nella fissazione dell’importo di partenza delle ammende

 Osservazioni preliminari

197    In limine, occorre rammentare che risulta da una costante giurisprudenza che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti del 1998, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 settembre 2009, cause riunite C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, Racc. pag. I‑7191, punto 112 e la giurisprudenza ivi citata).

198    La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze della Corte Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 72, e 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 54).

199    Come è stato esposto supra al punto 24, nella fattispecie la Commissione ha determinato l’importo delle ammende applicando il metodo definito negli orientamenti del 1998.

200    Anche se gli orientamenti del 1998 non possono essere qualificati come norme giuridiche alla cui osservanza l’amministrazione è comunque tenuta, essi enunciano tuttavia una norma di comportamento indicativa della prassi da seguire dalla quale l’amministrazione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire ragioni compatibili con il principio di parità di trattamento (v. sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 209 e la giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑73/04, Carbone‑Lorraine/Commissione, Racc. pag. II‑2661, punto 70).

201    Come indicato supra al punto 135, adottando siffatte norme di comportamento ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v. sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 211 e la giurisprudenza ivi citata, e Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 71).

202    Inoltre, gli orientamenti del 1998 stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 88 supra, punti 211 e 213).

203    Infine, occorre rammentare che gli orientamenti del 1998 prevedono, in primo luogo, la valutazione della gravità dell’infrazione in quanto tale, sulla cui base può essere fissato un importo di partenza generale (punto 1 A, secondo comma). In secondo luogo, la gravità è esaminata in relazione alla natura delle infrazioni commesse e alle caratteristiche dell’impresa interessata, in particolare rispetto alle sue dimensioni e alla sua posizione sul mercato rilevante, il che può comportare la ponderazione dell’importo di partenza, la classificazione delle imprese in categorie e la fissazione di un importo di partenza specifico (punto 1 A, dal terzo al settimo comma).

 Decisione impugnata

204    In primo luogo, nella sezione della decisione impugnata dedicata alla gravità delle infrazioni (sezione 13.6.1), la Commissione esamina in parallelo le quattro infrazioni constatate all’art. 1, in considerazione del fatto che esse «presentano caratteristiche comuni» (punto 657 della decisione impugnata). Tale sezione è suddivisa in tre sottosezioni, la prima intitolata «Natura delle infrazioni» (sottosezione 13.6.1.1), la seconda «Estensione del mercato geografico rilevante» (sottosezione 13.6.1.2) e la terza «Conclusioni sulla gravità dell’infrazione» (sottosezione 13.6.1.3).

205    Nella sottosezione intitolata «Natura delle infrazioni», la Commissione espone quanto segue ai punti 658 e 659 della decisione impugnata:

«658.            Le infrazioni oggetto della presente decisione consistevano principalmente in un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili (tranne in Germania, in cui l’attività di manutenzione e di ammodernamento non è stata oggetto di discussioni tra i membri dell’intesa). Tali restrizioni orizzontali rientrano per loro stessa natura tra le violazioni più gravi dell’articolo 81 [CE]. Nel caso in esame le infrazioni hanno artificialmente privato i clienti dei vantaggi che avrebbero potuto sperare di ottenere da un processo di offerta concorrenziale. È inoltre interessante notare che alcuni dei progetti manipolati erano appalti pubblici finanziati con le imposte e realizzati precisamente al fine di ricevere offerte competitive, che presentassero in particolare un buon rapporto qualità/prezzo.

659      Per valutare la gravità di un’infrazione, gli elementi relativi al suo oggetto sono generalmente più significativi di quelli relativi ai suoi effetti, in particolare quando gli accordi vertono, come nel caso in esame, su infrazioni molto gravi, quali la fissazione dei prezzi e la ripartizione del mercato. Di norma, gli effetti di un accordo non costituiscono un criterio decisivo per valutare la gravità dell’infrazione».

206    La Commissione afferma di non avere «tentato di dimostrare gli effetti precisi dell’infrazione, poiché [era] impossibile determinare con sufficiente certezza i parametri concorrenziali applicabili (prezzi, condizioni commerciali, qualità, innovazione ecc.) in mancanza delle infrazioni» (punto 660 della decisione impugnata). Nondimeno, essa ritiene che «[sia] (…) evidente che le infrazioni hanno avuto un impatto reale» ed osserva al riguardo che «[i]l fatto che vari accordi anticoncorrenziali siano stati attuati dai membri dell’intesa sembra indicare di per sé un impatto sul mercato, anche se l’effetto reale è difficile da misurare, poiché non è noto, tra l’altro, se e come altri progetti siano stati oggetto di una manipolazione delle offerte, né come determinati progetti possano essere stati oggetto di una ripartizione tra i membri dell’intesa senza che fossero necessari contatti tra loro» (punto 660 della decisione impugnata). Nel medesimo punto la Commissione aggiunge che «[l]e elevate quote di mercato complessive dei concorrenti indicano probabili effetti anticoncorrenziali e [che] la relativa stabilità di tali quote di mercato per tutta la durata delle infrazioni confermerebbe tali effetti».

207    Ai punti 661‑669 della decisione impugnata la Commissione risponde agli argomenti dedotti dalle ricorrenti durante il procedimento amministrativo e intesi a dimostrare lo scarso impatto delle infrazioni sul mercato.

208    Nella sottosezione intitolata «Estensione del mercato geografico rilevante», la Commissione sostiene, al punto 670 della decisione impugnata, che «[l]e intese oggetto [della] decisione [impugnata] riguardavano l’intero ambito territoriale rispettivamente del Belgio, della Germania, del Lussemburgo o dei Paesi Bassi», e che «[d]alla giurisprudenza risulta chiaramente che un mercato geografico nazionale che si estenda ad un intero Stato membro rappresenta già in sé una parte sostanziale del mercato comune».

209    Nella sottosezione intitolata «Conclusioni sulla gravità dell’infrazione», la Commissione indica, al punto 671 della decisione impugnata, che ciascun destinatario ha commesso una o più infrazioni molto gravi all’art. 81 CE, «[t]enuto conto della natura delle infrazioni e del fatto che ognuna di esse riguardava l’intero ambito territoriale di uno Stato membro (Belgio, Germania, Lussemburgo o Paesi Bassi)». Essa conclude che, «in base a tali elementi, le infrazioni devono essere considerate molto gravi anche se il loro impatto reale non può essere misurato».

210    In secondo luogo, nella sezione della decisione impugnata dal titolo «Trattamento differenziato» (sezione 13.6.2), la Commissione fissa un importo di partenza dell’ammenda per ciascuna delle imprese partecipanti alle varie intese (v. supra, punti 27‑30), che tiene conto, secondo il punto 672 della decisione impugnata, dell’«effettiva capacità economica dei contravventori di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza». La Commissione spiega, al punto 673 della decisione impugnata, che, «[a] tal fine, le imprese [sono state] suddivise in varie categorie in funzione del fatturato conseguito nel settore degli ascensori e/o delle scale mobili, compresi, se del caso, i servizi di manutenzione e di ammodernamento».

 Sulla qualificazione delle infrazioni come «molto gravi»

211    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che la valutazione della gravità delle infrazioni effettuata dalla Commissione è erronea. A loro parere, la Commissione avrebbe adottato un approccio globalizzante alla qualificazione delle infrazioni come «molto gravi», senza tenere conto, da un lato, del fatto che gli accordi negli Stati membri interessati erano strutturati in modo molto vario e, dall’altro, dell’impatto concreto delle infrazioni. Orbene, tale impatto sarebbe stato minimo.

212    Così, le ricorrenti fanno riferimento alla riduzione dei prezzi sui mercati tedesco e lussemburghese, alla fluttuazione delle quote di mercato sui mercati tedesco, belga e lussemburghese, all’inefficacia e al mancato rispetto degli accordi sui mercati tedesco, belga, lussemburghese e olandese o ancora al fatto che le intese in Lussemburgo e nei Paesi Bassi avrebbero riguardato solo alcuni progetti. Inoltre, le ricorrenti sostengono che in Germania Schindler era implicata soltanto nel settore delle scale mobili. Infine, conformemente alla prassi decisionale della Commissione, l’intesa in Lussemburgo dovrebbe essere qualificata come «grave», tenuto conto del fatto che essa riguardava solo uno Stato membro di dimensioni ridotte.

213    Per quanto attiene alla valutazione della gravità dell’infrazione in quanto tale, deve essere rammentato che gli orientamenti del 1998 affermano, al punto 1 A, primo e secondo comma, quanto segue:

«Per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante.

Le infrazioni saranno pertanto classificate in tre categorie, in modo tale da distinguere tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi».

214    Pertanto, conformemente al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti del 1998, nel valutare la gravità dell’infrazione la Commissione deve procedere ad un esame dell’impatto concreto sul mercato unicamente quando risulti che tale impatto è misurabile (v., in tal senso, sentenze Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punto 74 e la giurisprudenza ivi citata; Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. al punto 118 supra, punto 143, e Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 216).

215    Secondo una costante giurisprudenza, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, è compito della Commissione riferirsi al gioco della concorrenza che di regola sarebbe esistito in mancanza d’infrazione (v. sentenza Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 83 e la giurisprudenza ivi citata).

216    Nella fattispecie, la Commissione afferma, al punto 660 della decisione impugnata, di non avere «tentato di dimostrare gli effetti precisi dell’infrazione, poiché [era] impossibile determinare con sufficiente certezza i parametri concorrenziali applicabili (prezzi, condizioni commerciali, qualità, innovazione ecc.) in mancanza delle infrazioni». Benché la Commissione sostenga, al punto 660 della decisione impugnata, che è evidente che le intese, dal momento che sono state poste in atto, hanno avuto un impatto reale, il che suggerisce di per sé un impatto sul mercato, e sebbene essa abbia respinto, ai punti 661‑669, gli argomenti delle imprese interessate diretti a dimostrare gli effetti limitati delle intese, si deve constatare che nella decisione impugnata non si è tenuto conto dell’eventuale impatto sul mercato al fine di valutare la gravità delle infrazioni.

217    Invero, al punto 671 della decisione impugnata la Commissione fonda la propria conclusione relativa alla valutazione della gravità delle infrazioni esclusivamente sulla natura delle stesse e sulla loro estensione geografica. Infatti, in tale punto la Commissione conclude che, «[t]enuto conto della natura delle infrazioni e del fatto che ognuna di esse riguardava l’intero ambito territoriale di uno Stato membro (Belgio, Germania, Lussemburgo o Paesi Bassi) (…), [si deve ritenere che] ciascun destinatario abbia commesso una o più infrazioni molto gravi all’articolo 81 CE».

218    È giocoforza constatare che le ricorrenti non dimostrano che l’impatto concreto delle intese fosse misurabile nel caso di specie, dato che si limitano a sottolineare, nella replica, che esisterebbero vari metodi scientifici per calcolare l’impatto economico di un’intesa, ma affermano solo che gli effetti sono stati necessariamente limitati. A tal riguardo, le circostanze invocate dalle ricorrenti, relative alle riduzioni di prezzo, alla fluttuazione delle quote di mercato o ancora al mancato rispetto o all’inefficacia degli accordi (v. punto 212 supra), quand’anche dimostrate, non consentono di concludere che gli effetti delle intese fossero misurabili sui mercati interessati, tanto più che le ricorrenti non contestano le affermazioni della Commissione secondo le quali nella fattispecie era impossibile stabilire con sufficiente certezza i parametri concorrenziali applicabili in mancanza delle infrazioni.

219    Pertanto, le ricorrenti non hanno dimostrato che , nel caso di specie, la Commissione avesse l’obbligo, conformemente agli orientamenti del 1998 e alla giurisprudenza citata supra al punto 214, di tenere conto dell’impatto concreto delle infrazioni al fine di valutarne la gravità.

220    Inoltre, anche supponendo che l’impatto concreto delle infrazioni fosse misurabile e che gli argomenti delle ricorrenti riportati ai punti 211 e 212 supra siano fondati, in quanto dimostrerebberoche le intese hanno avuto un impatto limitato sui mercati interessati, si deve constatare che la qualificazione delle infrazioni in esame come «molto gravi» risulterebbe comunque adeguata.

221    Anzitutto, occorre rilevare che, a prescindere dalla struttura asseritamente varia delle intese, le infrazioni accertate nella decisione impugnata rientrano per loro stessa natura nel novero delle violazioni più gravi dell’art. 81 CE, in quanto avevano ad oggetto un «accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili (tranne in Germania, dove l’attività di manutenzione e di ammodernamento non è stata oggetto di discussioni tra i membri dell’intesa» (punto 658 della decisione impugnata). A tal riguardo, gli orientamenti del 1998 indicano che le infrazioni «molto gravi» consistono essenzialmente in restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati, o in altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato interno. Le intese di questo tipo rientrano tra gli esempi di intese espressamente dichiarate incompatibili con il mercato comune dall’art. 81, n. 1, lett. c), CE. Oltre alla grave alterazione del gioco della concorrenza che esse comportano, queste intese, in quanto obbligano le parti a rispettare mercati distinti, spesso delimitati dalle frontiere nazionali, provocano l’isolamento di questi mercati, ostacolando così l’obiettivo principale del Trattato CE di integrazione del mercato comune. Anche infrazioni di questo tipo, in particolare quando si tratta di intese orizzontali, sono qualificate dalla giurisprudenza come «particolarmente gravi» o come «infrazioni patenti» (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑148/89, Tréfilunion/Commissione, Racc. pag. II‑1063, punto 109; 15 settembre 1998, cause riunite T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, European Night Services e a./Commissione, Racc. pag. II‑3141, punto 136, e 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, Racc. pag. II‑2917, punto 85).

222    Inoltre, da una costante giurisprudenza risulta che l’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è un criterio decisivo ai fini della valutazione della gravità di un’infrazione. Elementi attinenti all’intenzionalità possono essere più rilevanti di quelli relativi ai detti effetti, soprattutto quando si tratti di violazioni intrinsecamente gravi, quali la ripartizione dei mercati (sentenze della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑194/99 P, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. I‑10821, punto 118, e Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punto 96; sentenze del Tribunale 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 199, e Degussa/Commissione, cit. al punto 95 supra, punto 251).

223    La natura dell’infrazione svolge quindi un ruolo preminente, in particolare, al fine di qualificare le infrazioni come «molto gravi». Dalla descrizione delle infrazioni molto gravi operata negli orientamenti del 1998 risulta che accordi o pratiche concordate miranti specificamente, come nel caso de quo, alla ripartizione dei mercati possono già solo per questa loro natura essere qualificati come «molto gravi», senza che sia necessario che tali comportamenti siano caratterizzati da un impatto o da un’estensione geografica particolare (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punto 75). Tale conclusione è corroborata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni gravi sono espressamente menzionati l’impatto sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni molto gravi, per contro, non si menziona alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica (v., in tal senso, sentenza Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 171 e la giurisprudenza ivi citata). In questo contesto, si deve respingere la tesi delle ricorrenti per cui, nella fattispecie, si sarebbe trattato non di ripartizione dei mercati, bensì «principalmente di accordi sulle quote», dato che un congelamento delle quote di mercato implica necessariamente una previa ripartizione dei mercati interessati.

224    Dunque, in considerazione del loro oggetto, le infrazioni sulle quali verte la decisione impugnata sono, per loro natura, molto gravi, anche se dovesse essere accertato che le intese non riguardavano l’intero mercato dei prodotti interessati e non hanno portato a tutti gli effetti sperati.

225    Inoltre, poiché una prassi decisionale della Commissione non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenze della Corte 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione, Racc. pag. I‑8935, punti 201 e 205, e 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 60; sentenza Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 92) e, in ogni caso, alla luce dell’esame svolto ai punti 221‑224 supra, deve essere respinto l’argomento delle ricorrenti relativo alla prassi decisionale della Commissione secondo il quale l’infrazione in Lussemburgo, tenuto conto delle dimensioni ridotte di detto Stato membro, avrebbe dovuto essere qualificata come «grave». A tal proposito si deve rilevare, inoltre, che è in particolare la presa in considerazione delle «[d]imensioni del mercato lussemburghese rispetto ad altri Stati membri» (punto 666 della decisione impugnata) ad avere indotto la Commissione a fissare un importo di partenza generale per tale infrazione che rappresenta la metà del limite minimo di EUR 20 milioni normalmente previsto dagli orientamenti per questo tipo di infrazione molto grave (v. punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti del 1998).

226    Infine, anche ammesso che la Commissione abbia voluto tenere conto di tale criterio facoltativo rappresentato dall’impatto dell’infrazione sul mercato e dovesse quindi apportare nella decisione impugnata indizi concreti, credibili e sufficienti che consentissero di valutare quale effettiva influenza abbia potuto avere l’infrazione sul gioco della concorrenza nel mercato (sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punto 82), si deve osservare che essa ha comunque adempiuto tale obbligo.

227    Infatti, dalla decisione impugnata risulta che, per quanto riguarda l’infrazione in Belgio, la Commissione ha in particolare constatato che gli accordi anticoncorrenziali riguardavano tutti i segmenti del mercato degli ascensori e delle scale mobili, indipendentemente dal valore del progetto, e che, tenuto conto dell’elevata quota di mercato complessiva delle imprese interessate (punto 50 della decisione impugnata), queste ultime non correvano seri rischi di dover affrontare una pressione concorrenziale esercitata da imprese più piccole di ascensori e di scale mobili, che impedisse loro di fissare prezzi sovraconcorrenziali aventi un impatto sul mercato (punto 662 della decisione impugnata). Essa ha inoltre rilevato che rappresentanti delle quattro imprese si riunivano periodicamente (punti 153 e 160 della decisione impugnata), mantenevano inoltre regolari contatti telefonici su progetti specifici (punto 153 della decisione impugnata) e avevano stabilito un meccanismo di compensazione in caso di differenze tra le quote di mercato concordate e quelle reali (punti 162 e 175 della decisione impugnata). Sono peraltro stati redatti elenchi di progetti, che consentivano alle imprese interessate di verificare e di accertarsi costantemente che tutti rispettassero gli impegni assunti e di effettuare gli adeguamenti necessari allorché non veniva pienamente rispettato quanto convenuto in precedenza (punto 166 della decisione impugnata). Sono inoltre state adottate misure particolarmente elaborate al fine di dissimulare gli accordi (punto 153 della decisione impugnata).

228    Per quanto riguarda l’infrazione in Germania, la Commissione ha rilevato in particolare che i partecipanti all’intesa detenevano, in valore, oltre il 60% del mercato degli ascensori e circa il 100% del mercato delle scale mobili (punti 51 e 232 della decisione impugnata) e che l’obiettivo dell’intesa era congelare le rispettive quote di mercato delle imprese interessate (punti 236 e segg. della decisione impugnata). La Commissione ha inoltre sottolineato la frequenza delle riunioni (punti 217 e 218 della decisione impugnata) e le precauzioni adottate dai partecipanti per dissimulare i loro contatti (punti 219‑221 della decisione impugnata).

229    Per quanto concerne l’infrazione in Lussemburgo, la Commissione ha constatato che le imprese interessate dagli accordi avevano realizzato quasi il 100% delle vendite cumulate di ascensori e scale mobili nel 2003, rilevando al contempo che le controllate locali di Kone, di Otis, di Schindler e di ThyssenKrupp erano le uniche fornitrici con sede in Lussemburgo che offrissero scale mobili (punto 52 della decisione impugnata). Essa ha inoltre sottolineato la frequenza degli incontri (punto 302 della decisione impugnata), le precauzioni adottate per dissimulare le riunioni e i contatti (punti 304‑307 della decisione impugnata) e l’esistenza di un meccanismo di compensazione (punti 317 e 336 della decisione impugnata).

230    Infine, per quanto riguarda l’infrazione nei Paesi Bassi, la Commissione ha evidenziato la quota di mercato cumulata molto elevata dei partecipanti all’intesa (punto 53 della decisione impugnata). Essa ha inoltre sottolineato la frequenza delle riunioni tra i partecipanti (punti 383 e 397‑401 della decisione impugnata), il procedimento di ripartizione elaborato dai partecipanti (punti 411 e segg. della decisione impugnata), le precauzioni adottate per dissimulare i contatti tra partecipanti (punto 391 della decisione impugnata) o ancora l’esistenza di un meccanismo di compensazione de facto (punto 434 della decisione impugnata).

231    Pertanto, la Commissione ha concluso, al punto 660 della decisione impugnata, che il fatto che i vari accordi anticoncorrenziali fossero stati attuati suggeriva di per sé un impatto concreto sul mercato, anche se l’effetto reale era difficile da misurare, non potendosi stabilire, in particolare, se e quanti altri progetti fossero stati oggetto di una manipolazione delle offerte, né quanti progetti potessero essere stati oggetto di una ripartizione tra i membri dell’intesa senza che occorressero contatti tra loro. Essa ha aggiunto che le elevate quote di mercato complessive dei concorrenti indicavano probabili effetti anticoncorrenziali e che la relativa stabilità di tali quote di mercato per l’intera durata delle infrazioni confermerebbe tali effetti.

232    Dalle considerazioni che precedono emerge che gli argomenti delle ricorrenti riportati ai punti 211 e 212 supra non sono atti ad inficiare la legittimità della qualificazione come «molto gravi» delle infrazioni constatate all’art. 1 della decisione impugnata e vanno quindi respinti.

233    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione ignora il principio della presunzione di innocenza, attribuendo alle imprese interessate l’onere della prova della mancanza di incidenza della loro intesa.

234    È giocoforza constatare che, conformemente al punto 1 A degli orientamenti del 1998, spetta alla Commissione dimostrare l’impatto concreto di un’intesa, quando sia misurabile. Tuttavia, nella fattispecie, al punto 660 della decisione impugnata la Commissione ha ritenuto che l’impatto concreto non fosse misurabile e le ricorrenti non hanno validamente contestato tale valutazione (v. punti 211‑232 supra).

235    Pertanto, la mancata presa in considerazione dell’impatto concreto delle infrazioni non ha potuto comportare una violazione del principio della presunzione di innocenza, dato che, nella fattispecie, la gravità delle infrazioni poteva essere determinata, conformemente al punto 1 A degli orientamenti del 1998, senza che occorresse dimostrare tale impatto.

236    Di conseguenza, neanche l’argomento vertente sulla violazione del principio della presunzione di innocenza può essere accolto.

237    Pertanto, tutte le censure relative alla qualificazione delle infrazioni come «molto gravi» devono essere respinte.

 Sull’asserita illegittimità degli importi di partenza delle ammende

238    Le ricorrenti sottolineano che la Commissione ha violato il punto 1 A degli orientamenti del 1998, in quanto non ha tenuto conto, nella decisione impugnata, delle dimensioni del mercato controllato dalle imprese di cui trattasi e interessato dagli accordi al fine di fissare gli importi di base delle ammende. Le ricorrenti lamentano inoltre la mancanza di proporzionalità e di coerenza degli importi di base delle ammende rispetto alle dimensioni del mercato rilevante e al fatturato delle controllate di Schindler. Nella replica le ricorrenti hanno addotto altresì che, a prescindere dalla qualificazione delle infrazioni come «molto gravi», gli argomenti esposti ai punti 211 e 212 supra giustificavano una riduzione degli importi di partenza delle ammende. Esse ritengono inoltre che la Commissione non abbia effettuato una differenziazione sufficiente tra le imprese interessate. Interrogate all’udienza in merito alla portata del loro motivo, le ricorrenti hanno precisato che, diversamente da quanto indicato nelle loro memorie, le loro censure non riguardano gli importi di base delle ammende, bensì gli importi di partenza delle stesse.

239    In particolare, per quanto concerne l’infrazione in Lussemburgo, le ricorrenti ritengono che l’importo di partenza dell’ammenda di EUR 10 milioni sia sproporzionato, dato che rappresenterebbe circa un terzo del volume del mercato lussemburghese interessato dall’intesa. Le ricorrenti aggiungono che tale importo [riservato] (1). Per quel che riguarda l’intesa in Germania, l’importo di partenza specifico corrisponderebbe a [riservato]. Infine, per quanto concerne l’intesa nei Paesi Bassi, le ricorrenti evidenziano l’entità eccessiva dell’importo di partenza specifico dell’ammenda, che rappresenterebbe [riservato], mentre Schindler deterrebbe solo una quota modesta di mercato dei Paesi Bassi.

240    Come è stato ricordato al punto 203 citato supra, gli orientamenti del 1998 prevedono, in primo luogo, la valutazione della gravità dell’infrazione in quanto tale, sulla cui base può essere fissato «un importo di partenza generale» (punto 1 A, secondo comma). In secondo luogo, la gravità è esaminata in relazione alle caratteristiche dell’impresa interessata, in particolare rispetto alle sue dimensioni e alla sua posizione sul mercato rilevante, il che può comportare la ponderazione dell’importo di partenza, la classificazione delle imprese in categorie e la fissazione di un importo di partenza specifico (punto 1 A, dal terzo al settimo comma, sentenza Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 73).

241    A tal proposito, si deve anzitutto osservare che le censure delle ricorrenti relative alla violazione degli orientamenti del 1998 o del principio di proporzionalità, per la mancata presa in considerazione delle dimensioni dei mercati interessati dagli accordi, e alla mancanza di coerenza degli importi di partenza delle ammende rispetto alle dimensioni dei mercati in questione riguardano gli importi di partenza generali delle ammende, dato che vertono sulla gravità intrinseca delle infrazioni. Lo stesso può dirsi per le censure concernenti la struttura degli accordi o il loro impatto limitato, che, sebbene siano state sollevate al fine di contestare la qualificazione come «molto gravi» delle infrazioni, giustificherebbero, secondo le ricorrenti, una riduzione degli importi di partenza delle ammende. Inoltre, le censure delle ricorrenti relative alla mancanza di proporzionalità degli importi di partenza delle ammende e alla loro mancanza di coerenza rispetto ai fatturati delle controllate di Schindler o all’insufficiente differenziazione tra le imprese interessate riguardano la determinazione degli importi di partenza specifici delle ammende, poiché vertono sulla classificazione delle imprese per categoria. Infine, le ricorrenti deducono un motivo fondato sulla carenza di motivazione della decisione impugnata per quanto concerne la determinazione degli importi di partenza delle ammende.

–       Sull’asserita carenza di motivazione

242    Le ricorrenti hanno sostenuto, nelle loro memorie, che gli importi di base delle ammende utilizzati nella decisione impugnata non sono motivati. Come si è indicato al punto 238 supra, dalle spiegazioni fornite dalle ricorrenti in udienza è emerso tuttavia che la loro censura riguarda la carenza di motivazione degli importi di partenza delle ammende. Le ricorrenti non sarebbero state in grado di verificare su quali principi e basi materiali siano stati determinati detti importi. Poiché gli importi di partenza costituiscono la base dei calcoli successivi, la meticolosità con cui la Commissione calcola gli aumenti e le riduzioni dell’importo di partenza sarebbe priva di qualsiasi utilità se tale importo venisse fissato arbitrariamente.

243    Emerge da una costante giurisprudenza che il requisito di forma sostanziale costituito dall’obbligo di motivazione è soddisfatto quando la Commissione precisa, nella sua decisione, gli elementi di giudizio che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione, senza essere tenuta ad inserirvi una spiegazione più dettagliata ovvero i dati relativi al metodo di calcolo dell’ammenda (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punto 44, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 149 supra, punti 463 e 464; sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 131).

244    Orbene, la Commissione ha anzitutto esposto, ai punti 657‑671 della decisione impugnata, che gli importi di partenza delle ammende sono stati determinati tenendo conto della natura delle infrazioni e dell’estensione del mercato geografico interessato. Inoltre, dai punti 672‑685 della decisione impugnata risulta che la Commissione ha analizzato la gravità delle infrazioni rispetto alle caratteristiche dei partecipanti procedendo, per ciascuna infrazione, ad una differenziazione tra le imprese interessate in funzione dei loro fatturati relativi ai prodotti costituenti l’oggetto dell’intesa nel paese interessato dall’infrazione.

245    Gli elementi di valutazione che hanno permesso alla Commissione di quantificare la gravità delle infrazioni accertate sono stati pertanto sufficientemente indicati nella decisione impugnata. Ciò posto, occorre rigettare il motivo relativo alla violazione dell’art. 253 CE.

–       Sugli importi di partenza generali delle ammende

246    Anzitutto, si deve sottolineare che le ricorrenti non contestano la legittimità della metodologia esposta nel punto 1 A degli orientamenti del 1998, relativa alla determinazione degli importi di partenza generali delle ammende. Orbene, detta metodologia risponde ad una logica forfettaria secondo cui l’importo di base generale dell’ammenda, determinato sulla base della gravità dell’infrazione, viene calcolato in funzione della natura e dell’estensione geografica dell’infrazione, nonché del suo impatto concreto sul mercato quando sia misurabile (sentenze del Tribunale BASF/Commissione, cit. al punto 243 supra, punto 134, e 6 maggio 2009, causa T‑116/04, Wieland-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑1087, punto 62).

247    Inoltre, le dimensioni del mercato rilevante non costituiscono, in linea di principio, un fattore indispensabile, ma solo uno fra più fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione, e la Commissione non è peraltro obbligata, secondo la giurisprudenza, a procedere ad una delimitazione del mercato rilevante o ad una valutazione delle sue dimensioni, dal momento che l’infrazione in questione ha un oggetto anticoncorrenziale (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punti 55 e 64). Pertanto, ai fini della determinazione dell’importo di partenza generale dell’ammenda, la Commissione può, senza peraltro esservi obbligata, tenere conto del valore del mercato oggetto dell’infrazione (v., in tal senso, sentenze BASF/Commissione, cit. al punto 243 supra, punto 134, e Wieland-Werke/Commissione, cit. al punto 246 supra, punto 63). Infatti, gli orientamenti del 1998 non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, essi non ostano nemmeno a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione e qualora le circostanze lo richiedano (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. al punto 118 supra, punto 187).

248    Alla luce delle suesposte considerazioni, gli argomenti delle ricorrenti devono essere respinti nella parte in cui invocano l’asserito carattere eccessivo degli importi di partenza delle ammende fissati per l’infrazione in Lussemburgo. Infatti, i fatturati realizzati in tale Stato membro sono stati presi in considerazione al fine di classificare le imprese interessate in categorie e, pertanto, al fine di fissare gli importi delle ammende di partenza specifici per tali imprese (punti 680 e 684 della decisione impugnata). In ogni caso, come è stato indicato al punto 225 supra, è in particolare la presa in considerazione delle «[d]imensioni del mercato lussemburghese rispetto ad altri Stati membri» (punto 666 della decisione impugnata) che ha indotto la Commissione a fissare un importo di partenza generale per tale infrazione che rappresenta la metà del limite minimo di EUR 20 milioni normalmente previsto dagli orientamenti per questo tipo di infrazione molto grave (v. punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti del 1998).

249    In secondo luogo, le ricorrenti evidenziano che la determinazione degli importi generali di partenza per le diverse intese non è coerente e specificano che l’importo di partenza è sproporzionato rispetto al volume del mercato in Lussemburgo.

250    Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale argomento soddisfa i requisiti di cui all’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura. Infatti, con tale argomento, le ricorrenti sottolineano che, supponendo che le diverse infrazioni dovessero essere considerate analoghe, la Commissione avrebbe dovuto applicare, in particolare per l’infrazione in Lussemburgo, un importo di partenza analogo, espresso in percentuale sulle dimensioni del mercato, agli importi di partenza utilizzati per le altre infrazioni.

251    Si deve rammentare che, riguardo alla logica forfettaria soggiacente alla metodologia esposta al punto 1 A degli orientamenti del 1998, la Commissione, quando stabilisce l’importo di partenza generale dell’ammenda, non è obbligata a tener conto della dimensione del mercato di cui trattasi (v. precedenti punti 246 e 247).

252    Anche ammesso che la Commissione, quando constata più infrazioni molto gravi in un’unica decisione, debba garantire una certa coerenza tra gli importi di partenza generali e le dimensioni dei vari mercati di cui trattasi, nella fattispecie nulla indica che gli importi di partenza generali fissati per le infrazioni in Belgio, in Germania, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi siano privi di coerenza.

253    Infatti, la Commissione ha fissato importi di partenza generali tanto maggiori quanto maggiore era la dimensione del mercato, pur senza attenersi ad una formula matematica precisa, cosa a cui non era comunque tenuta. Per il mercato più importante, quello della Germania, che rappresenta EUR 576 milioni, l’importo di partenza generale è stato fissato in EUR 70 milioni; per i due mercati seguenti in ordine di importanza, quelli dei Paesi Bassi e del Belgio, che rappresentano rispettivamente EUR 363 milioni ed EUR 254 milioni, l’importo di partenza generale è stato fissato, rispettivamente, in EUR 55 milioni ed in EUR 40 milioni; infine, per quanto concerne il mercato lussemburghese, di dimensioni manifestamente più ridotte, con un valore di EUR 32 milioni, la Commissione, benché gli orientamenti del 1998 prevedano per le infrazioni molto gravi la fissazione di un importo a titolo della gravità in «oltre (...) 20 milioni di [EUR]», ha ritenuto opportuno limitare tale importo ad EUR 10 milioni.

254    In terzo luogo, le ricorrenti hanno sottolineato che l’incidenza minima delle infrazioni giustificava la determinazione di un importo di partenza più contenuto. Anche tale argomentazione dev’essere respinta. Infatti, come è stato ricordato ai punti 213‑219 supra, nel valutare la gravità dell’infrazione la Commissione deve procedere ad un esame dell’impatto concreto sul mercato unicamente quando risulti che tale impatto è misurabile, ipotesi che non ricorre nel presente caso. Inoltre, come si è rilevato ai punti 220‑224 supra, anche ammesso che nella fattispecie l’impatto concreto delle infrazioni fosse misurabile, la qualificazione delle infrazioni in esame come «molto gravi» risulterebbe comunque adeguata. Orbene, le ricorrenti non adducono altri argomenti che consentano di giustificare, malgrado la qualificazione delle infrazioni come «molto gravi», una riduzione dell’importo di partenza generale delle ammende comminate dalla Commissione.

–       Sugli importi di partenza specifici delle ammende

255    Occorre rammentare che, nell’ambito del calcolo delle ammende inflitte ai sensi dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, un trattamento differenziato tra le imprese interessate rientra nell’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in forza di tale disposizione. Infatti, nell’ambito del suo margine discrezionale, la Commissione è chiamata a individualizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri delle imprese interessate, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, punto 54 supra, punto 109, e Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, cit. al punto 225 supra, punto 44).

256    Infatti, gli orientamenti del 1998 dispongono che, per un’infrazione di una determinata gravità, può essere opportuno, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, ponderare l’importo di partenza generale per stabilire un importo di partenza specifico tenendo conto del peso e, dunque, dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione (punto 1 A, sesto comma). È necessario, segnatamente, valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori (punto 1 A, quarto comma).

257    Gli orientamenti del 1998 precisano altresì che il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo, in determinate circostanze, all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo rigorosamente aritmetico (punto 1 A, settimo comma).

258    Dalla giurisprudenza risulta che gli orientamenti del 1998 non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato conseguito dalle imprese sul mercato rilevante. Tuttavia, essi non ostano neppure a che siffatti fatturati siano presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione e qualora le circostanze lo richiedano (v., in tal senso, sentenze del Tribunale LR AF 1998/Commissione, punto 112 supra, punto 283, 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. pag. II‑2473, punto 82, e Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 57 supra, punto 157). Inoltre, il Tribunale ha già stabilito che non deve necessariamente esistere una relazione strettamente proporzionale tra la dimensione di ogni impresa e l’importo dell’ammenda che le viene inflitta (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punto 534).

259    Nella specie, dai punti 672‑685 della decisione impugnata risulta che la Commissione ha applicato, per ogni infrazione constatata all’art. 1 della decisione impugnata, «un trattamento differenziato alle imprese al fine di tenere conto dell’effettiva capacità economica dei contravventori di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza» (punto 672 della decisione impugnata). Per ciascuna infrazione, essa ha proceduto a una classificazione delle imprese per stabilire gli importi di partenza specifici dell’ammenda, in funzione del loro volume d’affari realizzato su ciascun mercato nazionale dei prodotti di cui trattasi (punti 673‑685 della decisione impugnata). Ad eccezione della fissazione dell’importo di partenza specifico per Schindler in ragione della sua partecipazione all’intesa in Germania, la Commissione, per stabilire gli importi di partenza specifici delle altre imprese, si è basata per ciascuna infrazione sul fatturato del 2003, che, secondo la stessa Commissione, è l’ultimo anno in cui dette imprese sono state membri attivi delle intese di cui trattasi (punti 674, 676, 680 e 684 della decisione impugnata).

260    Tuttavia, le ricorrenti sostengono che, per quanto concerne le infrazioni in Germania, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi, la determinazione dell’importo di partenza specifico delle ammende per la loro partecipazione all’infrazione considerata si basa su un’applicazione erronea degli orientamenti del 1998 ed è sproporzionata. Esse adducono inoltre che le imprese interessate non sono state sufficientemente differenziate.

261    In primo luogo, relativamente alle infrazioni in Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, le ricorrenti invocano la violazione degli orientamenti del 1998 e del principio di proporzionalità [riservato].

262    Orbene, da un lato, come risulta dal precedente punto 244, l’importo di partenza generale delle ammende è stato determinato tenendo conto della natura delle infrazioni e dell’estensione del mercato geografico rilevante. Dall’altro, i fatturati realizzati dalle imprese di cui trattasi sul mercato tedesco sono stati presi in considerazione dalla Commissione unicamente nell’applicazione di un trattamento differenziato alle imprese interessate, al fine di tenere conto della loro importanza relativa sul mercato rilevante e della loro effettiva capacità economica di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza (punto 672 della decisione impugnata), il che, peraltro, è conforme alla giurisprudenza citata supra ai punti 255 e 258. Il confronto operato dalle ricorrenti tra i fatturati che avrebbero conseguito sul mercato rilevante e l’importo di partenza delle ammende non può essere di conseguenza ammesso.

263    Pertanto, e poiché in ogni caso il diritto dell’Unione non contempla un principio di applicazione generale secondo cui la sanzione dev’essere proporzionata all’importanza dell’impresa sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. al punto 118 supra, punto 75), l’argomento fondato sul carattere eccessivo dell’importo di partenza specifico imposto a Schindler per l’infrazione in Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi dev’essere respinto.

264    In secondo luogo, per quanto concerne l’infrazione in Lussemburgo, le ricorrenti sottolineano che Schindler è stata classificata nella stessa categoria di Otis, mentre quest’ultima, con un fatturato di EUR 9‑13 milioni realizzato in Lussemburgo e una quota di mercato del 35‑40%, disporrebbe di una potenza economica ben superiore.

265    A tal riguardo, occorre rammentare che, per verificare se la ripartizione in categorie dei membri di un’intesa sia conforme ai principi di parità di trattamento e di proporzionalità, il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve tuttavia limitarsi a verificare che la detta ripartizione sia coerente ed oggettivamente giustificata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II-913, punti 406 e 416; BASF/Commissione, cit. al punto 243 supra, punto 157, e Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, cit. al punto 83 supra, punto 184). Inoltre, come menzionato al precedente punto 258, secondo gli orientamenti del 1998, il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo rigorosamente aritmetico (punto 1 A, settimo comma). A tal riguardo, come risulta dal precedente punto 258, non deve necessariamente esistere una relazione strettamente proporzionale tra la dimensione di ogni impresa e l’importo dell’ammenda che le viene inflitta.

266    Nel caso di specie, va rilevato che, come risulta dal punto 680 della decisione impugnata, nel 2003 i fatturati di Schindler e di Otis sul mercato lussemburghese erano relativamente simili ed entrambi inferiori di tre o quattro volte a quelli di Kone e di ThyssenKrupp sullo stesso mercato. Pertanto, classificando Schindler e Otis nella prima categoria e Kone e ThyssenKrupp nella seconda, la Commissione non ha manifestamente superato i limiti del potere discrezionale ad essa attribuito, dato che siffatta classificazione risulta coerente ed obiettivamente giustificata.

267    In terzo luogo, con riguardo all’infrazione nei Paesi Bassi, le ricorrenti sostengono che la loro esigua quota di mercato in detto Stato membro «non è stata presa in considerazione in maniera evidente». L’importo di partenza rappresenterebbe [riservato], nonostante la sua quota di mercato [riservato].

268    È giocoforza constatare che, tenuto conto della notevole differenza esistente tra i fatturati realizzati dai partecipanti all’intesa nei Paesi Bassi, la Commissione non ha manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale dividendo tali partecipanti in quattro categorie ai fini della fissazione dell’importo di partenza specifico delle ammende e classificando Schindler, in quanto terzo operatore sul mercato olandese del prodotto interessato, nella terza categoria.

269    Dalle precedenti considerazioni consegue che devono essere respinte tutte le censure relative alla determinazione degli importi di partenza specifici delle ammende imposte alle ricorrenti.

270    Pertanto, il presente motivo dev’essere integralmente respinto.

 Sul motivo vertente sulla violazione degli orientamenti del 1998, del principio di adeguatezza tra la colpa e la pena, del principio di proporzionalità e dell’obbligo di motivazione nell’ambito della valutazione delle circostanze attenuanti

271    Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato gli orientamenti del 1998, i principi di adeguatezza tra la colpa e la pena e di proporzionalità, nonché l’obbligo di motivazione, rifiutando erroneamente di prendere in considerazione come circostanza attenuante, in primis, la cessazione volontaria anticipata dell’infrazione in Germania nel 2000 e, in secundis, gli intensi sforzi compiuti da Schindler per evitare qualsiasi infrazione all’art. 81 CE.

272    In primo luogo, per quanto riguarda la cessazione volontaria anticipata dell’infrazione, la Commissione ha constatato nella decisione impugnata che «Schindler ha abbandonato l’intesa tedesca nel 2000», ma ha osservato che «[i]l fatto che un’impresa ponga fine volontariamente all’infrazione prima che la Commissione abbia avviato la propria indagine viene preso sufficientemente in considerazione nel calcolo della durata dell’infrazione e non costituisce una circostanza attenuante» (punto 742 della decisione impugnata).

273    Le ricorrenti rammentano che gli orientamenti del 1998 prevedono, al punto 3, la riduzione dell’importo di base in presenza di circostanze attenuanti quali, in particolare, la cessazione delle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione. Tale circostanza attenuante dovrebbe a fortiori applicarsi quando la cessazione del comportamento illecito si verifica prima dei detti interventi, come nella fattispecie.

274    Tale argomentazione non può essere accolta. In proposito, la Corte ha recentemente confermato che una circostanza attenuante non può essere concessa ai sensi del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti del 1998 nel caso in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente ai primi interventi della Commissione (sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 198 supra, punto 105). Infatti, si può logicamente parlare di una circostanza attenuante, ai sensi del punto 3 degli orientamenti del 1998, soltanto se le imprese di cui trattasi sono state indotte a terminare i loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi della Commissione. Tale disposizione mira a indurre le imprese a cessare i loro comportamenti anticoncorrenziali immediatamente quando la Commissione avvia un’indagine in proposito, di modo che una riduzione di ammenda a tale titolo non può essere applicata quando l’infrazione è già terminata anteriormente alla data dei primi interventi della Commissione. Infatti, l’applicazione di una riduzione in tali circostanze costituirebbe una ripetizione della presa in considerazione della durata delle infrazioni per calcolare l’importo delle ammende (sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑2395, punti 328‑330, e Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 227).

275    Occorre inoltre ricordare che la concessione di una siffatta diminuzione dell’importo di base dell’ammenda è necessariamente connessa alle circostanze della specie che possono indurre la Commissione ad escludere che un’impresa partecipante ad un accordo illecito possa avvalersene (sentenza della Corte 9 luglio 2009, causa C‑511/06 P, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. I‑5843, punto 104). A questo proposito, l’applicazione di tale disposizione degli orientamenti a favore di un’impresa sarà particolarmente adeguata in una situazione in cui il carattere anticoncorrenziale del comportamento di cui trattasi non sia manifesto. Diversamente, la sua applicazione sarà meno adeguata, in via di principio, in una situazione in cui questo è chiaramente anticoncorrenziale, ammesso che esso sia accertato (sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 281, 14 dicembre 2006, cause riunite T‑259/02‑T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 497, e Carbone‑Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 228). In tal senso, riconoscere il beneficio di una circostanza attenuante in fattispecie in cui un’impresa sia partecipe di un accordo manifestamente illegittimo, di cui sapesse o non potesse ignorare che costituiva un’infrazione, potrebbe indurre le imprese a perseguire un accordo segreto fintantoché possibile, nella speranza che il loro comportamento non venga mai scoperto, nella consapevolezza che, in caso di scoperta del loro comportamento, potrebbero ottenere una riduzione dell’ammenda interrompendo a quel punto l’infrazione. Un siffatto riconoscimento priverebbe l’ammenda inflitta di qualsivoglia effetto dissuasivo e pregiudicherebbe l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE (v. sentenza 9 luglio 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, cit., punto 105 e la giurisprudenza ivi citata). Nella fattispecie, neanche la cessazione immediata dell’infrazione da parte di un’altra impresa, vale a dire Kone, in seguito all’intervento della Commissione è stata valutata nella decisione impugnata come una circostanza attenuante, tenuto conto della natura manifesta e deliberata dell’infrazione all’art. 81 CE (punto 744 della decisione impugnata).

276    Così, anche a supporre che gli orientamenti del 1998 prevedessero quale circostanza attenuante la cessazione volontaria dell’infrazione prima di qualsiasi intervento della Commissione, si sarebbe potuto legittimamente ritenere che anche il carattere manifesto e deliberato dell’infrazione, che non è stato contestato dalle ricorrenti, nonché il fatto che Schindler abbia abbandonato l’intesa, secondo quanto emerge dagli atti, unicamente a motivo di un disaccordo con gli altri partecipanti, dovuto al loro rifiuto di concederle una quota di mercato superiore, ostino ad una riduzione dell’importo di partenza per tale motivo. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non occorre comunque rimettere in discussione la giurisprudenza citata al punto 274 supra.

277    Infine, le ricorrenti si riferiscono alla prassi decisionale anteriore della Commissione, nell’ambito della quale la stessa avrebbe considerato come circostanza attenuante la cessazione volontaria di un’infrazione prima di qualsiasi intervento da parte sua.

278    A tal proposito, come è stato ricordato al punto 225 supra, le precedenti decisioni della Commissione dedotte dalle ricorrenti sono inconferenti, atteso che la prassi decisionale anteriore della Commissione non costituisce il contesto di diritto delle ammende in materia di concorrenza.

279    La prima censura sollevata nel contesto del presente motivo deve quindi essere respinta.

280    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha preso in considerazione, e nemmeno esaminato, il programma di adeguamento alle regole di concorrenza di Schindler in quanto circostanza attenuante, il che costituirebbe una carenza di motivazione. Inoltre, le ricorrenti ritengono che nel calcolo delle ammende debba tenersi conto delle misure dirette a garantire l’adeguamento alle regole di concorrenza, poiché, da un lato, le ricorrenti, adottando misure interne, avrebbero fatto tutto il possibile per evitare infrazioni e, dall’altro, siffatte misure avrebbero avuto l’effetto secondario di rendere più difficile l’accertamento interno delle infrazioni, dato che i collaboratori rischiavano di essere sanzionati. Le ricorrenti fanno inoltre riferimento a talune decisioni anteriori della Commissione, nelle quali l’esistenza di un programma di adeguamento alle regole di concorrenza sarebbe stato preso in considerazione in quanto circostanza attenuante.

281    Per quanto concerne l’asserita violazione dell’obbligo di motivazione, si deve rilevare che al punto 754 della decisione impugnata è stato esposto che, «[s]ebbene la Commissione accolga favorevolmente le misure adottate dalle imprese per evitare ulteriori infrazioni connesse alle intese, tali misure non possono mutare la realtà delle infrazioni e la necessità di sanzionarle nella presente decisione» e che «[i]l semplice fatto che in alcune decisioni precedenti la Commissione abbia preso in considerazione siffatte misure in quanto circostanze attenuanti non significa che essa sia tenuta a fare lo stesso in tutti i casi». Anche se il punto 754 della decisione impugnata costituisce una risposta ad un argomento di Otis riportato al punto 753, esso consente anche alle ricorrenti di conoscere i motivi per i quali nemmeno il programma di Schindler di adeguamento alle regole di concorrenza, al pari di quello di Otis, poteva essere considerato una circostanza attenuante e al Tribunale di esercitare il suo controllo di legittimità sulle ammende inflitte alle società del gruppo Schindler. Pertanto, l’argomento relativo ad una carenza di motivazione deve essere respinto (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63).

282    Con riguardo alla fondatezza dell’approccio della Commissione, è già stato dichiarato che l’adozione di un programma di messa in conformità da parte dell’impresa interessata non obbliga la Commissione a concedere una riduzione dell’ammenda in ragione di detta circostanza (sentenza BASF e UCB/Commissione, punto 143 supra, punto 52). Inoltre, se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto dell’Unione in materia di concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è quindi tenuta a considerare tale elemento come circostanza attenuante, tanto più quando le infrazioni accertate nella decisione impugnata costituiscono, come nella fattispecie, una manifesta violazione dell’art. 81 CE (v. sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 88 supra, punto 373, e Carbone‑Lorraine/Commissione, punto 200 supra, punto 231). Ne consegue che l’argomento delle ricorrenti, vertente sul fatto che la Commissione avrebbe trascurato la necessità di stabilire individualmente l’importo delle ammende, non concedendo riduzioni delle ammende a Schindler con riguardo all’esistenza del suo programma di messa in conformità della stessa, non può essere accolto.

283    Infine, l’argomento relativo alla prassi anteriore della Commissione deve essere respinto per i motivi illustrati supra al punto 278.

284    La seconda censura sollevata nell’ambito del presente motivo non può dunque neanch’essa essere accolta.

285    Dal momento che le ricorrenti hanno sollevato censure vertenti sull’inadeguatezza tra la colpa e la pena e sulla violazione del principio di proporzionalità soltanto a causa dell’omessa considerazione di tutte le circostanze attenuanti, tali censure devono, alla luce delle considerazioni svolte ai precedenti punti 272‑284,essere respinte .

286    Risulta da quanto precede che il presente motivo va interamente respinto.

 Sul motivo vertente sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione nel contesto della concessione di riduzioni degli importi delle ammende

287    Le ricorrenti rammentano di aver presentato domande al fine di beneficiare di una immunità dalle ammende o di una riduzione dell’importo delle stesse, ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per quanto riguarda il Belgio, la Germania ed il Lussemburgo. Tuttavia, la Commissione avrebbe violato le disposizioni di detta comunicazione valutando la qualità e l’utilità della loro cooperazione. Le ricorrenti affermano anche che la Commissione avrebbe violato il principio della parità di trattamento nella valutazione della riduzione dell’ammenda applicabile ai sensi di detta comunicazione. Le ricorrenti adducono altresì il difetto di motivazione della decisione impugnata.

 Sulla comunicazione sulla cooperazione del 2002

288    Si deve rilevare che, nella comunicazione sulla cooperazione del 2002, la Commissione ha definito le condizioni alle quali le imprese che cooperano con essa ai fini dell’accertamento di un’intesa possono evitare l’imposizione dell’ammenda o beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda che altrimenti avrebbero dovuto versare.

289    Anzitutto, la comunicazione sulla cooperazione del 2002, nella sezione A, punto 8, dispone quanto segue:

«La Commissione concederà ad un’impresa l’immunità da qualsiasi ammenda che le sarebbe altrimenti stata inflitta, se:

290    a)     l’impresa è la prima a presentare elementi di prova che secondo la Commissione possono consentirle di adottare una decisione per svolgere un accertamento ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 17 in relazione a una presunta intesa riguardante la Comunità; oppureb) l’impresa è la prima a presentare elementi di prova che secondo la Commissione possono consentirle di constatare un’infrazione dell’articolo 81 CE in relazione a una presunta intesa riguardante la Comunità».Inoltre, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 prevede, nella sezione B, punto 20, che «[l]e imprese che non soddisfano i requisiti [per la concessione di un’immunità dall’ammenda] indicati nella sezione A di cui sopra possono beneficiare di una riduzione dell’importo di un’ammenda che sarebbe altrimenti stata inflitta» e, al punto 21, che, «[a]l fine di poter beneficiare di un simile trattamento, un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che costituiscano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione, e deve inoltre cessare la presunta infrazione al massimo entro il momento in cui presenta tali elementi di prova».

291    Per quanto riguarda il concetto di valore aggiunto, al punto 22 della comunicazione sulla cooperazione del 2002 si precisa quanto segue:

«Il concetto di “valore aggiunto” si riferisce alla misura in cui gli elementi di prova forniti rafforzano, per la loro stessa natura e/o per il loro grado di precisione, la capacità della Commissione di dimostrare i fatti in questione. Nel procedere a tale valutazione, la Commissione riterrà di norma che gli elementi di prova scritti risalenti al periodo a cui si riferiscono i fatti abbiano un valore maggiore degli elementi di prova venuti ad esistenza successivamente. Analogamente, gli elementi di prova direttamente legati ai fatti in questione saranno in genere considerati come più importanti di quelli che hanno solo un legame indiretto».

292    Il punto 23, lett. b), primo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002 prevede una classificazione in tre categorie ai fini della riduzione delle ammende:

«–       [p]rima impresa a soddisfare la condizione di cui al punto 21: riduzione del 30‑50%,

–       [s]econda impresa a soddisfare la condizione di cui al punto 21: riduzione del 20‑30%,

–       [a]ltre imprese che soddisfano la condizione di cui al punto 21: riduzione massima del 20%».

293    Il punto 23, lett. b), secondo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002 dispone quanto segue:

«Al fine di definire il livello della riduzione all’interno di queste forcelle, la Commissione terrà conto della data in cui gli elementi di prova che soddisfano le condizioni menzionate al punto 21 le sono stati comunicati e del grado di valore aggiunto che detti elementi hanno rappresentato. La Commissione potrà anche tenere conto dell’entità e della continuità della cooperazione dimostrata dall’impresa a partire della data del suo contributo».

294    Infine, il punto 23, lett. b), ultimo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002 così recita:

«[S]e un’impresa fornisce elementi di prova relativi a fatti in precedenza ignorati dalla Commissione che hanno un’incidenza diretta sulla gravità o la durata della presunta intesa, la Commissione non terrà conto di questi elementi nel determinare l’importo di eventuali ammende da infliggere all’impresa che li ha forniti».

 Sul margine di discrezionalità della Commissione e sul controllo del giudice dell’Unione

295    Si deve ricordare che l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, che costituisce la base giuridica per l’imposizione delle ammende in caso di infrazione alle regole del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, conferisce alla Commissione un margine di valutazione discrezionale nella fissazione delle ammende (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T-229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127), che è, in particolare, funzione della sua politica generale in materia di concorrenza (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 54 supra, punti 105 e 109). Pertanto in questo contesto la Commissione, per assicurare trasparenza e obiettività alle proprie decisioni in materia di ammende, ha adottato e pubblicato la comunicazione sulla cooperazione del 2002. Si tratta di uno strumento destinato a precisare, nel rispetto delle norme di rango superiore, i criteri che essa intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale. Da ciò consegue una autolimitazione di tale potere (v., per analogia, sentenza del Tribunale 30 aprile 1998, causa T‑214/95, Vlaams Gewest/Commissione, Racc. pag. II‑717, punto 89), nella misura in cui compete alla Commissione conformarsi alle regole indicative che essa stessa si è imposta (v., per analogia, sentenza del Tribunale 12 dicembre 1996, causa T‑380/94, AIUFFASS e AKT/Commissione, Racc. pag. II‑2169, punto 57).

296    L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione derivante dall’adozione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 non è tuttavia incompatibile con il mantenimento da parte sua di un margine di valutazione sostanziale (v., in tal senso, sentenza della Corte 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑3921, punto 81, e v., per analogia, sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, cit. al punto 275 supra, punto 224).

297    Infatti, la comunicazione sulla cooperazione del 2002 contiene vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003, come interpretato dalla Corte (v., per analogia, sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, cit. al punto 275 supra, punto 224).

298    Pertanto, si deve rilevare che la Commissione dispone di un ampio margine di valutazione allorché è chiamata a stabilire se gli elementi di prova forniti da un’impresa che abbia espresso la propria intenzione di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione del 2002 costituiscano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 di detta comunicazione (v., in tal senso, sentenza SGL Carbon/Commissione, punto 296 supra, punto 88). Per quanto riguarda il punto 8, lett. a) e b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002, è giocoforza constatare che tale margine di valutazione sostanziale risulta dalla formulazione stessa di detta disposizione, la quale fa espressamente riferimento alla produzione di elementi di prova che, «secondo la Commissione», possono rispettivamente consentirle di adottare una decisione per svolgere un accertamento o di constatare un’infrazione. La valutazione della qualità e dell’utilità della cooperazione fornita da un’impresa comporta infatti valutazioni di fatto complesse (v., in tal senso, sentenze SGL Carbon/Commissione, cit. al punto 296 supra, punto 81, e Carbone-Lorraine/Commissione, cit. al punto 200 supra, punto 271).

299    Analogamente, la Commissione, dopo avere constatato che taluni elementi di prova costituiscono un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002, dispone di un margine di valutazione quando è chiamata a stabilire il livello esatto della riduzione dell’importo dell’ammenda da concedere all’impresa interessata. Infatti, il punto 23, lett. b), primo comma, della detta comunicazione prevede forcelle per la riduzione dell’importo dell’ammenda per le diverse categorie di imprese considerate, mentre il secondo comma di detto punto definisce i criteri cui la Commissione deve attenersi per stabilire il livello di riduzione all’interno di tali margini.

300    Tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispone la Commissione per valutare la cooperazione di un’impresa a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002, solo il manifesto superamento di tale margine può essere censurato dal Tribunale (v., in tal senso, sentenza SGL Carbon/Commissione, cit. al punto 296 supra, punti 81, 88 e 89).

 Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Belgio

301    Schindler, che è stata la quarta impresa a presentare una domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per la sua partecipazione all’infrazione in Belgio (punto 775 della decisione impugnata), non ha beneficiato di una riduzione dell’importo dell’ammenda per la suddetta infrazione (punto 776 della decisione impugnata). Da ciò la Commissione deduce, al punto 776 della decisione impugnata, quanto segue:

«776      Sebbene Schindler abbia comunicato elementi di prova contemporanei sotto forma di elenchi dell’intesa dal 2000 al 2003, questi ultimi non consentono di completare il fascicolo della Commissione, dato che essa disponeva già di elenchi dell’intesa del medesimo periodo. Schindler ha presentato la sua domanda [ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002] il 21 gennaio 2005, vale a dire un anno dopo la prima ispezione in Belgio, in un momento nel quale la Commissione aveva già svolto due serie di accertamenti in Belgio e ricevuto tre domande corroborative [a titolo della suddetta comunicazione]. Peraltro, la natura delle informazioni molto limitate fornite da Schindler per la maggior parte degli elenchi dell’intesa nel 2000‑2003 non ha rafforzato in misura significativa la capacità della Commissione di provare i fatti in questione. Pertanto, le condizioni di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione non sono soddisfatte. Dopo la sua domanda (…), Schindler ha continuato a cooperare con la Commissione, senza tuttavia apportare alcun valore aggiunto significativo».

302    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione ignora, nella decisione impugnata, il fatto che gli elenchi di progetti comunicati da Schindler durante il procedimento amministrativo hanno effettivamente costituito un valore aggiunto ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Anzitutto, detti elenchi non recherebbero le stesse date degli elenchi comunicati da Kone e Otis. Oltre a ciò, gli elenchi di Schindler menzionerebbero molti progetti che non figurerebbero negli elenchi comunicati da Kone e Otis. La Commissione farebbe poi espressamente riferimento, al punto 164 (nota a piè di pagina n. 176) della decisione impugnata, agli elenchi di progetti comunicati da Kone, Otis e Schindler. Inoltre, la Commissione avrebbe tratto conclusioni da un confronto tra gli elenchi di progetti comunicati dalle diverse imprese, il che dimostrerebbe, da un lato, che tutti gli elenchi di progetti comunicati costituiscono elementi di prova rilevanti ai fini dell’accertamento dell’infrazione e, dall’altro, che la Commissione ha potuto provare l’esistenza dell’intesa solo grazie agli elenchi di Kone, Otis e Schindler. Orbene, conformemente al punto 23, lett. b), primo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002, Schindler avrebbe diritto, in quanto quarta impresa ad avere cooperato, ad una riduzione dell’ammenda fino al 20%.

303    Si deve quindi esaminare, alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 300 supra, se la Commissione abbia manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale constatando che gli elementi di prova forniti da Schindler non costituivano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in suo possesso nel momento in cui detta impresa ha presentato la sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

304    A tal proposito, occorre anzitutto rilevare che le ricorrenti, le quali non contestano la concessione dell’immunità dalle ammende a Kone, non rimettono in discussione l’osservazione, formulata al punto 761 della decisione impugnata, secondo cui «le informazioni già fornite da Kone hanno consentito alla Commissione di constatare un’infrazione in Belgio». Alla Commissione erano quindi già pervenuti elementi di prova sufficienti per constatare un’infrazione in Belgio nel momento in cui Schindler ha presentato la sua domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

305    È giocoforza constatare inoltre che le ricorrenti, per dimostrare il valore aggiunto significativo della cooperazione di Schindler, fanno riferimento esclusivamente agli elenchi di progetti del periodo 2000‑2003 trasmessi da tale impresa alla Commissione nell’ambito della sua domanda a titolo della citata comunicazione.

306    Tuttavia, sebbene gli elenchi trasmessi da Schindler recassero date diverse rispetto a quelli forniti da Kone e Otis e sebbene tali elenchi facciano riferimento anche ad alcuni progetti che non erano inclusi in quelli comunicati da Kone e Otis, non si può ritenere che gli elenchi in questione abbiano rafforzato in misura significativa la capacità della Commissione di accertare l’infrazione in Belgio.

307    Infatti, si deve anzitutto sottolineare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha dimostrato l’esistenza dell’intesa relativa agli ascensori e alle scale mobili nuovi in Belgio non solo facendo riferimento agli elenchi di progetti comunicati da Kone, Otis e Schindler, ma anche basandosi sulle osservazioni svolte dai partecipanti all’intesa in Belgio nelle loro domande a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e sulle risposte di alcune imprese alle richieste di informazioni della Commissione (v. note a piè di pagina relative ai punti 163‑168 della decisione impugnata). Gli elenchi di progetti costituiscono quindi solo un elemento di prova tra gli altri nell’ambito dell’accertamento dell’esistenza dell’intesa in Belgio.

308    Inoltre, è pacifico che, nel momento in cui Schindler ha comunicato alla Commissione elenchi di progetti del periodo 2000‑2003, quest’ultima disponeva già di elenchi di progetti dello stesso periodo trasmessi precedentemente da Kone e Otis (punti 164 e 776 della decisione impugnata).

309    Orbene, una dichiarazione che si limiti a corroborare, in una certa misura, una dichiarazione di cui la Commissione disponeva già non agevola in misura significativa l’assolvimento dei propri compiti da parte di quest’ultima e, quindi, non è sufficiente a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione della cooperazione (v., in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 57, punto 455).

310    Tenuto conto di quanto rilevato al punto precedente e del fatto che le ricorrenti non contestano che la cooperazione di Kone consentisse già alla Commissione di constatare l’infrazione in Belgio, le ricorrenti non possono nemmeno sostenere che solo l’insieme degli elenchi di progetti menzionati nella decisione impugnata, compresi quelli trasmessi da Schindler, ha permesso alla Commissione di provare l’esistenza dell’intesa in Belgio.

311    Pertanto, la Commissione non ha manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale considerando che gli elementi di prova forniti da Schindler non costituivano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Va quindi respinta la censura relativa al valore aggiunto significativo degli elenchi di progetti comunicati da Schindler alla Commissione nell’ambito della sua domanda a titolo di detta comunicazione.

312    In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che dal confronto fra il trattamento di Otis e quello di ThyssenKrupp emerge che la Commissione, negando a Schindler una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002, ha violato il principio di parità di trattamento. Esse spiegano al riguardo che Kone ha fornito elementi di prova sufficienti per consentire alla Commissione di constatare un’infrazione all’art. 81 CE. Otis avrebbe fornito elementi di prova che contengono solo pochissime informazioni nuove e avrebbe beneficiato di una riduzione dell’importo dell’ammenda del 40%. ThyssenKrupp avrebbe solo fornito informazioni supplementari a proposito di un piccolo numero di progetti di manutenzione e la Commissione avrebbe constatato che nessuno degli elementi di prova forniti riguardava fatti di cui essa non fosse già a conoscenza, e che le informazioni comunicate non risalivano al periodo dell’infrazione. Orbene, ThyssenKrupp avrebbe beneficiato di una riduzione dell’importo dell’ammenda del 20%. Schindler, dal canto suo, avrebbe fornito elenchi relativi agli anni 2000‑2003 di cui la Commissione non era ancora a conoscenza e che risalivano all’epoca dell’infrazione. Pertanto, Schindler avrebbe diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda del 20%.

313    A tal proposito, si deve rammentare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della sua valutazione della cooperazione fornita dai membri di un’intesa, la Commissione non può violare il principio di parità di trattamento (v. sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, T‑244/01‑T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 394 e la giurisprudenza ivi citata).

314    Nel caso di specie, si deve constatare che le collaborazioni fornite da Otis e da ThyssenKrupp differiscono molto nettamente da quella apportata da Schindler.

315    Anzitutto, occorre ricordare che la valutazione del valore aggiunto di una cooperazione va effettuata in funzione degli elementi di prova già in possesso della Commissione. Orbene, poiché la cooperazione di Otis e quella di ThyssenKrupp hanno preceduto quella di Schindler (punti 96, 98 e 103 della decisione impugnata), la Commissione disponeva di più elementi di prova nel momento in cui Schindler ha presentato la sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 di quanti non fossero in suo possesso al momento delle domande di Otis e di ThyssenKrupp.

316    In secondo luogo, dalla decisione impugnata risulta che le collaborazioni di ThyssenKrupp e di Otis presentavano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

317    Infatti, per quanto riguarda la cooperazione di Otis, tale impresa ha fornito alla Commissione «prove documentali contemporanee» (punto 766 della decisione impugnata) e tali elementi di prova fornivano informazioni, ancorché limitate, «su fatti precedentemente ignorati» (punto 766 della decisione impugnata). Per quanto concerne la cooperazione di ThyssenKrupp, essa presentava del pari un valore aggiunto significativo, «in quanto forni[va] informazioni complementari su progetti di manutenzione e di ammodernamento nonché spiegazioni dettagliate sul sistema utilizzato per fissare i prezzi dei contratti di manutenzione» (punto 771 della decisione impugnata).

318    Diversamente, per quanto riguarda la collaborazione di Schindler, dall’esame effettuato ai precedenti punti 303‑311 risulta che la Commissione ha potuto correttamente considerare che tale collaborazione non soddisfaceva i requisiti di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

319    Pertanto, dal momento che le situazioni delle diverse imprese non sono comparabili, la Commissione non ha violato il principio di parità di trattamento concedendo riduzioni dell’importo delle ammende a Otis (il 40%) e a ThyssenKrupp (il 20%) e negando a Schindler il beneficio di una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

320    Dal complesso delle suesposte considerazioni emerge che devono essere respinte tutte le censure di Schindler relative all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 alla sua cooperazione ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Belgio.

 Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Germania

321    La Commissione ha deciso, al punto 805 della decisione impugnata, «di concedere a Schindler una riduzione dell’ammenda del 15% nella forcella prevista al punto 23, [primo comma], lett. b), [terzo trattino,] della comunicazione sulla cooperazione [del 2002]» in considerazione della sua cooperazione all’accertamento dell’infrazione in Germania.

322    Al punto 803 della decisione impugnata, la Commissione spiega che la concessione dell’immunità dalle ammende ai sensi del punto 8, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002 o di una riduzione del 100% dell’importo dell’ammenda ai sensi del punto 23, lett. b), ultimo comma, di detta comunicazione era esclusa in quanto, nel momento in cui Schindler ha presentato la sua domanda a titolo di detta comunicazione, «[l]a Commissione era già in possesso di una serie di prove che le consentivano di constatare un’infrazione all’art. 81 [CE], in particolare per il periodo 1995‑2000».

323    Al punto 804 della decisione impugnata la Commissione aggiunge quanto segue:

«(…) Poiché Schindler ha pienamente soddisfatto la condizione di cui al punto 21 solo con l’integrazione del 25 novembre 2004, ossia otto mesi dopo le prime due domande [ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002], tale ritardo deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo della riduzione, nell’ambito della forcella prevista. Ciononostante, le dichiarazioni di Schindler hanno apportato un valore aggiunto significativo che ha rafforzato la capacità della Commissione di provare l’infrazione. Tuttavia, il valore aggiunto della domanda di Schindler [ai sensi di detta comunicazione] rimane limitato, in quanto essa ribadiva essenzialmente quanto dichiarato da tale impresa, non conteneva alcun elemento di prova documentale e corroborava principalmente gli elementi di prova già in possesso della Commissione».

324    Le ricorrenti ricordano, in via preliminare, che Schindler ha partecipato solo ad intese relative alle installazioni di scale mobili tra il 1995 e il 2000, sicché solo le intese di detto periodo sono determinanti per valutare la cooperazione di Schindler. Tale infrazione costituirebbe un’infrazione autonoma, che dovrebbe essere considerata distintamente dalle infrazioni relative alle scale mobili e agli ascensori commesse da altre imprese dopo il 2000. Schindler non avrebbe partecipato a tali infrazioni e non ne sarebbe stata a conoscenza.

325    In primo luogo, Schindler sostiene che dovrebbe essere considerata la prima impresa ad avere fornito, conformemente al punto 8, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002, elementi di prova tali da consentire alla Commissione di constatare un’infrazione e beneficiare, quindi, di una riduzione del 100% dell’ammenda.

326    È vero che le domande ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 relative alle intese in Germania di Kone e Otis sono pervenute alla Commissione prima di quella di Schindler. Tuttavia, tali domande non avrebbero consentito di dimostrare l’esistenza dell’infrazione all’art. 81 CE cui avrebbe partecipato Schindler, vale a dire accordi concernenti le scale mobili conclusi tra il 1995 e il 2000. Senza gli elementi di prova forniti da Schindler, la Commissione non avrebbe potuto accertare l’infrazione all’art. 81 CE. Nella sua domanda e nelle integrazioni della stessa, Schindler avrebbe dimostrato l’esistenza di 33 riunioni tenutesi in Germania tra il 29 aprile 1994 e il 6 dicembre 2000. Otis avrebbe rivelato solo tre riunioni del 1999 (tenutesi il 20 gennaio, il 28 ottobre e il 22 dicembre 1999) e cinque riunioni del 2000 (tenutesi il 20 gennaio, il 18 febbraio, il 3 aprile, il 16 giugno e il 6 dicembre 2000). Le dichiarazioni di Kone non consentirebbero nemmeno di dimostrare le riunioni sistematiche relative ai progetti nel settore delle scale mobili in Germania dal 1995 al 2000.

327    In secondo luogo, in subordine, le ricorrenti sostengono che, conformemente al punto 23, lett. b), ultimo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002, a Schindler non avrebbe comunque dovuto essere inflitta alcuna ammenda, dato che essa è stata l’unica a fornire elementi di prova sufficienti per dimostrare l’infrazione in Germania tra il 1995 e il 2000. Gli elementi di prova forniti da Kone e Otis riguarderebbero il periodo successivo al 2000. Peraltro, poiché la Commissione affermerebbe, al punto 803 della decisione impugnata, che disponeva già di elementi di prova prima della domanda di Schindler, senza tuttavia precisare di quali elementi si tratti, le ricorrenti lamentano una carenza di motivazione della decisione impugnata.

328    Innanzitutto, si deve sottolineare che, contrariamente a quanto asserisce la Commissione, la circostanza che le ricorrenti non mettano in discussione la qualificazione dell’intesa in Germania come infrazione unica non pregiudica la ricevibilità della loro tesi.

329    Infatti, la stessa Commissione distingue, nella decisione impugnata, due parti dell’infrazione in Germania, una relativa al periodo agosto 1995‑dicembre 2000, che riguarda esclusivamente le scale mobili, e una relativa al periodo dicembre 2000‑dicembre 2003, che riguarda sia le scale mobili che gli ascensori (punti 213, 277 e 278 della decisione impugnata), senza che tale distinzione incida sulla qualificazione di detta intesa come infrazione unica, in quanto tutti gli accordi perseguivano i medesimi obiettivi e conducevano al medesimo risultato (punto 568 della decisione impugnata). È inoltre pacifico che Schindler non ha partecipato alla parte relativa alle scale mobili dell’infrazione constatata all’art. 1, n. 2, della decisione impugnata, dato che ha abbandonato l’intesa nel 2000 (punto 213 della decisione impugnata).

330    Orbene, se, come sostengono le ricorrenti, Schindler fosse la prima impresa che ha fornito elementi di prova decisivi che hanno consentito alla Commissione di constatare l’esistenza dell’intesa in Germania dall’agosto 1995 al dicembre 2000, essa avrebbe diritto, conformemente al punto 23, lett. b), ultimo comma, della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e a prescindere dall’eventuale applicazione del punto 8, lett. b), di detta comunicazione, alla riduzione del 100% dell’importo dell’ammenda, in quanto la sua cooperazione avrebbe avuto un’incidenza diretta sulla durata della presunta intesa, equivalente all’intera durata della partecipazione di Schindler alla stessa.

331    Tuttavia, dai punti 214 e 803 della decisione impugnata risulta che al 25 novembre 2004, data della domanda di Schindler, la Commissione disponeva di elementi di prova sufficienti che le consentivano di accertare l’infrazione in Germania tra il 1995 ed il 2000.

332    Infatti, nella sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2004, del 12 febbraio 2004, Kone ha fornito elementi concreti sull’intesa in Germania, sia per il periodo precedente all’abbandono dell’intesa da parte di Schindler, sia per quello successivo. Infatti, per quanto riguarda la prima parte dell’infrazione, la dichiarazione di Kone ha informato la Commissione del fatto che il 1° agosto 1995 esisteva già un’intesa per la ripartizione del mercato delle scale mobili, dell’elenco dei partecipanti all’intesa, dei criteri per l’assegnazione dei progetti e di altri elementi relativi all’attuazione dell’all’intesa. Kone aveva inoltre chiaramente indicato nella sua domanda che Schindler aveva abbandonato l’intesa «[a]lla fine del 2000».

333    Nelle osservazioni dell’aprile 2004, che completano la sua domanda del marzo 2004, Otis ha confermato l’esistenza di un’intesa in Germania sulla ripartizione del mercato delle scale mobili, l’elenco dei partecipanti all’intesa, i criteri per l’assegnazione dei progetti e altre informazioni relative all’attuazione dell’intesa, nonché l’abbandono della stessa da parte di Schindler nel 2000. Nelle sue osservazioni complementari dell’aprile 2004 Otis ha inoltre indicato che l’intesa sul mercato delle scale mobili esisteva fin dagli anni ‘80.

334    Pertanto, al momento del deposito della domanda di Schindler ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002, il 25 novembre 2004, la Commissione disponeva già di due dichiarazioni concordanti che le consentivano di constatare la parte dell’intesa in Germania cui detta impresa ha partecipato.

335    È vero che, nella domanda del 25 novembre 2004 e nella domanda integrativa del 7 dicembre 2004, Schindler ha fornito alla Commissione informazioni di cui essa non era ancora in possesso. Si tratta in particolare delle date di alcune riunioni tra i partecipanti all’intesa tenutesi tra il 29 aprile 1994 e il 6 dicembre 2000. Tuttavia, tenuto conto di quanto rilevato al punto 334 supra, la Commissione ha potuto legittimamente considerare che si trattava di elementi di prova che costituivano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e davano diritto ad una riduzione dell’ammenda ai sensi del punto 23, lett. b), ultimo comma, di detta comunicazione. Infatti, gli elementi di prova in questione non erano determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa in Germania per l’intera durata della partecipazione di Schindler alla stessa, ma rafforzavano la capacità della Commissione di provare l’infrazione corroborando gli elementi di prova già in suo possesso.

336    Inoltre, tenuto conto del fatto che Schindler è stata la terza impresa a presentare una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002, la riduzione dell’ammenda applicabile era quella prevista al punto 23, lett. b), primo comma, terzo trattino, di tale comunicazione. Orbene, poiché gli elementi di prova che costituiscono un valore aggiunto significativo sono stati comunicati alla Commissione solo otto mesi dopo le prime due domande a titolo di detta comunicazione ed è pacifico che Schindler non ha comunicato prove documentali contemporanee, la Commissione non ha manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale fissando al 15% la riduzione dell’importo dell’ammenda di Schindler.

337    Infine, per quanto concerne la censura relativa alla violazione dell’art. 253 CE, si deve rilevare che il punto 803 della decisione impugnata espone, in modo chiaro ed inequivocabile, i motivi per i quali la Commissione ha ritenuto che gli elementi di prova forniti da Schindler nella sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 non dessero diritto all’immunità dall’ammenda. La Commissione fa riferimento in proposito al fatto che, «al momento delle osservazioni di Schindler, [essa] era già in possesso di una serie di prove che le consentivano di constatare un’infrazione all’art. 81 [CE]» (punto 803 della decisione impugnata). Collocati nel loro contesto, tali motivi fanno necessariamente riferimento alla serie di prove contenuta nelle domande di Kone e di Otis, il cui valore aggiunto è stato determinato ai punti 792 e 799 della decisione impugnata. I punti sopra citati consentivano quindi agli interessati di conoscere le giustificazioni del diniego della Commissione di concedere a Schindler l’immunità dalle ammende per la sua cooperazione all’accertamento dell’infrazione in Germania e al Tribunale di esercitare il suo sindacato di legittimità. Pertanto, la censura relativa ad una violazione dell’art. 253 CE deve essere respinta.

338    Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che devono essere respinte tutte le censure di Schindler relative all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 alla sua cooperazione ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Germania.

 Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Lussemburgo

339    Schindler, che è stata la quarta impresa a presentare una domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per l’intesa in Lussemburgo (punto 830 della decisione impugnata), non ha beneficiato di una riduzione dell’importo dell’ammenda in virtù della comunicazione sulla cooperazione del 2002 per la suddetta infrazione (punto 834 della decisione impugnata). Ai punti 831‑833 della decisione impugnata, la Commissione chiarisce in proposito quanto segue:

«831      La domanda [a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002] di Schindler è costituita principalmente da una dichiarazione scritta dell’impresa e da documenti interni risalenti al 2002 che, secondo Schindler, sono stati elaborati nell’ambito delle normali attività dell’impresa. La domanda (…) di Schindler non ha fornito alla Commissione alcun elemento nuovo di elevato valore aggiunto. Le nuove informazioni erano in realtà descrizioni del settore all’epoca dell’infrazione e altri particolari di minore importanza. A parte tali informazioni, la domanda (…) di Schindler conferma essenzialmente le informazioni già in possesso della Commissione.

832      Peraltro, Schindler afferma che gli accordi relativi ai nuovi progetti di installazione, di ammodernamento, di riparazione e di manutenzione di ascensori e scale mobili esistevano sin dal 1993, e che essa aveva abbandonato l’intesa nel 1994 e vi aveva riaderito solo nel 1999. La Commissione non ha trovato alcun elemento che confermasse tale affermazione. La Commissione non può basarsi sulla dichiarazione unilaterale e non dimostrata di una delle parti in relazione ad una questione cruciale, che può avere gravi conseguenze giuridiche per gli altri partecipanti.

833      La Commissione ne deduce che le osservazioni di Schindler non contengono alcun elemento nuovo di valore significativo ma corroborano, sostanzialmente, i fatti di cui essa era già a conoscenza. Le informazioni fornite da Schindler, se confrontate con gli elementi di prova in possesso della Commissione al momento della domanda (…) di Schindler, non hanno rafforzato in misura significativa la capacità della Commissione di provare i fatti in questione. Pertanto, le condizioni di cui al punto 21 della comunicazione sulla cooperazione [del 2002] non sono soddisfatte. Dopo la sua domanda (…), Schindler non ha fornito alcun contributo supplementare, se si eccettuano le informazioni comunicate su richiesta della Commissione».

340    Le ricorrenti sostengono che Schindler ha diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda dal 20% al 30%, a titolo dei punti 21 e 23 della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Infatti, Schindler avrebbe fornito elementi di prova di notevole valore aggiunto, relativi ad accordi nel settore delle attività di manutenzione. Senza la domanda di Schindler del 4 novembre 2004, la Commissione non avrebbe potuto accertare l’esistenza di accordi in tale settore, sul quale le domande di Kone e di ThyssenKrupp contenevano solo poche informazioni. Peraltro, Otis non avrebbe espressamente ammesso la propria partecipazione ad accordi in detto settore.

341    L’importanza della domanda di Schindler a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002 ai fini della produzione della prova da parte della Commissione risulterebbe altresì dalla frequenza dei riferimenti a tale domanda contenuti nella decisione impugnata, rispetto ai riferimenti alle domande di Kone e di ThyssenKrupp. La Commissione avrebbe respinto l’argomento di Schindler al punto 831 della decisione impugnata senza tuttavia rispondere agli argomenti di Schindler esposti nella risposta alla comunicazione degli addebiti, il che costituirebbe una carenza di motivazione ai sensi dell’art. 253 CE.

342    Occorre esaminare, alla luce della giurisprudenza citata al punto 300 supra, se la Commissione abbia manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale constatando che gli elementi di prova forniti da Schindler non presentavano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in suo possesso al momento in cui detta impresa ha presentato la propria domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

343    A tal riguardo si deve rilevare, in primo luogo, che le ricorrenti, le quali non contestano la concessione dell’immunità dalle ammende a Kone a titolo del punto 8, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione del 2002, non negano che le informazioni fornite da detta impresa consentissero già alla Commissione di constatare un’infrazione in Lussemburgo (punto 816 della decisione impugnata). La Commissione disponeva quindi già di elementi di prova sufficienti per constatare un’infrazione in Lussemburgo nel momento in cui Schindler ha presentato la sua domanda ai sensi di detta comunicazione. Inoltre, anteriormente alla domanda di Schindler, la Commissione aveva anche già ricevuto una domanda da Otis a titolo della medesima comunicazione, nel marzo 2004, che ha dato luogo ad una riduzione dell’importo dell’ammenda del 40% (punti 118 e 823 della decisione impugnata).

344    In secondo luogo, per quanto attiene alla questione se, conformemente ai punti 21 e 22 della comunicazione sulla cooperazione del 2002, gli elementi di prova forniti da Schindler costituissero un valore aggiunto significativo in quanto rafforzavano notevolmente la capacità della Commissione di dimostrare l’infrazione in Lussemburgo, si deve rilevare che gli elementi di prova che, secondo le ricorrenti, avrebbero apportato un valore aggiunto significativo riguardano solo una delle due parti dell’infrazione constatata all’art. 1, n. 3, della decisione impugnata, vale a dire la ripartizione dei mercati per i contratti di manutenzione e di ammodernamento (v. anche punti 293 e 830 della decisione impugnata).

345    Orbene, dalla domanda di Kone del 5 febbraio 2004, come integrata dalle informazioni del 19 febbraio 2004, risulta che la stessa conteneva già una descrizione chiara della parte dell’intesa che è stata successivamente oggetto della cooperazione di Schindler.

346    In terzo luogo, le ricorrenti non possono trarre argomenti dal numero di riferimenti nella decisione impugnata alla loro domanda, ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Invero, il fatto che nella decisione impugnata la Commissione abbia utilizzato tutti gli elementi di prova di cui disponeva, e quindi anche le informazioni comunicate da Schindler nella sua domanda del 4 novembre 2004, non dimostra di per sé che tali informazioni costituissero un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova di cui essa disponeva già in quel momento.

347    Dalle suesposte considerazioni emerge che la Commissione non ha manifestamente superato i limiti del suo potere discrezionale considerando che gli elementi di prova forniti da Schindler non costituivano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002.

348    Relativamente alla censura vertente sulla violazione dell’art. 253 CE, deve rilevarsi che la Commissione non è obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati fanno valere dinanzi ad essa, ma le è sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione (v. sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, causa T‑349/03, Corsica Ferries France/Commissione, Racc. pag. II‑2197, punto 64 e la giurisprudenza ivi citata). A tal proposito si deve rilevare che, ai punti 831‑833 della decisione impugnata, la Commissione ha sufficientemente esposto i motivi per i quali ha ritenuto che gli elementi di prova presentati da Schindler nella sua domanda del 4 novembre 2004 non costituissero un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Tali punti consentono agli interessati di conoscere le giustificazioni del diniego della Commissione di concedere a Schindler una riduzione dell’importo dell’ammenda per la sua cooperazione all’accertamento dell’infrazione in Lussemburgo e al Tribunale di esercitare il suo sindacato di legittimità. La censura relativa ad una violazione dell’art. 253 CE deve quindi essere respinta.

349    Dal complesso delle suesposte considerazioni risulta che devono essere respinte tutte le censure di Schindler relative all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 alla sua cooperazione ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Lussemburgo.

 Sul motivo vertente sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e degli orientamenti del 1998, in ragione dell’insufficiente riduzione dell’importo dell’ammenda per mancata contestazione dei fatti

350    Al punto 614 della comunicazione degli addebiti la Commissione aveva annunciato che «intende[va] concedere una riduzione [dell’ammenda] per la cooperazione al di fuori dell’ambito della comunicazione sulla cooperazione [del 2002], in particolare nel caso in cui una società non contest[asse] i fatti o forni[sse] un ulteriore contributo tale da permettere di appurare o completare i fatti accertati dalla Commissione».

351    Al punto 758 della decisione impugnata la Commissione spiega che, «[p]oiché il punto 614 della comunicazione degli addebiti suscitava aspettative nel caso di specie, [essa] [aveva] deciso di interpretare tale punto a favore delle imprese che, sulla sua base, hanno contribuito all’accertamento dei fatti relativi all’infrazione descritta nella decisione [impugnata], astenendosi dal contestare i fatti o fornendo ulteriori informazioni o precisazioni complementari».

352    La Commissione ha quindi concesso a tutti i partecipanti alle quattro infrazioni, ad eccezione, da una parte, delle imprese che beneficiavano di un’immunità dalle ammende (punti 762, 817 e 839 della decisione impugnata) e, dall’altra, di Kone nell’ambito dell’intesa nei Paesi Bassi (punto 851 della decisione impugnata), una riduzione dell’importo dell’ammenda dell’1% per la loro cooperazione al di fuori dell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, per la mancata contestazione dei fatti esposti nella comunicazione degli addebiti (punti 768, 774, 777, 794, 801, 806, 813, 824, 829, 835, 845, 854, 855 e 856 della decisione impugnata).

353    Le ricorrenti ritengono, in primo luogo, di poter pretendere una riduzione dell’importo dell’ammenda di almeno il 10% anziché dell’1% concesso per la loro cooperazione al di fuori dell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002, il che sarebbe conforme alla prassi decisionale della Commissione in altri casi. In secondo luogo, la Commissione non avrebbe tenuto conto, nonostante una richiesta in tal senso, del fatto che le ricorrenti avevano cooperato con essa in un modo che andava ben al di là della semplice mancata contestazione dei fatti, il che darebbe loro diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda di almeno il 10%, ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002, o ad una riduzione in base al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti del 1998.

354    In limine, occorre rammentare che una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo di cooperazione durante il procedimento amministrativo è giustificata solo se il comportamento dell’impresa di cui trattasi ha consentito alla Commissione di accertare l’esistenza di un’infrazione con meno difficoltà e, se del caso, di porvi fine (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 156; Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, cit. al punto 222 supra, punto 270, e Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 57 supra, punto 449).

355    Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’impresa che dichiari espressamente di non contestare gli elementi di fatto sui quali la Commissione ha fondato i propri addebiti può essere considerata alla stregua di un’impresa che ha contribuito ad agevolare il compito della Commissione, consistente nell’accertare e nel reprimere le violazioni delle regole di concorrenza dell’Unione (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 395, e SCA Holding/Commissione, cit. al punto 354 supra, punto 157).

356    È vero che la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non prevede, a differenza della comunicazione sulla cooperazione del 1996, alcuna riduzione dell’importo dell’ammenda a favore delle imprese che non contestino i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse nella comunicazione degli addebiti. Tuttavia, la Commissione riconosce, al punto 758 della decisione impugnata, che il punto 614 della comunicazione degli addebiti ha suscitato in tali imprese un legittimo affidamento nel fatto che la mancata contestazione dei fatti avrebbe comportato una riduzione dell’importo dell’ammenda al di là della comunicazione sulla cooperazione del 2002. Allo stesso punto essa ha anche indicato che «[p]er stabilire l’entità della riduzione si dovrà tenere conto del fatto che la cooperazione offerta dopo la comunicazione degli addebiti, allorché la Commissione ha già accertato tutti gli elementi dell’infrazione, in un momento nel quale l’impresa è già a conoscenza di tutti gli elementi d’indagine e ha avuto accesso agli atti dell’indagine, può contribuire, nel migliore dei casi, solo marginalmente all’indagine della Commissione». La Commissione ha altresì aggiunto che, «[i]n generale, l’ammissione dei fatti in tali circostanze costituisce tutt’al più un elemento di prova atto a confermare fatti che la Commissione considererebbe, di regola, sufficientemente dimostrati da altri elementi di prova versati agli atti».

357    In primo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione ha derogato alla sua prassi anteriore, in base alla quale un’impresa che non contesti i fatti materiali rilevati nella comunicazione degli addebiti beneficerebbe di una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta, conformemente alla comunicazione sulla cooperazione del 2002.

358    Se è vero che la sezione D, punto 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione del 1996 disponeva che un’impresa poteva beneficiare «(…) di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione (…) se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, [essa] informa[va] la Commissione che non contesta[va] i fatti materiali sui quali la Commissione fonda[va] le sue accuse», la comunicazione sulla cooperazione del 2002 non prevede più riduzioni dell’importo dell’ammenda per tale motivo. Orbene, come risulta già dai punti 142 e 143 supra, solo la comunicazione sulla cooperazione del 2002 è applicabile alle domande delle ricorrenti, che sono peraltro state espressamente presentate in virtù di tale comunicazione.

359    Come rammentato al precedente punto 225, la prassi decisionale anteriore della Commissione non può comunque essere utilizzata come contesto giuridico per le ammende in materia di concorrenza.

360    In secondo luogo, per quanto concerne gli argomenti delle ricorrenti secondo i quali Schindler avrebbe fornito alla Commissione, per l’intera durata del procedimento, informazioni relative alle infrazioni, che sarebbero state citate nei passaggi fondamentali della decisione impugnata, è sufficiente constatare che le ricorrenti non sostengono che tale collaborazione sia andata oltre quanto richiesto nell’ambito dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, sicché la loro censura deve essere respinta. Lo stesso può dirsi per il motivo, sollevato nella replica, secondo cui detta cooperazione giustificherebbe il fatto che Schindler benefici di una circostanza attenuante a titolo degli orientamenti del 1998.

361    Ne consegue che il motivo deve essere respinto in toto.

 Sul motivo vertente sulla violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

362    Le ricorrenti fanno valere che le ammende imposte all’art. 2 della decisione impugnata per ogni infrazione contravvengono all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione, per determinare il tetto del 10% del fatturato delle imprese in questione, si sarebbe basata sul fatturato delle società capogruppo dei gruppi di società interessati, anziché su quello delle controllate che hanno partecipato direttamente alle infrazioni.

363    Le ricorrenti fanno valere che non si possono imputare alle società capogruppo le infrazioni commesse dalle loro rispettive controllate e che, pertanto, il tetto del 10% del fatturato previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 dovrebbe essere calcolato sulla base del fatturato di dette controllate.

364    Tuttavia, posto che le ricorrenti non sostengono che le ammende inflitte nella decisione impugnata superino il tetto del 10% del fatturato realizzato da Schindler Holding nell’esercizio sociale precedente, è giocoforza constatare che tale censura si confonde con quelle esaminate ai punti 63‑91 supra, concernenti l’imputazione a Schindler Holding del comportamento delle sue controllate. Orbene, dalle considerazioni relative a tale questione emerge che la Commissione ha legittimamente imputato a Schindler Holding i comportamenti delle sue controllate, con le quali essa forma un’unità economica. Tale motivo, pertanto, dev’essere respinto.

 Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità nel calcolo dell’importo finale delle ammende

365    Le ricorrenti sostengono che l’importo finale delle ammende loro inflitte è sproporzionato, in quanto non sarebbe né necessario né adeguato per raggiungere lo scopo perseguito, vale a dire la repressione dei comportamenti illeciti e la prevenzione della recidiva. Nella specie, si tratterebbe di quattro infrazioni isolate commesse da quattro società diverse, di modo che le ammende inflitte non dovrebbero superare il 10% del fatturato di ciascuna di loro. Le ricorrenti ritengono inoltre che, qualora dovesse essere accolto l’argomento della Commissione secondo cui un’ammenda non è sproporzionata se non supera il tetto del 10% del fatturato dell’impresa interessata, l’applicazione del principio di proporzionalità sarebbe praticamente esclusa. Nella fattispecie, a Schindler Belgio e a Schindler Lussemburgo sarebbero state inflitte ammende corrispondenti al [riservato]% dei fatturati medi consolidati di Schindler Belgio e di Schindler Lussemburgo [riservato]. Per quanto riguarda Schindler Paesi Bassi, l’ammenda corrisponderebbe a [riservato].

366    A tale proposito, in limine va ricordato che il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenza della Corte 5 maggio 1998, causa C‑180/96, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I‑2265, punto 96, e sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T‑30/05, Prym e Prym Consumer/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 223).

367    Ne consegue che le ammende non devono essere sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e che l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionata all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto in particolare della sua gravità (sentenza 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 366 supra, punto 224). Inoltre, nella determinazione dell’importo delle ammende, la Commissione può tenere conto dell’esigenza di garantire alle stesse un effetto sufficientemente dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 54 supra, punto 108, e sentenza Europa Carton/Commissione, cit. al punto 125 supra, punto 89).

368    Si deve rilevare, in primo luogo, che nella specie le intese consistevano principalmente in un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili (tranne in Germania, in cui l’attività di manutenzione e di ammodernamento non è stata oggetto di discussioni tra i membri dell’intesa). Orbene, tali infrazioni rientrano per loro stessa natura tra le violazioni più gravi dell’art. 81 CE (punto 658 della decisione impugnata).

369    In secondo luogo, nel calcolo dell’importo delle ammende la Commissione può prendere in considerazione segnatamente le dimensioni e la potenza economica dell’unità economica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, l’impresa pertinente da prendere in considerazione nel caso di specie non corrisponde a ciascuna controllata che ha partecipato alle infrazioni constatate all’art. 1, nn. 1, 3 e 4, della decisione impugnata. Al contrario, dall’analisi sopra esposta risulta che le infrazioni contestate a Schindler sono state commesse da Schindler Holding e dalle sue controllate. Pertanto, devono essere respinti gli argomenti delle ricorrenti che si limitano a dimostrare una sproporzione tra l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione e il volume d’affari realizzato da tali controllate, ad esclusione della società controllante.

370    In terzo luogo, per quanto concerne la proporzionalità delle ammende rispetto alle dimensioni e alla potenza economica delle unità economiche interessate, si deve ricordare che dalle suesposte considerazioni emerge che esse non superano il tetto del 10% di cui all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, inteso ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 54 supra, punto 119, e sentenza 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. al punto 336 supra, punto 229). A tal proposito, risulta d’altronde dal fascicolo che l’importo totale delle ammende imposte a Schindler dalla decisione impugnata rappresenta circa il 2% del fatturato consolidato di Schindler Holding realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente all’adozione della decisione impugnata, il che non può considerarsi sproporzionato rispetto alla dimensione di detta impresa.

371    Con riguardo alle considerazioni precedenti, il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità nel calcolo dell’importo finale delle ammende deve essere respinto.

372    Ne consegue che il ricorso deve essere respinto in toto.

 Sulle spese

373    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Inoltre, conformemente all’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Infine, ai sensi dell’art. 87, n. 6, del regolamento di procedura, in caso di non luogo a provvedere, il Tribunale decide sulle spese in via equitativa.

374    Si deve rilevare che il presente ricorso, nei limiti in cui è stato proposto da Schindler Management, è divenuto privo di oggetto a seguito della rettifica della decisione impugnata da parte della Commissione. Considerato che tutti i motivi del ricorso sono stati sollevati indistintamente da tutte le ricorrenti e che le domande di Schindler Holding, Schindler Belgio, Schindler Germania, Schindler Lussemburgo e Schindler Paesi Bassi sono state respinte, occorre condannarle alle spese della Commissione. Il Consiglio sopporta le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Non vi è luogo a provvedere sul ricorso nei limiti in cui è stato proposto da Schindler Management AG.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      Schindler Holding Ltd, Schindler SA, Schindler Deutschland Holding GmbH, Schindler Sàrl e Schindler Liften BV sono condannate alle spese.

4)      Schindler Management sopporterà le proprie spese.

5)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese.

Martins Ribeiro

Wahl

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2011.

Firme

Indice


Procedimento amministrativo

1. Indagine della Commissione

Belgio

Germania

Lussemburgo

Paesi Bassi

2. Comunicazione degli addebiti

3. Decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

Sulla domanda di non luogo a provvedere nei confronti di Schindler Management

Nel merito

1. Osservazioni preliminari

2. Sulla domanda di annullamento in toto della decisione impugnata

Sul motivo vertente sulla violazione dell’art. 6, n. 1, della CEDU

Sul motivo vertente sull’illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui è indirizzata a Schindler Holding, in ragione della mancanza di valida notifica

Sul motivo vertente sull’illegittimità della decisione impugnata, nella parte in cui vi si afferma la responsabilità in solido di Schindler Holding

3. Sulla domanda di annullamento dell’art. 2 della decisione impugnata

Sull’eccezione di illegittimità relativa all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, vertente sulla violazione del principio di legalità delle pene

Sull’eccezione di illegittimità degli orientamenti del 1998, vertente sulla violazione del principio di irretroattività

Sull’eccezione di illegittimità degli orientamenti del 1998, vertente sulla carenza di competenza della Commissione e, in subordine, sulla mancanza di trasparenza e prevedibilità degli stessi

Sull’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, vertente sulla violazione del principio di irretroattività e del principio di tutela del legittimo affidamento

Sull’eccezione di illegittimità della comunicazione sulla cooperazione del 2002, vertente sulla violazione dei principi generali del diritto nemo tenetur, in dubio pro reo e di proporzionalità, nonché sull’abuso di potere discrezionale

Sulla prima censura, vertente sulla violazione del principio nemo tenetur

Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del principio in dubio pro reo

Sulla terza censura, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

Sulla quarta censura, relativa ad un abuso di potere discrezionale

Sul motivo vertente sulla natura confiscatoria, in violazione del diritto internazionale, della decisione impugnata

Sulla ricevibilità

Nel merito

Sul motivo vertente sulla violazione degli orientamenti del 1998 e dell’obbligo di motivazione nella fissazione dell’importo di partenza delle ammende

Osservazioni preliminari

Decisione impugnata

Sulla qualificazione delle infrazioni come «molto gravi»

Sull’asserita illegittimità degli importi di partenza delle ammende

– Sull’asserita carenza di motivazione

– Sugli importi di partenza generali delle ammende

– Sugli importi di partenza specifici delle ammende

Sul motivo vertente sulla violazione degli orientamenti del 1998, del principio di adeguatezza tra la colpa e la pena, del principio di proporzionalità e dell’obbligo di motivazione nell’ambito della valutazione delle circostanze attenuanti

Sul motivo vertente sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002, del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione nel contesto della concessione di riduzioni degli importi delle ammende

Sulla comunicazione sulla cooperazione del 2002

Sul margine di discrezionalità della Commissione e sul controllo del giudice dell’Unione

Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Belgio

Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Germania

Sulla cooperazione di Schindler ai fini dell’accertamento dell’infrazione in Lussemburgo

Sul motivo vertente sulla violazione della comunicazione sulla cooperazione del 2002 e degli orientamenti del 1998, in ragione dell’insufficiente riduzione dell’importo dell’ammenda per mancata contestazione dei fatti

Sul motivo vertente sulla violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità nel calcolo dell’importo finale delle ammende

Sulle spese


* Lingua processuale: il tedesco.


1 – Dati riservati omessi.